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Università degli Studi di Roma La Sapienza Facoltà di Scienze della Comunicazione indirizzo Comunicazione di Massa Tesi di laurea di Gennaro Lusito Rispoli n. matricola 860278 Interaction design: progettare sistemi interattivi centrati sull’utente RELATORE CORRELATORE Prof. re Alberto Marinelli Prof. re Alfredo Imbellone Anno Accademico 2004-2005, sessione invernale

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Università degli Studi di Roma La Sapienza

Facoltà di Scienze della Comunicazione indirizzo Comunicazione di Massa

Tesi di laurea di

Gennaro Lusito Rispoli n. matricola 860278

Interaction design: progettare sistemi interattivi centrati sull’utente

RELATORE CORRELATORE Prof.re Alberto Marinelli Prof.re Alfredo Imbellone

Anno Accademico 2004-2005, sessione invernale

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Copertina di Gennaro Lusito Rispoli

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I

IInntteerraaccttiioonn ddeessiiggnn:: pprrooggeettttaarree ssiisstteemmii iinntteerraattttiivvii

cceennttrraattii ssuullll’’uutteennttee

Introduzione VII Capitolo 1 Quadro di riferimento 1.1 Premessa 1 1.2 Definizione di interaction design 8

1.2.1 Cenni storici 11 1.2.2 Dominio disciplinare 23

1.3 Il processo user centred design (U.C.D.) 29 1.4 Interaction design come fattore strategico 34 1.5 Obiettivi del processo: usabilità e qualità in uso 37

1.5.1 Obiettivi di usabilità 41 1.5.2 Obiettivi d’esperienza d’uso 44

Capitolo 2 Il processo user centred design 2.1 Caratteristiche del processo 49 2.2 Cicli di progettazione a confronto 54

2.2.1 Modello “a cascata” nell’ingegneria del software 56 2.2.2 Modello “star” nella human computer interaction 61 2.2.3 Modello “life cycle” nell’ingegneria dell’usabilità 66 2.2.4 Un modello generale per l’interaction design 70

2.3 Come si decide il target di riferimento 73 2.4 Stabilire bisogni degli utenti e requisiti dei sistemi 75

2.4.1 Capire i bisogni e i desideri degli utenti 75 2.4.2 Quali sono i requisiti dei sistemi 77

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Indice generale

II

2.4.3 Contextual design 79 2.4.4 Inchiesta contestuale 82 2.4.5 Modellizzazione e consolidamento del lavoro 83

2.5 Progettazione: caratteristiche generali 88 2.5.1 Cosa sono i modelli concettuali 89 2.5.2 Concettualizzare il sistema secondo l’attività 90 2.5.3 Proporre alternative di design 94

2.6 Attività di prototipazione 95 2.6.1 Compromessi della prototipazione 96

2.7 Valutazione dei sistemi centrata sull’utente 97 2.7.1 Osservare gli utenti 98 2.7.2 Testare gli utenti 100 2.7.3 Modellizzare gli utenti 102

Capitolo 3 Comprendere gli utenti

3.1 Il potere dell’infrastruttura tecnologica 105 3.2 Caratteristiche psicologiche universali degli utenti 109 3.3 Conscio ed inconscio cognitivo 110 3.4 Cognizione 112 3.5 Cognizione esperienziale 113

3.5.1 Memoria e conoscenza 114 3.5.2 Memoria a breve termine 116 3.5.3 Memoria a lungo termine 117 3.5.4 Attenzione selettiva 118 3.5.5 Automatismi ed abitudini 120 3.5.6 Percezione visiva 121

3.6 Cognizione riflessiva 129 3.6.1 Processi di apprendimento 130 3.6.2 Capacità di linguaggio: parlare, leggere e scrivere 132 3.6.3 Facoltà di pianificazione e prendere decisioni 136

3.7 Approcci alla cognizione nell’interaction design 138 3.7.1 Modelli mentali 139 3.7.2 Informational processing 140 3.7.3 Cognizione esterna 142 3.7.4 Cognizione distribuita 144

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Indice generale

III

3.8 Emozioni e sistema affettivo umano 146 3.8.1 Livelli dell’emozione 147 3.8.2 Design ed emozioni 149

Capitolo 4 Progettare l’interazione 4.1 Premessa 155 4.2 L’interfaccia è il prodotto 156

4.2.1 Interfacce modali 158 4.2.2 Progettare per l’errore 163 4.2.3 Progettare per la conversazione 166 4.2.4 Progettare per la collaborazione 167

4.3 Sviluppare il modello concettuale del prodotto 170 4.4 Modelli basati su attività dell’interazione 171

4.4.1 Fornire istruzioni 172 4.4.2 Conversare 174 4.4.3 Manipolare e navigare 176 4.4.4 Esplorare e sfogliare 178

4.5 Modelli basati su metafore di interfaccia 180 4.6 Modelli basati su paradigmi d’interazione 182

4.6.1 Desktop 184 4.6.2 Realtà virtuale 186 4.6.3 Ubiquitous computing 188 4.6.4 Tangibile bits, realtà aumentata 190 4.6.5 Pervasive computing 193 4.6.6 Weareable computing 195 4.6.7 Affective computing 197

4.7 Elementi concreti delle interfacce 199 4.7.1 Comandi 200 4.7.2 Pulsanti, interruttori, bottoni 203 4.7.3 Finestre 204 4.7.4 Icone 206 4.7.5 Strumenti di ricerca 207

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Indice generale

IV

Capitolo 5 Tecniche del processo U.C.D. 5.1 Introduzione 211 5.2 Tecniche per comprendere i bisogni degli utenti 213

5.1.1 Interviste 213 5.1.2 Questionari 215 5.2.3 Inchiesta 216 5.2.4 Diari d’uso 216 5.2.5 Focus Group 217 5.2.6 Interpretazione ed analisi 218

5.3 Tecniche per stabilire i requisiti dei sistemi 219 5.3.1 Descrizione delle attività 220 5.3.2 Scenari 222 5.3.3 Casi d’uso 223 5.3.4 Essential use case 224 5.3.5 Analisi dei task 225 5.3.6 Task allocation 226

5.4 Tecniche di progettazione 227 5.4.1 Principi di design 228 5.4.2 Linee guida 233 5.4.3 Guide di stile 235 5.4.4 Standard 237

5.5 Tecniche di prototipazione 241 5.5.1 Prototipazione low-fi 242 5.5.2 Prototipi su carta: schizzi e storyboard 243 5.5.3 Prototipi su video: mago di oz 244 5.5.4 Prototipazione hi-fi 245 5.5.5 Prototipi su computer: i software 246

5.6 Tecniche di valutazione 246 5.6.1 Valutazione euristica 248 5.6.2 Cognitive walkthrough 249 5.6.3 Valutazione cooperativa 251 5.6.4 Valutazione partecipativa 252 5.6.5 Valutazione qualitativa dell’esperienza 253 5.6.6 Valutazione quantitativa dell’esperienza 254 5.6.7 GOMS 255

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Indice generale

V

5.6.8 Keystroke level 257 5.6.9 Legge di Fitt 258

Capitolo 6 Unificazioni: le bacheche interattive 6.1 Premessa 261 6.2 Analisi del problema 260 6.3 Obiettivi del progetto 263 6.4 Descrizione dei profili d’utenza 265

6.4.1 Utenti primari 265 6.4.2 Stakeholder 266

6.5 Interviste aperte per la raccolta dei dati 267 6.6 Focus group per l’interpretazione dei dati 268 6.7 Definizione di bisogni e desideri degli utenti 272 6.8 Descrizione delle attività del sistema 273

6.8.1 Scenari d’uso 275 6.8.2 Analisi dei task 276

6.9 Comprensione dei requisiti del sistema 279 6.9.1 Requisiti funzionali 281 6.9.2 Requisiti riguardanti i dati 282 6.9.3 Requisiti ambientali 282 6.9.4 Requisiti di usabilità 283

6.10 Specificazione del modello concettuale 287 6.11 Stile dell’interazione 288 6.12 Strutturazione dei contenuti 289 6.13 Analisi di fattibilità 292

6.13.1 Analisi della committenza 292 6.13.2 Analisi dei costi 293 6.13.3 Analisi dei tempi 294 6.13.4 Analisi delle risorse umane 294 6.13.5 Swot analysis 296

6.14 Conclusioni 298 Bibliografia XV Webliografia XXV

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Introduzione

VII

La diffusione dei sistemi interattivi nei contesti quotidiani e

professionali non è stata accompagnata da un adeguato sviluppo

delle modalità d’interazione uomo - macchina. Se si analizza, ad

esempio, come le persone interagiscono oggi giorno con i computer

si può notare come, in circa venti anni, sia cambiato molto poco.

Mentre le interfacce grafiche sono concettualmente le stesse dei

primi progetti della Apple, le capacità computazionali dei sistemi

attuali consentono di superare modelli di funzionamento ormai

consolidati e poco usabili come la metafora della scrivania.1 Sembra,

invece, che le circostanze maturate hanno portato ad atteggiamenti

ancor più cristallizzati tanto che il desktop, come metafora calzante

d’interazione, si estende da artefatti come i personal computer ad

altri di nuova generazione come telefonini e palmari.

Tali evoluzioni fanno capire quanto il concetto di sistemi user-

friendly nei mercati informatici sia un qualcosa lasciato

1 Se consideriamo la versione recente del sistema operativo (Windows XP) e la prima versione che adotta un’interfaccia grafica (Windows 3.0) è innegabile che vi siano delle differenze evidenti. Tuttavia se escludiamo caratteristiche strettamente tecniche (la versione recente è un sistema multiutente e multipiattaforma, il sistema possiede una stabilità maggiore, riconosce driver senza alcuna installazione, supporta naturalmente una quantità maggiore di protocolli di comunicazione, la grafica è più curata con la possibilità di allargare e stringere le finestre, i menù laterali semplificano le scelte) le modalità con cui viene regolata l’interazione sono identiche.

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VIII

Introduzione

ingiustificatamente in sospeso. Ciò è ancor più grave se si pensa ai

processi di convergenza attuali con gli sviluppi della rete web, della

telefonia mobile, dei sistemi di posizionamento e delle possibilità di

integrazioni di informazioni virtuali nell’ambiente fisico. Tali

tecnologie hanno creato un vero e proprio ecosistema digitale, in cui

ogni attività quotidiana e professionale degli esseri umani è

condizionata ai modelli d’interazione dei dispositivi informatici.

Mantovani spiega come i sistemi interattivi sono mezzi sociali a

doppio titolo. Prima di tutto perché la loro progettazione deriva

dall’instaurarsi di processi complessi, altamente coordinati e

cooperativi; in secondo luogo, poiché il loro utilizzo permette nuove

forme di attività e relazioni tra le persone.2

È necessario alle luce di queste ragioni un approccio più

metodologico alla progettazione dei software capace di non

soffermarsi esclusivamente agli aspetti tecnologici da implementare

nelle interfacce ma in grado di partire dalle caratteristiche specifiche

degli esseri umani per comprendere i modelli da utilizzare

nell’interazione con gli artefatti. Per fare ciò bisogna tralasciare

forme d’analisi tradizionali dell’ingegneria del software o della HCI

(Human Computer Interaction) ove la relazione sistema – utenti

2 G. Mantovani, L’interazione uomo-computer, Bologna, Mulino 1995.

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IX

Introduzione

viene intesa esclusivamente in termini di task (compiti) riferendo

molto poco sugli elementi dei contesti sociali d’uso. Come ritiene

Francesca Rizzo abbandonando il concetto di compito «il livello

migliore per costruire prodotti interattivi è quello delle attività

situate nei contesti in cui esse avvengono».3 Questa operazione

sposta il focus nella progettazione dall’analisi della relazione

individuo – artefatto all’analisi dei processi d’interazione che si

sviluppano tra le persone attraverso questi dispositivi.

L’interaction design è un settore interdisciplinare che pone al centro

attività e contesti d’uso delle persone. Un approccio sistemico al

design per descrivere, valutare e progettare forme e modelli

d’interazione. I sistemi informatici sono, per loro stessa natura,

strutture aperte e poco autoreferenziali: infatti, agiscono

contemporaneamente con gli utenti, con diversi programmi,

consentendo a più persone di comunicare tra loro; le modalità di

funzionamento devono vincolare nella scelta delle azioni appropriate

e nello stesso tempo incoraggiare l'esplorazione senza arrecare

frustrazione o perdite di tempo inutili. Le attività eseguibili sono

molteplici e quindi, utilità, sicurezza e affidabilità dell’interazione

3 F. Rizzo, Interaction design, traduzione Bacigalupo-Fiorani, Milano, Apogeo, 2004, pag. XIV.

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X

Introduzione

determinano inevitabilmente il successo o il fallimento commerciale

dei prodotti.

Si pensi, ad esempio, allo scalpore suscitato nell’e-commerce dal

fenomeno delle dot-com e più in generale di tutte le aziende che,

entrate ingenuamente nel commercio elettronico, sono scomparse

entro pochi mesi dal lancio. Le motivazioni principali dei fallimenti

sono proprio nell’aver sottovalutato l’importanza di alcune

caratteristiche degli ambienti on-line (tempi di caricamento, aspetti

legati alla sicurezza) e nell’aver realizzato applicazioni interattive

poco usabili, violando il rapporto di fiducia con l’utente (già di per sé

molto labile in rete). Mentre le aziende si rendono conto quanto dei

buoni modelli d’interazione in un sito web o in un software abbiano

un impatto sui risultati di valorizzazione della marca (brand), cresce

la domanda di interaction design tanto da diventare ai giorni d’oggi

una vera e propria risorsa strategica per il core - business delle

imprese, strumento in grado di certificare la qualità e l’innovazione

raggiunti nel processo produttivo. Non a caso un numero sempre

maggiore di società di consulenza, come IDEO, Norman-Nielsen

group, Costantine & Lockwood, si propongono come esperte.

Diventano ridondanti espressioni come user experience design,

scenario user centred, usability testing, ecc. Se, infatti, dieci anni fa

sviluppare un’applicazione software richiedeva il coinvolgimento di

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XI

Introduzione

uno staff ridotto di programmatori che operavano all’interno di una

precisa organizzazione, oggi il settore si è considerevolmente

allargato. In un’epoca multimediale matura il panorama (hardware e

software) è mutato, costituito da molteplici figure professionali.

L’organizzazione del lavoro richiede un processo di produzione

flessibile basato su capacità multidisciplinari in grado di stabilire in

ogni dettaglio l’interazione tra il sistema e l’utente.

Organizzazione del volume

Nel primo capitolo sono affrontate alcune questioni generali in modo

da inquadrare il raggio d’azione e gli obiettivi principali

dell’interaction design. L’applicazione dei principi espressi richiede,

inevitabilmente, una riformulazione del processo di progettazione e

una riorganizzazione dei modelli produttivi d’impresa. Il secondo

capitolo prende in considerazione alcuni approcci alla progettazione

provenienti da domini disciplinari diversi, comparando pregi e

svantaggi di ognuno. Successivamente sono evidenziati, in modo più

specifico, le caratteristiche che riguardano il processo di interaction

design che si compone di quattro attività principali [processo User

Centred Design (U.C.D.)]. Nel terzo capitolo sono descritti i criteri

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XII

Introduzione

da cui partire per realizzare sistemi usabili e a misura d’utente. Per

fare ciò bisogna avere una buona conoscenza dei modi in cui la

cognizione umana elabora l’informazione e degli obiettivi associati

in ogni attività specifica delle persone. Il quarto capitolo individua i

presupposti per sviluppare l’interazione uomo-macchina passando

dal design concettuale all’analisi degli elementi fisici delle

interfacce. Il quinto capitolo illustra le differenti metodologie e

tecniche attraverso le quali si passa dall’idea astratta alla

realizzazione empirica del prodotto. Infine, l’ultimo capitolo propone

un’applicazione sperimentale per la facoltà di Scienze della

Comunicazione, università La Sapienza di Roma, realizzata secondo

le regole ed i criteri del processo di interaction design.

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XIII

Ringraziamenti

Ringraziamenti

Il primo pensiero è ai miei genitori che, in tutti questi anni, hanno

sempre sostenuto con fiducia tutte le mie scelte, soprattutto, le più

difficili.

Ringrazio Alberto Marinelli ed Emmanuel Mazzucchi per la

disponibilità dimostratami in ogni momento. Luigi Arlotta e

Pierluigi Dalnostro per i suggerimenti tecnici; le ragazze ed i

ragazzi intervenuti nella ricerca e al focus group, senza di loro questa

tesi non sarebbe così.

L’ultimo pensiero è per chi ha sopportato dubbi, timori e paure

indicandomi a volte una via d’uscita: grazie Marianna.

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XIV

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1

Capitolo 1

Quadro di riferimento

1.1 Premessa

Cosa si intende per interaction design? La risposta non è

univoca. Siamo in un campo di studi multidisciplinare costituito da

numerosi ambiti di ricerca che utilizzano approcci e tecniche

completamente speculari.

Iniziamo con lo specificare il concetto di design, termine

utilizzato da diverse discipline (dalla grafica all’arredamento

d’interni, dal disegno industriale al software design) e che può

facilmente generare confusione. Secondo l’Oxford English

Dictionary il design «è un piano o uno schema concepito nella mente

per essere successivamente eseguito». Il concetto fa riferimento,

quindi, innanzitutto ad un’attività cognitiva di rappresentazione

schematica il cui fine successivo è la realizzazione materiale di un

oggetto. Questo è il senso della corrispondenza fra l'espressione

disegno e design. Come spiega Anceschi nel libro L'oggetto della

raffigurazione «si può quasi dire che la progettazione in settori

come il disegno industriale, l’architettura e l’urbanistica, vuoi nella

fase di raccolta dati, ricerca e ideazione, vuoi in quella della

presentazione alla committenza […] coincida con un’articolata e

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2

Quadro di riferimento

complessa operazione di rappresentazione schematica».1 Per

Bonsiepe, il termine sta ad indicare anche un preciso tipo di azione

«un agire innovativo, che deve farsi carico delle necessità degli

utenti».2 Se, dunque il design richiede una fase in cui definire e

mettere in atto un piano, vive anche di un forte spirito pragmatico

rivolto alla ricerca permanente dell’innovazione, caratteristica che ne

costituisce l’essenza e l’obiettivo del processo in funzione della

soddisfazione finale dell’utente. Le propensioni generali osservate

fino ad ora, assumono una valenza più operativa nelle

concettualizzazioni proposte da Munari, secondo cui il design si

interessa alla comunicazione visuale di un oggetto specificando un

codice linguistico ed un supporto su cui viaggeranno tutte le

informazioni.3

Bisogna osservare come in nessuna di queste definizioni si

faccia riferimento ad una attività finalizzata esclusivamente alla

rappresentazione formale che avviene attraverso una fase creativa

arbitraria in cui i valori estetici sono predominanti; si evidenziano,

piuttosto, gli elementi che ne contraddistinguono il processo. Da

queste premesse si può intuire, comunque, la rilevanza delle

1 G. Anceschi, L’oggetto della raffigurazione, Milano, Etas Libri, 1992, p. 4. 2 G. Bonsiepe, Dall’oggetto alle interfacce, traduzione di F. Costa Milano, Feltrinelli 1993, p. 25. 3 B. Munari, Design e comunicazione visuale, Laterza, Bari, 1993.

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3

Capitolo 1

operazioni di design nello sviluppo di un prodotto, conoscenze da

considerare a partire dalle prime idee della progettazione. Nel caso

contrario si potrebbero anche sviluppare oggetti esteticamente

gradevoli, tuttavia questi, non avendo una precisa sintesi delle

attività a cui sono destinati, sarebbero caratterizzati da numerose

difficoltà d’utilizzo. Senza l’apporto del design è, infatti, impossibile

realizzare, parafrasando le parole di Munari, una comunicazione

visuale appropriata e oggetti in grado di esprimere le proprie

funzionalità in un quadro d’interazione coerente.

Queste sono le questioni principali da cui partire per

comprendere quale sia l’essenza reale di un processo di design che

coniuga aspetti funzionali ed estetici, quindi, il nucleo teorico attorno

al quale dovrebbe modellarsi qualsiasi sua applicazione. Tuttavia, le

considerazioni che alimentano i dibattiti intellettuali e scientifici,

sono di rado rispettate negli ambiti produttivi ed economici ove tale

filosofia continua ad essere utilizzata come una risorsa limitata

soggetta esclusivamente ad applicazioni di ritocco. In questi flussi di

produzione viene perpetuato l’errore di accostare lo sviluppo di un

prodotto, con caratteristiche necessariamente innovative, ad un

momento di creazione geniale quasi avanguardistica ove il design

svolge esclusivamente una funzione per l’abbellimento estetico. A

tali tendenze erronee non si sottraggono neanche ambiti economici

più recenti, come i settori dell'information tecnology che dovrebbero

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Quadro di riferimento

fare delle attività di design, vista la natura complessa della

comunicazione tra un sistema software ed una persona, la principale

risorsa. Lo sviluppo delle modalità d’interazione, tuttavia, è spesso

determinato da scelte casuali le quali più che implementare aspetti

innovativi consolidano forme già preesistenti e difficilmente

modificabili.

Bonsiepe sottolinea come «nell’impostazione prevalente delle

computer science le operazioni relegate al design si rivelano quasi

sempre attività cosmetiche»4 che avvengono quando le strutture

fisiche dei prodotti sono già ultimate. Tali flussi di progettazione si

concentrano principalmente sulle caratteristiche ingegneristiche e

tecnologiche dei sistemi, più che fare attenzione alle reali attività in

cui si andranno a collocare i prodotti. Se fino a pochi anni fa questi

aspetti potevano essere trascurati, poiché computer e reti di

telecomunicazione venivano utilizzati da studiosi o esperti con fini

molto specifici (elaborazione dei dati e condivisione), oggi queste

tecnologie sono adoperate dalla maggior parte degli individui in un

gran numero di operazioni. Non si tratta più di persone con tutte le

competenze del caso, ma di gente normale che usa tali dispositivi

come supporto alle proprie attività quotidiane. Gli utenti della

4 G. Bonsiepe, (op. cit.), 1993, p. 25.

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5

Capitolo 1

seconda generazione,5 come definiti da Norman, non hanno bisogno

di funzionalità tecnologiche elevate; necessitano, invece, di modalità

di comunicazione istantanee da apprendere e facilmente integrabili

nelle proprie azioni (figura 1.1).

5 Come spiega Norman un vero abisso separa le richieste e gli atteggiamenti degli utenti della prima ondata da quelli della seconda. I primi sono votati a padroneggiare la superiorità tecnologica della macchina, mentre i secondi vogliono solo utilizzare un sistema semplice ed affidabile. Per approfondimenti, D. Norman, Il computer invisibile, traduzione di B. Parrella, Milano, Apogeo, 1998, p. 37.

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Quadro di riferimento

Molti dei problemi odierni sono causati dall’adozione di criteri

metodologicamente impropri durante la progettazione dei software,

che considerano un utente medio fornito delle stesse capacità e

competenze di una persona esperta. Così le scelte progettuali si

limitano alla formulazione delle funzionalità dell'interfaccia non

considerando la natura delle attività in cui gli artefatti si vanno a

collocare, ignorando completamente i modelli mentali delle persone

e non approfondendo i loro obiettivi. Ne deriva «un’utilizzo

sregolato o gratuito della multimedialità che produce interfacce che

confondono gli utenti e rendono difficili la comprensione delle

informazioni».6

Come spiegano Rizzo e Pozzi «porre l'attività intera (persona,

strumento, obiettivi) come fulcro del processo di design e valutazione

consente di affrontare l'interazione tra uomo e macchina da più lati

pertinenti, senza fermarsi al solo elemento tecnologico».7 Le grandi

corporate dell’informatica così come le aziende entrate nell’e-

business, nonostante l’ampia estensione avvenuta dei prodotti/servizi

interattivi in ogni ambito della vita professionale e quotidiana delle

persone, sembrano ancora oggi poco sensibili a queste evoluzioni

visti gli scarsi risultati in termini di usabilità. Le logiche di

progettazione, infatti, sono focalizzate quasi esclusivamente nella

6 J. Nielsen, Web usability, Milano, Apogeo, 2000, p. 132. 7 A. Rizzo, S. Pozzi in http://formare.erickson.it/archivio/ settembre_02/ rizzo_pozzi.html

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Capitolo 1

formulazione di strumenti iperfunzionali8 raramente utilizzati in tutte

le funzionalità disponibili (esigenza dettata dalle prospettive del

marketing e dall’illusione di apportare innovazione soltanto a partire

dalla tecnologia fine a se stessa), piuttosto che a sviluppare modelli

di interazione meno complessi e più adeguati ai valori della

comunicazione umana. Come spiega Norman nel libro Le cose che

ci fanno intelligenti, «nella situazione attuale prevale la tecnologia

sull’uomo»9; ad esempio i programmi utilizzati dai computer (editor

di testo, editor di immagini, ecc.) hanno poco attinenza con le reali

attività delle persone risultando inevitabilmente strumenti con

funzioni astratte e generiche, caratteristiche che ne costituiscono la

maggiore difficoltà nell’apprendimento. I modelli d'interazione con

l’utente vengono considerati solo nella realizzazione dell'interfaccia,

intesa fondamentalmente come un guscio da applicare al sistema per

confezionarne il suo aspetto esteriore. Così si pensa che per risolvere

tutti i problemi basti un'interfaccia migliore. Tuttavia se le modalità

di comunicazione con l’utente costituiscono un elemento finale del

processo, l'interazione sarà necessariamente vincolata ai soli aspetti

tecnologici (basati su logiche completamente differenti da quelle

8 Nel 1992 un programma di videoscrittura come Microsoft Word conteneva 311 diversi comandi: una quantità mostruosa ed inutilizzata di funzioni. 9 D. Norman, Le cose che ci fanno intelligenti, traduzione di I. Blum, Milano, Feltrinelli, 1995, pp. 20-22.

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Quadro di riferimento

degli esseri umani). Come spiegano Winograd e Flores «se

progettare interfacce vuol dire progettare strategie di

comunicazione, e se la comunicazione è alla base del mondo di vita

dell’uomo, allora progettare interfacce significa progettare mondi di

vita».10

1.2 Definizione di interaction design

L’interaction design nasce proprio dall’intento di porre fine alle

tendenze deterministiche in modo tale da spostare l’interesse nella

progettazione dei sistemi software dalla tecnologia in sé ai bisogni

degli utenti e più in generale alle esigenze degli esseri umani.

L’obiettivo è sviluppare sistemi interattivi usabili in grado di

sostenere le persone nelle loro attività quotidiane e professionali.

Secondo Winograd, che descrive la disciplina come «la

progettazione di spazi per la comunicazione e l’interazione

umana»,11 è proprio l’attitudine ad ideare strumenti di supporto alle

persone che differenzia questo dominio dall’ingegneria del software

focalizzata, invece, sulla realizzazione tecnica e sul funzionamento

delle strutture specifiche. Attuare un processo di interaction design

10 T. Winograd, F. Flores, Understanding Computers and Cognition: A New Foundation for Design. Norwood, Addison-Wesley, 1986, p. 207. 11 T. Winograd, From computer machinery to interaction design. In P. Denning e R. Metcalfe (a cura di) Beyond Calculation:the next fifty years of computing, New York, Springer Verlang, 1997, pp. 149-162.

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Capitolo 1

vuol dire, prima di tutto, procedere secondo un agire strategico che

investiga sull’uso che verrà fatto del prodotto/servizio e sulle

caratteristiche specifiche degli utenti a cui lo stesso sarà

commercializzato. Le soluzioni da realizzare si vanno a collocare,

infatti, in precisi contesti culturali ed influenzeranno inevitabilmente

il modo collettivo di pensare e di decidere delle persone. Come

precisa Mantovani «quando si progettano questi strumenti si

progettano anche modi di essere delle persone».12 La questione

cruciale è allora come ottimizzare l’interazione tra utenti, sistemi e

ambienti d’uso in modo tale da sostenere e potenziare tutte le attività

coinvolte. Adottare un approccio sistemico nel design è

fondamentale, quindi, per una più ampia considerazione degli aspetti

sociali veicolati dalle interfacce. Da questo punto di vista diventano

centrali tre questioni: facilitare l’apprendimento umano, favorire la

comunicazione tra le persone e aumentarne la loro collaborazione.

L'accessibilità su vasta scala degli strumenti digitali e le possibilità di

connessione in rete, il modo in cui questi strumenti influiscono

sull'organizzazione del lavoro in tutti i livelli produttivi, fanno

emergere la necessità di valutare queste caratteristiche come aspetti

permanenti di un qualsiasi prodotto interattivo. Come evidenzia

Norman buona parte della tecnologia moderna è tecnologia

12 G. Mantovani, Comunicazione e identità, Bologna, Mulino, 1995, p. 25.

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Quadro di riferimento

d’interazione sociale «abbiamo bisogno di tecnologie in grado di

offrire la ricchezza e la forza dell’interazione senza il fastidio che

l’accompagna».13 Tali questioni ci fanno capire quanto il raggio

d’azione dell’interaction design non sia centrato esclusivamente sulla

realizzazione di interfacce grafiche, come per la HCI (Human

Computer Interaction), ma interessato ad ogni aspetto della relazione

tra utenti, sistemi ed ambienti d’uso. L’obiettivo è molto più

generale, poiché si tratta di organizzare spazi d’interazione non

necessariamente relegati in uno schermo, rispettosi dei criteri e dei

valori della comunicazione umana.

Queste esigenze appaiono particolarmente necessarie nella

situazione attuale di convergenza tecnologica con le possibilità

aperte dalle infrastrutture emergenti (reti wireless, radio-frequenze,

comunicazioni infrarossi, telefonia mobile, ecc.) che portano con sé

spazi di socialità completamente artificiali. L’interaction design deve

coniugare modelli concettuali appropriati, poiché è la natura stessa

della comunicazione multimediale a spostarsi sempre più dallo

schermo dei computer, ai palmari, ai telefonini fino a coinvolgere

l’ambiente fisico con la comparsa di luoghi (stanze intelligenti, città

virtuali ecc.) completamente informatizzati.

13 D. Norman, Emotional Design, traduzione di B. Parrella, Milano, Apogeo, p. 158.

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Capitolo 1

Se le reti ed i processi di miniaturizzazione odierni ci hanno

permesso di passare dai personal computer in cui luogo canonico

dell’interazione non poteva che essere una scrivania, a dispositivi

hypermediali utilizzabili in contesti mobili, in un prossimo futuro

sarà possibile addirittura sbarazzarsi di terminali così complessi e

iper-funzionali. Come spiega Norman, i media interattivi

abbandoneranno modelli di fruizione intrusivi (come ad esempio la

metafora della scrivania, il sistema di puntamento) in favore di altri

nascosti ed invisibili che comunicheranno in modo automatico negli

ambienti fisici o negli oggetti d’uso quotidiano senza richiedere una

costante partecipazione delle persone (infodomestici, smart device,

dispositivi connessi a database, ecc). Tali modalità d’interazione

necessitano più che di strutture complesse ed ipertecnologiche, di

sistemi adatti ad eseguire un’unica classe di attività che non facciano

un po’ di tutto, ma che abbiano uno stretto legame tra l’uso e il

compito da svolgere, in modo tale che il funzionamento dell’artefatto

risulta totalmente impercettibile durante l’utilizzo.

1.2.1 Cenni storici

I computer, nella loro concezione originale, nascono per

eseguire soprattutto funzioni di calcolo, così che per molti anni sono

stati utilizzati esclusivamente per elaborare grandi quantità

d’informazione o comunque per analizzare questioni matematiche e

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Quadro di riferimento

scientifiche.14 Le prime strutture erano maneggiate dagli stessi

ingegneri tanto che le interfacce apparivano relativamente semplici

ed includevano interruttori e quadranti capaci di controllare gli stati

interni del sistema. La programmazione doveva essere fatta in codice

binario ed il risultato delle elaborazioni era visualizzato con il

lampeggio dei led sul pannello frontale. Si pensi ad esempio

all’Altair (uno dei primi computer commerciali venduto in kit), in cui

non c'era la tastiera e il terminale video. In tali apparecchi non

potevano comunque sussistere dei problemi d’interazione, poiché

erano adoperati dagli stessi sviluppatori o da persone appassionate ed

esperte che possedevano tutte le conoscenze specifiche. Con

l’introduzione dei terminali video a partire dai primi anni Settanta e

in seguito alla diffusione commerciale del microprocessore (proprio

l’Altair15 fu il primo computer ad implementare questa tecnologia) si

aprono nuove possibilità negli ambiti delle tecnologie informatiche

con la costituzione delle prime postazioni personali sui luoghi di

lavoro (workstation). Lo schermo non solo rivoluziona il tradizionale

modo di interagire con i computer rendendo l’interazione visuale, ma

14 Nel 1946 viene messo a punto l’ENIAC primo calcolatore elettronico digitale composto da 180 mila valvole elettriche. Dopo un anno è in funzione l’EDVAC basato sull’architettura elaborata da Von Neumann alla base del computer moderno. Si tratta della prima macchina in grado di memorizzare dati ed istruzioni delle applicazioni. 15 Fu proprio costruendo software per l’Altair 8800 prodotto al MIT (Massachusetts Institute Tecnologyche) che nel 1975 nasce la Microsoft Corporation fondata da Allen e Gates.

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Capitolo 1

fa emergere il bisogno di strumenti in grado di mediare tra gli intenti

dell’uomo ed i risultati della macchina. Intanto venivano alimentate

le ricerche sulla rete Arpanet16 che grazie allo sviluppo delle

workstation, alle connessioni tra computer,17 alle capacità di time-

sharing e di elaborazione distribuita, introdussero nuovi protocolli

per la condivisione di informazioni e dati.18

Negli studi delle computer science ci si rende conto che

aumentare le caratteristiche comunicative dei software richiedeva

necessariamente un coinvolgimento di esperti provenienti da altri

ambiti di studi. Il tutto si doveva concretizzare integrando saperi

16 La concettualizzazione della rete Internet avviene già negli anni Cinquanta, quando V. Bush formulava nell’articolo “As we may think” l’idea del Memex, antisignano dell’ipertesto, in cui osservava che l'esplosione dell’informazione rendeva necessaria la creazione di nuovi strumenti capaci di selezionare in maniera efficiente l'informazione e di collegare fra loro porzioni separate. Queste ricerche erano spinte dalla convinzione, che il computer non dovesse limitarsi ad essere un manipolatore di dati, ma potesse essere un valido aiuto per la mente umana anche in altri campi. 17 Come ha evidenziato Franco Carlini nel libro Lo stile del web, l’evoluzione iniziale delle reti telematiche, a differenza di quanto avvenuto per il computer, ha riguardato una dimensione esclusivamente software. Le reti telematiche hanno utilizzato da subito una componente hardware già stabile e metabolizzata nelle società, come il telefono. 18 Nel 1972 Cerf e Kahn introducono il TCP/IP (Transmission Control Protocol/Internet Protocol) un protocollo di comunicazione basato sulla commuttazione di pacchetto che consente di connettersi al di fuori dei nodi predisposti da Arpanet e che entra effettivamente in uso a partire dal 1982. In genere il TCP viene utilizzato per quelle applicazioni che richiedono un servizio orientato alla connessione come ad esempio la posta elettronica e il file sharing.

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Quadro di riferimento

come quelli dell’intelligenza artificiale (IA)19 e di discipline

accademiche come la psicologia,20 che da anni avevano introdotto

negli studi sui linguaggi e l’apprendimento umano la metafora del

cervello come sistema di elaborazione.21 La collaborazione tra questi

settori si rivela fruttifera tanto che in pochi anni sono realizzati

strumenti come linguaggi di programmazione di alto livello22 e

19 La nascita ufficiale della disciplina è legata a McCarthy che progetta nel 1958 il linguaggio di programmazione LISP (ListProcessing) rimasto per decenni strumento utilizzato dalle ricerche sull’IA. Permetteva implementazioni sia compilate che interpretate e con programmi come l’advice taker era possibile rappresentare conoscenza e fare semplici inferenze. 20 Nel 1957 Chomsky pubblica “Le strutture della sintassi”, uno studio della linguistica che sarà fondamentale per la progettazione della sintassi dei linguaggi di programmazione. 21 Le ricerche di Minskey, McCarthy e Papert portano alla formulazione del LOGO, un linguaggio di programmazione sviluppato negli anni '60. Logo è stato utilizzato con scopi didattici anche se non manca di nessuna funzionalità (come per esempio il Basic), anzi, possiede capacità di manipolazione di simboli non numerici, mancanti nella maggior parte degli altri linguaggi, orientato alla grafica e alla geometria di base. Per approfondimenti, S. Papert, Mindstorms: Children, Computers, and Powerful Ideas, New York, Basic Books, 1980. 22 Negli anni Cinquanta viene sviluppato il primo linguaggio di alto livello in grado di mediare la programmazione in codice binario effettuata sino ad allora sui computer; si tratta del FORTRAN ideato da J. Backus. Lo scopo principale era di supportare le persone nella risoluzione di operazioni matematiche e aritmetiche. Con l'ideazione del COBOL negli anni Sessanta vengono introdotte nuove possibilità poiché permette di realizzare piccole applicazioni gestionali rivolte alla risoluzione di problematiche aziendali. Alla fine degli anni Sessanta Kurtz e Kemeny introducono il BASIC, un linguaggio di programmazione utilizzabile anche da persone poco esperte

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Capitolo 1

architetture di sistema,23 che hanno permesso di introdurre le prime

interfacce utente. Il sistema operativo UNIX (acronimo di

UNIplexed Information and Computing Service)24 presenta «un

ambiente software per tutti i tipi di sistema, liberando in questo

modo i programmatori dalla necessità di inventare linguaggi

specifici per ciascuna macchina: il software diventa portatile e così

consente la comunicazione tra il computer e la loro programmazione

per scrivere piccole applicazioni software. Il BASIC, a tutt'oggi, rappresenta uno dei migliori strumenti codificati nella programmazione per scopi didattici. Pochi anni dopo Niklus Wirth realizzò il PASCAL cui principale obiettivo era facilitare l'insegnamento nella scrittura dei programmi attraverso l'utilizzo delle regole e della tecniche principali in una unica logica di programmazione. Il C nasce nel 1972 ad opera di Dennis Ritchie ed è stato definito come "il linguaggio di più basso livello tra i linguaggi ad alto livello", poiché nasce per lo sviluppo di sistemi operativi, quindi, per software di basso livello. 23 Una delle prime architetture di sistema di basso livello è il computer della Bell, Digital PDP-7, che utilizza la prima versione del sistema operativo UNIX. 24 Un sistema operativo creato da Ken Thompson ai Bell Laboratories ATT sulla base del sistema MULTICS. Unix è un sistema a strati. Lo strato più interno è l'hardware il quale fornisce servizi al OS. Il sistema operativo (OS), riferito in Unix come al kernel, interagisce direttamente con l'hardware e fornisce i servizi ai programmi utente. I programmi utente non necessitano di conoscere informazioni sull'hardware. Devono solo sapere come interagire con il kernel ed è quest'ultimo a fornire i servizi richiesti. Uno dei più grandi fattori di sucesso è stato che molti programmi utente sono indipendenti dall'hardware sottostante, trasportabili su ogni sistema. http://www.freebsd.org/doc/it_IT.ISO8859-15/books/unix-introduction/ structure.html

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Quadro di riferimento

omogenea».25 L’interfaccia grafica dello schermo si basa su modalità

d’interazione testuali in cui il compito dell’utente è di digitare delle

stringhe di comandi.

Si inizia a delineare così una vera e propria produzione

standardizzata negli ambiti del software, poiché si passa dagli

sviluppi di tipo custom in cui ingegneri ed appassionati

artigianalmente formulavano le loro strutture ai primi flussi di

progettazione industriale. Gli anni Settanta sono stati il periodo d’oro

per la stabilizzazione di tutti gli elementi relativi al funzionamento

delle architetture hardware e software, tanto che come spiega

Castells vengono a svilupparsi tre principali culture informatiche,

«raggruppate nel punto di interazione tra diversi tipi di macchine e

programmi di linguaggio»:26 la cultura di Arpanet basata sulle

macchine PDP-10 di DEC, con preferenze al linguaggio LISP, la

cultura UNIX27 che utilizzava il linguaggio C e la cultura dei

25 M. Castells, Galassia Internet, traduzione S. Viviani, Milano, Feltrinelli, 2002, p. 51 26 M. Castells, (op. cit.), 2002, p. 50. 27 Quando nel 1976 la AT&T, committente del progetto Unix, sospese la pubblicazione del codice questo ambiente divenne il sistema operativo di rete, grazie all’integrazione di alcuni protocolli nella rete Arpanet UUCP (Unix to Unix CoPy) e alle capacità delle persone definite nel senso comune Hacker. In realtà si trattava delle prima comunità virtuale di Internet che contribuì nello sviluppo del progetto Unix fino a quando nel 1985, Richard Stallman introduce Gnu (acronimo di Gnu is not Unix), un sistema operativo libero basato su una gestione particolare dei diritti d’autore il copyleft. Quando nel 1995 viene lanciato Linux, il kernel in grado di

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Capitolo 1

microcomputer «che lavorava sul Basic, ponendosi ad un livello

tecnologico molto più basso delle altre culture».28 È quest’ultima a

generare negli anni Ottanta, anche in seguito alla diffusione di nuove

tecnologie multimediali (ipertesti, interfacce grafiche, apparecchi di

realtà virtuale, possibilità di comunicazione vocale uomo-macchina,

schermi interattivi, ecc.) il vero e proprio mercato informatico. Le

tecniche di computer grafica introducono le GUI (Graphical User

Interface),29 un modello d’interazione ancora oggi dominante. Già

nel 1979 era stato lanciato dallo Xerox Parc (Palo Alto Research

Center) “Star” uno dei primi personal computer della storia regolato

da GUI e mouse.30 “Star”, pur non avendo avuto un successo

rendere stabile GNU, il movimento open source fino ad allora impegnato nella distribuzione di piccole applicazioni software gratuite diventa una vera e propria filosofia su come mantenere libero un bene considerato pubblico come il software, lanciando la sfida alla architettura Windows NT nei sistemi operativi di rete. 28 M. Castells, (op. cit.), 2002, p. 51. 29 Già dai primi anni Settanta sono attive su diversi fronti di ricerca numerose università che si impegnano nello studio delle interfacce: l’Arch Mac diretto da Negroponte, l’Università dello Utah dove lavora Sutherland, l’Università del Wisconsin con le ricerche di M. Kruger e l’Università del North Carolina con Kilpatrick. Pur essendo differenti gli spunti e gli obiettivi le ricerche hanno tutte una comune esigenza: affinare le tecniche della computer grafica e realizzare un sistema ipertestuale in grado di garantire l’interazione con l’utente attraverso link ipertestuali. Se, infatti, l’interfaccia grafica crea un spazio sullo schermo del computer attraverso finestre e icone, il sistema ipertestuale diventa il mezzo per muoversi. 30 L’utilizzo del mouse richiede una programmazione “per eventi” decisamente complessa, vista l'ampia gamma di casi che si possono presentare. Necessita di un sistema operativo veloce ed efficiente.

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Quadro di riferimento

commerciale,31 rappresenta la macchina in grado di essere

maneggiata da persone prive di qualsiasi competenza informatica. «Il

design era talmente ingegnoso da divenire di fatto lo standard per la

seconda generazione del PC».32 La piena affermazione di questi

sistemi, tuttavia avviene solo nel 1984 (figura 1.2), quando la Apple

lancia il Macintosh un computer con capacità multimediali basato

sulla metafora della scrivania e sulla manipolazione diretta di oggetti

(drag and drop) che impone il modello di interfaccia WIMP

(Windows Icon Menù Pointer) riadattato pochi anni dopo dalla

Microsoft per il sistema operativo Windows 3.0 (1992).33

Le evoluzioni appena accennate sono accompagnate ai

miglioramenti nelle tecniche di manipolazione tridimensionale che

31 Nonostante questo computer fosse stato progetto rispettando standard qualitativi elevati in grado di stabilire modalità d’interazione semplici e facilmente apprendibili la sua diffusione commerciale fu limitata dalla incapacità di abbinare a queste caratteristiche, aspetti tecnologici rilevanti per la stabilità del sistema. Le persone si lamentavano per il numero limitato delle funzioni disponibili e per la lentezza nell’esecuzione. I criteri di progettazione con cui fu sviluppato il progetto “Star”, pur non avendo accolto queste esigenze specifiche, ha rappresentato il modello per le architetture successivi. Per approfondimenti, C. Smith, C. Irby, R. Kimball, B. Verplank, E. Harslem, Designing the Star User Interface, in BYTE, Vol.7, n.4 aprile 1982, p. 242-282. 32 D. Norman, Il computer Invisibile, traduzione di B. Parella, Milano, Apogeo, 2002, p. 51. 33 Non è corretto parlare di sistema operativo in quanto Windows 3.x utilizzava una shell, cioè un “ambiente operativo” grafico da installare su DOS.

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Capitolo 1

permettono la diffusione commerciale dei primi apparecchi di realtà

virtuale.34

34 Il termine fu coniato negli anni Novanta da J. Lanier uno dei fondatori della VPL Research, azienda che commercializza il guanto “data gloves” e il casco “eyephones”. I primi sistemi di simulazione virtuale comunque si intravidero già a partire dagli anni Cinquanta ma è solo con l’attività di Ivan Sutherland, uno dei pionieri nelle ricerche della computer grafica, che i sistemi di VR si avviano verso una ampia affermazione. Sutherland sviluppa nel ‘69 Incredible Helmet un casco interattivo dotato di monitor collegati ad un computer in grado di visualizzare immagini che cambiavano posizione a seconda dei movimenti della testa. Nel 1978 Lippman dell’Architecture Machine Group del MIT fu a capo di un team di ricercatori che svilupparono un rivoluzionario sistema ipermediale che aveva molti punti in comune con la realtà virtuale. Chiamato Aspen Movie Map, permetteva agli utenti una passeggiata virtuale ed interattiva attraverso la città di Aspen, Colorado. Per approfondimenti, A. Lippman, Movie-Maps: An Application of the Optical Videodisc to Computer Graphics, in Computer Graphics 14(3), 1980, pp. 32-42.

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Quadro di riferimento

Questi, oltre ad avere immediata applicazione in settori come il

nascente mercato dell'entertainment, si rivelano fondamentali in

ambiti come la didattica e la formazione professionale consentendo

lo sviluppo di ambienti interattivi per l’apprendimento, sistemi di

supporto alla didattica o ancora dispositivi in grado di simulare

condizioni fisiche. Attraverso l'implementazione di tali capacità

multimediali, i software sono riusciti a supportare uno spettro sempre

più ampio di attività umane. Queste caratteristiche hanno permesso

un’accessibilità sempre maggiore dei computer ad un’ampia fascia di

figure professionali consacrandone la piena entrata nelle diverse

attività lavorative.35 Tale processo ha comportato, come conseguenza

diretta, uno svincolamento tra la figura dello

sviluppatore/programmatore, quindi dell’ingegnere esperto e quella

dell’utente occasionale o competente esclusivamente in specifiche

operazioni. Alla progettazione di tali dispositivi perciò sono stati

affiancati esperti in tecnologie dell’informazione, in comunicazione,

nella formazione professionale e nelle risorse umane.

Negli anni Novanta mentre l’industria informatica ha

polarizzato la sua offerta sulle applicazioni desktop ad interfaccia

35 Come spiega R. Polillo «la compilazione, campo a campo, di una maschera visualizzata sullo schermo diviene il paradigma standard per le applicazioni di tipo transazionale (sistemi informativi aziendali)». R. Polillo, Design dell’interazione uomo-macchina, http://www.rpolillo.it/ IUM/.

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Capitolo 1

WIMP, lo sviluppo commerciale della rete e delle telecomunicazioni,

la standardizzazione dei protocolli web,36 il potere degli ipertesti,37 le

possibilità aperte dal linguaggio di programmazione Java,38 hanno

permesso la diffusione di nuovi sistemi hypermediali (motori di

36 Il World Wide Web nasce nel 1990 dall’idea di Tim Bernald Lee. Si tratta di una particolare applicazione di rete che consiste di un protocollo (HTTP) un insieme di regole per gestire le informazioni su Internet che vanno ad integrare il protocollo base della rete Internet (il TCP/IP) ed il linguaggio per la descrizione di ipertesti (HTML). Nel 1994 Tim Berners Lee propone la costituzione del World Wide Web Consortium (W3C), un'organizzazione incaricata di sviluppare standard per il Web attraverso la collaborazione di specialisti, aziende e centri di ricerca; lo scopo è di evitare che le tensioni indotte dal mercato con l’invasione di particolari formati proprietari possano mettere in discussione l'universalità di accesso all'informazione on-line. 37 Nelson nel 1965 coniuga il vocabolo “ipertesto”, a cui dava il significato di sistema di organizzazione di informazioni - testuali e non - in una struttura non lineare, elastica e non rigida che richiedeva le capacità di un computer per mostrarla in modo dinamico e navigarla opportunamente. Nel 1993 Mosaic rivoluziona l’accesso ad Internet aumentandone le capacità multimediali e introducendo il concetto del plug in: diventa possibile richiedere ad un server oltre ad un insieme di dati anche piccole applicazioni che ne consentono la gestione. La compatibilità tra questi sistemi, avviene nel 1995 con il lancio di Java da parte di SUN. 38 Java è derivato da un linguaggio chiamato OAK sviluppato nei primi anni Novanta alla SUN Microsystem come linguaggio piattaforma indipendente, predisposto per applicazioni di intrattenimento quali console, videogame e VCR per comunicazioni. OAK è stato impiegato nella TV via cavo per ordinare programmi. A partire dal 1995 l’obsoleto OAK è trasformato nel moderno Java. Con Java Sun riesce a realizzare il primo linguaggio ‘slegato’ da ogni sistema operativo o microprocessore. Il compilatore Java non produce, infatti, un codice oggetto nativo per una determinata piattaforma, ma piuttosto delle istruzioni byte code da usare con JVM (Java Virtual Machine) in ogni piattaforma.

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Quadro di riferimento

ricerca, browser, portali, siti, smart device, smart phone, servizi di tv

interattiva, sistemi d’aiuto) utilizzabili in attività e contesti d'uso

diversi. Tali prodotti, data la natura molteplice delle applicazioni,

hanno posto una maggiore attenzione alle problematiche umane che

si sviluppano nei contesti sociali e nello svolgimento di un’attività.

Così i computer e più in generale i prodotti interattivi si sono

trasformati sempre più da meri strumenti di elaborazione

dell'informazione a dispositivi in grado di mediare la comunicazione

tra le persone condizionandone le stesse logiche di azione.

La situazione attuale dove ogni attività può rappresentare un

potenziale settore di applicazione ha bisogno, dunque di metodologie

interdisciplinari capaci di saper conciliare sia le conoscenze tecniche

di sistemisti, programmatori, esperti di networking e sicurezza on-

line che stabilizzano funzionalità hardware e software che le

conoscenze di sociologi, antropologi, semiotici, etnografi e ancora

architetti dell’informazione, web designer, grafici, esperti di arti

visive, in grado di comprendere attività e contesti d'uso, specificando

quali aspetti favorire nelle dinamiche sociali attivate dalle interfacce.

In tale situazione il design ha il ruolo di creare un’esperienza quanto

più veritiera della realtà (figura 1.3).

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Capitolo 1

1.2.2 Dominio disciplinare

L’interaction design è un approccio alla progettazione che ha

una valenza olistica ovvero sviluppa un quadro di riferimento molto

ampio in cui vengono analizzati i dettagli dell’interazione dalle

interfacce vere e proprie ai contesti sociali d’uso. L’immanenza

dell’oggetto di studi evidenzia come la disciplina non può che essersi

evoluta a partire da diverse aree di ricerca e si è affermata come un

approccio “contenitore” in cui confluiscono differenti ambiti (figura

1.4):

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Quadro di riferimento

- Discipline accademiche. Ergonomia, Psicologia,

Informatica, Ingegneria, Scienze sociali e dell’informazione.

- Settori interdisciplinari. Interazione Uomo-Macchina

(HCI), Computer mediated Comunication (CMC), Computer

supported cooperative work (CSCW), Fattori Umani, Ergonomia

Cognitiva ed Ingegneria Cognitiva.

- Professioni del design. Grafica, Design Industriale, Arte

e Industria Cinematografica.

Analizzare singolarmente ognuno di questi settori va oltre l’intento

di questo testo. Si potrebbe invece rivolgere lo sguardo agli ambiti

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Capitolo 1

interdisciplinari che hanno portato nuovi stimoli all’interno delle

ricerche della computer science, contribuendo nell’evoluzione dei

criteri di progettazione delle interfacce.

Tali prospettive hanno come obiettivo comune, nonostante la

diversità degli approcci metodologici, di formulare un processo

centrato sull’utente. La Human Computer Interaction (HCI) nasce

negli anni Settanta, quando le tecniche di computer grafica riescono

a sviluppare interfacce grafiche stabili (GUI) da implementare nei

sistemi operativi dei computer. È stato uno tra i primi approcci ad

interessarsi alla progettazione di applicazioni user-friendly, cui

obiettivo per molti anni è stato focalizzato nella realizzazione di

interfacce grafiche per applicazioni mono - utente. La disciplina ha

ricoperto un importante ruolo anche nello sviluppo dei primi sistemi

ipertestuali come il progetto Intermedia della Apple.39 A partire dalla

seconda metà degli anni Novanta con la diffusione dei sistemi

operativi multi – utente e con le possibilità offerte dal world wide

web l’attenzione della HCI si è rivolta a fattori più generali: da un

lato mantiene il suo spirito originario concettualizzando modalità

d'interazione innovative rispettose dei principi della cognizione

39 È stato sviluppato da Van Dam (il creatore dell’interfaccia del Macintosh) con la collaborazione di Meyrowitz. Presentato fra il 1985 e il 1987 era un sistema ipertestuale per il Macintosh che – sfruttando in pieno le funzioni grafiche di questa piattaforma - permetteva all’utente la modifica on-line di tutte le informazioni che venivano presentate dal sistema: testo, grafica, collegamenti, ecc.

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Quadro di riferimento

umana dall’altro si interessata agli spazi di interazione ove grazie alle

capacità ipertestuali della rete tali dispositivi diventano un mero

supporto alla comunicazione tra le persone. Per poter ottimizzare tali

aspetti all'interno delle ricerche della HCI sono stati sviluppati due

domini interdisciplinari: il primo chiamato CMC (Computer

Mediated Comunication) l’altro denominato CSCW (Computer

Supported Cooperative Work). Entrambi ricercano forme in grado di

rafforzare i processi di comunicazione tra le persone mediati dai

computer. La CMC è interessata ai fenomeni che si sviluppano on-

line in ambiti come comunità virtuali, forum, chat ecc.40 Tali media

sono utilizzati in situazioni più o meno quotidiane con scopi e

finalità differenti per ogni persona. L’obiettivo principale del

dominio disciplinare è individuare le modalità più adeguate in modo

tale da poter gestire al meglio i flussi di informazione tra gli utenti.

La CSCW è un ambito di ricerca inaugurato da Douge Engelbart già

a partire dagli anni Settanta. Nel 1968 con il sistema denominato

NLS (oN Line System)41 Engelbart, oltre ad introdurre il dispositivo

di puntamento chiamato ‘mouse’, sviluppa anche i presupposti

40 Queste forme di comunicazione sono spesso coniugate all’interno di altre attività quotidiane, per cui rappresentano spesso operazioni succedanee ad altri compiti. 41 Questo sistema prevedeva concettualmente la possibilità di gestire nei software strumenti come ipertesti, wordprocessor, tastiera, mouse e finestre idee assolutamente premature e troppo costose da realizzare per quell’epoca. Per approfondimenti, D. Engelbart in http://sloan.stanford.edu/ MouseSite/dce-bio.htm.

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Capitolo 1

teorici e tecnici per un nuovo utilizzo dei computer che diventavano

strumenti in grado di favorire la collaborazione nel lavoro delle

persone attraverso videoconferenze e file-sharing. La CSCW ha lo

scopo di migliorare tutti i sistemi impiegati in ambiti professionali

che gestiscono e coordinano le attività delle persone. Tali modalità di

lavoro rappresentano, in virtù dei panorami di convergenza

tecnologica e delle possibilità di formazione continua (e-learning),

metodologie che sicuramente condizioneranno i futuri processi di

sviluppo economico (si pensi alle possibilità delle reti Intranet per le

imprese), trasformando ogni attività lavorativa.

Gli ultimi due domini interdisciplinari che sono considerati in

questa sezione rappresentano delle aree di ricerca fondamentali per

l'interaction design e più in generale per la progettazione di prodotti

usabili. Tali discipline delineano i suggerimenti teorici, definiti

principi astratti di design, utili alla formulazione dei modelli

concettuali di un prodotto. Ci riferiamo all’ergonomia cognitiva e

all’ingegneria cognitiva; entrambe nascono dal connubio tra materie

accademiche come ergonomia, ingegneria, psicologia e studi sulla

comunicazione. La prima disciplina ha un raggio d’azione più ampio

della seconda. «L'ergonomia cognitiva ha come oggetto di studio

l'interazione tra il sistema cognitivo umano e gli strumenti per

l'elaborazione di informazione. La conoscenza prodotta da questo

studio è utilizzata per supportare la progettazione di strumenti

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Quadro di riferimento

appropriati per i più svariati usi, dal lavoro, all'educazione, al

divertimento» (definizione tratta dallo statuto della Società Europea

di Ergonomia Cognitiva, EACE, 1987). Se l'ergonomia tradizionale

si occupa della relazione uomo, artefatto e ambiente sotto il profilo

meccanico e fisico, quella cognitiva analizza tali processi

soffermandosi sulle dinamiche di percezione, di apprendimento, di

memorizzazione e problem solving delle persone. L’ergonomia

cognitiva, un po’ come l’interaction design, focalizza la sua

attenzione su un gran numero di eventi che riguardano l’interazione

tra le persone, gli oggetti ed i contesti, fornendo alla progettazione

materiale dei prodotti una serie di criteri astratti rispettosi delle

capacità della cognizione umana. Tuttavia la disciplina non si occupa

solo di usabilità, poiché prende in considerazione anche fattori più

pragmatici strettamente correlati alle caratteristiche estetiche ed

emotive dei prodotti.

L’ingegneria cognitiva, invece, può essere considerata un’area

di studi più specifica che analizza le capacità della mente umana

attraverso metodologie di tipo quantitative. La ricerca dell’ingegneria

cognitiva è basata principalmente sulla modellizzazione delle attività

mentali. Sono studiati gli ambiti operativi della mente attraverso

misurazione sulle performance, cercando di capire le relazioni e la

dipendenza tra i diversi processi cognitivi. Queste analisi non sono,

dunque, interessate alle informazioni di una ricerca di tipo

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Capitolo 1

etnografico in cui le tecniche di osservazione riescono ad

approfondire contesti d’uso e tipologie di utenti, piuttosto, ad

individuare dati oggettivi sulle capacità di elaborazione della

cognizione umana. Per tale motivo l’ingegneria cognitiva ha una

maggiore attenzione agli aspetti connessi con l’usabilità generale di

un prodotto. Rispettare i suggerimenti individuati dalla disciplina

(operazione non priva di problematiche) significa, sostanzialmente,

sviluppare prodotti con un chiaro modello concettuale che si

accordano con le caratteristiche universali delle persone. Raskin

evidenzia come «per poter realizzare interfacce che funzionano

realmente bisogna sviluppare un’ergonomia della mente attraverso

la quale comprendere quali sono i limiti operativi delle nostre

capacità cognitive».42

1.3 Il processo user cetred design (U.C.D.)

Lo scopo generale dell’interaction design è di proporre uno

sviluppo del prodotto centrato sull’utente. Laddove la tecnologia

comporta interazione con le persone, la comprensione del

funzionamento è determinato in gran parte dalla capacità delle

interfacce di essere facilmente comprese. Per cui per realizzare

un’efficace comunicazione tra sistema ed utenti, il processo di

42 J. Raskin, Interfacce a misura d’uomo, traduzione di W. Vannini, Milano, Apogeo, 2004, pp. 9-10.

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Quadro di riferimento

progettazione deve partire dall'analisi dei meccanismi della

cognizione umana da sostenere nel corso delle attività. Prima di tutto,

perché nell’interazione con tali artefatti ne sono coinvolti un gran

numero, per cui approfondire tali aspetti aiuta nello sviluppare il

modello concettuale del prodotto secondo le caratteristiche degli

esseri umani. In secondo luogo, perché gli stessi sistemi software

emulano le facoltà simboliche e di rappresentazione dell’uomo,

quindi una maggiore comprensione di tali aspetti sarà utile anche per

semplificare le logiche con cui funzionerà il sistema.

Si devono migliorare, in tal senso, i modelli d’interazione fra

tecnologia, persone e cognizione umana. Ciò significa, come spiega

Norman, capovolgere completamente le tendenze attuali in cui la

tecnologia riveste un ruolo primario. «Il pregiudizio a favore

dell’approccio centrato sulla macchina è subconscio, i fautori

sembrano inconsapevoli della propria tendenza giustificando i

propri metodi in quanto logici, necessari e ovvii».43 In questi modelli

produttivi le operazioni di design sono considerate solo quando i

prodotti sono ultimati. L’attenzione è rivolta esclusivamente alle

funzionalità tecnologiche della macchina più che alla specificazione

di logiche di interazione a misura d’uomo. I prodotti sono sviluppati,

per questo motivo, a partire da un processo definito “lineare” o a

“cascata”, in cui le attività della progettazione sono rigidamente

43 D. Norman, (op. cit.) 1995, p. 23.

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Capitolo 1

stabiliti secondo una sequenza di azioni predefinite. Un modello così

gerarchico non dà alcuna flessibilità ed ogni riformulazione delle

strutture diventa un’operazione molto complessa o addirittura

impossibile da svolgere. La realizzazione del prodotto avviene perciò

secondo un’azione tutta interna alla produzione, in cui le logiche del

marketing e dell’innovazione tecnologica sono dominanti; queste

scelte portano ad ignorare i modelli mentali delle persone e le

caratteristiche specifiche delle attività in cui i sistemi si vanno ad

integrare.

Diversamente nell'approccio centrato sull’utente la realizzazione

degli elementi funzionali avviene solo in seguito alla definizione

delle modalità d’interazione proposte in base alle attività, ai bisogni e

agli obiettivi degli utenti: è solo a partire da tali informazioni che si

possono iniziare a realizzare i dettagli tecnici del funzionamento.

«Un nuovo tipo di processo produttivo che prende avvio con l’utente

per concludersi con la tecnologia».44 Alla luce di queste evoluzioni

si richiede una ri-organizzazione del processo produttivo d’impresa,

in seguito a forme di consumo sempre più basate sulla relazione,

sulla fiducia e sulla cooperazione con l’utente. Come spiega Visciola

«occorre individuare correttamente una voce di investimento,

specificamente dedicata alla cura dell'esperienza dell'utente finale

44 D. Norman, (op. cit.), 2002, p. 224.

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Quadro di riferimento

ed alle attività di testing».45 Ciò comporta che all’interno delle

aziende nessuna area di competenza (dirigenza, marketing, team di

sviluppo, team di design) può operare più in modo autonomo. La

realizzazione del prodotto avviene attraverso una fase ciclica ed

iterativa costituita da continue attività di testing e valutazioni con

relative modifiche, nell’intento di offrire soluzioni sempre adeguate

agli utenti. Il processo segue un andamento “orizzontale” formato da

attività che non sono pianificate centralmente, ma che dipendono

dalla capacità di implementare le giuste caratteristiche (figura 1.5).

45 M. Visciola in http://www.webusabile.it/archivio/2002/2/3.aspx.

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Capitolo 1

Da questo punto di vista, la stessa natura della progettazione

diventa un momento di alto coordinamento con gruppi di lavoro che

operano a stretto contatto con una cerchia rappresentativa di utenti.

Deborah Mayhew fa una distinzione tra cicli di vita basati sul

prodotto (approccio centrato sulla tecnologia) e cicli di vita centrati

sul processo (approccio centrato sull’utente).46 Nel primo caso sono

gli strumenti, quindi le funzionalità necessarie a costruire il sistema

che rappresentano la struttura di base del progetto. La natura stessa di

tali operazioni penalizzerà inevitabilmente le persone, poiché la

progettazione procede non avendo un preciso modello concettuale

degli utenti, dunque li costringerà ad assoggettarsi alla logica della

macchina. Nel secondo ciclo produttivo, invece, sono le fasi

dialogiche del processo a formare la base dell’oggetto e ciò consente

di implementare soluzioni più adeguate alle caratteristiche degli

utenti. Come sottolinea la Mayhew la differenza tra questi modelli di

progettazione è tutta concentrata sulla diversa enfasi data durante la

progettazione alle attività di design.

46 D. J. Mayhew, The usability engineering lifecycle, San Francisco, MorganKaufmann, 1999.

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Quadro di riferimento

1.4 Interaction design come fattore strategico

Bonsiepe ha osservato come il design nell’organizzazione

aziendale abbia raggiunto uno stadio maturo e possa essere

considerato come un’attività autonoma del management al pari di

finanza, produzione, distribuzione e marketing.47 Questa evoluzione

sembra spiegabile se pensiamo al fatto che le economie odierne sono

basate su un processo d’innovazione costante con elevati gradi di

imprevedibilità e discontinuità, elementi che implicano

obbligatoriamente un superamento dei tradizionali metodi di

produzione, organizzazione e gestione delle imprese. L’innovazione

non può scaturire, infatti, in circostanze industriali, in cui dominano

fattori standard, né tanto meno può essere il frutto di una “ispirazione

geniale”; deriva piuttosto da scelte pianificate. Come evidenzia

Castells sono tre i principali elementi che ne concorrono alla

formazione:

- creazione di nuovi saperi nella scienza, nella tecnologia

e nel management;

- possibilità di avere manodopera altamente specializzata;

47 G. Bonsiepe, (op. cit.), 1993, p. 14.

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Capitolo 1

- esistenza del capitale finanziario e quindi la presenza di

imprenditori in grado di trasformare «i progetti d’impresa in

performance d’impresa».48

L’avvento della e-economy e le possibilità dispiegate dalle

tecnologie dell’informazione affermano l’importanza di nuovi valori

economici come il know-how, la fiducia, la reputazione e la capacità

di collaborazione. Castells sintetizza il processo come l’avvento

dell’impresa di rete.49 L’e-business non rappresenta, infatti, soltanto

la comparsa dell’impresa on-line, «ma un nuovo modo di condurre le

imprese, attraverso internet e altre reti di computer, con varie forme

di connessione ai processi di produzione in loco».50 Come spiega

Rheingold le nuove forme di produzione sono sempre più basate

sulla relazione e sulla fiducia.51 L'interaction design diventa, alla luce

di queste evoluzioni nei modelli economici, una delle leve

fondamentali per poter gestire l’innovazione strutturale del processo

produttivo di ogni impresa enfatizzando nei prodotti i valori

caratteristici del brand. All’interno di un’azienda, per esempio, le

modalità di funzionamento di una rete intranet possono aumentare la

produttività nelle attività di progettazione, managment, distribuzione

48 M. Castells, Galassia Internet, traduzione S. Viviani, Milano, Feltrinelli, 2002, p. 105. 49 M. Castells, (op. cit.) 2002, p. 102. 50 M. Castells, (op. cit.) 2002, p. 104. 51 H. Rheingold, Smart mobs, traduzione di S. Garassini, Milano, Raffaela Cortina Editore, 2002.

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Quadro di riferimento

ecc.; negli ambiti B2C (Business to Consumer) sistemi come siti,

portali e applicazioni software certificano il know-how raggiunto

dall’impresa nel processo produttivo e quindi le qualità innovative

che distinguono i suoi prodotti/servizi da altri. In tutto ciò, le

modalità d’interazione giocano un ruolo cruciale, poiché come

spiega Manovich «oggi le attività di lavoro e di svago, oltre ad

implicare sempre di più l’uso del computer - e dei sistemi interattivi

in generale -, convergono intorno alle stesse - logiche delle -

interfacce».52 Nel panorama di convergenza attuale, l'interaction

design rappresenta per ogni impresa l’attività cerniera tra le

operazioni di back-office (dall’impresa verso l’interno) e quelle di

front-end (dall’impresa verso l’esterno). Una risorsa infrastrutturale

che da un lato riguarda la dimensione produttiva in senso stretto

interessandosi alla ricerca dell'innovazione nei prodotti in funzione

della soddisfazione delle persone, dall’altro interessa il processo di

pianificazione e dunque la dimensione strettamente istituzionale

dell’azienda rappresentando uno dei principali mezzi attraverso cui

gestire i valori intangibili tipici dei nuovi modelli economici.

52 L. Manovich, Il linguaggio dei nuovi media, Michigan, traduzione di R. Merlini, Milano, edizione Olivares, 2002.

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Capitolo 1

1.5 Obiettivi del processo: usabilità e qualità in uso

Come già anticipato il principale obiettivo dell’interaction

design è quello di realizzare prodotti interattivi usabili. L'ISO

(International Standard Organization) definisce l'usabilità come

«l'efficacia, l'efficienza e la soddisfazione con la quale utenti

specifici raggiungono obiettivi specifici in particolari contesti

d’uso». Dalla definizione possiamo comprendere come il termine

usabilità non faccia riferimento a caratteristiche intrinseche di un

oggetto, piuttosto considera nella sua integrità il processo di

interazione tra utente, sistema e finalità d’uso. L’usabilità, quindi,

dipende da una serie di concause non necessariamente correlate

all’artefatto ma che si riferiscono anche ai contesti di utilizzo e alla

natura del compito. Per questo motivo nel corso del processo di

interaction design si tende a fare una distinzione tra gli obiettivi di

usabilità e di esperienza d’uso. Questi ultimi sono strettamente legati

alle caratteristiche fisiche dell’oggetto e incidono sugli aspetti

estetici associati allo stile e alla piacevolezza dell’interazione. Per

raggiungere gli scopi sono stabiliti criteri e metodi differenti.

Prima di analizzare singolarmente gli obiettivi di usabilità e

quelli di esperienza d’uso sembra, comunque, opportuno soffermarci

sul concetto di usabilità fornendo qualche ulteriore precisazione. Nel

corso di questo volume, infatti, il termine si presta ad almeno tre

differenti significati:

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Quadro di riferimento

- obiettivo della progettazione

- euristiche di valutazione

- principi di design

Nella prima accezione il termine vuole evidenziare gli aspetti

generali a cui la realizzazione dei prodotti deve mirare, fornendo i

sistemi dei requisiti necessari. Il processo di sviluppo parte dalla

codifica dei modelli concettuali delle persone (figura 1.6).

Come spiega Norman nella fase di progettazione si distinguono

tre modelli principali: quello del progettista (ovvero le idee

possedute dagli sviluppatori sul funzionamento che trasferiscono nel

prodotto stesso), l’immagine del sistema (ovvero il prodotto come è

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Capitolo 1

nella realtà e come funzionerà) e quello dell’utente (ovvero l'idea che

l'utente si fa del prodotto e del suo funzionamento). Gli obiettivi di

usabilità mirano a far aderire il più possibile questi modelli, poiché le

maggiori problematiche si pongono quando il modello del progettista

e quindi l’immagine del sistema non coincide con il modello

dell'utente. L’usabilità intesa come obiettivo del processo di

progettazione riguarda, dunque la definizione e la misurazione di

tutti gli aspetti che interessano per la formulazione dei modelli

concettuali appropriati.

Il termine usabilità può essere utilizzato anche per intendere una

precisa tecnica di valutazione come le euristiche. Le euristiche sono

criteri astratti definiti ad ogni progetto molto simili ai principi

generali di design; quando sono adoperate per guidare la valutazione

dei prodotti prendono il nome di euristiche. La metodologia è stata

introdotta da Jacob Nielsen che ha sviluppato la tecnica a partire

dall’analisi empirica di 249 problemi di usabilità in sistemi

differenti.53 Le euristiche hanno numerosi vantaggi, tra tutti

consentire una rapida comparazione tra soluzioni alternative di

design; non è un caso allora che alle prime griglie di euristiche ne

siano seguite in questi anni molte altre che in alcuni casi si sono

rivelate inopportune. Gli svantaggi sono dati dal fatto che le

53 Per approfondimenti, J. Nielsen, Finding usability problems through heuristic evaluation, in Proceedings of CHI, 1992, 373-380.

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Quadro di riferimento

euristiche sono espresse e verificate solo da persone esperte e

rappresentano una tecnica di valutazione che non coinvolge gli utenti

reali dei prodotti.

Infine, il termine usabilità può fare riferimento esplicitamente ai

principi astratti di design. Questi elementi espressi da discipline

come l’ergonomia cognitiva, aiutano i designer a considerare

proposte alternative secondo le attività in cui i sistemi si andranno a

collocare. Si tratta di un mix di conoscenze teoriche ed esperenziali

da tenere in giusta considerazione nella formulazione dei modelli

concettuali dei prodotti. Questi principi, in ogni caso, nascono per

aiutare i designer quindi non bisogna intenderli come norme

vincolanti da applicare meticolosamente; sono guide generali che

possono facilitare il processo di progettazione del prodotto, poiché

delineano a priori una serie di requisiti dell’artefatto a partire da

informazioni consolidate sulle caratteristiche cognitive delle persone.

1.5.1 Obiettivi di usabilità

Gli obiettivi di usabilità rappresentano lo scopo fondamentale

della progettazione ed il fulcro del processo di interaction design.

Sono da raggiungere nella realizzazione di ogni artefatto interattivo

che deve sostenere le attività delle persone. Come precisato

l’usabilità non fa riferimento alle caratteristiche correlate ai prodotti

in sé, quanto piuttosto alla relazione tra l’artefatto, le persone e

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Capitolo 1

l’attività da svolgere. Gli obiettivi sono interessati sostanzialmente a

questioni di portata generale e rappresentano dei parametri attraverso

cui valutare il funzionamento delle strutture e le relative modalità

d’interazione. I dati sono raccolti principalmente attraverso analisi

quantitative sulle performance degli utenti fornendo elementi

applicabili alla progettazione di ogni prodotto.

- Efficacia. Rappresenta un obiettivo molto generico che

stabilisce la capacità del prodotto di svolgere le proprie operazioni

nei modi in cui sono state progettate. Per stabilire l’efficacia sono

poste nel corso del processo una serie di questioni. Ad esempio

quanto l’artefatto facilitare il lavoro o se consente alle persone di

imparare in modo produttivo. Data l’importanza generale di questi

aspetti, l’efficacia rappresenta in ogni prodotto interattivo lo scopo

prioritario.

- Efficienza d’uso. I sistemi centrati sull’utente devono

saper agevolare le attività delle persone supportandole ed

aumentandone la produttività. L’efficienza d’uso stabilisce quanto il

prodotto aiuta a portare a termini i compiti (task) dell’utente. Per

capire tali elementi sono svolte delle sessioni valutazione, in cui si

richiede agli utenti di eseguire una serie di compiti predefiniti. Le

performance di ogni persona sono misurate ed analizzate per capire

l’efficienza d’uso del sistema. Queste caratteristiche possono essere

facilmente individuate a posteriori, quando i dispositivi sono già

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Quadro di riferimento

commercializzati; ad esempio nella comparazione tra due editor di

testo si capisce che se il primo svolge un compito con dieci click del

mouse sarà sicuramente migliore dell’altro che per eseguire la stessa

operazione, ne richiede quindici.

- Grado di soddisfazione. Prende in considerazione le

capacità dell’artefatto di rispondere nei modi previsti alle richieste

dell’utente. Se un sistema risulta complesso nell’esecuzione dei

compiti non riuscirà a soddisfare le esigenze delle persone che, anzi,

frustrate nell’uso eviteranno il prodotto o quanto meno non ne

sfrutteranno a pieno le potenzialità. Naturalmente il grado di

soddisfazione degli esseri umani può variare da persona a persona,

dunque è un fattore strettamente condizionato alle caratteristiche

individuali e all’insieme di esperienze maturate nell’interazione.

- Sicurezza d’uso. Specifica le caratteristiche adottate per

la protezione dell’utente da situazioni pericolose o indesiderate. A

livello internazionale sono stati adottati numerosi standard per

definire le caratteristiche della sicurezza d’uso tra cui i più

importanti, per il processo di interaction design, sono l’ISO 9241 che

si riferisce alle condizioni dell’ambiente di lavoro delle persone, e

l’ISO 14915 riguardante la progettazione di interfacce utente, che

devono essere fornite di strumenti in grado di rimediare a eventuali

errori commessi dalle persone.

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Capitolo 1

- Facilità di ricordo. La maggior parte dei sistemi

software richiede di compiere diverse sequenze di azioni per ogni

attività da svolgere. Tali sequenze non devono essere apprese ogni

volta che si compie la stessa attività. L’obiettivo, quindi, fa

riferimento alla capacità dei sistemi di facilitare il ricordo delle

modalità già utilizzate. Succede spesso che questi aspetti

dell’interazione sono compromessi dalle scelte fatte nella

progettazione che specifica operazioni confuse senza logica o

disposte male. Per aumentare la facilità di ricordo di un’interfaccia

bisogna fornire agli utenti elementi chiaramente significativi, in

grado di identificare rapidamente anche le funzionalità utilizzate

raramente. La facilità di ricordo può essere stimata in modo

abbastanza semplice, attraverso la misurazione, in un arco di tempo

determinato, del numero di errori commessi dalle persone nello

svolgimento dello stesso task.

- Facilità di apprendimento. Riguarda la semplicità con

cui un artefatto è appreso dalle persone. È uno degli obiettivi più

discussi della progettazione da sempre al centro d’attenzione degli

sviluppatori. La facilità di apprendimento dipende dalla qualità

dell’interazione specificata tra l’uomo e il sistema. Tali aspetti sono

stimati con la misurazione del tempo necessario alle persone per

apprendere una determinata sequenza d’azioni. I dispositivi

interattivi sono artefatti cognitivi cioè strumenti in grado di estendere

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Quadro di riferimento

i processi cognitivi dell’uomo, per cui devono facilitare i processi di

apprendimento non disturbando la concentrazione e le operazioni

reali degli utenti.54

1.5.2 Obiettivi d’esperienza d’uso

Gli obiettivi di esperienza d’uso si interessano, invece, ad una

dimensione più soggettiva della progettazione facendo riferimento

soprattutto alle caratteristiche fisiche dei prodotti che

contraddistinguono l’esperienza dell’utente. A differenza di quanto

avviene per gli obiettivi di usabilità la valutazione di tali parametri

risulta alquanto problematica: nonostante ne concorrano numerosi

elementi nella definizione (l’interattività, l’attenzione, il ritmo, il

gioco, il coinvolgimento e lo stile narrativo) la stima deve affidarsi a

tecniche qualitative, i cui risultati non possono essere generalizzati

alla progettazione di ogni prodotto, ma riferiti solo ad un unico

progetto. Manca in queste valutazioni la possibilità di individuare

una serie di caratteristiche universali applicabili a grandi campioni di

utenti. I principali obiettivi d’esperienza d’uso sono:

- Piacevolezza d’uso. Approfondisce le caratteristiche

dell’esperienza d’uso mediante questioni strettamente correlate ai

54 D. Norman, Le cose che ci fanno intelligenti, traduzione di I. Blum, Milano, Feltrinelli, 1995.

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45

Capitolo 1

principi di usabilità. La piacevolezza d’uso si riferisce sia al

funzionamento generale del sistema, valutando quanto è adeguato

alle attività delle persone, sia alle modalità utilizzate dalle interfacce

da cui dipende lo stile dell’interazione.

- Utilità. Analizza la capacità dei prodotti di offrire

all’utente funzionalità adeguate alle attività da compiere. Un editor di

testo, che contiene anche un vocabolario dei sinonimi, è un buon

esempio di strumento utile. Quando mancano invece le

caratteristiche fondamentali per lo svolgimento di una determinata

attività le persone sono vincolate nelle scelte e non sfrutteranno le

potenzialità del sistema.

- Estetica accattivante. Sono aspetti strettamente

correlati allo stile dell’interazione adottato nelle interfacce. Molto

spesso tali questioni sono considerate come il fulcro delle attività di

design nonostante ne rappresentino soltanto il risultato finale. Le

soluzioni estetiche per gestire i contenuti delle interfacce derivano

dalla natura stessa delle attività in cui il prodotto sarà impiegato, per

cui una progettazione accurata può proporre un design accattivante

utilizzando linee semplici basate su convenzioni naturali e culturali

ben definite.

- Coinvolgimento emozionale. Negli ultimi anni le

evoluzioni tecnologiche avvenute negli ambiti delle computer

science hanno portato ad una maggiore attenzione per gli elementi

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46

Quadro di riferimento

affettivi che si sviluppano nell’interazione tra gli uomini e i

computer. I sistemi interattivi, più di ogni altro strumento sono

capaci di trasmettere emozioni nelle persone riuscendo ad emulare le

capacità cognitive ed affettive. Si pensi ad esempio agli agenti di

interfaccia, personaggi animati utilizzati nelle applicazioni software

così come nei prodotti on-line. Enfatizzare su tali caratteristiche

antropomorfe può migliorare, in casi specifici, la qualità

dell’interazione rendendo l’esperienza d’uso più vicina a logiche e

valori degli esseri umani. Tuttavia questi approcci pongono diverse

problematiche sul controllo dei sistemi (vedi informatica pervasiva) e

più in generale sulle questioni di usabilità dei prodotti.

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49

Capitolo 2

Il processo user centred design

2.1 Caratteristiche del processo

Mentre si diffondono i primi strumenti user-friendly, Gould e

Lewis pubblicano l’articolo Design for usability: key priniciples

and what designers think1 ove enunciano tre principi basilari che

avrebbero portato a migliorare la progettazione di interfacce,

rendendo i computer più utili e facili da usare:

- focalizzarsi sugli utenti

- raccogliere dati empirici

- sviluppare un design iterativo

Più che concentrarsi sulla realizzazione empirica di

un’interfaccia, Gould e Lewis individuano delle precise

caratteristiche che distinguono le fasi della progettazione di un

sistema user-fiendly. I criteri costituiscono una precisa filosofia

progettuale che nonostante gli anni passati è ancora attualissima. Il

primo principio espresso da Gould e Lewis suggerisce esplicitamente

di concentrarsi sulle persone reali che utilizzeranno il prodotto. Ciò

vuol dire in buona sostanza che in accordo con i principi

1 J. Gould, C. Lewis, Design for usability: key priniciples and what designers think, Communication of ACM, 1984, p. 28, pp. 300-311.

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50

Il processo user centred design

dell’interaction design, i requisiti di un sistema interattivo sono

strettamente condizionati dalle attività delle persone e dipendono

dalla composizione stessa del target di riferimento. Perciò si devono

adottare modelli di progettazione che comprendono gli obiettivi degli

utenti in una determinata attività ed i contesti d’uso in cui sarà svolta.

Per conoscere rapidamente tali aspetti molti approcci all’interaction

design (come il modello del contextual design o ancora il

partecipatory design) coinvolgono le persone non solo nella

valutazione dei prodotti, ma direttamente nel momento della

progettazione. Concentrare l’attenzione sull’utente permette di avere

un ampio numero di feed-back in ogni attività del processo. I team di

sviluppo/design possono monitorare continuamente la correttezza dei

sistemi in base ai suggerimenti delle persone, verificando quanto i

modelli concettuali predisposti sono sensibili alle loro reali attività.

Gould e Lewis nel secondo principio sottolineano l’importanza

di raccogliere dati empirici durante la progettazione. Lo sviluppo di

un prodotto interattivo rappresenta un momento di pianificazione

strategica in cui si distinguono diversi livelli di definizione. Ognuno

richiede la raccolta di quante più informazioni possibili. Le scelte da

implementare devono essere fondate su dati analizzati ed interpretati

che hanno portato ad una visione condivisa tra i team di lavoro. Per

avere dati ben definiti bisogna registrare sin dall'inizio le reazioni, le

prestazioni e gli atteggiamenti degli utenti. Tali informazioni sono

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51

Capitolo 2

poi da interpretare secondo gli obiettivi di usabilità e di esperienza

d’uso che il progetto si è prefissato; solo così si potranno costruire

con facilità i prototipi, versioni parziali del prodotto che

consentiranno di avere le prime valutazioni degli utenti. I team di

lavoro così hanno possibilità di scegliere tra proposte alternative,

controllando in ogni fase di sviluppo l'adeguatezza delle soluzioni.

L’ultimo principio espresso da Gould e Lewis coglie la vera

essenza di un processo di progettazione centrato sull’utente.

L'iterazione è la clausola necessaria per realizzare uno sviluppo

senza alcuna direzione prestabilita. Solo utilizzando questo ciclo di

vita è possibile riadattare continuamente ogni aspetto del prodotto

alle esigenze reali delle persone. Ne deriva che le attività di

progettazione richiedono cicli di design, test, rilievi e ri-design.

L’iterazione è inevitabile perché i progettisti non producono mai una

soluzione al primo tentativo ed anche in questo caso l’idea va rivista

alla luce dei feedback provenienti dagli utenti. Questo è

particolarmente vero se l’obiettivo è realizzare sistemi di facile

utilizzo facilmente integrabili nelle attività delle persone.

Nel libro Il computer invisibile Norman spiega come uno

sviluppo produttivo centrato sull’utente oltre che fare attenzione alla

sua esperienza (implementando le giuste soluzioni di design secondo

gli aspetti espressi da Gould e Lewis), poggia su altri due fattori

essenziali (figura. 2.1):

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Il processo user centred design

- tecnologia

- marketing

La tecnologia garantisce le funzioni e le prestazioni adeguate a costi

ragionevoli. Senza il supporto di tale componente anche i migliori

progetti sono votati al fallimento. Gli aspetti tecnologici sono

importanti nella fase iniziale, quando un prodotto viene

commercializzato ad un target ristretto di persone come esperti o

appassionati. Questi, definiti da Norman gli utenti della prima

generazione, richiedono funzionalità e prestazioni elevate. I

computer come Apple II o Macintosh, pur se più difficili da usare a

causa dell’adozione di standard qualitativi meno curati all’esperienza

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53

Capitolo 2

dell’utente rispetto a progetti come ‘Star’ o ‘Lisa’, hanno avuto un

maggiore successo commerciale proprio perché implementavano

delle killer application con elementi tecnologicamente innovativi

come Visicalc2 o il linguaggio Postscript di Adobe.3 Come ribadisce

Norman, solo quando la tecnologia viene data per scontata,

diventando un mero supporto alle attività delle persone, subentrano

valori più vicini all’esperienza dell’utente come l’affidabilità e la

facilità di utilizzo, esigenze specifiche della seconda generazione di

utenti.

Il marketing invece si occupa di comprendere le aspettative degli

utenti in un artefatto. È legato ad attività correlate svolte da una

struttura competente, composta da diverse figure professionali di

un’azienda. Il principale compito è di presentare al pubblico il

prodotto nella sua veste migliore implementandone i valori del brand

e della dimensione corporate dell’azienda. Le strategie di marketing

posizionano il prodotto all’interno del segmento di mercato più

adeguato. Come sottolinea Norman «è essenziale trovare il giusto

contesto per l’azienda, la marca e il prodotto, un contesto che offra

le caratteristiche desiderate. È grazie al giusto posizionamento di

2 Si tratta del primo foglio di calcolo apparso in un personal computer. 3 E’ un linguaggio di descrizione della pagina mediante il quale si introducono nuove capacità tecnologiche nei personal computer. Per la prima volta è possibile stampare testo, immagini direttamente da casa; il progetto Macintosh della Apple apre l’era del modello desktop publishing.

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54

Il processo user centred design

questi aspetti che vengono a determinarsi le percezioni del cliente

sulla qualità, il prestigio, il valore, l’affidabilità e la piacevolezza».4

Le tre componenti dello sviluppo produttivo centrato sull’utente

(tecnologia, esperienza dell’utente e marketing) rappresentano dei

saperi perseguibili all’interno di un’unica filosofia di progettazione,

l’interaction design, che da una parte si interessa a realizzare

modalità d’interazione a misura d’utente, implementando elementi

tecnologicamente innovativi; dall’altro rappresenta un processo

conoscitivo dell’esperienza dell’utente attraverso cui approfondire

aspetti fondamentali per la progettazione come attività,

atteggiamenti, procedure, contesti, ecc.; infine può essere definito,

data la sua validità infrastrutturale (dalle attività di produzione vere e

proprie a quelle di managment, dalle operazioni di back-office a

quelle di front-end) il nuovo modo di fare marketing dei

prodotti/servizi.

2.2 Cicli di progettazione a confronto

Con l’espressione “modello del ciclo di vita” si vuole indicare

una rappresentazione schematica del processo di progettazione che

contiene l’insieme delle attività e le relazioni che intercorrono tra

loro. Questi strumenti hanno un’importanza strategica, poiché fanno

4 D. Norman, Il computer invisibile, traduzione di B. Parella, Milano, Apogeo, 2002, p. 56.

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55

Capitolo 2

capire l’insieme di operazioni che devono svolgere i team di lavoro

stabilendo le priorità e gli obiettivi da perseguire. I modelli di

progettazione esistenti possono essere semplici o sofisticati; le loro

caratteristiche dipendono dalla portata del prodotto che si vuole

realizzare. Qualsiasi ciclo di vita è una descrizione semplificata della

realtà; si tratta, dunque di astrazioni euristiche che dovrebbero

contenere solo la quantità di dettaglio necessaria alla progettazione.

Negli anni passati si è pensato che per realizzazione un prodotto

interattivo bisognava utilizzare cicli di vita complessi in modo da

gerarchizzare la progettazione, gestendo al meglio il coordinamento

tra le varie figure impiegate. Come dimostrano oggi il movimento

open-source e il fenomeno Linux tali presupposti non sono più

universali ma specifici di un determinato approccio.5

Cusumano e Selby, nell’articolo How microsoft builds

software, evidenziano come anche la Microsoft Corporation, pur

realizzando software complessi, adotta nella progettazione dei suoi

sistemi cicli di vita semplici tesi a favorire la flessibilità del

processo.6 In questo modo, i team di lavoro mantengono un alto

5 Nel libro Galassia Internet (op. cit.), Castells spiega come il processo di innovazione nelle comunità open-source dipenda da un libero accesso all’informazione e dal ruolo fondamentale assunto dalla cooperazione. «Anzi la cooperazione nell’innovazione e la competizione nei prodotti e servizi sembrano essere, le nuove forme di divisione del lavoro». 6 I gruppi di lavoro sincronizzano quotidianamente le loro attività e in periodi fissati stabilizzano il prodotto. I team di lavoro di solito sono

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56

Il processo user centred design

grado di autonomia sulle attività generali dello sviluppo, avendo più

facilità di intervento nella riformulazione dei prodotti. I due autori

hanno definito questo metodo “synch and stabilize”7 individuando tre

fasi salienti:

- Pianificazione. Inizia con l’identificazione degli

obiettivi e con la definizione di tutte le attività che l’utente dovrà fare

mediante il sistema. A partire da queste analisi si stabiliscono in un

documento i requisiti di cui sarà fornito il prodotto;

- Sviluppo. La lista dei requisiti è distribuita tra i gruppi

di lavoro preposti allo sviluppo del sistema. Si stabiliscono delle

scadenze in cui verificare tutte le caratteristiche dei sottoprogetti di

ogni team;

- Stabilizzazione. Alla scadenza di ogni data i

sottoprogetti dei team sono stabilizzati nell’architettura generale del

sistema continuando così fino alla stabilizzazione di tutte le soluzioni

di ogni team a cui segue il lancio definitivo del prodotto.

Nelle sezioni successive sono analizzati e confrontati modelli di

progettazione maturati all'interno di domini diversi. Alcuni sono stati

ampliati o completamente rettificati nel corso degli anni, per cui non

composti da un minimo di tre persone a un massimo di otto ma anche da singoli programmatori. 7 M. A. Cusumano e R. W. Selby, How microsoft builds software, Comunication of ACM, 1997, pp. 40(6), 53-61.

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57

Capitolo 2

rappresentano approcci esclusivi. Comparando i cicli di vita è

evidente quanto il focus nella progettazione di prodotti interattivi si

sia gradualmente spostato dagli elementi tecnologici della macchina

alle caratteristiche umane degli utenti.

2.2.1 Modello “a cascata” nell’ingegneria del software

L'ingegneria del software è stata la prima disciplina ad occuparsi

della realizzazione di architetture informatiche di basso livello. Si è

sviluppata in seguito alle esigenze, emerse negli ambiti

dell’information tecnology, di realizzare prodotti in tempi e costi

determinati. I primi software, infatti, erano progettati in modo

sperimentale senza caratteristiche standardizzate, per cui bisogna

identificare ad ogni progetto le procedure specifiche da eseguire.

Prima della comparsa del modello “a cascata” (o waterfall) non vi

era un approccio riconosciuto ed universale nello sviluppo dei

software. Dopo questo approccio se ne sono susseguiti altri

provenienti sia da ambiti disciplinari differenti che all’interno

dell’ingegneria del software. I principi del ciclo di vita “a cascata”

sono stati descritti da Royce e successivamente ridefiniti da Bohem.8

Soffermiamoci sulle operazioni previste (figura. 2.2):

8 B. Bohem, A spiral Model of software devlopment and enhancement, IEEE Computer, 1988, pp. 21 (5), 61-72.

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Il processo user centred design

- Analisi dei requisiti del sistema. L'analisi dei requisiti è

l’operazione che individua gli scopi principali dei sistemi delineando

gli ambienti operativi in cui si andranno ad inserire i prodotti. I

requisiti sono principi astratti che descrivono il comportamento delle

architetture nell’esecuzione dei task specificando le funzioni da

supportare in ognuna. L’analisi inizia con una raccolta di dati da cui

sono ricavate informazioni più dettagliate sul funzionamento e i task

da eseguire. Si distinguono in questa fase i requisiti del sistema

(System Requirements) ed i requisiti utente (User Requirements).

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59

Capitolo 2

Entrambi sono critici anche se i primi sono quelli che, data la rigidità

del processo, sono specificati meglio.

- Progettazione. Dopo aver compreso i requisiti

funzionali viene definito un modello astratto, in cui sono specificate

le architetture e le configurazioni globali dei sistemi. Si stabiliscono

caratteristiche come i linguaggi di programmazione e sviluppo, le

strutture di controllo, le strutture dei sottosistemi e gli eventuali

moduli di ogni sottosistema. La progettazione passa poi nel dettaglio

con l'analisi di ciascun modulo e la descrizione delle strutture per la

comunicazione, del processo elaborativo, dei controlli interni e degli

eventuali vincoli di prestazione. Questa fase interessa, quindi, la

realizzazione operativa delle componenti ingegneristiche da cui

deriva il funzionamento generale del sistema.

- Scrittura del codice. La fase di progettazione vera e

propria si conclude con la implementazione del codice. Sono

elaborate, cioè le stringhe relative ai moduli realizzati. Come spiega

Sedehi «è di fondamentale importanza che le interfacce fra i vari

moduli e le corrispondenti funzioni siano ben definite prima

dell'inizio di questa fase».9 La durata delle attività (in certi prodotti si

parla di anni) è strettamente influenzata dai linguaggi di

9 H. Sedehi, Ingegneria economica del software, Roma, Edizioni Eucos, 2003, p. 3.

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60

Il processo user centred design

programmazione utilizzati e dai moduli necessari per l’esecuzione di

tutte le funzionalità del sistema.

- Valutazione. La valutazione vera e propria avviene,

quando gli elementi concreti sono già realizzati. Generalmente si

inizia con i test su ogni singolo modulo per poi passare a testarli

nell'insieme per verificare se il sistema risponde nei modi previsti. I

test sono effettuati, di solito direttamente dai team di sviluppo oppure

coinvolgono persone esperte. Perciò non rappresentano un momento

in cui è richiesta la valutazione delle persone reali che compreranno

il prodotto.

- Manutenzione. Il feed-back con gli utenti avviene solo

con la conclusione del ciclo di vita ed il rilascio del prodotto. Sono

fornite informazioni direttamente dagli utenti che utilizzano il

programma nella sua versione finale. Tali dati possono far

comprendere quali sono i bug (o errori) principali del sistema

ponendovi rimedio attraverso il rilascio di versioni successive

(patch) del prodotto. La manutenzione accoglie, dunque questi dati e

li re-interpreta per la formulazione di alcuni aspetti del sistema (ma

sicuramente non del suo funzionamento generale).

Nel corso di questi anni le versioni evolute del modello

‘waterfall’ (incrementale, prototipazione evolutiva, ecc.) non hanno

risolto le problematiche maggiori nell’adozione di tale approccio

derivanti dal fatto che lo sviluppo a cascata non prevede fasi

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61

Capitolo 2

d’iterazione tra le attività della progettazione. Ciò implica un

processo gerarchico in cui non si può che fare poca attenzione alle

reali esigenze degli utenti. Se, infatti, la realizzazione di un software

richiede dei tempi variabili che non possono essere stabiliti a priori

non ha alcun senso individuare i requisiti solo all'inizio della

progettazione, poiché il processo potrebbe protrarsi per mesi o

magari per anni per cui gli aspetti analizzati cambieranno nel corso

del tempo così come l’ambiente d’uso e le attività. Non è un caso,

allora che le applicazioni software sono molto lontane dal modo in

cui le persone svolgono le proprie attività, pieni d’intermediazioni

inutili che penalizzano l'interazione e lo stesso funzionamento del

sistema. Tali aspetti possono essere calmierati solo con delle

valutazioni preliminari degli utenti date ancor prima del rilascio del

prodotto. Utilizzare il mercato per misurare l'efficienza dei prodotti

poi, non è una scelta premiante per l’immagine del brand né

sicuramente una strategia edificante per le persone.

2.2.2 Modello “star” nella human computer interaction

La Human Computer Interaction (HCI) si è occupata, a partire

dagli anni Settanta, di realizzare interfacce grafiche da implementare

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62

Il processo user centred design

nelle applicazioni software.10 Gli obiettivi del dominio hanno perciò

un interesse più specifico rispetto ad approcci come l'ingegneria del

software o lo stesso interaction design. Nel 1989 Hartston e Hix

propongono il modello denominato Star11 (niente a che vedere con il

sistema realizzato allo Xerox) che descrive un ciclo di vita ideale

nello sviluppo di interfacce grafiche. A differenza del modello “a

cascata” l’approccio non specifica nessun ordine nella sequenza delle

attività della progettazione, per cui ci si può spostare da una all’altra

purché ci sia una fase di valutazione intermedia che rappresenta

l’operazione centrale per poter implementare aspetti rispettosi dei

task degli utenti. Le attività che si evidenziano sono così distinte

(figura 2.3):

- Specificazione dei requisiti. I requisiti sono determinati

dalla natura stessa dei task che le interfacce supporteranno e dal

grado di difficoltà che il sistema prevede per compiere ogni sotto-

attività specifica. Più, infatti, il software implementa funzioni più il

10 I primi computer ad interfaccia grafica sono sviluppati proprio nel finire degli anni Settanta; uno dei primi è Star realizzato allo Xerox Parc, un progetto con standard qualitativi elevati che tuttavia non avrà una grande valenza commerciale. È solo, infatti, con il Macintosh che i computer ad interfaccia grafica diventano sinonimo di sistemi user-friendly e la HCI, impegnata nella progettazione di questi strumenti d'interazione, diventa il principale dominio disciplinare ad occuparsi di progettazione centrata sull'utente. 11 H. R. Hartson, D. Hix, Toward empirically derived methodologies and tools for human computer interface development, International Journal of Man Machine Studies, pp. 31, 477-494.

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63

Capitolo 2

design dell’interfaccia sarà articolato. Queste analisi consentono di

delineare quali soluzioni adottare per lo svolgimento dei compiti e

gli elementi su cui insistere per l'organizzazione e la presentazione

degli oggetti nelle interfacce (layout).

- Progettazione concettuale/rappresentazione formale.

L’attività di progettazione si distingue in due passi diversi: in un

primo momento viene formulato un modello astratto con cui regolare

tutti i compiti che l'interfaccia deve sostenere; questa fase prende il

nome di progettazione concettuale. L’attività termina con la

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Il processo user centred design

realizzazione dei prototipi (storyboard) in cui ogni task e sotto-task è

rappresentato mediante una visualizzazione specifica. Così è

possibile comprendere ogni stato dell’interfaccia in riferimento ai

task da eseguire. Nella fase successiva si passa, invece, alla

rappresentazione formale dell’interfaccia. Sono individuate le linee

guida (look and feel), strumenti utili nella realizzazione di ogni

elemento (widget) dell’interfaccia.

- Implementazione. Integrare ogni aspetto dell’interfaccia

grafica nel codice del sistema non è un'attività semplice, anche se

l’operazione è fondamentale, poiché l’interazione con l’utente

dipende dalla meticolosità con cui sono svolte queste operazioni.

Ogni oggetto dell'interfaccia deve essere implementato nel codice

facendo attenzione che non ci siano errori tra le potenziali operazioni

messe in atto dagli utenti e l’azione specifica con cui deve rispondere

l’interfaccia.

- Prototipazione. I prototipi sono versioni parziali delle

interfacce che forniscono informazioni ai designer sul funzionamento

reale del sistema e sulle modalità d’interazione adottate per eseguire

i task. I prototipi possono avere caratteristiche simili a quelle dei

prodotti finali chiarendo quali aspetti arrecano disturbi nelle

operazioni o che rendono l'interfaccia complessa senza validi motivi.

I prototipi sono fondamentali per avere giudizi rapidi dagli utenti,

quando le strutture non sono ancora completamente definite.

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Capitolo 2

- Analisi dei task e analisi funzionale. Chiariscono i

particolari dell’interazione approfondendo le modalità specifiche con

cui le interfacce mediano le operazioni tra il sistema e l’utente. La

prima è la più importante, poiché evidenzia i task che il sistema deve

eseguire. L’analisi funzionale avviene successivamente, quando sono

stati stabiliti tutti i task del sistema; ad ogni compito viene

determinato chi tra l’uomo e la macchina avrà la responsabilità sulle

operazioni e dunque il controllo nell’esecuzione.

- Valutazione. Gli aspetti legati alla valutazione hanno

una grande importanza; non è un caso che tale operazione è da

proporre ogni volta che si passa ad un’azione successiva del ciclo di

vita. Naturalmente le attività di valutazione coinvolgono il più

possibile gli utenti reali per testarli nell’esecuzione di compiti

predefiniti.

Il modello Star nasce dall'esigenza di comprendere quali sono le

azioni dei designer nello sviluppo di alcuni aspetti delle interfacce;

gli autori Hartston e Hix identificano due modalità generiche: una

analitica, l’altra sintetica. La prima è caratterizzata da nozioni top-

down che, cioè partono dalle logiche della macchina per raggiungere

il punto di vista dell’utente (ad esempio organizzazione, funzione,

forme, ecc.). La seconda azione, invece, prevede lo sviluppo di

concetti bottom-up che dalla logica umana arrivano al punto di vista

della macchina (ad esempio possibilità di navigazione, icone, menù,

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Il processo user centred design

ecc.). Nonostante il modello “Star” realizzi un ciclo di progettazione

flessibile, quindi, un alto grado d’iterazione del processo, l’approccio

non è mai stato usato con risultati di successo in grandi progetti; ciò

sembra dovuto al fatto che un modello troppo flessibile è

sicuramente una condizione ottima per sviluppare la creatività dei

designer, ma è contemporaneamente una forma poco maneggiabile

per altre figure coinvolte (projet manager, responsabili di marketing,

ecc.) a cui devono essere forniti strumenti in grado di prevedere e

controllare il processo di sviluppo del prodotto.

2.2.3 Modello “life cycle” nell’ingegneria dell’usabilità

L’ingegneria dell’usabilità è nata da pochi anni all’interno del

dominio disciplinare dell’interazione uomo - computer. Negli anni

Settanta, quando i software erano maneggiati quasi esclusivamente

da persone esperte, l'usabilità dei sistemi non rappresentava ancora

un aspetto fondamentale.12 L'ingegneria dell'usabilità si è evoluta

inizialmente come un approccio eccellente per l'analisi delle

applicazioni web (siti, portali, ecc.); Nielsen è stato uno dei

principali fautori della web - usability fornendo le prime griglie di

12 E’ solo con la diffusione commerciale dei primi sistemi user-friendly (1984) e delle reti di telecomunicazione (1990) che questi elementi diventano una priorità nella costituzione di qualsiasi prodotto interattivo.

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67

Capitolo 2

euristiche per valutare l’usabilità in questi prodotti.13 La tecnica ha

trovato ben presto applicazione nella realizzazione di qualsiasi

strumento interattivo rivolto alle attività degli esseri umani,

rappresentando una prospettiva metodologica che individua

rapidamente alcune caratteristiche rispettose dei modi di pensare e di

agire delle persone. È spesso utilizzata per integrare altri modelli di

progettazione ed il suo impiego è frequente nella riformulazione di

prodotti software già presenti sul mercato. In questo caso, sono

individuate le specifiche da adottare per migliorarne l'usabilità. Tali

soluzioni sono testate e poi implementate nelle versioni successive.

Deborah Mayhew ha proposto un ciclo di vita a partire da una

visione olistica dell’ingegneria dell’usabilità.14 Questa disciplina può

essere considerata, secondo l’autrice, speculare rispetto a qualsiasi

altra metodologia di progettazione, poiché rappresenta già di per sé

una visione sistemica. Nel ciclo di vita da lei proposto si distinguono

tre attività principali (figura. 2.4):

- Analisi dei requisiti. Le ricerche devono contenere

descrizioni dettagliate su come portare a termine precisi task. I dati

13 La metodologia delle euristiche richiede la definizione di alcuni parametri per misurare le performance delle persone in riferimento a precisi task da eseguire, la documentazione dei risultati in termini di specifiche di usabilità e il test sulle specifiche di usabilità predisposte. 14 D. J. Mayhew, The usability engineering lifecycle, San Francisco, MorganKaufmann, 1999.

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68

Il processo user centred design

sono ricavati dalla misurazione delle performance delle persone

rispetto ai compiti assegnati. I requisiti individuati portano alla

specificazione di una serie di principi generali di design, raccolti in

una linea guida di stile che rappresenta, nel corso dello sviluppo del

prodotto, lo strumento principale per catturare e diffondere gli

obiettivi di usabilità.

- Progettazione/ sviluppo/ valutazione. È la fase più

articolata prevista dal modello; la progettazione, lo sviluppo e la

valutazione sono attività simultanee che si compongono di numerose

sotto-attività in cui le linee guida di stile rappresentano la griglia

generale attraverso cui integrare gli obiettivi di usabilità. Alle fasi di

progettazione, sviluppo e valutazione corrisponde un grado di

definizione sempre maggiore del prodotto in cui le linee di stile sono

lo strumento per passare ad un livello di dettaglio superiore.

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69

Capitolo 2

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70

Il processo user centred design

- Installazione. Prevede un momento di valutazione che

coinvolge direttamente l’utente.Ciò consente di capire se gli aspetti

riformulati sono soddisfacenti a risolvere le problematiche

d’usabilità che si erano evidenziate: in questo caso il ciclo di vita

termina con il rilascio del prodotto. Nel caso contrario sono

riconsiderati i miglioramenti necessari ed il processo di

progettazione riparte nuovamente dall'installazione, con un ulteriore

feedback dell'utente; queste operazioni sono ripetute tante volte

finché non sono risolte tutte le questioni.

L’approccio è basato su un processo di progettazione molto

flessibile ove, a differenza di quanto proposto nel modello di

Hartston e Hix che non prevede alcuna direzione predefinita, sono le

linee guida di stile a stabilire l'andamento dello sviluppo del

prodotto. Nonostante ciò, come sottolineano Preece, Rogers e Sharp,

l'iterazione tra le attività di design e quelle di valutazione avviene

solo nella seconda fase del processo

(progettazione/sviluppo/valutazione) e ciò comporta che le

informazioni circa il funzionamento del sistema avvengano quando il

modello concettuale (che sfocia concretamente nelle linee guida di

stile) e le proposte di design concrete sono già state formulate. Come

avremo modo di vedere sono queste caratteristiche a differenziare il

ciclo di vita proposto dall’interaction design che, invece, sviluppa un

processo completamente iterativo in ogni sua attività.

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71

Capitolo 2

2.2.4 Un modello generale per l’interaction design

Le attività alla base di un processo centrato sull’utente (User

Centred Design) sono quattro e si collegano come mostrato nella

figura 2.5. Si distinguono le seguenti fasi:

- identificare i bisogni, stabilire i requisiti

- progettare

- prototipare

- valutare

Come osservano Preece, Rogers e Sharp il modello non ha un

valore prescrittivo ovvero non pretende di descrivere il modo in cui

tutti i prodotti interattivi devono essere costruiti, tuttavia, data la sua

valenza generica è estendibile ad una grande quantità di progetti. Il

ciclo di vita prevede dei processi iterativi in ogni attività, limitati

solamente dalle risorse allocate e dal tempo stabilito per la

realizzazione. Le iterazioni rappresentano una progressione in

profondità nello sviluppo del prodotto ed ognuna implica le seguenti

attività:

- elaborare un problema di design

- comprendere i bisogni dell’utenza

- formulare modelli concettuali alternativi

- prototiparli

- valutarli

- rielaborare i risultati degli studi di valutazione

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72

Il processo user centred design

- apportare le modifiche ai prototipi rispetto ai risultati

degli studi

- valutare i prototipi modificati

- comprendere se le modifiche hanno apportato dei

miglioramenti

Passiamo ora in rassegna le singole fasi del processo di U.C.D.

per comprendere, ancora meglio, quali siano i passaggi che portano

dall’idea iniziale alla costituzione del prodotto vero e proprio. Le

quattro attività generali si suddividono in numerosi sotto-compiti e in

nessuna vi è una successione stabilita dal flusso di progettazione. Il

ciclo di vita è perciò completamente iterativo. Ciò non comporta una

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73

Capitolo 2

completa assenza di direzione, poiché ogni attività incomincia da

un’operazione d’analisi delle caratteristiche degli utenti, delle loro

attività e degli aspetti che riguardano i contesti d’uso.

2.3 Come si decide il target di riferimento

Un’operazione preliminare, a qualsiasi attività concreta della

progettazione, è stabilire quale sia il target di riferimento, dunque il

segmento di mercato in cui si posiziona l’azienda, il brand e il

prodotto. «Il posizionamento è il meccanismo con cui queste entità

investono una porzione di contenuto e appropriandosene ne fanno un

territorio proprio, qualificando il loro discorso».15 Il posizionamento

in realtà avviene nella mente del consumatore, poiché si tratta di

comprendere il modo in cui sarà percepito il prodotto dalle persone.

Come ritiene Norman gli utenti «procedono all’acquisto sulla base

di percezioni personali, non su dati di fatto concreti».16 Per questo

motivo le operazioni di posizionamento possono far comprendere a

priori della progettazione caratteristiche come qualità, affidabilità e

piacevolezza percepite dai consumatori. L’identificazione del target,

tuttavia, non è un’operazione semplice. Eason descrive tre categorie

di utenti nella realizzazione di un prodotto: gli utenti primari che lo

usano direttamente, gli utenti secondari che ne fanno un uso saltuario

15 A. Semprini, La Marca, Milano, Lupetti, 2003, p. 44. 16 D. Norman, (op. cit.) 2002, p. 56.

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74

Il processo user centred design

e gli utenti terziari che in qualche modo sono influenzati o

determinano la decisione di acquisto.17 La questione è che vi sono

ampie fasce di persone coinvolte dallo sviluppo di un prodotto di

successo che non rientrano nell’utenza diretta. Gli stakeholder «sono

persone o organizzazioni che verranno influenzate dal sistema o che

hanno influenza diretta sui requisiti del sistema».18 In linea di

principio il gruppo degli stakeholder è sempre più ampio

dell’insieme degli utenti che compreranno il prodotto. Nonostante sia

impossibile considerare i bisogni di questa vasta rete nello sviluppo

di un sistema è necessario essere consapevoli della loro presenza.

Come spiegano Preece, Rogers e Sharp «identificare gli

stakeholder[…]significa poter prendere decisioni ponderate su chi

dovrebbe essere coinvolto e a quale livello».19

2.4 Stabilire bisogni degli utenti e requisiti dei sistemi

Bisogna sviluppare un piano concettuale in grado di identificare

le attività delle persone che si vogliono sostenere ed i task principali

che bisogna implementare nei prodotti. La specificazione di questi

17 K. Eason, Information Technology and Organizational Change, London, Taylor and Francis, 1987. 18 G. Kotonya e I. Sommerville, Requirements engineering: processes and techniques, Chichster, UK JohnWiley & Sons, 1998. 19 J. Preece, Y. Rogers, H. Sharp, Interaction design, traduzione Bacigalupo-Fiorani, Milano, Apogeo, 2004, p. 190.

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75

Capitolo 2

elementi dà la possibilità di raccogliere informazioni in un frame

concettuale coerente. L’analisi parte dalla comprensione delle

esigenze degli utenti nell’esecuzione di un determinato compito, in

modo da capire le procedure (fisiche e cognitive) eseguite in ogni

loro attività. È solo a partire da queste informazioni che si può

iniziare a realizzare un processo di progettazione centrato sull’utente.

2.4.1 Capire i bisogni e i desideri degli utenti

Per identificare i bisogni ed i desideri degli utenti si fanno analisi

sul target di riferimento. Per i prodotti già presenti sul mercato che

richiedono un re-design il posizionamento è gia avvenuto, così che vi

sono informazioni sugli utenti già disponibili; si tratta allora di

integrare questi dati con altri per fornire delle soluzioni più

appropriate. Per i prodotti di nuova invenzione, invece, il

posizionamento sul mercato deve ancora avvenire; dunque non esiste

ancora un’utenza vera e propria da cui ricavare inferenze. Il progetto

in questo caso parte da zero ed un’ottima fonte informativa, in grado

di rivelare il target di riferimento a cui rivolgersi, è l’analisi di

prodotti simili a quelli da realizzare che hanno sviluppato

comportamenti consolidati nei mercati e dati su cui fare ricerca.

Specificare bisogni e desideri degli utenti richiede l’analisi dei

processi cognitivi ed affettivi attivati nell’interazione uomo-

macchina per definire caratteristiche, capacità ed obiettivi delle

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76

Il processo user centred design

persone in relazione ad una determinata attività da svolgere.

L’analisi è utile anche per capire atteggiamenti che variano da

persona a persona e che sono da prendere in considerazione nel

design fisico dei prodotti.

La distinzione fatta tra bisogni e desideri, come ricorda Norman,

è il modo utilizzato dalle ricerche per differenziare ciò che è

«veramente necessario per le attività delle persone (bisogni) rispetto

a ciò che piacerebbe avere (desideri)».20 I bisogni sono determinati

dalle attività che gli utenti compiono con il dispositivo, mentre i

desideri sono influenzati dalla cultura, dalle esperienze e dalle

motivazioni di ogni singola persona. I primi sono individuati

mediante le analisi di usabilità; i secondi sono definiti dalle strategie

di marketing. Come puntualizza Norman molto spesso nella

progettazione di un prodotto si adotta una tendenza errata, ma

volontariamente sfruttata, per cui i team di sviluppo/design si

soffermano più ad implementare aspetti rispettosi dei desideri degli

utenti (come ad esempio una estetica accattivante), piuttosto che

integrare elementi in grado di soddisfare i loro reali bisogni. Queste

scelte portano allo sviluppo di sistemi complessi e poco utili a

supportare le persone nelle loro attività, perciò il successo

commerciale avviene solo in un’ottica di breve periodo, poiché nel

20 D. Norman, Emotional Design, traduzione di B. Parrella, Milano, Apogeo, 2004, p. 40.

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77

Capitolo 2

lungo termine le persone non riuscendo a compiere facilmente le loro

operazioni abbandoneranno il prodotto spezzando il rapporto di

fiducia che si viene a creare tra gli utenti e le aziende.

2.4.2 Quali sono i requisiti dei sistemi

Comprendere a chi è rivolto il sistema ed essere certi che

soddisfi bisogni e desideri degli stakeholder sono questioni

fondamentali per il processo di sviluppo. A partire da queste

informazioni si chiariscono gli elementi del funzionamento e delle

relative modalità d’interazione. I requisiti sono affermazioni che

descrivono cosa il sistema deve fare e come lo deve fare. Sono

specificati attraverso delle descrizioni minuziose, poiché si possono

manifestare sotto forme differenti collocandosi su livelli d’astrazione

diversi. Sono individuati attraverso la raccolta e l’interpretazione dei

dati. Tali operazioni portano alla definizione di un insieme

d’elementi rispettosi delle attività degli utenti, degli obiettivi

associati e dei contesti d’uso. L’interaction design, a differenza di

quanto avviene nell’ingegneria del software, distingue diverse

categorie di requisiti nella progettazione di un prodotto:

- Requisiti funzionali. Definiscono ciò che il sistema

deve fare specificando le caratteristiche funzionali da implementare

per svolgere ogni task; la comprensione di tali aspetti è fondamentale

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78

Il processo user centred design

per l’uso dell’artefatto, poiché le funzionalità richieste possono

limitarne il modo in cui opera e/o il suo stesso sviluppo.

- Requisiti riguardanti i dati. Ogni sistema interattivo

utilizza delle tipologie di dati. Le capacità multimediali dei

dispositivi odierni consentono l’elaborazione di diverse categorie

(testo, immagini, video, ecc.) in un unico terminale. È fondamentale,

quindi, comprendere quali categorie interessano alla progettazione

specifica del prodotto. Possono essere considerati in relazione ad una

serie di parametri:

1. dimensione/quantità

2. persistenza

3. accuratezza

4. valore

- Requisiti ambientali. Fanno riferimento alle diverse

circostanze in cui opera il prodotto interattivo; sono quattro gli

aspetti da considerare:

1. ambiente fisico. Descrive le caratteristiche che si trovano

nell’ambiente fisico in cui viene utilizzo il sistema (luce,

rumore, ecc.);

2. contesto sociale. Focalizza le diverse modalità che

contraddistinguono i contesti sociali in cui i sistemi si

collocano (la collaborazione, il coordinamento, ecc.);

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79

Capitolo 2

3. ambiente organizzativo. Riguarda gli aspetti relativi ai

contesti specifici del prodotto, dunque gli elementi

funzionali che servono per il soddisfacimento delle

attività (assistenza clienti, supporti e risorse per la

formazione, ecc.);

4. ambiente tecnico. Prende in considerazione il panorama

delle infrastrutture tecnologie, cioè le caratteristiche

tecniche da implementare per essere compatibili ad una

o all’altra piattaforma (ad esempio chip Motorola per

Unix/Linux o chip Intel per Windows NT).

- Requisiti utente. Definiscono le caratteristiche del

gruppo di utenti di riferimento. L’analisi si estende fino ad

investigare sulle abilità e competenze delle persone in ogni attività,

poiché tali aspetti hanno un’influenza diretta sul modo di concepire il

design dell’interazione;

- Requisiti di usabilità. Fissano gli obiettivi di usabilità e

i relativi criteri di misurazione. Sono determinanti per la

progettazione di ogni artefatto, dunque influenzano inevitabilmente

tutti i requisiti descritti in precedenza.

2.4.3 Contextual design

Il contextual design è un approccio utilizzato per maneggiare la

raccolta e l’interpretazione dei dati provenienti da ricerche sul campo

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Il processo user centred design

di tipo etnografico che coinvolgono direttamente gli utenti nei loro

contesti d’uso. La prospettiva ha dimostrato validità in diversi

prodotti spaziando dalla progettazione di telefoni cellulari allo

sviluppo di applicazioni per l’ufficio.21 Il vantaggio del contextual

design è fornire un percorso diretto per osservare l’utente; con

un'unica figura (i designer) è possibile trasformare le informazioni

raccolte in direttive per il design del prodotto. Ciò permette di evitare

distorsioni dei dati, poiché sono solo i designer in collaborazione con

gli utenti ad interpretare ed analizzare i dati. È una metodologia

strutturata che combina, dunque tecniche della ricerca etnografica

alla progettazione empirica dei prodotti. Non è un approccio

esclusivo all’interno dell’interaction design, piuttosto sembra essere

quello che soddisfa meglio le esigenze della disciplina fornendo una

comprensione più ampia degli utenti, delle loro attività e degli

ambienti in cui avviene l’interazione. Nel processo si distinguono

sette fasi:

- l’inchiesta contestuale

- la modellizzazione del lavoro

- il consolidamento

- la ri-progettazione del lavoro

- la programmazione degli ambienti per gli utenti

21 H. Beyer, K. Holtzblatt, Contextual Design: A Customer-Centered Approach to Systems Designs, San Francisco, Morgan Kaufmann, 1998.

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81

Capitolo 2

- la costruzione di mock-up

- il testing

Nella figura 2.6 sono sintetizzate le principali operazioni da svolgere

in un’approccio di contextual design e le modalità con cui vengono

eseguite.

Le prossime sezioni approfondiranno le ricerche sulle attività

lavorative e sugli ambienti d’uso degli utenti cercando di capire

come l’approccio modellizza il lavoro delle persone.22

22 Per approfondimenti http://www.cs.concordia.ca/~soen357/article/ personas_grudin.pdf.

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82

Il processo user centred design

2.4.4 Inchiesta contestuale

Segue il modello dell’apprendistato ovvero il designer affianca

l’utente cercando di apprendere in che modo svolge le sue attività.

La forma più comune di inchiesta contestuale è quella dell’intervista

contestuale un mix di osservazione, discussione e ricostruzione di

eventi passati. L’inchiesta contestuale analizza principalmente

quattro aspetti:

- Contesto. È il luogo in cui osservare l’utente nei suoi

comportamenti reali. Nei contesti d’uso vengono svolte tutte le

procedure di una specifica attività. Sono da approfondire sia gli

elementi fisici (luce, rumore, ecc.) legati all’ambiente naturale che

quelli culturali (coordinamento, organizzazione, ecc.) determinate

dai processi sociali tra le persone.

- Partnership. Rappresentano il principale criterio da

seguire nelle ricerche sul campo. La partnership è stabilita da una

buona collaborazione tra i designer e gli utenti in modo da

raggiungere una visione condivisa del lavoro. Nell’inchiesta

contestuale non è esercitato alcun controllo dall’intervistatore, per

cui la comprensione delle informazioni avviene mediante dei

processi di cooperazione tra tutte le figure coinvolte.

- Interpretazione. Le attività osservate sono

schematizzate in appunti da re-interpretare prima di utilizzarli per la

progettazione fisica dei prodotti. Anche tale operazione richiede un

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83

Capitolo 2

alto grado d’accordo con gli utenti. Uno dei vantaggi del design

contestuale è che l’interpretazione dei dati è svolta direttamente dai

designer evitando distorsioni delle informazioni originali.

- Focalizzazione. L’inchiesta contestuale produce una

grande quantità di dati. In questa varietà diventa difficile restare

concentrati esclusivamente sugli aspetti che interessano alla

progettazione. La tecnica, tuttavia, a differenza di una ricerca sul

campo di tipo etnografico ha una certa rapidità d’applicazione.

Dunque le interviste sono brevi così come le fasi di analisi e

interpretazione. Il designer, inoltre, non si immedesima nel contesto

come un osservatore partecipante, ma indaga solo sugli aspetti del

lavoro che interessano alla progettazione del prodotto.

2.4.5 Modellizzazione e consolidamento del lavoro

Comprendere le attività delle persone significa approfondire gli

aspetti che caratterizzano il loro lavoro. Il termine ha una valenza

ambigua, per cui l’approccio di contextual design individua cinque

modelli che ne concorrono nella definizione. I modelli di lavoro sono

elaborati durante le sessioni d’interpretazione. Dopo le prime analisi

sui dati raccolti, i modelli sono consolidati per ottenerne altri più

astratti in grado d’essere applicabili a più individui, attività e

contesti. Attraverso un diagramma delle affinità gli appunti sono

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Il processo user centred design

organizzati in strutture gerarchiche raggruppate secondo la natura

stessa dei dati:

- Modello del work flow. Rappresenta l’insieme delle

persone coinvolte nel lavoro ed i meccanismi di comunicazione e

coordinazione che si svilupperanno durante l’esecuzione dei compiti

(figura 2.7);

i modelli consolidati identificano quali sono i ruoli chiave nelle

attività di lavoro. Queste unità d’analisi sono formate dagli obiettivi

preposti per l’attività e dalle responsabilità relative che ne

costituiscono l’ambito;

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85

Capitolo 2

- Modello sequenziale. Schematizza la sequenza di azioni

che le persone effettuano per un determinato lavoro. Propone una

segmentazione secondo una serie di passi successivi (figura 2.8);

i modelli consolidati indicano la struttura del compito e le strategie

adottate nel lavoro proponendo una segmentazione dei task per passi

successivi;

- Modello dell’artefatto. Indicano gli oggetti utilizzati

per svolgere il lavoro. Sono segnalate quali funzionalità sono

rilevanti per l’esecuzione del compito; i modelli consolidati

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Il processo user centred design

mostrano il modo, in cui le persone compiono le attività

manipolando oggetti per raggiungere uno specifico obiettivo.

- Modello culturale. Delinea le convenzioni da adottare

nel lavoro, fattori determinati dalla cultura organizzativa in cui il

sistema si colloca. Ognuna, infatti, possiede regole proprie che

disciplinano inevitabilmente le attività lavorative delle persone

(figura 2.9);

i modelli consolidati servono a capire cosa può influenzare le

persone nell’esecuzione di un compito delineando i soggetti che

all’interno dell’istituzione organizzano le attività.

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Capitolo 2

- Modello fisico. Fa riferimento alla struttura fisica del

lavoro. Può rappresentare sia gli ambienti lavorativi che la rete di

comunicazione (figura 2.10); i modelli consolidati mostrano i vincoli

dell’ambiente naturale che ogni attività lavorativa possiede.

Preece, Rogers e Sharp affermano che «i modelli consolidati aiutano

i designer a capire gli scopi degli utenti, le strategie che adottano

per raggiungere degli obiettivi, le strutture che supportano tali

strategie, i concetti che aiutano a gestire il lavoro ed infine la loro

mentalità».23

23 J. Preece, Y. Rogers, H. Sharp, (op.cit.), 2004, p. 329.

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88

Il processo user centred design

Le fasi discusse fino ad ora sono utili ad individuare in modo

approfondito i bisogni degli utenti e requisiti dei sistemi. In queste

metodologie vi è il vantaggio di osservare il contesto dell’attività

lavorativa, dunque di vedere realmente come operano gli utenti nei

diversi ambiti professionali. Compresa l’entità del lavoro che utenti e

sistema svolgeranno si passa alla formulazione del modello

concettuale del prodotto.

2.5 Progettazione: caratteristiche generali

Con l’individuazione dei requisiti si inizia a sviluppare l’attività

progettuale vera e propria che si distingue, grosso modo, in due

momenti: il conceptual design ed il physical design. Nonostante il

processo di interaction design sia per sua natura iterativo, quindi

senza alcuna direzione predefinita, sviluppare un prodotto a partire

dal suo aspetto fisico può portare a trascurare gli obiettivi principali

dell’attività di progettazione. Ecco perchè il conceptual design è

considerato più che un’attività cronologicamente preliminare al

design fisico del prodotto, come un’operazione immanente che si

colloca ad un livello di astrazione più alto. Nel conceptual design è

sviluppato il modello teorico del sistema in cui si spiega cosa farà ed

in che modo. Le informazioni raccolte in fase di analisi sono

trasformate nel modello concettuale del prodotto. Norman suggerisce

in questa fase di far attenzione a due semplici regole:

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89

Capitolo 2

- sviluppare i prodotti guidati esclusivamente dal modello

concettuale

- concettualizzarli su attività specifiche ed esclusive

2.5.1 Cosa sono i modelli concettuali

Norman ritiene che «un buon designer si cura di offrire agli

utenti un modello concettuale esplicito del prodotto».24 Se ciò non si

verifica tocca agli utenti crearsi una propria interpretazione che può

rivelarsi inadatta e tendenzialmente scorretta. Il modello concettuale

è come una storia, non si occupa di descrivere i meccanismi operativi

del prodotto, ma ricompone lo spettro delle azioni possibili

all’interno «di un contesto coerente in modo tale da consentire

all’utente di sentirsi in posizione di controllo».25 Avrà successo se

gli utenti sono in grado di scoprire ed imparare il funzionamento con

il minimo sforzo possibile, invece, sarà un fallimento se le persone si

limiteranno ad eseguire le istruzioni senza alcun tentativo di

comprensione, non riuscendo ad ideare modalità proprie.

Tali questioni evidenziano una delle maggiori querelle nella

progettazione di sistemi interattivi: la scelta nelle esecuzioni delle

attività, tra l’automazione della macchina (approccio centrato sulla

tecnologia) contro il controllo dell’essere umano (approccio centrato

24 D. Norman, (op. cit.), 2002, p. 192. 25 D. Norman (op. cit.), 2002, p. 194.

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90

Il processo user centred design

sull’uomo). Mantovani sottolinea come «quando il sistema mette la

persona fuori dal circuito di controllo, si verifica nell’operatore una

alienazione rispetto al compito ed un deterioramento delle capacità

di scelta e di decisione personale».26 Mantenere una progettazione

coerente con le caratteristiche degli esseri umani in ogni aspetto del

prodotto non è un operazione facile. Norman suggerisce di partire

dalla formulazione di un modello concettuale quanto più semplice

possibile in modo tale che possa essere utilizzato per uniformarvi

tutti gli aspetti del design. I dettagli fisici del prodotto così si

integreranno in maniera naturale all’interno del frame teorico.

2.5.2 Concettualizzare il sistema secondo l’attività

Abbiamo accennato come la progettazione centrata sull’utente

deve abbandonare unità d’analisi tipiche della HCI e/ o

dell'ingegneria del software in cui l’interazione tra i sistemi software

e gli utenti viene essenzialmente intesa come una successione di

compiti da effettuarsi. Nel personal computer ad esempio le

applicazioni software «hanno ben poco a che fare con quelle attività

che la gente cerca di portare a compimento[…]. I programmi

odierni offrono troppa potenza rispetto all’utilizzo che è possibile

26 G. Mantovani, L’interazione uomo-macchina, Bologna, Mulino, 1995, p. 45.

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Capitolo 2

fare e tuttavia difettano di tutte quelle componenti necessarie al

compimento di un’attività specifica».27

Per concettualizzare modalità d’interazione adatte alle attività

delle persone bisogna prima di tutto fare una distinzione semantica

tra termini come attività, compiti ed azioni. Un’attività secondo

Norman corrisponde ad un insieme di compiti convergenti verso

un’unica meta, simultaneamente, svolti da più persone e da più

sistemi. In tal senso le attività sono ad un livello concettuale

immanente rispetto ai compiti. Questi ultimi, invece, sono

determinati dall'insieme di azioni che sistema ed utente svolgono per

arrivare ad uno specifico obiettivo. Le azioni infine sono costituite

dalle operazioni fisiche (schiacciare un bottone, premere un tasto)

effettuate per ottenere un preciso stato del sistema.28

Si comprende adesso come, a differenza di un compito, portare a

termine una particolare attività richiede un arco di tempo maggiore

ed il coinvolgimento di numerose persone. Ciò ha portato alla

progettazione di interfacce in grado di gestire spazi di attività

27 D. Norman (op. cit.) 2002, p. 95. 28 Nel libro, La caffettiera del masochista, Norman, distingue sette stadi che caratterizzano l’azione di una persona: 1) formare lo scopo; 2) formare l’intenzione; 3) specificare l’azione; 4) eseguire l’azione; 5) percepire lo stato del mondo; 6) interpretare lo stato del mondo; 7) valutare il risultato. Il primo stadio riguarda l’obiettivo della persona, gli altri tre fanno riferimento all’esecuzione dell’azione e gli ultimi comprendono la valutazione delle conseguenze sull’azione eseguita. Per approfondimenti, D. Norman, (op. cit.), 1997, p. 58.

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Il processo user centred design

altamente coordinati e sociali (multi-tasking e multi-utente) ove ogni

funzionalità del sistema non deve interferisce con un’altra. La

concettualizzazione di spazi d’attività (come le finestre delle

interfacce) per i sistemi multimediali odierni non rappresenta,

tuttavia la soluzione magica, poiché molti svantaggi rimangono

sostanzialmente invariati. I software, infatti, sono sempre costretti a

fare un po’ di tutto occupandosi della gestione di numerose

operazioni che rendono complesse le modalità d’interazione. Ad

esempio nessun compito può essere lasciato in sospeso e poi ripreso

nello stesso punto in cui è stato interrotto. Anche il salvataggio di un

file non permette, quando sarà riaperto di riprenderlo nel punto

lasciato.

Nei sistemi desktop il funzionamento basato su un filesystem

gerarchico in cui ci sono numerosi tipi di attività, costringe gli utenti

a dichiarare continuamente ogni intenzione, poiché ad ognuna

corrisponde uno stato differente dell’interfaccia. Così si riscontrano

inevitabilmente interferenze tra attività diverse, non essendoci

possibilità di una fruizione invisibile dello strumento che più di

supportare le attività umane ne crea altre specifiche. Come evidenzia

Raskin i computer sono progettati ancora su principi obsoleti come la

distinzione tra software operativo e software applicativo o il processo

di bootstrapping (la procedura di attivazione di un programma cui

unico scopo è l’avvio di un altro più grande che permette di far

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Capitolo 2

partire il sistema operativo). «Quando vogliamo annotare un’idea

dovremmo poter andare sul computer e metterci semplicemente a

scrivere senza alcun tempo di avvio, senza alcun lancio di un editor

testuale, senza nomi di file, in un'unica frase senza sentire il peso del

sistema».29 La riduzione di una architettura così complessa

migliorerebbe anche l’usabilità generale dell’interazione uomo-

macchina, tuttavia, questa sembra non essere una priorità.

Secondo Raskin, le interfacce dei software dovrebbero essere

costruite su un unico ambito di azioni, dunque progettate per

soddisfare un’unica classe di attività. Nello stesso modo Norman

indica come i computer più che basarsi sulla formulazione di spazi

d’attività diversi, necessitano di funzionare secondo scopi esclusivi,

dunque finalizzati ad eseguire un’unica attività specifica. «Con

dispositivi separati, diviene automatico far buon uso delle relative

proprietà».30 Le possibilità di comunicazione on-line in modalità

wireless ed i processi di miniaturizzazione degli hardware in corso

hanno già consentito lo sviluppo di nuovi apparecchi con capacità

software rispettosi di tali presupposti (elettrodomestici intelligenti,

lettori mp3, schermi interattivi, videocamere digitali, smart phone,

smart device, etichette identificative).

29 J. Raskin, Interfacce a misura d’uomo, traduzione di W. Vannini, Milano, Apogeo, 2004. 30 D. Norman (op. cit.), 2002, p. 95.

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Il processo user centred design

2.5.3 Proporre alternative di design

Il team preposto allo sviluppo del prodotto deve fornire soluzioni

di design alternative, in modo tale che ogni proposta può essere

misurata e valutata attraverso il coinvolgimento di utenti ed esperti.

Secondo Preece, Rogers e Sharp le scelte tra alternative ricadono

essenzialmente su due categorie:31

- sulle caratteristiche visibili e misurabili dall'esterno

(quindi sulle caratteristiche fisiche ed ergonomiche)

- sulle caratteristiche interne al sistema che non possono

essere osservate e misurate senza una approfondita analisi

Nel processo di interaction design l'interazione tra sistemi, utenti

e contesti rappresenta il fattore di maggior interesse, per cui le

proposte di design alternative si concentreranno sugli elementi

visibili e misurabili dall'esterno (interfacce). I dettagli tecnici del

funzionamento sono presi in considerazione solo se condizionano il

comportamento esterno del sistema, dunque l'interazione con le

persone. Le proposte alternative derivano dall'osservazione di

soluzioni simili a quelle da realizzare, ma possono scaturire anche da

scelte completamente diverse. Cercare le fonti di ispirazione, nei

prodotti già esistenti sui mercati, aiuta a sviluppare proposte secondo

esperienze già acquisite in altri progetti. La scelta tra alternative deve

coinvolgere le persone reali che utilizzeranno il prodotto: «avviene

31 J. Preece , Y. Rogers e H. Sharp, (op. cit.), p. 194.

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Capitolo 2

lasciando che utenti e stakeholder interagiscono con le diverse

proposte e discutendo con loro esperienze, preferenze e suggerimenti

per il miglioramento».32

2.6 Attività di prototipazione

Tra la fase di conceptual design e quella di phisical design i

prodotti iniziano ad avere una consistenza con l’attività di

prototipazione. Per prototipo si intende qualsiasi cosa permetta di

rappresentare almeno parzialmente il progetto finale. Si può, ad

esempio, pensare ad uno schizzo su carta oppure ad una parte di

software. Nel processo di interaction design i prototipi servono a

ricevere le prime valutazioni dagli utenti, per cui coinvolgono

soprattutto le persone reali e non solo gli esperti. La prototipazione

ha una doppia valenza: da un lato fa interagire gli utenti con delle

strutture ancora non completamente codificate dall’altro aiuta i

designer a scegliere tra proposte alternative. Secondo Schon i

prototipi incoraggiano nella riflessione e sono un ottimo strumento di

comunicazione, poiché aiutano a discutere di diversi aspetti

coinvolgendo tutte le parti interessate: il gruppo di lavoro, gli utenti,

gli stakeholder, ecc.33 Nelle attività di prototipazione l’interesse

32 J. Preece, Y. Rogers e H. Sharp, (op. cit.), 2004, p.198. 33 D. Schon, The reflective Practiotioner: how professionist think in action, New York, Basic Book, 1983.

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Il processo user centred design

principale è di avere delle valutazioni rapide sui prodotti. I prototipi

possono assumere anche una struttura fisica vera e propria che

comunque sarà parziale rispetto al modello definitivo. La

prototipazione richiede dei compromessi, poiché non si potranno

investigare su tutte le caratteristiche. Il tipo di risposte fornite

dall’attività è seriamente determinato dagli obiettivi della

progettazione, poiché bisogna costruire qualcosa di veloce e

valutarne alcuni aspetti.

2.6.1 Compromessi della prototipazione

L’attività di prototipazione si focalizza su alcuni elementi che

vogliono essere approfonditi. Secondo Martin e Gaver «vi sono

diversi tipi di prototipi per diversi tipi di propositi».34 Si

propongono, di solito due compromessi ricorrenti: l’analisi della

larghezza delle funzionalità da prototipare contro la profondità delle

funzionalità. Tali caratteristiche portano alla distinzione tra due

categorie di prototipi: quelli interessati a fornire quasi tutte le

funzionalità dei prodotti finali con poco dettaglio, denominati

prototipi orizzontali (low-fi) e quelli interessati ad esplorare in

dettaglio solo alcune funzionalità denominati prototipi verticali (hi-

fi). Questi modelli corrispondono ad altrettante filosofie alternative:

34 H. Martin B. Gaver, Beyond the snapshot:from speculation to prototypes in audiopotography, in Proceedings of DIS 2000, 2000, p. 55-65.

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Capitolo 2

la prima definita “prototipazione evolutiva” trasforma il prototipo nel

prodotto finale, per cui i sistemi sono testati in maniera rigorosa man

mano che si procede. Nella “prototipazione usa e getta”, invece, sono

utilizzate le risoluzioni parziali come scalini per arrivare al prodotto

finale. I prototipi vengono di volta in volta gettati e la costruzione

ricomincia di nuovo a partire dalle informazioni ricavate.

2.7 Valutazione dei sistemi centrata sull’utente

L’attività di valutazione è il fulcro del processo di progettazione

centrato sull’utente (U.C.D.) e si ripropone costantemente al termine

di ogni altra attività e sotto-attività. Le tecniche utilizzate per la

valutazione dipendono dall’impianto metodologico scelto per

l’analisi e l’interpretazione dei dati, dunque sono delineate all’inizio

del processo, quando si comincia a fare ricerca sulle caratteristiche

degli utenti. Si propone, di solito la dicotomia tra tecniche

quantitative (testare e modellizzare) che prevedano una misurazione,

una quantificazione ed un contesto di laboratorio e tecniche

qualitative (osservare e coinvolgere gli utenti) che agiscono

attraverso opinioni, descrizioni e si svolgono nei contesti reali d’uso.

In ogni caso è opportuno per approfondire le valutazioni operare

secondo una combinazione di entrambe.

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Il processo user centred design

2.7.1 Osservare gli utenti

Osservare gli utenti è importante per tutti gli approcci alla

valutazione che vogliono capire come viene utilizzano un

determinato prodotto o eseguita una specifica attività nelle modalità

reali d’uso. L’osservazione è un metodo di natura etnografica che

specifica con un livello di dettaglio superiore rispetto a qualsiasi altra

tecnica l’entità dei compiti delle persone, come il sistema li supporta

e le caratteristiche specifiche dei contesti d’uso, quindi, le influenze

degli ambienti sociali, organizzativi e culturali.

Le metodologie impiegate nell’osservazione possono essere

dirette, cioè percepite dall’utente o indirette risultando impercettibili

alle persone cosi da indurle a svolgere i reali comportamenti. In ogni

caso il modo in cui l’osservazione è eseguita dipende dagli scopi

della valutazione e dall’approccio adottato in fase di analisi dei dati.

Il maggior vantaggio dell’osservazione è di comprendere le attività

delle persone attraverso tecniche qualitative (ricerca sul campo, diari

d’uso, inchiesta contestuale) che approfondiscono obiettivi,

procedure ed operazioni reali. Tali valutazioni generano una grande

quantità di informazioni (appunti cartacei, video, foto, registrazioni),

per cui serve organizzarli con dei criteri metodologici, individuando

quali obiettivi raggiungere ancor prima di aver stabilito come

raccogliere i dati.

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Capitolo 2

Inoltre i risultati ricavati rappresentano dati interpretabili che non

sono uguali a tutti gli utenti, ma che riguardano solo le specifiche

attività osservate in riferimento ad una ristretta cerchia di persone. La

natura stessa di tali informazioni non consente di trasformarli in

direttive per il design del prodotto, per cui c’è bisogno di

interpretazioni intermedie, operazioni che causano inevitabilmente

una perdita dei risultati originali. Infine, i tempi di valutazione sono

lunghi, dunque si protraggono in un arco di tempo rilevante e le

risorse finanziarie necessarie per analisi orientano spesso le aziende

all’adozione di altre tecniche di sviluppo, più veloci nei tempi e

meno dispendiose nei costi.

2.7.2 Testare gli utenti

I test sono un metodo veloce e relativamente economico

attraverso cui valutare i prodotti. Il principale vantaggio nell’utilizzo

di queste tecniche è dato dalle metodologie quantitative che

raccolgono una grande quantità di dati coinvolgendo un gran numero

di persone. Testare gli utenti significa misurare le performance delle

persone in riferimento a task da eseguire. I test aiutano a stimare

l’usabilità di un sistema interattivo in modo rapido e con dati

oggettivi. Tuttavia tali operazioni avvengono in condizioni artificiali,

come i laboratori, molto lontane dai contesti reali, dunque dall’uso

quotidiano che viene fatto di un prodotto. Alla luce di questi aspetti

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Il processo user centred design

l’attendibilità dei dati raccolti è messa in seria discussione, per cui

sono opportune considerazioni critiche sui risultati ottenuti.

Svolgere test con gli utenti porta ad affrontare una serie di

problemi. Si devono compiere numerose sotto-attività per realizzare

una sessione di testing che risponda a tutte le esigenze informative

della progettazione:

- Stilare una serie di compiti per testare il sistema.

Bisogna capire quali sono gli aspetti problematici dei prodotti da

testare predisponendo una serie di compiti esemplificativi in grado di

fornire risposte precise. Le operazioni devono essere chiare,

arrivando subito ai principali problemi da analizzare in modo che

l’utente sia realmente interessato a svolgerle.

- Selezionare utenti rappresentativi. Si devono

coinvolgere nella valutazione le persone che fanno parte del

potenziale target di riferimento a cui il prodotto è rivolto. Gli utenti

nei test sono rappresentativi del campione, per cui si possono

manipolare fattori come sesso ed età in modo da capire come variano

le condizioni d’uso tra categorie di persone diverse.

- Preparare le condizioni dei test. L’utente deve essere

inserito in un contesto ottimale per svolgere le sue operazioni.

Bisogna fargli capire con delle sessioni di briefing quali siano i

compiti e le esigenze informative della valutazione. La meticolosità

delle operazioni è fondamentale, poiché la chiarezza dei test e delle

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Capitolo 2

procedure da eseguire può condizionare seriamente i risultati

portando a distorsioni volontarie o involontarie delle persone.

- Pianificare la conduzione dei test. Nei test di

laboratorio un’ipotesi viene verificata stabilendo variabili dipendenti

e indipendenti e condizioni per ognuna; due variabili dipendenti

generalmente utilizzate sono il tempo per l’esecuzione di un task ed

il numero di errori commessi dagli utenti; le variabili indipendenti

rappresentano invece gli aspetti deliberatamente manipolati dagli

sperimentatori per la valutazione di alcune caratteristiche dei

prodotti. Sono verificate assegnando condizioni diverse ai gruppi di

controllo e a quelli sperimentali così da poter comparare i risultati

delle performance (ad esempio la lettura di un’icona di colore

diverso).

2.7.3 Modellizzare gli utenti

A differenza delle metodologie appena discusse modellizzare gli

utenti significa avere misure sulle performance senza alcun

coinvolgimento fisico delle persone. Utilizzare modelli predittivi è

un’operazione molto vantaggiosa, poiché non richiede spese

specifiche nel budget del progetto e nel contempo è possibile

comprendere nei dettagli ed in tempi immediati, le relazione tra

componenti percettive, cognitive e motorie nell’interazione tra

individui e sistemi, nonché i comportamenti delle persone attraverso

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Il processo user centred design

misurazioni quantitative. Ad esempio si può individuare il tempo

standard che un utente medio deve impiegare in un sistema per

individuare il bersaglio (un’icona, un bottone) su uno schermo ed

effettuare il click del mouse.

Le tecniche sono fondamentali ai fini di una rapida valutazione

dei prodotti, anche se consentono di fare esclusivamente delle

previsioni su comportamenti standardizzati riguardo a specifici task;

perciò sono da integrare nella valutazione dei sistemi con altre

tecniche in grado di dare informazioni sugli aspetti imprevedibili che

si attivano nei contesti d’uso sensibili alle influenze sociali e

culturali.

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Capitolo 3

Comprendere gli utenti

3.1 Il potere dell’infrastruttura tecnologica Le capacità di elaborazione e comunicazione dei dispositivi

informatici attuali hanno fatto emergere necessità di comunicazioni

semplici ed intuitive in seguito alla formazione di spazi virtuali in

cui, per mezzo dei software, si creano nuove dinamiche sociali tra le

persone. Le ricerche sull’interazione uomo-macchina in questi anni

hanno formulato molti paradigmi alternativi, alcuni dei quali si sono

dimostrati molto più usabili rispetto alle convenzioni utilizzate

attualmente nelle interfacce grafiche dei computer (metafora

desktop, finestre, agenti d’interfaccia, drag and drop, barre di

navigazione, sistemi d’aiuto, ecc.);1 molte proposte innovative, però,

hanno riscontrato difficoltà nell’implementazione con i sistemi

1 Raskin nel progetto Canon Cat evidenzia come un’interfaccia a misura d’uomo vede tutto il software come un insieme di comandi non facendo distinzione tra software operativo e software applicativo. «In questo scenario i produttori di software non venderebbero più applicazioni monolitiche, ma piuttosto un’insieme di operazioni correlate [...] la differenza è ovvia: l’utente non sarà più costretto a installare un’applicazione enorme per usarne solo una parte, ma potrebbe installare (e pagare) soltanto i gruppi di comando di cui ha effettivamente bisogno». J. Raskin Interfacce a misura d’uomo, traduzione di W. Vannini, Milano, Apogeo, 2004, p. 167.

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Comprendere gli utenti

esistenti e più in generale nella commercializzazione. Nonostante le

svolte user-friendly degli anni Ottanta e le forti implicazione

dell’usabilità nella progettazione web, infatti, l’interesse nello

sviluppo di prodotti interattivi sembra ancora troppo rivolto alle

caratteristiche tecnologiche da implementare per il funzionamento

delle interfacce (bottoni, menù, ipertesti, finestre) che alla

comprensione e alla specificazione delle attività umane e dei contesti

d’uso in cui i sistemi si vanno a collocare.

Secondo Norman queste ed altre problematiche sono da

attribuirsi alla natura stessa dei mercati informatici, in cui l’interesse

non è tanto sviluppare soluzioni adeguate alle necessità delle persone

ma infrastrutture tecnologiche basate su standard di progettazione

codificati (proprietari) e difficilmente modificabili, in cui basta

dimostrare una qualità del prodotto accettabile.2 «La

standardizzazione dell’infrastruttura si rivela spesso l’elemento

critico per il successo di un settore industriale».3 Tuttavia, man

mano che le tecnologie si evolvono e trovano applicazioni nelle

2 Anche secondo Vannini questo problema è dato dalla stessa conformazione del mercato informatico «L’inganno della tecnologia attuale è quello di aver trasformato le applicazioni software da prodotto a percezione, poiché nella maggior parte dei casi li acquistiamo non come strumento per risolvere un problema quanto piuttosto come uno status symbol, autoreferenziale, che si giustifica a prescindere dalla sua funzione. Il solo requisito a cui i software sembrano rispondere è il dogma dell’upgrade continuo». 3 D. Norman, Il computer Invisibile, Milano, Apogeo, 2002, p. 113.

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Capitolo 3

attività quotidiane delle persone, diffondendosi nei contesti sociali,

sono utilizzate esclusivamente come supporto alle operazioni, un

mezzo e non un fine (si pensi al telefono, al computer, al web).4

Proprio per questo motivo non ha senso condizionare delle

operazioni sostanzialmente umane, con spazi di socialità sempre più

complessi, a modelli di interazione immutabili ed affini alle logiche

formali della macchina. Le infrastrutture tecnologiche, inoltre,

costituiscono nella new economy un mercato in cui chi vince piglia

tutto,5 infatti, i costi e le difficoltà per il passaggio ad altri prodotti

possono determinare posizioni di primato.6 Castells spiega questo

fenomeno con l’espressione ‘dipendenza del percorso’. Per cui

l’adozione di una determinata infrastruttura richiede all’utente finale

un certo investimento e l'acquisto di prodotti compatibili soltanto con

quelle tecnologie (come ad esempio la piattaforma Win NT/Mac OS

o ancora Motorola/Intel). Nel mondo informatico i sistemi operativi

ed il microprocessore rappresentano le forme principali di

4 Bennato evidenzia due fasi principali nello sviluppo di una tecnologia: la fase innovativa, in cui poche persone la maneggiano e quella della diffusione in cui diventa cultura entrando a far parte delle pratiche sociali. 5 Castells spiega come nelle economie di rete le aziende che giungono per prime a sviluppare elementi di innovazione sono quelle destinate ad avere una posizione di primato sul mercato. 6 Come spiega Norman «E’ questo sembra essere il motivo scatenante per cui le organizzazioni che acquisiscono posizioni dominanti rispetto ad una determinata tecnologia, sono interessate a sviluppare delle architetture così complesse».

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Comprendere gli utenti

infrastruttura;7 e proprio negli anni in cui si è avuta la diffusione

commerciale dei personal computer, aziende come Microsoft ed Intel

hanno relegato sempre più a nicchie specifiche di mercato i loro

rivali costringendoli ad adottare soluzioni univoche e difficilmente

modificabili. La stessa cosa sta avvenendo nei sistemi operativi di

rete tra l’infrastruttura Windows NT e quella Unix. Come continua

Norman tali considerazioni evidenziano «un’intera industria con un

modello commerciale basato sulla necessità di non soddisfare i

propri clienti»,8 attenta più che all’esperienza dell’utente alle logiche

del marketing, dell’alta finanza e dell’innovazione tecnologica ad

ogni costo.

Alla luce di questi aspetti i team di sviluppatori sono costretti9 ad

essere riluttanti nell’adottare soluzioni realmente usabili e questa è la

ragione principale per cui molte interfacce non vengono realizzate

esaminando le caratteristiche specifiche del pensiero e del

comportamento umano, ma a partire dagli elementi tecnologici da

implementare chiudendo nel cassetto gli studi che hanno osservato e

descritto i processi cognitivi che si attivano nell’interazione tra

artefatti, persone e contesti d’uso.

7 Nel mondo del microprocessore vi sono due infrastrutture principali contrapposte: quelle Motorola che gira con sistemi unix/linux e quelli Intel che adottano principalmente windows NT. 8 D. Norman, (op. cit.), 2002, p. 91. 9 Sapendo anche quanto è rilevante il costo in termini di tempi di apprendimento delle interfacce per gli utenti finali.

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Capitolo 3

3.2 Caratteristiche psicologiche universali degli utenti

Molti errori nella progettazione dei prodotti sono legati a visioni

aziendali troppo impegnate in questioni finanziarie e di marketing, di

conseguenza poco attente ai reali bisogni degli esseri umani. La

comprensione dei modelli mentali con cui agiscono le persone nello

svolgimento di una determinata attività, tuttavia non vuole essere

uno zelo progettuale, poiché la scarsa usabilità, soprattutto negli

ambiti professionali, rappresenta un peso rilevante per le aziende

configurandosi come un vero e proprio costo. Uno studio del NIST

(National Istitute for Standard and Technology) ha pubblicato delle

ricerche sul prezzo che i difetti dei software hanno sull’economia

statunitense. La cifra è di circa sessantotto milioni di dollari l’anno di

cui almeno un terzo «imputabili direttamente alla totale mancanza di

test prima della vendita».10

Raskin spiega come una progettazione centrata sull’utente deve

assicurarsi che il sistema, nei suoi vari elementi, si accordi con le

caratteristiche psicologiche universali; tale aspetto rappresenta lo

step cruciale normalmente tralasciato dai progettisti in nome degli

standard di mercato. Risultano fondamentali allora i principi espressi

negli ambiti della psicologia cognitiva che nelle ricerche sul pensiero

10 National Institute of Standard and Tecnology, Program Office, Strategic Planning and Economic Analysis Group, ‘the economic impact of inadequate infrastructure for software testing’, Maggio 2002.

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110

Comprendere gli utenti

umano ha adottato l’approccio del cervello come sistema di

elaborazione dell’informazione facendo un’opportuna scissione tra

processi legati ai dati (attenzione, memoria, percezione) da quelli

relativi alle teorie sui dati (apprendimento, capacità di linguaggio,

facoltà di pianificare e prendere decisioni). Questi suggerimenti

costituiscono il perno da cui partire per realizzare prodotti interattivi

usabili che abbiano un adeguato modello concettuale dell’utente.

Attraverso queste conoscenze, infatti, i team di sviluppo/design

capiscono in quali operazioni le persone sono brave e quelle in cui lo

sono meno. Solo così si può migliorare la progettazione di artefatti

che devono estendere le capacità umane compensandone le

debolezze.

3.3 Conscio ed inconscio cognitivo

La distinzione fatta nella psicologia cognitiva e negli studi

sull’interazione uomo-macchina tra conscio ed inconscio cognitivo

non corrisponde a qualche insieme di fenomeni fisici del cervello.

Ovvero non è detto che queste due categorie esistano in una specifica

area, tuttavia, la suddivisione è importante per comprendere gli

aspetti legati ai processi cognitivi di attenzione e di memoria e più in

generale alle diverse modalità in cui si può manifestare il

comportamento umano. Nella psicologia cognitiva la dimensione

inconscia ha perso ogni valenza mistico-filosofica diventando parte

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111

Capitolo 3

consistente nel processo umano di elaborazione dell’informazione.

Nella figura 3.1 sono riassunte le differenze tra conscio cognitivo ed

inconscio cognitivo che evidenziano come gli stati consci entrano in

gioco ogni volta che le persone affrontano una situazione nuova

pericolosa o quando devono prendere decisioni non abitudinarie.

Si manifestano, quindi, soprattutto nelle attività che richiedono delle

scelte o diverse possibilità di agire. Ma quando un’azione umana

contiene delle alternative? Raskin spiega come imparare qualcosa di

nuovo è un processo che offre molte possibilità sollecitando dunque

gli stati consci delle persone. Nella ripetizione delle azioni le

alternative si assottigliano e le operazioni iniziano a diventare

automatiche entrando a far parte dell’agire inconscio. Le attività di

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Comprendere gli utenti

routine, che rappresentano la maggior parte delle azioni quotidiane,11

avvengono invece attraverso modalità inconsce del comportamento

umano, eseguite senza un vero e proprio processo di elaborazione,

poiché le informazioni necessarie all’azione sono già memorizzate.

Per sua stessa definizione le persone non hanno la consapevolezza di

un processo cognitivo inconscio. Un’informazione per passare da

stati inconsci ove è immagazzinata a modalità consce ove re-

interpretiamo in modo consapevole ha bisogno di uno stimolo

proveniente dall’ambiente esterno o frutto dell’esperienza

dell’individuo.

3.4 Cognizione

La cognizione fa riferimento a tutto ciò che si verifica nella

mente delle persone. Più specificatamente è il sistema umano che

comprende processi come l’attenzione, la percezione, la memoria,

l’apprendimento, le facoltà di ascoltare, leggere, parlare, pianificare,

ragionare e prendere decisioni. Molti di queste competenze sono

interdipendenti uno dall'altro, anche se raramente si presentano in

maniera indipendente. Norman individua due modalità generiche di

11 Norman spiega come le attività quotidiane o di routine non hanno bisogno di molti progetti o pensieri, poichè hanno delle strutture poco profonde, che non richiedono attività di pianificazione e decisione. Per una approfonimento si veda D. Norman, La caffettiera del masochista, traduzione di G. Noferi, Firenze, Giunti, 1997, p. 139.

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Capitolo 3

cognizione: la cognizione esperienziale e quella riflessiva.12 Come

precisa l’autore queste due categorie non vogliono rappresentare in

modo assoluto le modalità del pensiero umano, tuttavia, sono le

forme di pensiero che si manifestano più frequentemente. I saperi

della cognizione possono presentarsi singolarmente o

contemporaneamente nel corso di una specifica attività delle

persone: ad esempio si può percepire uno stimolo che attiva dei

processi tipici della cognizione esperienziale e rifletterci sopra

richiamando invece le competenze della cognizione riflessiva. Come

spiega Norman «la distinzione fra il pensiero esperienziale e quello

riflessivo merita di essere presa in considerazione, e questo almeno

in parte perchè molta della nostra tecnologia sembra costringerci

verso un’estremo o l’altro. Con gli artefatti adatti, potremmo

potenziare ciascuna modalità cognitiva».13

3.5 Cognizione esperienziale

La cognizione esperienziale comprende gli stati mentali, in cui

percepiamo e reagiamo a stimoli provenienti dall'ambiente in modo

efficiente e senza sforzi apprezzabili; «l’essenza dell’expertise sta

12 Per approfondimenti, D. Norman, Le cose che ci fanno intelligenti, traduzione di I. Blum, Milano, Feltrinelli, 1995, p. 41. 13 D. Norman, (op. cit.) , 1995, p. 39.

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Comprendere gli utenti

nel sapere che cosa fare rapidamente ed efficaciemente»;14 Norman

definisce questa area con l’espressione ‘reattiva’ sottolinendone la

natura automatica; il pensiero esperienziale è il comportamento da

esperto, elemento chiave per lo svolgimento efficace di una

determinata attività. La cognizione esperienziale si manifesta

principalmente attraverso degli stadi inconsci del comportamento

umano attingendo direttamente alle esperienze e alle conoscenze già

immagazzinate dalle persone. Come spiega Norman «l’elaborazione

esperienziale comporta una certa attività intellettuale, ma è simile

ad un riflesso in quanto l’informazione rilevante deve già esistere

nella nostra memoria e l’esperienza non fa che riattivarla».15

3.5.1 Memoria e conoscenza

La memoria umana richiede il recupero di differenti forme di

conoscenza che consentono di agire in modo pertinente alle diverse

situazioni. Secondo Norman immagazziniamo informazioni

attraverso due tipi di conoscenza: conoscenza del ‘di’ e conoscenza

del ‘come’. La prima è definita dichiarativa e riguarda la

comprensione di fatti e regole come ad esempio fermarsi al semaforo

14 D. Norman, (op. cit.), 1995, p. 35. 15 D. Norman (op. cit.), 1995, p. 37.

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Capitolo 3

rosso oppure rispettare le norme di un gioco.16 Può essere facilmente

messa per iscritto così come abbastanza semplice è insegnarla. La

seconda è la conoscenza procedurale in larga misura legata al

subconscio, dunque a tutti quei saperi e competenze tautologiche e

latenti delle persone che si manifestano opportunamente nelle

diverse circostanze (come ad esempio la capacità di suonare uno

strumento musicale). Questa conoscenza ha un elevato grado di

articolazione per cui è molto più difficile metterla per iscritto. Come

spiega Norman il modo migliore per tramandare questa conoscenza è

la dimostrazione, mentre l’acquisizione richiede la pratica.17

La memoria è un processo cognitivo flessibile che articola

contemporaneamente più livelli di conoscenze. Ad esempio, si può

ricordare il nome di un amico, il luogo in cui è stato incontrato

l’ultima volta, oppure, altre associazione completamente disgiunte

dal contesto in cui siamo. Naturalmente le persone non ricordano

tutto ciò che avviene nel mondo circostante, per cui il sistema

cognitivo umano utilizza un processo di filtraggio. Per spiegare

semplicemente tale meccanismo pensiamo al fatto che quanto più

attenzione viene prestata a qualcosa, tanto più saranno i dati

processati elaborati e confrontati con altra conoscenza, dunque

memorizzati. Nelle ricerche della psicologia cognitiva si usano

16 D. Norman, La caffettiera del masochista, traduzione di G. Noferi, Firenze, Giunti, 1997, p. 69. 17 D. Norman, (op. cit.), 1997, p. 69.

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Comprendere gli utenti

distinguere due tipi principali di memoria: memoria a breve termine

e memoria a lungo termine.

3.5.2 Memoria a breve termine

È definita da Norman quella del presente. La memoria a breve

termine si interessa alla registrazione di stimoli la cui percezione si è

appena conclusa. L’informazione è conservata in modo automatico e

ritrovarla non comporta alcuno sforzo per le persone, anche se la

quantità immagazzinabile è molto limitata. Se, infatti, i dati non sono

elaborati in modo conscio entrando nel fuoco d’attenzione della

persona, l'informazione svanisce nel giro di pochi secondi, per cui

basta essere distratti da uno stimolo diverso che il materiale

contenuto scompare. La memoria a breve termine è fondamentale per

l'esecuzione di compiti quotidiani che richiedono un comportamento

rapido e da esperto (come ad esempio schiacciare una sequenza di

tasti per avere una parola scritta sullo schermo). Ciò rende ancor più

comprensibile quanto tale area della memoria sia strettamente

connessa agli aspetti subconsci del comportamento umano, svolti

senza un vero e proprio processo di elaborazione delle informazioni.

Le interfacce dei sistemi interattivi devono, nelle loro modalità di

funzionamento, diminuire il carico cognitivo della memoria a breve

termine, creando operazioni automatiche che poggiano sulle capacità

subconscie dell’utente.

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Capitolo 3

3.5.3 Memoria a lungo termine

La memoria a lungo termine è quella del passato. Come spiega

Norman ci vuole del tempo per conservare informazioni così come

un grande sforzo cognitivo per tirarle fuori. Sono immagazzinate

esperienze secondo una registrazione soggettiva degli eventi,

influenzate dalle distorsioni che i meccanismi del pensiero umano

sovrappongono alla realtà delle cose. Attingere dalla memoria a

lungo termine richiede un comportamento conscio delle persone in

cui l’attenzione è canalizzata su un singolo oggetto o evento.

Nell’interazione con le interfacce, la memoria a lungo termine deve

essere sollecitata esclusivamente dalle attività delle persone, quindi

dai compiti per cui è utilizzato il prodotto. Accade invece che le

modalità d’interazione per le logiche stesse con cui funzionano,

richiedono ad ogni stato l’attenzione dell’operatore umano

distraendolo inevitabilmente dai suoi reali obiettivi. Un esempio

specifico è l’insistere ad utilizzare menù adattivi, interfacce

personalizzabili (con comandi che scompaiono o compaiono secondo

l’uso). Tali modalità dovrebbero far interagire le persone con

dispositivi capaci di abituarsi alle differenti esigenze d’uso. Tuttavia

far scomparire comandi presenti qualche attimo prima

nell’interfaccia vuol dire distrarre gli utenti dalle loro reali attività

non permettendogli di consolidare le sue abitudini d’uso.

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Comprendere gli utenti

3.5.4 Attenzione selettiva

Le implicazioni di questo processo cognitivo sono fondamentali

per sviluppare modalità rispettose delle caratteristiche degli esseri

umani e dei contesti d’uso in cui sistemi si vanno a collocare. Le

interfacce, infatti, possono facilitare le cose o renderle più difficili.

L’attenzione selettiva fa concentrare le persone in un determinato

arco di tempo su un oggetto o evento. Focalizza l’informazione

rilevante per l’azione che si sta svolgendo. La caratteristica

principale del processo d’attenzione è che né esiste soltanto uno in

un dato momento. Questa unicità, da un punto di vista biologico, è

stata rilevante per l'evoluzione dell'uomo, poiché in situazioni

rischiose l’attenzione fa essere vigili rispetto all'ambiente circostante

pronti ad una eventuale azione; in situazioni confortevoli o poco

pericolose fa concentrare le persone su unico aspetto canalizzandosi

su un oggetto/evento. Tali semplici considerazioni sono molto

importanti per la progettazione dei sistemi software: prima di tutto

perchè in tali artefatti si devono delineare quali attività richiedono

una concentrazione esclusiva sul compito, in modo da escluderne

ogni altro e quali invece si svolgeranno in uno stato più vigile quasi

di compresenza, favorendo l’esecuzione di più compiti

contemporaneamente. Inoltre nel corso dell’interazione tra sistemi ed

utenti bisogna fare in modo che non si sviluppino attenzioni

indesiderate che distraggono l’utente conducendolo ad operazioni

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Capitolo 3

sbagliate o poco affini ai suoi obiettivi. Se il sistema è ben progettato

e favorisce un apprendimento rapido ed univoco, l’attenzione potrà

essere riservata esclusivamente sulle attività da svolgere per mezzo

del dispositivo; nel caso contrario invece le persone sono distratte da

ciò che gli interessa per un funzionamento che complica i compiti

più che semplificarli.

Il processo di attenzione selettiva è condizionato nell’interazione

con un’interfaccia da almeno due elementi: la presentazione

dell'informazione nell'ambiente e gli obiettivi degli utenti. Il modo in

cui sono esposte le informazioni condiziona il grado di difficoltà che

si incontra nel prestare attenzione a singoli eventi/oggetti. Così come

gli obiettivi degli utenti sono più chiari a formarsi, quando non vi

sono eventi inaspettati che distolgono l’attenzione portandola altrove

(ad esempio menu personalizzabili, o messaggi di errore, animazioni

inutili, ecc.). Se, infatti, le persone sanno esattamente cosa cercare e

il sistema rende l’apprendimento facile devono solo confrontare le

conoscenze già disponibili e memorizzate per eseguire le proprie

attività. Questo è il senso della progettazione centrata sull’utente che,

come precisa Raskin, deve tendere alla realizzazione di modalità

d’interazione in cui l'utente sia così assorbito da ciò che sta facendo

da non accorgersi che il sistema comunica con lui.18

18 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 34.

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Comprendere gli utenti

3.5.5 Automatismi ed abitudini

Qualsiasi sequenza ripetuta nel tempo dagli esseri umani, diventa

acquisita ed automatica ed è grazie a queste capacità cognitive che le

persone possono svolgere più attività contemporaneamente. Quando

sono compiute più azioni simultaneamente una sola di queste è

considerata ‘non automatica’ ed è quella che occupa il fuoco

d’attenzione dell’individuo. Se bisogna svolgere due operazioni e

nessuna di queste è automatica, (ad esempio scannerizzare le

immagini e scrivere il testo della mia tesi) si assiste al fenomeno che

gli psicologi chiamano interferenza: ovvero l’efficienza nel fare le

due operazioni insieme è minore di quella che si ha se le stesse

venissero svolte una per volta. Per mezzo degli automatismi umani,

le azioni che formano la sequenza di un compito diventano, man

mano che vengono ripetute, un blocco unico costituendo una singola

azione che viene eseguita per intero attraverso degli stati di

comportamento inconsci.

Questi aspetti hanno delle conseguenze importanti nelle scelte

della progettazione, poiché bisogna evitare nel corso dell’interazione

l'assunzione o l’assuefazione ad automatismi sbagliati.19 Come

19 Come spiega Raskin nelle attuali interfacce la selezione e la scrittura sono formulati in modoa tale da poter dare adito a problemi «come per esempio quando ciò che si scrive rimpiazza il contenuto della selezione: quante volte ciò che scriviamo va a sostituirsi a qualcosa che non avevamo affatto intenzione di cancellare?». J. Raskin (op. cit.), 2004, p. 127.

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Capitolo 3

spiega Raskin il dovere del progettista è di impedire la formazione di

cattive abitudini che causino problemi alle persone. I sistemi centrati

sull'utente producono in questo senso una assuefazione benigna.

«Molti dei problemi che rendono un prodotto scomodo e difficile da

usare hanno origine da interfacce che non fanno distinzione tra gli

aspetti positivi e aspetti potenzialmente dannosi nello sviluppo di

abitudini nel comportamento umano».20 Prendendo in considerazione

le caratteristiche degli esseri umani a sviluppare comportamenti

automatici e abitudinari molte delle modalità d’interazione dei

prodotti interattivi odierni si rivelano carenti e poco sensibili a questi

aspetti (vedi 4.2.2).

3.5.6 Percezione visiva

La percezione si riferisce al sistema cognitivo che permette di

acquisire le informazioni dall'ambiente esterno attraverso i differenti

organi di senso. È un processo complesso che ne coinvolge

necessariamente altri come la memoria, l'attenzione e il linguaggio.

La vista è il senso dominante seguita dall'udito e dal tatto. In questa

sezione sono approfondite maggiormente le caratteristiche della

percezione visiva. Secondo l’approccio costruttivista la vista è un

processo che può essere definito attivo ovvero quando si osservano

delle cose non se ne ha una replica esatta, piuttosto una 20 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 22.

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Comprendere gli utenti

rappresentazione costruita dal sistema di percezione visiva che fa

riferimento a conoscenze immagazzinate nel corso dell’esperienza

dell’individuo. Da un punto di vista biologico sono tre gli elementi

che concorrono alla costruzione di un'immagine: uno dedicato alla

forma, uno al colore e l'ultimo al movimento. Le ricerche dei

meccanismi organizzatori della forma sono state inaugurate dal

movimento della psicologia sperimentale della Gestalt che ha

individuato sei principi:21

- Legge della somiglianza. Fra elementi diversi di forma,

la percezione visiva raccoglie in gruppi gli elementi che sono tra loro

simili (figura 3.2);

- Legge della vicinanza. Le forme di un insieme

percettivo vengono raccolte come unità conformi alla minima

distanza, a parità di altre condizioni (figura 3.3);

21 Per approfondimenti, http://gestalttheory.net/it/.

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Capitolo 3

I criteri di queste due leggi sono ben comprensibili se analizziamo

l’organizzazione dell’informazione sullo spazio dello schermo

(figura 3.4).

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124

Comprendere gli utenti

Nell’immagine a destra i dati sono organizzati in grappoli (cluster),

in quella a sinistra vi è una lettura in riga che risulta più ordinata. Ne

deriva che trovare l’informazione con una schematizzazione a cluster

richiede più tempo rispetto ad una visualizzazione ordinata.

- Legge della chiusura. Le linee delimitate da una

superficie chiusa si percepiscono come unità più facilmente di quelle

che non si chiudono (figura 3.5);

- Legge della curva buona. Le parti di una figura che

formano una curva buona o che vanno nella stessa direzione si

costituiscono in insieme più facilmente delle altre (figura 3.6);

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Capitolo 3

- Legge della buona forma. Il campo percettivo si

segmenta in modo tale che ad ogni immagine risultino entità quanto

più possibili equilibrate ed armoniche costituite da un'unica forma in

tutte le sue parti (figura 3.7);

- Legge dell'esperienza. L'esperienza e quindi le

informazioni immagazzinate nella memoria delle persone

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Comprendere gli utenti

condizionano la percezione visiva modellando la forma e la

profondità degli oggetti (figura 3.8).

Oltre gli aspetti legati alla forma, le immagini sono riprodotte

dalla nostra percezione visiva attraverso il colore ed il movimento. Il

colore non è una caratteristica degli oggetti osservati, ma il

complesso risultato dell'effetto che la luce ha sull’apparato percettivo

delle persone. La percezione dei colori dipende da tre dimensioni:

tonalità, chiarezza e saturazione.

- Tonalità. Riguarda il nome dato ai colori ed è data dalla

lunghezza d'onda della luce;

- Chiarezza. Fa riferimento all'intensità del colore;

- Saturazione. È la purezza del colore, riconducibile alla

predominanza di una sola lunghezza d'onda nello stimolo percepito.

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Capitolo 3

Il colore, quindi così come la forma, è un aspetto fondamentale

nella presentazione delle informazioni e dunque nel layout di

un’interfaccia. Accade invece di notare proprio in questi strumenti

una prolificazione esagerata di colori e forme, tendenze che recano

soltanto disturbo nell’interazione. Per questo motivo le ricerche si

sono concentrate nell’individuazione di soluzioni cromatiche ottimali

nel regolare, ad esempio, i contrasti tra lo sfondo degli schermi video

ed i campi di testo. Dalla combinazione tra teorie sulla percezione

dei colori e dati sperimentali sono state sviluppate una serie di linee

guida per l'accostamento dei colori nel layout delle interfacce:

- evitare l'uso contemporaneo di colori saturi agli estremi

dello spettro (ex: rosso-blu, giallo-viola), a causa della difficoltà che

il sistema di percezione visiva a mettere a fuoco

contemporaneamente questi due colori;

- qualora si desiderasse utilizzare il blu, il colore dovrebbe

essere utilizzato come colore per lo sfondo piuttosto che per le

scritte, e comunque da evitare nei messaggi importanti;

- non usare mai rosso e verde vicini, poiché l’occhio ha

difficoltà nel percepirli contemporaneamente e questa situazione è

ancor più problematica per quei soggetti con deficit nella percezione

dei colori;

- preferire il giallo colore comunemente riconoscibile

anche dai soggetti daltonici;

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Comprendere gli utenti

- usare pochi colori contemporaneamente

- associare i colori ai vari significati in modo consistente

- usare lo stesso colore per raggruppare oggetti simili

- utilizzare colori saturi e brillanti22

I colori possono essere usati in un’interfaccia anche come

indicatori semantici, per cui è fondamentale sottolineare la

distinzione tra colori caldi e colori freddi. I colori caldi sono quelli

dell'arco giallo-rosso ed evocano atteggiamenti come azione ed

urgenza, dunque da accostare alle modalità specifiche del

funzionamento, come ad esempio un messaggio di errore. I colori

freddi appartengono alla gamma verde-viola e richiamano ad un

senso di lontananza e razionalità; per questo motivo sono più

appropriati a supportare le attività dell’utente permettendone una

maggiore concentrazione.

L’ultimo elemento utilizzato dalla percezione visiva per

ricostruire le immagini è il movimento. Questa componente è molto

limitata nell’apparato percettivo umano ed è comunque condizionata

dai precedenti elementi analizzati (forma e colore). Quando si guarda

un’animazione grafica sul web, l’oggetto stimola differenti gruppi di

ricettori che sollecitano la superficie dell’occhio. Tali stimolazioni

non implicano nell’apparato visivo alcun movimento, poiché

22 R. Polillo, Il design dell’interazione, in Giovanni Anceschi (a cura di), Il progetto delle interfacce, Milano, Domus Academy, 1993.

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129

Capitolo 3

l’animazione è rappresentata attraverso fibre nervose eccitate

diversamente per ogni frazione di tempo. Il movimento è dunque il

risultato della consequenzialità delle singole stimolazioni che ci

danno l'impressione generale che l'oggetto si muova. Arhneim in

proposito osserva che «pur se il movimento viene percepito dal

nostro sistema di percezione è comunque determinato dalla struttura

del contesto spaziale e temporale. La stessa cosa è valida per le

proprietà più specifiche del movimento, come la direzione e la

velocità».23 Le interfacce dei prodotti off-line e on-line sembrano

andare in tutt’altra direzione non considerando questi aspetti basilari

degli esseri umani; sono sempre più di moda oggetti animati, agenti

d’interfaccia, comandi animati, strumenti che alla luce di questi

presupposti possono rendere più emozionale l’interazione con le

persone, tuttavia né aumentano in modo ingiustificato la fruizione e

aggravano le problematiche di usabilità dei sistemi.

3.6 Cognizione riflessiva

La cognizione riflessiva raccoglie l’insieme dei processi

cognitivi attraverso i quali gli esseri umani prendono decisioni,

elaborando nuove idee o re-interpretando un evento. Come spiega

Norman le modalità riflessive della cognizione producono senso

23 R. Arnheim, Arte e percezione visiva, Milano, Feltrinelli, 1962, p. 67.

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130

Comprendere gli utenti

attraverso il confronto ed il contrasto tra il pensiero ed il processo

decisionale. Perciò hanno un grado di astrazione maggiore rispetto ai

fenomeni della cognizione esperienziale (rapidi ed automatici),

poiché richiedono di immagazzinare informazioni di confrontarle

con quelle già possedute e di seguire associazioni di ragionamento

secondo l’una e l’altra direzione. Sono basate, dunque su un processo

d’elaborazione dell’informazione complesso, lento e laborioso che

articola contemporaneamente forme di conoscenza diverse.

3.6.1 Processi di apprendimento

I processi di apprendimento umano avvengono mediante la

comprensione e la memorizzazione di informazioni circa un

determinato oggetto o evento. Si tratta di un fenomeno che si protrae

nel tempo, per cui la sua durata è in gran parte determinata dalla

complessità dell’oggetto/evento da apprendere. Secondo Norman vi

sono almeno tre differenti modalità di apprendimento le quali si

distinguono proprio in base alla loro durata:24

- Accrescimento. E’ il processo attraverso il quale le

persone accumulano dati. Se si ha a disposizione una cornice

concettuale abbastanza appropriata, l’apprendimento sarà facile e

raggiungerà lo scopo senza particolari sforzi cognitivi. È il caso, ad

24 D. Norman, (op. cit.), 1995, pp. 40-43.

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Capitolo 3

esempio, della conoscenza di nuovi vocaboli di una lingua. In caso

contrario il processo risulterà lento, difficile e sarà necessario

ripeterlo più volte usando strategie mnemoniche e tecniche che

riducano il carico cognitivo, come ad esempio, l’utilizzo di

annotazioni.

- Messa a punto. Richiede per sua stessa natura un

processo lento che segna il passaggio da una prestazione tipica del

principiante a quella fluida e competente dell’esperto. Questo tipo di

apprendimento si ottiene con l’applicazione delle conoscenze

immagazzinate da ogni persona al mondo reale. Ad esempio le

capacità di linguaggio di un individuo sono un tipico processo di

messa a punto, poiché si imparano in un arco di tempo ampio che

richiede una pratica costante. Questa è, infatti, l’unica condizione

che consente di passare da una competenza tipica di un principiante

(i bambini) ad una propria da esperto (gli adulti).

- Ristrutturazione. La cosa più difficile in una fase di

apprendimento è la formazione di una adeguata struttura concettuale.

Se l’accrescimento e la messa a fuoco fanno riferimento a forme più

vicine alle competenze tipiche della cognizione esperenziale, la

ristrutturazione è un processo che fa parte dei saperi della cognizione

riflessiva. Attraverso tali modalità le persone acquisiscono nuove

capacità concettuali, per cui la durata del processo non può che

essere lenta e graduale.

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Comprendere gli utenti

Lo sviluppo delle tecnologie informatiche e le possibilità di

connessioni in rete hanno permesso di semplificare buona parte di

questi processi umani grazie all'utilizzo di nuove forme di fruizione.

A differenza dei media audiovisivi, i new media infatti hanno

caratteristiche interattive mai sperimentate fino ad ora, riuscendo ad

instaurare flussi di comunicazione one to one facilitando, almeno

potenzialmente, qualsiasi fase di apprendimento. Favoriscono modi

alternativi di rappresentare la conoscenza, per cui le persone sono in

grado di interagire con le informazioni stesse. Si sviluppano così

modalità informali di insegnamento (come l’e-learning, le

simulazioni virtuali) combinate in attività ludiche e di

intrattenimento lontane dai tradizionali metodi di apprendimento

scolastico. Come sottolinea Norman la distinzione tra queste due

forme è molto rilevante (figura 3.9).

Nella società attuale incentrata sulla conoscenza ed il know-how

con processi di formazione continua ad ogni livello produttivo si

capisce il ruolo strategico che le tecnologie digitali assolvono,

dunque l’importanza che le modalità d’interazione rivestono nel

favorire qualsiasi attività di apprendimento degli esseri umani.

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133

Capitolo 3

3.6.2 Capacità di linguaggio: parlare, leggere, scrivere

Dipendono in larga misura dalle facoltà individuali e dalle

diverse esperienze accumulate nel corso degli anni e dalle differenti

caratteristiche fisiche che contraddistinguono ogni persona. I prodotti

interattivi come precisa Raskin pur sfruttando capacità multimediali

mai sperimentate fanno abbondante uso di campi di testo che

rappresentano un elemento costante (dagli ipertesti ai menù a

tendina, dai motori di ricerca alla denominazione dei file di lavoro,

ecc.). Anche nei videogames e nelle tecnologie di realtà virtuale, in

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134

Comprendere gli utenti

cui l’interfaccia grafica rappresenta lo spettro delle attività possibili,

sono presenti schermate in cui si richiede l'inserimento di testo o

l’acquisizione di informazioni attraverso la lettura di un testo.

Ciò significa che le interfacce anche avendo un aspetto grafico

sempre più marcato sono ancora incentrate sul potere del testo e

quindi sulle relative capacità cognitive dell’utente di leggere, parlare

ed ascoltare. Le differenze specifiche tra le tre modalità sono legate

indissolubilmente alla distinzione tra cultura orale (ascoltare) e

cultura scritta (leggere e scrivere) articolando questioni, sotto diversi

aspetti importanti nella realizzazione di sistemi interattivi:

- il linguaggio scritto è permanente mentre l'ascolto è

transitorio. Se le informazioni non vengono comprese la prima volta

è possibile rileggerle, cosa impossibile nella comunicazione orale

ove l'informazione viene persa una volta emessa; queste sono le

ragioni per cui vengono implementate documentazione, sistemi di

aiuto, manuali, ecc.

- leggere può richiedere meno tempo che ascoltare o

parlare. Il testo scritto, infatti, può essere visionato rapidamente, cosa

impossibile se ascoltiamo le istruzioni di una voce narrante (come

un’agente di interfaccia);

- l'ascolto richiede uno sforzo cognitivo minore rispetto

alla lettura; non è un caso che i bambini preferiscano ascoltare delle

storie piuttosto che leggere il testo;

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135

Capitolo 3

- il linguaggio scritto è di norma grammaticalmente

corretto mentre quello non verbale è spesso sgrammaticato; per cui

nel realizzare un sistemi di aiuto si deve adottare un linguaggio

sintatticamente rigoroso e semanticamente chiaro.

Esistono, comunque, profonde differenze anche riguardo alle

preferenze linguistiche di ciascun individuo. Se alcune persone

preferiscono leggere altre sono più votate all’ascolto e viceversa.

L’interazione tra sistemi interattivi ed utenti deve favorire le forme

linguistiche opportune alle attività da svolgere ed in più compensare

le debolezze che in taluni aspetti riguardano singoli individui. Da

questo punto di vista sono state sviluppate numerose applicazioni che

hanno capitalizzato le abilità di lettura, di ascolto e di scrittura

dell’uomo costituendone un supporto in alcune circostanze. Tra

questi citiamo:

- i libri interattivi e i sistemi che aiutano le persone a

leggere;

- i sistemi di riconoscimento vocale che permettono di

impartire istruzioni attraverso comandi vocali;

- sistemi basati sul linguaggio naturale che consentono

agli utenti di fare domande e che forniscono risposte scritte come i

motori di ricerca;

- i sistemi di aiuto alla cognizione pensati per le persone

che hanno difficoltà con la lettura la scrittura o la conversazione.

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136

Comprendere gli utenti

3.6.3 Pianificazione e processi decisionali

Questi processi cognitivi includono il pensare cosa fare, la scelta

tra opzioni possibili e la considerazione (attraverso le informazioni

immagazzinate) a priori di quali conseguenze comporterà lo

svolgimento di una data azione. Come è facile capire tali

competenze richiedono uno stadio conscio dei comportamenti in cui

si fanno considerazioni sui vantaggi e sugli svantaggi di ogni singola

alternativa. La pianificazione avviene attraverso il confronto tra

diverse fonti di informazione, quindi è determinata dalla misura in

cui le persone sono coinvolti nell’attività e dalle esperienze acquisite

in merito. Generalmente gli individui pianificano le loro azioni per

tentativi ed errori cercando di sperimentare differenti modi di agire.

In una nuova attività il processo di pianificazione è inizialmente

lento, procurando errori o mostrandosi insufficiente. Quando invece

viene acquisita una maggiore conoscenza ed esperienza dell’oggetto

in questione, le persone sono capaci di scegliere ottime strategie per

raggiungere i propri fini.

Nella progettazione di interfacce gli sviluppatori spesso

interpretano tali capacità della cognizione umana come la possibilità

di fornire scelte alternative nei comandi, in modo che le persone

siano in grado di pianificare meglio le proprie azioni secondo il loro

grado di esperienza. Un esempio classico sono i menu grafici ed i

comandi da tastiera nei sistemi desktop. Nelle intenzioni questi

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137

Capitolo 3

diversi metodi di input dovrebbero segnalare il passaggio da un

atteggiamento tipico del principiante inesperto (che utilizza il mouse

e punta, seleziona e clicca dei comandi nel menù) che ha poca

capacità decisionale, ad uno rapido, produttivo tipico dell’esperto

(che fa uso di tastiera e schiaccia una combinazione di tasti).

Tuttavia far pensare ad ogni utente (esperto o principiante) quale

comando scegliere per raggiungere il proprio obiettivo vuol dire

distrarlo dalle attività per cui utilizza il dispositivo.25 La presenza di

opzioni molteplici, infatti, sposta la concentrazione delle persone dal

compito che bisogna svolgere alla scelta del metodo più appropriato.

Il risultato è la realizzazione di quelle che Raskin definisce

“interfacce modali” che distolgono continuamente l’attenzione dai

contenuti (il compito) per la comprensione dello strumento (i

metodi). Gli artefatti non modali invece non costringono a pensare

sul funzionamento, poiché lo stesso è univoco; i comandi sono

esclusivi, per cui le persone sanno facilmente cosa raggiungere e

come. Questo è l’unico modo, come spiega Raskin, per sfuggire

durante la progettazione alla dicotomia ancora dominante tra le

capacità degli utenti principianti e quelle degli utenti esperti.26

25 Come spiega Raskin si assiste così ad una tendenza progettuale che piuttosto che essere centrata sull’utente occasionale si basa esclusivamente sulle performance e le competenze degli utenti esperti. 26 Per approfondimenti, J. Raskin, (op. cit.), 2003, p. 77.

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138

Comprendere gli utenti

3.7 Approcci concettuali alla cognizione nell’interaction design

Nel corso di questi anni gli studi sull’interazione uomo-macchina

hanno visto una continua ed incessante attività di ricerca che ha

portato all’elaborazione di diverse teorie e framework concettuali. In

questa parte analizzeremo solo gli approcci maturati o adottati negli

ambiti dell’interaction design che hanno consentito una più coerente

integrazione tra i principi della cognizione umana e la progettazione

empirica dei prodotti. Consideriamo quattro approcci:

- modelli mentali

- information processing

- cognizione esterna

- cognizione distribuita

3.7.1 Modelli mentali

I modelli mentali sono delle costruzioni interne (mentali) che

ogni individuo forma circa alcuni aspetti del mondo esterno.

Nell’utilizzo d’oggetti quotidiani le persone fanno continuamente

riferimento al loro modello mentale dell’oggetto e non sorprende che

alcuni siano scorretti, poiché la conoscenza umana si evolve

attraverso fasi di errori e tentativi. Il modello mentale influenza il

comportamento dell’individuo stabilendo le priorità nelle azioni da

eseguire. Come spiega Norman, negli artefatti cognitivi la mancanza

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139

Capitolo 3

di modelli appropriati è ciò che rende le persone molto frustrate

portandole ad atteggiamenti strambi (psicopatologie).27

La funzione principale del modello mentale è guidare l’utente

nello sviluppo di inferenze esatte su come funziona l’oggetto. Le

competenze sono più rapide a formarsi se le interfacce permettono

un apprendimento rapido; quanto più si apprende il funzionamento di

un aspetto, infatti, tanto più l’utente riesce a sviluppare un modello

mentale adeguato del sistema. È quindi l’attività progettuale che

previene o determina atteggiamenti sbagliati in grado di rendere

l’interazione facile o complessa. Come si aiutano le persone a

sviluppare un buon modello mentale? Il metodo migliore è di

educarle meglio alle attività attraverso diverse fonti d’informazioni

come ad esempio manuali, documentazioni, aiuti in linea, ecc.

Tuttavia queste considerazioni sono state in parte smentite da

alcuni studiosi che hanno dimostrato come le forme tradizionali di

conoscenza legate, per esempio, ad un manuale scritto rappresentano

nei prodotti interattivi una forzatura per l’utente, molto spesso

ignorata per interagire direttamente con l’interfaccia. La proposta

alternativa più valida rimane, dunque, quella di progettare strumenti

più trasparenti, più facili da comprendere e che non arrechino nelle

loro modalità di funzionamento frustrazioni alle persone.

27 D. Norman, (op. cit.), 1997, p. 29.

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140

Comprendere gli utenti

3.7.2 Information processing

Una delle chiavi di lettura della psicologia cognitiva è l'idea che

il cervello umano al pari di un computer, sia un processore di

elaborazione delle informazioni. La metafora ipotizza che

l'informazione entra ed esce dalla mente seguendo dei differenti stadi

di elaborazione (figura 3.10). Il modello ‘human information

processing’ offre agli sviluppatori la possibilità di fare predizioni

sulle prestazioni cognitive degli utenti attraverso delle misure di

performance.

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141

Capitolo 3

I team di sviluppo/design comprendono così quali processi

cognitivi sono coinvolti in un determinato compito, calcolando il

tempo necessario per portare a termine ogni attività. L’approccio si

basa, dunque sulla modellizzazione delle operazioni mentali e

consente di fare ipotesi sulle performance delle persone.

L'elaborazione umana dell’informazione viene concettualizzata come

una serie di stadi in cui i processi percettivi, cognitivi e motori sono

organizzati in relazione l'uno all'altro.

Il modello è totalmente improntato allo studio della cognizione

umana attraverso i suoi processi interni (vedi 1.2.2) individuando le

relazioni che intercorrono tra ognuno di essi; quindi non considera

nel suo quadro teorico gli andamenti in cui la cognizione si espande

nel mondo fisico mediante l’utilizzo di rappresentazioni esterne

come libri, documenti o un computer. Perciò il modello

dell’information processing necessita di un’integrazione con altri

approcci che siano capaci di delineare le operazioni in cui la

cognizione umana si espande verso l’esterno. Le tendenze

epistemologiche attuali, infatti, sono sempre più concentrate sulle

capacità cognitive delle persone, non solo attraverso l’analisi dei loro

modelli mentali interni, ma anche con la comprensione e

l’osservazione delle procedure eseguite negli ambienti reali d’uso

(vedi 5.1).

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142

Comprendere gli utenti

3.7.3 Cognizione esterna

L'approccio alla cognizione esterna descrive i processi che si

espandono dal cervello al mondo reale attraverso l’utilizzo di

supporti fisici. Le persone utilizzano numerosi strumenti

nell’esecuzione delle loro attività (ad esempio libri, quotidiani,

pagine Web, mappe, diagrammi, note, disegni, ecc). Molti di questi

oggetti sono stati creati proprio per aiutare la cognizione umana ad

elaborare e memorizzare dati ed informazioni. L’obiettivo principale

del modello alla cognizione esterna è di individuare in primo luogo, i

processi cognitivi coinvolti in ogni attività umana e

l’interdipendenza fra essi (attenzione, memoria, facoltà di

pianificazione, ecc.); in secondo luogo chiarire le strategie adottate

dagli individui per ridurre il proprio carico cognitivo con

rappresentazioni diverse (penne, carta, computer, ecc.) in riferimento

a differenti tipi di attività (scrittura a mano, dattiloscritta, ecc.);

Secondo Preece, Rogers e Sharp possono essere distinte diverse

strategie utilizzate dalle persone per ridurre il proprio carico

cognitivo:28

- Esternalizzare. Si cerca di trasformare la conoscenza

interna in rappresentazioni esterne in modo tale da ridurre il carico di

memoria. Un esempio è la tendenza da parte degli esseri umani ad

28 J. Preece, Y. Rogers e H. Sharp, Interaction design, traduzione di Baccigalupo-Fiorani, Milano, Apogeo, 2004, p. 168.

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143

Capitolo 3

utilizzare diari o calendari. Tali strumenti facilitano i processi di

memoria ed attenzione degli individui mediante supporti esterni alla

cognizione, semplificando il ricordo delle operazioni da eseguire in

un determinato momento.

- Diminuire il carico computazionale. La strategia si

manifesta, quando sono adoperati supporti diversi per eseguire una

stessa attività. Ad esempio l’utilizzo contemporaneo di una

calcolatrice, un foglio e una penna per eseguire dei calcoli

matematici è una strategia tipica per diminuire il carico

computazionale dei processi cognitivi.

- Annotare e tracciare. Un ulteriore modo attraverso il

quale le persone esternano parte delle proprie conoscenze è

modificando le rappresentazioni esterne in modo da evidenziare i

cambiamenti che interessano. Questa strategia si presenta in due

distinte modalità:

1. annotazione cognitiva. Richiede una modifica delle

rappresentazioni esterne come ad esempio la

sottolineatura di una scritta;

2. tracciamento cognitivo. Implica la manipolazione

esterna di elementi diversi per ordine e struttura. Ad

esempio in un gioco di carte le persone esprimono le

proprie capacità cognitive su elementi come colori e

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144

Comprendere gli utenti

valore delle figure che implicano una serie di azioni da

eseguire mentre la partita avanza.

3.7.4 Cognizione distribuita

L’approccio che integra sia le conoscenze derivanti dal human

information processing sia i principi della cognizione esterna è la

prospettiva della cognizione distribuita. Mentre i precedenti modelli

si rivelano insoddisfacenti nel considerare i processi che si attivano

tra le persone nei contesti d’uso, l'artefatto e le rappresentazioni

esterne, la cognizione distribuita descrive invece cosa succede in un

sistema cognitivo che non viene localizzato nella testa di un singolo

individuo, ma rappresenta la totalità delle interazioni che avvengono

in un ambiente delineando scambi e processi tra persone, artefatti e

contesti per lo svolgimento di una data operazione. Queste

informazioni sono fondamentali nello sviluppo di ambienti di lavoro

condivisi (come una cabina di pilotaggio di un aereo) e in tutti quei

prodotti di supporto alla collaborazione umana (vedi 4.1.4) in cui

sono da stabilire sia le priorità nelle operazioni tra le persone sia

quanto le responsabilità nell’esecuzione sono lasciate al sistema e

quanto riservate agli utenti. Secondo Preece, Rogers e Sharp

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145

Capitolo 3

utilizzare l’approccio della cognizione distribuita comporta in

particolar modo l’analisi dei seguenti aspetti:29

- spazio del problema legato all’attività in questione

- ruolo dei comportamenti verbali e non verbali

- meccanismi che vengono utilizzati per il coordinamento

- configurazioni comunicative che emergono man mano

che l’attività viene eseguita

- modalità in cui la conoscenza del contesto è condivisa

Attraverso il modello della cognizione distribuita sono

identificati meglio tutti i problemi, gli intoppi e i relativi processi di

risoluzione che emergono nelle attività in considerazione dei contesti

sociali d’uso. Ciò fa comprendere in che modo le procedure

potrebbero essere migliorate o riformulate e le conseguenze che i

cambiamenti comporterebbero nelle pratiche operative correnti.

Questi aspetti sono fondamentali soprattutto nella formalizzazione

dei modelli concettuali dei sistemi.

3.8 Emozioni e sistema affettivo

Le capacità computazionali odierne hanno consentito nuove

possibilità di interazione, in cui diventa rilevante proporre strumenti

in grado di convogliare emozioni. L’interaction design fa attenzione

29 J. Preece, Y. Rogers e H. Sharp, (op. cit.), 2004, p. 111.

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146

Comprendere gli utenti

a questi aspetti considerando nella formulazione dei prodotti quali

caratteristiche del sistema affettivo influenzano il modo di sentire, di

comportarsi e di pensare delle persone. Come dimostrano alcuni

studi30 i processi emozionali modificano le modalità operative del

sistema cognitivo; ciò significa che le emozioni cambiano il modo in

cui la mente umana risolve i propri problemi. Se i processi cognitivi

interpretano il mondo attribuendogli significati, il sistema affettivo di

cui fa parte l’emozione determina un giudizio sul mondo attraverso

dei valori. Qualsiasi struttura elaborata dal cervello umano possiede,

quindi, una componente cognitiva (dati) ed una componente affettiva

(teorie sui dati).

3.8.1 Livelli dell’emozione

Secondo Norman, Ortony e Rewelle le emozioni si formano in

seguito all’elaborazione di tre diversi livelli (figura 3.11):

- Livello viscerale. In questa parte avvengono dei

processi biologici che hanno un carattere automatico e precablato

nelle persone (percezione);

30 Per approfondimenti, D. Norman, S. Darper, User centred system design: new perspetives in HCI, Hillsdale NJ, Lawrence Erlbaum Associates, 1986.

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147

Capitolo 3

- Livello comportamentale. È la zona che controlla,

dandone valore, la maggior parte delle azione umane dunque le

attività abitudinarie eseguite dalle persone (esperienza);

- Livello riflessivo. Si tratta della dimensione

contemplativa del cervello, in cui avvengono tutte le operazioni che

richiedono un’attività di pianificazione (pensiero).

I tre livelli sono continuamente in conflitto tra loro, interagendo

e «modulandosi reciprocamente».31 I processi dal livello più basso a

quello più alto sono quelli guidati dalla percezione, viceversa quelli

diretti dall’alto verso il basso sono attivati dal pensiero. Le emozioni

hanno un ruolo determinante nella vita delle persone, poiché

stabiliscono se una situazione è buona o cattiva, tranquilla o

pericolosa ovvero aiutano attivamente il loro processo decisionale.

31 D. Norman, (op. cit.), 2004, p. 50.

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Comprendere gli utenti

Modificano, comunque, il comportamento in un arco di tempo

molto breve, poiché sensibili agli eventi immediati a differenza di

quanto avviene per gli stati d’animo, i tratti caratteriali e la

personalità di una persona, che hanno una durata ampia e prolungata

nel corso del tempo. Le emozioni durano poco e suscitano stati

positivi o negativi.

Nella realizzazione di artefatti cognitivi come spiega Norman,

entrambe le categorie risultano fondamentali; le emozioni positive lo

sono per l’apprendimento e più in generale per la curiosità rispetto ad

un determinato oggetto. Alcune ricerche mostrano come un affezione

positiva espande i processi intellettivi e facilita il pensiero creativo.

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149

Capitolo 3

In uno stato d’affezione negativo tali fenomeni si contraggono e le

persone si concentrano esclusivamente sugli aspetti direttamente

connessi ad un problema. Queste propensioni non consentono di

valutare nuovi modi per risolvere la stessa attività. Tuttavia, queste

propensioni si rivelano utile in situazioni di pericolo consentendo di

canalizzare l’attenzione su un’unica questione. Un buon processo di

design deve individuare allora, a partire da un’adeguata

comprensione dell’uso a cui è destinato il prodotto e dei contesti in

cui verrà utilizzato, quali aspetti del sistema affettivo enfatizzare.

Un’affezione negativa sarà adeguata in circostanze in cui i compiti

da svolgere sono abitudinari e non richiedono un particolare processo

creativo per le persone. Viceversa in attività che richiedono di

prendere decisioni, in cui è fortemente richiesto un pensiero creativo

sembra più appropriato suscitare emozioni positive, in grado di

espandere maggiormente i processi intellettivi della cognizione.

3.8.2 Design ed emozioni

Come precisa Norman «i tre livelli di elaborazione dell’affezione

portano alle tre forme di design corrispondente [...]. Ciascuno gioca

un ruolo critico nel comportamento umano e svolge un ruolo

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150

Comprendere gli utenti

parimenti critico nel design, nel marketing e nell’uso del

prodotto».32

Il design viscerale è quello del mondo fisico. Riguarda le

reazioni iniziali e lo si studia agevolmente «mettendo le persone di

fronte ad un oggetto osservandone le reazioni».33 Gli aspetti viscerali

del design di un prodotto sono legati ad elementi fisici come

l’aspetto, la forma, la struttura dei materiali, il peso. Riguardano,

quindi, le impressioni iniziali e si basano sull'impatto immediato ed

istintivo tra un artefatto ed una persona. Il livello viscerale segna

l’inizio del processo di affezione ed è in questo momento che le

persone emettono giudizi rapidi su ciò che piace e ciò che non piace.

È evidente come tali opinioni, visto il carattere rapido ed automatico

con cui vengono emesse, sono correlate ai comportamenti subconsci

che avvengono senza un processo di elaborazione, proprio perchè le

informazioni sono già memorizzate nell’apparato percettivo umano.

Il design comportamentale è seriamente influenzato dall’utilizzo

dell’oggetto e dalla piacevolezza ed efficacia che lo stesso ha nello

svolgimento di una determinata operazione. «Non è la logica a

contare, ma la prestazione. Questo è l’aspetto del design su cui si

concentrano coloro che operano nel campo dell’usabilità».34 Le

caratteristiche distintive del design comportamentale sono

32 D. Norman, (op. cit.), 1999, p. 58. 33 D. Norman, (op. cit.), 1999, p. 66. 34 D. Norman, (op. cit.), 1999, p. 60.

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151

Capitolo 3

rappresentate da aspetti come la funzione, la comprensibilità,

l'usabilità è la sensazione fisica. Nel sistema affettivo umano il

livello comportamentale dell’emozione è il luogo ove risiedono gran

parte delle informazioni e dei giudizi delle persone circa le azioni da

compiere quotidianamente. Anche qui, come nel livello viscerale, le

opinioni si vengono a formare in modo automatico e subconscio

senza un processo vero e proprio di elaborazione dell’informazione.

Il livello comportamentale si basa sul piacere, sulla prestazione e

dunque sull’efficacia d’utilizzo. Tali valori sono influenzati da fattori

individuali come le esperienze, l’addestramento e l’educazione

accumulate dalle persone nel corso della vita.

Il design riflessivo è legato al messaggio, alla cultura e al senso

di un artefatto. Da un lato ha a che fare con il significato degli

oggetti dall’altro concerne l'immagine che abbiamo di noi stessi.

Molto spesso sono gli effetti del design riflessivo a determinare

l'impressione generale di un prodotto. Il concetto stesso di bellezza

deriva dal design riflessivo. «La bellezza guarda al di sotto della

superficie [...] deriva dalla riflessione e dall’esperienza cosciente. È

influenzata dalla conoscenza, dall’apprendimento e dalla cultura».35

Ciò è comprensibile se si pensa che i livelli viscerali e

comportamentali hanno a che fare con l’adesso, il presente; la

dimensione riflessiva riguarda invece l'esperienza a lungo termine.

35 D. Norman, (op. cit.), 1999, p. 86.

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Comprendere gli utenti

Nel livello riflessivo le persone riflettono sul loro agire attraverso un

comportamento cosciente che favorisce l’apprendimento. Come

spiega Norman in questo livello del design risiede il successo

commerciale del prodotto, poiché è la bellezza di un oggetto che

seduce molto spesso le persone.

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Capitolo 4

Progettare l’interazione

4.1 Premessa

Abbiamo compreso come progettare un sistema interattivo a

partire dal suo aspetto fisico (interfaccia) può portare a trascurare gli

obiettivi principali del processo di interaction design. Per realizzare

strumenti a misura d’utente è necessario, infatti, accordarsi fin

dall’inizio con le caratteristiche psicologiche universali degli esseri

umani. Tali esigenze si concretizzano con la formulazione dei

modelli concettuali dei prodotti che descrivono, attraverso una

rappresentazione schematica, l’uso dell’artefatto e l’insieme di

procedure possibili nello svolgimento di una determinata attività.

Addentriamoci dunque fino al cuore della progettazione concettuale

applicando le conoscenze sulle capacità cognitive degli esseri umani

al processo di sviluppo dei prodotti. In ultima analisi consideriamo

quali sono le principali modalità utilizzate nelle interfacce per

eseguire le diverse funzionalità dei sistemi.

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156

Progettare l’interazione

4.2 L’interfaccia è il prodotto

Il concetto di interfaccia può far pensare esclusivamente ad un

mondo racchiuso in uno schermo (GUI),1 in realtà le persone

interagiscono con numerose di esse senza considerarle tali. Per cui, il

termine fa riferimento a qualunque strumento in grado di far

interagire un artefatto con una persona. Raskin in proposito afferma:

«interfaccia è il modo in cui si fa qualcosa con uno strumento: le

azioni che dobbiamo eseguire e il modo in cui lo strumento

risponde».2 Norman, nel libro La caffettiera del masochista,

evidenzia come molti degli oggetti utilizzati quotidianamente in

un’attività presentano interfacce inefficaci a dare indicazioni

sull’uso. Queste difficoltà sono determinate dalle scelte errate della

progettazione dei prodotti, in cui non sono state considerate le

caratteristiche specifiche degli individui, dunque i pregi e i limiti del

sistema cognitivo umano. Le persone poi non riescono a distinguere

facilmente i propri limiti da quelli dell’artefatto che utilizzano, anzi

accade che molti incolpino se stessi e non la macchina, la quale per

definizione viene implicitamente considerata come un oggetto

perfetto. Queste situazioni provocano frustrazioni negli esseri umani

e atteggiamenti di panico e di timore nello svolgere ogni azione.

1 Graphical User Interface: è stato il termine utilizzato per descrivere le prime interfacce grafiche dei computer. 2 Raskin J., Interfacce a misura d’uomo, traduzione di W. Vannini, Milano, Apogeo, 2004, p. 2.

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157

Capitolo 4

Nei prodotti interattivi invece le interfacce devono favorire un

rapido processo d’apprendimento ed incoraggiare l’utente

nell’esplorazione del sistema. Nonostante ciò i dispositivi attuali

sono sempre più complessi da utilizzare e la tendenza viene

giustificata spesso con l’aumento delle funzionalità nei software;

questa però sembra essere una motivazione discutibile ed aleatoria.

Come spiega Raskin: «non importa quanto sia complesso un

apparecchio nel suo insieme, complicare un'operazione semplice è

qualcosa che non ammette scuse».3 Ci vorrebbe, quindi una profonda

inversione di tendenza per realizzare modalità di comunicazione

centrate sull’utente, tuttavia i progettisti dovrebbero abbandonare

paradigmi d’interazione ormai familiari per gli utenti e già appresi, in

favore di altri modelli più usabili che sono sconosciuti. Le tendenze

nei mercati evidenziano come viene preferita senza dubbio la

familiarità delle strutture alla scelta migliore per le persone. Il

maggior ostacolo all’evoluzione dell’usabilità nei software rimane la

sudditanza agli aspetti tecnologici. Gli stessi strumenti utilizzati per

progettare le interfacce (Visual Basic, C++, Java, ecc.) ratificano le

caratteristiche delle infrastrutture esistenti, limitando la libertà di

scelta di programmatori e designer. Ciò comporta che ogni sistema

per poter essere compreso dall'utente deve implementare funzionalità

multiple (strumenti di aiuto, FAQ, agenti, ecc.) che articolano

3 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 77.

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158

Progettare l’interazione

l’interazione e lo stesso funzionamento dell’artefatto. Il modo

appropriato per realizzare un’interfaccia, suggerisce Raskin, è di

capire esattamente ciò che l’utente deve fare per raggiungere il suo

scopo e in che modo il sistema deve rispondere a ciascuna sua

azione. Se un prodotto interattivo fa ciò che gli si chiede alle persone

interesserà molto poco cosa c'è dentro o in quale modo è stato

realizzato, poiché per gli utenti l’interfaccia è il prodotto.

4.2.1 Interfacce modali

Raskin evidenzia quanto nelle interfacce le modalità siano una

notevole fonte di errore e confusione. Gli errori modali avvengono

per mancanza di familiarità con i comandi, quindi per inesperienza

delle persone o quando l'uso del sistema ha sviluppato dei

comportamenti automatici sbagliati. Un'interfaccia può essere

modale rispetto ad una determinata azione così come non modale per

un’altra. Per comprendere meglio a cosa si riferisca il concetto di

modalità bisogna definire che cosa sia un atto. Un atto fa riferimento

ad una sequenza di azioni che una volta iniziata viene completata in

modo automatico da un individuo. «Dato un qualsiasi atto diciamo

che l'interfaccia si trova in modalità specifica se l'interpretazione di

questo atto è costante».4

4 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 42.

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159

Capitolo 4

Gli errori modali avvengono, quando «lo stato attuale

dell'interfaccia non è il fuoco dell'attenzione dell'utente e

l'interfaccia risponderà all'atto in uno fra più modi possibili a

seconda dello stato attuale del sistema».5 Le opzioni specifiche di un

applicativo nei computer desktop sono un classico esempio di

modalità. Una stessa combinazione di tasti (scorciatoie da tastiera)

può essere usata per avere dei risultati diversi a seconda dello stadio

dell’interfaccia (quindi del programma in esecuzione). Ciò non

consente che ad ogni atto delle persone corrisponda un unico e

costante comportamento del sistema. Anche le personalizzazioni

delegate all'utente o le interfacce adattive rappresentano un classico

esempio di modalità con il vantaggio che queste sono temporanee.

Comunque, non sembra una strategia efficace veder scomparire dei

comandi dai menù o ritrovarsi ad interagire con interfacce diverse a

seconda delle situazioni, poiché ogni minimo cambiamento vanifica

le abitudini d’uso delle persone. Raskin sottolinea come

«personalizzare un menù di un interfaccia richiede agli utenti un

ulteriore compito del tutto estraneo al loro lavoro. Il tempo speso a

imparare e usare le preferenze è tempo quasi sempre sottratto a ciò

che si deve fare».6 Se si pensa poi agli ambienti di lavoro condiviso

(come una rete intranet) permettere ad ogni utente di modificare

5 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 47. 6 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 64.

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160

Progettare l’interazione

un’interfaccia secondo le proprie preferenze, vuol dire non riuscire a

coordinare le attività di collaborazione tra le persone.

Concepire l'interazione in questo modo porta inoltre ad una

stagnazione di modelli esistenti, in cui è necessario suddividere le

interfacce in parti limitate (finestre) riducendo lo stesso ambito

d’azione delle persone. L'atto “g” causa l'azione “a” nella modalità

“A” e l'azione “b” nella modalità “B”; se si è nella modalità “A” e si

vuole compiere l'azione “b”, bisogna come prima cosa riportare

l'interfaccia nella modalità “B” e solo dopo sarà possibile eseguire

l'atto “g” per provocare l’azione “b”.7 Secondo Raskin, i sistemi a

misura d’uomo devono essere costruiti di un unico ambito di azioni;8

ognuno è formato dall'insieme di stati in cui la stessa sequenza di 7 Ad esempio l’editor di testo usato (Microsoft Word) per scrivere questo testo richiede per scegliere uno stile di elenco puntato di aprire dal menù “formato” il comando “elenco puntati e numerati”. Dopo di che appare una finestra per selezionare la categoria di elenco. Se abbiamo cambiato idea, vogliamo aprire un altro documento o crearne uno nuovo, l’interfaccia non risponde più ai comandi, poiché bisogna prima barrare il tasto “OK” nella finestra apparsa per selezionare l’elenco, e solo dopo l’interfaccia consentirà di effettuare ogni altra operazione. 8 J. Raskin, uno degli ideatori del progetto Macintosh ha lanciato nel 1987 il Canon Cat, un computer in cui attraverso comandi cinestetici e modalità d’interazione testuali vengono aboliti alcuni standard di progettazione ancora ricorrenti nei computer desktop. Nelle architetture di sistema l’idea di Raskin è di abbandonare il funzionamento basato su un filesystem gerarchico che condiziona le modalità d’interazione con le persone richiedendone continuamente l’attenzione attiva. Senza la distinzione tra applicazioni e sistema operativo, ad esempio, le persone possono interagire in un unico ambiente di lavoro, in cui svolgere tutte le operazioni senza doversi muovere in finestre diverse dell’interfaccia.

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161

Capitolo 4

azioni ha una uguale interpretazione. Ad esempio la pressione del

tasto comando e della lettera “v” in molti applicativi permette di

copiare gli oggetti. L’operazione ha un’uguale efficacia in diversi

stati dell'interfaccia, (poiché lo stesso atto è eseguito in modo uguale)

per cui si configura come l'ambito di un determinato atto. I

programmi che utilizzano la stessa combinazione per un’operazione

diversa creeranno inevitabilmente un nuovo ambito, dunque

un’ulteriore modalità, poiché l'interpretazione non è più costante

nell’interfaccia. Nei sistemi non modali, invece, ciascun atto

dell'utente porta ad un risultato unico: questa è la caratteristica

essenziale per fare abituare le persone non dovendo più pensare o

pianificare prima di agire sul funzionamento del sistema. Norman

indica tre soluzioni per ridurre al minimo gli errori modali:9

- progettare interfacce senza modalità

- assicurarsi che ogni modalità sia segnalata in modo

specifico (fornire feedback)

- assicurarsi che i comandi usati in ciascuna modalità

siano diversi

Tuttavia nella progettazione di interfacce si pensa ancora in

termini di «compromessi fra facilità di apprendimento e rapidità di

9 D. Norman, Design rules based on analyses of human error, Comunication of ACM, 1983, p. 255.

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162

Progettare l’interazione

esecuzione».10 Tale assunto ha come conseguenza diretta quella di

formulare più modi per eseguire la stessa operazione secondo

dicotomie che ritengono gli utenti bisognosi di interfacce differenti a

seconda del loro grado di esperienza. Agli esperti sono dati strumenti

per pianificare meglio le proprie azioni (modalità top-down); mentre

gli utenti inesperti necessitano di modelli d’interazione che

semplificano l’esecuzione dei compiti (modalità bottom-up); tuttavia

seguendo questa distinzione le interfacce implementano modalità

inutili e diverse funzioni per compiere uno stesso atto.

Queste sembrano essere le maggiori difficoltà rispetto alle

questioni di usabilità, poiché nessun utente sia esso principiante o

esperto è esente da errori modali. Come continua Raskin oltre a non

includere modalità inutili le interfacce dovrebbero tendere alla

monotonicità: «un'interfaccia monotona è quella in cui un dato

risultato può essere ottenuto in un solo modo».11 Questo non

significa che ci sia un’unica soluzione per arrivare a un dato

contenuto ma piuttosto che: «ciascun comando deve essere

invocabile mediante un unico atto [...]. Un interfaccia

completamente non-modale e monotona ha una corrispondenza 1:1

10 S. Card, T. Moran e A. Newell, The psycology of Human Computer Interaction, Lawrence Erlbaum Associates, Hillsdale NJ, 1997, pp. 29-31. 11 I sistemi desktop sono la giustapposizione di almeno due modalità differenti: una basata sulla manipolazione di elementi grafici che utilizza il mouse(drag and drop); l’altra sui comandi presenti nella tastiera. J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 74.

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163

Capitolo 4

fra cause (comandi) ed effetti (operazioni)».12 Solo così l'utente può

sviluppare un grado di fiducia nelle sue abitudini d'uso, per cui

l'interfaccia scompare dalla propria percezione permettendogli di

concentrare ogni energia su ciò che gli interessa.

4.2.2 Progettare per l’errore

Abbiamo visto a proposito degli obiettivi di usabilità, come uno

dei principali standard nella progettazione di interfacce stabilisca di

creare modalità d’interazione in grado di annullare le operazioni

messe in atto dagli utenti. Progettare per l’errore significa fare in

modo che nessuna azione dell’utente abbia un carattere irreversibile

e definitivo. Quando, infatti, non si riesce a porre rimedio a tutti i

bug del sistema dare all’utente almeno la possibilità di annullare le

azioni può essere una soluzione che riesce a limitare i danni.13

Questo è il motivo per cui le interfacce grafiche per svolgere ogni

operazione necessitano di continue conferme. L'idea è che la

richiesta riesca ad attrarre l’attenzione delle persone in

un’operazione potenzialmente pericolosa facendole passare da un

12 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 75. 13 Nel Canon Cat viene introdotto un apposito tasto sulla tastiera in grado di annullare le operazioni chiamato “Redo-Undo”. Come precisa Raskin «gli operatori di annullo e ripetizione sono fondamentali e sufficientemente importanti da meritare un tasto apposito sulla tastiera». Per approfondimenti, J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 120.

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164

Progettare l’interazione

comportamento inconscio ed automatico ad uno stato conscio e

vigile.

Tuttavia la tendenza degli uomini a formare comportamenti

automatici o abitudini è inevitabile, per cui qualsiasi sequenza di

azioni ripetuta diventa automatica. Perciò anche le operazioni che

richiedono di confermare una scelta, diventano se riproposte sempre

nello stesso modo parte di una sequenza automatica. L’abitudine

umana in questo caso vanifica la richiesta di conferma che risulta

solo una complicazione (quindi un’operazione in più) nel corso

dell’interazione. Raskin segnala un metodo più efficace per ovviare a

questi problemi: permettere agli utenti di annullare un comando

sbagliato anche se, nel frattempo, si sono effettuate altre operazioni;

oppure «si può almeno cercare di assicurare che la conferma data

dall’utente non sia automatica».14 Questi meccanismi, infatti, hanno

efficacia solo quando non si presentano mai nello stesso modo

attivando, dunque dei comportamenti consci delle persone che non

possono scaturire, con il passar del tempo, in una risposta prevedibile

ed automatica.15

14 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 24 15 Come spiega Raskin, un messaggio di conferma potrebbe richiedere prima di eseguire l'azione, ad esempio, di individuare la lettera di una determinata parola oppure di risolvere un semplice calcolo matematico. Si devono, cioè, attivare realmente degli stati consci delle persone in una operazione di conferma.

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165

Capitolo 4

Un’altra considerazione importante è da fare sui messaggi

d’errore. I sistemi computazionali forniscono in questi avvisi codici

numerici e stringhe di comando alla maggior parte delle persone

sconosciute. Anche on-line ove l’usabilità è ormai una parola

d’ordine appaiono nei collegamenti ipertestuali mancanti o nei

problemi di comunicazione con i server avvisi inquietanti e

fondamentalmente inutili a capire quali siano le difficoltà. Se un

messaggio non fa a comprendere i problemi tecnici non c’è alcun

bisogno di mostrarlo. Nella pratica accade totalmente il contrario.

Sfogliando la rete web si giunge a pagine con messaggi d’errore in

cui non vi sono neanche collegamenti per tornare indietro facendo

perdere la direzione del percorso. La maggior parte delle persone

avrà come istinto schiacciare il tasto indietro, tuttavia utenti più

inesperti chiuderanno il browser e ricominceranno la ricerca. Nello

stesso modo nelle interfacce WIMP i messaggi d’errore, pur non

dando alcuna informazione rilevante per l’utente ne impediscono

qualsiasi attività, poiché viene visualizzato un modulo in cui bisogna

schiacciare il tasto di conferma.16 Anche in questo caso l’interazione

è penalizzata da intermediazioni inutili che complicano le stesse

attività delle persone non risolvendone i problemi.

16 In proposito Raskin sottolinea come nelle interfacce i messaggi d’errore dovrebbero essere progettati in modo tale che la selezione sia translucida. J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 131.

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166

Progettare l’interazione

4.2.3 Progettare per la conversazione

I sistemi interattivi sviluppano, come già ampliamente

sottolineato, nuove forme di socialità mai riscontrate in altri

strumenti. Posta elettronica, videoconferenze, videotelefonini, chat

room in rete, messaggistica mobile sono tutti esempi di applicazioni

che permettono nuove modalità di interazione sociale tra le persone.

Queste tecnologie sono da considerarsi come parte di un'unica

categoria, cioè strumenti che permettono la comunicazione mediata

dai computer (CMC). Proponiamo una distinzione in base al tipo di

comunicazione supportata; si parla, infatti, di modalità sincrone,

asincrone e di tecnologie CMC in combinazione con altre attività.

Ognuna di queste forme articola in modo diverso le capacità delle

persone e le dinamiche stesse con cui sono eseguite le attività.

- Comunicazione sincronica. Racchiude l’insieme di

tecnologie digitali che consentono di conversare in tempo reale

utilizzando la voce o messaggi di testo. I MUD così come le chat

room e i forum hanno sviluppato meccanismi di conversazione, in

cui è possibile prendere parola e simultaneamente tener traccia delle

conversazioni che avvengono tra altri parlanti.

- Comunicazione asincrona. Comprende le applicazioni

come la posta elettronica, i gruppi di discussione e le conferenze via

computer, in cui l'interazione avviene tra tanti partecipanti dislocati

in posti spazio-temporali diversi. Non si basa su dinamiche

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167

Capitolo 4

immediate di domande e risposta, poiché la comunicazione tra le

persone avviene quando vi è interesse dei partecipanti.

- Tecnologie CMC combinate con altre attività. I

sistemi ambientali in grado di costituire un supporto alle attività di

incontro e ai processi decisionali di gruppo. Le stanze intelligenti, le

aule connesse in rete, le tecnologie integrate negli ambienti, i sistemi

di supporto al lavoro rappresentano strumenti utili a supportare le

discussione attraverso varie forme di comunicazione che consentono

contemporaneamente la partecipazione ad attività differenti.

4.2.4 Progettare per la collaborazione

Accanto a queste tecnologie ormai quotidiane né emergono altre,

come gli ambienti virtuali cooperativi (CVE),17 che rappresentano

dei supporti ai processi di formazione continua grazie a modalità di

connessione on-line (e-learning) e a sistemi di simulazione (realtà

virtuale). Nella realizzazione di sistemi ambientali interattivi è

17 In questi ambienti la comunicazione tra le persone avviene attraverso rappresentazioni grafiche dei partecipanti; l'interazione è regolata dall’associazione tra un avatar e delle caselle di testo attraverso i quali è possibile parlare con altri utenti e muoversi in uno spazio tridimensionale. Queste tecnologie si ispirano ad applicazioni storiche come i MUD (Multi User Dungeon/Dimension/Domain) una categoria di giochi di ruolo eseguiti su Internet da più utenti. Per anni queste applicazioni hanno utilizzato modalità completamente testuali attraverso varie forme di messaggistica per poi adottare soluzioni grafiche fino ad integrare le tecniche di realtà virtuale.

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168

Progettare l’interazione

fondamentale utilizzare dei meccanismi adeguati a favorire il

coordinamento tra le persone. Le principali caratteristiche umane

nelle attività collaborative richiedono di coordinarsi uno con l’altro

utilizzano una serie di convenzioni:

- le comunicazioni verbali e non verbali

- gli orari, i programmi di lavoro, le regole, le convenzioni

- la condivisione di rappresentazioni esterne

A queste caratteristiche sono da aggiungere elementi tecnologici

rilevanti in grado di far agire un gruppo di persone verso un unico

obiettivo comune stabilendo vincoli e peculiarità dei sistemi

informatici da utilizzare come supporto alla collaborazione. Una

questione importante è stabilire convenzioni adeguate per ogni utente

in grado sia di soddisfare le esigenze lavorative delle persone negli

spazi condivisi che di gestire documenti e cartelle di lavoro con

regole definite. Molti di questi aspetti si concretizzano nell’impostare

una serie di priorità d’accesso ai file condivisi. Tali meccanismi

consentono ad utenti diversi di non lavorare simultaneamente sullo

stesso documento generando così dei conflitti all’interno del sistema.

Le procedure necessarie alla gestione del coordinamento

possono risultare però rigide ed intrusive se i controlli sulle attività

vengono svolti dai sistemi in modo troppo centralizzato; in questo

caso ci sarà una scarsa propensione all’utilizzo da parte delle

persone, poiché tali strumenti non ne aumenteranno la produttività.

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169

Capitolo 4

Nel caso contrario adottando soluzioni più flessibili si potrebbero

verificare problemi di scambi e una generale difficoltà nella gestione

dei flussi di comunicazione. Il giusto equilibrio nell'utilizzo di questi

principi è da ricercare, come sempre, nella comprensione delle

attività che gli utenti devono effettuare in modo da fornire tutte le

funzionalità necessarie al raggiungimento dei loro scopi.

4.3 Sviluppare il modello concettuale del prodotto

Dopo aver raccolto una quantità di dati sufficienti, il passo

successivo della progettazione consiste nel formulare il modello

concettuale del prodotto, con cui si intende una descrizione sul

comportamento e sui modi in cui deve presentarsi il sistema per

essere comprensibile agli utenti. Permette di fare una distinzione tra

il funzionamento vero e proprio dell’artefatto, dunque, lo scopo per

cui è stato realizzato e per cui sarà usato e lo stile dell’interazione da

adottare nell’interfaccia.18 Così le decisioni che approfondiscono i

dettagli dello stile sono direttamente influenzate dal modello

concettuale che rappresenta un supporto ad ogni scelta, ponendosi ad

un livello di astrazione più elevato. Come ricordato (vedi 1.5)

18 Secondo Preece, Rogers e Sharp ci sono diversi tipi di stili d’interazione: 1) Command; 2) Speech; 3) Data-entry; 4) Form fill-in; 5) Query; 6) Graphical; 7) Web; 8) Pen; 9) Augmented reality; 10) Gesture and even. Per approfondimenti, http://www.id-book.com/slides_index.htm.

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170

Progettare l’interazione

l’usabilità distingue tre modelli nella progettazione di un prodotto: il

modello concettuale dell'utente (ovvero l'idea che l'utente si fà

dell’oggetto e del suo funzionamento), il modello concettuale del

prodotto (ovvero l’artefatto come sarà nella realtà, dunque, come

funzionerà) e il modello concettuale del progettista (ovvero le idee

possedute da questi a riguardo del funzionamento del sistema, che

trasferisce nel prodotto stesso). Nei processi di interaction design gli

ultimi due dipendono necessariamente dal modello dell’utente. Tale

know-how si ottiene solo con analisi di mercato sul target di

riferimento e di usabilità sui task dei sistemi. Preece, Rogers e Sharp

propongono tre metodi alternativi per sviluppare il modello

concettuale di un prodotto interattivo:

- a partire dalle attività dell’interazione

- impiegando metafore

- utilizzando un paradigma d’interazione

4.4 Modelli basati su attività dell’interazione

I modelli concettuali formulati considerando le attività

dell’interazione adattano il funzionamento del sistema alle

operazioni eseguite dalle persone nell’uso del dispositivo. Come

sottolineano Preece, Rogers e Sharp le principali attività svolte dalle

persone con un artefatto interattivo sono:

- fornire istruzioni

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Capitolo 4

- conversare

- manipolare e navigare

- esplorare e sfogliare

Data la valenza generica ognuna si può presentare in diversi

compiti dell’artefatto manifestandosi in modo combinato per

regolarne il funzionamento. Le attività hanno delle proprietà

specifiche che articolano in maniera differente lo stile

dell’interazione, dunque le logiche stesse delle operazioni umane.

Polillo in proposito fa una distinzione tra:

- scegli e compila (fornire istruzioni)

- parla e ascolta (conversare)

- non dirlo fallo (manipolazione) entra e agisci

(navigazione)

- point and click (sfogliare ed esplorare)

4.4.1 Fornire istruzioni

Questo modello concettuale intende il funzionamento del sistema

come una successione di comandi che l’utente fornisce istruendolo il

sistema su ciò che deve fare. Molti prodotti (videoregistratori,

sistemi hi-fi, macchina da scrivere, computer) sono stati progettati

secondo questa attività generica (premere dei bottoni, inserire dei

parametri, scegliere dai menù, ecc.). È alla base del funzionamento

dei primi sistemi operativi UNIX (figura 4.1) e DOS, così come dei

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172

Progettare l’interazione

primi linguaggi di programmazione di alto livello; la scelta di

un’opzione in un menù a tendina vuol dire fornire istruzioni al

sistema. Anche i moderni palmari che utilizzano pennini ottici si

basano principalmente su tale modello concettuale.19 Il beneficio è di

supportare l’interazione in modo rapido e veloce rispettando gli

obiettivi delle persone che hanno una posizione di comando sul

funzionamento generale del sistema.

19 Polillo in proposito parla del paradigma d’interazione del pen computing. Per approfondimenti, R. Polillo, Il design dell’interazione, in Giovanni Anceschi (a cura di), Il progetto delle interfacce, Milano, Domus Academy, 1993.

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173

Capitolo 4

Sono da utilizzare in tutte quelle procedure in cui le persone

assumono facilmente dei comportamenti da esperto, sviluppando

delle abitudini d’uso consolidate che non richiedono particolari

forme d’aiuto.

4.4.2 Conversare

Considera l’interazione come un processo comunicativo a due

vie in cui non ci si limita a fornire delle istruzioni, ma a dialogare

con il sistema. Grazie alle capacità multimediali odierne e alle

possibilità di connessioni a database in rete sono stati sviluppati

strumenti come i motori di ricerca, i sistemi d'aiuto per fornire

consulenza su argomenti specifici o ancora gli agenti animati20

personaggi antropomorfi in grado di conversare con l'utente.21 Le

possibilità di interagire con interfacce completamente vocali nel web,

così come nei computer, hanno esteso l’accessibilità di molti prodotti

interattivi (figura 4.2). 20 Bob è stato il primo agente d’interfaccia sviluppato dalla Microsoft; dopo questo progetto ne sono susseguiti altri come la graffetta Clippy incorporata a partire dal sistema operativo Windows 98. 21 Uno degli aspetti principali quando si progettano agenti d’interfaccia è come renderli credibili. Una caratteristica fondamentale è di far combaciare la personalità e lo stato d’animo del personaggio con le sue azioni. Come precisano Lester e Stone per credibilità si intende «la misura in cui gli utenti, interagendo con un agente sono portati a credere che abbia opinioni, desideri e personalità proprie» J. Lester e B. Stone, Increasing beliavability in animated pedagocical agent, in Proceedingsof Autonomous Agent, 1997, 16-21.

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174

Progettare l’interazione

Concepire il funzionamento secondo questo modello concettuale

ha il vantaggio di permettere anche agli utenti meno esperti di

interagire in modo familiare non apprendendo alcuna procedura

preliminare. Tuttavia se il controllo sulle attività viene esercitato in

modo troppo centralizzato dal sistema, le persone sentendosi prive di

responsabilità precise perderanno capacità di scelta e di decisione.

Inoltre questo funzionamento pone diversi dubbi sulle capacità dei

sistemi computazionali di emulare le capacità di linguaggio, di

associazioni e di pensiero creativo degli esseri umani (vedi 4.6.7).22

22 Come spiega Zimolong «gli esperti umani applicano principi generali per spiegare un risultato. I sistemi esperti invece si limitano a ripetere parte

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175

Capitolo 4

4.4.3 Manipolare e navigare

La manipolazione di oggetti fisici e la navigazione di spazi sono

attività fondamentali degli esseri umani. Le evoluzioni attuali hanno

consentito di trasportare tali operazioni nei computer attraverso

meccanismi d’interazione che utilizzano oggetti grafici per la

presentazione delle informazioni o che consentono l’esplorazione di

luoghi virtuali. Il modello concettuale, dunque supporta tutte queste

attività. La manipolazione diretta (drag and drop)23 è la modalità di

funzionamento principale delle interfacce WIMP, introdotta già a

partire dal progetto Macintosh. È possibile svolgere tre operazioni

principali sull’oggetto virtuale eliminando nella comunicazione fra

uomo e la macchina l’intermediazione del linguaggio scritto:24

della loro sequenza di concatenazione in avanti o all’indietro, costituita da condizioni del tipo – se allora -per proseguire fino al passaggio successivo. Essi non contengono principi di base che potrebbero essere utilizzati come spiegazione». Per approfondimenti, B. Zimolong, S.Y. Nof, R.E. Elberts e G. Salvendly, On the limits of expert system and engineering models in process control in Behaviour and Information Technology, 1987, p. 15. 23 Il Drag & Drop è una funzione molto utile nei sistemi desktop che permette di spostare direttamente attraverso operazioni come puntamento e trascinamento, file di testo, immagini, cartelle, ecc. È stata introdotta da Ben Schneidermann. 24 Polillo parla in proposito della manipolazione diretta di oggetti grafici nei computer, come l’avvento del paradigma d’interazione ‘non dirlo fallo’ che prende il posto del paradigma ‘scegli e compila’ delle interfacce basate unicamente sulla compilazione testuale di maschere dello schermo. R. Polillo, (op. cit.), 1993.

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Progettare l’interazione

- trascinarlo

- selezionarlo

- aprirlo

Concepire l’interazione secondo questo modello concettuale può

aiutare gli utenti inesperti a svolgere facilmente le proprie attività

manipolando semplicemente elementi grafici. Tuttavia, tali

meccanismi all’aumentare dell’esperienza delle persone nascondono

il reale funzionamento del sistema vincolando le scelte dell’utente.

La navigazione degli spazi virtuali25 (figura 4.3) o della rete web

ha consentito attività impossibili da compiere nel mondo reale, come

teletrasportarsi da un luogo virtuale ad un altro oppure consultare

contemporaneamente l’archivio di dieci biblioteche diverse. Il

principale vantaggio in tali modalità è di consentire facilmente anche

agli utenti meno esperti di capire senza sforzi cognitivi eccessivi

enfatizzando modalità di apprendimento di tipo learning by doing

(imparando facendo). Tuttavia alcuni utenti possono interpretare alla

25 Polillo riferendosi ai sistemi di realtà virtuale parla dell’avvento del paradigma d’interazione ‘entra e agisci’. «Anche se le applicazioni della realtà artificiale per ora sono limitate, le prospettive sono suggestive: dalla telepresenza (la possibilità di muoversi in un ambiente remoto, vedendo ciò che vede una telecamera montata su un robot remoto), alla telemanipolazione (ad esempio, il controllo del braccio di un robot remoto), fino a nuovi prodotti di entertainment (computer games, cinema interattivo)». R. Polillo, (op. cit.), 1993.

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177

Capitolo 4

lettera le convenzioni utilizzate aspettandosi che alcuni eventi

accadano nello stesso modo in cui avvengono nel mondo reale.26

4.4.4 Esplorare e sfogliare

Il modello concettuale è basato sulle attività già ampliamente

radicate nelle persone attraverso i media tradizionali come libri,

riviste, tv, radio, libri, saggi. Molti prodotti interattivi imitano

semplicemente, nelle loro modalità di funzionamento, le strategie di

tali strumenti. Anche i siti o i portali web sono media, in cui è

26 L’espulsione del CD nei computer Apple richiede di trascinare l’icona sul cestino. Tale modalità non è intuitiva e non viene appresa facilmente.

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Progettare l’interazione

possibile leggere una serie di informazioni o sfogliare delle pagine

(figura 4.4).27

Oltre a queste operazioni, però, negli ambienti di rete si forniscono

anche istruzioni (come effettuare un log-in) al sistema o ancora si

conversa (i motori di ricerca).28 Le interfacce grafiche del web si

distinguono da quelle dei prodotti off-line perché non ci sono

27 La navigazione in un ipertesto è consentita da una serie di elementi come testo attivo, immagini attive, bottoni e tabs (linguette). 28 Nello stesso modo l’interfaccia di un browser, pur essendo rivolta ad attività di esplorazione e navigazione di ipertesti, deve implementare campi di testo in cui le persone devono fornire istruzioni al programma (url).

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Capitolo 4

possibilità di presentazione univoche dell’informazione;29 in questi

ambiti, inoltre, cade l’operazione principale del drag and drop cioè il

trascinamento, e si delinea «un nuovo paradigma di manipolazione

diretta, in cui la interazione verso il computer è molto semplificata,

riducendosi alla semplice pressione di bottoni puntati dal mouse».30

Si riscontra la successione di due sole operazioni principali per

l’utente: 31

- selezionare un bottone

- cliccarci sopra

29 Si tratta dello standard WYSIWYG (What You See Is What You Get) utilizzato già dal Macintosh per far corrispondere lo spazio dello schermo al foglio della stampa. Vengono sviluppati i caratteri True Tipe dalla Apple e il programma Adobe TypeManager. Con il tempo il significato dell'acronimo si è esteso per analogia anche ad alcune problematiche nella creazione di pagine web. Il linguaggio HTML presenta evidenti lacune nella presentazione dell’informazioni, poichè il layout delle interfacce è sensibile alle diverse caratteristiche di ogni terminale (sia software come browser, plug-in, che hardware come schermi, accesso alla rete). In questi ultimi anni, sono stati introdotti strumenti come i CSS (Cascading Style Sheets) che hanno in parte sopperito a queste carenze. Tuttavia, la situazione odierna della rete (si pensi al VRML, allo streaming audio/video) richiede protocolli in grado di rispettare sia l’accesso universale all’informazione on-line che le caratteristiche multimediali dei nuovi prodotti/servizi. 30 R. Polillo, (op. cit.). 31 Polillo spiega come «l’uso generalizzato del concetto di bottone suggerisce abbastanza naturalmente la evoluzione dalla metafora della scrivania alla metafora del pannello di controllo: Secondo questa metafora, il video tende ad assomigliare al pannello di un'apparecchiatura elettronica, con pulsanti, interruttori, slider, spie luminose, display numerici». (op. cit.).

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Progettare l’interazione

I vantaggi di questo modello concettuale sono dati dalla

naturalezza del metodo per eseguire le funzionalità desiderate che

rende facilmente fruibili i contenuti attraverso semplici operazioni

accessibili ad ogni persona..

4.5 Modelli basati su metafore d'interfaccia

Un modo alternativo per sviluppare il modello concettuale è di

esprimerlo in termini di metafora d’interfaccia. Le metafore aiutano

l’utente a costruirsi più facilmente un modello sul funzionamento del

sistema. Come spiegano Lackoff e Johnson «la metafora è un tipo di

rappresentazione che può essere considerata alla base del nostro

sistema concettuale e nella misura in cui questa ha un ruolo centrale

nella definizione della nostra realtà quotidiana, il nostro esperire è

essenzialmente metaforico».32 Alla base dei sistemi desktop vi è la

metafora della scrivania33 che organizza ogni compito con

32 G. Lakoff, M. Johnson, Metafore e vita quotidiana, traduzione di P. Violi, Bompiani, Milano 1998, pp. 118-132. 33 «Studiando la evoluzione dell'interfaccia utente, ci si imbatte continuamente in numerose metafore, che sono state di volta in volta utilizzate per creare nuovi artefatti: la metafora del menù ("il video è un menù"); la metafora della scrivania ("il video è il ripiano della scrivania"); la metafora del foglio da disegno ("il video è un foglio da disegno"); la metafora del pannello di controllo ("il video è un pannello di controllo"); la metafora della stanza ("il video è una stanza"); la metafora degli agenti ("i programmi sono agenti"); la metafora dei virus ("programmi-virus infettano programmi sani"), e così via». R. Polillo, (op. cit.).

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181

Capitolo 4

un’architettura uniforme attraverso diversi strumenti (cartelle, file,

finestre, barre dei collegamenti, menù, ecc.). Polillo evidenzia come

«a volte, la metafora sarà interpretata in modo molto libero, altre

volte il software riprodurrà fedelmente "dentro" il calcolatore la

realtà alla quale ci si è ispirati. In quest'ultimo caso, parleremo più

propriamente di mimesi»34. La mimesi suggerisce delle comparazioni

con un oggetto (ad esempio post-it elettronici, foglio di calcolo,

motori di ricerca, ecc.) concentrandosi sui modi in cui funziona.

L’ipotesi di fondo è che se tali artefatti hanno una utilità nel mondo

fisico devono averne altrettanta in quello digitale. Emulare il

funzionamento di un oggetto è un buon modo per concettualizzare

l'interazione a patto che le funzionalità incorporate abbiano una

capacità maggiore rispetto all’originario. I designer cadono invece

spesso nella trappola di replicare fedelmente le caratteristiche senza

pensare a come migliorare le operazioni nei sistemi digitali. In

questo modo il processo di mimesi risulta inefficiente forzando gli

utenti a eseguire le azioni in modo inconsueto ed inappropriato.

Nonostante metafore e mimesi siano efficaci nel semplificare

l’interazione con un sistema interattivo, tra i designer non c’è grande

accordo e si riscontra una certa opposizione al loro impiego per

diverse ragioni:

- provocano conflitti con i principi del design

34 R. Polillo, (op. cit.).

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Progettare l’interazione

- non è possibile comprendere il funzionamento del

sistema al di fuori della metafora

- vi sono traduzioni troppo letterarie di cattivi esempi di

design esistenti

- limitano l’immaginazione dei designer

Norman spiega come le metafore non sono altro che il tentativo

di usare una cosa per rappresentarne un’altra «quanti abbracciando

l’impiego delle metafore offrono un’immagine negativa dello

sviluppo centrato sugli esseri umani».35 L’uso può rivelarsi

appropriato nelle fasi iniziali di apprendimento, tuttavia quando sono

state comprese le capacità principali dell’artefatto è solamente un

impaccio. Come precisa l’autore un modello concettuale chiaro, in

grado di far capire facilmente alle persone il funzionamento del

sistema, non avrà bisogno di alcuna metafora.

4.6 Modelli basati su paradigmi d'interazione

A un livello più generale un’ulteriore possibilità nella

formulazione del modello concettuale è data dall’utilizzo di un

paradigma d’interazione. Con quest’espressione si vuole indicare una

filosofia che stabilisce come concepire la comunicazione tra il

sistema, le persone e gli ambienti in modo specifico. Per molti anni il

35 D. Norman, Il computer invisibile, traduzione di B. Parrella, Milano, Apogeo, 1998, p. 196.

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Capitolo 4

paradigma dominante nello sviluppo di sistemi interattivi è stato

quello delle applicazioni “desktop”. Le evoluzioni odierne nei settori

dell’ITC permettono di concepire il software come una tecnologia

portatile e/o ambientale andando al di là degli schermi e delle

postazioni fisse come supporto canonico della comunicazione uomo-

computer. In tal senso sono emersi prodotti interattivi che estendono

le capacità computazionali agli oggetti fisici ed ai contesti naturali

degli esseri umani. Queste tecnologie non sono usate più per compiti

specifici, ma semplicemente fanno parte delle diverse attività

quotidiane e professionali delle persone.

4.6.1 Desktop

Dagli anni in cui è stata concepita allo Xeroc Parc la metafora

del desktop ha rappresentato anche una concezione su come

progettare l’interazione tra un computer, le persone e gli ambienti. È,

infatti, il periodo in cui si passa dalle workstation ai terminali

home;36 i computer diventano strumenti personali da utilizzare in

casa (figura 4.5); inoltre le GUI rendono accessibili tali dispositivi ad

ogni persona poiché le modalità d’interazione non richiedono più

36 È il passaggio da una cultura ad alto livello tecnologico che si evolve principalmente con obiettivi scientifici basati sull’elaborazione distribuita, il time-sharing, la condivisione dei dati ed il software libero ad una di più basso livello tecnologico con scopi più commerciali basati sull’elaborazione personale, sulle applicazioni mono-utente e gli standard proprietari.

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184

Progettare l’interazione

conoscenze da esperto. Abbiamo evidenziato sotto punti di vista

diversi come il desktop abbia ormai esaurito il suo carattere usabile,

una struttura ormai troppo affine alle logiche di marketing,

interessato ad un ambiente software universale ed iperfunzionale in

grado di svolgere troppe attività, in cui regna il disordine tipico di

una scrivania. Il funzionamento dei sistemi desktop ad interfaccia

WIMP si basa sulla giustapposizione di almeno due interfacce

distinte per l’input dei dati: una che impartisce comandi funzionali

della tastiera, l’altra che manipola gli oggetti grafici mediante il

mouse.

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Capitolo 4

Queste caratteristiche richiedono necessariamente un

funzionamento intrusivo e degli ambiti limitati d’interazione

(finestre), in cui ogni operazione deve essere dichiarata e non può

essere ripresa nel punto in cui è stata lasciata. Nonostante i tanti

paradigmi post-WIMP codificati, la diffusione commerciale è ben

lontana dall’avvenire per le tante ragioni che si sono evidenziate nel

corso del testo.37

4.6.2 Realta virtuale

Un modo di concepire l’interazione in cui la tecnologia stessa,

attraverso rappresentazioni grafiche tridimensionali, crea degli spazi

virtuali a sé stanti e in un certo qual modo sovrapposti al mondo

fisico.38 Le persone interagiscono con oggetti in mondi immersivi

37 Raskin evidenzia i vantaggi del paradigma di navigazione a zoom (ZIP Zooming Interface Paradigm). Come sottolinea l’autore, pur non essendo la panacea di tutti i problemi di navigazione nelle interfacce, rappresenta una soluzione alternativa migliore rispetto alla metafora della scrivania. Prima di tutto perchè viene risolto il problema di aree limitate sullo schermo. «La metafora è quella del volo, e la quota corrisponde al livello di dettaglio con cui osserviamo i contenuti[...]. Lo ZIP non impone nessuna struttura gerarchica o altro al di là della semplice associazione per prossimità spaziale». Per approfondimenti, Raskin, (op. cit.), p. 178. 38 Nell’elaborazione di immagini o animazioni grafiche tradizionali viene fatta molta cura alla qualità visiva dei risultati. I programmi di rendering e di ray tracing utilizzati impiegano molto tempo per elaborare ogni immagine. Nella computer grafica l’utilizzo di più fotogrammi crea delle animazioni. Le persone possono decidere quale sequenza di fotogrammi visualizzare, spostandosi in avanti, ritornando all’inizio, anche se non

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Progettare l’interazione

indossando dei dispositivi come guanti e caschi. Le tecnologie di

realtà virtuale si sono rivelate fondamentali in settori specifici della

formazione professionale stabilendo processi di apprendimento in cui

è possibile simulare condizioni naturali o addirittura impossibili

fisicamente. Ad esempio, i sistemi che aiutano nell’addestramento

dei piloti (figura 4.6).

possono creare alcun evento, poiché tutto è stato programmato già in precedenza. Negli apparecchi di realtà virtuale, invece, la qualità delle immagini è lontana da quella della computer grafica, poiché il sistema le genera in tempo reale. Ciò permette un meccanismo di interazione completamente differente con l’utente, poiché è egli stesso a scegliere il punto di vista, posizionandosi in un qualsiasi spazio, selezionando un oggetto, cambiandone dimensioni, colori, interagendo con l’ambiente interattivo.

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Capitolo 4

In precedenza parlando di tecnologie CVE si è osservato come le

applicazioni sono estese anche ad ambiti più generici per rafforzare

attività di conversazione, collaborazione, entertainment e

apprendimento on-line. In tal senso, le possibilità sono legate al

protocollo di comunicazione in rete VRML (Virtual Reality

Modeling Language, a volte letto come vermal) un formato file

progettato per l’impiego sul World Wide Web in grado di

rappresentare grafica vettoriale 3D interattiva.39

4.6.3 Ubiquitous Computing

Con l’espressione ubiquitous computing si intendono diversi

aspetti: prima di tutto, la pervasività dei sistemi di offrire

elaborazione locale; in secondo luogo la presenza di funzionalità

digitali in oggetti quotidiani; infine, la possibilità di accedere in

ambienti intelligenti con capacità elaborative e comunicative

distribuite per soddisfare ogni necessità delle persone.40 Il termine è

39 Il formato file adottato è un semplice file testuale dove possono essere specificati poligoni 3D definendo vertici e spigoli insieme con il colore della superficie, texture, brillantezza, trasparenza, ecc. desiderati. I file VRML sono comunemente chiamati world (mondi) ed adottano l'estensione wrl. Per migliorare le performance di trasmissione, i file sono spesso mantenuti compressi utilizzando gzip. Ad oggi, però, i web browser non supportano nativamente VRML e per fruirne occorre utilizzare appositi plug-in. 40 A metà degli anni Novanta la presenza di migliaia di PC agganciati a Internet, inoperosi per gran parte del tempo, ha dato l’idea di utilizzarli per

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Progettare l’interazione

stato introdotto da Weiser nei primi anni Novanta per descrivere le

tecnologie che scompaiono negli ambienti. Come spiega Weiser gli

artefatti interattivi esistenti (sistemi multimediali, strumenti di realtà

virtuale, ecc.) non permettono di concepire l’interazione in questo

modo, poiché le persone sono costrette a focalizzare continuamente

la loro attenzione sulle rappresentazioni dello schermo (bottoni,

menù, ecc.), oppure devono muoversi in ambienti simulati

manipolando oggetti virtuali. L’ubiquitous computing, più che creare

dei mondi artificiali in cui svolgere le operazioni, prevede di

realizzare oggetti in grado di integrarsi nel mondo fisico potenziando

la realtà delle attività che già esistono (figura 4.7).

Weiser sottolinea come «l'ubiquitos computing non produrrà

nulla di fondamentalmente nuovo, ma rendendo ogni cosa più veloce

e semplice da svolgere, con meno sforzo e ginnastica mentale,

trasformerà tutto ciò che è possibile trasformare».41 La crescita dei

software nelle loro capacità elaborative e comunicative, le possibilità

di minaturizzazione legate alle ricerche sulle nanotecnologie,

consentono di implementare chip in qualunque oggetto creando

ambienti in cui l’intelligenza è locale.

effettuare elaborazioni distribuite: nasceva SETI@home; era il luglio del 1996, la data che può essere considerata come la nascita di una elaborazione massicciamente distribuita. I calcolatori connessi erano centinaia di migliaia e la capacità elaborativa superava quella dei più grandi supercomputer. 41 M. Weiser, Ubiquitous Computing, http://www.ubiqui.com/hypertext/ weiser/UbiHome.html, 2002.

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Capitolo 4

Si pensi alla diffusione degli infodomestici,42 oggetti che abbinano

specifiche funzionalità dei computer ad attività quotidiane delle

persone;43 o ancora agli sviluppi delle reti wireless che estendono le

42 Esempi sono il frigorifero che conosce i bisogni alimentari degli utenti e programma la spesa, l'armadietto dei medicinali che sa quali medicine sono necessarie e segnala quelle scadute, il letto che si adegua alla stagione e ai desideri e alle caratteristiche fisiche di chi lo occupa. 43 La Ariston ha messo sul mercato Margherita, una lavatrice che possiede un computer all’interno. È possibile programmare i vari lavaggi, così come collegarla a reti LAN domestiche per dialogare con altri smart device della casa, o ancora ricevere ed inviare e-mail.

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Progettare l’interazione

possibilità di connessioni in zone urbane creando nuovi flussi di

comunicazione tra vari terminali intelligenti.44

4.6.4 Tangible bits, realtà aumentata e integrazione fisico virtuale

Il paradigma rappresenta una prospettiva più specifica all’interno

delle ricerche sull’ubiquitous computing che concettualizza

l'interazione in modo totalmente speculare rispetto alla realtà virtuale

pur essendone affini i presupposti.45 Piuttosto che creare mondi

immersivi bisogna sviluppare strumenti in grado di combinare

l'informazione digitale negli oggetti fisici. Al MIT (Massachussets

Institute Technology) Hiroshi Ishii, direttore del Media Lab,

44 Rheingold osserva che se un utente non indossa occhiali magici ma accede osservando lo schermo di un palmare o di un telefonino gli ambiente possono essere costruiti con componenti già disponibili nel mercato. “Incominciamo così ad uscire dal mondo futuribile e a entrare nel ciclo produttivo. (op. cit.), 2002. 45 I primi dispositivi di realtà virtuale di Sutherland si basano su una tecnologia di sensori e visori da indossare con caratteristiche evidentemente intrusive. Krueger arriva a sviluppare qualche anno dopo realtà ambientali non immersive coniando il termine Realtà Artificiale (RA). I sistemi di Krueger nascono da una volontà artistica il cui obiettivo era duplice: da un lato creare strumenti per un interazione creativa (quindi grafica) con il computer dall’altro integrare la computer grafica nei media audiovisivi come televisione e cinema. Videoplace era una tecnologia ambientale nel senso che si poteva sperimentarla senza indossare strumenti speciali; l’interazione avveniva mediante la proiezione dell’immagine dell’utente. All’immersione in un mondo virtuale si sostituisce la proiezione di un alter ego su uno schermo.

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Capitolo 4

introduce l’idea di “bit tangibili”.46 Ishii si riferisce alle possibilità di

abbandonare modi tradizionali di lavorare con i computer come

cliccare icone sugli schermi per passare invece alla manipolazione di

oggetti tangibili presenti nei contesti d’uso. Vengono definite

“phicons” (icone fisiche) e coniugano l’utilizzo concreto di un

artefatto fisico con le capacità digitali.47

All'interno del paradigma si collocano anche le ricerche della

realtà aumentata, studi fondamentali nella realizzazione di stanze

intelligenti (attentive environment) in cui si sovrappongono

informazioni virtuali alla normale percezione dell'ambiente reale. Il

risultato è che contenuti reali e virtuali coesistono (figura 4.8). Ciò

che Negroponte definisce il matrimonio tra bit ed atomi è già realtà

al Physics Media Group nelle ricerche di Gershenfeld che ha ideato

una rete auto-organizzata di sensori e computer così miniaturizzata

da poter essere dipinta letteralmente su una qualsiasi superficie.48

46 Per approfondimenti, H. Ishii, B. Ullmer, Tangible bits: towards seamless interface between people, bits and atom, in Proceedings of CHI, 1993, pp. 234-241. 47 Rekimoto direttore dell’Interaction Lab, dipartimento del Computer Science Laborator della Sony, ha introdotto un metodo alternativo di interazione rispetto al drag and drop. Si tratta del “pick and drop”, utilizzata per spostare elementi da un computer ad un altro, mediante una penna (bastoncino), schermi interattivi e connessioni tra terminali. Rekimoto ha definito questo approccio “chopstick metaphor” (metafora del bastoncino cinese). 48 Il prototipo presentato è formato da migliaia di copie di un singolo circuito ognuno della misura di un granello di sabbia che contiene un

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Progettare l’interazione

4.6.5 Pervasive computing

Le persone interagiscono in ogni momento e luogo con dati ed

informazioni in ambienti intelligenti. Se i sistemi di realtà virtuale

sfruttano le potenzialità di elaborazione grafica dei computer creando

spazi in cui tutto è interfaccia le tecnologie basate su smart devices,

telefonini, sistemi GPS si evolvono a partire dalle capacità di

comunicazione continua e posizionamento globale.49 Rheingold

osserva come «l'affermarsi dell'informatica pervasiva [...] sta

microprocessore, la memoria e un ricetrasmittente senza fili in quadratini di quattro millimetri per ogni lato. I circuiti sono distribuiti uniformemente in una sostanza semivischiosa ed applicabili ad ogni materiale. 49 Si pensi ai sistemi GPS che sono capaci di rilevare la propria posizione tramite satellite con un grande accuratezza di dieci-qundici metri.

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Capitolo 4

iniziando a trasformare i telefoni odierni nei telecomandi della vita

[...] le tecnologie pervasive portano con sé il potere della

elaborazione e della comunicazione».50 CoolTown è l’esperimento

della Hewlett Packard costruito intorno al web come mezzo

universale di integrazione tra il mondo fisico e quello virtuale. I

ricercatori attraverso etichette identificative per radio frequenze

(RFID),51 collegamenti internet senza fili, web server su chip,

telefonini, palmari, smart device hanno creato un ecosistema di

oggetti presenti in rete che fa comunicare le persone in luoghi

fisicamente diversi permettendogli di accedere ad informazioni

immagazzinate nei database e consultabili direttamente da ogni

terminale (figura 4.9). Mentre l’ambiente naturale diventa

intelligente acquisendo capacità di rilevare, ricevere e trasmettere

informazioni lo strumento interattivo si evolve da portatile ad

indossabile.

50 H. Rheingold, Smart mobs, traduzione di S. Garassini, Milano, Raffaela Cortina Editore, 2002, p. 185. 51 RFID significa Radio Frequency Identification ed è uno dei sistemi di comunicazione d'avanguardia per riconoscere qualsiasi oggetto che si muove nel raggio d'azione del dispositivo di lettura, purché dotato di una "etichetta intelligente" (smart tag). Per un’approfondimento vedi http://en.wikipedia.org/wiki/RFID.

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Progettare l’interazione

4.6.6 Wearable computing

Il paradigma nasce all’interno delle ricerche della realtà

aumentata, tuttavia l’interazione non avviene più in contesti

determinati, poiché gli strumenti digitali sono indossabili. Al MIT

sono stati presentati vestiti che grazie a piccoli chip interni diventano

multifunzionali: regolano la temperatura del corpo, registrano i

movimenti, riconoscono le persone, si illuminano di notte. Non si

tratta esclusivamente di moda, ma delle possibilità di rendere gli

esseri umani più efficienti attraverso l’utilizzo di strumenti

interattivi. Gershenfeld evidenza come le necessità di computer

indossabili sono dovute a tre fattori: il desiderio delle persone di

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Capitolo 4

aumentare le proprie facoltà, una crescente capacità tecnologica di

indossare i computer negli abiti grazie alle nanotecnologie e la

richiesta industriale di spostare l’interazione dai computer alle

persone.52 Secondo Pentland, i potenziali utenti dei computer da

passeggio sono ovunque: «sono essenziali a tutti coloro che devono

svolgere mansioni importanti in cui servono tutte e due le mani, il

problema con i computer normali è che bisogna sedersi e usare una

tastiera».53 Mann pensa che i computer indossabili non affermeranno

il potere dell’informatica pervasiva ma saranno il mezzo per

preservarci da essa.54 Le tecnologie digitali odierne, infatti,

bombardano le persone di suoni ed immagini commerciali non

52 Si pensi alle possibilità di accedere alle informazioni attraverso la personal identification (impronte digitali, riconoscimento dell’iride e della retina, riconoscimento vocale, ecc.) 53 R. Pentland, per un approfondimento si veda http://www.mediamente. rai. it/docs/ approfondimenti/ 001113 _01.asp. 54 Mann professore al MIT nei primi anni Novanta ha proposto un computer indossabile con caratteristiche multimediali che si connette in rete ed in grado di ricevere e-mail. Il WearComp 1 con videocamere e computer che filtrano e rielaborano immagini permette in tempo reale di aggiungere o sottrarre elementi al mondo circostante. Tali modalità unite alle possibilità di connettersi in rete senza fili hanno consentito a Mann di essere il primo cyborg della rete, capace di trasmettere sul web tutto ciò che osservava con le telecamere del suo dispositivo. La diffusione di media pervasivi solleva questioni etiche circa il potere ed il controllo su questi artefatti che sono soprattutto tecnologie di sorveglianza. Una delle questioni più importanti, già emersa in questi anni nel web, è il problema della privacy e quindi di come tutelare le persone dall'utilizzo di strumenti che sono particolarmente sensibili alla posizione e alla diffusione di informazioni personali.

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196

Progettare l’interazione

richieste con l’unico scopo di spingerli verso il consumo di un

prodotto o servizio;55 «questo accerchiamento da parte di messaggi

commerciali può essere ribaltato soltanto usando la tecnologia

personale».56

4.6.8 Affective computing

L’approccio trae le sue origini dalle ricerche effettuate negli

ambiti dell’intelligenza artificiale e dell’artificial life.57 Come spiega

Negroponte «la sfida che bisognerà vincere nei prossimi anni è dare

agli utenti non schermi più grandi, miglior qualità di suono e di

immagine o dispositivi di input grafico più semplici, ma, computer in

grado di conoscerci e dare risposte intelligenti, come un vero

assistente umano. Non bisogna chiedersi cosa potrebbe rendere più

facile l’uso del computer da parte dell’uomo, ma come poter rendere

più facile al computer l’interazione con l’uomo».58

Queste prospettive aprono grossi interrogativi sul modo in cui i

sistemi computazionali possono emulare i comportamenti degli

55 Per approfondimenti, S. Mann, Smarth clothing: weareable multimedia computing and personal imaging to restore technological balance between peopele and their environment, in Proceedings of CHI, 1996, pp. 163-174. 56 S. Mann, http://wearcam.org/hi/index.html. 57 Uno dei primi approcci alla Intelligenza Artificiale è stato quello delle reti neurali artificiali, un modello computazione basato sull’emulazione della struttura fisica del cervello umano. 58 N. Negroponte, Essere digitali, Sperling & Kupfer, 1999, p. 5.

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197

Capitolo 4

esseri umani manifestandoli nelle modalità più appropriate. Uno dei

primi strumenti fu Eliza, un semplice programma per computer

sviluppato negli anni Sessanta al MIT da Weizenbaum che

rispondeva in linguaggio naturale ad alcuni quesiti posti

dall’utente.59 Le evoluzioni delle capacità computazionali e le

ricerche negli ambiti della robotica60 hanno permesso di realizzare

robot intelligenti in grado di imitare caratteristiche fisiche ed

intellettive dell’uomo. La robotica è una disciplina vastissima emersa

già dai primi del Novecento, quando i robot furono utilizzati nei

processi industriali; da allora le sue evoluzioni sono state legate a

quelle dell'informatica, dell'elettronica e della meccanica, ed oggi

agli albori delle nuove tecnologie, rappresenta un settore che opera

sempre più a stretto contatto con gli esseri umani sviluppando

strumenti per attività quotidiane. Macchine come Kismet,61 robot

maggiordomi, robot animali (vedi figura 4.10) non sono ancora

59 Questa applicazione operava sulla base di una serie di script conversazionali preparati in precedenza dal programmatore e non aveva alcuna comprensione del linguaggio e quindi rispondeva esclusivamente secondo i modelli conversazionali immagazzinati. Per approfondimenti, J. Weizenbaum, “ELIZA - A Computer Program For the Study of Natural Language Communication Between Man And Machine”, Communications of th ACM, Vol.9, n.1, Gennaio 1966, pp. 36-45. 60 In un clima di euforia tecnologica, Asimov propone negli anni settanta le tre famose leggi universali della robotica che avrebbero stabilito i principi dell’esistenza tra queste macchine e gli esseri umani. 61 Per approfondimenti, http://www.ai.mit.edu/projects/humanoid-robotics-group/kismet/kismet.html

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198

Progettare l’interazione

oggetti domestici, tuttavia si prevede che nei prossimi anni saranno

sempre più diffusi e quotidiani. Dovranno essere capaci di esprimere

informazioni in modo tale che la gente li capisca a partire dai

movimenti corporei e dalle espressioni facciali.62

4.7 Elementi concreti delle interfacce

Mentre si prendono decisioni sulla natura delle attività da

strutturare nel sistema si organizzano anche gli elementi fisici delle

interfacce. Un chiaro modello concettuale indica le sue funzionalità

62 Come spiega Norman: «I robot avranno bisogno di emozioni per gli stessi motivi per cui né hanno bisogno le persone: il sistema emozionale umano svolge un ruolo essenziale per la sopravvivenza, per l’interazione sociale e la cooperazione e per l’apprendimento». D. Norman, Emotional Design, Apogeo, Milano, 2004, p. 162.

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199

Capitolo 4

in modo univoco, dunque delinea naturalmente le modalità

d’interazione. Tuttavia, in questo momento, bisogna risolvere

questioni più pragmatiche legate alle caratteristiche dei progetti

specifici. La realizzazione fisica dell’interfaccia prevede molti cicli

di design e re-design e si evolve con la formulazione di una guida di

stile che approfondisce i dettagli del look and feel individuando

elementi come suoni, colori, forme, immagini ed organizzazione

degli oggetti. Durante queste fasi è verificato continuamente se il

modello concettuale predisposto funziona come pensavano i team di

sviluppo/design. Per realizzazione il layout di un’interfaccia grafica i

dati emersi dall’analisi dei task vengono trasformati in singole

schermate in modo che ogni task e sotto-task abbia una propria

visualizzazione. Ogni compito è eseguito attraverso una serie di

elementi; concludiamo evidenziando quelli più ricorrenti nelle

interfacce degli artefatti interattivi.

4.7.1 Comandi

Nell’interfaccia fisica di una tastiera i comandi sono contenuti in

pulsanti o tasti; in quelle grafiche vengono collocate nei menù

(figura 4.11).

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200

Progettare l’interazione

In entrambi i casi i comandi pongono il problema

dell’etichettatura ovvero di come implementare un’azione, cioè la

funzionalità ad un oggetto, dunque l’elemento da manipolare per

ottenerla. Raskin spiega come le più importanti linee guida

specificano due modi: scegliere l’azione e selezionare l’oggetto

oppure scegliere l’oggetto e poi l’azione. «A causa del modo in cui è

realizzata la maggioranza delle interfacce la situazione non è

simmetrica e l’ordine di esecuzione determina una grossa differenza

in termini di usabilità».63 Il paradigma verbo-nome (azione-oggetto)

introduce una modalità; ossia una volta scelto il comando questo

63 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 66.

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201

Capitolo 4

avrà effetto sulle prossime selezioni. Con il paradigma nome-verbo

(oggetto-azione) i comandi sono eseguiti nello stesso momento in cui

sono scelti. Inoltre, la forma verbo-nome necessita di un ulteriore

comando che interrompe l’azione. «Il paradigma nome-verbo, invece

non ha questo problema: se la selezione che abbiamo fatto non è

quella che intendiamo, basta che ne facciamo un’altra».64

Negli infodomestici, così come nei computer tradizionali, alcuni

comandi sono eseguiti attraverso la pressione contemporanea di un

tasto funzionale (ctrl, alt, tasto menù, freccette, ecc.) e di un’altro,

cioè, attraverso delle modalità cinestetiche. Gli errori modali di

molte interfacce possono essere eliminati attraverso i quasi modo,

modalità cinestetiche temporanee.65 Tuttavia, un loro eccessivo

utilizzo può portare a delle convenzioni assurde che costringono a

ricordare una serie infinita di tasti (come le combinazioni di ogni

applicativo software). Come spiega Raskin i sistemi interattivi

richiedono due tipi di input: quelli adatti a creare contenuti (testo,

immagini, video) e quelli rivolti a gestire il sistema in queste

operazioni (formattare il testo, selezionare il pennello, cambiare

64 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 67. 65 I quasi modo sono operazioni che richiedono di tener premuto un tasto in combinazione con un’altro per eseguire una data funzione (ad esempio schiacciare shift più un tasto per avere la lettera maiuscola). Il Canon Cat ideato da Raskin conteneva sulla tastiera dei tasti funzione come ad esempio “USE FONT” che tenuto premuto in combinazione con il tasto “STYLE” permette di formattare il testo in ogni parte del sistema.

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202

Progettare l’interazione

angolo di visualizzazione). I quasi modo devono essere riservati

esclusivamente alle operazioni sul controllo del sistema.

4.7.2 Pulsanti, interruttori, bottoni

I pulsanti sono elementi fisici o cognitivi che premuti eseguono

determinate funzionalità. Molte interfacce sono progettate in modo

tale che un singolo pulsante svolga molteplici operazioni; si pensi al

tasto “blocco/maiuscolo” dei computer, (interruttore a tasto che

agisce con meccanismi di tipo on/off),66 una funzione che per come è

stata implementata provoca molte problematiche.67 Un interruttore a

tasto determina infatti un errore modale, poiché l’utente concentrato

sulle proprie attività deve prestare attenzione allo stato attuale del

sistema non ricavandone alcuna feedback indicativo.

66 Un interruttore del genere implica che ad ogni pressione l’etichettatura del testo cambia, poiché è cambiata l’azione associata all’oggetto, tuttavia, viene inevitabilmente visualizzata l’opzione deselezionata. Si pensi all’interruttore “blocca/sblocca” del mio programma firewall. Se schiaccio il tasto per bloccare l’accesso al web la casella di spunta mi visualizza la scritta sblocca. Questo meccanismo costringe a fare continua attenzione allo stato del sistema, poiché non da informazione di ritorno rilevanti, per capire attualmente quale sia quello attuale. 67 Il fuoco d’attenzione è concentrato sulla scrittura per cui non ha senso utilizzare un interruttore a tasto. Sarebbe più adeguato utilizzare due tasti specifici. Inoltre il led che si illumina che dovrebbe fornire un feedback all’utente, è inutile poiché non è notato dalle persone che sono concentrate invece sulle loro attività.

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203

Capitolo 4

Raskin osserva le peculiarità dei bottoni radio (che prevedono

una casella di selezione) e suggerisce come nelle interfacce grafiche

«bisogna sempre usare bottoni radio e non interruttori a tasto;

questi ultimi vanno bene solo se lo stato controllato dall’interruttore

è il nostro fuoco dell’attenzione ed è visibile, oppure è nella

memoria a breve termine».68 I bottoni radio forniscono informazioni

di ritorno all’utente facilmente comprensibili (feedback).

4.7.3 Finestre

Alan Kay allo Xeroc Parc propose il paradigma delle finestre per

le interfacce grafiche dei computer con l’idea di sviluppare spazi

manipolabili negli schermi e sovrapponibili. Riprendono l’idea delle

maschere utilizzate nei primi software aziendali per compilare i

moduli di un documento campo per campo; tuttavia, le finestre

hanno permesso a più programmi di essere visibili e accessibili in

modo indipendente, spianando la strada per i sistemi multitasking.

(figura 4.12). Così i software hanno avuto la capacità di

concettualizzare una serie di spazi di attività in cui svolgere più

operazioni in parallelo (vedi 2.5.2). Con lo sviluppo dell’interfaccia

WIMP le finestre sono diventate lo standard d’interazione facilitando

68 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 44.

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204

Progettare l’interazione

alcune operazioni, ma non risolvendo a pieno le problematiche

principali dei sistemi interattivi odierni.69

Come spiega Raskin l’approccio originario era di eliminare il

concetto stesso di applicazione, in modo da non fare più distinzione

tra ambiente operativo ed ambiente applicativo del software. Tutto

ciò che si è ottenuto, invece, è di aver reso più visibile il sistema.

69 Anche i dispositivi di realtà virtuale utilizzano rappresentazioni come le finestre per visualizzare una serie di informazioni, statistiche e dati mentre si eseguono altre attività.

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205

Capitolo 4

4.7.4 Icone

Le icone rappresentano un metodo per semplificazione

l’apprendimento delle principali funzionalità dell’interfaccia (figura

4.13). Spesso l’uso delle icone vincola i progettisti a ragionare in

termini grafici, un modo che induce a implementare operazioni sulla

rappresentazione anziché sulle funzionalità. Le linee guida del

progetto Macintosh affermavano «le icone possono dare un grosso

contributo e all’attrattività di un’applicazione. [...] Ogni volta che

sembra necessario ricorrere ad una etichetta o a una spiegazione

considerate invece la possibilità di usare un’icona al posto del

testo».70 Tuttavia, l’utilizzo di icone che sono essenzialmente delle

metafore, dunque oggetti utilizzati per rappresentare qualcos’altro

non sono sempre comprensibili, anzi sono proprio loro spesso a

dover essere spiegate.

70 Apple Computer Co., Human Interface Guidelines: the Apple Desktop Interface, Harlow, Addison-Wesley, 1987, p. 32.

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206

Progettare l’interazione

L’uso delle icone nelle interfacce viene sostenuto dalle capacità

di essere indipendenti dal linguaggio, ma tali supposizioni sono

facilmente contestabili, poiché questi elementi non sono affatto

immuni ai contesti culturali. Come afferma Raskin «le icone

incredibilmente violano il principio della visibilità perché il loro

stesso significato non è visibile».71 Se, infatti, non si è in grado di

capire a cosa serve un determinato oggetto sullo schermo

l’interfaccia sarà inappropriata rispetto al principio della visibilità

(vedi 5.4.1).

71 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 202.

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207

Capitolo 4

4.7.5 Strumenti di ricerca

Consentono di accedere ad informazioni e dati memorizzati nel

sistema sorvolando i tradizionali metodi di interazione delle

interfacce (menù, bottoni, icone, finestre). Gli strumenti di ricerca

sono stati integrati come un’ulteriore funzionalità nell’architettura

desktop. Tali modalità, tuttavia, non richiedono più una

presentazione strutturata nell’interfaccia di tipo grafico in quanto gli

strumenti di ricerca possono da soli bastare a regolare l’interazione

con l’utente.72 Raskin, nel libro Interfacce a misura d’uomo,

propone un’interfaccia regolata dalla metafora dello zoom per

ovviare ai problemi dei sistemi desktop (vedi 4.6.1); dagli stessi

presupposti anche se con modalità diverse, l’applicazione proposta

nella sezione sperimentale (vedi 6.11) è basato esclusivamente sul

funzionamento di un motore di ricerca per le attività di interazione

con l’utente, poiché un modo «per riuscire a dare un’interfaccia a

misura d’uomo a computer e infodomestici è di assicurarsi che,

ovunque si possa inserire o manipolare del testo».73 Si pensi agli

infodomestici dotati di piccoli schermi in cui non c’è bisogno di

convenzioni complesse ed articolate come quelle della metafora della

scrivania, quanto di trovare facilmente file memorizzati o e-mail

72 Questo approccio sarà applicato concretamente all’interfaccia del progetto per l’università La Sapienza, facolta di Scienze della Comunicazione di Roma (vedi VI° capitolo). 73 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 114.

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208

Progettare l’interazione

ricevute attraverso un nuovo modo di invocare i comandi. Come

osserva Raskin, bisogna creare un ambiente d’interazione univoco in

cui svolgere tutte le attività in cui non ci siano distinzioni tra parti

limitate delle interfacce. Così i comandi non saranno più selezionati

dai menù o dalle barre di navigazione per essere poi schiacciati, ma

invocati direttamente attraverso una parola scritta e la battitura di un

tasto funzione. Ciò non significa abbandonare le possibilità di

strutturare le informazioni o limitare le capacità multimediali dei

sistemi, piuttosto, rendere più semplice l’interazione non

visualizzando elementi inutili. Il funzionamento di un sistema di

ricerca può portare, se emergesse la necessità, a documenti in cui

elencare tutti i comandi. Un piccolo modulo per inserire il testo da

ricercare, un ambiente con tutte le funzionalità disponibili ed uno

spazio ampio dello schermo ove modificare qualsiasi tipo di file

(testo, audio, immagini, video, ecc.) eliminano il problema della

suddivisione delle interfacce in parti limitate (finestre) e della

collocazione spaziale dei comandi (menù). Il normale spazio

utilizzato da una pagina di testo74 per leggere una e-mail può

visualizzare anche l’elenco di tutti comandi del sistema. Come

osserva Raskin «questo nuovo metodo dovrà essere non solo rapido

e cinesteticamente semplice ma dovrà permettere la ricerca di un

74 Non si tratta di cliccare una finestra, di scegliere da un menù a tendina o di selezionare un’opzione dalla barra dei collegamenti, ma di visualizzare una normale pagina di un foglio di lavoro.

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209

Capitolo 4

comando in modo più facile e immediato rispetto a un sistema

basato su menù».75

75 Come precisa Raskin «Adottare convenzioni che non corrispondono a quelle del linguaggio umano rende i computer innaturali da usare. Non sono le nostre convenzioni linguistiche a dover cambiare per essere più semplici da programmare, è il computer che deve essere costretto a lavorare a modo nostro» J. Raskin, (op. cit.), 2004, pp. 123-127.

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211

Capitolo 5

Tecniche del processo U.C.D.

5.1 Introduzione

Le prime metodologie utilizzate nei processi di progettazione

centrati sull’utente hanno privilegiato inizialmente metodi e criteri

provenienti dagli ambiti della ricerca sperimentale. Nei primi anni

Ottanta le influenze della psicologia di stampo behaviorista portano

ad approcci in cui l’usabilità dei sistemi è stimata principalmente

attraverso la misurazione delle performance degli utenti in

riferimento a precisi task da eseguire. I flussi di sviluppo dei prodotti

poggiavano su inferenze di natura quantitativa, per cui le

informazioni ricavate erano applicate ad ampie cerchie di persone

come verità universali senza alcuna revisione critica. Le tecniche,

però, non fornivano alcun dato sui diversi contesti di fruizione,

dunque sul modo in cui realmente erano svolte le attività dalle

persone, poiché gli utenti interagivano in ambienti artificiali di

laboratorio.

Negli anni Novanta la tendenza si è andata via via affievolendo

dato e sono emerse metodologie di progettazione con una sensibilità

sempre maggiore ai contesti sociali (scenari). Alle tecniche

quantitative, sono stati affiancati metodi qualitativi che analizzano

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212

Tecniche del processo U.C.D.

l’usabilità dei sistemi in funzione dei diversi scenari d’uso, dunque

delle caratteristiche sociali e culturali in cui i software si vanno a

collocare. Ciò ha consentito di spostare il focus della progettazione

dall’individuo in sé ai contesti in cui avviene l’interazione.

5.2 Tecniche per comprendere i bisogni degli utenti

Nella figura 5.1 sono descritti i diversi modi con cui si possono

analizzare le necessità degli utenti.

Lo scopo delle tecniche è ottenere quante più informazioni possibili

circa le persone, la natura del loro lavoro e i contesti delle attività, in

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213

Capitolo 5

modo tale che il modello concettuale possa sostenere le persone nel

raggiungimento dei loro obiettivi. La comprensione dei bisogni è

un’attività che si protrae per tutto il corso della progettazione

intrecciandosi alle operazioni di specificazione dei requisiti.

5.2.1 Interviste

Come precisano Kahn e Cannell1 si può pensare alle interviste

come a “conversazioni finalizzate ad uno scopo”. In genere, con le

interviste si ricavano una grande quantità di dati (audio, video)

utilizzando diversi supporti (registrazioni audio, video, annotazioni,

ecc.). La scelta tra i diversi metodi con cui condurre un’intervista è

determinata dagli obiettivi preposti sin dall’inizio della progettazione

e dalle tecniche utilizzate per la raccolta, l’interpretazione e l’analisi

dei dati. Nelle metodologie delle scienze sociali si usa fare una

distinzione principalmente tra quattro tipi di interviste:

- Aperte. Le domande poste dall'intervistatore hanno un

contenuto ed una forma di risposta non predeterminata; tuttavia le

questioni poste sono specifiche, per cui la risposta non può che

essere attinente agli argomenti; le interviste aperte stabiliscono un

1 R. Kahn, C. Cannel, The dinamics of interviewing, New York, John Wiley & sons, 1957.

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214

Tecniche del processo U.C.D.

dialogo asimmetrico, in cui nonostante non vi siano procedure

formali la direzione della conversazione è già predeterminata;

- Strutturate. Utilizzano una lista di domande predefinite

simili a quelle di un questionario; le domande sono brevi e ben

formulate e richiedono la scelta tra determinate opzioni; le interviste

strutturate impongono una forma di conversazione esplicitamente

asimmetrica in cui la direzione della comunicazione è formale con

contenuti strutturati e poche possibilità di scelta;

- Semi-strutturate. Prevedono risposte di tipo “aperte” e

“chiuse”; le interviste semistrutturate sono una forma intermedia che

coniuga funzionalità specifiche di ognuna delle tecniche analizzate in

precedenza. Hanno un alto grado di versatilità implementando sia

metodi di conversazioni formali che altri più liberi.

- Di gruppo. Si distinguono per l’adozione di forme di

conversazione prive di una forma e/o direzione specifica, in cui la

discussione avviene liberamente e secondo l’interesse delle persone.

La discussione è simmetrica senza contenuti prestabiliti e si evolve a

partire dalle questioni considerate al momento.

È facilmente comprensibile come le categorie descritte si

distinguono sostanzialmente per il diverso grado di controllo che i

team di lavoro esercitano sulle informazioni da ottenere. Mentre le

prime tre tipologie prevedono delle modalità in cui l’intervistatore

impone una direzione predefinita alla conversazione, le interviste di

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215

Capitolo 5

gruppo non necessitano di alcuna gestione, poiché coordinamento e

collaborazione sono fondamentali al fine di ottenere tutti i dati

necessari.

5.2.2 Questionari

Sono lo strumento più utile per raccogliere dati coinvolgendo un

campione di utenti molto esteso o comunque sufficientemente

rappresentativo del target di riferimento. La tecnica ha, dunque, una

valenza quantitativa che richiede a monte la risoluzione di alcune

problematiche, poiché bisogna avere capacità nella scelta del

campione di utenti a cui somministrarle; si devono strutturare al

meglio i questionari per avere tutte le informazioni necessarie; infine,

i dati raccolti conducono a soluzioni spesso non univoche ed

incoerenti. Ai problemi evidenziati se ne aggiungono altri che

riguardano una dimensione più etica della ricerca. Gli utenti possono

intenzionalmente manipolare i risultati dei questionari attraverso

delle risposte elusive o volontariamente errate. Inoltre la tecnica, pur

essendo utilissima in situazioni specifiche, è abbastanza costosa e

richiede dei periodi di tempo mediamente lunghi per ottenere le

informazioni ed analizzare i dati.

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216

Tecniche del processo U.C.D.

5.2.3 Inchieste

Prevedono una raccolta d’informazioni direttamente nei contesti

di utilizzo dei prodotti, analisi che si espandono all'interno di una

cultura e delle pratiche di un organizzazione specifica. L'inchiesta

può rappresentare, a seconda dell’approccio adottato, un processo di

scoperta con cui si chiariscono gli obiettivi delle persone in una

determinata attività e gli scenari d'uso che la caratterizzano.

L’adozione della tecnica presenta, però, numerosi svantaggi. In

prima analisi c’è il pericolo che le informazioni ottenute sono

invalidate da comportamenti o atteggiamenti condizionati dalla

situazione specifica (l’osservazione diretta). Inoltre l’inchiesta può

richiedere dei tempi molto lunghi e dei costi abbastanza sostenuti per

ottenere le informazioni necessarie. Infine, un’ulteriore difficoltà

deriva dal fatto che i dati provenienti da una ricerca di tipo

qualitativa sono numerosi e difficilmente categorizzabili; questa

situazione può complicare l’analisi e la stessa formulazione del

modello concettuale del prodotto.

5.2.4 Diari d’uso

I diario d’uso attraverso metodologie di natura qualitativa

aiutano a capire i reali bisogni delle persone nel corso di un’attività.

Gli utenti registrano, in appositi diari, le proprie operazioni di lavoro

giornaliere. Tali procedure possono essere affidate all’arbitrio delle

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217

Capitolo 5

persone, con descrizioni non predefinite degli eventi oppure

determinate dai team di sviluppo. La tecnica è utile a comprendere il

comportamento e gli stati mentali dell’utente senza rischiare che

l’intrusione dell’osservatore rappresenti un fattore di disturbo per le

indagini. I diari d’uso si sono rivelati utili per la valutazione di

prodotti interattivi destinati ad Internet ove gli utenti sono tanti e

difficilmente identificabili. In questo caso sono somministrati dei

questionari a risposta aperta partendo dal presupposto che i

partecipanti sono affidabili e di conseguenza i dati derivati

abbastanza attendibili. Tuttavia il processo di raccolta, che avviene in

modo rapido e veloce, comporta la precarietà dei dati raccolti.

5.2.5 Focus Group

I focus group hanno una valenza infrastrutturale nel corso del

processo: aiutano a capire le attività e gli obiettivi delle persone;

stabiliscono i requisiti approfondendo le tematiche condivise tra

utenti e team di lavoro; infine evidenziano le questioni in cui il

modello concettuale dello sviluppatore (che possiede competenze da

esperto) è in disaccordo con quello dell’utente. La tecnica prevede la

formazione di piccoli gruppi di persone rappresentativi di un

campione di stakeholder, coinvolti in discussioni informali in cui si

illustrano le diverse caratteristiche dei prodotti. In queste

conversazioni, la figura del moderatore deve riuscire ad indirizzare il

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218

Tecniche del processo U.C.D.

dialogo verso gli argomenti che interessano. I focus group delineano,

in un tempo relativamente breve, una quantità d’informazioni (di

natura prettamente qualitativa) che difficilmente verrebbero fuori

tramite la somministrazione di questionari strutturati. Tali dati

specificano, infatti, le propensioni ed i comportamenti tipici

dell’utente chiarendo i loro modelli concettuali. I focus group,

inoltre, fanno incontrare direttamente i progettisti sviluppando un

canale diretto tra necessità degli utenti ed esigenze dei progetti.2

5.2.6 Interpretazione ed analisi

Dopo aver raccolto dei dati sugli utenti con una combinazione di

metodologie di natura qualitativa e quantitativa, si passa

all’interpretazione delle informazioni raccolte. Lo scopo è

individuare dei requisiti che caratterizzeranno il sistema.3 Alle prime

considerazioni generali seguono analisi più approfondite che

stabiliscono i requisiti da implementare nel modello concettuale del

prodotto. Le caratteristiche evidenziate sono valutate attentamente e

richiedono delle fasi cicliche di iterazione che si protraggono finché

2 Una variante è il Focus group elettronico che ovvia a due limiti del focus group tradizionale: la necessità di far incontrare persone distanti e la difficoltà nella sintesi dei risultati. 3 Ad esempio per la descrizione dei requisiti funzionali è prevista la schematizzazione in diagrammi di flusso. I requisiti relativi ai dati possono essere rappresentati attraverso i diagrammi entità-relazione che fanno delle associazioni tra categorie simili.

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219

Capitolo 5

non si giunge ad una accordo su tutti gli elementi da implementare.

In genere, più tecniche sono utilizzate per l’interpretazione e l’analisi

dei dati, maggiore sarà la possibilità di specificare aspetti sensibili

alle reali necessità degli utenti.

5.3 Tecniche per comprendere i requisiti dei sistemi

Comprendere i requisiti dei sistemi è un’attività che avviene di

solito in parallelo all’identificazione delle necessità degli utenti.

Sono specificati man mano che le proposte di design sono valutate e

rappresentano elementi fondamentali attraverso cui consolidare i

modelli concettuali dei prodotti (vedi 2.4.5). La comprensione dei

requisiti avviene in un processo, per cui non si tratta di operazioni

determinate in uno specifico arco di tempo, ma che durano per tutto

il corso della progettazione del prodotto.

5.3.1 Descrizione delle attività

Le tecniche che descrivono le attività supportate dal sistema

interattivo sono utilizzate da molto tempo nello sviluppo di strumenti

software. Tuttavia, negli anni passati il metodo era applicato

esclusivamente alle operazioni di valutazione finale che per giunta

coinvolgevano persone esperte o figure interne all’azienda. La

centralità attuale degli utenti ha affermato l’utilità della tecnica

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220

Tecniche del processo U.C.D.

durante tutto il processo di progettazione, dalla determinazione dei

requisiti alla prototipazione, dalla valutazione ai test. La descrizione

delle attività si basa sull’uso combinato di tecniche diverse ed

utilizza soprattutto metodologie d’analisi qualitative. Le principali

sono:

- scenari

- casi d’uso

- essential use case

5.3.2 Scenari

Come spiega Carroll «uno scenario è una descrizione narrativa

informale»4 che considera le attività umane attraverso una storia in

cui esplorare contesti, bisogni, scopi, motivazioni, requisiti e

contesti. Gli scenari non servono a capire ciò che il software deve

fare, piuttosto chiariscono gli obiettivi delle persone in relazione alla

natura delle attività e dei contesti d’uso (figura 5.2). Argomentano

come viene svolta un’attività e gli elementi dei contesti d’uso che

possono influenzarla.

4 J. M. Carroll, Introduction to the special issue on “scenario based system development”, Interacting with computers, 2000, pp. 41-42.

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221

Capitolo 5

Il livello di dettaglio assunto da uno scenario varia in base ai

prodotti da realizzare e agli scopi che la progettazione si è prefissata.

Per cui non possono essere stabilite a priori forme standard poiché

gli scenari sono determinati da una serie di concause correlate al

processo di narrazione. Di solito la storia si delinea nei workshop e

rappresenta un racconto che ha un punto di vista esclusivo. Le

informazioni provenienti degli scenari hanno una validità generica,

dunque è difficile trasformarle in linee guida per il design dei

prodotti; inoltre, la loro vaghezza può portare a trascurare

problematiche più specifiche dei prodotti. Nonostante questi

svantaggi comprendere gli aspetti che caratterizzano l’interazione tra

persone, artefatto e contesto risulta un’operazione fondamentale,

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222

Tecniche del processo U.C.D.

poiché permette ai team di lavoro di concentrarsi sulla natura delle

attività umane piuttosto che sugli elementi tecnologici da

implementare nei prodotti. Bodker sottolinea come gli scenari d’uso

hanno principalmente quattro funzioni:5

- sono una base per la progettazione

- aiutano nell’implementazione tecnica

- migliorano la cooperazione nei team di design

- sono una base comunicativa per team multidisciplinari

5.3.3 Casi d’uso

I casi d'uso si concentrano in modo più specifico sugli aspetti

dell'interazione che riguardano utenti e sistema nello svolgimento

delle attività (figura 5.3). La tecnica è stata proposta negli studi della

comunità dell’OOSE (Object Oriented Software Engineering)6.

L'utilizzo di uno scenario presuppone anche l'impiego di più casi

d'uso che descrivono un insieme di condizioni simili o convergenti

verso un unico scopo. La tecnica è impiegata per individuare

l'insieme di azioni più frequenti nella comunicazione tra l’uomo e la

macchina. Il livello di dettaglio fornito da un caso d'uso

5 S. Bodker, Scenarious in user centered design-setting the stage for feflection and action, Interactive with computer, 2000, p. 63. 6 Per approfondimenti, I. Jacobson, M. Christerson, P. Jonssone G.Overgaard, Object Oriented Software Engineering, A use case driven approch, Harlow, Addison-Wisley, 1992.

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223

Capitolo 5

approfondisce le questioni generali degli scenari, in quanto la

rappresentazione delle problematiche d’interazione è più

formalizzata.

Per costruire dei casi d'uso adeguati alle attività delle persone

bisogna capire, prima di tutto, quali sono gli attori principali in ogni

attività. Un caso d'uso ha come protagonista un attore che svolge

delle operazioni attraverso il sistema per raggiungere un suo

determinato obiettivo. Ogni finalità dell’attore rappresenta un

potenziale caso d’uso. Ad ognuno corrisponde una discussione con

più persone in cui sono specificati direttamente gli elementi fisici che

contraddistingueranno il prodotto nella sua versione definitiva.

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224

Tecniche del processo U.C.D.

5.3.4 Essential use case

La tecnica è stata proposta da Constantine e Lockwood per

rispondere alle carenze informative emerse nell’utilizzo di scenari

e/o casi d’uso.7 Gli essential use case, anche se presentano

descrizioni più generiche rispetto alle storie proposte negli scenari,

hanno una validità più empirica nella progettazione dei prodotti. La

struttura di un essential use case è definita, infatti, da tre componenti:

un nome che è l’obiettivo principale dell’utente, una descrizione di

tutte le azioni che l’utente deve eseguire e un elenco delle

responsabilità del sistema in ognuna. A differenza dei casi d’uso, che

delineano gli attori principali nelle attività, un essential use richiede

la specificazione dei ruoli fondamentali dell’interazione. Ciò

consente a livello metodologico una flessibilità maggiore, poiché il

concetto di ruolo fa riferimento esclusivamente ad un termine di

posizione che può essere ricoperto da diverse persone così come dal

sistema interattivo in momenti differenti. Gli essential use case

hanno, inoltre, un ulteriore vantaggio: proponendo una suddivisione

generica tra le azioni svolte dall’utente e quelle a carico del sistema,

chiariscono come saranno ripartiti i compiti in ogni attività

dell’interazione. Queste informazioni sono fondamentali per le

7 Per approfondimenti, L. Constantine, L. Lockwood, Software for Use: A Practical Guide to the Models and Methods of Usage Centered Design, Addison Wesley, 1999.

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225

Capitolo 5

attività di allocazione dei task ove si stabiliscono i comandi da

implementare nel funzionamento del sistema e quelli da far gestire

agli utenti.

5.3.5 Analisi dei task

L'espressione fa riferimento ad un insieme generico di tecniche

utilizzate per investigare sia i processi cognitivi che le azioni fisiche

compiute dalle persone. La versione più diffusa è l'analisi gerarchica

dei task (HTA Hierarchical Task Analysis) che descrive in una

rappresentazione schematica l’insieme dei compiti che il sistema

deve eseguire per raggiungere gli obiettivi degli utenti. La tecnica

suddivide le attività in diversi compiti e sotto compiti; ognuno è

raggruppato in modo tale da evidenziare relazioni e condizioni per

termine il compito. L'analisi gerarchica dei task si concentra sia sulle

azioni che si riferiscono all’interazione tra il sistema e l’utente che

sulle informazioni correlate ai contesti di utilizzo. Tuttavia il punto

di partenza dell’analisi è l'obiettivo dell'utente, da cui dipendono le

condizioni e le modalità con cui verranno eseguiti i compiti. Altre

tecniche utilizzate per gerarchizzare i compiti sono i modelli GOMS

(Goal, Operations, Methods e Selection rules) che consentono anche

di modellizzare le attività delle persone attraverso standard di

performance su singole operazioni.

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226

Tecniche del processo U.C.D.

5.3.6 Task allocation

Capire i task del sistema è uno degli aspetti fondamentali per la

specificazione del modello concettuale del prodotto; la task

allocation (o allocazione dei compiti) decide quali operazioni

saranno a carico del sistema e quali, invece, sotto la responsabilità

delle persone. Queste scelte sono strettamente correlate alla natura

delle attività degli utenti e alla comprensione dei contesti d’uso in cui

il prodotto andrà ad operare. Con la task allocation si stabiliscono,

inoltre, le funzioni da integrare nella struttura hardware e quelle

invece supportate dal software. I diversi compiti da configurare

possono avere poi una relazione temporale, per cui uno deve essere

fatto prima di un’altro oppure devono svolgersi in parallelo. Queste

situazioni pongono dei vincoli d’uso o comunque una certa

strutturazione dei task da considerare nella progettazione fisica delle

interfacce.

5.4 Tecniche di progettazione

Aiutano i designer nella realizzazione empirica di ogni dettaglio

delle interfacce (figura 5.4). Servono a fissare, a partire da

conoscenze teoriche o da esperienze già acquisite in altri progetti,

una serie di priorità del processo in grado di guidare nello sviluppo di

ogni elemento (widget) delle interfacce permettendo la comparazioni

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227

Capitolo 5

tra soluzioni alternative. Nelle prossime sezioni sono approfondite le

principali norme nello sviluppo del design di un’interfaccia.

5.4.1 Principi di design

I principi di design derivano dalla teoria e sono informazioni

rispettose dei modi in cui opera la cognizione umana. Hanno un

ampio grado di astrazione ed un vasto dominio applicativo. Per

questo motivo guidano la progettazione e rappresentano il modo

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Tecniche del processo U.C.D.

migliore per implementare le conoscenze sul modo di agire degli

esseri umani ai modelli concettuali dei prodotti.

I principi di design sono delineati nelle ricerche di ergonomia ed

usabilità discipline che più che interessarsi alla sviluppo materiale

degli artefatti forniscono una serie di suggerimenti teorici per

valutarli. Norman nel suo libro La caffettiera del masochista

identifica alcuni principi generali da rispettare nella realizzazione di

qualsiasi prodotto:

- Rendere le cose visibili. Le funzioni di un oggetto

devono essere visibili in modo che l’utente sappia sempre cosa fare e

come farlo. Quando le funzionalità sono evidenti, infatti, gli oggetti

sono più facili da usare. I comandi mal segnalati rendono difficile,

invece, la comprensione dell’artefatto. I problemi di visibilità si

possono presentare in varie forme, per cui i dispositivi devono

consentire di avere sempre un controllo su ogni azione secondo

convenzioni chiare che si riescono a memorizzare facilmente.8

- Fornire feedback. Bisogna fare in modo (con particolar

attenzione negli artefatti cognitivi) che i comandi permettano azioni

in cui sia visualizzato ciò che si è eseguito (figura 5.5);

8 Norman evidenzia come «finora, l’elaborazione grafica è usata più per dare fumo negli occhi che per usi legittimi. Il suo potere è sprecato, ma in questo campo ci sono grandi possibilità di rendere visibili ciò che deve essere visibile (e lasciato coperto quello che è irrilevante)». D. Norman La caffettiera del masochista, traduzione di G. Noferi, Giunti, Firenze, 1997, p. 214.

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229

Capitolo 5

l’azione specifica è segnalata all’utente fornendo una informazione

di ritorno che indica che l’operazione è andato a buon fine. Quando,

infatti, non si hanno risultati apparenti si può facilmente concludere

che un’azione non sia stata svolta.9 Fornire feedback è un principio

strettamente collegato al rendere visibili le opzioni disponibili.

- Fornire vincoli. Le possibilità di azione in un

determinato compito devono essere vincolanti. Stabilire dei vincoli

9 Come sottolineano Preece, Rogers e Sharp «Sono diversi i tipi di feedback a disposizione di un interaction designer: da quelli uditivi a quelli tattili, verbali, visivi a tutte le combinazioni tra questi». J. Prece, Y. Rogers, H. Sharp, Interaction design, traduzione di Baccigalupo-Fiorani, Milano, Apogeo, 2004, p. 25.

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230

Tecniche del processo U.C.D.

serve a chiarire procedure appropriate secondo gli obiettivi

dell’utente, riducendo in questo modo possibilità di commettere

errori. I vincoli possono essere di diversa natura: quelli fisici10

derivano dal modo in cui si usa l’oggetto fisicamente; quelli logici

riguardano la comprensione di come funziona un oggetto; quelli

culturali sono basati su convenzioni apprese nel corso dell’esperienza

e dell’interazione sociale; infine quelli semantici sono riferiti al

significato della situazione e all’insieme di azioni possibili per

raggiungere gli obiettivi.

- Fornire un mapping naturale. Il mapping indica la

relazione fra i comandi, il loro azionamento ed i risultati che

provocano. I problemi di mapping sono numerosi e causano molte

difficoltà nell’utilizzo di un oggetto. Un buon mapping deve

presentare una correlazione naturale tra comando e funzione (figura

5.6). Per fare ciò bisogna stabilire le relazioni tra intenzioni

dell’utente e azioni possibili e tra le sue azioni e gli effettivi risultati

nel sistema; come spiega Norman «un buon design richiede

10 Norman parla delle funzioni obbliganti una forma particolare di vincolo d’uso: «le azioni sono vincolate in modo tale che la mancata esecuzione di un passaggio impedisca il successivo». D. Norman, La caffettiera del masochista, traduzione di G. Noferi, Giunti, Firenze, 1997, p. 149. Questi aspetti pongono una serie di vincoli da considerare soprattutto in fase di task allocation.

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231

Capitolo 5

riflessione, pianificazione e consapevole attenzione ai bisogni

dell’utente. E a volte centra l’obiettivo».11

- Fornire affordance. Un oggetto possiede una serie di

caratteristiche in grado di suggerirne il funzionamento. Come precisa

Norman le affordance sono un indizio sull’uso (figura 5.7).

11 D. Norman, (op. cit.), 1997, p. 34.

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Tecniche del processo U.C.D.

Gli oggetti fisici possiedono affordance reali comprese attraverso la

percezione dei sensi umani (una superficie ruvida per un manico, in

modo da favorire la presa). Gli artefatti cognitivi, invece, hanno

affordance percepite, le quali sono determinate da convenzioni

culturali condivise (il colore rosso evoca urgenza). Il concetto di

affordance, in questi anni, è diventato molto popolare tra i designer,

anche se gli eccessivi utilizzi ne hanno stravolto l’originale carica

concettuale.

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233

Capitolo 5

5.4.2 Linee guida

Le linee guida hanno un grado di astrazione medio ed un

dominio applicativo più specifico rispetto ai principi di design. Sono

individuate appositamente per progettare un determinato artefatto e

sono fondamentali per la formulazione dei modelli concettuali. Come

specificato dal termine servono a guidare i designer attraverso

considerazioni derivanti da esperienze già acquisite. Le linee guida

possono avere un livello di dettaglio differente mantenendosi più

vicini ai principi di design oppure specificare norme più pragmatiche

ai progetti da realizzare; in entrambi i casi, tali suggerimenti

richiedono interpretazioni per essere trasformate in direttive di

design. Shneiderman descrive le sue linee guida per la progettazione

di interfacce grafiche:12

- Cercare la consistenza. Bisogna mantenere operazioni

simili per svolgere compiti simili. Un’interfaccia è consistente se

adotta delle regole chiare per facilitare l’apprendimento e l’uso.

Tuttavia in artefatti complessi, che implementano molteplici compiti

ed attività, sarà difficile preservare la consistenza dell’interfaccia in

ogni aspetto.

- Consentire agli utenti abituali di utilizzare

scorciatoie. Gli utenti esperti devono avere la possibilità di eseguire

12 B. Shneiderman, Designing the user interface: strategies for effective human computer interaction, Addison Wesley, 1998.

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234

Tecniche del processo U.C.D.

comandi attraverso diversi procedure. Tuttavia, come abbiamo visto

(vedi 4.2.1), fornire più metodi per svolgere una stessa azione o

ancora utilizzare una stessa combinazione di tasti per effettuare

operazioni diverse a seconda dello stato dell’interfaccia porta ad

implementare modalità inutili.

- Fornire un feedback indicativo. Dare spiegazioni utili

agli utenti in grado di far capire realmente quali sono le

problematiche del sistema (vedi 4.2.2). Molte informazioni date per

illustrare determinati eventi (messaggi d’errore, collegamenti

ipertestuali mancanti, ecc.) sono inutili, dunque non hanno un

feedback indicativo.

- Progettare finestre di dialogo per offrire una

chiusura. Le interfacce devono rendere chiaro all’utente, quando

un’azione è terminata. Norman, nei suoi principi generali, indica

come bisogna fornire feedback cioè far capire all’utente lo stato del

sistema ed il risultato effettivo delle sue operazioni.

- Prevenire l’errore oppure offrire un modo per porvi

rimedio. I sistemi interattivi sono strutture aperte in cui è difficile

individuare tutti gli errori funzionali. Le interfacce, per questo

motivo, presentano pulsanti in grado di annullare ogni operazione in

modo che nessuna sia irreversibile.

- Fornire controllo. Come evidenziato in precedenza,

(vedi 2.5.1) gli utenti hanno una maggiore propensione all’utilizzo di

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235

Capitolo 5

un dispositivo quando si sentono in posizione di comando. Quando è

lo strumento ad avere maggior responsabilità sulle azioni la voglia di

usarlo cade nettamente. Fornire controllo in un’interfaccia, dunque

aumenta la produttività e la capacità di focalizzarsi sulle proprie

attività.

- Ridurre il carico della memoria a breve. Progettare

interfacce che diminuiscano le cose da memorizzare, cioè dare

opzioni fra cui scegliere invece che far ricordare all’utente le

informazioni da una schermata all’altra. Ciò significa in parole

povere favorire modalità di riconoscimento più che di ricordo. Anche

tale criterio, tuttavia, non è immune da problematiche (vedi 4.2.1).

- Fornire una facile inversione delle azioni. È

strettamente correlato al precedente parametro analizzato; vuole

precisare con ulteriore enfasi, come l’interfaccia deve presentare in

ogni suo stato comandi in grado di annullare ogni operazione.

5.4.3 Guide di stile

Rappresentano delle norme più specifiche rispetto ai principi di

design e alle linee guida visti in precedenza. Le guide di stile si

concentrano solo su determinati aspetti di un artefatto,13 dunque

13 Una delle norme delle guide di stile della Apple Computer nel progetto Macintosh indicava di sostituire le spiegazioni in testo scritto con la presentazione di un’icona sfruttando le versatilità grafiche del Macintosh.

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Tecniche del processo U.C.D.

hanno un dominio applicativo empirico stabilendo quali soluzioni

fisiche implementare. Per questo motivo sono formulate ad ogni

progetto e non richiedono interpretazioni intermedie, poiché sono già

elementi per il design. Secondo la Mayhew «Le guide di stile

sintetizzano in un unico documento i risultati ottenuti dalla

descrizione del contesto d’uso e dal processo di sviluppo di modelli

progettuali fornendo un supporto puntuale alla realizzazione di ogni

dettaglio del prodotto»14. Sono specificati gli aspetti circa lo stile

dell’interazione (il look and feel), componente che influenzerà

notevolmente qualità e piacevolezza della comunicazione con gli

utenti. Da un altro punto di vista le guide di stile rappresentano anche

strumenti strategici di marketing che differenziano i prodotti in

relazione ai contenuti e all’immagine aziendale, certificando standard

qualitativi e/o caratteristiche esclusive. Per le grandi corporate,

impegnate nella produzione di famiglie di prodotti, sono il mezzo per

implementare caratteristiche affini in ogni progetto abbracciando un

universo di valori, significati, simboli ben definiti per far riconoscere

un’identità stabile (brand). Le più famose guide di stile sono state

espresse a partire dai progetti Macintosh della Apple computer

(1985) o ancora, con il rilascio del sistema operativo Windows

(1992) dalla Microsoft Corporation. In progetti complessi o in altri

14 D. Mayhew, The usability engineering lifecycle, San Francisco, MorganKaufmann, 1999, p. 311.

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237

Capitolo 5

più modesti, le guide di stile sono fondamentali per adottare

convenzioni adeguate e riconosciute dagli utenti.

5.4.4 Standard

Gli standard sono certificati da organismi internazionali (ISO) e

specificano una serie di caratteristiche universali da applicare alla

progettazione di qualsiasi artefatto. Si tratta, dunque di un insieme di

criteri riconosciuti a livello internazionale che definiscono la qualità

complessiva del prodotto realizzato. Nella progettazione di sistemi

interattivi gli standard da tenere in considerazione sono:

- ISO 9241. Definisce i requisiti ergonomici per il lavoro

di ufficio con i videoterminali. Si compone di 17 parti,15 ciascuna

delle quali tratta aspetti specifici. Le più rilevanti sono le sezione 10,

11, 14, 15, 16 e 17. La prima è denominata “principi dialogici” (10) e

definisce sette principi che caratterizzano il dialogo uomo-computer:

1. idoneo al compito;

2. autodescrittivo;

15 Sono precisamente le seguenti: 1) introduzione generale; 2) guida ai requisiti dei compiti; 3) requisiti dei visual display; 4) requisiti delle tastiere; 5) requisiti delle postazioni di lavoro e posturali; 6) guida all'ambiente di lavoro; 7) requisiti per i display con riflessi; 8) requisiti per i colori; 9) requisiti per strumenti di input diversi dalle tastiere; 10) principi dialogici; 11) guida all'usabilità; 12) presentazione delle informazioni; 13) manuali utente; 14) dialoghi a menu; 15) dialoghi a comandi; 16) dialoghi a manipolazione diretta; 17) dialoghi form filling. Per approfondimenti, ISO, http://www.uni.com/it/.

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238

Tecniche del processo U.C.D.

3. controllabile dall'utente;

4. conforme alle aspettative dell'utente;

5. tollerante agli errori;

6. idoneo alla personalizzazione;

7. idoneo all'apprendimento.

La seconda riguarda i principi di usabilità (11) fornendo un

framework per la progettazione e la valutazione dell'usabilità intesa

come «il grado in cui un prodotto può essere usato da specifici

utenti per raggiungere specifici obiettivi con efficacia, efficienza e

soddisfazione in uno specifico contesto d'uso»16 (figura 5.8).

La (14), Dialogo con menu, fornisce raccomandazioni per il

design ergonomico usate dalla human computer interaction. Tali

suggerimenti coprono la struttura, la navigazione, la selezione e

l’esecuzione delle opzioni, la presentazione dei menu.

La (15), Dialogo con comandi, include direttive riferiti ai

linguaggi di comando sulla struttura e sulla sintassi, la presentazione

dei comandi, considerazioni per l’input e l’output, il feedback e

l’help.

La (16), Dialogo con manipolazione diretta, contiene principi

per il design ergonomico del dialogo a manipolazione diretta di

oggetti, dunque il design di metafore, oggetti e attributi.

16 http://www.uni.com/it/.

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239

Capitolo 5

La (17), Dialogo con riempimento di maschera, fa

riferimento al design ergonomico dei dialoghi con riempimento

di maschera (form). Queste raccomandazioni riguardano la

forma e la struttura dell’output delle maschere, l’input e la

navigazione al loro interno.

- ISO 13407. Stabilisce i criteri del processo di

progettazione centrato sull’utente (UCD). Le caratteristiche sono

state già approfondite e discusse (vedi 2.1). Presentiamo, in questa

sezione, un quadro sintetico:

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240

Tecniche del processo U.C.D.

1. coinvolgimento attivo degli utenti e comprensione delle

loro caratteristiche e dei compiti che svolgono;

2. una appropriata allocazione delle funzioni tra gli utenti e

la tecnologia;

3. l'iterazione delle soluzioni progettuali;

4. una progettazione multisciplinare.

- ISO 14915. Riguarda la progettazione di interfacce

utente per applicazioni multimediali. Lo standard individua i

principali requisiti ergonomici da rispettare delineando come

applicare gli standard al processo di progettazione. Si suddivide in

tre principali gruppi:

1. 14915-1:2002 [Software ergonomics for multimedia user

interfaces (1): Design principles and framework]

definisce i principi generali di sviluppo delle interfacce

ed i framework da utilizzare spiegando come lo standard

può essere applicato allo produzione di prodotti

multimediali.

2. 14915-2:2003 [Software ergonomics for multimedia user

interfaces (2): Multimedia navigation and control]

chiarisce i principi ergonomici di coerenza, ridondanza,

carico mentale cognitivo, robustezza ed esplorabilità

relativamente alle modalità di navigazione nonché i

controlli di base dei contenuti multimediali.

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241

Capitolo 5

3. 14915-3:2002 [Software ergonomics for multimedia user

interfaces (3): Media selection and combination]

stabilisce le modalità di selezione e combinazione tra i

singoli contenuti multimediali, spiegando come media

individuali dovrebbero essere utilizzati e combinati.

5.5 Tecniche di prototipazione

Gli utenti esprimono meglio i loro obiettivi se vedono qualcosa e

iniziano ad utilizzarlo; in queste situazioni, infatti, emergono con

maggiore facilità le problematiche d’interazione o gli errori di

funzionamento dell’artefatto. Mentre le attività che identificano i

bisogni degli utenti, raccolgono dati generici sulle propensioni da

interpretare ed analizzare nella prototipazione sono definite delle

direttive per il design, poiché gli utenti interagiscono con oggetti

fattibili che aiutano a capire, in base alla facilità con cui l’artefatto

raggiunge gli obiettivi, come deve essere fatto e il modo in cui

funzionare. Le tecniche di prototipazione, inoltre, aiutano i designer

ad ideare e a valutare proposte alternative. Di solito nell’attività di

prototipazione si adottano due diverse strategie (figura 5.9). Con

quella verticale si costruiscono prototipi ad alta definizione che

implementano durante il processo le funzionalità dell’oggetto con

diverse verifiche e modifiche fino a diventare il prodotto finale; nella

prototipazione orizzontale, invece, sono usati dei modelli a bassa

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242

Tecniche del processo U.C.D.

definizione che rappresentano delle versioni molto elementari, in cui

si testano solo alcuni aspetti del prodotto. I prototipi sono gettati man

mano che si verificano le caratteristiche e problematiche specifiche.

5.5.1 Prototipazione low-fi

Il prototipo low-fi (o a bassa definizione) è una versione molto

parziale del prodotto che ne semplifica il funzionamento in modo da

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243

Capitolo 5

capirne meglio alcuni aspetti. Sono utilissimi nella progettazione

concettuale di un artefatto, quando si vogliono testare rapidamente

determinati elementi che contraddistingueranno l’interazione con

l’utente. Ma sono fondamentali anche nella fase della progettazione

fisica del prodotto, poiché la semplicità con cui sono generati

permette di considerare per ogni aspetto diverse soluzioni alternative

di design. Inoltre il loro impiego non richiede spese ulteriori nei

budget del progetto.

5.5.2 Prototipi su carta: schizzi e storyboard

La maggior parte dei prototipi a bassa definizione si basa

sull’utilizzo di schizzi, cioè rappresentazioni elementari, che

investigano su alcune caratteristiche in relazione alla natura delle

attività e dei contesti d’uso. Uno storyboard è formato da un insieme

di schizzi o schemi che individuano come gli utenti portano a

compimento un ipotetico task utilizzando più strumenti (figura 5.10).

Gli storyboard sono combinati di solito agli gli scenari d’uso, poiché

ne arricchiscono i dettagli narrativi fornendo all’utente la possibilità

«di calarsi in un gioco di ruolo con il prototipo, interagendo con

esso passo passo».17

17 J. Preece, Y. Rogers e H. Sharp, Interaction design, traduzione di Baccigalupo-Fiorani, Milano, Apogeo, 2004, p. 261.

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244

Tecniche del processo U.C.D.

5.5.3 Prototipi su video: mago di oz

Sono realizzati con il supporto di schermi video e prevedono un

grado di definizione maggiore rispetto ai prototipi su carta. Nella

tecnica del “mago di oz” la prototipazione avviene attraverso delle

versioni parzialmente funzionanti del software. Gli utenti hanno

l’opportunità di valutare dei prototipi molto simili alle versioni

definitive dei prodotti. Il sistema, tuttavia, presenta solo l’interfaccia

grafica nella sua veste ultima, poiché il funzionamento del sistema

avviene mediante un altro computer comandato da un operatore

umano (cioè il mago). La persona è esperta per cui attraverso uno

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245

Capitolo 5

specchio monodirezionale osserva l’input dell’utente simulando la

risposta del sistema. La tecnica di prototipazione giunge a

valutazioni più veritiere rispetto agli storyboard, poiché l’interazione

tra il sistema e l’utente avviene senza alcun elemento di disturbo in

grado di condizionare scelte, comportamenti ed atteggiamenti delle

persone.

5.5.4 Prototipazione hi-fi

I prototipi ad alta fedeltà utilizzano soluzioni identiche nei

materiali, nel funzionamento, a quelle dei prodotti finali. Molti

richiedono l’impiego di appositi software (Flash, Visual Basic, ecc.)

che riescono a fornire ai prototipi tutti i dettagli specifici. Nonostante

siano molti vantaggi nell’utilizzo di modelli hi-fi adottare questi

metodi richiede la risoluzione di numerose questioni preliminari: in

primo luogo ci sono dei tempi e dei costi considerevolmente

maggiori rispetto ad un prototipo a bassa definizione. In secondo

luogo la complessità delle strutture realizzate, che si trasformeranno

nel prodotto finale, può far emergere una certa riluttanza a proposte

alternative di design; infine ogni bug di un prototipo mette a rischio i

risultati di intere sessioni di valutazione.

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246

Tecniche del processo U.C.D.

5.5.5 Prototipi su computer: i software

È diventato il modello fondamentale di prototipazione grazie alla

prolificazione di strumenti software e ambienti di sviluppo

interattivi. In questo caso gli utenti interagiscono con delle versioni

funzionanti che svolgono i compiti simulando il reale processo

d’interazione con le persone ed il funzionamento dell’artefatto. I

software consentono, inoltre, di adoperare i prototipi per valutare le

performance degli utenti in riferimento ai task da eseguire. Si

raccolgono così un insieme di feed-back quantitativi18 circa le loro

attività e gli obiettivi associati, informazioni utili per la

comprensione dell’usabilità del prodotto e per l’eventuale ri-

definizione di requisiti e modelli concettuali.

5.6 Tecniche di valutazione

Nella progettazione centrata sull’utentele attività di valutazione

rappresentano operazioni cicliche riproposte continuamente nel corso

del processo. Coinvolgono gli utenti reali e/o le persone esperte; le

metodologie utilizzate possono richiedere dei punti di vista personali

oppure giungere ad interpretazioni di gruppo. Una comparazione tra i

diversi metodi è proposta nella figura 5.11.

18 Come osserva Raskin «senza una guida quantitativa, non è possibile avere un’idea oggettiva della qualità di ciò che si sta realizzando, nè di quanto sia possibile migliorarlo». J. Raskin, (op. cit.), 2003, p. 105.

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247

Capitolo 5

La scelta dei criteri da adottare è comunque strettamente correlata ai

metodi adottati all’inizio della progettazione per la raccolta,

l’interpretazione e l’analisi dei dati. Nelle sezione successive le

tecniche di valutazione sono presentate secondo il grado di

coinvolgimento dell’utente: il primo gruppo (valutazione euristica e

cognitive walkthrough) è formato da approcci che richiedono

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248

Tecniche del processo U.C.D.

esclusivamente persone esperte; il secondo gruppo (valutazione

collaborativa, valutazione partecipativa) si basa sulle valutazioni

degli utenti reali; infine l’ultimo insieme (GOMS, keystroke level,

legge di Fits) di tecniche non coinvolge alcuna figura, poiché si

poggia su inferenze induttive della progettazione ricavate attraverso

la modellizzazione delle attività umane.

5.6.1 Valutazione euristica

La valutazione euristica rappresenta uno dei metodi più rapidi

per stimare l’usabilità di un sistema. La tecnica richiede l’intervento

di persone esperte che stabiliscono delle euristiche (vedi 1.5) da

testare.

Gli esperti vantano una buona conoscenza sia dei principi generali

del design sia delle caratteristiche specifiche del prodotto che si

vuole valutare. L’approccio è stato sviluppato da Nielsen e si

compone di tre passi fondamentali: 19

- Sessione di briefing. Gli esperti sono informati sui

principali obiettivi da raggiungere nella sessione di valutazione.

Vengono fornite delle istruzioni sui compiti, sulle problematiche di

19 R. Bias, The pluralistic usability walkthrough-coordinated empathies, in Nielsen e Mack (a cura di ), in Usability Inspection Methods, New York, John Wiley & Sons, 1994.

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249

Capitolo 5

usabilità e sulle modalità della valutazione in modo da arrivare alla

codifica di una griglia di euristiche da testare.

- Periodo di valutazione. In un arco di tempo prefissato

gli esperti vengono lasciati liberi di analizzare il prodotto svolgendo

dei task ed utilizzando le euristiche elaborate in precedenza, come

linee guida della valutazione, in modo da quantificare l’usabilità

generale del sistema in ogni compito.

- Sessione di debrifing. Dopo aver testato i prodotti

secondo i task stabiliti, gli esperti discutono i risultati scambiandosi

opinioni e stabilendo le problematiche condivise da migliorare nelle

versioni successive dei prodotti.

5.6.2 Cognitive walkthrough

Anche la simulazione cognitiva (cognitive walkthrough) richiede

una valutazione di persone esperte. A differenza però del metodo

delle euristiche «il cognitive walkthrough si basa sulla simulazione

del processo di problem solving di un utente in interazione con un

sistema per valutare se i suoi obiettivi e le risorse cognitive

necessarie per svolgere l’azione lo condurranno alla successiva

azione corretta»20. Ciò significa che le caratteristiche del sistema non

sono valutate su euristiche determinate a priori, ma in base alla

20 J. Nielsen J, e R. Mack, Usability Inspection Methods, New York, John Wiley & Sons, 1994, pag. 6.

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250

Tecniche del processo U.C.D.

semplicità dei modelli d’interazione nel regolare il funzionamento e

la comunicazione con l’utente.

La tecnica si basa sui presupposti del modello

dell’apprendimento esplorativo21 che evidenzia come gli utenti

inesperti comprendono più facilmente se hanno possibilità di

esplorare le funzionalità di un artefatto. In questo caso, dunque non

sono considerati gli aspetti principali dell'usabilità, ma piuttosto

viene simulato il processo di interazione del sistema con l’utente. Gli

esperti stabiliscono a livello cognitivo un flusso di interazione

coerente motivando gli obiettivi dell’utente. Ad ogni azione delle

persone corrisponde una stima delle difficoltà che possono

incontrare. I passi fondamentali della tecnica sono i seguenti:

- Identificazione e documentazione. Dopo aver chiarito

il target potenziale a cui è rivolto il prodotto si precisano le

caratteristiche dell’utente medio e si determinano i task adatti a

valutare l’interazione ed il funzionamento del sistema;

- Conduzione dell’analisi. Sono evidenziati i criteri

condivisi dagli esperti con cui arrivare a delle prime interpretazioni.

Si determinano, inoltre, i metodi per analizzare i dati raccolti che

21 C. Wharton, J. Rieman, C. Lewis, P. Polson, The cognitive walkthrough method: a practitioner’s guide, in Nielsen J. e Mack R. L. (a cura di ), in Usability Inspection Methods, New York, John Wiley & Sons, 1994.

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251

Capitolo 5

sono manipolati dagli esperti per verificare quanto incide ogni

singolo fattore sulle problematiche di interazione (vedi 2.7.2);

- Esecuzione delle sequenze di azioni. Si passa alla

simulazione dell’interazione specificando la consequenzialità delle

azioni dell’utente per raggiungere l’obiettivo, dunque le procedure da

eseguire per ogni task nel contesto di uno scenario d’uso tipico;

- Analisi a posteriori. Dopo aver simulato l’interazione,

si considerano le soluzioni da implementare per migliorare la

comunicazione con l’utente. L’analisi degli esperti si conclude con

l’elaborazione di un rapporto che contiene i suggerimenti per porre

rimedio agli errori principali del sistema.

5.6.3 Valutazione cooperativa

La tecnica sviluppa forme di elevata collaborazione tra gli utenti

reali e i team di design. Riesce a stimare i problemi di usabilità

concentrandosi sul modo reale in cui operano le persone,

permettendo una maggior facilità nell’elaborazione di proposte

alternative. Gli utenti sono chiamati a svolgere un numero di compiti.

Durante le operazioni, un moderatore li sollecita ad esprimere

osservazioni ad alta voce registrate con supporti audio-visivi per

analizzare successivamente gli spunti più interessanti e le

problematiche comuni. La valutazione cooperativa può rivelare in

modo rapido ed economico un consistente numero di difetti di

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252

Tecniche del processo U.C.D.

usabilità a partire dal coinvolgimento di un piccolo campione di

utenti. La facilità con cui è esercitata l’indagine ne fa un metodo

applicabile in ogni attività del processo di progettazione: dalla

definizione dei requisiti dei sistemi alla progettazione concettuale,

dalla valutazione dei prototipi al design dei dettagli. Nella

valutazione cooperativa, però vi è possibilità di raccogliere

informazioni soltanto coinvolgendo poche persone, per cui la tecnica

si rivela insoddisfacente in tutte quelle indagini che richiedono

analisi su campioni di utenti vasti, poiché il target a cui è destinato il

prodotto è molto ampio.

5.6.4 Valutazione partecipativa

La valutazione partecipativa rappresenta una tecnica

fondamentale nei processi basati su metodologie di design

partecipativo che coinvolgono direttamente l’utente nella fase di

progettazione delle strutture. Anche questo metodo può essere

utilizzato in varie fasi del processo; la sua applicazione richiede

necessariamente un certo numero di iterazioni, poiché le competenze

degli utenti non sono le stesse di quelle dei progettisti. La

valutazione si compone di due fasi. In un primo momento gli utenti e

i team di design/sviluppo si incontrano stabilendo un insieme di task

esemplificativi da valutare. Gli utenti poi sono lasciati all’esecuzione

delle operazioni, mentre i designer osservano. Nella seconda fase,

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253

Capitolo 5

utenti e sviluppatori si riuniscono e discutono i risultati attraverso dei

focus group strutturati, in cui sono chiarite le principali

problematiche dell’interazione. Alla fine del dibattito le informazioni

raccolte sono analizzate secondo diversi indicatori,22 in grado di

valutare la soddisfazione dell’esperienza degli utenti.

5.6.5 Valutazione qualitativa dell’esperienza

Il metodo può condurre ad una valutazione sull’esperienza d’uso

degli utenti senza utilizzare ingenti risorse finanziarie, come nelle

ricerche quantitative che coinvolgono molte persone. Gli utenti

interagiscono liberamente con i prodotti nei loro ambienti d’uso,

mentre i designer annotano errori, capiscono la qualità

dell’interazione, segnalano come il sistema reagisce agli input e

quanto il funzionamento sia adeguato ai contesto d’uso. I dati

raccolti sono successivamente analizzati dai team di esperti che

preparano e conducono delle sessioni di interpretazione per capire

quanto l’esperienza degli utenti sia affine ai loro obiettivi. Attraverso

22 I più utilizzati sono il SUMI (Software Usability Measurement Inventory) ed il WAMMI. Il primo è stato sviluppato dalla Human Factors Research Group dell’università di Cork, che prevede, oltre ad un questionario, una specifica applicazione (SUMISCO) per l’analisi dei dati. Gli indicatori della soddisfazione sono: piacevolezza (affect), efficienza, controllo, idoneità all’apprendimento (learnability), e capacità di aiuto (helpfulness). WAMMI è uno strumento simile a SUMI, per la valutazione, ad esempio, nell’uso di un sito web. A differenza del primo, questo può però essere utilizzato on-line, direttamente dal sito da valutare.

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254

Tecniche del processo U.C.D.

la valutazione qualitativa, dunque i team di sviluppo/design

acquisiscono informazioni sulle necessità delle persone

approfondendone i contesti d’uso.

È una tecnica fondamentale per i prodotti destinati a mercati

specifici, dunque ad un numero di stakeholder molto limitato. Anche

poche persone, in questo caso, possono costituire un campione

rappresentativo in grado di fornire informazioni sulla qualità

dell’esperienza d’uso. L’applicazione del metodo, invece, per

prodotti di più ampia diffusione richiede necessariamente

l’integrazione con altre tecniche di natura quantitativa, in grado di

arrivare a valutazioni coinvolgendo un numero di persone maggiore.

5.6.6 Valutazione quantitativa dell’esperienza

Il metodo consente un’analisi dettagliata dell’esperienza

dell’utente utilizzando un campione molto ampio. La valutazione

quantitativa coinvolge un campione consistente delle persone a cui è

destinato il prodotto. L’analisi non viene esercitata nei contesti

d’uso, ma in situazione di laboratorio. Durante la sessione di test, gli

esperti misurano le performance delle persone, registrano con

supporti audiovisivi i compiti svolti dagli utenti, comprendendo quali

sono le problematiche maggiori. In seguito i dati sono discussi,

interpretati e analizzati individuando le caratteristiche da migliorare.

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255

Capitolo 5

La tecnica, pur rappresentando un supporto efficace alla

valutazione dell’esperienza, pone almeno due problematiche

principali: in primo luogo bisogna scegliere determinati aspetti da

valutare, poiché non osservare l’utente nelle sue operazioni reali

richiede la definizione di una serie di task stabiliti a priori dai team di

sviluppo/design. Per questo motivo, i compiti scelti potrebbero

rivelarsi poco attinenti alle reali problematiche delle persone. In

secondo luogo, il contesto artificiale (i laboratori) può portare a degli

atteggiamenti volontariamente o involontariamente elusivi da parte

delle persone, fattori che rappresentano una distorsione per

l’indagine. A questi svantaggi di natura metodologica si devono

aggiungere poi i costi, dunque le ingenti risorse che l’applicazione

del metodo richiede nelle spese del progetto.

5.6.7 GOMS

A differenza dei metodi discussi sino ad ora le tecniche

analizzate in queste sezioni rappresentano forme di valutazione che

danno informazioni sulle performance degli utenti senza bisogno di

alcun test effettivo sulle persone. I metodi predittivi sono importanti,

quando non è possibile coinvolgere utenti e stakeholder oppure in

quei progetti in cui è necessaria una valutazione semplice, rapida e

continua delle strutture realizzate. Il GOMS (Goal, Methods,

Operators e Selection rules) è un termine generico con cui si vuole

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256

Tecniche del processo U.C.D.

intendere una famiglia di metodi di valutazione. Il modello GOMS è

la tecnica impiegata nei primi anni Ottanta da Card, Moran e Newell

per la descrizione e l’analisi dei processi cognitivi coinvolti

nell’interazione tra un utente ed un sistema interattivo.23 La sua

applicazione richiede l’individuazione di:

- Obiettivi. Si individuano gli scopi e le motivazioni

dell’utente nell’utilizzare il sistema, dunque le azioni principali da

eseguire per raggiungere i suoi obiettivi; per ognuno sono analizzate

le sequenze di azioni necessarie;

- Operatori. Sono i processi cognitivi umani che si

attivano nell’interazione con il sistema e le azioni fisiche che devono

eseguite per svolgere un compito. La differenza tra un operatore ed

un obiettivo è data dal fatto che il primo si esegue, mentre il secondo

si ottiene;

- Metodi. Rappresentano le procedure apprese per

l’esecuzione del compito. I metodi sono sequenze automatiche di

azioni memorizzate in seguito all’esperienza maturata in una

determinata attività (ad esempio schiacciare il tasto invio per andare

a capo);

- Regole di selezione. Fanno comprendere quale metodo

viene scelto, quando c’è ne sono diversi per giungere ad uno stesso

23 S. Card, T. Moran e A. Newell, The psycology of Human Computer Interaction, Hillsdale NJ, Lawrence Erlbaum Associates, 1983.

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257

Capitolo 5

obiettivo (come ad esempio cliccare un menù con il mouse oppure

schiacciare un tasto funzionale dalla tastiera).

5.6.8 Keystroke level

Anche questa tecnica sviluppata da Card, Moran e Newell risale

ai primi anni Ottanta.24 A differenza del modello GOMS, il keystroke

level consente non solo di descrivere e modellizzazione le attività

degli utenti, ma di stabilire stime quantitative sulle loro

performance.25 I vari compiti sono comparati secondo il tempo

necessario per compierli; queste rapide informazioni orientano

facilmente i team di sviluppo/design nella considerazione di

eventuali soluzioni alternative.

Ai pregi si contrappongono, inevitabilmente, le problematiche

legate all’utilizzo di tecniche di natura quantitativa: in prima analisi è

difficile stabilire quale sia il tempo standard impiegato da un utente

per prepararsi mentalmente ad una determinata azione fisica; in

secondo luogo, l’intervallo di tempo fissato come riferimento per

ogni operazione sarà inevitabilmente poco sensibile alle

caratteristiche individuali che differenziano ogni persona. Perciò i

modelli predittivi come il GOMS o il keystroke level, servono

24 S. Card, T. Moran e A. Newell, (op. cit.), 1983. 25 J. Raskin, Interfacce a misura d’uomo, traduzione di W. Vannini, Milano, Apogeo, 2003, p. 83.

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258

Tecniche del processo U.C.D.

esclusivamente a fare previsioni sulla base di comportamenti

attendibili. Le tecniche, dunque sono da integrate con altre

metodologie in grado di approfondire le caratteristiche reali degli

utenti ed i contesti d’uso in cui vengono svolte le attività.

5.6.9 Legge di Fitt

La legge di Fitt26 stabilisce il tempo necessario a raggiungere un

bersaglio utilizzando un sistema di puntamento come il mouse

(figura 5.12).27 Serve a valutare in maniera semplice e veloce le

caratteristiche dell’interazione attraverso tre variabili principali:

- Tempo. Rappresenta l’intervallo che intercorre tra

l’azione fisica dell’utente sul sistema di puntamento ed il momento

in cui viene raggiunto il bersaglio prefissato;

- Distanza. Fa riferimento allo spazio fisico che distanzia

la mano della persona dal bersaglio dello schermo;

- Dimensione del bersaglio. Specifica le dimensioni

fisiche dell’obiettivo da raggiungere sullo schermo.

26 P.M. Fitts, The information capacity of the human motor system in controlling amplitude of movement, Journal of Experimental Psychology, pp. 381-391. 27 Per approfondimenti, J. Raskin, (op. cit), 2003, p. 105.

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259

Capitolo 5

In sostanza la legge di Fitt stabilisce che più le dimensioni di un

bersaglio sono grandi, più aumenta la facilità dell’utente nel

raggiungere il suo obiettivo. Queste informazioni sono da

considerarsi nella progettazione di ogni elemento dell’interfaccia

grafica, poiché precisano la collocazione spaziale degli oggetti

grafici nello schermo aiutando i designer a capire come disporre ogni

elemento in relazione l’uno all’altro.

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261

Capitolo 6

Unificazioni: le bacheche interattive

6.1 Premessa

L’applicazione proposta ha l’obiettivo di rendere la sede di via

Salaria 113 più interattiva mediante l’adozione di un sistema di

terminali innovativi. È concepito per emulare le funzionalità delle

bacheche cartacee (figura 6.1) mirando però a sostituire tali supporti,

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262

Unificazioni: le bacheche interattive

che possiamo definire “dump” con dispositivi “smart” in grado, cioè,

di acquisire e fornire informazioni aggiornate integrando le capacità

del sito web in un sistema software concepito per gli ambienti d’uso

degli utenti.

6.2 Analisi del problema

La situazione strutturale odierna evidenzia una scarsa capacità di

comunicazione tra gli utenti e la facoltà; le persone che sono state

coinvolte nell’analisi per la definizione delle necessità degli utenti

lamentano forti lacune nei servizi di informazione, orientamento e

tutoraggio; in particolare si hanno difficoltà nel trovare news e più in

generale una incapacità di ottenere, all’interno della sede, notizie in

tempo reale. L’insufficienza e l’inadeguatezza, infatti dei terminali

per collegarsi al sito (circa due per ogni piano) mal segnalati e mal

ubicati, (figura 6.2) rendono operazioni quotidiane per la didattica

(iscrizioni a corsi o prenotazioni ad esami) procedure lente e

faraginose con tempi di attesa interminabili. Anche l’aula

informatica in cui ci si collega in rete internet contiene pochi

computer rispetto alla mole del profilo d’utenza (circa 15.000 iscritti

tra facoltà di Scienze della comunicazione e facoltà di Sociologia).

Le bacheche interattive mirano a migliorare la fruibilità degli

ambienti d’uso coniugandone funzionalità di elaborazione e

comunicazione.

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263

Capitolo 6

Aumentando il numero dei terminali, la qualità dei contenuti e

dei servizi si può rendere più performante ogni attività di docenti e

studenti favorendo, dunque una permanenza ottimale nella sede.

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264

Unificazioni: le bacheche interattive

6.3 Obiettivi del progetto

I principali obiettivi del progetto sono:

- Migliorare l’efficienza formativa ed informativa della

facoltà con supporti di nuova generazione in grado di rendere le

attività più flessibili attraverso caratteristiche hypermediali,

multimediali ed interattivi. Ciò significa, sostanzialmente, integrare

modi alternativi di comunicare e condividere informazioni nella sede

di via Salaria 113 per restituire più produttività ad ogni operazione;

- Facilitare la visualizzazione di notizie importanti ai fini

della vita didattica, sociale e culturale, relative al mondo della

comunicazione e a tutte le attività sponsorizzate dalla facoltà; fornire

in tempo reale dati aggiornati sulle attività presenti nella sede; creare

un sistema in grado di indicizzazione le notizie ed aiutare nella

ricerca di news ormai catalogate che consenta sia l’inserimento che

lo scaricamento dei dati. Tali supporti costituiranno una guida anche

per i professionisti interni/esterni alla facoltà, impegnati in specifici

eventi (convegni, conferenze, workshop) della sede.

- Incrementare il numero dei terminali a disposizione degli

studenti. Dalle analisi emerge che non tutti possiedono un

abbonamento privato ad Internet da casa; una piccola percentuale del

campione non ha neanche un computer proprio. La disposizione dei

terminali in facoltà non considera tali fattori, anzi, la maggior parte

dei computer sono collocati nelle stanze dei docenti o del personale

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265

Capitolo 6

amministrativo, punti d’accesso limitati per la maggior parte degli

studenti.

6.4 Descrizione dei profili d’utenza

Il sistema interattivo si rivolge agli studenti della facoltà di

Scienze della Comunicazione di Roma università La Sapienza che

rappresentano il profilo d’utenza principale. Tuttavia, (vedi 2.3)

l’individuazione del target rivela numerose figure professionali

(docenti, persone amministrativo, personale esterno, ecc.) che non

rientrano nella categoria d’analisi considerata, pur essendo

influenzate nelle attività e nel modo in cui le svolgeranno, dalle

funzionalità innovative del prodotto. Utilizziamo, dunque un

ulteriore profilo d’utenza per indicare l’insieme generico degli

stakeholder.

6.4.1 Utenti primari

Gli utenti primari sono stati suddivisi in tre categorie

corrispondenti a profili più specifici:

- Studente matricola. Iscritto al primo anno in corso;

- Studente quinquennale/triennale. Iscritto ad anni

successivi al primo. Rientrano in tale categoria anche gli studenti

Erasmus;

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266

Unificazioni: le bacheche interattive

- Studente specialistica. In possesso di laurea di base ed

iscritto ad un corso di laurea specialistica.

6.4.2 Stakeholder

L’insieme di stakeholder è rappresentato dalle figure

professionali che, pur contribuendo attivamente alla vita quotidiana

della facoltà, non hanno lo status di studenti. Anche per questo

gruppo sono stati descritti profili più specifici:

- Docenti, assistenti e collaboratori di cattedra. Sono

inclusi sia i docenti a contratto, ordinari ed esterni sia la totalità delle

persone che hanno il compito di fornire orientamento e tutoraggio da

un punto di vista esclusivamente didattico.

- Personale amministrativo. Si tratta di una categoria

molto ampia in cui rientrano diverse figure: preside, segretari/e,

personale per informazioni in sede.

- Personale esterno. Anche questo profilo rimane ampio:

ci sono le persone che intervengono in stage, convegni, eventi e

seminari; altre categorie sono gli addetti alla sorveglianza e alla

sicurezza ed i vari operatori che intrattengono rapporti commerciali

con la facoltà.

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267

Capitolo 6

6.5 Interviste aperte per la raccolta dei dati

Le interviste sono state condotte nei contesti d’uso della sede di

via Salaria 113 utilizzando, dunque metodologie d’analisi qualitative.

L’osservazione si è concentrata sulle modalità con cui gli studenti,

attraverso i terminali presenti in ogni piano o l’aula informatica del

piano terra, si iscrivono ai corsi e agli esami oppure visualizzano

informazioni sulla didattica (orari, news, ecc.). Si è proceduto in due

modi alternativi: in alcuni casi, la forma dell’intervista è stata

totalmente aperta, per cui ci si è limitati ad osservare l’utente senza

interventi che potevano influenzarne le prestazioni per poi

intraprendere delle discussioni informali su eventuali miglioramenti

nelle procedure. Altre volte le interviste erano più strutturate

(semiaperte), dunque si richiedeva agli utenti di svolgere le

operazioni e di valutarne l’efficacia rispetto agli obiettivi preposti in

tale attività. I dati raccolti con i due metodi sono stati incrociati per

capire, se e quanto, la presenza diretta dell’intervistatore (modalità

che riguarda esclusivamente la seconda forma di intervista)

condizionasse le operazioni reali degli utenti. I risultati sembrano in

entrambi i casi abbastanza comuni ed il disturbo è stato poco

percepito o addirittura nullo; ciò ha consentito di interpretare i dati in

modo univoco come vedremo di seguito.

Dopo le interviste sono stati illustrati gli obiettivi del progetto,

accolto favorevolmente dalla maggior parte delle persone intervenute

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268

Unificazioni: le bacheche interattive

d’accordo sui vantaggi di disporre, negli ambienti d’uso della sede di

via Salaria 113, di numerose postazioni interattive accessibili

liberamente a tutti e di un servizio di informazioni in tempo reale

contenente news didattiche e info relative a uffici, capace di ospitare

qualsiasi notizia su avvenimenti interni ed esterni alla facoltà

strettamente correlati alla didattica e al mondo professionale della

comunicazione.

6.6 Focus group per l’interpretazione dei dati

Il numero limitato di persone coinvolte nella raccolta, nell’analisi

e nell’interpretazione dei dati (15 utenti) ha consentito di utilizzare

metodologie qualitative che approfondiscono meglio le motivazioni,

gli atteggiamenti e gli obiettivi delle persone associati in un’attività e

le caratteristiche dei contesti d’uso in cui tali procedure vengono

svolte. Dopo aver osservato ed intervistato gli utenti nelle loro

operazioni reali gli studenti sono stati coinvolti in un focus group

(ringrazio tutti per la collaborazione), in cui ognuno ha argomentato

le principali difficoltà nelle operazioni svolte e le opportunità per

migliorarle. Il campione di utenti è stato composto in modo tale da

essere rappresentativo dei profili evidenziati per gli utenti primari. Si

è cercato, soprattutto, di rispettare una consistenza numerica più o

meno simile a quella presente in facoltà, per cui il gruppo risultava

così formato:

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269

Capitolo 6

- (4) studenti matricola

- (9) studenti quinquennali/triennali (5 persone del

quinquennale, 4 del triennale)

- (2) studenti laurea specialistica

Il campione era formato da sette ragazzi ed otto ragazze; l’età

media oscillava tra i diciannove anni degli studenti matricola ed i

venticinque degli studenti iscritti alla specialistica. Non c’è stata

possibilità di coinvolgere studenti Erasmus, per cui il campione era

formato esclusivamente da studenti di nazionalità italiana.

La figura del tutor (il sottoscritto), dopo aver considerato i dati

raccolti nelle interviste, ha evidenziato preliminarmente alla

discussione alcune problematiche ricorrenti in grado di indirizzare

meglio i contenuti del dibattito:

- Impossibilità dei supporti presenti nella sede di via

Salaria di fornire rapidamente notizie aggiornate agli utenti;

- Inadeguatezza della qualità del servizio di orientamento

e tutoraggio rispetto alla gran mole di utenti della facoltà;

- Inefficienza dei dispositivi attuali (terminali desktop e

bacheche fisiche) rispetto al panorama emergente delle nuove

tecnologie;

- Incapacità di fruire in modo ottimale negli ambienti

d’uso della facoltà di strutture informative già codificate (si pensi al

sito web).

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270

Unificazioni: le bacheche interattive

Nel corso del dibattito la figura del tutor non ha dovuto esercitare

un eccessivo controllo sugli argomenti, poiché le questioni

preliminarmente evidenziate sono state percepite come

problematiche comuni alla maggior parte degli utenti indirizzando il

focus dell’analisi verso una visione condivisa. Dopo aver ascoltato

bisogni e necessità di ogni singolo profilo d’utenza (elencati nella

prossima sezione) nel rapporto finale del focus group sono stati

segnalati quattro macro-problemi:

- insufficienza dei terminali per collegarsi al sito web

della facoltà, dunque, incapacità di interagire all’interno della sede

con lo strumento fondamentale per l’inserimento dei dati

(prenotazioni ad esami, iscrizioni a corsi, ecc.);

- impossibilità di svolgere operazioni banali come lo

scarico (download) di informazioni dal sito della facoltà su

dispositivi propri (pen drive, lettori mp3, fotocamere, ecc.), poiché i

terminali attualmente presenti in sede non hanno porte USB

accessibili agli studenti. (figura 6.3.)

- impossibilità di visualizzare notizie in tempo reale

all’interno della sede; tale disservizio è esemplificato dal

funzionamento delle bacheche (poco aggiornate e con argomenti

necessariamente stringati e limitati, rispetto alle informazioni del sito

web);

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271

Capitolo 6

- arbitrarietà delle notizie presenti nelle bacheche fisiche

ed una sistematica incapacità di cogliere in tali spazi le reali esigenze

informative degli utenti, ragioni che ne fanno uno strumento

superfluo e poco rilevante ai fini didattici (figura 6.4).

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272

Unificazioni: le bacheche interattive

6.7 Definizione dei bisogni dell’utente

I bisogni degli utenti sono così riassunti:

- Studente matricola. Ricerca aule, lezioni,

ricevimenti senza alcuna conoscenza precedente, per cui non sa come

funziona la struttura e dove può trovare le notizie. Tali studenti non

hanno ancora esigenze specifiche e non richiedono una particolare

disposizione della sede e/o delle informazioni preesistenti. Tuttavia

necessitano di notizie chiare ed univoche che sappiano facilitare la

permanenza e l’esplorazione della facoltà.

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273

Capitolo 6

- Studente quinquennale/ triennale. Ricerca aule,

lezioni, ricevimenti ed esami possedendo già un preciso modello

mentale sulla sede. Si prenota agli esami, utilizza il forum del sito di

facoltà per discutere con gli amici, partecipa ai seminari e agli eventi

culturali. Questi utenti richiedono informazioni dettagliate sulla

didattica e sul mondo della comunicazione. Per cui è in tale gruppo

che si evidenzia il desiderio di utilizzare supporti innovativi in grado

di personalizzare i flussi di comunicazione tra facoltà e studenti.

- Studente specialistica. Ricerca aule, lezioni, esami

all’interno della facoltà e news dal mondo del lavoro; vuole

conoscere info sugli eventi esterni di carattere culturale, sociale e

professionale. Anche in questo profilo di utenti, dunque è sentita la

necessità di raccogliere informazioni più dettagliate, in modi

abbastanza rapidi, attraverso canali di comunicazione interattivi in

grado di favorire una maggiore efficienza di ogni attività.

6.8 Descrizione delle attività del sistema

Le attività fondamentali che il sistema deve supportare sono due.

All’interno di tali macro-attività si distinguono compiti e sotto-

compiti più specifici.

- Visualizzazione di informazioni. Fornire agli utenti e

stakeholder un servizio per informarli in tempo reale sulle attività

presenti all’interno e all’esterno della sede di via Salaria 113.

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274

Unificazioni: le bacheche interattive

1. News, eventi, seminari ovvero notizie su tutto ciò che

succede all’interno della sede attraverso aggiornamenti

in tempo reale. I contenuti visualizzati saranno una guida

per ogni persona costituendo un punto di riferimento per

la vita didattica, sociale e culturale della facoltà;

2. News, opportunità di lavoro, congressi, workshop,

meeting con aziende, cioè, l’insieme di notizie che

ruotano attorno al mondo della comunicazione e che

riguardano la dimensione esterna alla facoltà.

- Inserimento di dati. Utilizzare supporti che forniscano

elementi di interazione, cioè, in grado di rispondere a precise

richieste dell’utente attraverso l’indicizzazione dinamica dei dati in

entrata e la comunicazione ai database dei server. In questo modo la

maggior parte delle operazioni eseguibili attraverso dispositivi

mono-utente (come il computer di casa) sarebbero riportate o

quantomeno integrate negli ambienti d’uso della facoltà.

1. L’interazione consente anche lo scarico in uscita dei dati,

dunque il download di file contenenti informazioni

generiche sulle attività della facoltà, materiale didattico

messo a disposizione dalle cattedra e qualsiasi altro tipo

di dato che si voglia abilitare al download.

2. Catalogazione e ricerca di news attraverso uno strumento

capace di raggiungere in qualsiasi momento una notizia

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275

Capitolo 6

archiviata nei database. Alle possibilità di visualizzare

informazioni in tempo reale si aggiungono, dunque le

capacità di ricercare su ogni tipo di dato.

6.8.1 Scenari d’uso

Esponiamo alcuni possibili scenari d’uso secondo il tipo

d’utenza e le necessità che contraddistinguono ogni profilo con lo

scopo di illustrare ancora meglio i vantaggi del sistema proposto.

- Studente matricola. Lo studente entra dall’ingresso

principale e deve sapere l’ubicazione delle aule, gli orari delle lezioni

e dei ricevimenti dei professori. Le bacheche cartacee poste sotto i

due colonnati, di solito contengono informazioni generiche che non

risultano facilmente fruibili per tale profilo; i display interattivi posti

all’ingresso della sede costituiscono la guida ideale per gli studenti

matricola contenendo indicazioni che fanno giungere ai piani

superiori con informazioni certe sull’ubicazione delle stanze ove si

svolgono lezioni, esami, ricevimenti, ecc.

- Studente quinquennale/triennale. Si reca direttamente

nel posto in cui sono presenti lezioni ed esami o quantomeno sa dove

reperire notizie per raggiungere i suoi obiettivi. Negli archi di tempo

non dedicati alle attività didattiche o nelle pause delle lezioni invia

e-mail al professore, utilizza il forum della facoltà per comunicare

con i suoi amici, scarica materiale didattico utile alla sua tesina

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276

Unificazioni: le bacheche interattive

oppure ricerca informazioni su eventi culturali della serata. A

differenza dello studente matricola lo studente

quinquennale/triennale ha una vita sociale ben sviluppata all’interno

della facoltà, per cui utilizza molto di più la sede di via Salaria 113;

perciò i contenuti proposti nel sistema delle bacheche interattive

devono tenere in considerazione tali aspetti.

- Studente specialistica. Anche lo studente della laurea

specialistica ha una precisa conoscenza della facoltà ed effettua le

sue operazioni in modo abbastanza disinvolto. Nelle pause utilizza la

bacheca interattiva per attività simili a quelle del profilo d’utenza

precedentemente descritto. È interessato, però anche alle notizie su

workshop, meeting e stage presenti nel centro congressi e a tutti

quegli eventi che prevedono l’incontro o la collaborazione tra il

mondo dell’imprenditoria e quello dell’università.

6.8.2 Analisi dei task

Lo studente ponendosi in vicinanza di una bacheca interattiva

può avere due diverse motivazioni: visualizzare una serie di

informazioni oppure inserire (o scaricare) dei dati.

Per quanto riguarda la prima attività l’analisi dei task è molto

semplice, poiché non sono previste forme particolari di interazione

tra il sistema e l’utente. La visualizzazione delle notizie, inoltre, che

avviene nello stesso modo per tutte le persone utilizza pagine web in

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277

Capitolo 6

cui non è richiesta una particolare personalizzazione dei contenuti.1

L’analisi dei task, in questo caso, contemplerà pochi compiti; il

primo è visualizzare informazioni pertinenti alla data e all’orario; il

secondo è di interrogare e ricevere dai database le notizie

collocandole nell’interfaccia grafica dello schermo secondo i diversi

profili d’utenza.

Nella seconda attività prevista per la bacheca interattiva, l’analisi

dei task diventa più complessa per cui sono utilizzati compiti e

sottocompiti per la descrizione. Tali procedure valgono

indistintamente per le attività di inserimento, scarico e ricerca dei

dati. In tali task, infatti, le capacità richieste al sistema sono

univoche: ovvero acquisire una serie di informazioni in entrata,

attraverso normali tastiere Qwerty e comunicarle ai server per

l’aggiornamento dei dati. I dati di input sono raccolti in un modulo

corrispondente a l’unica area di testo accessibile agli utenti

nell’interfaccia grafica; le espressioni utilizzate dalle persone sono in

parole chiavi (come ad esempio “prenotazione all’esame del prof.

Tizio”). Le informazioni inserite dall’utente sono inviate (primo

sotto-compito) al server. Il client (la bacheca interattiva) li interroga

e riceve una serie di dati in entrata che sono mostrati sullo schermo

(secondo sotto-compito) della bacheca interattiva nell’area riservata,

1 Tranne nella sezione centrale dell’interfaccia grafica, ove, in assenza di interattività con l’utente sono visualizzate le informazioni specifiche di ogni cattedra.

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278

Unificazioni: le bacheche interattive

in assenza di interattività con le persone, alla semplice

visualizzazione di informazioni. I risultati corrispondono ad un

insieme di pagine web presentate in maniera sintetica come nei

motori di ricerca, che contengono un collegamento ipertestuale sul

titolo di intestazione per accedere al loro contenuto.

Il sistema a questo punto aspetta nuovamente l’input dell’utente.

Quando uno dei documenti è selezionato, viene aperto nella sezione

centrale dello schermo (terzo sotto-compito) ove in precedenza vi

erano tutti i risultati della ricerca.2 Il documento è compilato

dall’utente ed inviato. Il sistema comunica nuovamente con i server

(quarto sotto-compito) restituendo, però questa volta

un’informazione (l’azione eseguita dell’utente) in entrata al database

che integra nei dati già presenti. Infine (quinto sotto-compito) riporta

la sezione centrale dell’interfaccia grafica alla normale

visualizzazione di notizie.

Per rendere più comprensibile l’analisi dei task nell’attività di

inserimento dati adottiamo un caso d’uso (vedi 5.3.3). Lo studente

Mario Rossi deve prenotarsi all’esame di istituzioni di sociologia.

Raggiunge una bacheca interattiva e digita attraverso la tastiera

l’espressione “prenotazione all’esame del prof. Tizio”.3 Il sistema si

2 Nelle attività di scaricamento dei dati (download dei file) e nella ricerca di notizie già archiviate l’insieme di task terminano in questo punto. 3 Potrebbe digitare naturalmente anche espressioni come “prenotazione all’esame della cattedra di sociologia” o ancora “prenotazione dell’esame

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279

Capitolo 6

collega al server richiedendo informazioni presenti nei database.

Nello schermo della bacheca interattiva sono mostrati una serie di

documenti che indicano diverse date d’esame secondo i profili di

studenti (quinquennali, triennali, specialistica). L’utente utilizza la

tastiera muovendosi con le freccette e giunto al documento che gli

interessa schiaccia un tasto funzionale (come invio) e apre il file.

Riempie ogni sezione ed utilizza lo stesso tasto funzionale per

inviare il documento compilato. L’interazione tra sistema ed utente

termina in questo punto, il terminale, invece, conclude le sue

operazioni comunicando i dati ai database e riportando la sezione

centrale dell’interfaccia grafica alla visualizzazione di notizie in

tempo reale.

6.9 Comprensione dei requisiti del sistema

La bacheca interattiva è composta da tre elementi hardware:

- schermo: display al plasma da 42/50 pollici;

- tastiera: normali dispositivi di input ad interfaccia

Qwerty;

del 26/04/06”. Il sistema prevedendo una comunicazione attraverso termini chiave permette all’utente di scegliere il grado di estensione della ricerca. Ciò consente un’interazione in cui il controllo sulle attività è strettamente in mano all’essere umano.

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Unificazioni: le bacheche interattive

- workstation: processore da 1.2 ghz, 512 mb di memoria

RAM, scheda video, scheda di rete ethernet con connessione wireless

(standard 802.11g).

Da un punto di vista software sono, invece, necessari:

- rete Wlan (Wireless Lan Area Network);

- motore di ricerca;

- un browser web (da cui saranno eliminati menù e i

comandi presenti sulla barra di navigazione che richiedono

necessariamente anche l’utilizzo del mouse);

Per rendere più facile l’implementazione negli ambienti d’uso,

l’ideale è basarsi su una struttura fisica degli schermi capace di

ospitare all’interno anche l’architettura hardware di un normale

computer (CPU, microprocessore, scheda madre, scheda video,

schede di rete, dischi di memoria, ecc). In questo caso le porte USB,

necessarie allo scarico dei dati saranno implementate direttamente

nella parte laterale destra dello schermo per consentire il download

su dispositivi propri (pen-drive, fotocamere digitali, ecc.). Il sistema

utilizza collegamenti blutooth per le comunicazioni tra i suoi

dispositivi hardware (la tecnologia di comunicazione è basata su

onde radio a 27 Mhz). Sarebbe impensabile, infatti, riempire la sede

di via Salaria 113 di fili per l’alimentazione di ogni elemento o

addirittura pianificare lavori di ristrutturazione della struttura edile

per l’implementazione all’interno delle mura di tutti i cavi.

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281

Capitolo 6

6.9.1 Requisiti funzionali

La bacheca interattiva utilizza un’architettura informatica di tipo

client/server per svolgere ogni task collegandosi in wireless

attraverso la connettività fornita dagli access point (almeno due per

ogni piano) che permettono negli ambienti chiusi la copertura di una

superficie di 100 metri; l’attività di visualizzazione delle notizie è

gestita da un web browser in grado di terminare, nel momento in cui

ci sia un’azione dell’utente, il flusso di informazioni nella sezione

centrale dell’interfaccia grafica per restituire alle persone i risultati

della loro ricerche. Ogni bacheca (il client) dopo l’input dell’utente

interroga il server che gli fornisce una serie di risposte pertinenti alle

informazioni inserite. In tali task l’efficacia è strettamente correlata

alle capacità della rete Wlan di garantire connettività ad ogni client e

alle potenzialità del motore di ricerca in modo tale che i tempi di

attesa tra richiesta degli utenti e risposta del sistema siano quanto più

celeri possibili. Nella figura 6.5 sono sintetizzati i principali moduli

necessari al funzionamento di un motore di ricerca. Per offrire

un’adeguata copertura della rete senza fili (Wlan) la scelta migliore

sarebbe l’impiego di access point a doppia banda compatibili sia al

protocollo 802.11g (standard che garantisce ampia portata in

ambienti chiusi c/a 50 metri, ma che utilizza solo tre frequenze

sovrapposte) che il protocollo 802.11a (che possiede una minore

copertura in ambienti chiusi, c/a 25 metri, ma può gestire fino a 12

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282

Unificazioni: le bacheche interattive

frequenze sovrapposte, dunque, una mole maggiore di client

connessi).4

6.9.2 Requisiti riguardanti i dati

Una bacheca interattiva può trattare qualsiasi tipo di dato in

modo indifferente. Ogni informazione può essere visualizzata o

ricercata secondo gli stessi passi evidenziati nella task analysis.

L’estensione dei tipi di dati (audio, video, 3D, ecc.) è correlata alla

4 Come regola generale di ogni rete Wlan è consigliabile non superare più di dieci client sulla medesima frequenza.

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283

Capitolo 6

creazione di una struttura di persone adibita alla produzione di

contenuti per il sistema ed in grado di differenziare le informazioni

secondo i diversi profili d’utenza.

6.9.3 Requisiti ambientali

La bacheca interattiva andrà a collocarsi in uno specifico

contesto d’uso; analizziamo nel dettaglio le caratteristiche della sede:

- Ambiente fisico. Gli schermi delle bacheche interattive

operano in verticale collocati alla stessa altezza delle bacheche

fisiche nei corridoi in un ambiente d’uso mediamente illuminato. Le

tastiere per l’input dei dati, invece, sono leggermente inclinate in

modo da essere facilmente fruibili per l’utente;

- Contesto sociale. Il sistema si colloca nei corridoi della

sede di via Salaria 113, in ambiente in cui è presente un tasso di

socialità elevato ed una buona dose di collaborazione e cooperazione

tra le persone; alla luce di tali aspetti bisogna implementare il più

possibile attività multi-utente;

- Ambiente organizzativo. Per i servizi di informazione è

necessario creare una struttura per la realizzazione dei contenuti; tale

personale è rigorosamente interno alla facoltà (studenti, assistenti,

ricercatori) viste le competenze in merito; bisogna, inoltre, stipulare

contratti con ditte esterne per la manutenzione sul software e per la

gestione della sicurezza del network;

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284

Unificazioni: le bacheche interattive

- Ambiente tecnico. I computer utilizzeranno

un’infrastruttura di tipo Windows NT, anche se tale scelta è

esclusivamente dettata da questioni di compatibilità delle

componenti hardware e software. La soluzione alternativa (chip

Motorola e sistema operativo Linux) non comprometterebbe, infatti,

alcuna funzionalità del sistema.

6.9.4 Requisiti di usabilità

La bacheca interattiva per soddisfare gli obiettivi degli utenti

dovrà svolgere le sue attività rispettando alcuni parametri:

- Efficacia. Il sistema fornisce un servizio di informazione

diretto ed interattivo che si colloca negli ambienti d’uso della sede di

via Salaria 113, accessibile liberamente da tutti. In tale contesto si

integra intuitivamente nelle attività didattiche, sociali e culturali,

migliorando la comunicazione tra la facoltà ed ogni utente rendendo

più performante ogni operazione.

- Efficienza d’uso. Gli schermi sono posizionati in modo

tale da essere facilmente visibili da più persone; la visualizzazione

delle informazioni utilizza indicatori semantici per dare, anche a

distanze elevate indicazioni ottimali sulle notizie. Il browser, che

gestisce il servizio funziona in modo rapido differenziando le news

secondo i differenti profili d’utenza nell’interfaccia grafica. Le

tastiere sono collocate in una posizione ergonomicamente corretta; il

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Capitolo 6

motore di ricerca che consente l’interazione con l’utente restituisce

rapidamente le informazioni grazie ad un meticoloso servizio di

indicizzazione dei dati.

- Grado di soddisfazione. L’utente nelle due attività della

bacheca interattiva ha una posizione di controllo su ogni operazione;

le persone non imparano quale modalità di funzionamento utilizzare

per raggiungere uno scopo. Ne tanto meno il sistema pone particolari

vincoli. Perciò, una bacheca interattiva è accessibile ad ogni persona

garantendo una soddisfazione immediata nell’uso.

- Sicurezza d’uso. Gli schermi al plasma sono fissati al

muro eliminando materiali preesistenti in sede potenzialmente

pericolosi come vetro e listini di ferro utilizzati per le bacheche

cartacee. La struttura fisica su cui poggia la tastiera è priva di angoli

retti ed occupa poco spazio in modo da non compromettere

l’esplorazione o la permanenza nei corridoi della sede. Il sistema

software prevede un controllo per l’annullamento delle azioni

dell’utente esercitato direttamente attraverso tasti funzionali della

tastiera.

- Facilità di ricordo. Lo stile dell’interazione da adottare

rappresenta il punto di forza. L’utente non interagendo con oggetti

grafici, mouse, finestre e menù svolge solo poche operazioni sul

funzionamento del sistema concentrandosi esclusivamente sul

contenuto delle sue attività. Sia nel caso della visualizzazione di

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Unificazioni: le bacheche interattive

notizie che nell’inserimento di dati gli scopi sono raggiunti in modo

immediato. Anzi nell’attività di interazione il contenuto digitato nel

campo di testo rappresenta già l’obiettivo della persona eliminando

qualsiasi altra modalità inutile. Ciò permette di facilitare il ricordo

del funzionamento e di non caricare la memoria a breve dell’utente

di intermediazioni inutili.

- Facilità di apprendimento. Il sistema non richiede

nozioni precedenti o fasi di apprendimento elevate per essere usato.

La semplicità dell’interazione basata su attività di lettura e scrittura

permette ad ogni persona di avere una posizione di controllo su tutte

le operazioni; ciò facilita l’apprendimento e la comprensione del

sistema, poiché si è disposti ad imparare, quando la situazione è

gestita in modo autonomo dagli individui avendo diverse possibilità

di scelta (vedi 5.3.6); nel caso delle bacheche interattive le attività

proposte sono già di per se abbastanza semplici, per cui dare

all’utente il pieno controllo sull’interazione, senza arricchire

l’interfaccia di elementi inutili che ne complicano il funzionamento,

sembra essere la scelta per rispettare al meglio tutti gli obiettivi di

usabilità.

6.10 Specificazione del modello concettuale

Per descrivere il funzionamento della bacheca interattiva e per

specificare il modello concettuale del prodotto è stato considerato il

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Capitolo 6

paradigma d’interazione dell’ubiquitous computing. Come spiega

Weiser questo modo di intendere il rapporto tra tecnologia, persone e

contesti d’uso non mira a creare strutture innovative, piuttosto, vuole

potenziare quelle preesistenti aggiungendo capacità di elaborazione e

comunicazione negli oggetti quotidiani e negli ambienti fisici delle

persone. Tali principi sembrano totalmente affini agli obiettivi

prefissati nel proporre il sistema delle bacheche interattive; inoltre,

concepire il modello concettuale in tal modo può aiutare ad

integrare5 facilmente, nel progetto originario, ulteriori metodi per

l’input dei dati (telefonini, palmari, ecc.) che utilizzando modalità di

connessione wireless potranno rendere anche le attività di

inserimento, ricerca e scarico dei dati più multi-utente.6

5 Tali possibilità sono legate alla diminuzione dei costi degli hardware, dunque, alla diffusione commerciale dei dispositivi di nuova generazione e alla sicurezza delle reti senza fili. 6 La dimensione elevata degli schermi consente di dividere la sezione centrale dell’interfaccia grafica in più parti in modo da prevedere un’interazione contemporaneamente con più utenti. Uno studente in possesso di un dispositivo di nuova generazione con scheda di rete wireless (ipod, smarth phone, palmari, ecc.), può interagire con il sistema della bacheca interattiva inserendo i dati direttamente dal suo terminale utilizzando una delle sezioni non occupata dello schermo per la visualizzazione dei risultati.

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Unificazioni: le bacheche interattive

6.11 Stile dell’interazione

Le bacheche interattive hanno un’interazione con l’utente simile

ad un processo comunicativo a due vie, in cui l’attività principale

delle persone è fornire istruzioni attraverso delle parole chiave a cui

il sistema risponde con la visualizzazione di un insieme di pagine o

file. L’interfaccia grafica dello schermo utilizza modalità tipiche

degli ambienti on-line ove non è possibile la manipolazione diretta

(drag and drop) su oggetti grafici. Attraverso le potenzialità permesse

dall’ipertesto sono eseguibili per l’utente due semplici operazioni: la

selezione di un file e la sua apertura. Per cui lo stile dell’interazione

non ha bisogno di adottare le convenzioni utilizzate dal modello

WIMP (icone, finestre, menu ed il mouse), così, riprendendo le

parole di Raskin, contempla una corrispondenza 1:1 fra cause

(comandi) ed effetti (operazioni). Eliminando il sistema di

puntamento, infatti, si riducono gli errori modali dell’interfaccia,

poiché si limitano i comandi che regoleranno l’interazione

favorendo, prima di tutto un funzionamento univoco per l’input dei

dati; inoltre, non ha più alcuna utilità dislocare le funzioni nei menù,

poiché i comandi sono raggiungibili direttamente dalla tastiera,

dispositivo che racchiude l’insieme delle operazioni possibili sul

sistema. La navigazione dell’interfaccia grafica è legata

esclusivamente ai collegamenti ipertestuali selezionabili direttamente

attraverso tasti funzionali e comandi cinestetici (vedi 4.7.1). Infine,

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289

Capitolo 6

questo stile d’interazione può risultare più appropriato alle

caratteristiche specifiche dei contesti d’uso della facoltà (figura 6.6).

6.12 Stutturazione dei contenuti

L’interfaccia grafica dello schermo è divisa in quadranti,

suddivisi a loro volta in tabelle in cui sono contenute l’insieme di

notizie differenziate secondo i profili d’utenza. Ci sono quattro

quadranti principali che gestiscono la visualizzazione di news

ognuno dei quali occupa all’incirca uno spazio di 17 pollici di

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Unificazioni: le bacheche interattive

larghezza nello schermo. Vediamo come sono disposti nello schermo

e quali sono i contenuti principali (figura 6.7):

- la sezione laterale sinistra contiene le notizie che si

riferiscono in particolar modo agli studenti matricola. Dato

l’orientamento da sinistra verso destra della scrittura occidentale,

quest’area dello schermo viene percepita in modo più immediato

dalle persone, dunque facilmente raggiungibile anche da utenti

inesperti; la sezione è destinata a contenere informazioni generiche

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Capitolo 6

per aiutare gli studenti che non sono ancora in possesso di un preciso

modello della facoltà e che necessitano di accedere in modo semplice

ad ogni notizia.

- la sezione laterale destra mostra le informazioni che

interessano soppratutto gli studenti della laurea quinquennale e

triennale iscritti agli anni successivi al primo. In ogni quadrante

vengono presentate informazioni precise sulle attività didattiche,

sociali e culturali della facoltà, notizie che fanno riferimento alle

attività quotidiane esterna alla sede (orari degli autobus, orari di

apertura-chiusura di teatri, cinema ed ogni altro ente che abbia

intrapreso delle convenzioni con l’università di scienze della

comunicazione).

- la sezione centrale superiore in assenza di interattività

con l’utente, visualizza le informazioni della cattedra a cui si

riferisce la bacheca interattiva. Qui transitano anche le news

(naturalmente di interesse della cattedra) dal mondo del lavoro, sui

congressi ed i meeting con aziende che rappresentano una guida

informativa per addetti interni, esterni, utenti primari e stakeholder.

- la sezione centrale inferiore visualizza le notizie per gli

studenti della laurea specialistica. La bacheca interattiva, date le

dimensioni dello schermo e la collocazione in alto nei corridoi,

consente una fruizione ottimale dell’interfaccia grafica anche per il

quadrante posto più in basso. In questo modo, inoltre, le due sezioni

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Unificazioni: le bacheche interattive

centrali dello schermo rappresentano un continuum, poiché si

riferiscono ad informazioni che riguardano indistintamente sia le

attività didattiche (interne alla facoltà) che quelle professionali e

culturali.

Per distinguere meglio le sezioni si possono utilizzare i colori

come indicatori semantici dei contenuti. In questo caso si forniranno

degli strumenti d’aiuto (come una legenda) per standardizzare ogni

abbinamento. Tuttavia, si deve far attenzione in tali scelte a non

affollare l’interfaccia grafica di colori che possono infastidire la

fruizione dei contenuti. (vedi 3.5.6).

6.13 Analisi di fattibilità

Ci occupiamo ora di come attuare materiale il sistema

descrivendo quali sono le figure che intervengono nel processo di

realizzazione, proponendo un’analisi sui costi, sui tempi e le risorse

umane necessarie. Infine, definiamo quali sono i punti di forza del

sistema, dunque le motivazioni per realizzarlo e gli aspetti

potenzialmente critici.

6.13.1 Analisi della committenza

Il committente del servizio multimediale è il Preside della facoltà

di Scienze della comunicazione. Il suo obiettivo è fornire a studenti,

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Capitolo 6

professori e ospiti della sede un servizio di informazioni adeguato

alle necessità degli utenti e al panorama delle nuove tecnologie

emergenti. Le bacheche interattive sono uno strumento utile per

guidare ogni persona nella ricca offerta formativa della facoltà

rendendo contemporaneamente la sede più performante in ogni

attività.

6.13.2 Analisi dei costi

Per ciò che riguarda i costi relativi alla realizzazione del servizio,

vanno considerate le seguenti componenti:

- display (16 mila € circa);

- 6 access point (1500 € circa);

- acquisto del software e delle licenze da utilizzare per il

motore di ricerca;

- ulteriori spese sono relative alla manutenzione degli

apparati tecnologici.

Dopo l’installazione non ci sarà bisogno di aggiornamenti

frequenti per cui i costi iniziali (soprattutto degli schermi) potrebbero

essere ammortizzati trasformando la sede di via Salaria 133 in un hot

spot, un luogo pubblico che fornisce connessioni wi-fi a pagamento.

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Unificazioni: le bacheche interattive

In questo caso la spesa ulteriore è un access point specifico in grado

di gestire e contabilizzare i flussi di chiamata in uscita.7

6.13.3 Analisi dei tempi

Il servizio può essere realizzato in poche settimane, poiché i

contenuti da inserire sono già presenti, dunque necessitano di piccoli

riadattamenti, mentre l’installazione della rete Wlan e dei display,

non dovrebbe richiedere più di due giorni. Si pensa ad un tempo

massimo di tre settimane lavorative compresa la fase di testing del

sistema. Il motore di ricerca che regola l’interazione con l’utente,

invece, avrà bisogno di tempi maggiori per la realizzazione (si

prevede almeno un mese).

6.13.4 Analisi delle risorse umane

L’analisi delle risorse umane evidenzia come il servizio per

garantire una qualità ottimale deve poggiare sul lavoro congiunto di

due macro-team di persone:

- il gruppo di persone che lavora sui contenuti è interno

alla facoltà. Le figure necessarie saranno un product manager che

supervisioni lo svolgimento del progetto; due autori che selezionano

e correggono i testi esaminando i materiali disponibili; infine un web

7 Per approfondimenti, PC professionale, la guida indipendente alla tecnologia, n. 178, Gennaio 2006, p. 248.

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Capitolo 6

designer ed un programmatore. Queste due figure lavoreranno a

stretto contatto gestendo rispettivamente la parte grafica

dell’interfaccia e gli aspetti funzionali che riguardano l’interazione

tra client e server.

- il gruppo di persone che si occupano di fornire assistenza

tecnica sul sistema e sulle diverse componenti che costituiscono la

rete Wlan, che è esterno alla facoltà. Le figure richieste sono,

sistemisti informatici, esperti di sicurezza on-line capaci di gestire

reti di network.

Il team work fornitore dei contenuti delle bacheche interattive è

composto da studenti, assistenti, collaboratori e ricercatori.

L’obiettivo è da un lato formare gli studenti su materie che

riguardano la progettazione e la produzione multimediale, in modo

tale da acquisire conoscenze spendibili sul mercato del lavoro;

dall’altro fondare un laboratorio permanente che si imponga nei

mercati dei contenuti multimediali creando un filo diretto tra il

mondo dell’università e quello del lavoro. Il materiale per la

realizzazione del servizio non deve essere creato completamente

poiché già presente nelle pagine del sito web. Naturalmente ci sarà

una ri-definizione di alcuni contenuti, tuttavia le modifiche richieste

sono minime. Le informazioni saranno prevalentemente di tipo

testuale con aggiunta di immagini e parti grafiche nei casi di

pubblicità e design dell’interfaccia.

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296

Unificazioni: le bacheche interattive

6.13.5 Swot analysis

Forniamo di seguito uno schema pratico e facile dell’analisi dei

vantaggi e svantaggi del sistema proposto, sia interni che esterni:

Analisi interna

Vantaggi

- livello elevato di utilità del servizio offerto;

- coesistenza di materiali multimediali con una produzione

minima di ulteriori contenuti;

- creazione di un ecosistema intelligente negli ambienti

d’uso della facoltà in grado di informare gli utenti attraverso

comunicazioni sincrone ed asincrone;

- creazione di nuove competenze per gli studenti coinvolti;

- possibilità di legare la distribuzione dei contenuti al

download su dispositivi propri (pen drive, fotocamere digitali, ecc.),

cosa impossibile nei terminali presenti attualmente in facoltà;

Svantaggi

- Costi per l’acquisto degli schermi; per cui è quasi

impossibile creare una postazione interattiva per ogni cattedra della

facoltà;

- Problemi di sicurezza della rete intranet ed una

incapacità, se non in modo totalmente rigoroso, di gestire l’accesso

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Capitolo 6

alla rete di ogni dispositivo presente in sede, esterno al network

configurato.8

Analisi esterna

Vantaggi

- Prodotto gratuito per gli utenti;

- Singolarità del progetto, dunque, possibilità di brevettare

aspetti specifici del sistema, che non utilizzano infrastrutture già

preesistenti;

- Diffondere nell’opinione pubblica attraverso azioni

concrete la qualità del servizio formativo ed informativo offerto

dall’università, aspetto che troppe volte rappresenta il punto debole

della facoltà di Scienze della Comunicazione.

Svantaggi

- Atti vandalici e/o furti.

8 Questo problema porta alla difficoltà della gestione degli accessi. Nello specifico creando una rete senza fili sono utilizzati diversi profili utente che hanno facoltà di controllo diverse sul network. Solo in modalità di amministratore è possibile consentire accesso ad apparecchi esterni alla rete configurata. Il sistema delle bacheche interattive può interagire con l’utente utilizzando sia l’uno che l’altro profilo. Tuttavia la differenza in queste scelte è notevole; nel primo caso la sicurezza della rete è più esposta, poiché ogni terminale può accedervi fornendo connettività a strumenti esterni alla rete; nel secondo caso, invece, l’utente può accede ad un numero limitato di operazioni ed è impossibile collegarsi alla rete con dispositivi esterni ad essa.

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Unificazioni: le bacheche interattive

- Poche possibilità se si configura un’area wireless con

accessi alla rete troppo rigorosi di rendere multi-utente le operazioni

di inserimento, ricerca e scarico dei dati.

6.14 Conclusioni

Lo scopo del progetto è stato di considerare metodologie

alternative nella progettazione del software in modo da proporre

modelli di interazione più semplici ed efficaci tra la macchina e

l’uomo. Molte delle questioni evidenziate nel volume descrivono

come il processo di convergenza tecnologica ha trasformato i

supporti informatici da semplici dispositivi di calcolo matematico

utilizzati da ingegneri appassionati ed esperti a tecnologie di

comunicazione ed intrattenimento per il pubblico di massa. Si assiste

allo sdoganamento dei computer strumenti non più esclusivi di

contesti come uffici e/o scuole, ma presenti ormai nei salotti di ogni

casa come media center. Contemporaneamente la miniaturizzazione

degli hardware e le connessioni in modalità wireless offrono mobilità

e connettività ovunque.

L’analisi ha dimostrato senza troppe digressioni in questioni

tecnologiche, come sia possibile sfruttare la multimedialità offerta

dai dispositivi attuali in una direzione più contigua alla logica degli

esseri umani. Il passo preliminare è concepire metodologie di

progettazione realmente centrate sull’utente che prevedano un suo

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Capitolo 6

coinvolgimento attivo durante la realizzazione del prodotto. Per fare

ciò bisogna adottare processi di produzione del software più iterativi

in grado di accogliere in ogni momento una eventuale riformulazione

del prodotto. In secondo luogo si devono fornire modalità di

comunicazione uomo-macchina differenti da quelle proposte nei

sistemi desktop, strutture ormai troppo affini al marketing delle

grandi corporate informatiche, in cui le questioni di interazione

vengono espresse esclusivamente in termini di estetica e design

accattivante dell’interfaccia. L’efficacia dei futuri artefatti interattivi,

invece, è legata alle capacità di integrarsi invisibilmente nelle attività

quotidiane e negli ambienti d’uso semplificando le procedure delle

persone ed aumentandone la produttività. Devono avere, perciò, una

corrispondenza univoca tra la funzione da eseguire e l’attività da

svolgere. È ciò che Norman puntualizza (vedi 2.5.2), quando parla di

strumenti basati su un’unica attività che siano mirati a compiere

poche operazioni, per cui l’interfaccia tende letteralmente a

scomparire dalla percezione dell’utente. Il modello WIMP,9 invece,

va in una direzione opposta richiedendone continuamente la

partecipazione delle persone ed inglobando numerose attività in cui

ognuna deve essere dichiarata. In questo senso il desktop rappresenta

la metafora del disordine che regna in ogni scrivania (fisica o

9 Ci riferiamo anche all’architettura di sistema su cui si basa ogni dispositivo desktop.

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Unificazioni: le bacheche interattive

cognitiva). Tali critiche sono motivate sia da analisi quantitative

(GOMS e legge di Fitts) che da analisi qualitative (scenari, casi

d’uso, focus group, ecc.).

Per tali motivazioni l’interazione proposta per la bacheca

interattiva non ha utilizzato un modello d’interfaccia simile fornendo

all’utente, in primo luogo, un unico modo per svolgere le sue attività;

così l’attenzione è canalizzata esclusivamente sulle operazioni

pertinenti e che interessano alle persone senza perdersi nelle

modalità di funzionamento dell’artefatto. Inoltre, l’assenza del

dispositivo di puntamento (mouse) rende ogni bacheca interattiva

uno strumento usabile rispetto all’ambiente d’uso in cui si va a

collocare (corridoi) ed alle attività che deve supportare

(visualizzazione ed inserimento di dati).

Il progetto illustrato ha una forte propensione sperimentale. È

stato concettualizzato osservando le attività reali che gli studenti

eseguono in facoltà e cercando di accogliere i bisogni ed i desideri

emersi durante l’interpretazione dei dati raccolti. Perciò il modello

concettuale del sistema, in linea con i principi dell’interaction design,

non rappresenta il punto di vista del progettista (che pensa da

persona esperta), ma si avvicina al modello mentale dell’utente

proponendo un’interazione che raggiunge da subito gli obiettivi delle

persone. Un’idea che può avere, visti i vantaggi argomentati in

termini d’usabilità, una concreta applicazione nella sede di via

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Capitolo 6

Salaria 113 migliorando le attività didattiche preesistenti ed i flussi di

comunicazione tra facoltà e studenti.

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