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Università di Pisa Dipartimento di Scienze Veterinarie Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

Tesi di Laurea

Studio retrospettivo sull’eziologia della cataratta nel cane

(2012-2016)

Candidato: Relatore: Esther Santini Prof. Giovanni Barsotti Controrelatore:

Prof.ssa Gloria Breghi

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

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Al mio paese d’adozione: l’Italia

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Riassunto

Il seguente studio si propone di determinare la prevalenza delle varie eziologie della cataratta e la

prevalenza di razza nell’ambito di ciascuna di esse nonché le complicazioni più frequentemente

associate alla patologia. A tale scopo sono stati inclusi in questo lavoro tutti i cani presentati presso

l’ambulatorio di oftalmologia dell’Ospedale Didattico Veterinario "Mario Modenato" del Dipartimento

di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa, nel periodo compreso tra il I gennaio 2012 e il 31 dicembre

2016. Complessivamente, nel corso del periodo d’interesse, l’16,38% dei pazienti visitati su un totale

di 1062 è stato affetto da una cataratta ad eziologia varia. La popolazione era costituita da 132 cani di

razza (37 razze) e 42 meticci, a loro volta suddivisibili in 92 maschi e 82 femmine (61 femmine intere e

21 femmine sterilizzate). L’età media dei cani malati era di 80,22 mesi (intervallo: 2 mesi-204mesi) con

mediana di 84 mesi. Le varie eziologie della cataratta osservate sono state: la cataratta ereditaria

(26%), la cataratta secondaria a PRA (16%), la cataratta senile (14%), la cataratta congenita (11%), la

cataratta diabetica (8%), la cataratta traumatica (5%) e la cataratta secondaria ad uveite (3%). Nel 17%

dei casi, data la complessità dei casi clinici presentati, non è stato possibile stabilire l’eziologia della

cataratta.

Parole chiavi: cristallino, cataratta, razza, prevalenza, eziologia.

Abstract

The following study aims to determine the prevalence of various cataract etiologies and the prevalence

of race within each of them as well as the complications most frequently associated with the disease.

To this end, all dogs presented at the ophthalmology surgery of the Veterinary Didactic Hospital "Mario

Modenato" of the Veterinary Sciences Department of the University of Pisa, in the period between 1st

January 2012 and 31st December 2016, were included in this work. Overall, during the period of

interest, 16.38% of the patients visited on a total of 1062 were affected by a cataract of various

etiology. The population consisted of 132 purebred dogs (37 breeds) and 42 mixed-breed dogs, which

were subdivided into 92 males and 82 females (61 entire females and 21 sterilized females). The

average age of sick dogs was 80.22 months (interval: 2 months-204 months) with 84-month median.

The various etiologies of the cataract observed were: hereditary cataracts (26%), the cataract

secondary to PRA (16%), the senile cataract (14%), the congenital cataract (11%), the diabetic cataract

(8%), the traumatic cataract (5%) and cataract secondary to uveitis (3%). In 17% of cases, given the

complexity of the clinical cases presented, it was not possible to establish the etiology of the cataract.

Key words: lens, breed, cataract, prevalence, etiology.

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INDICE CAPITOLO 1: IL CRISTALLINO...……………………….………….………………………7

1.1 Embriologia del cristallino…………………………………………………………….7 1.1.2 Sistema vascolare embrionario……………………………………………………………8

1.2 Anatomia del cristallino……………………………………………………………….9

1.3 Funzione ottica e accomodazione……………………………………………….11

1.4 Il metabolismo del cristallino………………………………………………….….12

CAPITOLO 2: LA CATARATTA……………………………………………………………14

2.1 Fisiopatologia della cataratta……………………………………………………..14

2.2 Diagnosi di cataratta…………………………………………………………………..16 2.2.1 Diagnosi differenziale con la nucleosclerosi………………………………………….18

2.3 Classificazione della cataratta.……………………………………………………19

2.4 Conseguenze della cataratta………………………………………………………22

2.5 Trattamento della cataratta……………………………………………………….23 2.5.1 Gestione post-operatoria………………………………………………………………….27 2.5.2 Prognosi e complicazioni post-operatorie………………………………………….28

CAPITOLO 3: EZIOLOGIA E PREVALENZA DELLA CATARATTA NELLA

SPECIE CANINA……………………………………………………………………………….32

3.1 Cataratta primaria……………..……………………………………………………….32 3.1.1 Cataratta ereditaria…………………………………………………………………………..32 3.1.2 Cataratta congenita…………………………………………………………………………..35

3.1.2.1 Anomalie oculari multiple………………………………………………………36 3.1.2.2 Persistenza di strutture embrionarie………………………………………37

3.2 Cataratta secondaria…………………..……………………………………………..40 3.2.1 Cataratta metabolica…………………………………………………………………………40

3.2.1.1 Cataratta diabetica…………………………………………………………………40 3.2.1.2 Cataratta ipocalcemica…………………………………………………………..43

3.2.2 Cataratta secondarie associate ad altre patologie oculari…………………..44 3.2.2.1 Cataratta secondaria associata a atrofia progressiva della retina………………………………………………………………………………………………..44 3.2.2.2 Cataratta secondaria associata a displasia retinica………………….46 3.2.2.3 Cataratta secondaria a uveite…………………………………………………46

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3.2.3 Cataratta traumatica………………………………………………………………………...47 3.2.4 Cataratta nutrizionale……………………………………………………………………….49 3.2.5 Cataratta tossica……………………………………………………………………………….50 3.2.6 Cataratta senile…………………………………………………………………………………51

3.3 Cause di cataratta nel cane: studi di prevalenza riportati in letteratura………………………………………………………………………………….52 3.3.1 Presentazione cliniche della cataratta nel cane………………………………….53 3.3.2 La cataratta nelle razze canine di piccola taglia…………………………………..55 3.3.3 Cataratta ereditaria: le razze canine prevalentemente affette……………55 3.3.4 Età di insorgenza della cataratta ereditaria………………………………………..57

CAPITOLO 4: ESPERIENZA PERSONALE…………………………………………….59

4.1 Introduzione……………………………………………………………………………….59

4.2 Materiali e metodi………………………………………………………………………59 4.2.1 Raccolta dei dati………………………………………………………………………………..59

4.2.2 Visita oculistica………………………………………………………………………………….62

4.2.3 Analisi statistica…………………………………………………………………………………63

4.3 Risultati………………………………………………………………………………………64 4.3.1 Cataratta primaria…………………………………………………………………………….67

4.3.1.1 Cataratta ereditaria……………………………………………………………….68

4.3.1.2 Cataratta congenita……………………………………………………………….69

4.3.2 Cataratta secondaria…………………………………………………………………………73

4.3.2.1 Cataratta secondaria a atrofia progressiva della retina…………..74

4.3.2.2 Cataratta senile……………………………………………………………………..75

4.3.2.3 Cataratta diabetica…………………………………………………………………76

4.3.2.4 Cataratta traumatica………………………………………………………………77

4.3.2.5 Cataratta secondaria ad uveite……………………………………………….78

4.3.3 Cataratta ad eziologia dubbia…………………………………………………………….79

4.3.3.1 Cataratta ad eziologia dubbia fra primaria e secondaria………….80

4.3.3.2 Cataratta ad eziologia dubbia fra le varie tipologie di cataratta

secondaria………………………………………………………………………………………..81

4.4 Lesioni oculari indotte dalla cataratta…………………………………………82

4.5 Discussioni………………………………………………………………………………….83 4.5.1 Cataratta primaria…………………………………………………………………………….84

4.5.2 Cataratta secondaria…………………………………………………………………………90

4.5.3 Cataratta ad eziologia dubbia……………………………………………………………95

4.5.4 Complicazioni secondarie alla cataratta…………………………………………..100

4.6 Conclusioni……………………………………………………………………………….103

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BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………………………..............104

RINGRAZIAMENTI…………………………………………………………………………………………115

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CAPITOLO 1: IL CRISTALLINO

1.1 Embriologia del cristallino

Il cristallino (o lente) nel cane inizia il suo sviluppo intorno al 15°-17° giorno di gestazione

(Peruccio, 1987).

Il primo abbozzo della formazione del cristallino, inizia quando l’ectoderma di superficie della

vescicola ottica primitiva subisce un graduale ispessimento (placode del cristallino), indotta

dalla proliferazione cellulare in risposta ai segnali induttivi da parte della piastra neurale

(Grainer et al., 1992), per poi invaginarsi dando luogo alla formazione della fovea lentis

(Grainer et al., 1992; Cook, 1995; Peruccio, 2009). La vescicola ottica così invaginata risulta

costituita inizialmente da due strati, interno ed esterno, dapprima separati da uno spazio che

tenderà a ridursi progressivamente nel corso dello sviluppo oculare (McGeady et al., 2017). Le

estremità della fovea lentis si avvicinano in conseguenza del suo graduale sviluppo; il processo

esita nella chiusura della fossetta lenticolare e successivo completamento della formazione

della vescicola del cristallino che, nel 25° giorno di gestazione, si dissocerà totalmente

dall’ectoderma di superficie (Cook, 2007). Durante questa fase del processo evolutivo, la

parete della vescicola è costituita da un singolo strato di cellule cuboidi; queste presentano

apice rivolto verso l’interno, mentre le basi esterne aderiscono ad una membrana basale

destinata a circondare la lente di cui costituisce la capsula o cristalloide (Peruccio, 2009). Una

volta completata la chiusura della vescicola lenticolare, le cellule della metà posteriore

iniziano a crescere in senso longitudinale verso il loro polo anteriore, formando le cosiddette

fibre primarie del cristallino. Queste, proseguendo lo sviluppo, colmano progressivamente il

lume della vescicola costituendo nell’insieme una sfera compatta: il nucleo embrionario

(Peruccio, 1987; Cook, 2007). La progressiva organizzazione delle fibre primarie, esita nella

scomparsa dell’epitelio posteriore della vescicola, del quale permane soltanto una capsula

posteriore estremamente sottile (Peruccio, 1987). Alla formazione delle fibre primarie segue

quella delle fibre secondarie, che diversamente dalle prime continuano a svilupparsi durante

tutta la vita (Peruccio, 1987; Gelatt, 1999). A produrre le fibre secondarie sono infatti gli

elementi cellulari epiteliali disposti sotto la capsula anteriore del cristallino, i quali si

moltiplicano incessantemente per mitosi. L’attiva moltiplicazione cellulare, spinge

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progressivamente le cellule meno recenti verso l’equatore, il punto di maggiore diametro

circonferenziale della lente. Pertanto, a questo livello, le cellule si allungano disponendosi in

maniera ordinata e formano le fibre secondarie, le cui estremità anteriore e posteriore si

svilupperanno nelle rispettive direzioni (Turner & Bouhanna, 2010). Conseguentemente, le

fibre secondarie intersecano le primarie sia anteriormente che posteriormente e dal loro

intreccio originano le linee di sutura principali: anteriore a forma di Y dritta e posteriore a

forma di Y rovesciata (Grainer et al., 1992; Cook, 1995; Cook, 2007), quest’ultima spesso la più

evidente delle due (Turner & Bouhanna, 2010). Occasionalmente, grazie a un esame

oftalmologico scrupoloso è possibile mettere in evidenza le linee di sutura del cristallino e la

loro evidenziazione è un reperto del tutto normale; in alcuni casi però possono anche essere

sede di cataratta (Peruccio, 1987). A questo punto dello sviluppo embrionale, la componente

cellulare del cristallino resta confinata alla sola zona sottocapsulare anteriore e il resto è

pertanto costituito dalle fibre. Il loro progressivo accumulo nel centro della lente, esita nella

formazione di zone a densità differente e organizzate in maniera concentrica intorno al nucleo

embrionario: si formano così i nuclei fetale, adulto e la corteccia, la quale subirà un progressivo

ispessimento fisiologico nel corso dei processi di invecchiamento della lente (Peruccio, 2009).

1.1.2 Sistema vascolare embrionario Lo sviluppo della lente è strettamente correlato con quello del vitreo, il quale nel feto risulta

invaso da una fitta rete vascolare, di pertinenza dell’arteria ialoidea, che circonda

posteriormente la lente. Un ulteriore apporto ematico viene in seguito fornito dalla tunica

vasculosa lentis (TVL), ovvero la struttura vascolare della membrana pupillare, che nel cane si

sviluppa in camera anteriore dal 25°-30° giorno di gestazione (Peruccio, 2009).

A partire dal 45° giorno, i vasi presenti nel vitreo si atrofizzano rapidamente, mentre la TVL

persiste fino alle 2-4 settimane successive alla nascita (Boeve et al., 1988; Bayón et al., 2001).

Quando il processo involutivo non si completa, è possibile riscontrare i residui delle strutture

vascolari collocati dietro al polo posteriore della lente (PHA o Persistent Hyaloid Artery), o

davanti al polo anteriore (PHTVL o Persistent Hyperplastic Tunica Vasculosa Lentis), o ancora

residui della membrana pupillare (PPM o Persistent Pupillary Membrane), osservando quadri

clinici variabili per aspetto e prognosi visiva, in funzione della presenza o meno delle relative

opacità capsulari/sottocapsulari residue congenite, conseguenti al contatto con queste

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strutture (Cook, 2007; Peruccio, 2009). Nello specifico, l’iperplasia o la mancata regressione

del sistema vascolare della lente può essere dovuta a due meccanismi: una disarmonica

interazione tra fattori di crescita e fattori inibitori della crescita a livello oculare, o a causa di

uno sviluppo anomalo del sistema vascolare, che ne impedisce pertanto la regressione

completa (Bayòn et al., 2001).

Terminato infine il suo sviluppo, la lente risulta costituita da differenti componenti:

- nuclei embrionario e fetale con progressivo sviluppo del nucleo adulto;

- corteccia in continua espansione;

- monostrato di cellule epiteliali sotto la capsula anteriore;

- capsula anteriore con spessore di 50 micron (cane);

- capsula posteriore di 3-5 micron (cane) (Peruccio, 2009).

1.2 Anatomia del cristallino

Il cristallino è una struttura biconvessa, trasparente e non vascolarizzata, che si colloca tra

l’iride anteriormente e il corpo vitreo al suo confine posteriore. Nel cane presenta un diametro

equatoriale di 10 mm, uno spessore pari a 7 mm, e un volume totale di circa 0,5 ml (Gelatt,

1999; Mitchell, 2013); il rapporto cristallino-globo oculare varia tra 1:8 e 1:10 (Gelatt, 1999).

Da un punto di vista strutturale, nel cristallino si distinguono dall’esterno verso l’interno:

- la capsula, la cui sezione anteriore poggia sull’epitelio subcapsulare;

- la corteccia in continua espansione;

- il nucleo, derivante dal progressivo sviluppo dei nuclei embrionario e fetale (Peruccio, 1987).

La capsula, o cristalloide, rappresenta l’involucro esterno della lente. Si tratta di una struttura

acellulare (Mitchell, 2013), con proprietà elastiche, conseguenti alla disposizione delle fibre di

collagene di tipo IV, che rappresenta il suo principale costituente (Gelatt, 1999). A scopo

topografico si distinguono una capsula anteriore (o cristalloide anteriore), prodotta dalle

cellule subcapsulari (Gelatt, 1999; Beteg et al., 2008; Turner & Bouhanna, 2010) e una capsula

posteriore (o cristalloide posteriore) a profilo più convesso. Il suo spessore varia a seconda

della localizzazione: è pari a 8-12 µm all’equatore, 50-70 µm per la porzione anteriore, e solo

2-4 µm per la parte posteriore (Gelatt, 1999).

Dal punto di vista stratigrafico, l'epitelio subcapsulare si interpone tra cristalloide anteriore e

corteccia.

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È formato da un singolo strato di cellule cuboidi, in continua produzione per lo sviluppo della

sola capsula anteriore e di aspetto morfologicamente più oblungo nelle porzioni adiacenti

all’equatore (Peruccio, 2009). L’epitelio subcapsulare assume quindi un ruolo importante nella

regolazione omeostatica, così come nella rigenerazione fibrillare (Turner & Bouhanna, 2010).

La corteccia è l’area intermedia della lente situata tra la capsula e il nucleo ed è costituita dalle

fibre secondarie, frutto della differenziazione dell’epitelio germinativo (Gelatt, 1999). A

questo livello, le fibre, così come nel nucleo, si organizzano in maniera concentrica ed è

proprio questa regolare architettura che contribuisce in modo significativo alla trasparenza

del cristallino (Turner & Bouhanna, 2010). Nello specifico, le fibre presentano una membrana

cellulare costituita da glicoproteine, glicolipidi, fosfolipidi, mucopolisaccaridi acidi e proteine

con gruppi sulfidrilici (Peruccio, 1987). Le fibre assumono una forma esagonale e ognuna di

essa è strettamente legata ad altre sei fibre, di cui due della generazione precedente, due della

stessa generazione e due della proliferazione successiva. Il legame si realizza tramite le

giunzioni “ball-and-socket”, disposte lungo i loro perimetri, implicate nel passaggio di piccole

quantità di soluti, e numerose gap-junctions (Gelatt, 1999). Ogni fibra non circonda l’intera

area del cristallino, ma dopo maturazione completa, si unisce con semplici giunzioni ai due

poli alle tipiche linee di sutura a Y e Y rovesciata (Gelatt, 1999). Queste ultime sono differenti

per specie (Gelatt, 1999; Kuszak, 2004) e sono soggette a modificazioni strutturali con

l’avanzamento dell’età (Gelatt, 1999). Le fibre dell’area corticale interna sono più compresse,

di aspetto rugoso per irregolarità di superficie e il numero di giunzioni è molto ridotto (Gelatt,

1999). Tra una fibra e l’altra sono presenti dei piccoli spazi, che nel loro insieme costituiscono

solo il 5% del volume totale della lente (Peruccio, 1987).

Il nucleo costituisce la porzione più interna del cristallino e può essere distinto in nucleo

embrionario, fetale e adulto (Peruccio, 1987). Il nucleo si forma per associazione delle fibre

meno recenti, che si presentano più compresse e con un numero elevato di giunzioni “ball-

and-socket (Gelatt, 1999). La composizione chimica del nucleo lenticolare contiene inoltre una

percentuale di acqua inferiore rispetto a quella della regione corticale (Peruccio, 1987).

Il cristallino confina anteriormente con l’iride, con cui concorre alla delimitazione delle camere

anteriore e posteriore del globo oculare, e col corpo vitreo posteriormente, nel quale vi

alloggia attraverso la fossa patellare del vitreo, e al quale si fissa tramite il legamento ialoideo

(Gelatt, 1999; Turner & Bouhanna, 2010).

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Le zonule di Zinn, rappresentano un altro mezzo di fissazione della lente e la rilegano al corpo

ciliare (Turner & Bouhanna, 2010).

La trasparenza del cristallino è un requisito fondamentale ai fini della funzione visiva. Oltre

che dalla particolare disposizione delle fibre lenticolari, in condizioni fisiologiche la

trasparenza della lente è, inoltre, garantita dalla totale assenza di pigmentazione, dalla

mancanza di una vascolarizzazione propria in età adulta e dalla sua specifica composizione

chimica (Mitchell, 2013).

I due costituenti chimici principali del cristallino sono rappresentati dall’acqua (65%), la cui

concentrazione tende a diminuire con l’età (Gelatt, 1999), e dalle proteine (35%) di cui il 90%

sono cristalline solubili e il 10% cristalloidi insolubili (Gelatt, 1999; Turner & Bouhanna, 2010;

Mitchell, 2013) dette albuminoidi (Peruccio, 1987; Gelatt, 1999). Le prime sono classificate in

quattro gruppi a secondo del loro peso molecolare in α-cristalline pesanti, β-cristalline pesanti,

β-cristalline leggere e γ-cristalline (Gelatt,1999). Il nucleo può contenere il 50% delle proteine

totali, di cui molte sono rappresentate dalle cristalline le quali hanno un alto contenuto di

gruppi tiolici, necessari al mantenimento della trasparenza della lente (Lou, 2003). L’alta

percentuale di proteine fa del cristallino il tessuto dell’organismo più ricco di questi elementi.

L’avanzamento dell’età o l’insorgenza di determinate condizioni patologiche possono tuttavia

modificare questa percentuale (Gelatt, 1999), come nella comparsa della cataratta, dove si

assiste ad un incremento della percentuale proteica insolubile del cristallino, a sfavore della

componente solubile (Gelatt, 1999; Cottrill, 2007).

In aggiunta alle maggiori componenti chimiche strutturali, la lente contiene anche una bassa

quantità di minerali (Cottrill, 2007), e piccole percentuali di amminoacidi, lipidi, acido

ascorbico, elettroliti e glutatione (Peruccio, 1987; Gelatt K, 1999; Lou, 2003). La

concentrazione di quest’ultimo è fondamentale per proteggere le proteine e gli enzimi dai

danni ossidativi da radicali liberi (Lou, 2003).

1.3 Funzione ottica e accomodazione

La luce viene rifratta dai mezzi diottrici oculari prima di raggiungere la retina (Gelatt, 1999). Il

potere di rifrazione di un occhio, cioè di far convergere le radiazioni luminose sul fondo oculare

per consentire la proiezione di immagini messe a fuoco, dipende in massima parte dalla cornea

e dalla lente (Peruccio, 2009).

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Si misura in diottrie e indica la capacità dei mezzi diottrici di deviare la luce che penetra

nell’occhio. Nel cane la cornea ha un potere diottrico tra 37,8D e 43,2D e la lente di 41,5D

(Gelatt, 1999; Peruccio, 2009). L‘assenza di pigmentazione e di vascolarizzazione, il basso

contenuto in acqua e la regolare distribuzione delle fibre partecipano alla trasparenza del

cristallino, requisito essenziale per un suo corretto funzionamento (Mitchell, 2013).

II cristallino consente la messa a fuoco delle immagini sul fondo dell’occhio grazie alle sue

caratteristiche strutturali, al differente raggio di curvatura dei cristalloidi e all’apparato

zonulare di Zinn (o apparato sospensore della lente), un sistema di fibre tese tra il cristallino e

il corpo ciliare (Peruccio, 2009). L’azione muscolare del corpo ciliare provoca una variazione

della forma della lente modificandone le sue proprietà ottiche, fenomeno conosciuto come

accomodazione, ovvero il processo che permette di mantenere a fuoco l’immagine sulla retina

nonostante le variazioni di distanza (Mitchell, 2013). Per una visione da vicino, l’innervazione

parasimpatica determina una contrazione del muscolo ciliare e il conseguente rilassamento

delle fibre di Zinn. Il cristallino assume così una forma più convessa e aumenta il suo potere di

rifrazione. Al contrario per una visione da lontano, il sistema simpatico induce il rilassamento

del muscolo ciliare con stiramento sulle fibre zonulari; di conseguenza la capsula risulta tesa e

la lente assume una forma discoidale con diminuzione della sua convessità e quindi del suo

potere di rifrazione (Gelatt, 1999).

Con l’avanzare dell’età, le fibre diventano più compatte e disidratate, e la capacità di

accomodazione del cristallino diminuisce (Peruccio, 1987). Tuttavia, nel cane la capacità di

accomodazione è alquanto limitata, se paragonata a quella dell’uomo (Peruccio, 1987;

Mitchell, 2013).

1.4 Il metabolismo del cristallino

I processi metabolici della lente sono piuttosto limitati se correlati a quelli degli altri tessuti

dell’organismo, perciò anche la sua richiesta energetica risulta meno elevata (Peruccio, 1987).

Le regioni del cristallino metabolicamente più attive sono l’equatore (Beteg et al., 2008) e

l’epitelio subcapsulare anteriore (Peruccio, 1987; Gelatt, 1999). Nello specifico l’epitelio

subcapsulare rappresenta il sito di maggiore produzione energetica, utilizzata per il trasporto

di ioni inorganici, amminoacidi, e per la sintesi proteica (Gelatt, 1999). Per mantenere la

trasparenza e l’indice di rifrazione della lente sono necessari: un basso contenuto di acqua e

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un alto contenuto di proteine. L’acqua diffonde passivamente e deve essere espulsa in

maniera costante. A mantenere questo stato di disidratazione è una pompa attiva-ATP-

dipendente. Questa pompa permette l’ingresso di ioni potassio e di amminoacidi, utili alla

sintesi proteica, e l’espulsione di acqua, ioni sodio e cloruri (Gelatt, 1999; Peruccio, 1987).

Data la totale assenza di vasi, l’apporto nutritivo alla lente e la rimozione dei metaboliti

avviene tramite l’umor acqueo e l’umor vitreo (Peruccio, 1987; Turner & Bouhanna, 2010;

Mitchell, 2013). In particolare è il glucosio a fornire l’energia chimica indispensabile (Peruccio,

1987), e il prodotto finale del suo metabolismo è l’acido lattico (Gelatt, 1999). L’ossigeno non

è infatti necessario per il normale funzionamento della lente (Gelatt, 1999); pertanto la via

metabolica più rappresentativa è la glicolisi anaerobica (Gelatt, 1999; Turner & Bouhanna,),

seguita dalla via dei pentosi fosfati, del sorbitolo e dal ciclo di Krebs (Gelatt, 1999).

La glicolisi è controllata dall’enzima esochinasi e dalla velocità di ingresso del glucosio nel

cristallino. Se la concentrazione di glucosio è superiore a 175 mg/dl, il livello di glucosio-6-

fosfato aumenta e inibisce l’attività del enzima esochinasi. Tale processo permette di limitare

l’accumulo di acido lattico e quindi il conseguente abbassamento del pH (Gelatt, 1999).

Infine, l’eccesso di glucosio viene trasformato in sorbitolo e fruttosio, entrambi

osmoticamente molto attivi. Di conseguenza, un’elevata concentrazione di glucosio comporta

la saturazione dei sistemi enzimatici e provoca un rapido accumulo di acqua nella lente con

modificazione delle sue caratteristiche strutturali e funzionali (Peruccio, 1987), come

dimostrato nell’insorgenza della cataratta diabetica (Nartey, 2017).

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CAPITOLO 2: LA CATARATTA

2.1 Fisiopatologia della cataratta

Nel corso della vita, la lente subisce alcune modificazioni conformazionali per effetto di due

principali processi evolutivi, ovvero l’aumento di dimensione, per la continua formazione delle

fibre secondarie e la disidratazione delle fibre centrali, più vecchie, che si addensano e

appaiono “sclerosate” (Peruccio, 2009). Data la crescita continua delle fibre lenticolari, la zona

centrale del cristallino diventa progressivamente biancastra, senza però determinare una vera

e propria opacità. Questo fenomeno è detto nucleosclerosi, e in sede diagnostica deve essere

correttamente differenziato dalla cataratta (Cottrill, 2007; Mitchell, 2013). Per cataratta si

intende qualsiasi opacità della lente, sia essa localizzata o diffusa, stazionaria o progressiva,

compatibile o meno con la funzione visiva (Peruccio, 2009). Si manifesta nel paziente con

l’organizzazione di un’area biancastra, opaca, più o meno estesa, che, contrariamente alla

nucleosclerosi, rende difficoltosa all’operatore la visualizzazione del fondo oculare (Cottrill,

2007; Mitchell, 2013). La cataratta è una patologia della lente a carattere multifattoriale che

compare in conseguenza di alterazioni nel metabolismo energetico e proteico, o per

modificazioni dell’equilibrio osmotico della lente e nel paziente può essere causa frequente di

differenti gradi di cecità (Thayananuphat, 2015; Nartey, 2017). I principali fattori che

concorrono alla sua insorgenza sono rappresentati da alterazioni a carico del contenuto in

proteine, turbe funzionali delle pompe ioniche (con conseguente modificazione della

concentrazione ionica) e l’inefficienza dell’attività dei sistemi antiossidanti (Gelatt, 1999). La

cataratta è frequentemente associata a un aumento della quota proteica insolubile a scapito

della frazione solubile e a una riduzione dell’attività della pompa Na+-K+-ATP-dipendente. Il

ridotto funzionamento della pompa determina un abbassamento della concentrazione in ioni

potassio K+ e un aumento della quantità di ioni sodio Na+ all’interno del cristallino. L’aumento

del sodio crea, per effetto osmotico, l’ingresso di acqua all’interno della lente con

conseguente idratazione delle fibre lenticolari, determinando pertanto la rottura delle loro

membrane (Gelatt, 1999). Nella cataratta matura, gli enzimi idrolitici e proteolitici aumentano

e la degradazione delle proteine in amminoacidi e polipeptidi determina una loro diffusione

nell’umor acqueo, innescando un processo infiammatorio a carico dell’uvea (Gelatt, 1999).

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Pertanto, i pazienti affetti da cataratta in stadio avanzato presentano molto spesso uveite

associata che, se trascurata, aggrava a sua volta la condizione clinica dell’occhio per

l’instaurarsi di sinechie e di glaucoma secondario; nei casi più gravi, la perdita della funzione

visiva può risultare irreversibile (Thayananuphat, 2015). Lo stato di trasparenza della lente è

legato al suo metabolismo mediante processi di ossido-riduzione e qualsiasi alterazione a

carico dei suoi costituenti può pertanto determinarne un’opacizzazione (Lou, 2003).

L’ossigeno è una molecola altamente reattiva che può formare derivati dannosi come l'anione

superossido (O2-), il perossido d'idrogeno (H2O2) e il radicale ossidrilico (OH-) (Williams, 2006).

Questi radicali liberi possono essere generati da fattori esogeni come i raggi UV, le radiazioni

ionizzanti, le tossine ambientali o le citochine infiammatorie, oppure da sistemi enzimatici

della lente stessa come la NADPH-ossidasi (Lou, 2003). In difesa, nelle cellule esistono dei

sistemi antiossidanti, fra questi i sistemi non enzimatici (come il glutatione, l’acido ascorbico,

la vitamina E, e i carotenoidi), e i sistemi enzimatici (come la supersossido dismutasi, la

glutatione perossidasi e le catalasi). (Lou, 2003). Il glutatione viene sintetizzato all’interno del

cristallino. È costituito dagli amminoacidi glicina, cisteina e acido glutammico (Peruccio 1987;

Gelatt, 1999) ed è presente prevalentemente nella sua forma ridotta. Il rapporto tra forma

ridotta e quella ossidata deve essere bilanciato a favore della prima, poiché un aumento della

forma ossidata o la riduzione della forma ridotta determina l’ossidazione delle proteine.

(Peruccio, 1987). È stato dimostrato che la concentrazione del glutatione ridotto, nei cristallini

affetti da cataratta, risulta inferiore rispetto ai livelli normali (Gelatt et al.,1982; Peruccio,

1987). Nel corso dei processi di invecchiamento della lente, risulta compromessa la sintesi del

glutatione, la cui concentrazione a livello del nucleo diminuisce (Nartey, 2017) e i sistemi anti-

ossidanti diventano di conseguenza meno efficienti (Lou, 2003). Si verifica, quindi, uno

squilibrio tra la produzione di intermedi dell’ossigeno e la capacità del sistema biologico di

contrastarli o di riparare i danni che ne derivano (Nartey, 2017). Questo può dare luogo a gravi

lesioni alle varie componenti cellulari e modificazione della componente proteica, causando

l’insorgenza della cataratta. L’età è quindi un fattore predisponente la comparsa della

cataratta, poiché risulta correlata alla ridotta funzionalità dei sistemi anti-ossidanti e a un

decremento dei processi metabolici con una resa energetica bassa. Inoltre, il metabolismo del

glucosio diviene nel tempo prevalentemente aerobico, ostacolando il trasporto ionico di

membrana e la sintesi proteica (Nartey, 2017).

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2.2 Diagnosi di cataratta

Per una corretta diagnosi di cataratta occorre definire la localizzazione, la tendenza

all’estensione, lo stadio evolutivo, l’eziologia e il periodo di insorgenza nel quale si manifesta

clinicamente nella vita dell’animale (Peruccio, 2009). Dopo l’acquisizione dei dati anamnestici

del paziente, viene effettuato un esame oftalmologico completo, eventualmente arricchito

dall’esecuzione di ulteriori esami complementari (Turner & Bouhanna, 2010). Durante la visita

oftalmologica si procede alla valutazione della risposta del paziente alla stimolazione della

reazione alla minaccia, che nei cani affetti da cataratta può essere presente, dubbia o

addirittura assente, in relazione all’estensione e al grado di maturazione della cataratta e

quindi della funzione visiva del paziente (Mitchell, 2013; Mancuso, 2016). Si procede poi con

la valutazione del riflesso fotomotore o pupillare (Pupillary Light Reflex o PLR) diretto e

consensuale dei due occhi (Peruccio, 1987). Il PLR viene valutato tenendo presente che, in

caso di cataratta avanzata, un animale non vedente è comunque in grado di rilevare la

presenza della luce, risultando positivo alla stimolazione del riflesso (Peruccio, 1987). La

cataratta da sola quindi, non determina un’alterazione del PLR, poiché tale riflesso non è

indicativo della funzionalità visiva del paziente. Tuttavia, quando il PLR risulta assente o

diminuito, oltre l’atrofia iridea, lesioni ai nervi (ottico e oculomotore) e alle vie ottiche è

necessario prendere in considerazione possibili fenomeni degenerativi a carico alla retina,

eventualmente correlate alla presenza della cataratta (Mancuso, 2016). La stima della

pressione intraoculare (Intraocular Pressure o IOP) del paziente è una procedura utile ai fini

della diagnosi di eventuali complicazioni intraoculari. Nel cane la IOP è compresa all’interno di

intervalli compresi tra 10 e 25 mmHg, e valori superiore al range fisiologico sono

rappresentativi di glaucoma (Turner & Bouhanna, 2010). Se la IOP assume, invece, un valore

inferiore a 15mmHg, questo può essere indicativo della presenza di un’uveite, frequente in

corso di cataratta, e clinicamente osservabile nel paziente con iperemia congiuntivale, miosi

dell’occhio affetto, e una colorazione alterata dell’iride (Mitchell, 2013; Mancuso, 2016). Per

la valutazione completa del cristallino può essere necessario indurre la midriasi nel paziente.

In alcuni casi, invece, come in soggetti particolarmente paurosi o sotto forte stress, affetti da

alterazioni iridee congenite (iridodisgenesi), acquisite (atrofia), o con gravi lesioni retiniche, la

pupilla risulta già dilatata a luce ambientale e non responsiva alla stimolazione luminosa

(Peruccio, 1987; Peruccio, 2009). La midriasi viene farmacologicamente indotta dopo un

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esame del settore anteriore dettagliato che attesti l’assenza di complicazioni secondarie

legate alla cataratta, come ad esempio il glaucoma, o che scongiuri il rischio di possibili

instabilità della lente, e quindi una sua possibile lussazione. Per la midriasi viene istillato un

collirio midriatico a breve durata d’azione (tropicamide 1%) (Peruccio, 2009; Mitchell, 2013;

Clode, 2016). Questa procedura diagnostica permette di osservare il cristallino in tutta la sua

estensione, compresa la zona equatoriale (Clode, 2016). Gli strumenti oftalmici indispensabili

al fine di una diagnosi precisa sono rappresentati dalla lampada a fessura, il transilluminatore

di Finoff, e l’oftalmoscopio diretto o indiretto (Peruccio, 1987). La lampada a fessura deve

essere utilizzata con un ingrandimento di almeno 10X o superiore (16 – 20X) (Peruccio, 2009).

Questa consente di rilevare in modo accurato qualsiasi alterazione a carico della cornea, del

settore anteriore dell’occhio e permette di discriminare eventuali opacità patologiche del

cristallino dai normali processi di invecchiamento (Kecova, 2004). Relativamente al cristallino,

la lampada a fessura consente di valutare l’intensità, la localizzazione e l’estensione

dell’opacità, oltre alle caratteristiche strutturali della capsula, l’eventuale presenza di

oscillamenti con facodonesi, iridodonesi, o di crescente afcahico (Ollivier et al., 2007). Il

transilluminatore di Finoff è una fonte di luce focalizzata che permette di provocare il PLR, di

riscontrare eventuali opacità del cristallino e visualizzare l’intensità del riflesso tappetale

(Peruccio, 1987). L’oftalmoscopio diretto si rivela molto utile per la localizzazione delle

cataratte, sia nelle fasi avanzate, che negli stadi iniziali del suo sviluppo. Nell’apparecchio sono

contenute diverse lenti (positive o convergenti e lenti negative o divergenti) da interporre

all’asse di osservazione per modificare la profondità del fuoco nell’occhio e correggere i difetti

refrattivi, agevolando in questo modo l’esplorazione precisa del cristallino, sebbene lo

strumento sia finalizzato primariamente all’esplorazione del fondo oculare (Turner &

Bouhanna, 2010; Mitchell, 2013). L’oftalmoscopia indiretta, consente di ottenere una visione

più globale del fondo oculare. Per questo esame sono necessari delle lenti convergenti e quella

più frequentemente utilizzata è di 20D (Turner & Bouhanna, 2010). Un esame dettagliato del

fondo oculare in corso di cataratta permette di valutare inoltre la presenza di alterazioni

associate, fra cui ad esempio un’atrofia retinica progressiva (Progressive Retinal Atrophy o

PRA) (Kecova, 2004). Nei casi in cui si sospetta una cataratta secondaria associata a patologie

retiniche e l’opacità marcata della lente renda impossibile la valutazione dello stato clinico

della retina, può risultare necessario effettuare esami specialistici complementari, come

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l’elettroretinografia (ERG) o l’ecografia oculare, che permettono, a fini prognostici, di poter

valutare anche la funzionalità retinica, in previsione di un possibile trattamento chirurgico

(Kecova, 2004; Martin, 2010; Mitchell, 2013; Mancuso, 2016). Vari studi clinici e sperimentali

hanno dimostrato che l'ERG è un metodo di valutazione efficace e obiettivo per la valutazione

della funzionalità retinica. Questo metodo è pertanto stato utilizzato per molti anni in

medicina veterinaria principalmente per la diagnosi delle distrofie retiniche e per la

valutazione preoperatoria della retina in previsione della chirurgia per cataratta (Narfström,

2002). All’esame ecografico possono essere visualizzati eventuali alterazioni del cristallino

associate alla cataratta, quali rotture o spostamenti della lente dalla sede naturale

(lussazione/sublussazione), degenerazione a carico del vitreo, persistenza dell’arteria ialoidea,

o distacchi di retina (Mitchell, 2013). Esami specialistici come l'ERG o l’ecografia oculare sono

particolarmente utili a scopo prognostico, poiché in corso di cataratta consentono di poter

valutare lo stato clinico della retinica e di accertare quindi un possibile recupero della visione

nel paziente. Se la funzionalità retinica è infatti compromessa, la terapia chirurgia per la

cataratta non sarà pertanto risolutiva ai fini del recupero della funzione visiva (Mitchell, 2013).

2.2.1 Diagnosi differenziale con la nucleosclerosi La continua crescita delle fibre lenticolari determina un progressivo consolidamento delle aree

centrali del cristallino. A questo livello, le fibre risultano sempre più compresse e le loro

connessioni alterate, ostacolando conseguentemente gli scambi metabolici e aumentando

progressivamente la densità del nucleo lenticolare (Gelatt, 1999). Questo fenomeno è

conosciuto come nucleosclerosi e rappresenta un processo fisiologico, legato al progressivo

invecchiamento della lente. Compare nel cane all’età di circa 6-7 anni quando il nucleo

lenticolare diviene ampio, denso e rigido (Peruccio, 2009). Clinicamente si manifesta con la

formazione di un’area centrale biancastra, che tuttavia non altera la visione del paziente e

generalmente non ostacola la visualizzazione del fondo oculare in corso di esame

oftalmologico (Gelatt, 1999; Cottrill, 2007, Mitchell, 2013), ad eccezione di casi molto avanzati

(Gelatt, 1999; Cottrill, 2007). Cataratta e nucleosclerosi vengono a volte confuse, ma le due

condizioni risultano tra loro alquanto diverse, sia talora per cause d’insorgenza, che per le

ripercussioni cliniche sul paziente. Ai fini di un trattamento adeguato infatti, è di fondamentale

importanza formulare una diagnosi corretta. Per mettere in risalto le opacità del cristallino è

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necessario effettuare un esame oftalmologico in camera oscurata. Grazie all’esame

biomicroscopico con lampada a fessura (biomicroscopia oculare) è possibile apprezzare le

immagini di Purkinje, ovvero le 3 proiezioni lineari della sorgente luminosa sovrapposte al foro

pupillare, riflesse sui mezzi diottrici oculari: la superficie corneale, il cristalloide anteriore e il

cristalloide posteriore. Ogni mancanza, interruzione o offuscamento delle ultime due

immagini del Purkinje rispecchia alterazioni patologiche della trasparenza del cristallino,

indicative di cataratta, mentre risulteranno positive in presenza di nucleosclerosi (Peruccio,

1987; Gelatt, 1999). L’oftalmoscopio diretto consente di differenziare la cataratta dalla

nucleosclerosi, esaminando complessivamente la lente dopo aver selezionato all’interno

dell’apparecchio lenti positive convergenti (+8 / + 12). Spesso è possibile inserire un limitatore

a fessura sul decorso del fascio luminoso (Peruccio, 1987). L’esame oftalmoscopico diretto

permette di differenziare indirettamente una cataratta da una nucleosclerosi, anche

attraverso la visualizzazione del fondo oculare (Turner & Bouhanna, 2010, Mitchell, 2013).

L’illuminazione diretta dell’occhio consente di mettere in evidenza il riflesso tappetale, per

rilevare eventuali ostacoli alla visualizzazione del fondo oculare, correlate ad eventuali

opacizzazioni della lente. In caso di cataratta, più o meno estesa, non sarà possibile esaminare

in toto il fondo oculare e la notevole riduzione o l’assenza del riflesso tappetale saranno la

diretta conseguenza dell’ostacolo al passaggio di luce, dovuto alla perdita di trasparenza del

cristallino (Peruccio, 1987: Gelatt, 1999; Mitchell, 2013). Con la nucleosclerosi, invece, il

riflesso tappetale è mantenuto, sufficientemente visibile all’operatore e l’osservazione della

lente mette in risalto un opacamento centrale che tuttavia mantiene una netta linea di

demarcazione tra corteccia e nucleo lenticolare (Clode, 2016).

2.3 Classificazione della cataratta

Tramite un’accurata osservazione della lente, utilizzando gli strumenti diagnostici

precedentemente descritti, è possibile classificare i diversi tipi di cataratta in riferimento alla

modalità o al periodo di insorgenza, all’estensione, alla localizzazione, allo stadio di sviluppo e

all’eziologia (Peruccio, 1987).

In base al periodo d’insorgenza la cataratta si classifica in congenita, su base ereditaria o

secondarie all’azione di un agente tossico/teratogeno durante lo sviluppo embrionale del

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cristallino, giovanile quando avviene ad un’età inferiore agli 8 anni, e senile quando compare

ad un’età superiore agli 8 anni (Gelatt, 1999; Peruccio, 2009).

L’evoluzione della cataratta può essere stazionaria o progressiva e la consistenza della lente

può essere fluida, molle o dura (Peruccio, 1987).

Relativamente alla localizzazione nelle varie componenti del cristallino, la cataratta si classifica

come:

▪ subcapsulare: adiacente alla capsula anteriore o posteriore, senza il coinvolgimento della

corteccia; frequentemente a carattere ereditario e a progressione variabile (Mancuso &

Hendrix, 2016);

▪ corticale: insorge con la presenza di opacità multiple disposte radialmente nella

corteccia, e che tendono a confluire progressivamente, per formare nelle fasi più

avanzate delle zone di opacità cuneiformi e confluenti verso il centro (Peruccio, 2009);

▪ equatoriale: in prossimità delle fibre zonulari, alla periferia del cristallino; generalmente

progressiva, data la crescita attiva della lente a livello equatoriale (Mancuso & Hendrix,

2016);

▪ nucleare: raramente progressiva e di origine primaria o secondaria (Mancuso & Hendrix,

2016).

▪ Infine, la cataratta è possibile riscontrarla anche in corrispondenza delle linee di sutura

(Peruccio, 1987).

La localizzazione della cataratta, così come la sua fase evolutiva, è utile per formulare una

prognosi riguardo la funzione visiva del soggetto (Peruccio, 1987). Una cataratta equatoriale

o capsulare fuori dall’asse ottico è compatibile con una funzione visiva inalterata. Quelle

nucleari sono, invece, caratterizzate da miglioramento funzionale con luce attenuata e netto

peggioramento della visione con luce intensa, in rapporto al diametro del foro pupillare,

mentre le cataratte corticali comportano deficit visivi variabili in rapporto alla loro densità ed

estensione e devono essere valutate con riferimento alla fase evolutiva raggiunta (Peruccio,

2009).

A seconda dello stadio evolutivo, la cataratta viene distinta in cinque stadi (Gould, 2002;

Martin, 2010):

• incipiente: è lo stadio più precoce della patologia. L’opacità risulta inferiore al 10%

(Gelatt,1999; Gould, 2002; Martin, 2010) o 15% del volume della lente (Gelatt, 1999;

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Mancuso & Hendrix, 2016). Spesso è una cataratta corticale, subcapsulare o delle linee

di suture, e può essere progressiva o meno a secondo dell’eziologia (Gelatt, 1999).

All’esame oftalmoscopico il fondo oculare è poco oscurato e ancora visibile

all’operatore (Gould, 2002; Martin, 2010; Mancuso & Hendrix, 2016).

• immatura: è quella cataratta che si estende dal 15% al 99% del volume della lente

(Mancuso & Hendrix, 2016). Spesso, la cataratta immatura è osmoticamente attiva, il

che induce una imbibizione delle fibre della lente, con la formazione di fessurazioni e

successiva rottura delle fibre lenticolari, specialmente a livello delle linee di sutura, con

conseguente aumento delle dimensioni della lente stessa (Gelatt,1999). Il fondo

oculare è più o meno osservabile in funzione del grado di opacamento (Gould, 2002;

Martin, 2010; Mancuso & Hendrix, 2016). Con una cataratta immatura l’animale può

essere affetto da gradi variabili di cecità, a seconda del grado di opacamento della

lente, del diametro pupillare, dell’intensità e dell’incidenza della luce ambientale

(Peruccio, 2009; Mancuso & Hendrix, 2016).

• matura: la lente è completamente opaca (100% del volume della lente, senza

riassorbimento), e il fondo oculare non valutabile (Gelatt, 1999; Mancuso & Hendrix,

2016). L’animale è del tutto cieco e urta costantemente gli ostacoli anche se,

nell’ambiente domestico in cui vive, può seguire le piste olfattive e memorizzare altri

riferimenti (Peruccio, 2009). Se la retina è funzionante il riflesso all’abbagliamento e il

PLR saranno comunque mantenuti (Mancuso & Hendrix, 2016).

• ipermatura: è la cataratta in stadio particolarmente avanzato. In questa condizione è

di frequente riscontro la presenza di uveite facolitica, dovuta all’attivazione di enzimi

proteolitici che provocano la degradazione e la successiva rottura delle fibre lenticolari.

Il passaggio in camera anteriore delle componenti fibrillari del cristallino, innescano a

loro volta un’imponente reazione infiammatoria autoimmune (Gelatt, 1999; Gould,

2002; Martin, 2010).

• morgagnana: o cataratta di Morgagni, si ha quando nella fase avanzata della patologia,

la perdita della componente proteica ad opera degli enzimi litici comporta una

riduzione volumetrica della lente, e il cristalloide anteriore si raggrinzisce

progressivamente, mostrando la formazione di placche biancastre (Gelatt,1999;

Mancuso & Hendrix, 2016). Successivamente la cataratta viene a poco a poco

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riassorbita (Gelatt, 1999; Mancuso & Hendrix, 2016), il riflesso tappetale può risultare

in parte nuovamente visibile e la camera anteriore appare più profonda.

La cataratta di Morgagni rappresenta quindi l’ultimo stadio del processo patologico. In

questa fase, la corteccia mostra una consistenza ormai molle, a causa della

liquefazione delle fibre (Gelatt, 1999). Conseguentemente, per gravità il nucleo

assume una posizione ventrale, non più sostenuto dalla corteccia, e la visione nel

paziente può in alcuni casi essere riacquisita (Peruccio, 2009; Mancuso & Hendrix,

2016). A questo stadio della patologia aumentano tuttavia le percentuali di rischio di

distacco di retina, di degenerazione del vitreo, e la probabilità di

sublussazione/lussazione della lente risulta maggiore (Gelatt, 1999).

Infine, è possibile classificare la cataratta secondo la sua eziologia in cataratta primaria e

cataratta secondaria. La prima si sviluppa su base genetica mentre la seconda si verifica in

seguito a un insulto esogeno o una patologia sistemica o oculare (Mancuso & Hendrix, 2016).

Per l’approfondimento della cataratta in base all’eziologia si rimanda al capitolo 3.

2.4 Conseguenze della cataratta L’insorgenza di uveite associata a danni a carico della lente è piuttosto frequente in varie

specie animali, compreso il cane. Si tratta di una risposta infiammatoria a carico dell’uvea,

scaturita dall’esposizione delle componenti interne del cristallino. La lente è un organo isolato,

sprovvisto di vasi sanguigni e che si sviluppa separatamente dalle altre strutture embrionali.

Le sue componenti proteiche sono da un punto di vista immunologico organo-specifiche e non

specie-specifiche e durante lo sviluppo embrionale la capsula funge da barriera, impedendone

il contatto coi sistemi reticolo-endoteliali e circolatorio pre-natale. Queste risultano pertanto

attaccabili dal sistema immunitario stesso in caso di una loro esposizione esterna, innescando

nel soggetto una reazione infiammatoria autoimmune più o meno grave, con la formazione di

anticorpi diretti contro la lente (Gelatt, 1999). In medicina veterinaria possono essere distinte

l’uveite facoclastica e quella facolitica (Van Der Woerdt, 2000). L’uveite facoclastica avviene

in caso di rottura spontanea o traumatica della lente. L’uveite facolitica, invece, consegue

all’azione degli enzimi proteolitici che degradano le proteine fibrillari della lente; si tratta di

un’uveite linfo-plasmacellulare e istologicamente si rilevano numerosi linfociti e plasmacellule

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all’interno dello stroma dell’uvea. Il Barboncino nano e il Cocker Spaniel Americano sono tra

le razze maggiormente colpite dall’uveite facolitica, a dimostrazione dell’alta prevalenza di

cataratta riscontrata in queste razze. Questo tipo di uveite è frequentemente associata a

cataratta ipermatura (Gelatt, 1970; Gelatt, 1975; Fischer 1983; Van Der Woendt et al., 1992)

e alle cataratte a insorgenza rapida come quella diabetica (Pumphrey, 2015). In alcuni casi,

tuttavia, l’uveite facolitica può essere correlata anche a cataratte mature e immature (Van Der

Woerdt, 2000). I segni clinici di uveite sono rappresentati da miosi, iperemia congiuntivale e

intorbidimento dell’umor acqueo. Le possibili complicazioni associate all’uveite in corso di

cronicizzazione variano dalla tisi del globo oculare al buftalmo secondario a glaucoma (Van

Der Woerdt, 2000). Quest’ultimo è molto comune e nel cane rappresenta circa il 45% dei

glaucomi secondari (Johnsen, 2006). In corso di uveite, infatti, l’accumulo di fibrina può dare

origine alla formazione di sinechie anteriori (fra iride e cornea) o posteriori (fra iride e

cristalloide anteriore). Le sinechie anteriori alterano la normale conformazione dell’angolo

irido-corneale, compromettendo il drenaggio dell’umor acqueo, che si accumula di

conseguenza in camera anteriore. Le sinechie posteriori, invece, occludono il flusso dell’umor

acqueo verso la camera anteriore, e concorrono alla formazione della cosiddetta iride bombé.

Infine l’infiammazione dell’uvea può anche compromettere la stabilità delle zonule di Zinn, e

predisporre quindi il cristallino alla lussazione (Pumphrey, 2015). Data la gravità della

sintomatologia clinica e delle complicazioni associate, risulta di fondamentale importanza

valutare l’eventuale presenza di uveite, anche in previsione del trattamento chirurgico, poiché

ne condiziona significativamente il tasso di successo (Paulsen, 1985; Van Der Woendt et al.,

1992).

2.5 Trattamento della cataratta

La chirurgia è la sola terapia risolutiva per la cataratta (Lim, 2011) e rappresenta una delle

procedure chirurgiche maggiormente praticate in ambito oculistico (Davidson, 1999). In

medicina veterinaria mancano dimostrazioni scientifiche valide a supporto dell’efficacia del

trattamento medico per la cataratta, sebbene siano disponibili in commercio alcuni prodotti

supportati da studi in vitro e sperimentazioni cliniche (Kador, 1983; Bron et al., 1987; Davidson

& Nelms, 2007). La maggior parte dei farmaci sono finalizzati a rallentare l’evoluzione delle

forme iniziali di cataratta. Si tratta di integratori a base di sali inorganici, estratti di prodotti

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naturali, supplementi nutrizionali, antinfiammatori non steroidei e antiossidanti, come

selenio, vitamina E, superossido dismutasi (SOD), N-acetylcarnosina, e zincocitrato (Kador,

1983; Williams & Munday, 2006; Davidson & Nelms, 2007). Per la specie canina in particolare,

la ricerca scientifica supporta lo studio di sistemi inibitori dell’aldoso reduttasi, ai fini dello

sviluppo di un trattamento medico relativo alla cataratta diabetica (Sato et al., 1991).

Nel caso di cataratta focale e stazionaria un monitoraggio periodico può scongiurare il rischio

di complicazioni secondarie legate alla cataratta, come l’uveite, spesso riscontrabile in corso

di cataratte mature o ipermature, che a sua volta necessita un trattamento medico basato

sulla somministrazione di farmaci anti-infiammatori steroidei (corticosteroidi) o non streoidei

(FANS) (Mitchell, 2013).

Oltre che alla prevenzione delle conseguenze legate alla cataratta, la risoluzione chirurgica è

particolarmente indicata per i pazienti affetti da deficit visivi imputabili a gravi opacità del

cristallino e nei quali la valutazione della funzionalità retinica ha riportato un esito positivo. Lo

scopo della chirurgia è quello di rimuovere l’impedimento al passaggio della luce e ripristinare,

se possibile, il potere diottrico naturale della lente mediante l’inserimento di una lente

artificiale (Intraocular Lens o IOL) (Peruccio, 2009).

I diversi tipi di interventi sono classificati in:

- intracapsulare: prevede l’asportazione della lente in toto, comprensiva di capsula. Oggi si

effettua solo nei casi di grave sublussazione o lussazione del cristallino;

- extracapsulare (Extra Capsular Cataract Extraction o ECCE): senza l’ausilio di strumenti che

frammentano il contenuto della lente; comporta l’asportazione di un ampio settore della

capsula anteriore mediante capsuloressi, che consente di estrarre il contenuto della lente

mediante manovre di indentazione;

- extracapsulare o facoemulsificazione: grazie a un particolare strumento (facoemulsificatore)

consente di frammentare la lente mediante l’emissione di ultrasuoni, irrigare l’interno

dell’occhio mantenendone la forma e aspirarne, infine, i frammenti insieme ai liquidi di

lavaggio (Peruccio, 2009). Una corretta terapia preoperatoria aumenta in modo significativo i

margini di successo dell’operazione (Peruccio, 1987). Qualche giorno prima dell’intervento

l’occhio viene medicato con colliri antibiotici, corticostreroidei o a base di FANS (Cook, 2008).

Per l’intervento vengono, invece, somministrati FANS per via sistemica e viene indotto il

paziente in midriasi farmacologica mediante l’istillazione di tropicamide o fenilefrina. Il

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protocollo anestesiologico deve comprendere dei bloccanti neuromuscolari, in quanto

impediscono la rotazione del bulbo oculare e facilitano pertanto la procedura chirurgica

(Dziezyc, 1990; Nasisse and Davidson, 1991). Infine, alla fine della chirurgia, può essere

somministrato carbacolo per indure miosi e ridurre il rischio di glaucoma post-operatorio

(Adkins & Hendrix, 2003). Nel cane, la tecnica chirurgica più frequentemente utilizzata è la

facoemulsificazione (Beteg et al., 2008; Mitchell, 2013). Si tratta di una procedura chirurgica

scarsamente traumatica e ideale per l’inserimento di una lente intraoculare (IOL) di diametro

pari a 14-18 mm nel cane (Peruccio, 2009). Il facoemulsificatore riunisce in sé l’impianto di

infusione-aspirazione, il sistema di capsulotomia, l’elettrocoagulatore bipolare a campo

umido per l’emostasi e il vitrectomo. Questa tecnica molto precisa permette di intervenire

attraverso una breccia operatoria piuttosto ridotta (Peruccio, 2009), inferiore ai 3mm

(Mitchell, 2013). Nel cane l’accesso chirurgico è corneale e una cantotomia laterale può essere

effettuata per aumentare l’esposizione del campo operatorio e limitare una deformazione

eccessiva del globo oculare (Gelatt, 1999). L’incisione corneale consente di scavare un tunnel

all’interno dello stroma corneale, grazie all’ausilio di lame angolate di 30°-45° e con punta

triangolare di 3 mm circa, arrotondata e tagliente per tutta la sua lunghezza, per consentire

l’ingresso all’interno della camera anteriore (Mitchell, 2013). Successivamente si esegue la

capsulotomia. Uno dei metodi più praticati a tal proposito è la capsuloressi che consiste in

un’apertura circolare a carico della capsula, la quale consente di effettuare un’incisione di

piccola dimensione e determinare una buona stabilità dell’IOL (Gelatt, 1999). Viene quindi

introdotto il facoemulsificatore a livello dell’apertura, che frantuma la lente mediante

ultrasuoni (Mitchell, 2013). Durante questa fase della chirurgia, si introducono dei liquidi a

flusso regolato dal chirurgo, i quali mantengono la forma e la pressione interna oculare ai livelli

fisiologici e consentono allo stesso modo di aspirare i frammenti della lente che vengono

quindi drenati all’esterno dalla continua irrigazione (Peruccio, 2009). Per lo scopo, sono state

studiate delle soluzioni saline bilanciate, con un pH compreso tra 7,5 – 8,2. Si tratta di

particolari sistemi tampone addizionati a elettroliti e altri elementi come il glutatione ossidato,

per diminuire il danno intraoculare. Infine, per prevenire la formazione di membrane di fibrina

conseguenti all’infiammazione post-chirurgica e per garantire una midriasi adeguata nel

paziente, molti chirurghi aggiungono ad ogni litro di soluzione 1000 unità di eparina e

fenilefrina in diluizione pari a 1:10.000 (1 ml di fenilefrina concentrata 1:1.000 per ogni litro di

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soluzione). Si deve tenere presente che tali farmaci non devono contenere conservanti

potenzialmente tossici per l’occhio e possono comunque alterare l’equilibrio elettrolitico, il

pH e l’osmolalità della soluzione (McDermott et al., 1988).

I materiali viscoelastici, generalmente formulati a base di condroitina solfato e acido

ialuronico (Cook, 2008), sono sostanze utilizzate nell’intervento di facoemulsificazione per

mantenere la camera anteriore nella sua normale conformazione, dilatare la pupilla,

consentire le adeguate manipolazione sull’iride, proteggere l’endotelio corneale, distendere

il sacco capsulare per l’introduzione della IOL ed evitare, infine, spostamenti del vitreo in

seguito a lacerazioni capsulari posteriori, controllando possibili emorragie e altre

complicazioni intraoperatorie (Glover & Constantinescu, 1997; Wilkie & Willis, 1999). Nel cane

la lente è dotata di un potere diottrico pari a 40 – 41,5D, variabile in funzione della razza e la

sua capacità di accomodazione è stimata da 1 a 3D. In caso di asportazione della lente, l’occhio

diviene eccessivamente ipermetrope, poiché le immagini saranno messe a fuoco su di un

piano posto dietro la retina (Peruccio, 2009; Thayananuphat, 2015). L’inserimento nell’occhio

di una IOL consentirà di sopperire a un difetto di circa 14D conseguente all’afachia, e di

ristabilire quindi nel paziente un potere diottrico paragonabile a quello di una lente naturale

(Kecova, 2004; Cottrill, 2007; Peruccio, 2009; Thayananuphat, 2015). Tuttavia, l’inserimento

della IOL non si effettua in presenza di specifiche controindicazioni, come nel caso di soggetti

di pochi mesi affetti da gravi malformazioni congenite, o in seguito a complicazioni

intraoperatorie, quali la rottura della capsula posteriore con spostamento del vitreo

(Peruccio,2009). Le caratteristiche essenziali di una lente artificiale sono rappresentate da una

densità adeguata, un appropriato indice di rifrazione, biocompatibilità e quindi assenza di

tossicità per i tessuti oculari e una buona stabilità chimica che perduri nel tempo (Kecova,

2004). I materiali utilizzati sono il polimetilmetacrilato (PMMA), l’acrilato (idrofilo e

idrofobico), il silicone e l’idrogel. Il PMMA è un polimero del metilmetacrilato, possiede un

indice di rifrazione di 1,49D ed è ben tollerato a livello tissutale. Il PMMA tuttavia è un

materiale rigido e la sua introduzione richiede l’esecuzione di un’incisione corneale di maggiori

dimensioni (6-8 mm) (Kecova, 2004). Il silicone è un materiale biocompatibile, elastico e con

indice di rifrazione pari a 1,41 – 1,46D. Tuttavia, non va utilizzato nei pazienti a rischio di subire

una chirurgia vitreoretinica, come ad esempio i pazienti diabetici, in quanto verrebbe

danneggiato da tale procedura. Infine, l’idrogel rappresenta un polimero di acrilato e possiede

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un indice di rifrazione di 1,43 – 1,48D (Kecova, 2004). Con l’affermarsi della tecnica

extracapsulare, sempre più eseguita in campo veterinario, si sono diffuse anche lenti a base

di acrilato idrofilico, materiale estremamente biocompatibile, flessibile, che riduce

notevolmente anche l’ampiezza dell’incisione chirurgica corneale (Kecova, 2004). Infine, la

sintesi chirurgica corneale deve garantire la minore reazione locale e il mantenimento della

chiusura della breccia operatoria fino a completa cicatrizzazione (Peruccio, 2009). Spesso

vengono utilizzati fili in poliglactina 9-0, riassorbibili e perfettamente tollerati dall’organismo

(Gelatt, 1999; Lim, 2011).

Nonostante i miglioramenti continui nell’evoluzione delle tecniche chirurgiche, i limiti

all’applicazione del trattamento sono rappresentati dai costi, a volte poco sostenibili da parte

dei proprietari, o da cause intrinseche al paziente. Tra queste si annoverano la presenza di

altre patologie oculari, come la degenerazione progressiva retinica, cheratiti, o eventuali

malattie sistemiche concomitanti, che possono ostacolare la preparazione chirurgica del

paziente stesso e comprometterne una buona guarigione (Lim, 2011).

2.5.1 Gestione post-operatoria

Nel periodo post-operatorio il cane necessita di una rigorosa terapia farmacologica a base di

antibiotici locali e antiinfiammatori steroidei per almeno 3 o 4 settimane. In aggiunta alla

terapia medica, l’applicazione del collare elisabettiano rappresenta una valida misura

precauzionale al fine di evitare possibili autotraumatismi (Cook, 2008). Durante il periodo

post-operatorio, la compliance dei proprietari è indispensabile ai fini del successo terapeutico.

Per questo motivo occorre informarli adeguatamente sulle cure post-chirurgiche del paziente,

oltre che sull’importanza della loro gestione pre-operatoria (Thayananuphat, 2015). Gli

animali iperattivi, estremamente aggressivi, o difficilmente gestibili non sono pertanto

candidati idonei alla terapia chirurgica della cataratta (Kecova, 2004). Generalmente, dopo la

chirurgia, la prognosi per il recupero della funzione visiva è buona; il tasso di successo è

compreso tra 90% (Mitchell, 2013) e 95% (Beteg et al., 2008), e il 99% dei pazienti vedono il

giorno stesso dell’intervento (Cottrill, 2007). È comunque consigliabile operare di cataratta il

paziente il prima possibile, in quanto il successo dell’intervento decresce con la progressione

della patologia (Mitchell,2013). Inoltre, al fine di ottenere risultati positivi a lungo termine,

occorre effettuare controlli postoperatori regolari (Cook, 2008; Mitchell, 2013). Nonostante il

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tasso di successo sia alto, la riuscita dell’intervento non è sempre garantita (Lim, 2011) e in

rari casi è possibile riscontrare l’insorgenza di complicazioni secondarie, quali ad esempio

l’uveite, il glaucoma e l’endoftalmite (Beteg et al., 2008; Cook, 2008).

2.5.2 Prognosi e complicazioni post-operatorie Grazie a un’esperienza professionale consolidata e a un’attrezzatura medica all’avanguardia,

è possibile ottenere ottimi risultati terapeutici a breve termine. Dopo alcuni giorni tuttavia

può insorgere un’opacizzazione dei mezzi diottrici oculari, che in assenza di complicazioni

acquisiscono nuovamente la loro trasparenza nell’arco di trenta giorni circa, ripristinando nel

paziente una buona funzionalità visiva (Peruccio, 1987). Le percentuali di successo della

facoemulsificazione a breve e medio termine sono elevate e variano dal 80% al 95%.

Purtroppo, il tasso di successo diminuisce con il tempo e può scendere fino al 70% a un anno

dopo la chirurgia (Gould, 2002). Varie complicazioni corneali, quali la deiscenza della sutura,

lesioni traumatiche, edemi o erosioni, si possono riscontrare generalmente subito dopo

l'intervento. Il fallimento della sintesi chirurgica, così come lesioni corneali traumatiche

iatrogene, possono portare in casi gravi a una fuoriuscita dell’umor acqueo, clinicamente

manifesta con una ridotta profondità della camera anteriore, prolasso irideo con abbondante

formazione di fibrina e discoria evidente (Gelatt, 1999). L’edema della cornea può conseguire

a un danno iatrogeno a carico dell’endotelio corneale, causato da manipolazioni strumentali

scorrette, dalla presenza di frammenti lenticolari, errori di scelta o di inserimenti della IOL,

oppure ancora per l’utilizzo eccessivo di fluidi di irrigazione (Gelatt, 1999). Infine l’ulcera

corneale, frequente soprattutto nelle razze brachicefaliche, ha una patogenesi spesso

multifattoriale, associata ad una diminuzione della produzione di lacrime indotta sia

dall’utilizzo di farmaci parasimpaticolitici, sia da possibili autotraumatismi o dal

prolungamento dei tempi di guarigione conseguente alla somministrazione di agenti

antiinfiammatori corticosteroidei (Gelatt,1999).

L’ifema e l’emorragia vitreale possono verificarsi durante l’intervento di cataratta o

nell’immediato post-operatorio, a causa del sanguinamento del sito di incisione, di improvvisi

sbalzi pressori intraoculari, di un’eccessiva tensione esercitata sul corpo ciliare, di insulti

traumatici sull’uvea mediante strumenti oftalmici, o per eventuali turbe coagulative nel

paziente. Tuttavia, tensioni provocate dal collare o dal guinzaglio, l’abbaio eccessivo e

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l’iperattività del soggetto, sono le cause più frequenti di ifema nell’immediato post-

operatorio. Se l’emorragia è cospicua, è consigliabile effettuare un trattamento intracamerale

con un’attivatore del plasminogeno, che risulta molto efficace già nell’arco di poche ore

(Gelatt, 1999). Nel post-operatorio, tra le complicazioni a breve e a medio termine, è molto

frequente lo sviluppo di uveite, la quale può aggravare notevolmente la condizione clinica

dell’occhio e compromettere il risultato terapeutico (Adkins & Hendrix, 2003; Peruccio, 2009).

I fenomeni patologici associati variano dall’edema corneale allo sviluppo di sinechie, sineresi

vitreale e glaucoma, a seconda della refrattarietà o cronicizzazione dell’infiammazione. La

barriera emato-oculare del cane è di per sé estremamente fragile, il che predispone a un tasso

di infiammazione e complicazioni post-operatorie piuttosto elevato. Un certo grado di

danneggiamento della barriera emato-oculare è inevitabile dopo una chirurgia intraoculare,

tuttavia il grado dell’uveite dipende sicuramente dalla tecnica chirurgica impiegata e

dall’esperienza del chirurgo. Una chirurgia rapida e delicata, l’utilizzo di viscoelastici e la

rimozione accurata di tutti i frammenti della lente, consentono di ridurre notevolmente

l’insorgenza di uveite post-operatoria (Gelatt, 1999).

L’endoftalmite è una complicazione rara della chirurgia, ma che determina effetti devastanti

sul globo oculare. L’infezione di solito consegue a un’asepsi insufficiente e insorge in

associazione a un prolungamento anomalo dell’infiammazione postoperatoria, o in presenza

di essudati in camera anteriore o nel vitreo. L’approccio terapeutico si basa sull’utilizzo di

farmaci antibiotici, ma, nei casi più gravi, può essere necessario rimuovere l’impianto

intraoculare o altre strutture oculari ormai irreversibilmente compromesse. La prognosi in

questo caso è riservata (Gelatt, 1999).

Il glaucoma post-operatorio è spesso multifattoriale e correlato a modificazioni dell’angolo

iridocorneale, alterazioni della dinamica dell’umor acqueo e all’utilizzo dei viscoelastici. A

scopo precauzionale, l’iniezione intracamerale di carbacolo 0,01% può prevenire

efficacemente un aumento post-operatorio della pressione intraoculare (Gelatt, 1999). Il

Glaucoma può essere una conseguenza a breve o a lungo termine dell’intervento di

facoemulsificazione, o di altre metodiche chirurgiche per il trattamento della cataratta. Il

glaucoma può insorgere anche nell’immediato secondariamente a ostruzione del deflusso

dell’umor acqueo conseguente all’accumulo di fibrina o detriti lenticolari, vitreali e di altro

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materiale. Questo tipo di glaucoma avviene generalmente nell’immediato post-operatorio

(Pumphrey, 2015).

A lungo termine, il glaucoma può essere indotto da una chiusura dell’angolo irido-corneale

causata dalla progressiva formazione di sinechie anteriori (Scott, 2013). Una goniodisgenesi

preesistente di per sé rappresenta una delle principali controindicazioni all’intervento

chirurgico per la cataratta e può riscontrarsi con maggiore frequenza in determinate razze

canine (Scott, 2013). Per questo motivo, Boston Terriers, Cocker Spaniels, Shih Tzus, Jack

Russell Terriers, Bichon Frises e Labrador Retrievers sono tra le razze maggiormente

predisposte allo sviluppo di glaucoma nel post-operatorio (Sigle et al., 2006; Moeller et

al.,2011; Scott, 2013).

Oltre alla predisposizione di razza i pazienti maggiormente a rischio di glaucoma post-

operatorio sono i soggetti anziani, affetti da cataratta ipermatura e sottoposti a un intervento

eccessivamente lungo o nei casi in cui l’inserimento della IOL non è stato effettuato

correttamente (Pumphrey, 2015).

Il distacco di retina può insorgere come complicazione a breve o a lungo termine (Adkins &

Hendrix, 2003) e aumenta nel caso di intervento a carico di una cataratta ipermatura (Gelatt,

1999). Bichon Frises, Shih Tzus e Boston Terriers sono razze predisposte al distacco retinico

post- chirurgico (Mancuso & Hendrix, 2016). Queste razze hanno probabilmente una

composizione vitreale anomala che favorisce il distacco retinico per trazione (Foote et al.,

2017). Il meccanismo eziopatogenetico consiste in una alterazione degli spazi intraoculari, con

una modificazione volumetrica del vitreo e una sua dislocazione anteriore.

Conseguentemente, i rapporti anatomici con la retina risultano compromessi e il mancato

sostegno del vitreo predispone la retina al distacco (Gelatt, 1999). Inoltre, la formazione di

filamenti e coaguli di fibrina è una complicazione frequente dell’infiammazione oculare

presente dopo la chirurgia. Questi filamenti si possono formare fra la retina e la lente e la loro

riorganizzazione e contrazione può tirare la retina lontano dalla coroide e provocare quindi un

distacco retinico post-chirurgico (Ofri, 2006). Alcuni distacchi post-operatori sono suscettibili

di riparazione chirurgica; tuttavia la prognosi per la funzione visiva, in questi casi, rimane

generalmente riservata (Gelatt, 1999).

L’opacizzazione della capsula posteriore della lente è una delle più comuni complicazioni a

lungo termine dell’intervento chirurgico (Gelatt, 1999). Generalmente insorge a seguito di una

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pulizia non attenta della capsula, mediante i sistemi di irrigazione e aspirazione della

facoemulsificazione. La mancata rimozione di detriti e la presenza di cellule in continua mitosi

dell’epitelio subcapsulare possono determinare, nell’arco di alcune settimane o mesi

dall’intervento, la formazione di nuovi ammassi cellulari opachi, determinando così la

comparsa del cosiddetto “lentoide”, il quale comprometterà in maniera significativa il risultato

terapeutico (Peruccio, 2009).

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CAPITOLO 3: EZIOLOGIA E PREVALENZA DELLA CATARATTA CANINA

3.1 Cataratta primaria

3.1.1 Cataratta ereditaria La cataratta ereditaria è una patologia primaria del cristallino (Ricketts et al., 2015) che

colpisce prevalentemente i cani di razza giovane o di media età (Rubin, 1989; Turner &

Bouhanna, 2010, Gelatt et al., 2013). Si tratta della forma più comune di cataratta nel cane

(Davidson & Nelms, 1999; Gelatt et al., 2013; Ricketts et al., 2015) e rappresenta la principale

causa di cecità in questa specie (Mellersh, 2014). Nel 2010, il Genetics Committee of the

American College of Veterinary Ophthalmologists ha evidenziato 160 razze canine nelle quali

la cataratta ereditaria è sospettata o provata (ACVO Genetics Committee, 2010). Nel presente

studio, data la numerosità di razze colpite, saranno prese in esame soltanto alcune di esse. La

cataratta ereditaria può essere distinta in tre gruppi: i) isolata, ovvero non associata ad altre

anomalie oculari o sistemiche, ii) associata ad altre patologie oculari e iii) associata ad altre

patologie sistemiche e oculari (Gelatt & Mackay, 2005). Ad esempio, nel Labrador Retriever e

nel Samoiedo, la displasia oculo-scheletrica (OSD), malattia ereditaria autosomica recessiva

che consiste in un insieme di anomalie scheletriche e oculari è associata a cataratta (Goldstein

et al., 2010).

Il processo biochimico responsabile della cataratta ereditaria è sconosciuto ed è stato solo in

parte studiato nella cataratta congenita dello Schnauzer Nano (Gelatt et al., 1982; Daniel et

al., 1984) dove alcune ricerche hanno dimostrato un rapporto anomalo tra i vari tipi di

proteine ossia un aumento delle alpha e beta cristalline leggere e una diminuzione delle beta

pesanti e gamma cristalline (Daniel et al., 1984).

Al giorno d’oggi, in diverse razze canine, non si conosce il processo genetico responsabile

dell’insorgenza della cataratta ereditaria (Adkins & Hendrix, 2003; Ricketts et al., 2015) la

quale è considerata una patologia multigenica (Mellersh et al., 2009) con modalità di

trasmissione tuttora poco chiare. Tuttavia, la forma autosomica recessiva, è considerata come

la più comune (Gelatt, 1999; Adkins & Hendrix, 2003; Gelatt & Mackay, 2005; Wallace et al.,

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2005; Baumworcel et al., 2009). Nonostante la forte prevalenza della cataratta ereditaria nel

cane, solo un gene, il fattore di trascrizione HSF4, è stato descritto come uno dei geni

responsabile della patologia (Mellersh et al., 2009; Mellersh, 2014; Ricketts et al., 2015).

Nello Staffordshire Bull Terrier, l’inserzione di un nucleotide a carico dell’esone 10 del

suddetto gene determina la formazione di un codone stop (Mellersh et al., 2006; Mellersh et

al., 2009), il quale è responsabile di una cataratta a comparsa rapida, progressiva, bilaterale,

simmetrica, nucleare e corticale posteriore (Barnett ,1978; Mellersh et al., 2006; Mellersh et

al., 2009; Turner & Bouhanna, 2010). La modalità di trasmissione di questa mutazione è

autosomica recessiva a forte penetranza. In questa razza la cataratta si sviluppa a pochi mesi

di età e progredisce fino a diventare totale verso i 2-3 anni di vita determinando cecità

(Barnett, 1978). La stessa mutazione, con la stessa presentazione clinica è stata osservata nel

Bouledogue francese (Mellersh, 2007).

Nel Boston Terrier esistono due tipi di cataratte ereditarie (Gelatt, 1999; Mellersh et al., 2007).

La prima, ad insorgenza rapida, è determinata dalla stessa mutazione a carico del HSF4 e si

manifesta nello stesso modo di quella presente nel Staffordshire Bull Terrier (Gelatt, 1999;

Mellersh et al., 2007). La seconda, tardiva, si sviluppa nei cani di 3-4 anni (Curtis, 1984) e non

dipende dalla mutazione a carico del gene HSF4, inoltre si presenta come una cataratta

corticale, a lenta progressione, generalmente monolaterale. Di fatto, il Boston Terrier può

essere colpito da due tipi di cataratta ereditarie distinte geneticamente e clinicamente

(Mellersh et al., 2007).

La delezione di un nucleotide del gene HSF4 è stata associata a cataratta ereditaria nel Pastore

Australiano (Mellersh, 2014; Ricketts et al., 2015). Questa mutazione è autosomica dominante

o co-dominante a penetranza incompleta. La presentazione clinica di quest’ultima mutazione

è una cataratta bilaterale, subcapsulare polare posteriore, con età d’insorgenza variabile

(Gelatt and MacKay 2005; Mellersh et al. 2009; Mellersh, 2014). Tuttavia alcuni Pastori

Australiani, con lo stesso quadro clinico, non presentano una delezione a carico del gene HSF4

(Mellersh et al., 2009; Ricketts et al., 2015). In questa razza si suppone che esista un secondo

locus, situato sul cromosoma 13, responsabile della cataratta, oltre al locus HSF4 posizionato

sul cromosoma 5 (Mellersh et al., 2009).

Il gene HSF4 non è considerato coinvolto nello sviluppo della cataratta ereditaria in molte

razze, tra cui: l’Alaskan Malamute, il Cocker Americano, il Bichon Havanais, il Pastore Belga, il

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Bassotto, Il Cocker Spaniel Inglese, il Bull Terrier Miniature, il Cane Finlandese di Lapponia, il

Golden Retriever, il Griffone di Bruxelles, il Kromfohrländer, il Jack Russell Terrier, il

Lapinporokoira, lo Schnauzer Nano, il Pinscher Nano, il Nova Scotia Duck Tolling Retriever, il

Rottweiler, il Samoiedo, lo Schnauzer e il Mastino Tibetano (Mellersh et al., 2006; Oberbauer

et al.,2008; Mellersh et al., 2009).

Nello Schnauzer Nano, sono state identificate due tipi di cataratte ereditarie a trasmissione

autosomica recessiva (Barnett, 1978; Gelatt et al., 1983). La prima è una cataratta congenita

prevalentemente nucleare, associata a microfachia e microftalmia con la presenza di un

lenticono nel 20% dei casi. Il secondo tipo, è una cataratta corticale posteriore che si sviluppa

nei cuccioli di qualche settimana di età.

Uno studio condotto in Germania ha evidenziato che nel Cocker Spaniel Inglese, la cataratta

ereditaria compare sia precocemente, ovvero ad un’età inferiore ai 3 anni e mezzo, sia come

una patologia tardiva, cioè dopo la suddetta età. In questa razza si suppone che a seconda

dell’età di insorgenza il processo genetico non sia lo stesso (Engelhardt et al., 2007a). In

particolare, il tipo di cataratta risulterebbe diverso a seconda della variazione del colore del

mantello. (Engelhardt et al., 2008).

Nel Labrador e Golden Retriever, sono state identificate due tipi di cataratte, la prima è una

cataratta subcapsulare posteriore (Barnett, 1985; Curtis & Barnett, 1989; Gelatt, 1972; Rubin,

1974; Turner & Bouhanna, 2010) a forma triangolare e non progressiva (Gelatt, 1999) mentre

la seconda è una cataratta corticale progressiva. Riguardo a queste razze è stato ipotizzato che

la mutazione sia a dominanza incompleta (Curtis & Barnett, 1989) e che i soggetti eterozigoti

presentino la prima forma di cataratta (triangolare e non progressiva) mentre quelli omozigoti

la seconda forma (corticale e progressiva) (Gelatt, 1999). La comparsa della cataratta può

avvenire nell’arco di qualche mese di età fino agli 8 anni, tuttavia esistono due picchi di

sviluppo, tra i 6 e i 18 mesi e tra i 6 e i 7 anni (Turner & Bouhanna, 2010).

Il Pastore Tedesco è colpito da una cataratta a trasmissione autosomica recessiva (Barnett,

1986). L’opacizzazione della lente comincia verso i due mesi di età a livello delle linee di sutura

posteriori, per poi propagarsi in poco tempo al nucleo e alla corticale fino a determinare cecità

al raggiungimento del primo anno di età. Inoltre, in questa razza, esiste un altro tipo di

cataratta, ovvero quella congenita e non progressiva di cui la modalità di trasmissione è a

carattere autosomico dominante (Hippel, 1930).

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Ai fini diagnostici è stato sviluppato per lo Staffordshire Bull Terrier, il Boston Terrier, il Bulldog

Francese e il Pastore Australiano, un test genetico (Mellersh et al., 2006; Mellersh et al., 2007).

Quest’ultimo permette di confermare la presenza della mutazione a carico del HFS4 ed è

importante ai fini della profilassi della malattia lenticolare (Mellersh et al. 2006, 2007).

Nelle altre razze, invece, la diagnosi di cataratta ereditaria si formula per esclusione e dipende

dalla razza stessa, dalla localizzazione dell’opacità, dall’età, dalla progressione e

dall’esclusione di altre cause eziologiche (Peruccio, 1987; Gelatt, 1999; Mellersh et al., 2009;

Turner & Bouhanna, 2010; Mellersh, 2014). La terapia è solamenter di tipo chirurgico. Nei cani

giovani la prognosi è generalmente buona. L’intervento di facoemulsificazione ha un tasso di

successo del 95% che però decresce con il tempo fino a raggiungere il 70-80% nei 2-3 anni

successivi all’intervento (Turner & Bouhanna, 2010). Di fatto, i cani devono essere sottoposti

a controlli periodici per prevenire l’insorgenza di complicazioni post-operatorie (Turner &

Bouhanna, 2010).

Dati affidabili per conoscere la prevalenza delle malattie oculari nel cane, compresa la

cataratta ereditaria, sono forniti da l’European College of Veterinary Ophthalmologists (ECVO)

(www.ecvo.org), la Veterinary Medical Data Base (VMDB) (https://vmdb.org/) e la Canine Eye

Registry Foundation (CERF) (http://www.caninehealthinfo.org/cerfinfo.html).

3.1.2 Cataratta congenita La cataratta congenita è la conseguenza di uno sviluppo anomalo delle fibre embrionarie

primarie o secondarie. Questa patologia può essere ereditaria, derivare dall’esposizione ad un

agente tossico o infettivo durante lo sviluppo fetale (Carmichael et al., 1965; Koch & Rubin,

1967), essere associata ad anomalie oculari multiple o alla persistenza del sistema vascolare

perilenticolare embrionario (Peruccio, 1987). A secondo della localizzazione dell’opacità la

cataratta congenita può essere classificata in:

- pulverulenta: o puntata, ovvero caratterizzata da zone di opacità circostanti il nucleo

embrionale, oppure localizzate al suo interno; in quest’ultimo caso si parlerà di cataratta

centrale pulverulenta;

- fusiforme: o coralliforme, a forma di fuso, disposta in senso antero-posteriore;

- zonulare: o perinucleare di cui l’opacità circonda il nucleo embrionale (Peruccio, 1987).

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La cataratta congenita ereditaria può essere a trasmissione autosomica dominante, come

avviene nel Norwegian Buhund (Bjerkas & Haaland, 1995), o più frequentemente a

trasmissione autosomica recessiva, come accade nel Schnauzer Miniature (Rubin et al., 1969),

nel Boston Terrier (Curtis, 1984), nello Welsh Springer Spaniel (Barnett, 1980) e nel West

Highland White Terrier (Narfstrom, 1981). Quando la cataratta congenita è dovuta all'azione

di un agente teratogeno in utero, si verifica solo a carico degli strati in via di sviluppo nel

momento in cui agisce la noxa patogena, mentre gli altri strati formatisi subito prima o dopo

risultano sani (Peruccio, 1987). Di solito si tratta di una cataratta zonulare, la cui estensione è

proporzionale alla durata dell’evento patogenetico (Peruccio, 1987). Non di rado, alcuni difetti

a carico della lente sono associati a cataratta congenita, come la microfachia e il lenticono. Si

parla di microfachia quando la lente risulta caratterizzata da un diametro inferiore alla norma,

mentre il lenticono rappresenta un'alterazione della normale conformazione del cristallino.

Nello specifico, si tratta di una protrusione conica (lenticonus) o sferica (lentiglobus) della

lente che può essere anteriore, posteriore o interessare entrambi i poli (Aguirre & Bistner,

1973). Si ritiene che quest’anomalia si verifichi al momento dell’elongazione delle fibre

primarie della lente, ovvero intorno al venticinquesimo giorno di gestazione (Aguirre &

Bistner, 1973). Questo fenomeno è frequentemente concomitante ad altre patologie oculari

congenite, fra cui la cataratta congenita, la persistenza del sistema vascolare ialoideo, la

displasia retinica, l’ipoplasia del nervo ottico, la microftalmia e la microfachia (Gelatt, 1991;

Narfstrom & Dubielzig, 1984; Van Rensburg & Petrick, 1992). Si consiglia di escludere tutti i

soggetti colpiti da questa patologia dalla riproduzione, in quanto si presuppone, nonostante

la mancanza di dimostrazioni scientifiche, che possa rappresentare un difetto ereditario

(Lavach & Severin, 1977).

3.1.2.1 Anomalie oculari multiple Il corretto sviluppo embriologico della lente è fondamentale per l’organizzazione

dell’architettura intraoculare; di conseguenza, in occasione della sua manifestazione, la

cataratta congenita si presenta spesso associata a difetti oculari multipli (Cook, 1995). Nel

Bedlington Terrier, nel Sealyham Terrier, nel Labrador Retriever e nel Cocker Springer Spaniel

è stata, ad esempio, osservata una cataratta congenita associata a displasia retinica (Ashton

et al., 1968; Barnett et al., 1970; Carrig et al., 1977; Meyers et al., 1983; Olesen et al., 1974;

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Rubin, 1963, 1968) mentre nell’Akita è possibile riscontrare una cataratta congenita associata

a microftalmia e displasia retinica (Laratta et al., 1985; Gelatt, 1991). Ancora, nel Beagle e nel

Bobtail è stato riportato un’associazione tra cataratta, microftalmia e displasia retinica

(Andersen & Shultz, 1958; Barrie et al., 1979).

Nel Pastore Australiano, nell’Alano, nel Collie, nel Bassotto e in alcuni meticci (Hendrix, 2013)

il gene Merle è responsabile della "merle ocular disease" o MOD. Questa patologia consiste in

un insieme di anomalie oculari congenite come la microftalmia, la microcornea, anomalie

dell’iride (coloboma o ipoplasia), discoria, persistenza della membrana pupillare, anomalie

della lente (microfachia, cataratta, coloboma, lussazione/sublussazione), difetti della sclera

(stafiloma) e difetti retinici (diplasia retinica o distacco di retina). Alcuni soggetti, inoltre,

possono presentare vari gradi di sordità congenita (Gwin et al, 1981). La precisa eziologia di

queste anomalie congenite non è ancora conosciuta, ma si suppone che possa essere dovuta

a un’anomalia primaria a carico dell’epitelio pigmentato o delle vescicole ottiche (Cook et al.,

1991). Nel Pastore Australiano, è descritta come una sindrome ereditaria, autosomica

recessiva (Bertram et al., 1984; Cook et al., 1991; Gelatt & McGill, 1973; Gelatt & Veith, 1970;

Gelatt et al., 1981), la cui prevalenza potrebbe essere ridotta evitando gli incroci tra due

soggetti merle (Cook et al., 1991). La prognosi della MOD dipende dalla sua gravità e nei casi

più lievi non è necessario alcun tipo di trattamento. In caso di coinvolgimento della lente è

essenziale provvedere a un trattamento chirurgico. Nello specifico, i cani affetti da cataratta

congenita, in assenza di ulteriori anomalie a carico del segmento posteriore dell'occhio,

rappresentano buoni candidati per l'intervento di facoemulsificazione e l’impianto di una IOL

(Cook et al., 1991).

3.1.2.2 Persistenza di strutture embrionarie Durante lo sviluppo embrionario i vasi presenti anteriormente alla lente si sviluppano in uno

strato di mesenchima da cui ha origine la camera anteriore e nel settore sovrastante il foro

pupillare la Membrana Pupillare (PM) (Cook, 1999). Questa rete vascolare regredisce poi entro

2-4 settimane di vita dell’animale (Boeve et al., 1988; Curtis et al., 1991; Bayón, 2001). La

persistenza della membrana pupillare o PPM è un’anomalia congenita caratterizzata dalla

mancata involuzione della membrana pupillare e dalla conseguente presenza di filamenti di

tessuto mesodermico che originano dalla porzione media dell’iride e si attaccano alla

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superficie anteriore dell’iride stessa (Davidson & Nelms, 1999). Se questi filamenti si uniscono

alla capsula anteriore del cristallino possono determinare la comparsa di una cataratta a livello

dei punti di adesione di detti filamenti con la lente (Peruccio, 1987; Davidson & Nelms, 1999).

Oltre alla cataratta, la persistenza delle strutture vascolari embrionarie può essere associata

ad altre malattie oculari come la microftalmia. (Barnett & Knight, 1969; Strande et al., 1988)

Grahn & Cullen, 2004). Si tratta di una patologia comune nella specie canina che colpisce molte

razze (Grahn et al., 2004). Quest’alterazione non è considerata ereditaria, ad eccezione del

Basenji (Barnett & Knight, 1969; Bistner et al., 1971; Martin, 1978; Priester, 1972; Roberts &

Bistner, 1968; Strande et al., 1988; Turner & Bouhanna, 2010). Tuttavia, nel Bull mastiff, nel

bassotto, nel Rottweiler, nel Siberian Husky, nel Cocker, nel Lancashire heeler e nel West

Higland white terrier si sospetta che possa essere una patologia a trasmissione ereditaria

(Turner & Bouhanna, 2010).

Il vitreo primario è una componente del sistema vascolare embrionario, il quale apporta i

nutrienti necessari allo sviluppo della retina e della lente durante la gestazione (Kaste et al.,

1994; Stades, 1983). Nello specifico, il vitreo primario è costituito dall’arteria ialoidea, che

parte dal disco ottico, attraversa il vitreo e si estende fino alla lente, dalla vasa hyaloidea

propria, una rete di capillari che decorrono nel vitreo primario stesso e da un ramo terminale

dell’arteria ialoidea la tunica vasculosa lentis (Wells et al., 1991). L’atrofia del sistema

vascolare ialoideo inizia al 45esimo giorno di gestazione e si completa 2-4 settimane dopo la

nascita (Aguirre et al., 1972; Boeve et al., 1988). Talvolta, residui dell’arteria ialoidea possono

rimanere nei cuccioli fino a 6-8 settimana di età sotto forma di una corda che si estende dal

disco ottico al polo posteriore della lente (Boeve et al., 1989; Duddy et al., 1983). Tuttavia, la

mancata involuzione del vitreo primario e del sistema ialoideo portano allo sviluppo di

un’anomalia congenita: la persistenza della tunica vascolare iperplastica della lente

concomitante a persistenza del vitreo primario iperplastico, abbreviata come PHTVL/PHPV

(Persistent Hyperplastic Tunica Vasculosa Lentis/ Persistent Hyperplastic Primary Vitreous)

(Stades, 1980; Peruccio, 1987; Pollard, 1997; Bayon et al., 2001). Il meccanismo patogenetico

responsabile di questa persistenza non è chiaro e più teorie sono state proposte al riguardo

(Gemensky‐Metzler & Wilkie, 2004). Questa patologia potrebbe essere dovuta a un

disequilibrio tra fattori di crescita e fattori inibitori della crescita a livello oculare, oppure

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risulterebbe da uno sviluppo anomalo del sistema vascolare, che ne impedirebbe pertanto la

regressione completa (Bayòn et al., 2001).

La PHTVL/PHPV è stata osservata in varie specie di mammiferi (Stades,1980; Leon et al., 1986)

fra cui l’uomo, il cane, il cavallo, il ratto e il topolino (Boeve et al., 1992). Questa anomalia

congenita è stata osservata nel Doberman (Stades, 1980; Boeve et al., 1992), nello

Staffordshire Terrier (Curtis et al., 1984), nello Schnauzer Miniature (Grahn et al., 2004) e nel

Bovaro delle Fiandre (Van, 1992). Sebbene la modalità di trasmissione non sia chiara,

sembrerebbe che sia autosomica a dominanza incompleta nello Staffordshire Bull Terrier

(Curtis et al., 1984) e nel Doberman (Stades, 1983; Curtis et al., 1984). Ciononostante, la

PHTVL/PHPV colpisce sporadicamente molte altre razze (Gemensky‐Metzler & Wilkie, 2004)

come: l’Airedale Terrier, il Barboncino Nano (Barnett, 1973), il Greyhound (Grimes &

Mullaney, 1969), il Labrador Retriever (Curtis et al., 1984), il levriero irlandese (Kern, 1981) e

il Setter Irlandese (Rebhun, 1976). Questa patologia è frequentemente associata a cataratta

(Boevé et al., 1993) ma può anche essere all’origine di altre patologie oculari come l’ifema o il

distacco retinico (Bayon et al., 2001). In alcuni casi, quest’anomalia congenita non progredisce

e non interferisce con la funzione visiva mentre in altri casi può estendersi nei settori corticali

contigui della lente e determinare una progressiva perdita della funzione visiva (Peruccio,

1987). A secondo della sua gravità morfologica la PHTVL/PHPV è stata classificata in sei gradi

(Stades, 1980; Van Rensburg & Petrick, 1992):

-Grado 1: puntini fibrovascolari pigmentati e isolati nella parte posteriore della lente.

-Grado 2: puntini associati a una placca di tessuto proliferativo attaccata alla capsula

posteriore.

-Grado 3: comprensivo delle anomalie precedenti associate a persistenza dell’arteria ialoidea

-Grado 4: presenza di un lenticono posteriore in aggiunta alle anomalie precedenti.

-Grado 5: combinazione delle anomalie dei gradi 3 e 4.

-Grade 6: combinazione delle lesioni precedenti associate ad altre anomalie come

microfachia, coloboma, depositi di calcio o pigmentazioni intralenticolari (Bayon et al, 2001).

La diagnosi si basa principalmente sull’anamnesi e l’aspetto clinico dell’anomalia (Stades,

1980; Goldberg, 1997; Barrie et al., 1981). L’ecografia è molto utile per ottenere immagini del

globo oculare (Mattoon & Nyland, 1995; Schmid & Murisier, 1996; Boydell, 1997; Boroffka et

al., 1998) e permettere di confermare la diagnosi di PHTVL/PHPV (Boydell, 1996; Boroffka et

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al., 1998) mentre l’esame Doppler determina la presenza o l’assenza di vasi sanguigni pervi a

livello lenticolare e vitreale (Boroffka et al., 1998; Verbruggen et al., 1999). La terapia è

chirurgica e consiste, di solito, in una facoemulsificazione, associata a capsulectomia

posteriore e inserimento di un IOL quando possibile (Gemensky‐Metzler & Wilkie, 2004). Le

eventuali complicazioni sono un’uveite post-operatoria, la persistenza di parte del sistema

ialoideo con conseguenti emorragie intra-oculari e il distacco retinico la cui probabilità

d’insorgenza è incrementata dalla capsulectomia posteriore (Gemensky‐Metzler & Wilkie,

2004). In assenza di chirurgia è possibile che, con il tempo, la cataratta sia riassorbita. Tuttavia,

la lente catarattosa può portare allo sviluppo di uveite, fibrosi intraoculare, glaucoma e

distacco retinico secondari (Davidson, 1991; Van der Woerdt et al., 1992; Paulsen, 1985).

3.2 Cataratta secondaria La cataratta secondaria si verifica in seguito a un insulto esogeno o una patologia sistemica o

oculare. In questo gruppo si considerano: la cataratta diabetica, ipocalcemica, secondaria a

atrofia progressiva retinica, a displasia retinica o a uveite, traumatica, nutrizionale, tossica e

senile (Mancuso & Hendrix, 2016).

3.2.1 Cataratta metabolica

3.2.1.1 Cataratta diabetica Il diabete mellito nel cane rappresenta una delle più frequenti patologie di natura endocrina

(Davidson, 1999), e si caratterizza spesso per l'insorgenza, più o meno rapida, di una cataratta

secondaria, quale complicazione più frequente, a livello oculare, per la specie canina (Basher

& Roberts, 1995; Beteg, 2008; Cook, 2008). Si tratta, infatti, di una delle tipologie di cataratta

più comuni nel cane, soltanto seconda per frequenza alla cataratta ereditaria (Mancuso &

Hendrix 2016).

Circa il 50% di cani diabetici sviluppano una cataratta nei 6 mesi seguenti la diagnosi di diabete

mellito (Davidson, 1999; Turner & Bouhanna, 2010; Gemensky et al., 2015), mentre circa il

75% e l’80% di essi la sviluppano rispettivamente dopo 12 e 16 mesi (Davidson, 1999). Il tasso

di prevalenza di cataratta nei cani diabetici varia tra il 68% (Wilkinson, 1960; Gilger et al., 1993;

Basher & Roberts, 1995) e l’80% (Basher & Roberts, 1995). Esistono inoltre delle

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predisposizioni di razza: in alcune razze canine infatti, quali il Barboncino, i cani da caccia, i

meticci e le razze sportive, risulta maggiore il rischio di sviluppare una cataratta diabetica

rispetto ai Terriers, le razze toy e i brachicefali (Davidson, 1999). Presumibilmente la gravità

clinica del diabete, cosi come la risposta alla terapia insulinica, varia da una razza all’altra,

condizionando così anche l'insorgenza delle complicazioni secondarie all'endocrinopatia

(Davidson, 1999).

Nei cani normoglicemici solo il 5% del glucosio viene metabolizzato dalla via del sorbitolo. Nei

soggetti iperglicemici, si verifica un’eccessiva penetrazione di glucosio all'interno della lente

(Peruccio, 1987). Lo zucchero in eccesso, satura l’esochinasi ed è conseguentemente deviato

nella via dei polifenoli, dove è convertito in sorbitolo dall’aldosi reduttasi. L’accumulo

intracellulare di sorbitolo crea pertanto un effetto iperosmotico che provoca un afflusso di

fluido all’interno della lente e un'eccessiva idratazione delle sue fibre, le quali si rompono, con

conseguente formazione di vacuoli (Peruccio, 1987; Sato, 1991; Gelatt, 1999, Beteg, 2008;

Mancuso & Hendrix 2016; Nartey, 2017). Inoltre, una serie di cambiamenti biochimici, portano

a una modificazione della concentrazione degli elettroliti, a una diminuzione dei livelli di ATP,

degli aminoacidi, del glutatione, del monoinositolo e a una riduzione dell’attivita della ATpasi

(Gelatt, 1999). Tali modificazioni biochimiche sono alla base di meccanismi patologici, quali

lesioni ossidative che esitano nella diminuzione della permeabilità di membrana. Questa,

unitamente al danno osmotico provoca l’insorgenza della cataratta diabetica (Gelatt, 1999).

La cataratta diabetica è caratterizzata da una rapida progressione e da una cecità che si

manifesta nel soggetto in maniera piuttosto improvvisa (Gould, 2002; Wilkie, 2006; Turner &

Bouhanna, 2010). La rapidità con cui si sviluppa questa patologia è essenzialmente

determinata dalla glicemia (una terapia insulinica adatta può rallentare la progressione della

cataratta), dall’età del paziente e dalla sua specie di appartenenza, in quanto, la

concentrazione di aldosi reduttasi all’interno della lente è specie-dipendente (Gelatt, 1999).

Alle volte, quando la cataratta si sviluppa molto rapidamente, la tumefazione delle fibre è tale

da provocare una rottura spontanea della lente (Cottrill, 2007; Turner & Bouhanna, 2010;

Mancuso & Hendrix 2016) che può determinare lo sviluppo di un’uveite facoclastica ed

eventuale glaucoma (Cottrill,2007). La rottura della lente avviene in media 123 giorni dopo la

diagnosi di diabete mellito (Wilkie, et al.,2006). Questa complicazione non dipende tuttavia

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dalla razza, ad eccezione del Labrador Retriever, in quanto risulta essere una razza canina

particolarmente suscettibile a tale complicazione (Wilkie, et al., 2006).

La diagnosi di cataratta diabetica si base principalmente sull’anamnesi e sulla visita oculistica.

La reazione di minaccia è spesso attenuata o assente mentre i riflessi fotomotori sono

generalmente normali, anche se, in alcuni casi, possono essere rallentati (Turner & Bouhanna,

2010). Più comunemente si tratta di una cataratta matura, simmetrica e bilaterale (Peruccio,

1987; Turner & Bouhanna, 2010). Di frequente riscontro sono delle fessurazioni ripiene di

liquido a livello delle linee di suture (Cottrill, 2007; Turner & Bouhanna, 2010; Mancuso &

Hendrix 2016). Spesso, il fondo oculare non è valutabile (Turner & Bouhanna, 2010). Nel caso

in cui, il diabete nell’animale sia già conclamato, la diagnosi eziologica sarà indubbiamente più

facile, anche se devono sempre essere presi in considerazione altre tipologie di cataratta

(Turner & Bouhanna, 2010). Se al contrario, il diabete non è stato diagnosticato, la rapidità di

insorgenza della cataratta, associata a una poliuria e polidipsia, un dimagramento repentino

nonostante la polifagia, e uno stato di debolezza rappresentano sicuramente i dati essenziali

grazie ai quali poter formulare correttamente una diagnosi di diabete mellito che sarà

confermato dalla valutazione della glicemia e della fruttosamina (Turner & Bouhanna, 2010).

Anche in assenza di sintomi evidenti, tutti i cani al di sopra dei 3 anni che presentano una

cataratta in rapida evoluzione, devono essere sottoposti a questi accertamenti (Peruccio,

1987). In alcuni casi l'uveite facolitica/facoclastica, scaturita dalla rapida evoluzione della

cataratta, aggrava ulteriormente il quadro clinico, compromettendo anche la qualità di vita

del paziente (Gelatt, 1999; Turner & Bouhanna, 2010; Mancuso & Hendrix 2016).

Per la terapia della cataratta diabetica sono disponibili in commercio alcuni farmaci inibitori

dell’aldoso-reduttasi (Peruccio, 1987; Gelatt, 1999); tuttavia, quando l’opacità della lente

progredisce fino al raggiungimento della maturità, il trattamento medico non risulta più

efficace e la chirurgia rappresenta l'unica terapia (Peruccio, 1987). La presenza di uveite

facolitica pre-operatoria è un fattore prognostico negativo ai fini del successo dell’intervento,

e, se presente, deve essere trattata prima della chirurgia, mediante l'instillazione oculare di

agenti anti-infiammatori (Turner & Bouhanna, 2010).

I soggetti diabetici sono generalmente buoni canditati all’intervento di facoemulsificazione

(Gould, 2002) con percentuali di successo pari a 85-90% (Turner & Bouhanna, 2010). In

previsione dell'intervento, è consigliabile che il diabete sia stabilizzato prima della chirurgia,

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in quanto, sia i farmaci anestesiologici, sia la terapia medica pre e post-operatoria, potrebbero

peggiorare le condizioni generali del paziente (Gould, 2002). Ciononostante, alcuni chirurghi

scelgono di operare prima della comparsa dell’uveite facolitica, a prescindere della

stabilizzazione del diabete (Turner & Bouhanna, 2010). Le principali complicazioni post-

operatorie sono un’uveite persistente, un’ulcera corneale, cheratocongiuntivite secca (KCS),

glaucoma e/o distacco di retina (Turner & Bouhanna, 2010). Solitamente i cani diabetici

presentano un test di Schirmer con valori inferiori ai cani non diabetici (Cullen, 2005),

probabilmente per il fatto che i soggetti affetti da diabete possiedono una minore sensibilità

corneale e quindi, una produzione lacrimale riflessa inferiore rispetto a individui sani

(Good,2003; Cullen, 2005). Inoltre, la scarsa qualità del liquido lacrimale dei cani diabetici

predispone con maggiore facilità allo sviluppo di una KCS secondaria (Cullen, 2005). La

frequenza con la quale i cani affetti di diabete mellito sviluppano una KCS post-chirurgica è

quindi maggiore rispetto ai cani sani (Gemensky‐Metzler,2015). In particolare, i cani diabetici

di piccola taglia sono maggiormente colpiti rispetto ai pazienti diabetici di grande taglia e ai

soggetti non diabetici (Gemensky‐Metzler,2015). Un monitoraggio accurato della produzione

lacrimale e l'uso regolare di lacrime artificiali nel postoperatorio sono perciò essenziali per una

corretta lubrificazione della superficie oculare (Gemensky‐Metzler,2015).

3.2.1.2 Cataratta ipocalcemica Questo tipo di cataratta si manifesta secondariamente a una malattia metabolica (come ad

esempio l’ipoparatiroidismo primario) (Mancuso & Hendrix, 2016), o a problemi renali

(Crawford & Dunstan, 1985; Bruyette & Feldman, 1988; Kornegay et al., 1980) mentre più

raramente avviene in seguito a un deficit nutrizionale (Mancuso & Hendrix, 2016).

Tipicamente, si presenta bilaterale e simmetrica (Crawford & Dunstan, 1985; Bruyette &

Feldman, 1988; Kornegay et al., 1980) con delle aeree puntiformi multifocali corticali

(Mancuso & Hendrix, 2016). Si pensa che le opacità si formino in seguito a difetti ipocalcemici

associati ad alterazioni nel trasporto attivo dei cationi a livello dell’epitelio subcapsulare con

un conseguente aumento del contenuto di sodio e una perdita di potassio nella lente (Gelatt

et al., 2013). Questi cambiamenti determinerebbero uno squilibrio osmostico responsabile del

rigonfiamento e della rottura delle fibre del cristallino (Gelatt et al., 2013). Il trattamento della

patologia responsabile dell’ipocalcemia può prevenire la formazione di nuove opacità ma non

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di certo eliminare quelle preesistenti (Gelatt, 2013). Generalmente, questo tipo di cataratta,

non altera la funzione visiva (Thayananuphat, 2015).

3.2.2 Cataratta secondarie associate ad altre patologie oculari

3.2.2.1 Cataratta secondaria associata a atrofia progressiva della retina L’atrofia progressiva della retina o PRA è una malattia bilaterale degenerativa responsabile

dell’alterazione di alcune strutture della retina. Si tratta di una delle più comuni retinopatie

del cane ed è una delle principali cause di cecità in questa specie (Ofri, 2006). Questa patologia

è nella maggiore parte dei casi a trasmissione autosomica recessiva (Ofri, 2006). In particolare,

questa malattia è dovuta a un difetto ereditario a carico degli enzimi della fototrasduzione dei

fotorecettori retinici (Ofri. 2006). Inizialmente, la PRA è caratterizzata dalla degenerazione dei

bastoncelli, con un deficit visivo prevalentemente notturno (Ofri, 2006; Mellersh, 2014);

successivamente si verifica anche un’alterazione a carico dei coni che aggrava il deficit visivo

anche in condizioni di luce diurna (Mellersh, 2014). Si tratta di una patologia evolutiva che

progredisce fino alla completa degenerazione della retina che porta a cecità completa (Ofri,

2006; Peruccio, 2010). Si riconoscono diverse forme di PRA, classificate a seconda del loro

meccanismo di insorgenza, il quale dipende da mutazioni geneticche diverse (Peruccio, 2010;

Mellersh, 2014). Tuttavia, indipendentemente dal processo patologico responsabile della PRA,

l’esito finale di tutte le forme della malattia è la degenerazione progressiva dei bastoncelli e

dei coni (Ofri, 2006).

La PRA può essere ad insorgenza precoce o ad insorgenza tardiva. Ad esempio, nel Bassotto a

pelo lungo i primi segni della malattia possono presentarsi a 6 mesi di età, mentre nel Barbone

Nano la malattia può svilupparsi anche a 12 anni di età (Ofri, 2006). È possibile diagnosticare

questa patologia tramite esame oftalmologico soltanto quando sono evidenziabili delle

alterazioni del fondo dell’occhio, le quali sono più o meno precoci a secondo della razza, e in

rapporto al processo patologico (Peruccio, 2010).

I cambiamenti tipici osservati sono: una riduzione del calibro della vascolarizzazione retinica

(in particolare della componente arteriolare) (Ofri, 2006; Mellersh, 2014), un aumento

progressivo della riflettività del tappeto lucido, dovuta ad un assottigliamento della retina

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nervosa (Ofri, 2006; Mellersh, 2014), e atrofia con demielinizzazione della papilla ottica (Ofri,

2006; Mellersh, 2014).

L’elettroretinografia (ERG) permette di effettuare una diagnosi più precoce rispetto all’esame

oftalmoscopico (Peruccio, 2010). Nel Barbone, ad esempio, le alterazioni dell’ERG possono

essere già presenti a circa 8-10 mesi allorché i segni clinici possano comparire solo dopo 1-2

anni di vita (Ofri, 2006). Inoltre, l’ERG permette di valutare la funzionalità retinica quando una

cataratta concomitante impedisce la visualizzazione del fondo oculare (Ofri, 2006; Mellersh,

2014). Di fatto, l’ERG consente di confermare l’utilità della terapia chirurgica della cataratta

stessa (Ofri, 2006). Ad oggi sono disponibili test sul DNA (Ofri, 2006; Peruccio, 2010) per

diverse razze (le quali sono reperibili sul sito www.optigen.com) (Ofri, 2006). Questi test

possono essere condotti a qualsiasi età, e danno la possibilità di identificare i portatori

eterezigoti della patologia retinica e i soggetti malati (Ofri, 2006).

Durante il processo degenerativo, i fotorecettori rilasciano dei metaboliti aldeici tossici che

possono gradualmente danneggiare il cristallino e determinare una cataratta secondaria

(Mancuso & Hendrix, 2016). Tuttavia, nelle razze a rischio, la cataratta e la PRA possono essere

concomitanti, e risultare da due patologie ereditaria distinte (Gelatt et al., 2013; Mancuso &

Hendrix, 2016). Tipicamente, la cataratta secondaria associata a PRA inizia con delle aree di

opacità corticali posteriori e talvolta anteriori localizzate a livello equatoriale (Peruccio, 1987).

Due razze particolarmente colpite da cataratta associata a PRA sono il Labrador Retriever e il

Barboncino Nano (Gelatt, 1991).

Per formulare diagnosi di cataratta secondaria associata a PRA bisogna raccogliere

un’anamnesi accurata, ponendo particolare attenzione ai soggetti che manifestano un deficit

visivo in condizione di luce crepuscolare (Peruccio, 1987) ed effettuare un esame

oftalmologico completo. Occorre anche valutare il riflesso pupillare, che potrà essere assente

o rallentato ed effettuare un'elettroretinografia quando necessario (Peruccio, 1987).

La prognosi di cataratta secondaria a PRA è sempre infausta, in quanto mentre il deficit visivo

indotto da cataratta può, quando possibile, essere superato tramite una terapia chirurgica,

l’atrofia retinica progressiva determina invece dei danni irreversibili a carico della retina, che

in tempi variabili portano inevitabilmente il soggetto affetto alla cecità permanente (Peruccio,

1987).

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3.2.2.2 Cataratta secondaria associata a displasia retinica La displasia retinica è un’anomalia dello sviluppo della retina. Si tratta di un’alterazione che

generalmente si presenta dalla nascita, ma che può insorgere anche tardivamente (Peruccio,

2010). In ogni caso, la displasia retinica si verifica prima del termine dello sviluppo definitivo

della retina (Peruccio, 2010). Questa patologia può assumere tre diverse forme: la prima,

descritta in oltre 30 razze, è caratterizzata da 'pieghe retiniche' (ovvero da alterazioni nello

sviluppo dello spessore della retina, la quale si solleva e si ripiega su sé stessa); la seconda,

identificata in ben 11 razze si presenta come delle aree displasiche di colore grigiastro e a

forma geografica; e infine la terza, più grave, consiste nel distacco retinico (Peruccio, 2010).

Relativamente all'eziologia della displasia retinica, si sospetta una causa genetica con

trasmissione autosomica recessiva nell’Akita, nel American Cocker Spaniel, nel Pastore

Australiano, nel Beagle, nel Bobtail, nel Doberman, nello Spinger Spaniel (Peruccio, 1987;

Peruccio, 2010), nel Labrador Retiever (Peruccio, 1987; Peruccio, 2010), nel Rottweiler, nel

Sealyham Terrier (Peruccio, 1987; Peruccio, 2010) e nello Yorkshire Terrier (Peruccio, 2010).

Tuttavia, ad oggi non si conosce il processo patogenetico alla base della patologia, e come per

la PRA, alla displasia retinica può essere associata una cataratta secondaria (Peruccio, 2010).

3.2.2.3 Cataratta secondaria a uveite La presenza di cataratta associata a uveite rappresenta un quadro clinico di frequente

riscontro nel cane. Tuttavia è difficile stabilire quale delle due patologie sia una la conseguenza

dell’altra (Gelatt et al., 2013; Mancuso & Hendrix, 2016). L’esposizione all’umor acqueo delle

componenti interne del cristallino indotta dalla presenza di una cataratta, può determinare

una risposta infiammatoria a carico dell’uvea (Gelatt et al., 1999). L’uveite può, a sua volta,

essere responsabile dello sviluppo di una cataratta in seguito all’estensione, per contiguità,

del processo infiammatorio alla lente (Gelatt et al., 2013; Mancuso & Hendrix, 2016). In

quest’ultimo caso la cataratta è generalmente equatoriale o subcapsulare anteriore (Gelatt et

al., 2013). Con la miosi, scaturita dall’uveite, l’iride e la lente si ritrovano in intimo contatto.

Questo evento favorisce lo sviluppo di sinechie posteriori, ovvero di aderenze tra iride e

cristallino (molto comuni in caso di infiammazione intraoculare), scaturite dall’aggregazione

di fibrina, di cellule flogistiche e di altri prodotti dell’infiammazione (Peruccio, 1987; Gelatt et

al., 2013).

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Di solito, solo un’uveite da moderata a grave o un’uveite cronica possono scatenare lo

sviluppo di una cataratta secondaria (Gelatt et al., 2013). La diffusione dei mediatori

dell’infiammazione, come ad esempio le prostaglandine (O’Connor, 1983; Wilkie, 1990), esita

in un’alterazione del metabolismo della lente (Peruccio, 1987; Gelatt et al., 2013). I successivi

cambiamenti sviluppatisi a carico della lente consistono in una metaplasia dell’epitelio

subcapsulare e in una degenerazione o necrosi delle fibre lenticolari (Eagle & Spencer, 1995;

Eagle & Spencer, 1996; Steeten, 2000). L’insieme di queste lesioni determina quindi

l’insorgenza dell’opacizzazione della lente (Eagle & Spencer, 1995; Steeten, 2000). Nel caso in

cui l’uveite sia in atto durante la visita oculistica, bisognerà, dopo un’accurata raccolta

dell'anamnesi, stabilirne l’ordine cronologico di insorgenza rispetto alla cataratta. Purtroppo,

spesso si dimostrerà difficile determinare l’esatta eziologia di quest’ultima (Mancuso &

Hendrix, 2016). Le opacità capsulari formatesi in seguito ad uveite, sono generalmente

stazionarie; tuttavia, la persistenza di sinechie o del processo infiammatorio favoriscono la

deposizione di pigmento su aree sempre più estese. Inoltre, nel caso in cui la cataratta post-

uveitica interessi anche la corticale, essa risulterà generalmente a carattere spesso evolutivo

(Peruccio. 1987).

Ad ogni modo, dopo aver stabilito l'eziologia dell'uveite, una terapia medica specifica per la

risoluzione del processo infiammatorio intraoculare, permette di prevenire l’insorgenza di una

cataratta secondaria o di bloccarne l’evoluzione (Peruccio, 1987). Può essere opportuno

somministrare anche un agente midriatico per contrastare il dolore intraoculare, la miosi, ed

evitare quindi la formazione di sinechie posteriori. Se le condizioni del soggetto lo permettono,

la somministrazione di cortisonici può diminuire l’infiammazione (Peruccio, 1987).

3.2.3 Cataratta traumatica Un trauma ottuso oculare (Peruccio, 1987; Davidson et al., 1991; Thayananuphat, 2015;

Mancuso & Hendrix, 2016), la penetrazione di un corpo estraneo acuminato attraverso la

capsula (artiglio di gatto, spina di una pianta ect…) (Peruccio, 1987; Severin 1976; Magrane,

1977; Davidson et al., 1991; Gelatt, 1999; Thayananuphat, 2015; Mancuso & Hendrix, 2016),

un’ulcera corneale o la presenza di un corpo estraneo nella camera anteriore possono

provocare lo sviluppo di una cataratta traumatica (Mancuso & Hendrix, 2016). Generalmente

l’opacità è monolaterale e può presentarsi anche a distanza di tempo dall’evento traumatico

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(Peruccio, 1987). A volte la cataratta è, nelle fasi iniziali, limitata alle linee di sutura anteriore

e posteriore, e assume una forma stellata (Gelatt et al., 2013). L’osservazione della lente

mediante una lampada a fessura, dopo induzione farmacologica della midriasi, è spesso

necessaria per rilevare la presenza di una possibile soluzione di continuo della capsula e

stabilirne la sua estensione (Gelatt et al., 2013). Se un trauma da infissione coinvolge appena

la superficie della lente, esso determina un danno limitato a carico della capsula, la quale può

col tempo cicatrizzarsi. Di fatto, in seguito a una ferita di lieve entità e poco estesa (< 1.5 mm)

(Davidson et al.,1991), la cataratta traumatica sarà di tipo focale (Adkins & Hendrix, 2003).

L’aumento degli strati del cristallino, in seguito alla continua formazione di nuove fibre, può

in seguito indure uno spostamento in profondità di detta opacità focale (Eagle & Spencer,

1995; Steeten, 2000). Se al contrario, il danno alla lente risulta piuttosto ampio (> 1.5 mm)

(Davidson et al., 1991), le proteine che la costituiscono, fuoriescono nella camera anteriore

tramite la breccia provocata dal trauma. Quest’ultimo evento porta conseguentemente

all’insorgenza di un’uveite facoclastica (Davidson & Nelms, 1999) che nella maggioranza dei

casi è refrattaria alla terapia medica (Adkins & Hendrix, 2003). Rimane tuttavia difficile

stabilire con esattezza la progressione dalla malattia. La rimozione della lente è tuttavia

consigliata nei casi in cui l’estensione della lesione sia maggiore a 1.5 mm, o nell’eventualità

in cui sia presente un’ampia cataratta corticale (Davidson et al., 1991).

La presenza di un corpo estraneo nell’occhio, non penetrante la lente, può indurre un trauma

indiretto a carico di essa. L’entità del trauma sarà più o meno grave a seconda delle

caratteristiche fisiche del corpo estraneo (Gelatt et al., 2013). Ad esempio, i pallini da arma da

fuoco presentano una discreta tollerabilità da parte del globo oculare poiché caratterizzati da

un’elevata velocità di penetrazione (che limita la componente microbica) e dalla presenza di

un rivestimento a base di carbonato insolubile, in grado di prevenire eventuali reazioni

chimiche avverse. Per questo motivo se non è presente una rottura della lente, essa risulterà

poco alterata dalla presenza di detto corpo estraneo (Schmidt et al., 1975). Anche l’oro, il

vetro e il caucciù possono essere considerati materiali inerti (Gelatt et al., 2013).

Diversamente, il rame e lo zinco possono innescare reazioni ossidative da lievi a moderate e

quindi responsabili di una panoftalmite. Il ferro e l’acciaio, invece, inducono generalmente

una reazione infiammatoria severa con conseguente cataratta secondaria (Carter & Blevins,

1970).

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In caso di un trauma ottuso, la forza dell’insulto e la compressione oculare che ne deriva

possono provocare piccole soluzioni di continuo della capsula, con penetrazione di umor

acqueo all’interno della lente, provocandone il rigonfiamento delle fibre e opacizzazione

(Peruccio, 1987). Solo un insulto di forte entità determina un’alterazione diretta della lente.

Frequentemente, oltre all’opacizzazione del cristallino, sono presenti altre lesioni oculari

concomitanti che suggeriscono l’eziologia traumatica (Gelatt, 1974). Molto raramente può

verificarsi una rottura della capsula della lente in seguito a un trauma ottuso, in assenza di

altre lesioni oculari (Gelatt, 1974).

Altre possibili cause di cataratta traumatica sono rappresentati da insulti elettrici (Brightman

et al., 1984), e dall’esposizione a radiazioni ionizzanti ad esempio in seguito a radioterapia

(Jamieson et al., 1991; Michaelson et al., 1971; Roberts et al., 1987; Theon, 1993).

Quest’ultime possono indurre la formazione di una cataratta (inizialmente equatoriale e

subcapsulare anteriore e posteriore) in seguito alla compromissione della mitosi delle cellule

epiteliali, innescando lesioni di tipo degenerativo (Eagle & Spencer, 1995; Steeten, 2000). La

probabilità di sviluppare una cataratta in caso di radioterapia è direttamente proporzionale al

grado di esposizione degli occhi al fascio elettromagnetico e alla dose impiegata (Gelatt et al.,

2013). Purtroppo, le radiazioni ionizzanti determinano solitamente danni anche a carico di

altre strutture (Gelatt et al., 2013).

3.2.4 Cataratta nutrizionale La cataratta nutrizionale è provocata da uno squilibrio alimentare che consiste

frequentemente in una carenza in vitamine o in amminoacidi essenziali, o ancora in un eccesso

di zuccheri (Peruccio, 1987; Ranz et al., 2002). Questo tipo di cataratta è stata osservata in

varie specie fra cui il cane (Vainisi et al., 1981; Brahm, 1991), nel quale si suppone sia

prevalentemente dovuta ad una carenza in amminoacidi essenziali quali l’arginina e la

fenilalanina (Vainisi et al., 1981; Brahm, 1991). La carenza di questi amminoacidi induce

generalmente la formazione di un’opacità circolare tra il nucleo e la corticale, oltre alla

formazione di vacuoli in regione equatoriale e a carico delle linee di suture (Ranz et al., 2002).

Tuttavia, la patogenesi di questa lesione rimane complessa, anche se giocano un ruolo

importante alcune condizioni fisiopatologiche, quali:

-una carenza in altri aminoacidi (ad esempio triptofano, istidina);

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-uno squilibrio fra i vari tipi di aminoacidi;

- una carenza in proteine o in glucosio indotta dalla dieta (Martin & Chambreau, 1982;

Remillard et al., 1993; Vanisi et al., 1981).

Sperimentalmente è stato possibile indurre una cataratta nutrizionale in cuccioli di Foxhound,

sottoposti ad una dieta ipoproteica (Barnett, 1971).

La cataratta nutrizionale è di raro riscontro nella pratica clinica quotidiana (Peruccio, 1987) ed

è stata per lo più osservata in cuccioli alimentati con latte artificiale (Gelatt et al., 2013). Nello

specifico, i cuccioli alimentati con alcuni tipi di latte in polvere possono presentare, nelle prime

due settimane di vita, un’opacità della lente che generalmente regredisce dopo qualche mese

(Peruccio, 1987). La probabilità di sviluppare questa cataratta sembra aumentare con la

somministrazione precoce dei sostituti del latte materno (Ranz et al., 2002). A tal proposito, i

cuccioli precocemente alimentati con latte artificiale, presentano più frequentemente

un’opacità della lente, la quale risulta più estesa rispetto a cani alimentati più tardivamente

con detto latte (Gelatt et al., 2013). In generale, le alterazioni sviluppatesi a carico della lente

hanno uno scarso impatto sulla funzione visiva del soggetto e tendono a diminuire con l’età,

fino, in alcuni casi, alla regressione completa (Gelatt et al., 2013). Ciononostante, alle volte i

cambiamenti a carico della lente sono tali da richiederne la rimozione chirurgica (Gelatt et al.,

2013). Conoscendo la possibilità dell’insorgenza di una cataratta nutrizionale, è fondamentale

alimentare i cuccioli che ne hanno necessità con un latte artificiale di alta qualità (Gelatt et al.,

2013).

3.2.5 Cataratta tossica La cataratta tossica è un tipo di cataratta particolarmente studiata ai fini della

sperimentazione farmacologica (Peruccio, 1987; Gelatt et al., 2013). La localizzazione iniziale

dell’opacità dipende dal tipo di agente tossico in causa, ma si manifesta spesso in sede

corticale anteriore e posteriore, vicino all’equatore, o a carico delle linee di suture. Non di

rado sono presenti vacuoli, i quali possono, alle volte, scomparire in caso si sospenda la

somministrazione dell’agente tossico (Heywood, 1971; Eagle et Spencer, 1995). Il processo

patogenetico alla base della cataratta tossica è strettamente legato alla tipologia di agente

tossico responsabile, anche se un’alterazione a carico della pompa ATPase Na +/K +, uno

squilibrio osmotico, o ancora un aumento della permeabilità di membrana rappresentano le

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alterazioni più frequenti a carico della lente (Gelatt et al, 2013). Tra i farmaci che possono

indurre la formazione di una cataratta figurano il chetoconazolo (il quale può indurre una

cataratta quando somministrato ai cuccioli a dosi elevate, oltre i 10 mg/kg sotto cute) (Costa

et al.,1996), e il Dimethyl sulfoxide (DMSO) (Rubin & Mattis, 1966). In particolare la

somministrazione prolungata per via orale di quest’ultimo a un dosaggio di 2,5-40 g/kg

determina cambiamenti a livello della lente con un meccanismo patogenetico ancora

sconosciuto (Gelatt et al, 2013). Infine, si ipotizza che il rilascio di metaboliti tossici, dovuto

alla degenerazione dei fotorecettori, in corso di atrofia progressiva della retina, possa essere

una causa biologica di cataratta tossica (Gelatt et al, 2013; Mancuso & Hendrix, 2016), come

già descritto precedentemente.

3.2.6 Cataratta senile La cataratta senile è molto frequente nel cane, nel quale l’età di insorgenza varia a seconda

della razza (Gelatt et al., 2013). Generalmente si considera che la cataratta sia senile quando

l’animale di grossa taglia ha raggiunto i sei anni di età, o i dieci anni di età se di taglia piccola.

Inoltre, la diagnosi di cataratta senile è certa se, al momento della visita clinica, è possibile

escludere altre possibili cause di cataratta (Peruccio, 1987; Gelatt et al., 2013).

Si distinguono varie forme di cataratte senile: la cataratta senile nucleare, la cataratta senile

corticale, o una combinazione di esse (Peruccio, 1987). La prima si presenta inizialmente con

delle opacità puntate o lineari a carico del nucleo, che possono evolvere in una vera e propria

opacità nucleare. Di solito, questo tipo di cataratta deriva dalla progressione della

nucleosclerosi, o insorge in maniera concomitante ad essa (Peruccio, 1987). La cataratta senile

corticale consegue invece all’idratazione della corticale, che determina la formazione di

vacuoli sottocapsulari e spazi raggiati ripieni di fluido. Successivamente si sviluppano delle

opacità lineari parallele, che provocano una separazione lamellare della corticale. Infine, negli

stadi più avanzati, la corticale presenta un'opacità cuneiforme, che dall’equatore si estende

verso il nucleo della lente (Peruccio, 1987).

Il processo patogenetico alla base della cataratta senile è attualmente sconosciuto (Gelatt et

al, 2013), ma si ipotizza che l’insorgenza di questa patologia sia il risultato dell'azione dei danni

ossidativi a carico della lente (Gelatt et al., 2013). Nonostante il cristallino possegga vari

meccanismi per limitare l'impatto di agenti tossici o ossidanti, come ad esempio la bassa

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tensione di ossigeno, alti livelli di agenti antiossidanti e proteine, con funzione chaperon come

la α-cristallina (la quale permette di evitare la formazione di complessi lattiginosi) (Gould,

2017), una diminuzione funzionale di questi meccanismi può portare all’aumento dei danni

ossidativi e conseguentemente all’insorgenza della cataratta senile (Gould,2017).

Ai fini della diagnosi sono presi in considerazione il segnalamento (con particolare interesse

all’età del soggetto e alla razza), l’anamnesi e l’esame oculistico (Peruccio, 1987). Per una

descrizione più dettagliata di quest’ultimo si rimanda al capitolo 2.

In caso di cataratta senile nucleare, la terapia chirurgica non ha un campo di applicazione utile,

mentre il trattamento medico non svolge alcuna funzione terapeutica se la forma non è

evolutiva (Peruccio, 1987). Alle volte, in assenza di controindicazioni (come il glaucoma o la

predisposizione alla lussazione del cristallino), è possibile somministrare al paziente un agente

midriatico per migliorare la sua funzione visiva (Peruccio, 1987).

Per quello che riguarda la cataratta senile corticale, la terapia medica deve essere eseguita

soprattutto nelle fasi iniziali, con lo scopo di rallentarne l’evoluzione (Peruccio, 1987). Possono

essere utilizzati degli integratori a base di sali inorganici, estratti di prodotti naturali,

supplementi nutrizionali, antinfiammatori non steroidei e antiossidanti, come selenio,

vitamina E, superossido dismutasi (SOD), N-acetylcarnosina, e zincocitrato (Kador, 1983;

Williams & Munday, 2006; Davidson & Nelms, 2007).

Solitamente la cataratta senile è a lenta evoluzione e impiega mesi o anni per determinare

alterazioni significative a carico della funzione visiva (Gelatt et al., 2013). Nello specifico, la

cataratta senile nucleare può diventare più opaca con l’avanzare del tempo, ma non sempre

si estende alla corticale (Peruccio, 1987). Relativamente alla funzione visiva del paziente

affetto da cataratta senile nucleare, la prognosi può essere considerata favorevole nelle forme

iniziali, mentre è riservata nelle forme più avanzate. Al contrario, la cataratta senile corticale

ha una progressione generalmente più rapida e la prognosi per la funzione visiva è da

considerarsi sempre riservata (Peruccio, 1987).

3.3 Cause di cataratta nel cane: studi di prevalenza riportati in letteratura

In Francia, uno studio retrospettivo, svolto presso il reparto di oftamologia del 'Ecole

Nationale Vétérinaire' d'Alfort, ha valutato l’epidemiologia e la presentazione clinica della

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cataratta in una popolazione canina (Donzel et al., 2017). In questo lavoro, l’eziologia della

malattia è stata descritta per ogni soggetto. Per ciascuna tipologia di cataratta sono stati

considerati: il segnalamento, l’anamnesi, l’età d’insorgenza della patologia, la localizzazione

dell’opacità ed eventuali lesioni oculari associate. I cani esaminati, dal 2009 al 2012, sono stati

in totale 2739, fra i quali 403 risultavano clinicamente affetti da cataratta (14.7 % dei cani

visitati). Il 77.41 % dei casi affetti presentava una cataratta bilaterale, mentre il 22.08 % una

cataratta monolaterale (non è stato possibile stabilire la bilateralità/monolateralità

dell’opacità per tre soggetti) (Donzel et al., 2017). I vari stadi evolutivi della cataratta erano

rappresentati da cataratta incipiente (12%), immatura (36%), matura (21%) e ipermatura

(16%) (Donzel et al., 2017). Nel 15% dei casi questo dato non era riportato nelle cartelle

cliniche. Relativamente all'eziologia, le principali tipologie di cataratta emerse in questo studio

sono state: ereditaria (28%), senile (23%), secondaria a atrofia progressiva della retina (12%),

congenita (5%), diabetica (5%), traumatica (4%), secondaria ad uveite (3%) e ipocalcemica

(0,2%). Tuttavia, non è stato possibile stabilire l’eziopatogenesi della malattia per il 20 % dei

casi (Donzel et al., 2017).

3.3.1 Presentazioni cliniche della cataratta nel cane Nello stesso studio clinico condotto in Francia, presso l'istituto Ecole Nationale Vétérinaire

d'Alfort, la cataratta congenita era presente in 20 cani fra i quali 7 femmine (35%) e 13 maschi

(65%). L’età media dei soggetti colpiti era di 2.5 ± 3.2 anni. Il numero totale era di 12 cani

appartenenti a razze diverse, mentre 3 cani soltanto erano meticci. La cataratta era bilaterale

in 15 casi (75%) e monolaterale in 5 casi (25%). La cataratta era incipiente in 7 casi, immatura

in 12 casi e matura in solo 2 casi (Donzel et al., 2017).

La cataratta metabolica era prevalentemente di natura diabetica, seguita dalla cataratta

ipocalcemica (Donzel et al., 2017). Per quanto riguarda la cataratta diabetica, questa è stata

riportata complessivamente in 19 cani, rappresentati da 13 femmine (68.5%) e 6 maschi

(31.5%). L’età media di insorgenza era di 10 ± 2.2 anni (Donzel et al., 2017). Undici razze sono

risultate affette; lo Yorkshire Terrier è stata la razza maggiormente affetta da cataratta

diabetica (3 casi), mentre un solo soggetto, per ciascuna delle altre razze, ha riportato

clinicamente la malattia. L’opacizzazione della lente è risultata inoltre a carattere bilaterale in

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tutti i soggetti colpiti, e prevalentemente matura (13 casi), immatura (4 casi) e ipermatura (1

caso). Lo stadio evolutivo non è stato indicato per un singolo soggetto.

Per quanto riguarda, invece, la cataratta ipocalcemica, questa è stata riportata in un solo caso

clinico (Donzel et al., 2017).

La cataratta secondaria ad uveite è stata diagnosticata in 12 pazienti, di cui 8 maschi (66.6%)

e 4 femmine (33.3%). L’età media dei soggetti colpiti era di 8.7 ± 3.9 anni. Otto cani di razza e

un cane meticcio sono risultati colpiti dalla patologia. Inoltre, la cataratta era monolaterale in

tutti i soggetti, e lo stadio evolutivo ha classificato le cataratte come mature in 6 casi e

ipermature in 5 casi, rimanendo tuttavia sconosciuto in un singolo caso clinico (Donzel et al.,

2017).

Cinquanta cani in totale sono risultati affetti da cataratta secondaria associata a PRA, con una

distribuzione equa fra maschi e femmine (Donzel et al., 2017). Nel 90% (45 casi) la cataratta

era bilaterale, mentre nel 10% (5 casi) era monolaterale. Inoltre sono stati registrati tutti gli

stadi evolutivi: inicipiente (7 casi), immatura (43 casi), matura (10 casi) e ipermatura (24 casi).

Il Labrador Retriever (19 casi), il Barboncino Nano (14 casi) e l’English Cocker Spaniel (5 casi)

sono state le razze più colpite (Donzel et al., 2017).

Relativamente alla cataratta traumatica, questa è stata riportata in 15 casi, di cui 5 femmine

(33.3%) e 10 maschi (66.6%). La patologia era secondaria a un trauma ottuso in 14 casi, mentre

un solo soggetto è stato vittima di un trauma da infissione (Donzel et al., 2017). Dei 15 pazienti

affetti, 3 erano meticci e l’età media dei soggetti era di 6,6 ± 4,4 anni. Data l'eziologia della

cataratta, nei casi clinici esaminati essa ha rivelato in tutti i pazienti un carattere monolaterale

e stadi evolutivi particolarmente variabili (incipiente, immatura, matura e ipermatura) (Donzel

et al., 2017).

La cataratta senile ha coinvolto ben 92 cani, dei quali 43 erano femmine (46.8%) e 48 erano

maschi (52.2%). Fra le 26 razze canine più colpite, il Barboncino nano, lo Yorkshire Terrier e lo

Shi Tzu sono state quelle più rappresentate (Donzel et al., 2017). La cataratta era bilaterale

nel 89,1% (82 casi) e monolaterale nel 9.8% (9 casi). Gli stadi evolutivi riscontrati sono stati:

cataratta incipiente, immatura, matura e ipermatura.

Infine, l’eziologia è rimasta sconosciuta per 82 casi (45.1 % di femmine e 54.8% di maschi), fra

i quali, 44 erano affetti da cataratta bilaterale (51.2%) e 37 da cataratta monolaterale (45.1%)

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(per uno dei casi questo dato non è stato riportato). In questi pazienti sono stati riscontrate

cataratte a vari stadi evolutivi e a differente localizzazione (Donzel et al., 2017).

3.3.2 La cataratta nelle razze canine di piccola taglia Un'ulteriore indagine clinica retrospettiva, condotta tra luglio 2002 e dicembre 2007, presso

il dipartimento di oftalmologia e chirurgia veterinaria dell’ospedale veterinario della Seoul

Nationale University, ha analizzato le manifestazioni cliniche della cataratta nei cani di piccola

taglia. Per ogni animale affetto da cataratta e visitato nella suddetta struttura, sono stati

descritti:

- il motivo della visita;

- la razza e il sesso maggiormente colpiti da cataratta;

- l’età media di insorgenza della patologia;

- gli stadi evolutivi della cataratta;

- il carattere bilaterale dell’opacità;

- le varie etiologie osservate (Park et al., 2009).

Fra tutti i cani presentati presso il dipartimento di chirurgia e oftalmologia veterinaria

dell’ospedale veterinario della Seoul Nationale University, 561 cani di razza di piccola taglia

risultavano clinicamente affetti da cataratta (5.4% dei cani visitati) (Park et al., 2009). Tra

questi il 51.51% dei cani presentati, è stato riferito dal veterinario di fiducia, per

confermare o meno la diagnosi di cataratta, il 27.45% è stato presentato per la presenza

di un’opacità oculare, e l’8.37% è stato visitato per un’anamnesi di deficit visivo (Park et

al., 2009). I due stadi evolutivi più frequentemente riscontrati sono stati: la cataratta

incipiente (35%), immatura (20%), matura (32%) e ipermatura (13%), e per quanto

riguarda l'eziologia, sono state diagnosticate: la cataratta ereditaria (57%), senile (25%),

secondaria a atrofia progressiva della retina (8%), secondaria a diabete mellito (7%) e

traumatica (3%) (Park et al., 2009).

3.3.3 Cataratta ereditaria: le razze canine prevalentemente affette A Rio di Janeiro, in uno studio svolto presso il reparto di oftalmologia della Policlìnica

Veterinària Botafago, sono state descritte le razze più comunemente colpite da cataratta

diagnosticata come ereditaria. In questo studio il 9% dei soggetti visitati è risultato affetto.

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Le cinque razze prevalentemente colpite erano il Bichon Frisé (33.3%), il Barboncino Nano

(13.8%), il Cocker Spaniel (7.8%), lo Schnauzer (11%) e lo Yorkshire Terrier (4.4%) (Baumworcel

et al., 2009).

In questo studio, l’alta prevalenza della cataratta riscontrata in determinate razze canine è

stata imputata all’eccessivo inbreeding (Baumworcel et al., 2009). In particolare, il Barboncino

Nano è una delle razze canine più diffuse a Rio de Janeiro e risulta pertanto la razza più

frequentemente riscontrata durante la pratica clinica eseguita presso strutture sanitarie

presenti sul territorio brasiliano (Baumworcel et al., 2009). L’alta prevalenza della patologia in

specifiche razze, suggerisce una predisposizione delle stesse a sviluppare una cataratta

ereditaria e la razza maggiormente colpita è stata proprio il Barboncino Nano (Baumworcel et

al., 2009).

In America del Nord, un'indagine clinica volta a determinare la prevalenza della cataratta

primaria nel cane, è stata condotta presso il College of Veterinary Medicine dell’University of

Florida. Questo lavoro ha permesso di stimare la prevalenza di cataratta in una popolazione

canina in America del Nord, presentata tra 1964 e 2003 (Gelatt & Mackay, 2005). In questo

studio 39 229 cani sono stati visitati presso la suddetta struttura e, durante il periodo di

osservazione, la prevalenza della cataratta nei cani visitati è aumentata del 255% (Gelatt &

Mackay, 2005). Complessivamente, sono state esaminate 59 razze canine. Fra esse, le razze

prevalentemente colpite sono risultate il Fox Terrier a pelo liscio (11.70%), l’Havanese

(11.57%), il Bichon Frise (11.45%), il Boston Terrier (11.11%), il Barboncino Nano (10.79%),

l’American Cocker Spaniel (8.77%), il Barboncino (7.00%) e lo Schnauzer Nano (4.98%) (Gelatt

& MacKay, 2005). Inoltre, i dati ottenuti mediante lo studio clinico, hanno confermato che la

cataratta ereditaria è la patologia più frequentemente riscontrata in America del Nord, e

strettamente legata alla razza e all’età del soggetto (Gelatt & MacKay, 2005)

Nello Studio svolto alla Ecole Nationale Vétérinarie d'Alfort, il 28% dei cani affetti di cataratta

erano probabilmente colpiti da cataratta ereditaria. Fra essi il 15,3% apparteneva ad una razza

di piccola taglia, l’11,4% a una razza di taglia media o grande e il 1,2% dei cani erano dei meticci

(Donzel et al., 2017). In particolare, le razze prevalentemente affette da cataratta ereditaria

sono state: il Jack Russel Terrier, lo Yorkshire Terrier, il Cocker Spaniel, il Labardor Retriever,

Barboncino Nano, il Cocker Spaniel Americano, il Maltese, il Pinscher nano e il Bouledogue

francese.

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Le razze di piccola taglia presentate nello Studio della Seoul Nationale University che risultano

prevalentemente affette da cataratta ereditaria, sospetta o confermata dalla genetics

committee of the American College of veterinary Ophthalmologists (Davilson & Nelms, 2007;

Genetics Committee of the American College of Veterinary Ophthalmologists, 2006) sono

state: il Barboncino nano (20%), lo Yorkshire Terrier (19.6%), lo Shih Tzu (16.9%) e il Maltese

(15.2%) (Park et al., 2009).

3.3.4 Età di insorgenza della cataratta ereditaria Secondo lo studio del College of Veterinary dell’University of Florida, l’età d’insorgenza della

cataratta ereditaria è variabile e correlata alla razza (Gelatt & Mackay, 2005). Per la maggior

parte delle razze canine prese in esame nel sudetto tudio, le fasce di età maggiormente a

rischio di sviluppo di cataratta erano quelle tra 4-7 anni, 7-10 anni e 10-15 anni di età (Gelatt

& Mackay, 2005). L’insorgenza della patologia entro il primo e il secondo anno di vita è

risultato poco frequente, e si è dimostrato rilevante solo nel Siberian Husky (Gelatt & Mackay,

2005). Nel American Cocker Spaniel, nel Bichon Frise e nel Chinese Crested, i soggetti erano

più colpiti ad un’età compresa tra 4-7 anni (Gelatt & MacKay, 2005). Le razze con un picco di

prevalenza tra i 7-10 anni sono state rappresentate da: Griffone di Bruxelles, il Chesapeake

Bay Retiever, l’English Cocker Spaniel, l’Havanese, il Toy Manhester Terrier, il Norwich Terrier,

lo Schnauzer e il Tibetan Terrier. Infine, i soggetti prevalentemente colpiti da cataratta ad

un’età compresa tra i 10-15 anni appartenevano alle razze: spitz Americano, Australian Cattle

Dog, Pastore Australiano, Australian Terrier, Bedlington Terrier, Border Collie, Boston Terrier,

Griffone di Bruxelles, Cavalier King Charles Spaniel, Chihuahua, English Springer Spaniel, Spitz

Finnico, Fox Terrier a pelo ruvido, Levriero Italiano, Jack Russel Terrier, Japanese Chin,

Barboncino Nano, Schnauzer Miniature e Welsh Springer Spaniel.

Tuttavia, in questo studio nel Pastore Australiano, nel Bedlington Terrier, nel Golden

Retriever, nel English Cocker Spaniel e nel Welsh Corgi l’insorgenza della cataratta non è

risultata significativamente legata all’età del soggetto (Gelatt & MacKay, 2005).

Nello studio condotto presso la Ecole Nationale Vétérinaire d’Alfort, l’età media di insorgenza

della cataratta ereditaria è stata di: 5.2 ± 3 anni nel Jack Russel Terrier, 5.5 ± 3.2 nel Labrador

retriever, 6.7 ± 3.1 anni nel English Cocker Spaniel, 7.4 ± 2.4 anni nello Yorkshire Terrier, 8 ±

4.4 anni nel Maltese, 10,3 ± 2.3 nel Barboncino Nano e (Donzel et al., 2017).

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Nello studio coreano l’età media di insorgenza della cataratta per il Barboncino Nano era di

9.5 ± 3.5 anni, e quella dello Yorkshire Terrier di 9.5 ± 3,1 anni. Queste due razze presentavano

un’età d’insorgenza più tardiva rispetto alle altre razze. Al contrario il Miniature Schnauzer è

risultata essere la razza più precocemente colpita con un’età media di 5.4 ± 3.2 (Park et al.,

2009).

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CAPITOLO 4: ESPERIENZA PERSONALE

4.1 Introduzione

La cataratta rappresenta una delle principali cause di cecità nella specie canina, classificata in

funzione delle varie eziologie e forme nelle quali si manifesta. La compromissione della

funzione visiva, conseguente alla cataratta, risulta variabile nel soggetto malato e determina

frequentemente un peggioramento della qualità di vita, con potenziali condizioni di stress e

alterazioni comportamentali quali paura e/o aggressività. Nel cane la selezione di particolari

standard di razza ha inoltre contribuito a incrementare la prevalenza di determinate tipologie

di cataratta che conseguentemente si riscontrano con percentuali variabili in determinate

razze rispetto ad altre.

Il presente studio si propone di:

- Individuare la prevalenza delle varie eziologie della cataratta nel cane;

- determinare la frequenza della patologia nelle diverse razze canine;

- stabilire gli ostacoli alla diagnosi certa della patologia e riportare i casi di cataratta a

eziologia dubbia;

- evidenziare eventuali patologie oculari associate e le complicazioni oculari più

frequenti conseguenti alla cataratta.

4.2 Materiali e metodi

I casi clinici presenti in questo studio retrospettivo sono pervenuti presso l’Ospedale Didattico

Veterinario "Mario Modenato" del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa,

nel periodo compreso tra il I gennaio 2012 e il 31 dicembre 2016 (60 mesi).

4.2.1 Raccolta dei dati Per ogni caso clinico è stato preso in considerazione:

- il segnalamento (razza, età e sesso);

- il motivo della visita;

- l’anamnesi (patologie oculari e/o sistemiche concomitanti);

- il carattere monolaterale o bilaterale della patologia;

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- lo stadio evolutivo;

-la localizzazione della cataratta;

- l’eziologia della cataratta.

I dati relativi a ciascun paziente sono stati reperiti per mezzo del software FileMarkerPro-

[Ociroe-2010] dal database utilizzato all'interno della struttura.

I dati raccolti sono stati classificati a seconda dell’eziologia della cataratta in una tabella

formato Excel. Per ogni eziologia, i soggetti affetti, appartenenti a differenti razze canine, sono

stati raggruppati per evidenziare un’eventuale predisposizione razziale nello sviluppare una

specifica tipologia di cataratta.

Le varie tipologie di lesione sono state classificate in tre gruppi principali:

i) cataratta primaria

ii) cataratta secondaria

iii) cataratta ad eziologia dubbia.

Nel primo gruppo sono state incluse la cataratta ereditaria e quella congenita. In particolare,

dopo avere escluso qualsiasi altra eziopatogenesi possibile di cataratta, la lesione è stata

considerata di tipo ereditario nei cani giovani o di media età, relativamente alla razza di

appartenenza, alle modalità d’insorgenza, alla sua localizzazione e al suo grado di

progressione.

La cataratta congenita, è stata considerata tale nell’eventualità in cui l’opacità fosse presente

sin dalla nascita o in soggetti particolarmente giovani, ponendo particolare attenzione alla

monolateralità/bilateralità della lesione, alla localizzazione, e alla presenza di anomalie oculari

associate (microftalmia, displasia retinica, lenticono/lentiglobo, microfachia), o alla

persistenza di strutture embrionarie (PPM, PHA, PHTVL/PHPV, PHPV).

Nel secondo gruppo sono state incluse le seguenti tipologie di cataratta:

-secondaria a PRA;

- senile;

-diabetica;

-traumatica;

-secondaria ad uveite.

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61

L’atrofia progressiva della retina (PRA) è stata diagnosticata tramite l’osservazione del fondo

dell’occhio, nel quale si riportavano clinicamente i segni di una degenerazione retinica come

un’alterazione del riflesso tappetale nei settori periferici, una riduzione di calibro dei vasi

retinici più o meno marcata, una diffusa iper-riflettività tappetale, un’alterazione della

pigmentazione nell'area non-tappetale, un’atrofia e demielinizzazione della papilla ottica. Nei

casi in cui una diffusa opacità della lente impediva la visualizzazione del fondo oculare, la PRA

è stata diagnosticata per mezzo di una elettroretinografia (ERG).

Nella diagnosi di cataratta senile sono stati inclusi (dopo avere escluso tutte le altre possibili

cause) tutti i soggetti di grossa taglia con età superiore ai 6 anni, e i soggetti di taglia piccola

con più di 10 anni di età.

La cataratta diabetica è stata considerata per i pazienti che presentavano segni oculistici tipici

della patologia, come ad esempio una cataratta bilaterale a rapida evoluzione, concomitante

o meno ad uveite facolitica e/o riduzione della quantità/qualità del film lacrimale. In aggiunta,

sono stati considerati i segni clinici sistemici frequenti della malattia, come ad esempio la

poliurira e la polidispsia, la polifagia e l’affaticamento. La patologia è stata confermata

soltanto dopo l’esecuzione di esami del sangue, in particolare dopo la misurazione della

glicemia e della fruttosamina. Nel caso in cui i profili ematobiochimici dei pazienti siano stati

effettuati presso strutture veterinarie esterne, essi non sono stati ripetuti ma analizzati al

momento della visita oculistica.

La cataratta traumatica è stata diagnosticata dopo un’anamnesi di trauma facciale e/o

oculare, un esame oculistico approfondito e dopo l'esclusione di altre eventuali eziologie

possibili.

La cataratta secondaria ad uveite è stata diagnosticata quando era possibile stabilire un ordine

cronologico dell’insorgenza delle due patologie oculari, con comparsa dapprima dell’uveite e

in seguito della cataratta.

Infine, nel terzo gruppo sono state comprese tutte le cataratte a eziologia dubbia, a loro volta

classificate in due sottogruppi:

i) ad eziologia dubbia tra cataratta primaria e secondaria;

ii) ad eziologia dubbia tra i vari tipi di cataratta secondaria.

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4.2.2 visita oculistica La visita oculistica è stata condotta seguendo la medesima procedura per ogni paziente. In

seguito al segnalamento e alla raccolta dell'anamnesi e del motivo della visita, il soggetto è

stato lasciato libero di muoversi in ambulatorio, sottoponendolo eventualmente a un percorso

"ad ostacoli" (Maze test), nelle diverse condizioni di luce, al fine di valutare se la capacità visiva

del paziente, fosse tale da consentirgli di evitare gli impedimenti fisici collocati in sala.

In seguito al posizionamento del soggetto su di un tavolo ambulatoriale, è stato possibile

procedere con un esame globale della testa e dei bulbi oculari, per valutarne simmetria e

dimensione, il corretto posizionamento nell’orbita, e il movimento.

Analogamente, sono stati esaminati per ciascun occhio gli annessi oculari; talvolta veniva

evidenziata la presenza di scolo oculare, e, in questa eventualità, ne venivano definite le

caratteristiche. Nei casi in cui l’occhio presentava congiuntiviti, cheratiti o risultava

particolarmente secco, veniva inoltre eseguito il Test di Schirmer (Dina strip Schirmer-Plus®,

GECIS sarl, France) per valutare la produzione del film lacrimale. Le strisce di carta bibula

graduate, una volta inserite all'interno del fornice congiuntivale inferiore, venivano lasciate in

situ per un minuto; quindi si stimava il valore di produzione lacrimale corrispondente alla

porzione di carta impregnata di liquido lacrimale sapendo che il valore normale nel cane è

compreso tra i 15 e 25 mm/min (Adkins & Hendrix, 2003).

Successivamente è stata evocata la risposta alla reazione di minaccia, seguita dalla valutazione

dei riflessi palpebrale, corneale, pupillare diretto e consensuale e all’abbagliamento.

In seguito, è stata esaminato il settore anteriore dell’occhio tramite una lampada a fessura

portatile a ingrandimento (Kowa SL-14, Kowa Company, Tokio, Japan) con fasci di luce più o

meno focalizzati. Quest’ultima procedura permetteva di visualizzare le lesioni oculari e di

evidenziare la presenza di eventuali complicazioni legate alla cataratta, come il glaucoma o

l’instabilità della lente, i quali avrebbero reso impossibile l’induzione farmacologica della

midriasi, indispensabile per una valutazione completa del cristallino.

La pressione intraoculare (IOP) è stata misurata mediante tonometria ad applanazione

(Tonopen-XL; Mentor, MA, USA), previa instillazione di un agente anestetico topico,

l'oxibuprocaina cloridrato 4mg/ml (Benoxinato cloridrato Intes; Alfa Intes Industria

Terapeutica Splendore Srl, Italia).

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63

Dopo avere eseguito le suddette valutazioni e in assenza di controindicazioni, è stata indotta

la midriasi tramite la somministrazione, in ciascun occhio, di una goccia di agente midriatico a

breve durata: la tropicamide collirio 10mg/ml (Visumidriatic® 1%, Visufarma Srl, Italia). A

questo punto della visita oftalmologica, la lente è stata osservata tramite lampada a fessura,

la quale ha permesso di stabilire l’intensità, la localizzazione e l’estensione dell’opacità quando

presente, oltre a stabilire le caratteristiche strutturali della capsula. Grazie all'utilizzo del

transilluminatore di Finoff, è stato inoltre possibile evidenziare eventuali opacità, e

visualizzare l’intensità del riflesso tappetale.

Infine, il fondo oculare è stato osservato grazie all’ausilio di un oftalmoscopio indiretto

binoculare (Omega 180, Heine, Berlin, Germany), con lenti a ingrandimento di 20D, 30D e 40D,

a seconda dei casi clinici. Mediante la visualizzazione del fondo oculare è stato possibile, ove

consentito, stabilire la presenza di eventuali patologie retiniche associate alla cataratta come

l’atrofia progressiva della retina (PRA). Nei casi in cui, si sospettava una cataratta secondaria

associata a PRA e l’opacità marcata della lente impediva la visualizzazione del fondo oculare è

stata proposta ai proprietari l’esecuzione di un’elettroretinografia (MOD BM 623 HC4 SN

10008 Biomedica Mangoni), in sedazione, per verificare la funzionalità retinica dei pazienti

oltre ad un esame ecografico oculare, al fine di rilevare eventuali alterazioni oculari associate

(quali la rottura o la sublussazione/lussazione della lente, la degenerazione vitreale, la

persistenza delle strutture embrionarie o il distacco di retina). Tuttavia, questi ultimi esami

specialistici, fondamentali in previsione di un eventuale trattamento chirurgico della cataratta,

oltreché utili ai fini della sua classificazione eziologica, non sono stati sempre eseguiti a causa

della mancata autorizzazione all'esecuzione da parte dei proprietari. In questi casi infatti, la

cataratta è stata inserita nel gruppo della cataratta ad eziologia dubbia.

4.2.3 Analisi statistica Per ogni tipologia di cataratta, sono stati calcolati il numero dei soggetti affetti e le percentuali

relative alle razze canine coinvolte, mediante foglio di calcolo Excel. Nell'ambito di ogni singola

tipologia di cataratta, sono stati valutati il numero dei soggetti maschili e femminili colpiti e

inclusi nel calcolo indici statistici, quali media e mediana, relativamente all'età dei pazienti

affetti.

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4.3 Risultati Dal 1 gennaio 2012 al 31 dicembre 2016, presso l’ambulatorio di Oftalmologia dell’Ospedale

Didattico Veterinario "Mario Modenato" del Dipartimento di Scienze Veterinarie

dell’università di Pisa, sono stati esaminati 1062 cani. Fra essi, 174 soggetti sono risultati affetti

da cataratta, ovvero il 16,38% del totale dei cani visitati durante il suddetto periodo.

Nello specifico, la popolazione di cani affetti da cataratta ha incluso 132 cani di razza (37 razze)

e 42 meticci. Le razze prevalentemente colpite sono riportate in tabella 1.

Trentuno dei pazienti affetti, pervenuti presso l'Ospedale Didattico Veterinario "Mario

Modenato" di Pisa, sono stati riferiti dal proprio veterinario per:

▪ conferma di diagnosi di cataratta (25 soggetti);

▪ l’esecuzione di una elettroretinografia, in seguito ad una precedente diagnosi di

cataratta (5 soggetti);

▪ insorgenza di un’uveite, quale motivo della visita (1 soggetto).

Relativamente agli altri pazienti:

- 19 soggetti sono pervenuti a visita specialistica a causa della comparsa di opacità del

cristallino riportate dai rispettivi proprietari;

- 17 sono stati i casi clinici presentati spontaneamente dal proprietario per deficit visivo;

- 14 pazienti sono stati sottoposti a visita oculistica ufficiale FSA (Fondazione Salute

Animale) per escludere eventuali oculopatie ereditarie nei riproduttori;

- 6 sono stati i casi clinici presentati spontaneamente dal proprietario per deficit visivo

associato a opacità della lente;

- 5 sono stati i soggetti visitati a causa di esiti di traumi ottusi oculari o facciali;

- 4 casi clinici sono stati esaminati in seguito a danni oculari da trauma da infissione;

- 3 pazienti sono stati presentati alla visita per l'insorgenza di affezioni oftalmiche varie,

differenti dalla cataratta;

- La mancanza di dati presenti nella cartella clinica, non ha permesso la stima del motivo

della visita per 75 pazienti.

La popolazione canina colpita da cataratta a eziologia varia era costituita complessivamente

da 92 maschi e 82 femmine (61 femmine intere e 21 femmine sterilizzate). L’età media dei

cani malati era di 80,22 mesi (intervallo: 2 mesi-204mesi) con mediana di 84 mesi.

La patologia è risultata bilaterale in 126 casi e monolaterale in 48 casi.

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Il numero totale di occhi affetti è stato calcolato sulla base della totalità delle diagnosi

formulate (300 occhi). I vari stadi evolutivi riscontrati sono stati: incipiente (49 occhi),

immatura (51 occhi), matura (64 occhi), ipermatura (9 occhi) e in fase di riassorbimento (3

occhi). La mancanza dei dati presenti nella cartella clinica, non ha permesso la stima dello

stadio evolutivo per alcuni pazienti (124 occhi).

Il 37% dei casi è stato colpito da

cataratta primaria, il 46% dei casi da

cataratta secondaria mentre per il

17% dei casi non è stato possibile

stabilire con certezza l’eziologia, la

quale è stata quindi, classificata

come dubbia (figura 4.1).

Nello specifico, la tipologia di

cataratta più diffusa riscontrata nel

presente studio clinico è stata la

cataratta ereditaria (26%); seguita da: cataratta dubbia (17%), cataratta secondaria a PRA

(16%), senile (14%), congenita (11%), diabetica (8%), traumatica (5%) e secondaria ad uveite

(3%) (Figura 4.2).

Fig. 4.1: percentuali relative ai tre gruppi di cataratta nella

popolazione canina studiata.

Fig. 4.2: percentuali relativa ai vari tipi eziologici della cataratta riscontrate durante il periodo di

studio (2012-2016).

37%

46%

17%

Primaria

Secondaria

Dubbia

26%

17%

16%

14%

11%

8%

5%3% Ereditaria

Dubbia

II a PRA

Senile

Congenita

Diabetica

Traumatica

II a Uveite

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Tabella 4.1: Totale delle razze canine affette da cataratta ad eziologia varia (in ordine decrescente sul numero di pazienti affetti).

Razze canine affette N° pazienti

Percentuale

Meticcio Labrador Retriever Barbone Cocker Spaniel

42 16 13 12

24,15% 9,22% 7,48% 6,90%

Jack Russell Terrier 10 5,75% Pinscher 9 5,17% Setter Inglese Cavalier King Charles S. Golden Retriever Shiba Inu Bouledogue Francese Breton Bolognese Carlino Springer Spaniel Yorkshire Terrier Alaskan Malamute Bassotto Beagle Pastore scozzese Volpino Italiano Barbone Barbone Toy Basset Griffon Border Collie Collie Chinese Crested Dog Chihuahua Corso Dobermann Fox Terrier Greyhound Lagotto Levriero Pastore Tedesco Pointer Siberian Husky Setter Irlandese

8 6 6 5 4 4 3 3 3 3 2 2 2 2 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1

4,60% 3,45% 3,45% 2,87% 2,30% 2,30% 1,73% 1,73% 1,73% 1,73% 1,15% 1,15% 1,15% 1,15% 1,15% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57%

Totale 174 100,00%

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4.3.1 Cataratta primaria Nel presente studio clinico, sono stati

colpiti da cataratta primaria 65 pazienti,

di cui 38 maschi e 27 femmine (25 intere

e 2 sterilizzate).

L’età media della popolazione era di 36,3

mesi (2 mesi-96mesi) con mediana di 24

mesi. Il 71% dei casi è risultato affetto da

cataratta ereditaria, mentre il 29% dei

casi da una cataratta congenita (Figura

3). Le razze canine affette da cataratta primaria sono riportate in tabella 4.2.

Tabella 4.2: razze canine affette da cataratta primaria (in ordine decrescente sul numero dei pazienti affetti).

Fig. 3: Nell'ambito della cataratta primaria si riportano le percentuali relative ai pazienti affetti da cataratta ereditaria (71%) e da cataratta congenita (29%).

71%

29%

Catarattaereditaria

Catarattacongenita

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4.3.1.1 Cataratta ereditaria

Sono risultati colpiti da cataratta ereditaria 46 pazienti, di cui 24 maschi e 22 femmine (20

intere e 2 sterilizzate).

L’età media della popolazione era di 42,28 mesi (intervallo: 9-96 mesi) con mediana di 36 mesi.

La lesione si è presentata bilaterale in 31 casi e monolaterale in 15 casi per un totale di 77

occhi affetti.

I vari stadi evolutivi riscontrati sono risultati essere: incipiente (6 occhi), immatura (12 occhi)

e matura (6 occhi).

La cataratta si è manifestata in sede corticale (36 occhi), a carico delle linee di sutura

posteriore (10 occhi), subcapsulare polare posteriore o subcapsulare posteriore (14 occhi),

nucleare (5 occhi), subcapsulare anteriore (1 occhio) e nucleocorticale (1 occhio).

La mancanza di dati presenti nella cartella clinica non ha permesso la stima dello stadio

evolutivo (53 occhi) e della localizzazione (10 occhi) per alcuni pazienti.

Le complicazioni oculari riscontrate, conseguenti alla cataratta, sono state rappresentate da:

due uveite facolitiche bilaterali e 3 monolaterali (7 occhi) e una lussazione della lente

monolaterale (1 occhio).

I numeri relativi alle razze canine prevalentemente affette da cataratta ereditaria sono risultati

i seguenti:

- 7 Labrador Retriever; - 5 Golden Retriever; - 4 Cocker Spaniel; - 4 Jack Russel Terrier; - 3 Bouledogue francese; - 3 Cavalier King Charles Spaniel; - 2 Barboni nani; - 2 Carlini; - 2 Meticci; - 2 Pinscher. - 2 Shiba Inu

Gli altri pazienti affetti (n= 10) appartenevano alle seguenti razze: Alaskan Malamute,

Barbone, Barbone Toy, Basset Griffon, Bolognese, Border Collie, Greyhound, Springer Spaniel,

Setter Inglese e Volpino Italiano (Tabella 4.3).

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Tabella 4.3: razze canine affette da cataratta ereditaria (in ordine decrescente sul numero dei pazienti). Legenda: ON: opacità nucleare; NC: opacità nucleocorticale; OC: opacità corticale; OSP: Opacità subcapsulare posteriore o subcapsulare polare posteriore; OSA: opacità subcapsulare anteriore; LSP: opacità a carico delle linee di suture.

4.3.1.2 Cataratta congenita La cataratta congenita è stata osservata in 19 soggetti. I soggetti di sesso maschile hanno

riportato la patologia in percentuale maggiore rispetto alle femmine (14 maschi e 5 femmine).

L’età media dei soggetti colpiti al momento della diagnosi è stata di 21,86 mesi (intervallo: 2-

72 mesi) con mediana di 12 mesi.

La lesione si è presentata bilateralmente in 18 casi clinici, e monolateralmente in un singolo

paziente, per un totale di 37 occhi affetti.

I vari stadi evolutivi riscontrati sono stati: cataratta incipiente (6 occhi), cataratta immatura (5

occhi), e cataratta matura (10 occhi).

Razze N° pazienti

% Età (mesi) (intervallo)

ON NC OC OSP OSA LSP

Labrador Retriever Golden Retriever Jack Russell Terrier Cocker Spaniel Bouledogue Francese Cavalier King Charles S. Barbone nano Carlino Meticcio Pinscher Shiba Inu Alaskan Malamute Barbone Barbone Toy Basset Griffon Bolognese Border Collie Greyhound Setter Inglese Springer Spaniel Volpino Italiano

7 5 4 4 3 3 2 2 2 2 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1

15,22 10,87 8,70 8,70 6,53 6,53 4,35 4,35 4,35 4,35 4,35 2,17 2,17 2,17 2,17 2,17 2,17 2,17 2,17 2,17 2,17

20,57 (12-

36) 27,6 (12-48) 53,75 (11-

84) 54 (48-60) 32 (12-48) 48 (24-84)

72 (-) 84 (-)

48 (12-84) 36 (12-60)

20,5 (17-24) 9 (-)

60 (-) 48 (-) 84 (-) 24(-) 18 (-) 60 (-) 60 (-) 12 (-) 96 (-)

- - - 5 - - - - - - - - - - - - - - - - -

- - - - - - - - 1 - - - - - - - - - - - -

3 2 7 - 2 6 3 - 3 3 2 2 - 1 - - - 1 - - 1

1 5 - 2 1 - - 1 - - - - 1 - - - - - - 2 1

- - - - - - - - - - - - - - - 1 - - - - -

6 - - 2 - - - - - - - - - - - - 2 - - - -

Totale 46 100,00% 42,28 (9-96) 5 1 36 14 1 10

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La localizzazione della lesione è risultata essere corticale (9 occhi), delle linee di sutura

posteriori (5 occhi), corticale con placoide posteriore (3 occhi), nucleocorticale (2 occhi) e

subcapsulare/capsulare posteriore (2 occhi). In un singolo soggetto, la lesione era bilaterale e

a forma di clessidra, coinvolgendo la capsula e la corticale anteriore, il nucleo e la corticale

posteriore (2 occhi).

La mancanza dei dati presenti nella cartella clinica, non ha permesso la stima dello stadio

evolutivo (16 occhi) e della localizzazione (15 occhi) per alcuni pazienti.

Fra le lesioni oculari associata a cataratta è stata riscontrata un’uveite monolaterale (1 occhio).

Le razze canine prevalentemente affette sono state:

- 3 Labrador Retriever; - 3 Shiba inu; - 2 Jack Russell Terrier; - 2 Pastore Scozzese; - 2 Pinscher.

I restanti pazienti (n=6) appartenevano ciascuno alle seguenti razze: Alasmakan malamute,

Cavalier King Charles Spaniel, Cocker Spaniel, Collie, Dobermann e Golden Retriever (tabella

4). Infine, era presente un meticcio.

Le razze canine affette da cataratta congenita sono riportate in tabella 4.4.

Tabella 4.4: razze canine affette da cataratta congenita (in ordine decrescente sul numero di pazienti).

Razze canine affette N° soggetti

% Età media (intervallo)

Labrador Retriever 3 15,78% 20 (18-24)

Shiba Inu 3 15,78% 2,5 (-)

Jack Russell Terrier 2 10,54% 30 (24-36)

Pastore Scozzese Pinscher Alaskan Malamute Cavalier King Charles S. Cocker Spaniel Collie Dobermann Golden Retriever Meticcio

2 2 1 1 1 1 1 1 1

10,54% 10,54% 5,26% 5,26% 5,26% 5,26% 5,26% 5,26% 5,26%

2 (-) 72 (-) 8 (-)

36 (-) 6 (-) 2 (-)

72 (-) 12 (-) 3 (-)

Totale 19 100%

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In particolare, 7 soggetti presentavano una cataratta bilaterale come segno clinico di anomalie

oculari multiple. Le anomalie oculari riscontrate sono state:

- 6 occhi microftalmici;

- 5 occhi affetti da displasia retinica;

- 3 occhi con lente microfachica;

- 1 occhio con riduzione di spessore della lente e sospetta sublussazione di essa.

L’età media dei soggetti colpiti era di 16,14 mesi (intervallo: 3-36 mesi) con mediana 7 mesi.

I cani di razza prevalentemente affetti appartenevano alle seguenti razze:

- 2 Jack Russell Terrier.

Altri pazienti affetti (n=4) appartenevano alle razze Alaskan Malamute, Cocker Spaniel, Golden

Retriever e Labrador Retriever. Oltre ai cani di razza, un singolo meticcio colpito da cataratta

congenita ha riportato anomalie oculari multiple (Tabella 4.5).

Tabella 4.5: razze canine affette da cataratta come segno clinico di anomalie oculari multiple. Legenda: MO: microftalmia; MF: microfachia; DR: displasia retinica; AFL: alterazione della forma della lente.

Per 9 casi è stata diagnostica una cataratta associata alla persistenza delle strutture

embrionarie:

- due pazienti hanno riportato una persistenza del vitreo primario (PHPV) bilaterale (4 occhi);

- tre pazienti sono risultati affetti da persistenza iperplastica della tunica vasculosa lentis

associata a persistenza del vitreo primario (PHTVL/PHPV), di cui 2 casi bilaterali e un singolo

caso monolaterale (5 occhi);

- quattro pazienti manifestavano PPM iride lente, di cui 3 casi bilaterali e 1 caso monolaterale

(7 occhio).

L’età media dei soggetti colpiti era di 32,83 mesi (intervallo: 2,5-72mesi) con mediana di 54.

Razze N° soggetti

% MO MF DR AFL

Jack Russell Terrier 2 28,55% - 1 - 1 Alaskan Malamute 1 14,29% 2 2 - - Cocker Spaniel Golden Retriever Labrador Retriever Meticci

1 1 1 1

14,29% 14,29% 14,29% 14,29%

2 - - 2

- - - -

- 2 1 2

- - - -

Totale 7 100,00 6 3 5 1

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I cani di razza prevalentemente affetti erano (tabella 4.6):

- 3 Shiba Inu;

- 2 Labrador Retriever;

- 2 Pincher.

Le altre razze colpite (n=2) sono state il Cavalier King Charles Spaniel e il Doberman.

Tabella 4.6: cataratta congenita associata a persistenza delle strutture embrionarie.

Infine, 3 pazienti presentavano una cataratta congenita delle linee di sutura posteriori, la

quale era monolaterale per uno di essi, e bilaterale per gli atri due soggetti (5 occhi).

Tutti e tre i pazienti hanno riportato al momento della visita la stessa età (2 mesi).

La razza canina colpita è risultata le seguenti:

- 3 Pastori scozzesi;

Fra i soggetti affetti da cataratta

congenita, il 37% ha manifestato

la cataratta come segno clinico

di anomalie oculari multiple, il

47% è risultato affetto da

cataratta con persistenza delle

strutture embrionarie e il 16% da

cataratta congenita delle

estremità delle linee di sutura

posteriori (Figura 4.4).

Razze canine affette N° soggetti

Percentuale PHPV PHTVL/PHPV PPM

Shiba Inu Labrador Retriever

3 2

33,33% 22,22%

- 4

- -

6 -

Pinscher 2 22,22% - 3 - Cavalier King Charles S. 1 11,11% - - 1 Dobermann 1

11,11%

- 2 -

Totale 9 100,00% 4 5 7

Fig. 4.4: Percentuali relative alla cataratta congenita riscontrate nel presente studio (2012-2016).

37%

47%

16%

Cataratta congenitae anomalie ocularimultiple

Cataratta congenitae persistenza dellestruttureembrionarie

Cataratta congenitadelle linee di sutureposteriori

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4.3.2 Cataratta secondaria In questo studio sono stati colpiti da cataratta

secondaria 80 soggetti, di cui 40 maschi e 40

femmine (24 femmine intere e 16 femmine

sterilizzate). L’età media della popolazione è

stata di 110,63 mesi (intervallo (12-204 mesi)

con mediana di 120.

Il 34% dei soggetti è risultato affetto da

cataratta secondaria a PRA, il 30% da cataratta

senile, il 17% da cataratta diabetica, l’11% da

cataratta traumatica e l’8% da cataratta

secondaria ad uveite (Figura 4.5).

Le razze canine affette da cataratta secondaria

a eziologie varie sono presentate in tabella 4.7.

Tabella 4.7: Razze canine affette da cataratta secondaria (in ordine decrescente sul numero dei pazienti).

Fig 4.5: Percentuali relative alle varie eziologie di cataratta secondaria riscontrate in questo studio (2012-2016).

Razze canine affette N°

soggetti

Percentuale

Meticcio

28

35%

Barboncino 8 10%

Labrador Retriever 6 7,50%

Cocker Spaniel

Setter Inglese

Breton

Jack Russell Terrier

Yorkshire Terrier

Bassotto

Beagle

Bolognese

Pinscher

Bulldog

Chihuahua

Chinese Crested Dog

Fox terrier

Lagotto

Levriero

Pointer

Setter Irlandese

Springer Spaniel

Siberian Husky

5

5

4

3

3

2

2

2

2

1

1

1

1

1

1

1

1

1

1

6,25%

6,25%

5,00%

3,75%

3,75%

2,50%

2,50%

2,50%

2,50%

1,25%

1,25%

1,25%

1,25%

1,25%

1,25%

1,25%

1,25%

1,25%

1,25%

Totale 80 100,00%

34%

30%

17%

11%

8%

II a PRA

Senile

Diabetica

Traumatica

II a uveite

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4.3.2.1 Cataratta secondaria a atrofia progressiva della retina Ventisette soggetti sono stati colpiti da cataratta secondaria ad atrofia progressiva della retina

(PRA), fra i quali si nota una lieve prevalenza del sesso maschile, con 16 maschi contro 11

femmine (7 femmine intere e 4 femmine sterilizzate), colpiti dalla patologia.

L’età media dei soggetti affetti era di 88,44 mesi (intervallo: 36-132 mesi) con mediana di 84

mesi. La lesione si è presentata bilateralmente in 23 casi clinici, e monolateralmente in 4 casi,

per un totale di 50 occhi affetti. I vari stadi evolutivi riscontrati sono stati: cataratta incipiente

(17 occhi), cataratta immatura (7 occhi), cataratta matura (11 occhi) e cataratta ipermature (3

occhi). La localizzazione della patologia è risultata essere: corticale (18 occhi), subcapsulare

polare posteriore (3 occhi), subcapsulare polare posteriore e corticale (2 occhi), nucleare (1

occhio) e nucleocorticale (1 occhio).

Per alcuni pazienti, la mancanza dei dati presenti nella cartella clinica non ha permesso la stima

dello stadio evolutivo (12 occhi) e della localizzazione (25 occhi).

Un paziente ha presentato una lussazione anteriore e monolaterale della lente, quale

complicazione della patologia.

La cataratta secondaria a PRA è stata riscontrata nelle seguenti razze canine:

- 7 Meticci; - 5 Barboncino; - 5 Cocker Spaniel; - 5 Labrador Retriever; - 2 Yorkshire Terrier

Le altre razze colpite sono state: il Chinese Crested Dog, il Jack Russel Terrier, e il Setter

Irlandese. L’insieme delle razze colpite sono presentate in tabella 4.8.

Tabella 4.8: razze canine affette da cataratta secondaria a PRA (in ordine decrescente sul numero dei pazienti).

Razze canine affette N° soggetti Percentuale Età media

Meticcio 7 25,93% 85,71 (48-120) Barboncino 5 18,52% 93,6 (72-132) Cocker Spaniel 5 18,52% 110,4 (72-132) Labrador Retriever Yorkshire Terrier Chinested Crested Dog Jack Russell Terrier Setter Irlandese

5 2 1 1 1

18,52% 7,41% 3,70% 3,70% 3,70%

93,6 (36-120) 78 (60-96)

72 (-) 36 (-) 36 (-)

Totale 27 100,00% 88,44 (36-132)

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4.3.2.2 Cataratta senile Ventiquattro cani hanno manifestato una cataratta senile, con una lieve prevalenza negli

individui di sesso femminile (15 femmine di cui 6 sterilizzate e 9 maschi).

L’età media dei soggetti colpiti era di 151 mesi (intervallo: 108-204 mesi) e mediana di 144

mesi.

La patologia si è manifestata a carattere bilaterale in 19 casi e monolaterale in 5 casi, per un

totale di 43 occhi affetti.

I vari stadi evolutivi riscontrati sono stati i seguenti: cataratta incipiente (10 occhi), cataratta

immatura (4 occhi), cataratta matura (9 occhi), cataratta ipermatura (1 occhio), e cataratta in

fase di riassorbimento (1 occhio).

Relativamente alla localizzazione della cataratta, questa è risultata in sede corticale (11 occhi),

subcapsulare posteriore (1 occhio), nucleare (4 occhi). La mancanza dei dati presenti nella

cartella clinica non ha permesso la stima dello stadio evolutivo (18 occhi) e della localizzazione

(27 occhi) per alcuni pazienti.

Le complicazioni oculari riscontrate sono state: l’uveite facolitica (8 occhi), la lussazione (1

occhio) e la sublussazione della lente (2 occhi).

Le principali razze canine affette da cataratta senile sono state le seguenti:

-7 Meticci;

-3 Barboncini;

- 2 Setter Inglese;

- 2 Pinscher.

Altri 11 cani sono risultati affetti e

appartenevano ognuno a ciascuna delle

seguenti razze: Bolognese, Breton,

Bouledogue francese, Chihuahua, Fox

Terrier, Jack Russell Terrier, Lagotto, Pointer,

Springer Spaniel e Yorkshire Terrier. (Tabella

4.9).

Tabella 4.9: razze canine affette da cataratta senile (in ordine decrescente sul numero di pazienti).

Razze canine affette N° Pazienti

Percentuale

Meticcio Barboncino Setter Inglese Pinscher Bolognese Breton Bouledogue Francese Chihuahua

7 3 2 2 1 1 1 1

29,16% 12,50% 8,32% 8,32% 4,17% 4,17% 4,17% 4,17%

Fox Terrier Jack Russel Terrier

1 1

4,17% 4,17%

Lagotto Pointer

1 1

4,17% 4,17%

Springer Spaniel Yorkshire Terrier

1 1

4,17% 4,17%

Totale 24 100,00

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4.3.2.3 Cataratta diabetica Quattordici sono stati i soggetti risultati affetti da cataratta diabetica. Le femmine sono state

più colpite dei maschi (9 femmine, di cui 3 sterilizzate e 5 maschi).

I cani malati erano anziani, con un'età media di 120,87 mesi (intervallo: 84-180 mesi) e

mediana di 120 mesi.

Data l'eziologia della cataratta, questa si è manifestata a carattere bilaterale in tutti i soggetti

(28 occhi) e gli stadi evolutivi riscontrati sono stati: incipiente (4 occhi), immatura (5 occhi),

matura (10 occhi), ipermatura (2 occhi) e in fase di riassorbimento (1 occhio).

La sede di sviluppo della cataratta è stata corticale (8 occhi) e nucleocorticale (1 occhio). La

mancanza dei dati presenti nella cartella clinica non ha permesso la stima dello stadio

evolutivo (4 occhi) e della localizzazione (17 occhi) per alcuni pazienti.

Sono state, inoltre, riscontrate alcune complicazioni secondarie alla patologia, quali l’uveite

facolitica (5 occhi) e il glaucoma secondario (2 occhio).

La cataratta diabetica è stata diagnosticata in 10 cani Meticci, un Bassotto, un Beagle, un

Labrador Retriever e un Setter inglese (Tabella 4.10).

Tabella 4.10: razze canine affette da cataratta diabetica (in ordine decrescente sul numero di pazienti).

Razze canine affette Numero Percentuale

Meticcio

10

71,44%

Bassotto

Beagle

1

1

7,14%

7,14%

Labrador Retriever 1 7,14%

Setter Inglese

1

7,14%

Totale 14 100,00%

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4.3.2.4 Cataratta traumatica

La cataratta traumatica è stata confermata in 9 soggetti (6 maschi e 3 femmine).

Quattro pazienti sono stati visitati in seguito ad un trauma da infissione, e cinque in seguito

ad un trauma ottuso. L’età media dei soggetti colpiti era di 56, 67 mesi (intervallo: 12-132

mesi) con mediana di 48.

Considerando l'origine traumatica della lesione, in tutti i casi clinici esaminati la cataratta si è

manifestata a carattere monolaterale (9 occhi).

Lo stadio evolutivo della patologia era incipiente (1 occhio) e immatura (1 occhio).

La cataratta traumatica si è manifestata in sede corticale e diffusa (3 occhi), corticale e

localizzata (1 occhio), capsulare anteriore focale (1 occhio). La mancanza dei dati presenti nella

cartella clinica non ha permesso la stima dello stadio evolutivo (7 occhi) e della localizzazione

(4 occhi) per alcuni pazienti.

Altre lesioni oculari concomitanti alla cataratta sono state: glaucoma (1 occhio), sublussazione

del cristallino (1 occhio), uveite facolitica (1 occhio) e uveite facoclastica (1 occhio).

Le razze colpite da cataratta ad eziologia traumatica erano rappresentati da:

- 4 Meticci

- 2 Breton

oltre ad altri 3 pazienti di razza Jack Russell, Setter inglese e Siberian Husky (Tabella 4.11).

Tabella 4.11: razze canine affette da cataratta traumatica (in ordine decrescente sul numero dei pazienti).

Razze canine affette Numero Percentuale

Meticcio

4

44,44%

Breton

Jack Russell Terrier

2

1

22,22%

11,11%

Setter Inglese 1 11,11%

Siberian Husky

1

11,11%

Totale 9 100,00%

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4.3.2.5 Cataratta secondaria ad uveite: In 6 soggetti, di cui 4 maschi e 2 femmine (una femmina intera e una femmina sterilizzata), è

stata diagnosticata una cataratta secondaria ad uveite.

L’età media dei soggetti colpiti era di 106 mesi (intervallo: 60-156 mesi) con mediana di 102

mesi.

La presenza bilaterale della cataratta è stata confermata in 3 casi clinici; in altri 3 soggetti ha

assunto carattere monolaterale.

Gli stadi evolutivi riscontrati sono stati: cataratta incipiente (2 occhi) e cataratta immatura (1

occhio).

La lesione è stata riscontrata in sede corticale (1 occhio) e capsulare anteriore (1 occhio). La

mancanza dei dati presenti nella cartella clinica non ha permesso la stima dello stadio

evolutivo (3 occhi) e della localizzazione (4 occhi) per alcuni pazienti.

In un paziente è stata osservata una sublussazione della lente catarattosa (1 occhio).

Nessuna razza ha prevalso su di un’altra in ordine di frequenza e i pazienti colpiti sono stati

raggruppati in tabella 4.12.

Tabella 4.12: razze canine affette da cataratta secondaria ad uveite (in ordine decrescente sul numero dei pazienti).

Razze canine affette Numero Percentuale

Bassotto

1

16,67%

Beagle

Breton

1

1

16,67%

16,67%

Bolognese 1 16,67%

Setter inglese

Levriero

1

1

16,67%

16,67%

Totale 6 100,00%

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4.3.3 Cataratta ad eziologia dubbia

Per 19 casi clinici non è stato possibile, data la complessità del quadro clinico dei pazienti,

stabilire l’eziologia della cataratta, la quale è pertanto stata classificata come cataratta

dubbia. La ripartizione dei sessi coinvolti dalla patologia è risultata pressoché equa, con 14

pazienti di sesso maschile e 15 di sesso femminile (12 femmine intere e 3 femmine

sterilizzate). L’età media della popolazione era di 94,76 mesi (intervallo: 48-156 mesi) con

mediana di 96 mesi.

La cataratta dubbia è stata suddivisa in 2 gruppi principali:

- Dubbia tra cataratta primaria e

secondaria;

- Dubbia tra i vari tipi di cataratta

secondaria.

Il 59% dei soggetti appartenevano al

primo gruppo mentre, il 41% dei

soggetti appartenevano al secondo

(Figura 6).

Le razze canine prevalentemente

colpite sono presentate in tabella 4.13.

Tabella 4.13: numeri e percentuali delle razze canine affette da cataratta dubbia.

Fig. 6: Percentuali relative ai due gruppi di cataratta ad eziologia dubbia.

Razze Numero Percentuale

Meticcio Barboncino Pinscher

11 3 3

37,92% 10,34%

10,34% Cavalier King Charles S. 2 6,90% Cocker spaniel 2 6,90% Setter inglese 2 6,90% Carlino Cane Corso Jack Russell Pastore Tedesco Springer Spaniel Volpino Italiano

1 1 1 1 1 1

3,45% 3,45% 3,45% 3,45% 3,45% 3,45%

Totale 29 100,00%

60%

40%

Dubbiaprimaria vssecondaria

Dubbia fra lesecondarie

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4.3.3.1 Cataratta ad eziologia dubbia fra primaria e secondaria

Fra i ventinove soggetti colpiti da cataratta ad eziologia dubbia, diciotto sono stati classificati

nel primo gruppo (cataratta dubbia primaria vs secondaria); fra essi erano presenti 10 soggetti

maschi e 8 femmine (2 femmine sterilizzate).

L’età media dei soggetti colpiti era 81,17 mesi (intervallo: 48-132 mesi) con mediana di 84

mesi.

La lesione si è presentata bilateralmente in 11 casi, e monolateralmente in 7 casi, per un totale

di 29 occhi affetti.

I vari stadi evolutivi riscontrati sono stati: cataratta immatura (9 occhi), matura (13 occhi) e

ipermatura (1 occhi).

La localizzazione della cataratta è stata: corticale (15 occhi), nucleocorticale (2 occhi), corticale

anteriore (1 occhio), corticale e sulle linee di sutura (1 occhi). La mancanza dei dati presenti

nella cartella clinica non ha permesso la stima dello stadio evolutivo (6 occhi) e della

localizzazione (10 occhi) per alcuni pazienti.

Tra le alterazioni oftalmiche associate alla cataratta, sono state riscontrate l’uveite facolitica

(5 occhi) e la lussazione della lente (2 occhio) e la microfachia (2 occhi). In particolare,

quest’ultima è stata manifestata bilateralmente da un pinscher. In un paziente non è stato

possibile determinare se la riduzione di volume dell’occhio fosse dovuta ad una tisi del globo

oculare o a una microftalmia dell’occhio stesso.

I 18 cani affetti da cataratta ad eziologia dubbia tra primaria e secondaria sono stati

rappresentati da:

- 6 Meticci; - 3 Barboncini; - 2 Cavalier King Charles

Spaniel; - 2 Pinscher.

Gli altri soggetti affetti

appartengono alle razze Carlino,

Corso, Jack Russel terrier, Setter

inglese e Volpino Italiano (Tabella

4.14).

Tabella 4.14: razze canine affette di cataratta dubbia (gruppo 1).

Razze canine affette Numero Percentuale

Meticcio Barboncino Cavalier King charles S.

6 3 2

33,33% 16,67% 11,10%

Pinscher 2 11,10% Carlino Cane Corso

1 1

5,56% 5,56%

Jack Russel Setter inglese Volpino Italiano

1 1 1

5,56% 5,56% 5,56%

Totale 18 100,00%

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4.3.3.2 Cataratta ad eziologia dubbia fra le varie tipologie di cataratta secondaria Undici soggetti colpiti da cataratta ad eziologia dubbia, sono stati classificati nel secondo

gruppo (varie tipologie di cataratta secondaria), di cui 4 individui di sesso maschile e 7 di sesso

femminile (una sterilizzata).

L’età media stimata dei soggetti colpiti è stata di 114 mesi (intervallo: 72- 156 mesi) con

mediana di 114 mesi. La lesione si è presentata bilateralmente in 6 soggetti, e

monolateralmente in 4 pazienti, per un totale di 16 occhi affetti. I vari stadi evolutivi riscontrati

sono stati: cataratta immatura (5 occhi), cataratta matura (5 occhi) e cataratta ipermatura (2

occhi). La mancanza dei dati presenti nella cartella clinica non ha permesso la stima dello

stadio evolutivo (4 occhi) per alcuni pazienti. La patologia si è manifestata in sede corticale (5

occhi) e nucleocorticale (2 occhi). La localizzazione non è stata stabilita per 9 occhi. Due

pazienti hanno, inoltre, riportato un'uveite facolitica monolaterale quale conseguenza di un

avanzato stadio di maturazione della cataratta. La lente era sublussata posteriormente e a

carattere monolaterale in un soggetto e sublussata bilateralmente in un paziente. Tuttavia,

tali alterazioni di posizione della lente non potevano ritenersi delle vere e proprie

complicazioni della cataratta, in quanto non è stato possibile stabilire l’ordine cronologico

delle due patologie, data la mancanza di visite oculistiche antecedenti a quella del presente

studio clinico. La cataratta è stata dunque classificata come dubbia e appartenente al presente

gruppo, relativo alla categoria delle cataratte secondarie ad eziologia da definire.

Nello specifico, i cani colpiti da cataratta secondaria ad eziologia dubbia sono stati i seguenti:

- 5 Meticci; - 2 Cocker Spaniel Altre razze canine affette sono

state rappresentate dal Pastore

Tedesco, il Pinscher, il Setter

Inglese e lo Springer Spaniel in

numero di un singolo paziente per

ciascuna delle suddette razze.

(Tabella 4.15).

Tabella 4.15: razze canine affette da cataratta dubbia (Gruppo 2).

Razze Numero Percentuale

Meticcio Cocker Spaniel Pastore Tedesco

5 2 1

45,46% 18,18% 9,09%

Pinscher 1 9,09% Setter inglese 1 9,09% Springer spaniel

1

9,09%

Totale 11 100,00%

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4.4 Lesioni oculari indotte dalla cataratta Nel presente studio sono state riscontrate varie complicazioni conseguenti alla presenza di

cataratta. In particolare, le complicazioni osservate sono state:

- L’uveite facolitica;

- L’uveite facoclastica;

- La sublussazione/lussazione della lente;

- Il glaucoma secondario.

Le complicazioni osservate nell’ambito di ogni specifica eziologia della patologia sono state

riassunte in tabella 4.16.

Uveite facolitica (N°occhi affetti)

Uveite Facoclastica

(N°occhi affetti)

Sub/Lussazione della lente

(N°occhi affetti)

Glaucoma secondario

(N°occhi affetti)

Ereditaria 7 - 1* - Congenita 1 - - - IIa PRA - - 1 - Senile Diabetica Traumatica IIa uveite Dubbia gruppo 1 Dubbia gruppo 2

8 5 - - 5 2

- - 2 - - -

3 -

1* 1 2

3*

- 2

1* - -

Totale 28 2 12 3

Tabella 4.16: complicazioni oculari conseguenti alla presenza di cataratta (*Altre cause eziologiche possibili).

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4.5 Discussioni

La cataratta è una tra le patologie oculari più frequentemente osservate nel cane. Le

numerose cause eziologiche, la variabilità della manifestazione clinica e il differente grado di

progressione delle varie tipologie di cataratta, fanno di essa una delle principali cause di cecità

nella specie canina (Kalaka et al., 2017).

Questo dato statistico trova riscontro nel presente studio clinico, secondo cui il 16,38% sul

totale di 1062 pazienti esaminati tra il 2012 e il 2016 presso l’ambulatorio di oftalmologia

dell'Ospedale Didattico Veterinario “M. Modenato” di Pisa, è risultato affetto da cataratta ad

eziologia varia. Uno studio clinico, condotto in Francia, relativo alla prevalenza della cataratta

nel cane, ha invece riportato valori percentuali, statisticamente inferiori, in quanto stimati al

14,7% sul totale di 2739 esaminati dal 2009 al 2012 da Donzel et al., (2017).

Complessivamente, la popolazione canina, oggetto di questo studio clinico, risulta costituita

da 132 soggetti appartenenti a differenti razze canine e da 42 cani meticci, a dimostrazione di

come la cataratta, nel cane, possa rappresentare una patologia oculare con predisposizione

razziale (Mazzucchelli & Peruccio, 2004).

Sul totale dei pazienti affetti da cataratta ad eziologia varia, gli individui di sesso maschile

hanno statisticamente prevalso sulle femmine, in accordo con quanto descritto

precedentemente da Donzel et al., (2017). Tuttavia, altri studi clinici, condotti da Park et al.,

(2009) hanno evidenziato, in relazione al sesso dei pazienti, risultati contrari, in base ai quali,

infatti, le femmine affette erano statisticamente maggiori rispetto ai maschi. Infine, secondo

ulteriori indagini cliniche, la cataratta nel cane ha fatto registrare valori percentuali

equamente distribuiti per entrambi i sessi (Gelatt & Mackay, 2005), salvo alcune eccezioni

relativamente a specifiche cause eziologiche della patologia. Prevale nel maschio ad esempio,

nel caso di una cataratta secondaria a una particolare forma di PRA, quest'ultima a

trasmissione in modalità X-linked (XLPRA1) descritta nel Samoiedo e nel Siberian Husky (Gelatt

et al., 2013). Prevale nel sesso femminile nel caso di una cataratta diabetica, in quanto

l'endocrinopatia, nel cane, è stata prevalentemente riscontrata nelle femmine intere,

conseguentemente ad una condizione di insulino-resistenza, favorita in parte dall'azione

metabolica del progesterone (Catchpole et al., 2005).

Infine, se si considera la cataratta primaria ereditaria, ovvero la forma più comune di cataratta

nel cane, nella maggior parte delle razze canine predisposte, si presume che la sua

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trasmissione genetica sia prevalentemente di tipo autosomico recessivo (Gelatt, 1999; Adkins

& Hendrix, 2003; Gelatt & Mackay, 2005; Wallace et al., 2005; Baumworcel et al., 1009),

secondo cui, infatti, entrambi i sessi possono indifferentemente risultare portatori della

patologia o manifestarla clinicamente. In sintesi, nella specie canina, risultano diverse le

oculopatie ereditarie scatenanti una cataratta secondaria (PRA, displasia retinica, glaucoma,

lussazione della lente), per le quali è stata riconosciuta una trasmissione di tipo autosomico

recessivo o dominante che, ai fini della prevalenza della malattia, non riconoscono alcuna

predisposizione legata al sesso (Gelatt & Mackay 2005).

L’età media della popolazione canina da noi osservata e affetta da cataratta ad eziologia varia,

è risultata di 80,22 mesi (intervallo: 2-204 mesi), in linea con quanto riportato da altri autori

(Park et al., 2009; Donzel et al., 2017) e la patologia della lente si è manifestata

prevalentemente a carattere bilaterale, come è stato possibile osservare in studi clinici

antecedenti (Park et al.2009; Donzel et al., 2017), in funzione anche della causa eziologica

statisticamente predominante.

Nello specifico, le varie tipologie di cataratta canina, diagnosticate all'interno del nostro

studio, in ordine decrescente di frequenza, sono risultate le seguenti: cataratta ereditaria

(26%), secondaria a PRA (16%), senile (14%), congenita (11%), diabetica (8%), traumatica (5%)

e in ultimo la cataratta secondaria a uveite (3%). Tuttavia, nel 17% dei casi esaminati, la

patologia è stata classificata come cataratta ad eziologia dubbia, a causa della mancanza di

dati anamnestici attendibili, del rifiuto da parte dei proprietari di sottoporre il paziente a

indagini cliniche complementari e del mancato follow-up per alcuni soggetti affetti.

4.5.1 Cataratta primaria Nell'ambito della cataratta di origine primaria e analogamente a quanto già descritto in

letteratura, anche nel presente studio, la cataratta ereditaria si è confermata come la tipologia

più frequente di cataratta nel cane (Davidson & Nelms, 1999; Gelatt, 2013; Ricketts et al.,

2015). Sul totale dei pazienti con cataratta primaria, la forma ereditaria della malattia ha

riportato una percentuale di soggetti affetti pari al 71%; il restante 29% è risultato affetto da

cataratta primaria congenita.

Le razze canine più interessate dalla cataratta ereditaria sono rappresentate dal Labrador

Retriever, il Golden Retriever, il Jack Russell Terrier, il Cocker Spaniel, il Bouledogue Francese

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e il Cavalier King Charles Spaniel, così descritti in ordine decrescente sul numero di pazienti

affetti.

Nel Labrador Retriever, la cataratta ereditaria rappresenta una delle oculopatie più

frequentemente osservate (Mazzucchelli & Peruccio, 2004) e l’opacità della lente si manifesta

prevalentemente in sede subcapsulare posteriore o corticale (Mazzucchelli & Peruccio, 2004).

Questo studio clinico ha infatti confermato le sedi più frequentemente associate alla cataratta

nel Labrador Retriever, quella a livello subcapsulare posteriore e quella corticale a cui si

aggiunge la forma a carico delle linee di sutura posteriori. Differentemente dalla maggior parte

delle razze canine, per le quali la cataratta ereditaria rappresenta una patologia oculare a

carattere autosomico recessivo (Gelatt, 1999; Adkins & Hendrix, 2003; Gelatt 6 Mackay, 2005;

Wallace et al., 2005; Baumworcel et al., 2009), per il Labrador Retriever è stato, invece,

ipotizzato che la mutazione del gene responsabile della cataratta sia trasmessa in modo

autosomico dominante, a penetranza incompleta (Curtis & Barnett, 1989). Secondo questa

ipotesi, i pazienti affetti da cataratta ereditaria subcapsulare posteriore, a carattere

stazionario, rappresenterebbero i soggetti eterozigoti, mentre gli individui omozigoti

tenderebbero a sviluppare, in tempi variabili, una cataratta corticale progressiva (Gelatt,

1999).

I pazienti di razza Labrador Retriever del presente studio, affetti da cataratta ereditaria,

avevano un'età media di 20,57 mesi, la quale corrisponde, in questa razza, ad una delle due

fasce di età con maggior rischio di sviluppo della patologia ovvero dai 6 ai 18 mesi di vita

(Turner & Bouhanna, 2010).

Il Golden Retriever rappresenta, in ordine di frequenza, la seconda razza affetta da cataratta

ereditaria. In questa razza si presume che la mutazione genetica alla base della cataratta

ereditaria, sia generalmente simile a quanto descritto precedentemente per il Labrador

Retriever e anche la presentazione clinica della patologia è sovrapponibile (Curtis & Barnett,

1989; Gelatt, 1999). Nel nostro studio la localizzazione della cataratta è risultata pressoché

identica a quella osservata nel Labrador Retriever, contando nel totale, 2 occhi affetti da

cataratta corticale e 5 occhi da cataratta subcapsulare posteriore. Riguardo l’età media dei

soggetti, questa è risultata di 27,6 mesi, analogamente a quanto riportato in letteratura da

Turner & Bouhanna (2010).

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Nel Jack Russel Terrier, l’età media dei soggetti colpiti è stata di 53,75 mesi (11-84 mesi) e tutti

i pazienti hanno presentato una cataratta ereditaria a localizzazione corticale, in accordo con

quanto descritto per la razza da Donzel et al., (2017).

Nel Cocker Spaniel, la cataratta ereditaria compare sia precocemente (in età inferiore ai 72

mesi di vita), sia come una patologia tardiva (dopo i 72 mesi di vita), in relazione

probabilmente alla a processi genetici multipli (Engelhardt et al., 2007). A riguardo, uno studio

eseguito in Germania ha evidenziato la predisposizione, nel Cocker Spaniel allo sviluppo di due

tipi di cataratta primaria (Rubin, 1989). La prima tipologia di cataratta si sviluppa in sede

corticale posteriore, generalmente bilaterale e a lenta evoluzione, che può insorgere

nell'animale in età giovanile (entro i 72 mesi di età), o in età adulta (successivamente ai 72

mesi di età). In particolare, la forma giovanile colpisce entrambi i sessi in percentuali analoghe,

mentre la forma tardiva della patologia sembra avere una maggiore frequenza nei soggetti di

sesso femminile (Engelhardt et al., 2008). La seconda tipologia di cataratta ereditaria descritta

nel Cocker Spaniel rappresenta una forma di cataratta a localizzazione nucleare, che si

manifesta clinicamente intorno ai 18 mesi di vita del paziente; per quest'ultima forma di

cataratta ereditaria non sono riportate prevalenze statistiche relative al sesso degli individui

affetti (Engelhardt et al., 2008).

Nel presente studio, l’età media degli individui di razza Cocker Spaniel affetti da cataratta

ereditaria è risultata di 54 mesi (48-60 mesi). I pazienti sono stati colpiti prevalentemente dalla

forma nucleare (3 pazienti colpiti), seguita dalla localizzazione a carico delle linee di sutura

posteriori (1 paziente colpito). La cataratta è stata bilaterale in tutti i soggetti colpiti.

Il Bouledogue Francese rappresenta una delle razze predisposte allo sviluppo della cataratta

ereditaria (Baumworcel et al., 2009; Mellersh et al., 2009). Per questa razza è stata identificata

una mutazione del gene HSF4, responsabile della patologia e per la quale sono stati resi

disponibili degli appositi test genetici ai fini della prevenzione (Mellersh et al., 2009; Mellersh,

2014; Ricketts et al., 2015), come già descritto nel capitolo 3. I soggetti di razza Bouledoge

Francese del nostro studio hanno riportato, al momento della visita, un'età media di 32 mesi

(12-48 mesi) e la cataratta si è presentata corticale e bilaterale in due pazienti, e subcapsulare

posteriore a carattere monolaterale in uno di essi.

I 3 soggetti di razza Cavalier King Charles Spaniel colpiti da cataratta ereditaria hanno riportato

un'età media di 48 mesi (24-80 mesi) e in tutti, la patologia si è manifestata in sede corticale.

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Come per i Bouledogue francesi, anche nei Cavalier King Charles Spaniel la cataratta si è

manifestata bilateralmente in 2 pazienti e monolateralmente in un singolo soggetto. Tuttavia,

in assenza di controlli periodici successivi, per quest'ultimo paziente non è possibile escludere

l'eventualità di un'insorgenza futura della cataratta nell'occhio esente al momento della visita,

data la manifestazione generalmente bilaterale e la progressione asimmetrica della cataratta

ereditaria (Turner & Bouhanna, 2010).

Per una parte delle restanti razze oggetto di studio, comprendente il Barbone Nano, il Carlino,

il Pinscher e lo Shiba Inu, insieme al gruppo dei meticci, il valore di soggetti colpiti è stato

equamente del 4,35% sul totale di 46 pazienti affetti da cataratta ereditaria.

In letteratura, la cataratta ereditaria nel Barbone Nano è stata frequentemente descritta, il

che suggerisce come questa razza risulti predisposta allo sviluppo della malattia (Peruccio,

1987; Gelatt & MacKay, 2005; Baumworcel et al., 2009; Park et al., 2009; Donzel et al., 2017).

Tuttavia, i Barboni Nani esaminati avevano un’età media inferiore (72 mesi) rispetto a quanto

descritto in letteratura, che descrive, per la razza, un picco di prevalenza dei soggetti affetti

tra i 120 e i 156 mesi di vita (Gelatt & MacKay, 2005; Baumworcel et al., 2009; Park et al.,

2009; Donzel et al., 2017). La patologia si è manifestata in sede corticale in accordo con quanto

descritto da altre fonti (Peruccio, 1987; Gelatt & Mackay, 2005).

Si riporta inoltre che i soggetti meticci sono stati meno frequentemente colpiti da cataratta

primaria, analogamente a quanto riportato finora in letteratura (Gelatt & Mackay, 2005;

Donzel et al., 2017).

Infine, altre razze canine affette, rappresentate ciascuna da un singolo esemplare sono state

l’Alaskan Malamute, il Barbone, il Barbone Toy, il Basset Griffon, il Bolognese, il Border Collie,

il Greyhound, il Setter Inglese, lo Springer Spaniel e il Volpino.

In sintesi, anche nel nostro studio, la cataratta primaria ereditaria si classifica come la tipologia

più frequentemente osservata nella specie canina, coinvolgendo differenti razze e

manifestandosi nei pazienti in età giovanile con una media di 42,28 mesi. Come riscontrato

nella maggior parte dei casi, la manifestazione bilaterale della patologia determina, in tempi

variabili, un grave deficit visivo, anche se, la progressione della cataratta ereditaria è

asimmetrica nei due occhi (Turner & Bouhanna, 2010).

La cataratta congenita consegue ad uno sviluppo anomalo delle fibre embrionarie primarie o

secondarie e risulta pertanto manifesta già alla nascita del soggetto.

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La patologia può essere a carattere ereditario o derivare dall’esposizione delle strutture

embrionarie all'azione di un agente tossico o infettivo durante lo sviluppo fetale (Carmichael

et al., 1965; Koch & Rubin, 1967). La cataratta congenita, inoltre, può presentarsi come una

patologia associata ad anomalie oculari multiple o alla persistenza del sistema vascolare

perilenticolare embrionario (Peruccio, 1987).

Nel presente studio, la cataratta primaria di tipo congenito è stata riscontrata per una

percentuale pari all’11% del totale dei pazienti malati. L’età media dei soggetti colpiti è

risultata pari a 21,86 mesi (intervallo: 2-72 mesi), in linea con quanto descritto da altri autori

(Donzel et al., 2017).

Le tre razze più frequentemente colpite sono state il Labrador Retriever, lo Shiba Inu e il Jack

Russel Terrier.

Fra i pazienti affetti da cataratta primaria congenita, il 37% ha riportato anomalie oculari

multiple associate, tra questi il Jack Russel Terrier, l’Alaskan Malamute, il Cocker Spaniel, il

Golden Retriever, il Labrador Retriever e mettici.

Nel presente studio, un singolo soggetto femmina di Labrador Retriever, di 24 mesi, visitato

per la diagnosi ufficiale delle oculopatie ereditarie di probabile origine genetica, ha presentato

una cataratta congenita associata a displasia retinica focale.

Nel Cocker Spaniel, è stata descritta in letteratura la predisposizione allo sviluppo di una

cataratta congenita associata a displasia retinica (Ashton et al., 1968; Carrig et al., 1977;

Meyers et al., 1983; Olesen et al., 1974; Rubin, 1963, 1968) ma nel presente studio non è stata

osservata tale associazione patologica. Un singolo soggetto maschio di Cocker Spaniel di 6

mesi, sottoposto alla visita oftalmologica, ha altresì riportato una cataratta bilaterale

congenita associata a microftalmia bilaterale. Interessante notare come un quadro clinico

analogo è stato anche osservato in una cucciolata di Cocker Spaniel, dello studio clinico

condotto da Strande et al., nel 1988.

In un singolo cane meticcio, di 3 mesi, è stata confermata la presenza di una cataratta

nucleocorticale bilaterale, associata ad una microftalmia e una displasia retinica altrettanto

bilaterali. Considerando il complesso quadro clinico del paziente, è stata ipotizzata

l'espressione fenotipica del cosiddetto gene “Merle” responsabile della "merle ocular disease"

o MOD, riportata in letteratura per alcuni cani meticci (Hendrix, 2013). Questa patologia,

comprende un insieme di anomalie oculari congenite variabilmente associate fra esse, come

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la microftalmia, la microcornea, le anomalie dell’iride (coloboma o ipoplasia), la discoria, la

persistenza della membrana pupillare, le anomalie della lente (microfachia, cataratta,

coloboma, lussazione/sublussazione), i difetti della sclera (stafiloma) e i difetti retinici

(displasia retinica o distacco di retina). Inoltre, alcuni soggetti malati, possono presentare vari

gradi di sordità congenita (Gwin et al., 1981).

Inoltre, un Golden retriever di 12 mesi, affetto da una displasia retinica bilaterale e un Alaskan

Malamute di 8 mesi con microftalmia e microfachia bilaterale sono stati riscontrati nel corso

del nostro studio. Infine, sono stati visitati due Jack Russel Terrier, uno di 24 mesi con

un’alterazione morfologica monolaterale della lente e l’altro di 36 mesi con una microfachia

monolaterale.

La cataratta congenita è stata anche riscontrata, con una percentuale pari al 47% del totale

dei malati, associata a persistenza delle strutture embrionarie. Tra queste quelle più

frequentemente riscontrate nello studio sono state: la persistenza della membrana pupillare

(PPM), la persistenza del vitreo primario iperplastico (PHPV) e la persistenza della tunica

vascolare iperplastica della lente associata alla persistenza del vitreo primario iperplastico

(PHTVL/PHPV).

Per PPM si intende un’anomalia oculare congenita caratterizzata dalla mancata involuzione

della membrana pupillare, e dalla conseguente presenza di filamenti di tessuto mesodermico,

che originano dalla porzione media dell’iride e si dirigono verso la superficie anteriore

dell’iride stessa (Davidson & Nelms, 1999). Se queste strutture filamentose aderiscono alla

capsula anteriore del cristallino, possono determinare la comparsa di una cataratta, localizzata

proprio a livello delle aree del cristalloide anteriore con cui aderiscono i filamenti (Peruccio,

1987; Davidson & Nelms, 1999).

La PPM colpisce molte razze canine (Grahn et al., 2004) ma non è ritenuta una patologia

oculare a carattere ereditario, eccezion fatta per il Basenji (Barnett & Knight, 1969; Bistner et

al., 1971; Martin, 1978; Priester, 1972; Roberts & Bistner, 1968; Strande et al., 1988; Turner

& Bouhanna, 2010). Nello studio, un soggetto maschio, di Cavalier King Charles Spaniel di 36

mesi ha riportato una cataratta congenita associata a PPM iride-lente in forma monolaterale,

mentre 3 soggetti di Shiba Inu di 2,5 mesi, appartenenti alla stessa cucciolata, ne sono risultati

affetti bilateralmente. Per questi ultimi, inoltre, è stato formulato il sospetto di una

microftalmia bilaterale concomitante associata. Non è stato tuttavia possibile confermare la

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diagnosi dell'anomalia oculare, in quanto i pazienti non sono stati rivisitati durante

l'accrescimento.

La PHPV si è manifestata bilateralmente in un maschio e in una femmina di 18 mesi, entrambi

Labrador Retriever, razza nella quale è descritta la predisposizione allo sviluppo di PHPV e di

PHTVL/PHPV (Curtis et al., 1984). La PHTVL/PHPV è stata invece osservata in due Pinscher

maschi di 72 mesi e in un soggetto Dobermann maschio della stessa età. Per il Dobermann si

presume che la patologia implichi una modalità di trasmissione genetica autosomica

dominante a penetranza incompleta (Stades, 1983; Curtis et al., 1984), secondo cui, in alcuni

casi, il genotipo responsabile della patologia non si manifesta clinicamente nel soggetto,

aumentando conseguentemente il rischio di una maggiore diffusione della malattia.

4.5.2 Cataratta secondaria La cataratta secondaria ad atrofia progressiva della retina (PRA) rappresenta, per la

percentuale dei soggetti affetti, la seconda tipologia di cataratta più frequentemente riportata

nello studio in questione, coinvolgendo il 16% del totale dei pazienti (corrispondente al 34%

del totale della cataratta di origine secondaria). La diagnosi della patologia retinica e

conseguentemente della cataratta associata, è stata formulata sulla base dei dati anamnestici

dei pazienti, della presentazione clinica e dei segni clinici oculari osservati mediante esame

oftalmoscopico indiretto e confermata tramite l’esecuzione di un’elettroretinografia (ERG).

Tuttavia, i cani con un’opacità del cristallino tale da impedire la visualizzazione del fondo

dell’occhio e con una sospetta PRA (perché ad esempio presentavano un PLR rallentato e/o

una midriasi ambientale), non confermata da un ERG sono stati classificati nel gruppo della

cataratta dubbia. Di conseguenza, è possibile che nel presente studio la prevalenza della

cataratta associata a PRA sia stata sottostimata.

Si riconoscono diverse forme di PRA, classificate a seconda delle modalità di insorgenza,

dipendenti da mutazioni genetiche differenti (Peruccio, 2010; Mellersh, 2014). Nello specifico,

la PRA può essere ad insorgenza precoce o ad insorgenza tardiva. In questo studio,

prevalentemente colpiti sono risultati i Meticci (età media: 85,71 mesi) e le seguenti razze: il

Barbone Nano (età media: 93 mesi); il Cocker Spaniel (età media: 110 mesi); il Labrador

Retriever (età media: 93 mesi), lo Yorkshire Terrier (età media: 78 mesi), il Chinese Crested

Dog (età media: 72 mesi), il Jack Russel Terrier (età media: 36 mesi), e il Setter Irlandese (età

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media: 36 mesi). Come osservato precedentemente da altri autori (Adkins & Hendrix, 2005;

Kraijer-Huver et al., 2008; Gaiddon et al., 1995), anche nel presente studio la cataratta

secondaria a PRA è stata riscontrata prevalentemente nel Barbone Nano, nel Labrador

Retriever e nel Cocker Spaniel (Donzel et al., 2017).

Il Chinese Crested Dog, il Cocker Spaniel, il Labrador Retriever, il Barbone Nano e lo Yorkshire

Terrier rappresentano le razze canine a rischio di sviluppo della prcd-PRA (Progressive Rod

Cone Degeneration), ovvero la forma di atrofia progressiva della retina ad insorgenza tardiva

(Peruccio, 2010; Gelatt et al., 2013). Questo aspetto rappresenta una delle principali

problematiche relative all'ereditarietà della patologia oculare, in quanto anche gli individui

giovani, ma sessualmente maturi e possibili portatori asintomatici, non vengono

tempestivamente esclusi dalla riproduzione.

Nel Barbone Nano, il numero di soggetti affetti da PRA è infatti aumentato nel corso degli anni

(Priester, 1974). I primi segni della patologia, quali deficit visivo notturno e la midriasi a luce

ambientale, si osservano generalmente intorno ai 36-60 mesi di vita. La perdita completa della

funzione visiva si instaura nel paziente in tempi più o meno lunghi, ma nella maggior parte dei

casi, si completa intorno ai 60-84 mesi (Gelatt et al., 2013).

Nel presente studio, 5 Barboni Nani hanno sviluppato una cataratta secondaria a PRA, con

differenti stadi evolutivi, riportando al momento della visita un'età media di 93,6 mesi (72-132

mesi), in linea con quanto riportato dalla letteratura scientifica (Gelatt et al., 2013).

Nel Cocker Spaniel, differentemente da altre razze canine, le alterazioni retiniche conseguenti

alla PRA si manifestano intorno ai 48-96 mesi di età e la cataratta secondaria insorge

generalmente nelle fasi iniziali del processo patogenetico dell'atrofia retinica (Gelatt et al.,

2013). L’età media dei 5 Cocker Spaniel colpiti da cataratta secondaria a PRA in questo studio

era di 110,4 mesi (intervalli: 72-132) e la patologia lenticolare si è manifestata bilateralmente

in tutti i pazienti, in sede prevalentemente corticale e nucleocorticale, analogamente a quanto

riportato da Donzel et al., (2017).

Nel Labrador Retriever, i primi segni clinici della PRA compaiono intorno ai 48-72 mesi e

progrediscono fino alla perdita totale della funzionalità retinica verso i 72-96 mesi (Gelatt et

al., 2013). Nel presente studio, i 5 pazienti di razza Labrador Retriever, affetti da cataratta

secondaria a PRA, hanno riportato un’età media di 93,6 mesi (36-120 mesi).

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In un singolo paziente la cataratta, al momento della visita si presentava monolaterale e in

sede subcapsulare polare posteriore.

Nel presente studio, un singolo Setter Irlandese di 36 mesi è stato colpito da cataratta

secondaria a PRA. In particolare per questa razza è stato identificato il gene PDE6B, il quale è

a trasmissione autosomica recessiva ed è responsabile della displasia cono-bastoncelli (Rod

cone dysplasia type 1 (rcd1)) (Gelatt et al., 2013) una forma di PRA ad insorgenza precoce

(Mellersh, 2014).

La cataratta secondaria a PRA è stata diagnosticata, mediante oftalmoscopia indiretta anche

in un Jack Russel Terrier di 36 mesi. Per questa razza tuttavia non è presente, ad oggi, un test

genetico in grado di identificare la presenza del gene responsabile (www.optigen.com;

www.antagene.com; www.animalnetwor.com.au; www.laboklin.de; www.vhlgenetics.com).

Si nota infine che, nonostante la predisposizione genetica di alcune razze canine allo sviluppo

della PRA (Turner & Bouhanna, 2010), nel presente studio, anche i cani meticci hanno

riportato in percentuali statisticamente elevate la patologia.

In sintesi, la PRA rappresenta una patologia retinica invalidante, a carattere bilaterale, che

generalmente evolve nel paziente in maniera simmetrica e che può insorgere in forma precoce

o tardiva (Turner & Bouhanna, 2010). Pertanto, i soggetti affetti da PRA possono presentarsi

apparentemente sani all’inizio della loro attività riproduttiva, incrementando il rischio di

nascite di soggetti malati o portatori. E' bene inoltre ricordare che data la variabilità di

trasmissione ereditaria (autosomica recessiva, autosomica dominante, X-linked) e la gravità

della patologia retinica, in Italia, secondo le linee guida FSA, relative alla prevenzione delle

oculopatie di probabile origine genetica nel cane, per la PRA non è ammessa la riproduzione

del soggetto affetto, dei suoi parenti e della sua progenie (https://www.fsa-vet.it/;

www.sovi.it/).

Nell'ambito dell'oftalmologia veterinaria, la cataratta senile rappresenta un reperto clinico

frequente nel cane anziano (Gelatt et al., 2013). Essa è classificata come tale quando l’animale

di grossa taglia la sviluppa mediamente intorno ai 72 mesi di età o quando l’animale è di

piccola taglia intorno ai 120 mesi di vita (Gelatt et al., 2013). Inoltre, la diagnosi di cataratta

senile è certa se, al momento della visita clinica, è possibile escludere altre possibili cause

eziologiche della cataratta (Peruccio, 1987; Gelatt et al., 2013).

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Nel presente lavoro si nota una prevalenza inferiore della cataratta senile (14%) rispetto a

quanto riportato da Donzel et al., nel 2017 (22,8%). Il processo patogenetico alla base di

questo tipo di cataratta è attualmente sconosciuto (Gelatt et al., 2013), ma si ipotizza che la

sua insorgenza esiti dai danni ossidativi a carico della lente (Gelatt et al., 2013). L’età media

della popolazione canina da noi osservata colpita da detta lesione è risultata di 151 mesi

(intervallo: 108-204 mesi), in accordo con quanto descritto da Donzel et al., nel 2017. Le razze

prevalentemente colpite sono state: il Barbone Nano, il Setter Inglese, il Pinscher, il Bolognese,

il Breton, il Bouledogue Francese, il Chihuahua, il Fox Terrier, il Jack Russell Terrier, il Lagotto,

il Pointer, lo Springer Spaniel e lo Yorkshire Terrier. Anche i meticci hanno manifestato questo

tipo di cataratta.

La cataratta senile generalmente può manifestarsi in sede nucleare, corticale o coinvolgerle

entrambe (Peruccio, 1987). La localizzazione della lesione è particolarmente importante ai fini

della prognosi. La forma senile nucleare, salvo nelle forme avanzate, non rappresenta una

patologia di grave entità per il soggetto affetto, poiché caratterizzata generalmente da una

lenta progressione e da una prognosi piuttosto favorevole per la funzione visiva. Al contrario,

la cataratta senile corticale ha una progressione rapida e la prognosi per la funzione visiva è da

considerarsi sempre riservata (Peruccio, 1987). In questo studio, la forma corticale ha prevalso

su quella nucleare. Inoltre, la patologia si è presentata prevalentemente a carattere bilaterale.

Nel cane, il diabete mellito rappresenta una delle più frequenti patologie di natura endocrina

(Davidson, 1999) e si caratterizza spesso per l'insorgenza, più o meno rapida, di una cataratta

secondaria (Basher & Roberts, 1995; Beteg, 2008; Cook, 2008). Secondo quanto emerso dalla

nostra indagine clinica, la cataratta diabetica ha interessato soltanto una bassa percentuale di

pazienti affetti da cataratta, stimata all‘8% sul totale.

Data l'eziologia, la cataratta diabetica si è manifestata a carattere bilaterale, come osservato

anche da altri autori (Peruccio, 1987; Gelatt et al., 2013). Lo stadio evolutivo di questo tipo di

lesione più riscontrato, in questo studio, è stato quello di tipo maturo, a dimostrazione della

rapida evoluzione della patologia (Peruccio, 1987; Martin et al., 2010; Turner & Bouhanna,

2010; Kalaka et al., 2017; Donzel et al., 2017). La cataratta diabetica può esitare nello sviluppo

di complicazioni oculari secondarie, quali l'uveite facolitica, la rottura della lente o il glaucoma

(Turner & Bouhanna, 2010). Esistono in commercio alcuni farmaci inibitori dell'aldoso-

reduttasi che dovrebbero rallentare l’evoluzione della patologia (Peruccio, 1987; Sato et al.,

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1991) anche se, una volta completato il grado massimo di maturazione della cataratta la

terapia medica perde ogni sua efficacia e il trattamento chirurgico rappresenta l'unica

alternativa valida (Peruccio, 1987; Gelatt, 1999).

I cani affetti da diabete mellito nel nostro studio, avevano un'età media di 120,87 mesi

(intervallo: 84-180 mesi), in accordo con quanto riportato da Donzel et al., nel 2017, poiché,

la patologia insorge generalmente in età avanzata, intorno ai 120-180 mesi (Guptill et al.,

2003). Secondo alcuni studi clinici il Barbone Nano, i cani da caccia, i meticci e le razze sportive,

hanno un maggiore rischio di sviluppare una cataratta diabetica rispetto ai Terriers, alle razze

toy e ai brachicefali (Davidson, 1999). Nel presente studio, i meticci sono stati i cani più colpiti,

seguiti dai cani di razza Bassotto, Beagle, Labrador Retriever e Setter Inglese, come riportato

anche da Davidson (1999). La tendenza del Labrador Retriever a sviluppare una cataratta

diabetica è stata anche descritta da Moeller et al. (2011), Kalaka et al (2015).

Nel presente studio, la cataratta traumatica, così come quella secondaria ad uveite, ha

rappresentato una delle tipologie di cataratta meno osservate nel cane.

La cataratta traumatica ha colpito il 5% dei pazienti prevalentemente giovani, con un'età

media di 56,67 mesi (intervallo: 12-132 mesi).

Generalmente in letteratura la cataratta traumatica è stata descritta come una lesione a

carattere monolaterale (Peruccio, 1987) come effettivamente osservato in questo studio.

Essa può svilupparsi come la conseguenza di un trauma ottuso oculare (Peruccio, 1987;

Davidson et al., 1991; Thayananuphat, 2015; Mancuso & Hendrix, 2016) o in seguito alla

rottura della lente dovuta alla penetrazione di un corpo estraneo acuminato attraverso la

capsula (artiglio di gatto, spina di una pianta ecc.) (Peruccio, 1987; Severin 1976; Magrane,

1977; Davidson et al., 1991; Gelatt, 1999; Thayananuphat, 2015; Mancuso & Hendrix, 2016).

Nel nostro studio 5 soggetti hanno riportato una cataratta traumatica conseguente ad un

trauma ottuso mentre 4 pazienti sono stati riferiti a seguito di un trauma oculare da infissione.

Di questi, una femmina Breton e un meticcio femmina di 12 mesi, hanno riportato ad un occhio

una lesione da graffio e presentavano rispettivamente una cataratta capsulare anteriore

localizzata e una cataratta corticale localizzata, entrambe confermate stazionarie ai successivi

follow-up. Data la localizzazione e il carattere stazionario delle due lesioni, il trauma indotto

dal graffio è stato considerato di lieve entità. È infatti riportato in letteratura che un trauma

da infissione non penetrante l'intero spessore della lente, ma localizzato nella porzione più

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superficiale, può col tempo cicatrizzare, determinando la formazione di una cataratta di tipo

focale come esito finale dell'insulto traumatico (Adkins & Hendrix, 2003). Qualora la lesione

traumatica coinvolga lo spessore della lente per più di 1,5 mm, si instaura un'uveite

facoclastica conseguentemente all'esposizione del materiale lenticolare in camera anteriore

(Davidson & Nelms, 1999), come osservato nei 2 pazienti di razza Jack Russel Terrier e Siberian

Husky discussi nella sezione 4.5.4.

La presenza di cataratta associata a uveite rappresenta un quadro clinico di frequente

riscontro nel cane (Gelatt et al., 2013; Mancuso & Hendrix, 2016). Tuttavia, è difficile stabilire

quale delle due patologie sia una conseguenza dell’altra (Gelatt et al., 2013; Mancuso &

Hendrix, 2016). In effetti l’esposizione all’umor acqueo delle componenti interne del

cristallino indotta dalla presenza di una cataratta, può determinare una risposta infiammatoria

a carico dell’uvea (Gelatt et al., 2013). L’uveite può, a sua volta, essere responsabile dello

sviluppo di una cataratta in seguito all’estensione, per contiguità, del processo infiammatorio

alla lente (Gelatt et al., 2013; Mancuso & Hendrix, 2016).

Pertanto, la patologia è stata confermata come una cataratta secondaria ad uveite soltanto

nei casi in cui è stato possibile stabilire l’ordine cronologico delle due affezioni oculari. La

cataratta conseguente all'uveite, ha interessato una bassa percentuale dei soggetti esaminati

durante lo studio clinico, ovvero il 3% del totale. Tuttavia, va ricordato che, a causa della

complessità del quadro clinico di alcuni pazienti, dell'avanzato grado di progressione delle due

affezioni oculari e del mancato follow-up, per alcuni soggetti non è stato possibile accertare

la patologia primaria ed è possibile dunque che la prevalenza della cataratta secondaria ad

uveite possa risultare lievemente sottostimata.

4.5.3 Cataratta ad eziologia dubbia Sul totale dei soggetti colpiti da cataratta a varia eziologia, nel 17% dei casi la patologia è stata

definita “ad eziologia dubbia”. Percentuali simili (21%) sono state riportate da Donzel et al.

(2017).

A sua volta, la cataratta ad eziologia dubbia è stata suddivisa in due gruppi principali: un primo

gruppo comprensivo dei soggetti affetti da cataratta dubbia tra primaria e secondaria e un

secondo gruppo, che ha incluso tutti i pazienti in cui confermata l'origine secondaria della

patologia, non è stato tuttavia possibile stabilirne con certezza la causa eziologica.

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La cataratta dubbia tra primaria e secondaria, ha coinvolto 18 pazienti. Per 10 di essi è stata

formulata una diagnosi differenziale tra la cataratta ereditaria e la cataratta secondaria ad

atrofia progressiva della retina (PRA). I soggetti colpiti erano rappresentati da 3 Barbone Nano,

4 Meticci, un Cavalier King Charles Spaniel, un Setter Inglese e un Cane Corso.

Relativamente ai pazienti di razza Barbone Nano, una femmina di 132 mesi ha riportato alla

visita una cataratta bilaterale, a differenti stadi evolutivi (immatura a destra e matura a

sinistra). Il grado di maturazione e la localizzazione della cataratta non ha permesso la

valutazione del fondo oculare in entrambi gli occhi. La risposta alla reazione di minaccia ha

dato esito negativo per entrambi gli occhi, così come il riflesso all'abbagliamento, mentre il

PLR diretto e consensuale hanno evidenziato nel paziente una risposta rallentata e

incompleta.

Nel secondo Barbone Nano, femmina di 72 mesi, è stata evidenziata una cataratta bilaterale

con un’uveite facolitica monolaterale, conseguente alla progressione asimmetrica della

patologia. Il paziente ha risposto positivamente con entrambi gli occhi alla reazione di

minaccia e alla stimolazione di tutti i riflessi oculari, ma la valutazione colorimetrica del PLR

ha evidenziato una risposta dubbia nel paziente. Inoltre, in un occhio è stato possibile,

mediante oftalmoscopia indiretta, evidenziare un aumento della riflettività tappetale.

Infine il terzo Barbone Nano, femmina di 84 mesi, è risultato affetto bilateralmente da

cataratta a stadi evolutivi differenti (matura a destra e immatura a sinistra), che ha reso la

retina non valutabile. La reazione alla minaccia e il riflesso all’abbagliamento non hanno

evocato risposta positiva, mentre il PLR diretto e consensuale hanno evidenziato nel paziente

una risposta rallentata ed incompleta.

Sulla base dei risultati ottenuti, dell'anamnesi raccolta e del segnalamento, per questi 3

soggetti è stato formulato, in diagnosi differenziale, un quadro clinico compatibile con una

cataratta primaria di tipo ereditario o una cataratta secondaria a PRA.

La stessa diagnosi differenziale è stata stabilita per i quattro cani meticci (2 maschi di 48 e 120

mesi e 2 femmine di 84 e 108 mesi), un Cavalier King Charles Spaniel femmina di 96 mesi, un

Setter Inglese maschio di 60 mesi e un Cane Corso maschio di 120 mesi. Questi pazienti

presentavano tutti una cataratta bilaterale, con un fondo oculare non valutabile e al fine di

confermare o escludere la diagnosi di cataratta secondaria a PRA, è stato proposto ai rispettivi

proprietari l'esecuzione di esami specialistici quali l'elettroretinografia e l’ecografia oculare.

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Tuttavia, queste procedure diagnostiche non sono state effettuate per volontà dei proprietari

e non è stato quindi possibile confermare la presunta diagnosi.

Inoltre, per 3 soggetti, ovvero un Barbone Nano di 132 mesi, un meticcio di 108 mesi e un

Cane Corso di 120 mesi, data la loro età una terza possibile tipologia di cataratta era

rappresentata dalla cataratta senile, ma non potendo escludere le altre forme di cataratta,

l’eziologia della malattia è rimasta indefinita.

Altri casi di cataratta ad eziologia dubbia tra l'origine primaria e secondaria sono stati

riscontrati in un cane meticcio di 48 mesi, in un Cavalier King Charles Spaniel di 84 mesi e in

un Pinscher di 60 mesi, tutti di sesso maschile. Questi presentavano una cataratta

monolaterale, per la quale, è stata ipotizzata l'origine ereditaria, in relazione anche ai dati

anamnestici e anagrafici senza escluderne del tutto una possibile origine traumatica. Per il

mancato approfondimento del caso la cataratta è stata ritenuta ad eziologia dubbia.

Un Carlino di 48 mesi e un Pinscher di 96 mesi presentavano una cataratta monolaterale

matura che ha impedito la valutazione del fondo oculare, il quale, non ha riportato alcun segno

patologico nell’occhio controlaterale. Sulla base della manifestazione clinica degli occhi affetti,

in diagnosi differenziale sono state incluse l'origine primaria e secondaria della patologia. La

cataratta primaria è stata ipotizzata considerando la razza e l’età dei pazienti. Il carattere

monolaterale della lesione e il quadro clinico oculare del paziente, non permetteva di

escludere altre possibili cause eziologiche, come ad esempio quella traumatica. Nel Pinscher,

inoltre, l'occhio affetto da cataratta si presentava microftalmico. Data l'assenza di dati

anamnestici, nel paziente la cataratta poteva verosimilmente manifestarsi come difetto

congenito di anomalie oculari multiple o rappresentare una lesione di origine traumatica, di

cui anche una possibile tisi oculare poteva supportarne la tesi.

Un altro caso di cataratta ad eziologia dubbia è stato evidenziato in un Jack Russel di 48 mesi

che manifestava una lesione monolaterale immatura e corticale, con segni clinici di flogosi

intraoculare, che non permettevano un’adeguata ispezione del settore oculare posteriore,

comunque non patologico nel controlaterale. Data l’età del soggetto e la localizzazione della

lesione era possibile ipotizzare una cataratta primaria giovanile. La tonometria ha rilevato

nell'occhio affetto una IOP di 7 mmHg, includendo nella lista delle possibili diagnosi

differenziali anche la cataratta secondaria ad uveite (Gelatt et al., 2013) o una cataratta

traumatica data la monolateralità della lesione.

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Un altro caso clinico riguardava un meticcio femmina di 84 mesi che manifestava una cataratta

corticale bilaterale matura a destra e ipermatura con parziale riassorbimento a sinistra. Dato

lo stadio avanzato della lesione il fondo oculare non risultava valutabile per entrambi gli occhi.

Nella diagnosi differenziale sono state incluse la cataratta primaria e la cataratta diabetica.

L'ipotesi di un'origine diabetica della cataratta è stata avvalorata dai dati anamnestici del

paziente, oltre che dai tempi di progressione, localizzazione e dalla manifestazione bilaterale

della patologia (Turner & Bouhanna, 2010). La mancata esecuzione di esami ematobiochimici,

per volere del proprietario, non ha tuttavia permesso di confermare l’ipotesi eziologica

avanzata.

Infine, un Volpino femmina di 84 mesi, è risultato affetto da una cataratta bilaterale, con lente

lussata in entrambi gli occhi. Data la predisposizione di questa razza canina allo sviluppo di

una cataratta primaria (Pizzirani, 1998; Guandalini et al., 1999; Guandalini et al., 2001; Gould

et al., 2011) e alla lussazione primaria della lente (Primary Lens Luxation o PLL) (Betschart et

al.,2014), non è stato possibile stabilire con certezza la correlazione causa-effetto.

Per 11 soggetti affetti da cataratta secondaria, non è stato possibile stabilire con certezza la

causa eziologica.

Fra questi pazienti, un meticcio maschio di 156 mesi affetto da nucleosclerosi a sinistra e

cataratta con lente sublussata a destra e un Pinscher femmina, di 132 mesi, colpita da

cataratta bilaterale immatura a destra e matura con sublussazione della lente a sinistra. In

questi ultimi due casi clinici non è stato possibile stabilire la correlazione tra la sublussazione

della lente e il processo catarattoso; conseguentemente l'eziologia della cataratta, a causa del

grado di progressione patologica e della mancanza di dati anamnestici, resta ipotetica tra la

cataratta senile e la secondaria alla sublussazione del cristallino.

Un soggetto meticcio maschio di 108 mesi affetto da leishmaniosi, presentava una cataratta

monolaterale nucleare immatura e incipiente corticale, mentre nell'occhio controlaterale è

stata evidenziata una nucleosclerosi. Riportata in anamnesi la positività del soggetto alla

leishmaniosi canina e considerata la manifestazione clinica oculare, per il paziente è stata

valutata l'ipotesi di una cataratta monolaterale di origine infiammatoria (Turner & Bouhanna,

2010), anche se non poteva del tutto escludersi l'eziologia traumatica.

L'eziologia infiammatoria e traumatica sono state prese in considerazione anche per un altro

paziente, un soggetto di razza Springer Spaniel, femmina, di 120 mesi, riferito alla visita a causa

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della comparsa di un’opacità a carico della lente. La visita oculistica ha evidenziato la presenza

monolaterale di una cataratta ipermatura che associata alla concomitante presenza di segni

flogistici uveali, ha permesso di redigere tale diagnosi differenziale. Tuttavia, nell'occhio

apparentemente sano, l'oftalmoscopia indiretta ha permesso di rilevare segni retinici di

degenerazione in atto (lieve riduzione di calibro dei vasi retinici e aree periferiche di

iperiflettività tappetale), che ha incluso la PRA nell'insieme delle possibilità eziologiche della

cataratta (Turner & Bouhanna, 2010). Anche per questo paziente, tuttavia, la mancata

esecuzione di esami diagnostici complementari ha escluso la possibilità di confermare l'origine

presunta della patologia.

Un Setter Inglese, maschio, di 156 mesi è risultato affetto da una cataratta corticale bilaterale,

a gradi differenti di maturazione (immatura a destra e matura a sinistra), che ostacolava la

visualizzazione del fondo oculare. Inoltre, nella storia medica del paziente figurava il

chemioterapico lomustina per il trattamento di un mastocitoma. Per questo paziente, è stata

pertanto formulata l'ipotesi di un’origine tossica della cataratta, conoscendo i possibili effetti

collaterali oculari indotti da questo tipo di farmaci e la presenza bilaterale della patologia

(Gelatt et al., 2013). Purtroppo, l'assenza di ulteriori approfondimenti non ha permesso di

confermare l’ipotesi diagnostica.

Altri 2 pazienti sono risultati affetti da cataratta secondaria ad eziologia dubbia. Un Pastore

Tedesco, femmina, di 72 mesi con cataratta bilaterale, diagnosticata al momento della visita

oculistica, in quanto riferita per uveite bilaterale; e un meticcio, affetto da cataratta

ipermatura monolaterale con segni di parziale riassorbimento ed uveite associata. Per

entrambi i soggetti non è stato possibile stabilire l’ordine cronologico d’insorgenza, poiché la

cataratta può conseguire secondariamente ad un'uveite o rappresentarne il fattore

scatenante (Gelatt et al., 2013). A causa della mancanza di dati clinici antecedenti alla visita

oculistica, l'eziologia della cataratta è rimasta indefinita.

Infine, due Cocker Spaniel, un maschio di 132 mesi e una femmina 96 mesi e due cani meticci

un maschio di 132 mesi e una femmina di 96 mesi, sono risultati affetti da cataratta bilaterale

con sospetta PRA, formulata mediante valutazione dei riflessi oculari. Considerando la

presenza bilaterale della cataratta, la predisposizione del Cocker Spaniel allo sviluppo della

PRA (Gelatt et al., 2013) e l’elevata diffusione della patologia retinica nella razza (Gelatt et al.,

2013), sembra piuttosto plausibile ipotizzare che questi pazienti possano essere state affetti

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da degenerazione retinica e che la cataratta potesse essere secondaria. Per via del mancato

assenso da parte dei proprietari di sottoporre ad esami specialistici complementari (ERG,

ecografia oculare) i pazienti, la diagnosi è rimasta presuntiva.

È bene notare che nel presente studio non sono state osservate alcune forme di cataratta

canina descritte in letteratura, quali la cataratta nutrizionale, ipocalcemica e la cataratta da

radiazioni (Mancuso & Hendrix, 2016), in quanto determinate da cause eziologiche poco

frequenti.

4.5.4 Complicazioni secondarie alla cataratta Nel presente studio, sono state evidenziate alcune complicazioni secondarie alle varie

tipologie di cataratta canina. Fra queste, l’uveite facolitica, quella facoclastica, la

sublussazione/lussazione della lente e il glaucoma.

L‘uveite facolitica è risultata la complicazione più frequentemente riscontrata. Essa consegue

all’azione degli enzimi proteolitici attivi durante i processi degenerativi del cristallino che

degradano le proteine fibrillari della lente stessa, innescando un'importante risposta

infiammatoria intraoculare (Pumphrey, 2015).

Le possibili complicazioni associate all’uveite in corso di cronicizzazione variano dalla tisi del

globo oculare al buftalmo, scaturito da un glaucoma secondario (Van Der Woerdt, 2000).

Il glaucoma, secondario ad una flogosi intraoculare, a sua volta rappresenta una complicazione

piuttosto comune nel cane e consegue all'ostacolo del deflusso umorale da parte di cellule

infiammatorie, di sinechie anteriori o membrane fibrovascolari preiridee (Peruccio, 1987;

Johnsen, 2006). Infine l’infiammazione dell’uvea può anche compromettere la stabilità delle

zonule di Zinn e predisporre quindi il cristallino alla lussazione (Gelatt et al., 2013; Pumphrey,

2015).

Nel nostro studio l'uveite facolitica è stata la principale complicazione riscontrata,

prevalentemente per la cataratta di tipo senile, seguita dalla cataratta ereditaria e dalla

cataratta diabetica.

Nel cane, l’uveite facoclastica generalmente può insorgere a seguito di perforazioni

corneosclerali di natura traumatica o conseguire, in casi più rari, alla rottura della capsula

lenticolare come nel caso di cataratta diabetica (Davidson & Nelms, 1999). Nonostante ciò, in

alcune circostanze, la complessità del quadro clinico ne rende difficoltosa la diagnosi.

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(Davidson et al., 1991). Nel presente studio l’uveite facoclastica è stata riscontrata in due

pazienti, un Jack Russell Terrier di 108 mesi e uno Siberian Husky di 24 mesi, affetti da cataratta

traumatica, conseguente a un trauma da infissione. In particolare nel Siberian Husky è stata

evidenziata la presenza di ponti di fibrina come probabile esito del processo infiammatorio

intraoculare, che non ne hanno comunque compromesso il deflusso umorale.

La sublussazione/lussazione della lente secondaria può conseguire a un glaucoma, un’uveite

o una cataratta in avanzato stato di maturazione (Peruccio, 1987; Turner & Bouhanna, 2010;

Gelatt et al., 2013). Nell’ambito della cataratta ereditaria è stata diagnostica una lussazione

monolaterale della lente a un Volpino italiano di 96 mesi affetto da una forma bilaterale.

Nonostante la predisposizione di questa razza alla lussazione primaria della lente (PLL)

(Betschart et al., 2014) per il paziente, il carattere monolaterale dell'alterazione lenticolare e

la presenza di una cataratta associata, sostengono l’ipotesi secondo cui la lussazione

rappresenti una complicazione secondaria alla cataratta stessa (Betschart et al., 2014).

Altro paziente, un meticcio femmina di 108 mesi, affetto da cataratta senile, ha riportato alla

visita una sublussazione bilaterale della lente, in assenza di uveite facolitica. Per questo

soggetto, si presume che la sublussazione lenticolare rappresenti una complicazione della

cataratta, poiché quest’ultima si mostrava in parzialmente riassorbimento e quindi ad uno

stadio evolutivo avanzato (Gelatt et al., 2013).

Infine, la lussazione monolaterale della lente, quale conseguenza di una lente catarattosa, è

stata descritta in un Labrador Maschio di 120 mesi colpito da cataratta secondaria a PRA e un

Setter Inglese maschio, di 84 mesi, con cataratta secondaria ad uveite.

Le sublussazioni o lussazioni della lente osservate in corso di cataratta dubbia sono state

descritte nella sezione 4.5.3 del presente capitolo.

Il glaucoma rappresenta una patologia estremamente dolorosa, di difficile trattamento che

può determinare la perdita della funzionalità visiva (Gelatt, 1999; Turner & Bouhanna, 2010).

Esso si sviluppa in seguito a varie patologie oculari, come ad esempio la cataratta, l’uveite o la

lussazione del cristallino (Turner & Bouhanna, 2010). Nel presente studio il glaucoma è stato

descritto come conseguenza indiretta di una cataratta diabetica e di una cataratta traumatica.

Nello specifico, un meticcio femmina di 180 mesi affetto da cataratta diabetica ha manifestato

un glaucoma secondario scaturito da un'uveite facolitica. L'uveite lente‐indotta determina

infatti un'importante risposta immunomediata nel paziente, cui consegue l’accumulo di fibrina

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che esita nella formazione di sinechie anteriori, responsabili del mancato deflusso umorale

(Gelatt et al., 2013).

Diversamente, un meticcio maschio di 132 mesi, colpito da cataratta traumatica ha

manifestato un glaucoma secondario in assenza di uveite facolitica. In questo particolare caso

risulta difficile stabilire se il glaucoma rappresenta la conseguenza della cataratta o se si

sviluppa a seguito dell'azione meccanica di forze esogene esercitate sul globo oculare

dall'agente traumatizzante (Gelatt et al., 2013). Di conseguenza, è stata formulata a riguardo

una diagnosi differenziale tra glaucoma secondario a cataratta e glaucoma post‐traumatico, il

quale sembrerebbe più plausibile, data l’assenza di uveite facolitica e l’anamnesi di trauma

oculare. Tuttavia, data l'assenza di dati clinici precedenti alla visita, non risulta possibile

stabilirne con certezza la diagnosi.

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103

4.6 Conclusioni

Secondo quanto emerso dal presente studio, la cataratta si conferma come una delle

patologie oculari più frequentemente riscontrate nella specie canina, osservabile in forme

differenti in relazione alle molteplici cause eziologiche e in percentuali statisticamente

variabili, in funzione alla possibile predisposizione razziale della patologia stessa.

La nostra analisi conferma la prevalenza statistica di alcune tipologie di cataratta, fra cui la

cataratta ereditaria e la cataratta secondaria ad atrofia progressiva della retina (PRA).

Considerata la perdita della funzione visiva conseguente alla PRA, le possibili complicazioni e

la presenza generalmente bilaterale della cataratta associata, esiste il motivo nel ritenere che

le due patologie siano particolarmente invalidanti per il soggetto e determinino, a seconda del

grado di progressione della malattia, un deterioramento più o meno grave della qualità di vita

del paziente.

L’alta prevalenza nei Labrador Retriever sia per la cataratta ereditaria, sia per quella

secondaria a PRA, dimostra quanto questa razza sia predisposta allo sviluppo delle oculopatie

su base ereditaria. Tuttavia, all'interno della popolazione canina oggetto dello studio, la

prevalenza della cataratta primaria di tipo ereditario e della cataratta secondaria a PRA, ha

messo in luce come nel cane il problema delle oculopatie ereditarie possa ormai coinvolgere

anche i soggetti meticci.

Oltre alla cataratta ereditaria e alla cataratta secondaria a PRA, nel nostro studio, in ordine di

frequenza sono state riportate la cataratta senile, la cataratta congenita e la cataratta

diabetica. La cataratta traumatica e quella secondaria ad uveite sono state le due forme

patologiche meno rappresentate in questo studio.

Il riscontro di una considerevole percentuale di cataratta ad eziologia dubbia ha evidenziato

alcuni ostacoli nella determinazione eziologica di alcune forme della patologia, specialmente

se aggravata dalla concomitante presenza di ulteriori affezioni oculari.

A causa, inoltre, dell'assenza di dati clinici e anamnestici di alcuni pazienti, della mancata

esecuzione di esami specialistici complementari, della pregressa condizione clinica e della

mancata presentazione alle visite successive di alcuni soggetti, non è stato possibile

confermare in alcuni casi le diagnosi presuntive.

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Ringraziamenti Tengo a ringraziare il mio relatore il Prof. Giovanni Barsotti per avere sempre seguito il mio

lavoro nonostante le difficoltà, per la sua gentilezza, la sua disponibilità e i suoi consigli e per

avermi permesso di scoprire un settore della Medicina Veterinaria cosi appassionante.

Ringrazio Silvia Rappa per il suo prezioso aiuto e per i suoi consigli e per avermi motivata nei

momenti più disperati.

Ringrazio tutti i miei amici di veterinaria a cominciare da Lucia per le sue torte, la sua gentilezza

e la sua simpatica, Elisa perché semplicemente è Elisa e non si cambierà mai, Raffaella per

avermi fatto passare dei momenti indimenticabili, per avermi fatto ridere da non poterne più e

per avermi fatto conoscere la pasticceria Siciliana. Ringrazio anche Silvia Morello per avermi

sempre informato bene sugli esami e orari di lezioni e per essere stata presente durante questi

anni universitari indimenticabili.

Ringrazio Giulia Rovetta, per essermi stata vicina nei miei primi anni di università, per la sua

gentilezza infinita e per avermi lasciato questo pizzico di saggezza che fa parte di te.

Ringrazio Maria Selene Tomai per le cene passate insieme, per le grandi risate, per le

camminate fatte alle piagge e soprattutto per tutti i bei momenti passati insieme spensierate

nonostante la nostra grande disperazione (e sai di cosa parlo).

Ringrazio Ilaria per la nostra vita sportiva, lo Spinning, le corse, le camminate e per le lunghe

conversazioni fatte su tutto e nulla.

Ringrazio Manuel e Rediola perché siete diventati dei grandi amici. Perché tra praticelli, HAT

e le pizzerie ci siamo sempre capiti e perché siete una coppia formidabile.

Ringrazio tutti i ragazzi di praticelli, per tutte le risate fatte a mensa, per i caffè presi insieme e

per la vostra immensa simpatia. Ringrazio, in particolare te Lorenzo per le tue abilità da super

meccanico.

Ringrazio di cuore tutta la mia famiglia, in particolare i miei genitori, senza i quali non avrei

mai potuto realizzare il mio sogno. Grazie a voi, per la vostra comprensione, la vostra pazienza

e il vostro amore. Ringrazio i miei nonni per essermi stati sempre vicini nonostante la distanza,

per avermi fatto sempre sorridere quando tornavo a casa e grazie mille a te nonna per la tua

gioia di vivere. Ringrazio poi mia sorella Justine che nonostante la distanza e i suoi viaggi

infiniti mi è sempre stata vicina, mi ha sempre sostenuta e mi ha dato la “gnac” come dice lei

per andare avanti.

Un ultimo ed immenso GRAZIE al mio ragazzo Daniel per essermi stato vicino sin dall’inizio,

per avermi aiutata pur non conoscendomi, per tutti gli appunti, per essere stato sempre presente

e per avermi fatta crescere. Grazie per la tua gentilezza, per avermi sempre sopportata (so che

non è sempre facile) e per tutto l’amore che mi dai ogni giorno.