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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO Facoltà di Lingue e Letterature Straniere Corso di Laurea in Scienze della Mediazione Linguistica DISSERTAZIONE FINALE “Un percorso alla scoperta della fonetica delle lingue inventate, tra Zamenhof e Star Trek” RELATORE: CANDIDATO: Prof. Antonio Romano Irene Grigatti N. matricola 286859 a.a. 2008/2009

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

Facoltà di Lingue e Letterature Straniere

Corso di Laurea in Scienze della Mediazione Linguistica

DISSERTAZIONE FINALE

“Un percorso alla scoperta della fonetica delle lingue

inventate, tra Zamenhof e Star Trek” RELATORE: CANDIDATO: Prof. Antonio Romano Irene Grigatti N. matricola 286859

a.a. 2008/2009

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Sommario

 

Introduzione........................................................................................................................ 2 

Capitolo I: Breve introduzione alle lingue artificiali; cosa sono, il loro utilizzo e quali sono............................................................................................................................................ 3 

Capitolo II: Esempio di due lingue artificiali........................................................................ 6 

Capitolo IIIa: Introduzione all’Esperanto; il suo inventore, la sua nascita e il suo scopo ... 7 

Capitolo IIIb: Morfologia e Fonetica dell’Esperanto ........................................................... 9 

Capitolo IVa: Introduzione al Klingon; il suo inventore, la sua nascita, il suo scopo ........ 16 

Capitolo IVb: Morfologia e Fonetica del Klingon .............................................................. 18 

Capitolo V: Paragone tra Esperanto e Klingon; facilità e difficoltà ................................... 27 

Capitolo VI: Varianti di Esperanto e Klingon ..................................................................... 28 

Conclusioni........................................................................................................................ 30 

Note .................................................................................................................................. 31 

Bibliografia ........................................................................................................................ 32 

Sitografia ........................................................................................................................... 32 

 

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Introduzione L’obiettivo di questa tesi è introdurre il concetto di “lingua artificiale” e

di fornirne due esempi: l’Esperanto e il Klingon. Le lingue prese in esame verranno analizzate da differenti punti di vista. La loro nascita e il loro scopo saranno i punti di partenza da cui si snoderà l’intera analisi, meno generica e più specifica, circa la loro struttura linguistica: la fonetica, la morfologia, la grammatica…

La ricerca di libri, volumi e opere che parlassero dell’argomento è stata a volte semplice e a volte lo è stata meno. Per quanto riguarda l’Esperanto, è stato molto più semplice documentarsi e trovare scritti che parlassero di questa lingua sia da un punto di vista linguistico, sia da un punto di vista sociale. Il Klingon, probabilmente anche a causa della sua recente invenzione, non conta molte pubblicazioni; fortunatamente esistono molto appassionati di Star Trek che pubblicano su Internet materiale utile allo studio della lingua.

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Capitolo I: Breve introduzione alle lingue artificiali; cosa sono, il loro utilizzo e quali sono

Le lingue cosiddette artificiali, sono idiomi creati dall’ingegno di un singolo o da un gruppo di persone che deliberatamente ne sviluppa la fonologia, la grammatica e il vocabolario. La principale differenza tra le lingue artificiali e quelle naturali, risiede nel fatto che le prime non si sono sviluppate e affermate spontaneamente, come invece è accaduto per quelle naturali. Le lingue artificiali possono essere di diversi tipi e con diversi scopi. Quelle strutturate per essere lingue ausiliarie ed internazionali sono lingue a scopo comunicativo; le lingue artificiali sviluppate principalmente come sperimentazione linguistica sono lingue a scopo ludico. Un sinonimo per definire la categoria delle lingue inventate è “lingue pianificate”, termine utilizzato soprattutto dagli esperanti che rifiutano la definizione di “artificiale”, in quanto sono convinti che quest’ultimo metta in rilievo un carattere innaturale della lingua inventata.

Le lingue artificiali sono lingue definite rispetto a due grandi categorie: a priori e a posteriori. Quelle dette “a priori” sono quelle lingue in cui la maggior parte dei vocaboli e della grammatica sono costruiti tramite la creatività del glottoteta; al contrario, sono definite “a posteriori” quelle lingue i cui vocaboli e grammatica sono derivanti da una o più lingue naturali. In generale si può dire che la lingua “a posteriori” soddisfa la proprietà della doppia articolazione tipica di una lingua naturale, e cioè quella di possedere sostrati linguistici, dei quali il più importante è quello della lingua e della cultura materna del glottoteta. La lingua “a priori” non soddisfa tale criterio; essa infatti essendo composta solo da segni e mancando di sostrati linguistici è considerata in realtà più come una semiotica artificiale che una vera e propria lingua artificiale.

Le lingue artificiali a scopo comunicativo seguono, da vicino l’andamento delle lingue naturali con l’intenzione di minimizzare il tempo di apprendimento e di comunicabilità. Esse godono di ottima analizzabilità dei morfemi (infatti sono considerate per lo più di tipo agglutinante), hanno paradigmi ridotti e regolari, nonché un livello di allofonia tendente a zero. La tendenza per le lingue a scopo ludico invece, è esattamente opposta: si può verificare una volontà, da parte del glottoteta, di rendere più complessa la lingua creata al fine di rendere incomprensibile e di difficile apprendimento l’idioma artificiale (a fini lavorativi, per esempio l’invenzione del Klingon), oppure al semplice fine di soddisfare la vena creativa dell’autore, attraverso la consapevole volontà di complicare la lingua (a fini personali, paragonabile a quello che può essere un gergo).

Tuttavia, oltre a elementi in contrapposizione, esistono anche elementi che accomunano le lingue artificiali a quelle naturali. Entrambe si servono di regole grammaticali prestabilite e di un vocabolario più o meno ricco, ambedue sono in grado di esprimere qualsiasi concetto traducibile in qualunque altra lingua.

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Ciò che riveste un ruolo di grande importanza é la motivazione che spinge alla creazione di una nuova lingua.

L’invenzione di un idioma, qualsiasi sia lo scopo, possiede un’ intrinseca motivazione ludica; la lingua inventata é per il glottoteta uno strumento di espressione di sé, spesso accompagnata da senso del sacro (come in Ludwig Zamenhof e nei parlanti di Klingon). Le motivazioni ludico-sacrali non sono ovviamente le uniche, molto spesso alla base di tali creazioni ci sono motivazioni laiche-utilitaristiche, come per esempio facilitare la comunicazione tra parlanti di lingue diverse, senza favorire né l’uno né l’altro avvalendosi del carattere ausiliario della lingua inventata.

Migliaia di progetti di questo tipo sono stati proposti, ma solo pochi di essi hanno potuto contare su una comunità linguistica che ne sostenesse la vita e la continuità. Per completare il processo di naturalizzazione e diventare una lingua ufficiale, un idioma artificiale deve acquisire un sostegno popolare, istituzionale e politico che gli garantisca anche un sostegno storico. L’esempio di una lingua artificiale (ma non ausiliaria) che ha completato tale processo di naturalizzazione é l’ebraico moderno: basata sull’ebraico antico biblico, già sostituita dall’Aramaico, essa si è in seguito germanizzata creando quella che è la lingua Yiddish.

Couturat e Leau giudicano utopistico riuscire a rendere internazionale una delle lingue naturali esistenti. Ugualmente difficile é tornare ad una lingua neutra ma morta come il latino, soprattutto perché il latino presenta molti omonimi, confusioni create dalle flessioni, difficoltà nel distinguere i nomi dai verbi, irregolarità della sintassi… “Non esiste un criterio scientifico per stabilire quale lingua sia più adatta di un’altra, il successo di una lingua internazionale artificiale è sancito da un atto di buona volontà politica internazionale” (Couturat e Leau, in “La ricerca di una lingua perfetta”, Eco, 1993: 341). Proprio per questo motivo fondano una Delegation pour l’adoption d’une langue auxiliare internazionale (1901) ed esaminano in Les nouvelles langues internationales (1907) le lingue inventate con i loro pro e contro.

Uno dei primi sistemi ausiliari linguistici a diventare un caso internazionale è il Volapük, inventato da Johan Martin Scheleyer (1831-1912) nel 1879. Per il creatore di questa lingua, essa doveva essere lo strumento per l’unione e la fraternità dei popoli. Dalla Germania si espande in Francia grazie ad August Kerckhoffs. Una volta diffuso in gran parte dei paesi (nel 1889 il Volapűk contava 283 club) il progetto inizia a modificarsi attraverso la semplificazione, la ristrutturazione, alcuni riassestamenti. “Questo è il destino delle lingue internazionali ausiliarie: si espandono e si babelizzano” ( Eco 1993: 354). Sulle ceneri del Volapük nascono la Langue Universelle di Manet (1886), lo Spelin di Bauer (1886), il Bopal di Demax (1887), il Dil di Fienger (1893), il Balta di Dormoy (1893) ed il Veltparl di Von Arnim (1896). Tra le Lingue Internazionali Ausiliarie il primato spetta ad un progetto chiamato Carpophorophilus del 1734, a cui segue la Langue Nouvelle di Faiguet e il Communicationssprache di Schipfer del 1893. Nel

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1893 appare persino un Antivolapűk, che è la negazione di una lingua internazionale ausiliaria, in quanto fornisce una grammatica essenziale universale che viene completata da componenti lessicali presi dalla lingua del parlante, creando così frasi diverse in ogni singolo locutore ( Eco, 1993:354). In questo modo si produceva una lingua universale che già in partenza non possedeva il suo standard di riferimento. Costruito molto bene era il Latino Sin Flexione di Peano¹, matematico e logico. Peano non voleva creare una lingua nuova ma semplificarne una già esistente, raccomandandolo almeno nelle comunicazioni scientifiche internazionali e solo in documenti scritti. Questa nuova versione del latino prevedeva l’assenza di declinazioni, un lessico di una lingua naturale nota ai più e una grammatica quasi nulla. Anche in questo caso, un collaboratore inglese introdusse alcune varianti, condannando questo nuovo latino ad un cambiamento incontrollabile. Nemmeno il latino di Peano si diffuse restando un mero reperto storico.

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Capitolo II: Esempio di due lingue artificiali Per rendere più semplice la comprensione della definizione di “lingue

artificiali”, può essere utile aggiungere un esempio di quello che sono le lingue inventate. In questo caso l’esempio di ridurrà a due sole lingue; esse infatti saranno oggetto di analisi nei capitoli che seguiranno.

Gli idiomi presi in analisi sono l’Esperanto e il Klingon. Entrambe sono lingue artificiali, ma si differenziano per alcuni tratti tra cui lo scopo e la facilità/difficoltà della struttura della lingua.

L’Esperanto si presenta come una lingua a scopo comunicativo, nata dalla fusione delle altre lingue esistenti e molto semplificata, sia a livello fonetico che morfologico e grammaticale.

Il Klingon è una lingua inventata a scopo ludico e cinematografico, estremamente complessa e poco intuitiva in tutti i suoi aspetti, quindi sia dal punto di vista della pronuncia che dal punto di vista grammaticale.

Entrambe sono nate e si sono sviluppate secondo un preciso schema del creatore. Zamenhof intendeva creare una lingua che unisse tutti i popoli, quindi si è orientato verso una lingua che potesse risultare comprensibile e facilmente apprendibile da tutti. Okrand voleva una lingua che sembrasse aliena, dunque doveva essere qualcosa che non ricordasse nessuna delle lingue già esistenti.

Con questi presupposti è chiaro il motivo per cui sono state analizzate proprio queste due lingue. In netto contrasto fra loro, esse esprimono tutte le potenzialità di una lingua inventata. Ci mostrano come si può rendere facile o difficile una grammatica o come si può fare altrettanto anche solo con un nuovo sistema di alfabeto.

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Capitolo IIIa: Introduzione all’Esperanto; il suo inventore, la sua nascita e il suo scopo

L’Esperanto è una delle lingue artificiali più conosciute e utilizzate al mondo. Essa iniziò a svilupparsi nel XVI secolo, e più precisamente tra il 1872 e il 1887 grazie al suo ideatore Ludwik Lejzer Zamenhof. Questa lingua artificiale, fu presentata ufficialmente da quest’ultimo nel 1887 attraverso l’opera “Unua Libro”² con il nome di Lingvo Internacia³. In seguito si affermò il termine “Esperanto”, nome preso in prestito dallo pseudonimo di Zamenhof Doktoro Esperanto, ovvero “colui che spera”.

È importante conoscere l’etimologia della parola Esperanto, infatti essa ci può essere d’aiuto nel comprendere le ragioni che spinsero Zamenhof a creare una lingua internazionale. Infatti l’obiettivo di questo idioma è quello di far dialogare i diversi popoli, cercando di creare tra loro comprensione e pace. Una specie di seconda lingua comune a tutti: non la lingua di un popolo ma la lingua dell’umanità. Alla base di questa sua decisione, si può intravedere quello che sono state le sue esperienze d’infanzia. Zamenhof infatti, passò la sua infanzia a Bialystok, cittadina attualmente situata in Polonia, ma che all’epoca era parte della provincia baltica della Lituania e quindi appartenente all’Impero Russo, dove convivevano molteplici gruppi etnici. Essi si distinguevano gli uni dagli altri per ragioni linguistiche, politiche, sociali, religiose, culturali… Esistevano i russi greco-ortodossi, gli ebrei e i polacchi cristiani. Zamenhof si è sempre definito un ebreo russo. Queste divisioni etniche e culturali sfociavano spesso nella violenza, causando nel giovane Doktor Esperanto dolore e tristezza; tutto ciò lo portò all’idea che un’unica lingua avrebbe risolto tutti i problemi di comunicazione. Da qui nasce il germe dell’Esperanto.

“ Questo  luogo  della mia  nascita  e  degli  anni  della mia  fanciullezza  ha impresso il primo corso a tutte le mie aspirazioni successive. La popolazione di Białystok  è  formata  da  quattro  elementi:  russi,  polacchi,  tedeschi,  ebrei. Ciascuno  di  questi  gruppi  parla  una  lingua  diversa  e  ha  relazioni  non amichevoli  con  gli  altri  gruppi.  In  tale  città,  più  che  altrove,  una  natura sensibile percepisce la pesante infelicità della diversità linguistica e si convince ad ogni passo che  la diversità di  lingue è  la sola causa o almeno  la principale che  allontana  la  famiglia  umana  e  la  divide  in  fazioni  nemiche.  Sono  stato educato all'idealismo; mi hanno  insegnato che  tutti gli uomini  sono  fratelli e intanto sulla strada e nel cortile tutto a ogni passo mi ha fatto sentire che non esistono uomini, esistono soltanto russi, polacchi, tedeschi, ebrei, ecc. Questo ha sempre  tormentato  il mio animo  infantile, anche se molti sorrideranno su questo  dolore  per  il  mondo  da  parte  di  un  bambino.  Poiché  a  me  allora sembrava  che  i  "grandi"  fossero  onnipotenti, mi  ripetevo  che  quando  sarei stato  grande  io  senz'altro  avrei  eliminato  questo  male”  (L.L. Zamenhof, lettera all’amico Nikolai Afrikanovich Borovko).

Il progetto dell’Esperanto inizialmente era definito, in modo generico, come la “Interno Idea”4. Ma esattamente che cosa si intende con questo

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termine? La lingua in se stessa è solo una lingua, ma, nazionale o internazionale che sia, o qualunque siano i suoi obiettivi, essa è intrisa di sentimenti; essa è amata dai suoi parlanti. Allo stesso modo l’Esperanto è amato dai suoi adepti, in particolare da quelle che vedono in questa lingua uno strumento di pace. Dunque quello che sta dietro il termine “Interno Idea”, è proprio questo concetto di fratellanza e giustizia, che fin da subito ha accompagnato la nascita e lo sviluppo dell’Esperanto. Tuttavia la definizione di questa “idea interna” non è mai stata chiaramente data, fu Zamenhof stesso che, nel tentativo di esplicitarne il significato, la assimilò al concetto di homaranismo. Anche per quest’ultimo termine, credo sia meglio essere un po’ più precisi anche se concisi. Leggendo il dizionario Plena Vortario e citandolo testualmente, l’homaranismo è una dottrina che “esige che ognuno consideri ed ami gli uomini di ogni nazione come propri fratelli”. Originariamente questo termine deriva dalla parola esperanta “homaro”, che significa “umanità”; in italiano potrebbe essere tradotto come “umanitarismo”. Questo concetto è il risultato della personale interpretazione che Zamenhof dette, nel 1901, della dottrina filosofico-religiosa ebraica dell’Hilelismo (dottrina di fratellanza umana ispirata alla figura del rabbino Hillel5, contemporaneo di Gesù Cristo). Questo concetto di homaranismo-hilelismo ha impegnato Zamenhof durante tutta la sua vita forse in maniera ancora più incisiva di quanto abbia fatto la sua opera di creazione di una lingua internazionale (probabilmente perché è proprio il concetto di fratellanza che soggiace alla creazione di una lingvuo internacio).

Zamenhof conosceva le difficoltà che si presentavano nell’imparare una lingua straniera, le stesse che lui aveva incontrato imparando russo e polacco (usati quotidianamente), l’ebraico (insegnatoli dal padre) e il greco, latino, tedesco, francese ed inglese (imparati al ginnasio di Varsavia). Egli quindi utilizzò tutto il suo bagaglio linguistico per stendere le basi di una lingua internazionale, che non richiedesse un impiego di risorse né economiche, né intellettuali. Insomma, l’intenzione era quella di creare qualcosa di semplice che fosse alla portata di tutti. Dopo aver lavorato alcuni anni alla creazione alcune bozze di lingua (protoesperanto), è nel 1878 che Zamenhof festeggia la nascita della sua lingua. Purtroppo il padre, ritenendo che questi studi linguistici lo distraessero dai suoi impegni come studente di medicina (Zamenhof oltre ad essere un famoso linguista e glottoteta polacco, era anche un medico oftalmologo), bruciò gran parte dei sui appunti sull’Esperanto. Così il creatore dell’Esperanto fu costretto a ricominciare tutto da capo portando a termine il suo lavoro nel 1887, con la creazione definitiva della lingua artificiale internazionale. Grazie alla diffusione de “Unua Libro” e di altre grammatiche esperante, alla sua semplicità e ai suoi ideali, questo idioma iniziò a diffondersi in tutta Europa.

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Capitolo IIIb: Morfologia e Fonetica dell’Esperanto L’Esperanto, come già detto nei capitoli precedenti, è una lingua

inventata e codificata dall’oftalmologo e linguista Ludwik Lejzer Zamenhof.

Per lingua codificata si intende una lingua che possiede una propria grammatica e un proprio vocabolario, entrambi elaborati dal creatore. Le lingue codificate si basano dunque su un modello scritto dall’inventore, come l’Esperanto ed il Klingon. Altre lingue inventate, invece, non si basano su un modello, anzi quest’ultimo viene evinto dall’uso della lingua. In altre parole esistono idiomi che vengono studiati ed analizzati su modelli forniti dallo stesso creatore, come l’Esperanto o il Klingon, ed altre che vengono codificate dopo la loro creazione, come la lingua Elfica6 inventata da John Ronald Reuel Tolkien, codificata solo dopo le saghe fantasy grazie ad altri linguisti ed appassionati del genere.

Il modello fornito da L.L. Zamenhof per la comprensione, lo studio e l’analisi dell’Esperanto, fu la già citata opera “Unua Libro” del 1887. Essa introduceva per la prima volta questo idioma, inizialmente chiamato Lingvo Internacia, al mondo intero, descrivendone le principali caratteristiche morfologiche e fonetiche ed esplicitandone gli obiettivi sociali.

Entriamo dunque in modo più specifico in quella che è la struttura dell’Esperanto.

La lingua di Zamenhof si compone di 28 lettere, a cui corrispondono 28 suoni. È importante sottolineare tale corrispondenza, perché il principio fondamentale dell’Esperanto e che regola tutta la lingua, è che ogni lettera deve corrispondere a un unico suono. Non dimentichiamoci che l’Esperanto è una lingua costruita con lo scopo di facilitare la comunicazione, quindi “semplificare” è la parola d’ordine in questo idioma.

Le vocali sono cinque, le medesime dell’alfabeto italiano, e si pronunciano con la stessa articolazione, con l’eccezione che l’Esperanto non prevede le pronunce aperta/chiusa nelle vocali [e] e [o]. Le consonanti sono 23, e anche queste ultime si articolano nella stessa maniera della consonanti italiane. Fanno eccezione i gruppi consonantici che, proprio per essere fedeli al principio di “un simbolo- un suono”, si pronunciano come suoni distinti. La lingua esperanta è dunque perfettamente monogrammatica: ad ogni grafema corrisponde un fonema e viceversa. Poiché lo spazio fonetico dell’Esperanto (cioè l’insieme di tutti i suoni usati nella sua fonetica) è composto da 28 elementi, Zamenhof utilizzò il cappellino ( ˆ ) presente nelle macchine da scrivere sell’epoca, basate sull’alfabeto francese, per creare nuove lettere: “ĉ, ĝ, ĥ, ĵ, ŝ”. Sulla “u” per motivi estetici usò il segno breve, creando la lettera ǔ, che indica una “u” semivocalica (come la “w” inglese di “wanted”). L’esperanto utilizza dunque 22 lettere dell’alfabeto latino di base oltre alle 6 lettere, appena citate, contrassegnate dal diacritico. Le lettere “q, w, x, y” vengono impiegate solo come simboli nelle espressioni matematiche.

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Come detto in precedenza, Zamenhof creò una grammatica minimale basandosi su lingue etniche parlate quotidianamente, dalle quali ricavò lessico e regole grammaticali; ogni regola dell’Esperanto esiste in qualche lingua naturale. Probabilmente lo studioso era affascinato dalla semplicità dell’inglese, che influenzò soprattutto la creazione dei verbi.

Affinché sia più chiaro quanto semplificata sia la lingua esperanta, cercherò di elencare brevemente la caratteristiche principali della grammatica di questa lingua pianificata.

In Esperanto non esiste l’articolo indeterminato e ne esiste uno solo determinato, che viene utilizzato sia per il plurale che per il singolare, e sia per il femminile che per il maschile; si tratta dell’articolo la. Non dobbiamo farci confondere dal fatto che questo articolo termina con una vocale che solitamente in italiano indica il genere femminile; l’Esperanto infatti non fa distinzioni di genere, è quella che si può definire una lingua non sessista.

Contrariamente alla maggioranza delle lingue esistenti, tra cui l’italiano, la marcatura sintattica delle parole è trasparente e viene data dall’ultima vocale della parola in analisi. Per marcatura sintattica delle parole si intende la possibilità di capire l’appartenenza delle parole stesse ad una categoria grammaticale. Per esempio le parole derivanti dalla radice muzik- (idea generale di musica):

1- Muzik-o = musica (sostantivo)

2- Muzik-a = musicale (aggettivo)

3- Muzik-e = musicalmente (avverbio)

4- Muzik-i = far musica (verbo all’infinito)

I modi e i tempi verbali, come già detto in precedenza, prendono spunto dalla lingua inglese. Essi si distinguono esclusivamente dalle desinenze, che non cambiano in base alla persona, ma solo per modo e tempo, senza bisogno di ausiliari. Di conseguenza, in Esperanto vige l’obbligo di specificare il soggetto ( a meno che il verbo non sia impersonale, es: pluvas = piove). Esiste anche la coniugazione composta, che si forma logicamente conoscendo il significato dei participi (aggettivi derivati dai verbi) e combinandoli con il verbo “essere” esti.

Come in italiano, gli aggettivi si accordano ai sostantivi per numero, ma non per genere. Il plurale si forma, sia per gli aggettivi che per i sostantivi, aggiungendo una “– j” alla fine della parola, per es: muziko-j = musiche. L’aggettivo può indifferentemente seguire o precedere il sostantivo. Entrambi vengono marcati con una –n finale se sono complemento oggetto. Tale marcatura è definito “caso accusativo” e permette di mutare l’ordine delle parole nella frase senza perderne il senso.

Restando nell’ambito dell’ordine delle parole, l’Esperanto è piuttosto libero grazie al caso accusativo ed alla possibilità di porre gli aggettivi

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prima o dopo i nomi. L’ordine viene scelto, oltre che dall’enfasi che si vuole dare alla frase, dall’origine del parlante. Ad ogni modo l’ordine maggiormente utilizzato è soggetto- verbo- oggetto (SVO).

Tra le lingue che hanno influenzato ed influenzano tuttora l’Esperanto possiamo incontrare lingue romanze (latino, francese, italiano), lingue germaniche (inglese, tedesco), lingue slave (polacco, russo), lingue indoeuropee (greco, lituano, sanscrito), lingue ungro-inniche (ungherese, finlandese), lingue semitiche (ebraico, arabo) ed infine il giapponese ed il cinese.

L’Esperanto preferisce i calchi ai prestiti, cioè predilige l’adattamento delle parole straniere alla sua morfologia. Non tutte le parole dell’Esperanto hanno un significato deducibile da altre lingue; alcune di esse sono idiomismi propri di questa lingua inventata. Ciò non deve stupire in quanto è la naturale evoluzione della lingua tra i parlanti dell’Esperanto. Alcune di queste “nuove” parole sono: edzo= marito, ĝi= esso/a per indicare cose asessuate, kabei= comportarsi come Kabe (abbandonare l’esperantismo)7 Kazimierz Bein, NIFO= UFO (Ne-Identigita Flug-Objekto).

Non è semplice riuscire a classificare una lingua artificiale come l’Esperanto, che prende spunto da molte lingue diverse. La sua struttura ed il lessico la avvicinano a lingue di tipo indoeuropeo, mentre la sua morfologia di tipo agglutinante8 la porta verso le lingue come l’ungherese, il turco e il giapponese. In definitiva l’Esperanto, essendo nato per facilitare la comunicazione, rende semplice il suo apprendimento sia a chi parla o conosce una lingua indoeuropea, sia a chi parla o studia una lingua che non appartiene a questo gruppo.

Alfabeto Esperanto

Lettera Simbolo IPA

Descrizione

a [a] Vocale anteriore aperta

b [ b ] Consonante occlusiva bilabiale sonora

c [ ts ] Consonante affricata dentale sorda

ĉ [ t ] Consonante affricata postalveolare sorda

d [ d ] Consonante occlusiva alveolare sonora

e [e] Vocale anteriore chiusa

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f [ f ] Consonante fricativa labiodentale

g [ ] Consonante occlusiva velare sonora

ĝ [ d ] Consonate affricata velare sonora

h [ h] Consonante fricativa glottidale sorda

ĥ [ x ] Consonante fricativa velare sorda

i [ i] Vocale anteriore chiusa

j [ j ] Consonante approssimante palatale

ĵ [ ] Consonante fricativa postalveolare sonora

k [ k ] Consonante occlusiva velare sorda

l [ l ] Consonante laterale alveolare

m [ m ] Consonante nasale bilabiale

n [ n ] Consonante nasale alveolare

o [ o] Vocale posteriore semichiusa

p [ p ] Consonante occlusiva bilabiale sorda

r [ r ] Consonante vibrante alveolare

s [ s ] Consonante fricativa alveolare sorda

ŝ [ ] Consonante fricativa postalveolare sorda

t [ t ] Consonante occlusiva alveolare sorda

u [ u] Vocale posteriore chiusa

ŭ [ w ] Consonante approssimante labiovelare sonora

v [ v ] Consonante fricativa labiodentale sonora

z [ z ] Consonante fricativa alveolare sonora

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Esplicitando ciò che è stato riassunto nella tabella, possiamo dire che l’inventario fonetico dell’Esperanto non prevede suoni che, per la maggioranza dei parlanti, potrebbero risultare complicati da riprodurre.

Non troviamo infatti alcun tipo di consonanti retroflesse, ovulari e faringali; abbiamo poche consonanti glottidali, velari e solo una palatale. Le occlusive bilabiali, alveolari e velari sono sia sorde che sonore; allo stesso modo vediamo il binomio sordo-sonoro anche nelle fricative labiodentali, alveolari, postalveolari. Diversamente, le fricative velari e glottidali sono solo di tipo sordo. Esattamente come accade per la lingua italiana, l’Esperanto possiede due approssimanti, una labiovelare sonora e una palatale, mentre a differenza della nostra madrelingua, la creatura di Zamenhof non possiede una approssimante laterale palatale, ma solo una alveolare. Le vocali sono tutte di tipo anteriori o posteriori, chiuse o aperte (fatta eccezione per la semichiusa o). Non compare tutta la gamma delle vocali centrali e semiaperte; esclusi sono anche alcuni fonemi vocalici anteriori chiusi, semichiusi e semiaperti; e alcuni posteriori chiuse, semichiuse, semiaperte e aperte. In definitiva, le vocali esperante si trovano tutte ai bordi del trapezio vocalico qui sotto riportato:

Tabella Ufficiale IPA (1996)

Come già detto, l’apprendimento dell’Esperanto non è complicato, data la sua natura logica e regolare. Altrettanto regolare è la sua pronuncia, che non prevede eccezione ed è piuttosto naturale, pur essendo una lingua artificiale.

“La scarsa attenzione riservata all’importanza della pronuncia, fa sì che ognuno parli la lingua a modo suo, o meglio secondo la sua personale pronuncia della propria lingua madre; quindi partendo da pronunce effettive,

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nonostante le semplici regole dell’Esperanto, ognuno lo rende con foni e con intonazione della propria pronuncia regionale” (Canepari, 2003: 381). Fortunatamente, essendo l’Esperanto una lingua che tende ad eliminare le ambiguità, la pronuncia che si discosta da quella standard non crea fraintendimenti, come invece accade nelle altre lingue etniche.

L’Esperanto possiede solo 5 fonemi vocalici, cioè quelli più diffusi tra le varie lingue. Esse si realizzano in modo simile alle vocali italiane:

/a, e, i, o, u/ [a, e, i, o, u] senza /e/ e /o/ aperta [ε, ɔ].

Per quanto riguarda le consonanti in esperanto abbiamo le nasali, le occlusive, le affricate, le fricative, le approssimanti, le vibranti e le laterali. Vediamo in modo più approfondito come si comportano:

-Nasali: in Esperanto abbiamo due fonemi nasali [m, n]. Mentre il primo non si assimila mai, ci sono varie possibilità di assimilazione per /n/, e cioè [, ], che rendono la pronuncia più fluente e naturale. Questo grafema si assimila anche quando indica il caso accusativo.

-Occlusive: l’Esperanto ha tre coppie diafoniche di occlusive, cioè /p b, t d, k g/, [p b, t d, k g]; è da notare che la g si pronuncia sempre velare.

-Affricate: l’Esperanto ne prevede tre, di cui due formano una coppia diafonica, e sono [ts, t, d]. Il primo simbolo fonetico corrisponde alla pronuncia della lettera c, che in Esperanto è sempre breve, mentre in italiano quando la z è postvocalica è auto geminante. Gli altri due simboli corrispondono alla pronuncia della lettera ĉ e della lettera ĝ, entrambi presenti anche in italiano, per esempio nella parola ciliegia [ti’ljda].

-Fricative: in Esperanto esistono tre coppie diafoniche di fricative, e cioè /f v, s z, ŝ ĵ/ [f v, s z, ]. La prima coppia non ha differenze né di pronuncia né di uso in italiano; /s/ si pronuncia sempre [s], cioè sempre sonora, e /z/ si pronuncia sempre [z], cioè sorda. La stessa cosa vale anche per ŝ e ĵ, [] e [], che corrispondono alla pronuncia italiana di –sc e –j. L’unica differenza è che in italiano standard la pronuncia del suono [] in posizione postvocalica è sempre geminata, mentre in Esperanto è sempre breve.

-Approssimanti: tra le approssimanti in Esperanto troviamo la laringale h, /h/, [h]. Questo simbolo può anche essere pronunciato come [], differenziandosi dal non-sonoro [h] e risultando più comodo della più difficile pronuncia [x]. Le altre due approssimanti /j w/, [ j w], sono rappresentate dalle lettere j e ǔ e corrispondono agli italiani ieri [’jri] e uomo [’wmo].

-Vibranti: in Esperanto esiste solo un tipo di vibrante ed è rappresentato dal simbolo [], qualsiasi altra pronuncia di /r/ non è neutra.

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-Laterali: infine in Esperanto esiste una sola laterale alveolare pura, senza nessuna sfumatura particolare. L’unica assimilazione di [l] è davanti alle dentali all’interno di lessemi atoni.

Questo ovviamente è solo un breve accenno alle peculiarità fonetiche dell’Esperanto. Ciò che non deve mai essere dimenticato è che vanno evitate tutte le pronunce che rimandano alla propria lingua materna, “giacché se ognuno fa così, alla fine ogni esperantista ha il suo dialetto dell’Esperanto; per cui il risultato si avvicina alla Babele Linguistica, che l’Esperanto mira a risolvere” (Canepari, 2003:386).

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Capitolo IVa: Introduzione al Klingon; il suo inventore, la sua nascita, il suo scopo

Il Klingon è una lingua artificiale a scopo ludico, inventata e creata dal linguista Marc Okrand, in occasione della serie, prima cinematografica e poi televisiva, Star Trek. Inizialmente gli attori che dovevano interpretare gli alieni Klingon si esprimevano attraverso suoni gutturali, che non erano codificati come lingua anzi, erano dei semplici versi. Successivamente fu proprio la casa di produzione Paramount Pictures a contattare il linguista Marc Okrand, offrendogli come lavoro quello di inventare una lingua adatta ai personaggi Klingon; una lingua complessa, cacofonica e aliena. Insomma, una lingua che non avesse alcun richiamo esplicito a nessuna delle lingue esistenti al mondo.

Marc Okrand nasce nel 1948, ed è un linguista americano prevalentemente noto, come già detto, per essere l’inventore del Klingon. Il primo approccio che Okrand ebbe con il mondo cinematografico, fu presso il National Captioning Institute, dove lavorava al sistema utilizzato negli audiovisivi per i non udenti. Fu proprio il quella circostanza che incontrò il produttore del capitolo “Star Trek: L’ira di Khan”, che gli propose un lavoro alla sua produzione cinematografica. Assunto dalla Paramount Pictures come inventore del Klingon, Marc Okrand riuscì a dimostrare la sua abilità come linguista, tanto che inventò anche l’Atlantidiano (una lingua usata da alcuni personaggio del film-cartone animato della Disney “Atlantis”).

La prima volta in cui si può sentire parlare in lingua Klingon, è nel film “Star Trek III: Alla ricerca di Spock” (1984), diretto da Leonard Nimoy , scritto e prodotto da Harve Bennet. Dopo questa prima apparizione, questa lingua artificiale viene riproposta nei capitoli: “Star Trek V: L’ultima frontiera”, “Star Trek VI: Rotta Verso l’ignoto”, “Star Trek: The Next Generation” Fu proprio quest’ultimo a volere che il popolo alieno Klingon parlasse una vera e propria lingua, incaricando Okrand di crearne una adatta allo scopo. Il motivo per cui, in capitolo più recenti della saga di Star Trek, non si trovano più Klingon di “madre lingua”, ma alieni che parlano in lingua umana, è che avendo essi assunto un ruolo sempre più importante, con molte più battute, diventava difficile e di poco interesse per gli spettatori far parlare gli attori in questa lingua ultraterrena.

Un libro utile alla comprensione della struttura del Klingon, è l’opera scritta dallo stesso Marc Okrand “Klingon Dictionary” (1985). Ovviamente questa non è l’ultima opera riguardante il Klingon, sono state scritte anche: “The Klingon Way”, “Klingon for the Galactic Traveler”, “Federation Travel Guide”. Saggi e libri teorici vengono affiancati da molte opere universalmente note tradotte in Klingon. Per esempio sono note le traduzioni de “Amleto” e di “Molto Rumore per Nulla” di William Shakespeare.

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Un’altra risorsa per entrare in contatto con la lingua Klingon è il Klingon Language Institute. Esso è la prova di quanto seriamente sia stata presa questa lingua; non è solo un’ idioma inventato per una serie cinematografica e televisiva, ma si è trasformato in un vero e proprio culto da parte degli ammiratori di Star Trek, che non solo hanno imparato la lingua, ma si stanno anche prodigando per terminare la prima enciclopedia Klingon. In essa si possono trovare descrizioni geografiche delle zone abitate dai Klingon, informazioni sulla storia del popolo alieno e persino sulle loro abitudini alimentari. Attualmente il Klingon Language Institute è al suo quinto anno di attività, ed è sempre alla ricerca di nuovi membri che non siano solo fans, ma anche esperti in linguistica, in filologia, in psicologia… persone che possono fornire autentica veridicità a questa lingua inventata. Visitando il sito del Klingon Language Institute, si viene a conoscenza del fatto che non esitono soltanto poche pubblicazioni relative al Klingon. È un po’ come se si aprisse una “galassia” di risorse. Esiste un giornale trimestrale interamente in Klingon che si chiama HolQeD e che può essere considerato una pubblicazione accademica, esite un servizio on-line messo a disposizione dall’istituto di Klingon, chiamato Qo’nos Qonos (The Kronos Chronicle), che pubblica periodicamente articoli, brani, che possono aiutare a praticare la lingua; infine esiste il Jatmey, un supplemento della letteratura Klingon, un veicolo per la diffusione di poesie e racconti scritti interamente in Klingon. Fino ad ora sono stati pubblicati quattro volumi di Jatmey, due nell’inverno del 1996, uno nell’inverno del 1997 e infine uno nell’inverno del 1999.

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Capitolo IVb: Morfologia e Fonetica del Klingon Il Klingon, così come l’Esperanto, è una lingua inventata e codificata “a

priori”. Essa è stata infatti creata dal linguista Marc Okrand, e regolamentata da quest’ultimo nel 1985 attraverso la pubblicazione del The Klingon Dictionary; English/ Klingon, Klingon/ English.

Quest’opera ci fornisce gli elementi base per la comprensione dei vocaboli della lingua aliena di Star Trek ed al tempo stesso ci spiega, in maniera elementare, le fondamenta fonetiche e morfologiche che soggiacciono a tale lingua; informazioni che anche i non esperti linguisti possono comprendere.

L’alfabeto Klingon è formato da un totale di venticinque lettere, di cui venti sono consonanti e cinque sono vocali. Molto spesso nell’opera di Okrand si fanno esempi circa la pronuncia delle lettere klingoniane; questi esempi riprendono la pronuncia inglese o americana; ciò non deve far pensare ad una discriminazione nei confronti delle altre lingue, semplicemente il dizionario era indirizzato agli anglofoni e doveva rendere il più semplice possibile la comprensione dei suoni. Pertanto nella descrizione dei fonemi anche io mi atterrò agli esempi forniti da Okrand e laddove sarà possibile aggiungerò esempi nella nostra lingua madre.

La lingua Klingon si distingue totalmente dall’Esperanto, sia come struttura sia come intenti. Infatti, se l’Esperanto spicca per la sua totale semplicità, rigore logico e soprattutto per il principio secondo cui a un simbolo corrisponde un unico suono, il Klingon è stato costruito in modo tale da evitare la semplicità e l’intuizione.

L’alfabeto Klingon è sprovvisto di alcune lettere, mentre sono ne presenti alcune accompagnate dalla loro rappresentazione di varianti allofoniche. Spieghiamo meglio. Innanzitutto “gli allofoni sono delle realizzazioni tipiche di certi fonemi che possiedono caratteristiche fonetiche proprie, ma non hanno nessuna funzione distintiva sul piano fonologico, visto che non danno luogo a coppie minime […] Per essere allofoni di uno stesso fonema, due foni devono però presentare non solo differenze ma anche somiglianze […] essi devono condividere almeno un ‘tratto distintivo’ ” (Berruto, 2006:73). La particolarità riscontrata nell’alfabeto Klingon non risiede nel fatto che alcuni dei suoni possiedano una variante allofonica, anche perché in realtà questo è un fatto comune a tutte le lingue. Ciò che risulta interessante è che l’allofono è inserito nell’alfabeto come lettera a sé e non è collegata a quella di cui ne è una variante. Per rendere ancora più semplice ciò che è stato detto in queste righe, credo sia opportuno fare un esempio: nell’alfabeto italiano, come tutti sappiamo, è presente la lettera n che possiede un allofono rappresentato dal simbolo [].

Quest’ultimo viene articolato solo quando la lettera n è seguita da una lettera come la c che velarizzano la pronuncia standard della n. In parole

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come nemico o ansia la pronuncia della /n/ sarà [n], mentre in parola come banco o ancora la /n/ sarà pronunciata come [].

Il fatto che esistano differenti varianti di /n/ non significa che entrambe debbano comparire nell’alfabeto italiano, dove infatti troviamo solo n /n/ [n]. In Klingon gli allofoni sono considerati lettere dal momento che hanno una funzione distintiva a livello fonologico.

Molte altre sono le particolarità del Klingon, Okrand stesso inventò questa lingua con l’intenzione di renderla bizzarra e simile a qualcosa di extraterrestre, cercando di evitare somiglianze con le lingue esistenti. Questa volontà è chiaramente rintracciabile nell’inventario consonantico asimmetrico e nell’ordine delle parole che formano una frase.

L’inventario consonantico del Klingon si distribuisce su molti luoghi d’articolazione dell’apparato fonoarticolatorio, arrivando anche in punti di quest’ultimo molto poco usati dalla maggior parte dei parlanti. Nonostante ciò esso ha delle lacune “acustiche”, per esempio sono assenti le occlusive velari e le sibilanti. Oltre ai suoni mancati, è molto importante notare anche i suoni presenti nella lingua di Okrand, come ad esempio la particolare combinazione di una consonante occlusiva alveolare sorda aspirata t /t/ [t] o come l’occlusiva retroflessa sonora D /d/ []. Quest’ultima può essere realizzata come [], mentre la lettera r /r/ come [], che rispettivamente sono una nasale retroflessa e un’approssimante retroflessa. Da notare è anche il carattere ‘, che in realtà non rappresenta il segno di punteggiatura ma un colpo di glottide [].

Prendendo in considerazione l’inventario vocalico si nota la netta opposizione rispetto a quello consonantico. Esso infatti si presenta più semplice e più simile a quello delle lingue “terrestri”. Il Klingon conta cinque vocali che si dispongono nell’intero trapezio vocalico, tra cui due vocali posteriori arrotondate o /o/ [o] e u /u/ [u]; due anteriori non arrotondate i /i/ [] ed e /e/ []; e una posteriore non arrotondata a /a/ [].

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Nel trapezio vocalico qui sotto indicato possiamo vedere la distribuzione delle vocali klingoniane:

Tabella Ufficiale IPA (1996)

Alfabeto Klingon

Lettera Simbolo IPA

Descrizione

a [] Vocale posteriore aperta

b [b] Consonante occlusiva bilabiale sonora

ch [t] Consonante affricata postalveolare sorda

D [] Consonante occlusiva retroflessa sonora

e [] Vocale anteriore aperta

gh [] Consonante fricativa velare sonora

H [x] Consonante fricativa velare sorda

I [] Vocale anteriore chiusa

j [d] Consonante affricata postalveolare sonora

l [l] Consonante laterale alveolare

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m [m] Consonante nasale bilabiale sonora

n [n] Consonante nasale alveolare sorda

ng [] Consonante nasale velare

o [o] Vocale posteriore chiusa

p [p] Consonante occlusiva bilabiale sorda aspirata

q [q] Consonante occlusiva uvulare sorda

Q [q] Consonante occlusiva fricativa uvulare sorda

r [r] Consonante vibrante alveolare

S [] Consonante fricativa retroflessa sorda

t [t] Consonante occlusiva alveolare sorda aspirata

thl [t’] Consonante fricativa laterale alveolare sorda

u [u] Vocale posteriore chiusa

v [v] Consonante fricativa labiodentale sonora

w [w] Consonante approssimante labiovelare sonora

y [j] Consonante approssimante palatale

‘ [] Consonante occlusiva glottidale- Colpo di glottide

Riassumendo la tabella dell’alfabeto Klingon sopra riportata, troviamo sei tipi di occlusive, sette consonanti di cui cinque fricative e due affricate, tre nasali, due approssimanti e un solo tipo di laterale e vibrante.

-Occlusive: in Klingon esiste una coppia diafonica di occlusive bilabiali [p] e [b] che si differenziano tra loro solo per il carattere aspirato della prima; le altre occlusive sono l’occlusiva retroflessa sonora [], l’occlusiva uvulare sorda [q], l’occlusiva fricativa uvulare sorda [q] (queste ultime due possono quasi essere considerate come coppia diafonica) e infine l’occlusiva alveolare sorda aspirata [t]. Nessuna di queste

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consonanti, fatta eccezione per le prime due, ha un corrispettivo nella nostra lingua, in Italiano infatti non esistono suoni simili.

-Fricative e Affricate: nel Klingon esiste una coppia diafonica di fricative velari, [] sonora e [x] sorda; esistono una fricativa retroflessa sorda [], una fricativa alveolare sorda [t’] e una fricativa labiodentale sonora [v]. Per quanto riguarda le affricate, in Klingon troviamo una coppia diafonica formata da due affricate postalveolari [t] e [d], rispettivamente sorda e sonora. In questo caso su sette consonanti, in Italiano ne ritroviamo quattro e cioè: [] [v] [t] e [d].

-Nasali: in Klingon troviamo tre tipi di nasali, una bilabiale sonora [m], una alveolare sorda [n] e una velare, che è l’allofono di [n], []. Essendo questi suoni molto comuni in tutte le lingue, li ritroviamo anche nella nostra lingua.

-Approssimanti: le approssimanti in Klingon sono rappresentate dalla labiovelare sonora [w] e dalla palatale [j]. Anche queste consonanti hanno suoni presenti in quasi tutte le lingue, in italiano per esempio le troviamo in parole come uovo [’wvo] e piove [’pjve].

Di consonanti vibranti e laterali, come già detto, ne sono presenti solo una per tipo e cioè, la vibrante alveolare [r] e la laterale alveolare [l].

Da ciò possiamo dedurre che il Klingon si presenta come una lingua dai suoni duri e con elevata percentuale di frizione nell’articolazione dei foni. Spesso è presente una componente aspirata o retroflessa, che se accostata a luoghi di articolazione come il velo, il palato e l’uvula rendono molto complicata la pronuncia delle parole Klingon. Ciò non deve stupire in quanto la difficoltà è una caratteristica intrinseca di questo idioma.

Lo scopo che Okrand si era prefisso per la creazione di questa lingua, era proprio quello di allontanare il più possibile il Klingon degli standard linguistici delle altre lingue esistenti e comunemente parlate; solo in questo modo sarebbe risultata aliena.

Le difficoltà di pronuncia riscontrate nel Klingon non sono le uniche rintracciabili nella “creazione” di Okrand. Se analizziamo la sua morfologia e la sua struttura grammaticale, ci rendiamo subito conto che il Klingon è molto più di un insieme di suoni di difficile articolazione e di difficile comprensione.

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Come prima cosa è necessario sottolineare che è praticamente impossibile, in un capitolo breve come questo, riuscire a dare una visione completa della struttura del Klingon. Ciò che verrà descritto nelle seguenti pagine è solo una guida alla grammatica e alla morfologia di questa lingua.

“Nel Klingon esistono tre parti basilari del discorso: nome, verbo e tutto il resto” (Okrand, 1992:18). La composizione dei nomi si basa sul modello inglese, per cui esisitono nomi semplici (simple nouns), nomi complessi (complex nouns) e nomi composti (compound nouns); per esempio:

1- Dos= obiettivo

2- Duy’a’= ambasciatore

3- rojHom= pace temporanea

Come possiamo facilmente vedere, essendo la prima parola un nome semplice, è formata solo da un nome Dos; la seconda è formata da una parola semplice Duy e dal suffisso accrescitivo ’a’ .

Nella lingua Klingon esisitono molti suffissi, ognuno con il proprio compito specifico. Oltre a quello accrescitivo, prima citato, troviamo il suffisso diminutivo, quello di numero, quello di qualificazione, quello di possesso e specificazione e infine quelli di luogo. Da questa caratteristica, capiamo che il Klingon è una lingua agglutinante9.

Una delle particolarità della lingua di Okrand è che non esiste un suffisso che denota il singolare, ne esiste solo uno che determina il plurale. Nonostante questo, se troviamo una parola senza alcun suffisso non possiamo avere la certezza che si tratti di un nome singolare, dato che in Klingon esistono parole che sono intrinsecamente plurali. Ovviamente con alcune parole è necessario apporre il suffisso plurale. Altra particolarità del Klingon: il suffisso plurale cambia in base a se si aggiunge al pronome, al verbo e se si aggiunge al nome varia a seconda che si stia parlando o meno di parti del corpo.

Per rendere più chiaro quest’ultimo concetto, è necessario fare alcuni esempi: se si tratta di suffissi aggiunti al pronome si dovranno usare –vI e –DI rispettivamente per il singolare e per il plurale; se si tratta di suffissi aggiunti al verbo si dovrà usare per il singolare –jIH e per il plurale –maH; infine se si indicano parti del corpo al plurale si dovrà usare il suffisso –Du e per tutto il resto –mey10.

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L’opera di Okrand su cui si basa quest’analisi, e cioè The Klingon Dictionary, non fa alcun riferimento al genere maschile e femminile. Da ciò si può dedurre che questa lingua non opera differenza di genere e non possiede nessun suffisso atto a distinguere tra maschile e femminile.

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Quando una parola è seguita da più di un suffisso, questi ultimi devono necessariamente seguire un ordine:

1. Nome

2. Diminutivo/ Accrescitivo

3. Plurale

4. Specificazione

5. Possesivo/ Dimostrativo

6. Causa

I verbi in Klingon inglobano al loro interno i prefissi che indicano la persona e il genere, quindi non è necessario specificarli come succede per esempio in Inglese. Oltre a quelli di genere e persona, i verbi Klingon sono accompagnati da particolari suffissi chiamati “rovers”. Essi non hanno una posizione fissa e specifica all’interno del verbo, la loro posizione è determinata dal significato che si vuole attribuire al verbo. Esistono infatti due tipi di “rovers”: negativo –be’ e enfatico –qu’. Per dimostrare che i “rovers” possono essere posizionati in qualsiasi punto della frase, ecco un esempio:

Negativo

1. choHoHvIp= tu hai paura di uccidermi

2. choHoHvIpbe’= tu non hai paura di uccidermi

3. choHoHbe’vIp= tu hai paura di non uccidermi

Enfatico

1. pIHoHvIpbe’qu’= noi non abbiamo paura di ucciderti

2. pIHoHvIpqu’be’= noi non abbiamo paura di ucciderti

3. pIHoHqu’vIpbe’= noi non abbiamo paura di ucciderti

I cosiddetti “rovers” non sono gli unici suffissi particolari presenti nel Klingon. I verbi in questa lingua sono accompagnati da suffissi di aspetto, certezza, predisposizione, dinamicità, causa, modo e educazione. La lingua Klingon non esprime i tempi, nel senso che i verbi non ne

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possiedono. Non esisite i passato, il presente e il futuro. L’idea del tempo che scorre viene dato dagli avverbi di tempo

In Klingon non esistono gli aggettivi, o meglio esistono ma vengono espressi tramite i verbi; per esempio per esprimere l’aggettivo grande in Klingon si dirà essere grande.

Quando Marc Okrand ha inventato il Klingon, non si è limitato solo all’aspetto fonetico e grammaticale della lingua, ha persino inventato un nuovo sistema numerico. Il Klingon infatti si basa su un sistema numerico ternario, cioè con base di 3. I numeri si conteranno pertanto nel seguente modo: 1, 2, 3, 3+1, 3+2, 3+3, 2x3+1, 2x3+2, 2x3+3, 3x3+1, 3x3+2, 3x3+3…e via discorrendo in una sequenza sempre più complessa. Anche se guardando alcuni episodi della saga di Star Trek si possono notare strani simboli leggermente cuneiformi, il sistema di scrittura ufficiale della lingua Klingon è l’alfabeto latino.

L’originalità del Klingon non è evidente solo nella pronuncia o nella struttura, ma anche nella sintassi. Il Klingon infatti, si basa su un ordine molto poco comune, è cioè oggetto- verbo-soggetto (OVS). Quest’ordine è molto raro nelle lingue esistenti ed è l’esatto contrario dell’ordine inglese.

Volendo essere più precisi e dettagliati, ci sarebbe un’infinità di altri elementi da aggiungere alla grammatica del Klingon, ma lo scopo di questo capitolo è solo che quello di illustrare brevemente le peculiarità sia fonetiche che morfologiche di questa lingua inventata.

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Capitolo V: Paragone tra Esperanto e Klingon; facilità e difficoltà I capitoli precedenti illustravano le caratteristiche fonologiche e morfologiche di due lingue artificiali: l’Esperanto e il Klingon. Quello che questo capitolo cercherà di illustrare, sono le maggiori facilità e le difficoltà di queste ultime.

Iniziando dall’Esperanto possiamo notare che si presenta come una lingua semplice in tutti i suoi aspetti. Molto semplice morfologicamente grazie al suo sistema ridotto di suffissi e di casi, altrettanto facile fono logicamente grazie al suo principio “un simbolo- un suono”. Il suo sistema di scrittura è molto intuitivo, non esistono gruppi consonantici che possono confondere la pronuncia degli stessi. L’Esperanto essendo una lingua creata sulla base dei quelle già esistenti, prende il meglio da ognuna di esse. Per esempio dalle lingue romanze prende l’ordine degli elementi SVO (soggetto- verbo- oggetto), Zamenhof stesso indica l’Italiano come modello di pronuncia per l’Esperanto. Dalle lingue indoeuropee essa eredita un sistema morfologico agglutinante, in particolare dal Turco. Il lessico è preso in prestito un po’ da tutti i tipi di lingue, da quelle indoeuropee appena citate, a quelle slave, a quelle germaniche. Da una di queste ultime, cioè dall’Inglese, l’Esperanto eredita il sistema verbale, già di per sé semplice e lo semplifica ancora di più. Ultima caratteristica, ma non meno importante, che esprime la semplicità dell’Esperanto è il fatto che sia una regola senza eccezioni.

La difficoltà del Klingon, risiede invece in tutte quelle parti della lingua che rendono semplice la lingua di Zamenhof. Il suo sistema di pronuncia è molto complicato, in particolare ciò che lo rende complicato è la grande distanza logica che intercorre tra il simbolo e il suono corrispettivo, e i luoghi di articolazione degli stessi. Per esempio non risulta molto intuitiva la pronuncia della lettera H come [x], oppure la pronuncia della lettera S come [] articolata quasi come una d. Il suo sistema morfologico è ricco di suffissi, anche quelli poco intuitivi nel senso che è molto raro trovare una lingua che abbia un suffisso che indichi le parti del corpo oppure un suffisso onorifico. Ciò che rende inusuale il Klingon è anche il suo particolare ordine degli elementi: OVS (oggetto- verbo-soggetto). Ciò che è molto importante ricordare è che la difficoltà di una lingua non determina la sua inferiorità rispetto ad un’altra. Il Klingon non deve essere considerato meno rilevante solo perché più complicato di una lingua come l’Esperanto. Entrambe le lingue hanno raggiunto l’obiettivo prefisso: comunicabilità attraverso la semplicità ed estraneità alle lingue umane attraverso la difficoltà.

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Capitolo VI: Varianti di Esperanto e Klingon Come accade per tutte le lingue, esistenti e inventate, anche

l’Esperanto e il Klingon possiedono delle varianti. Per varianti si intendono tutti quei cambiamenti che si riscontrano in un idioma e che lo differenziano dal suo standard. Il cambiamento di registro, di stile e di lessico determina una variante di una lingua; per esempio la differenza tra lingua scritta e lingua orale, tra linguaggio specifico e linguaggio comune. Le varianti si possono riscontrare anche nella pronuncia delle parole. In italiano, come in tutte le altre lingue del mondo, esiste il modello standard di pronuncia, che è quello parlato da chi conosce la dizione italiana; tutte le altre pronunce italiane sono le cosiddette varianti. Per esempio la pronuncia piemontese, lombarda, veneta, calabrese… sono tutte varianti dell’Italiano standard.

In questo capitolo non verranno analizzate le varianti in senso fonetico. La ragione è che, essendo l’Esperanto e il Klingon due lingue artificiali, dovremmo analizzare ogni minima variante dei singoli parlanti. Per esempio se prendessimo in esame le varianti dell’Esperanto parlato da un russo, dovremmo conoscere bene i suoni del russo ed incrociarli con quelli della lingua di Zamenhof. Così facendo scopriremo i suoni che sono simili e suoni che non lo sono affatto e di questi ultimi dovremmo cercarne le varianti. Questo ovviamente è solo un esempio, ma se volessimo davvero studiare un fenomeno simile, sarebbe necessario considerare tutte le lingue del mondo e di ciascuna studiarne l’inventario fonetico. Per fare uno studio così preciso e dettagliato non basterebbe una tesi, figuriamoci un solo capitolo. Per questo motivo riassumerò brevemente le varianti stilistiche dell’Esperanto e del Klingon, in modo da poter mettere in luce altri aspetti di queste due lingue artificiali, che si comportano in tutto e per tutto come le altre lingue esistenti.

Nella lingua di Zamenhof non sembrano esserci particolari distinzioni tra lo standard e le sue varianti. Nelle fonti da me consultate non si fanno particolari riferimenti a cambiamenti di registri, linguaggi particolari che differiscono da quello comune. Uno dei cambiamenti che viene apportato all’Esperanto, riguarda il sistema di scrittura nell’ambito informatico. Il problema principale si è presentato quando i computer, che non utilizzavano il sistema Unicode, non riuscivano a rappresentare graficamente quelle lettere dell’alfabeto esperanto fornite di diacritico, più comunemente chiamato “cappellino”. Per questo motivo si è deciso di optare per un sistema di scrittura dove queste lettere venivano sostituite con dei digrammi, sacrificando in questo modo la biunivocità suono-lettera. Un altro cambiamento che possiamo incontrare è rintracciabile nella lingua parlata. L’uso quotidiano11 dei parlanti, ha infatti portato all’inserimento di

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alcuni modi di dire che si sono sviluppati naturalmente nel corso degli anni. Un esempio è il modo di dire “coccodrillare” che deriva dal verbo krokodili che ha assunto il significato di qualcuno che, trovandosi in un gruppo di persone di nazionalità diversa dalla sua, decide di parlante nella sua lingua madre, privando gli altri dell’oppurtunità di comprendere il suo discorso. Questi due cambiamenti, in realtà non sono cambiamenti radicali rispetto allo standard, sono da considerarsi quasi come delle sfumature linguistiche più che varianti. Il motivo per cui le varianti sono di così piccola entità, è ovviamente da ricercare nel obiettivo principale dell’Esperanto: la comunicazione e la comprensione alla portata di tutti. Se dovessero crearsi troppe varianti si andrebbe finirebbe con una lingua più simile a un dialetto che non a una lingua internazionale.

Il Klingon invece, che ha come scopo quello di assomigliare ad una lingua aliena e non ha quindi nessun interesse nel semplificare, prevede alcune varianti. Esiste un Klingon utilizzato intra- e intergalassia, ne esiste uno utilizzato dal Governo Klingon per parlare ai cittadini, uno usato sempre dal Governo ma per comunicare con gli altri governi della galassia. In origine i klingoniani utilizzavano la lingua inglese come idioma distintivo tra chi era di un elevato rango sociale e chi faceva parte del popolo. Per esempio gli ufficiali dell’esercito e i membri del Governo parlavano Inglese. Oggi la lingua anglosassone è utilizzata come lingua franca per le comunicazioni con i terrestri. In Klingon esistono numerosi dialetti, alcuni di essi si discostano di poco dallo standard, altri sono così diversi dalla lingua originale da creare difficoltà di comprensione tra gli stessi klingoniani.

Ancora una volta osserviamo come l’Esperanto e il Klingon nonostante appartengano alla stessa famiglia, cioè le lingue inventate, siano in realtà sempre in netta opposizione.

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Conclusioni La mia tesi vuole essere solo un breve accenno a quello che sono le

lingue inventate, il perché della loro invenzione e a tutto ciò che si nasconde dietro la loro nascita. Quello che spero di aver illustrato è la diversità che esiste tra queste due lingue, quella di Zamenhof e quella di Okrand. Questi due idiomi oltre ad essere totalmente diversi da un punto di vista fonetico, morfologico e grammaticale, sono opposti anche negli intenti: l’Esperanto ha uno scopo comunicativo e il Klingon uno ludico- cinematografico. Ciononostante credo sia importante non farsi trarre in inganno; sarebbe infatti ingiusto reputare il Klingon inferiore rispetto all’Esperanto. Ovviamente quando Zamenhof ha creato la sua lingua aveva in mente di creare qualcosa di moralmente e socialmente elevato, che avrebbe portato all’unione dei popoli e alla fine delle discriminazioni. Questo è un fatto inoppugnabile. Non dimentichiamo però che parlare di “lingua” in senso specifico significa tenere in conto tutto ciò che essa contiene al suo interno, in primo luogo la sua struttura, il suo scheletro. Se dunque analizziamo questi due idiomi artificiali possiamo vedere in entrambi un modello linguistico di mirabile invenzione. Così come l’Esperanto si distingue per logica e semplicità, il Klingon spicca per difficoltà e complessità. Proprio per queste loro caratteristiche, intrecciate in un tutt’uno al loro scopo, esse non potrebbero mai essere intercambiabili, cioè a nessuno verrebbe mai in mente di far parlare gli alieni in Esperanto e nessuno userebbe mai il Klingon come lingua internazionale.

Anche se le argomentazioni non sono state, per motivi ovvi, dettagliate e precise come un vero manuale di fonetica, spero di aver illustrato nel migliore dei modi parte di ciò che si nasconde dietro una lingua, in particolare dietro le lingue inventate da Zamenhof e Okrand.

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Note 1Giuseppe Peano, nato a Spinetta di Cuneo il 27 Agosto 1858 e

morto a Torino il 20 Aprile 1932, è stato un matematico e un glottoteta italiano e inventore della lingua latino sine flexione, lingua ausiliaria nata dalla semplificazione del latino classico.

2Unua Libro, trad. Primo Libro

3Lingva Internacia, trad. Lingua Internazionale

4Interno Idea, trad. Idea Interna

5Hillel, comunemente conosciuto come Hillel il Vecchio, visse a Gerusalemme ai tempi di Erode il Grande, fu un importante rabbino babilonese che cercò di unificare le diverse scuole filosofiche di Babilonia e Israele.

6La lingua elfica è una lingua inventata da John Ronald Reuel Tolkien e parlata dagli elfi, creature immaginarie protagoniste dei suoi romanzi fantasy. Tolkien è stato scrittore, filologo, glottoteta e linguista britannico

7Kazimierz Bein, soprannominato Kabe, fu scrittore e medico polacco, nonchè un famoso esperantista e autore del primo dizionario di Esperanto Vortaro de Esperanto. Nel 1911 scomparse inspiegabilmente dal gruppo esperantista dedicandosi per il resto della vita all’oftalmologia fondando la Società Oftalmologa Polacca.

8Le lingue agglutinanti sono idiomi le cui parole sono costituite dall’unione di più morfemi. Il termine fu introdotto da Wilhelm von Humboldt nel 1836 per classificare le lingue dal punto di vista morfologico. Il suo nome deriva dal verbo latino agglutinare, che significa “incollare insieme”.

9vedi nota 8

10-Du indica il plurale delle parti del corpo, -mey il plurale in generale. Esempio: qam “piede” e qamDu “piedi”; mID “colonia” e mIDmey “colonie”.

11Si stima che esistano esperantofoni in almeno 120 paesi del mondo, soprattutto in Brasile, Europa e Cina, e che attualmente esistano tra le 200 e le 2000 persone di madrelingua esperanta.

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Bibliografia Berruto Gaetano, Corso elementare di linguistica generale, UTET Università, Torino 2006

Canepari Luciano, Manuale di pronuncia. Italiano, Inglese, Francese, Tedesco, Spagnolo, Portoghese, Russo, Arabo, Hindi, Cinese, Giapponese, Esperanto. Műnchen, Lincom Europa 2003

Clute John- Nicholls Peter, Encyclopedia of Science Fiction, Orbit, London 1993

Comrie Bernand, Language Universals and Linguistic Typology: syntax and morphology, The University of Chicago Press, Chiacago 1989

Eco Umberto, La ricerca di una lingua perfetta nella cultura europea, Laterza, Bari 1993

Gnoli Claudio, Creazione utopica: le lingue artificiali dal Seicento a oggi, da una conferenza del 22 Settembre 1998, Saletta Albertina, Novara

Migliorini Bruno, Manuale di Esperanto,Cooperativa Editoriale Esperanto, Milano 1995

Onishi Masao, A grand dictionary of phonetics, Tokio, Japan 1981

Okrand Marc, The Klingon Dictionary, English/ Klingon, Klingon/ English, Pocket Books, Paramount Pictures, New York 1992

Sitografia http://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_artificiale

http://www.esperanto.it/

http://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_esperanto

http://www.kli.org/

http://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_klingon