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Università degli Studi di Roma La Sapienza
Facoltà di Scienze della Comunicazione indirizzo Comunicazione di Massa
Tesi di laurea di
Gennaro Lusito Rispoli n. matricola 860278
Interaction design: progettare sistemi interattivi centrati sull’utente
RELATORE CORRELATORE Prof.re Alberto Marinelli Prof.re Alfredo Imbellone
Anno Accademico 2004-2005, sessione invernale
Copertina di Gennaro Lusito Rispoli
I
IInntteerraaccttiioonn ddeessiiggnn:: pprrooggeettttaarree ssiisstteemmii iinntteerraattttiivvii
cceennttrraattii ssuullll’’uutteennttee
Introduzione VII Capitolo 1 Quadro di riferimento 1.1 Premessa 1 1.2 Definizione di interaction design 8
1.2.1 Cenni storici 11 1.2.2 Dominio disciplinare 23
1.3 Il processo user centred design (U.C.D.) 29 1.4 Interaction design come fattore strategico 34 1.5 Obiettivi del processo: usabilità e qualità in uso 37
1.5.1 Obiettivi di usabilità 41 1.5.2 Obiettivi d’esperienza d’uso 44
Capitolo 2 Il processo user centred design 2.1 Caratteristiche del processo 49 2.2 Cicli di progettazione a confronto 54
2.2.1 Modello “a cascata” nell’ingegneria del software 56 2.2.2 Modello “star” nella human computer interaction 61 2.2.3 Modello “life cycle” nell’ingegneria dell’usabilità 66 2.2.4 Un modello generale per l’interaction design 70
2.3 Come si decide il target di riferimento 73 2.4 Stabilire bisogni degli utenti e requisiti dei sistemi 75
2.4.1 Capire i bisogni e i desideri degli utenti 75 2.4.2 Quali sono i requisiti dei sistemi 77
Indice generale
II
2.4.3 Contextual design 79 2.4.4 Inchiesta contestuale 82 2.4.5 Modellizzazione e consolidamento del lavoro 83
2.5 Progettazione: caratteristiche generali 88 2.5.1 Cosa sono i modelli concettuali 89 2.5.2 Concettualizzare il sistema secondo l’attività 90 2.5.3 Proporre alternative di design 94
2.6 Attività di prototipazione 95 2.6.1 Compromessi della prototipazione 96
2.7 Valutazione dei sistemi centrata sull’utente 97 2.7.1 Osservare gli utenti 98 2.7.2 Testare gli utenti 100 2.7.3 Modellizzare gli utenti 102
Capitolo 3 Comprendere gli utenti
3.1 Il potere dell’infrastruttura tecnologica 105 3.2 Caratteristiche psicologiche universali degli utenti 109 3.3 Conscio ed inconscio cognitivo 110 3.4 Cognizione 112 3.5 Cognizione esperienziale 113
3.5.1 Memoria e conoscenza 114 3.5.2 Memoria a breve termine 116 3.5.3 Memoria a lungo termine 117 3.5.4 Attenzione selettiva 118 3.5.5 Automatismi ed abitudini 120 3.5.6 Percezione visiva 121
3.6 Cognizione riflessiva 129 3.6.1 Processi di apprendimento 130 3.6.2 Capacità di linguaggio: parlare, leggere e scrivere 132 3.6.3 Facoltà di pianificazione e prendere decisioni 136
3.7 Approcci alla cognizione nell’interaction design 138 3.7.1 Modelli mentali 139 3.7.2 Informational processing 140 3.7.3 Cognizione esterna 142 3.7.4 Cognizione distribuita 144
Indice generale
III
3.8 Emozioni e sistema affettivo umano 146 3.8.1 Livelli dell’emozione 147 3.8.2 Design ed emozioni 149
Capitolo 4 Progettare l’interazione 4.1 Premessa 155 4.2 L’interfaccia è il prodotto 156
4.2.1 Interfacce modali 158 4.2.2 Progettare per l’errore 163 4.2.3 Progettare per la conversazione 166 4.2.4 Progettare per la collaborazione 167
4.3 Sviluppare il modello concettuale del prodotto 170 4.4 Modelli basati su attività dell’interazione 171
4.4.1 Fornire istruzioni 172 4.4.2 Conversare 174 4.4.3 Manipolare e navigare 176 4.4.4 Esplorare e sfogliare 178
4.5 Modelli basati su metafore di interfaccia 180 4.6 Modelli basati su paradigmi d’interazione 182
4.6.1 Desktop 184 4.6.2 Realtà virtuale 186 4.6.3 Ubiquitous computing 188 4.6.4 Tangibile bits, realtà aumentata 190 4.6.5 Pervasive computing 193 4.6.6 Weareable computing 195 4.6.7 Affective computing 197
4.7 Elementi concreti delle interfacce 199 4.7.1 Comandi 200 4.7.2 Pulsanti, interruttori, bottoni 203 4.7.3 Finestre 204 4.7.4 Icone 206 4.7.5 Strumenti di ricerca 207
Indice generale
IV
Capitolo 5 Tecniche del processo U.C.D. 5.1 Introduzione 211 5.2 Tecniche per comprendere i bisogni degli utenti 213
5.1.1 Interviste 213 5.1.2 Questionari 215 5.2.3 Inchiesta 216 5.2.4 Diari d’uso 216 5.2.5 Focus Group 217 5.2.6 Interpretazione ed analisi 218
5.3 Tecniche per stabilire i requisiti dei sistemi 219 5.3.1 Descrizione delle attività 220 5.3.2 Scenari 222 5.3.3 Casi d’uso 223 5.3.4 Essential use case 224 5.3.5 Analisi dei task 225 5.3.6 Task allocation 226
5.4 Tecniche di progettazione 227 5.4.1 Principi di design 228 5.4.2 Linee guida 233 5.4.3 Guide di stile 235 5.4.4 Standard 237
5.5 Tecniche di prototipazione 241 5.5.1 Prototipazione low-fi 242 5.5.2 Prototipi su carta: schizzi e storyboard 243 5.5.3 Prototipi su video: mago di oz 244 5.5.4 Prototipazione hi-fi 245 5.5.5 Prototipi su computer: i software 246
5.6 Tecniche di valutazione 246 5.6.1 Valutazione euristica 248 5.6.2 Cognitive walkthrough 249 5.6.3 Valutazione cooperativa 251 5.6.4 Valutazione partecipativa 252 5.6.5 Valutazione qualitativa dell’esperienza 253 5.6.6 Valutazione quantitativa dell’esperienza 254 5.6.7 GOMS 255
Indice generale
V
5.6.8 Keystroke level 257 5.6.9 Legge di Fitt 258
Capitolo 6 Unificazioni: le bacheche interattive 6.1 Premessa 261 6.2 Analisi del problema 260 6.3 Obiettivi del progetto 263 6.4 Descrizione dei profili d’utenza 265
6.4.1 Utenti primari 265 6.4.2 Stakeholder 266
6.5 Interviste aperte per la raccolta dei dati 267 6.6 Focus group per l’interpretazione dei dati 268 6.7 Definizione di bisogni e desideri degli utenti 272 6.8 Descrizione delle attività del sistema 273
6.8.1 Scenari d’uso 275 6.8.2 Analisi dei task 276
6.9 Comprensione dei requisiti del sistema 279 6.9.1 Requisiti funzionali 281 6.9.2 Requisiti riguardanti i dati 282 6.9.3 Requisiti ambientali 282 6.9.4 Requisiti di usabilità 283
6.10 Specificazione del modello concettuale 287 6.11 Stile dell’interazione 288 6.12 Strutturazione dei contenuti 289 6.13 Analisi di fattibilità 292
6.13.1 Analisi della committenza 292 6.13.2 Analisi dei costi 293 6.13.3 Analisi dei tempi 294 6.13.4 Analisi delle risorse umane 294 6.13.5 Swot analysis 296
6.14 Conclusioni 298 Bibliografia XV Webliografia XXV
VI
Introduzione
VII
La diffusione dei sistemi interattivi nei contesti quotidiani e
professionali non è stata accompagnata da un adeguato sviluppo
delle modalità d’interazione uomo - macchina. Se si analizza, ad
esempio, come le persone interagiscono oggi giorno con i computer
si può notare come, in circa venti anni, sia cambiato molto poco.
Mentre le interfacce grafiche sono concettualmente le stesse dei
primi progetti della Apple, le capacità computazionali dei sistemi
attuali consentono di superare modelli di funzionamento ormai
consolidati e poco usabili come la metafora della scrivania.1 Sembra,
invece, che le circostanze maturate hanno portato ad atteggiamenti
ancor più cristallizzati tanto che il desktop, come metafora calzante
d’interazione, si estende da artefatti come i personal computer ad
altri di nuova generazione come telefonini e palmari.
Tali evoluzioni fanno capire quanto il concetto di sistemi user-
friendly nei mercati informatici sia un qualcosa lasciato
1 Se consideriamo la versione recente del sistema operativo (Windows XP) e la prima versione che adotta un’interfaccia grafica (Windows 3.0) è innegabile che vi siano delle differenze evidenti. Tuttavia se escludiamo caratteristiche strettamente tecniche (la versione recente è un sistema multiutente e multipiattaforma, il sistema possiede una stabilità maggiore, riconosce driver senza alcuna installazione, supporta naturalmente una quantità maggiore di protocolli di comunicazione, la grafica è più curata con la possibilità di allargare e stringere le finestre, i menù laterali semplificano le scelte) le modalità con cui viene regolata l’interazione sono identiche.
VIII
Introduzione
ingiustificatamente in sospeso. Ciò è ancor più grave se si pensa ai
processi di convergenza attuali con gli sviluppi della rete web, della
telefonia mobile, dei sistemi di posizionamento e delle possibilità di
integrazioni di informazioni virtuali nell’ambiente fisico. Tali
tecnologie hanno creato un vero e proprio ecosistema digitale, in cui
ogni attività quotidiana e professionale degli esseri umani è
condizionata ai modelli d’interazione dei dispositivi informatici.
Mantovani spiega come i sistemi interattivi sono mezzi sociali a
doppio titolo. Prima di tutto perché la loro progettazione deriva
dall’instaurarsi di processi complessi, altamente coordinati e
cooperativi; in secondo luogo, poiché il loro utilizzo permette nuove
forme di attività e relazioni tra le persone.2
È necessario alle luce di queste ragioni un approccio più
metodologico alla progettazione dei software capace di non
soffermarsi esclusivamente agli aspetti tecnologici da implementare
nelle interfacce ma in grado di partire dalle caratteristiche specifiche
degli esseri umani per comprendere i modelli da utilizzare
nell’interazione con gli artefatti. Per fare ciò bisogna tralasciare
forme d’analisi tradizionali dell’ingegneria del software o della HCI
(Human Computer Interaction) ove la relazione sistema – utenti
2 G. Mantovani, L’interazione uomo-computer, Bologna, Mulino 1995.
IX
Introduzione
viene intesa esclusivamente in termini di task (compiti) riferendo
molto poco sugli elementi dei contesti sociali d’uso. Come ritiene
Francesca Rizzo abbandonando il concetto di compito «il livello
migliore per costruire prodotti interattivi è quello delle attività
situate nei contesti in cui esse avvengono».3 Questa operazione
sposta il focus nella progettazione dall’analisi della relazione
individuo – artefatto all’analisi dei processi d’interazione che si
sviluppano tra le persone attraverso questi dispositivi.
L’interaction design è un settore interdisciplinare che pone al centro
attività e contesti d’uso delle persone. Un approccio sistemico al
design per descrivere, valutare e progettare forme e modelli
d’interazione. I sistemi informatici sono, per loro stessa natura,
strutture aperte e poco autoreferenziali: infatti, agiscono
contemporaneamente con gli utenti, con diversi programmi,
consentendo a più persone di comunicare tra loro; le modalità di
funzionamento devono vincolare nella scelta delle azioni appropriate
e nello stesso tempo incoraggiare l'esplorazione senza arrecare
frustrazione o perdite di tempo inutili. Le attività eseguibili sono
molteplici e quindi, utilità, sicurezza e affidabilità dell’interazione
3 F. Rizzo, Interaction design, traduzione Bacigalupo-Fiorani, Milano, Apogeo, 2004, pag. XIV.
X
Introduzione
determinano inevitabilmente il successo o il fallimento commerciale
dei prodotti.
Si pensi, ad esempio, allo scalpore suscitato nell’e-commerce dal
fenomeno delle dot-com e più in generale di tutte le aziende che,
entrate ingenuamente nel commercio elettronico, sono scomparse
entro pochi mesi dal lancio. Le motivazioni principali dei fallimenti
sono proprio nell’aver sottovalutato l’importanza di alcune
caratteristiche degli ambienti on-line (tempi di caricamento, aspetti
legati alla sicurezza) e nell’aver realizzato applicazioni interattive
poco usabili, violando il rapporto di fiducia con l’utente (già di per sé
molto labile in rete). Mentre le aziende si rendono conto quanto dei
buoni modelli d’interazione in un sito web o in un software abbiano
un impatto sui risultati di valorizzazione della marca (brand), cresce
la domanda di interaction design tanto da diventare ai giorni d’oggi
una vera e propria risorsa strategica per il core - business delle
imprese, strumento in grado di certificare la qualità e l’innovazione
raggiunti nel processo produttivo. Non a caso un numero sempre
maggiore di società di consulenza, come IDEO, Norman-Nielsen
group, Costantine & Lockwood, si propongono come esperte.
Diventano ridondanti espressioni come user experience design,
scenario user centred, usability testing, ecc. Se, infatti, dieci anni fa
sviluppare un’applicazione software richiedeva il coinvolgimento di
XI
Introduzione
uno staff ridotto di programmatori che operavano all’interno di una
precisa organizzazione, oggi il settore si è considerevolmente
allargato. In un’epoca multimediale matura il panorama (hardware e
software) è mutato, costituito da molteplici figure professionali.
L’organizzazione del lavoro richiede un processo di produzione
flessibile basato su capacità multidisciplinari in grado di stabilire in
ogni dettaglio l’interazione tra il sistema e l’utente.
Organizzazione del volume
Nel primo capitolo sono affrontate alcune questioni generali in modo
da inquadrare il raggio d’azione e gli obiettivi principali
dell’interaction design. L’applicazione dei principi espressi richiede,
inevitabilmente, una riformulazione del processo di progettazione e
una riorganizzazione dei modelli produttivi d’impresa. Il secondo
capitolo prende in considerazione alcuni approcci alla progettazione
provenienti da domini disciplinari diversi, comparando pregi e
svantaggi di ognuno. Successivamente sono evidenziati, in modo più
specifico, le caratteristiche che riguardano il processo di interaction
design che si compone di quattro attività principali [processo User
Centred Design (U.C.D.)]. Nel terzo capitolo sono descritti i criteri
XII
Introduzione
da cui partire per realizzare sistemi usabili e a misura d’utente. Per
fare ciò bisogna avere una buona conoscenza dei modi in cui la
cognizione umana elabora l’informazione e degli obiettivi associati
in ogni attività specifica delle persone. Il quarto capitolo individua i
presupposti per sviluppare l’interazione uomo-macchina passando
dal design concettuale all’analisi degli elementi fisici delle
interfacce. Il quinto capitolo illustra le differenti metodologie e
tecniche attraverso le quali si passa dall’idea astratta alla
realizzazione empirica del prodotto. Infine, l’ultimo capitolo propone
un’applicazione sperimentale per la facoltà di Scienze della
Comunicazione, università La Sapienza di Roma, realizzata secondo
le regole ed i criteri del processo di interaction design.
XIII
Ringraziamenti
Ringraziamenti
Il primo pensiero è ai miei genitori che, in tutti questi anni, hanno
sempre sostenuto con fiducia tutte le mie scelte, soprattutto, le più
difficili.
Ringrazio Alberto Marinelli ed Emmanuel Mazzucchi per la
disponibilità dimostratami in ogni momento. Luigi Arlotta e
Pierluigi Dalnostro per i suggerimenti tecnici; le ragazze ed i
ragazzi intervenuti nella ricerca e al focus group, senza di loro questa
tesi non sarebbe così.
L’ultimo pensiero è per chi ha sopportato dubbi, timori e paure
indicandomi a volte una via d’uscita: grazie Marianna.
XIV
1
Capitolo 1
Quadro di riferimento
1.1 Premessa
Cosa si intende per interaction design? La risposta non è
univoca. Siamo in un campo di studi multidisciplinare costituito da
numerosi ambiti di ricerca che utilizzano approcci e tecniche
completamente speculari.
Iniziamo con lo specificare il concetto di design, termine
utilizzato da diverse discipline (dalla grafica all’arredamento
d’interni, dal disegno industriale al software design) e che può
facilmente generare confusione. Secondo l’Oxford English
Dictionary il design «è un piano o uno schema concepito nella mente
per essere successivamente eseguito». Il concetto fa riferimento,
quindi, innanzitutto ad un’attività cognitiva di rappresentazione
schematica il cui fine successivo è la realizzazione materiale di un
oggetto. Questo è il senso della corrispondenza fra l'espressione
disegno e design. Come spiega Anceschi nel libro L'oggetto della
raffigurazione «si può quasi dire che la progettazione in settori
come il disegno industriale, l’architettura e l’urbanistica, vuoi nella
fase di raccolta dati, ricerca e ideazione, vuoi in quella della
presentazione alla committenza […] coincida con un’articolata e
2
Quadro di riferimento
complessa operazione di rappresentazione schematica».1 Per
Bonsiepe, il termine sta ad indicare anche un preciso tipo di azione
«un agire innovativo, che deve farsi carico delle necessità degli
utenti».2 Se, dunque il design richiede una fase in cui definire e
mettere in atto un piano, vive anche di un forte spirito pragmatico
rivolto alla ricerca permanente dell’innovazione, caratteristica che ne
costituisce l’essenza e l’obiettivo del processo in funzione della
soddisfazione finale dell’utente. Le propensioni generali osservate
fino ad ora, assumono una valenza più operativa nelle
concettualizzazioni proposte da Munari, secondo cui il design si
interessa alla comunicazione visuale di un oggetto specificando un
codice linguistico ed un supporto su cui viaggeranno tutte le
informazioni.3
Bisogna osservare come in nessuna di queste definizioni si
faccia riferimento ad una attività finalizzata esclusivamente alla
rappresentazione formale che avviene attraverso una fase creativa
arbitraria in cui i valori estetici sono predominanti; si evidenziano,
piuttosto, gli elementi che ne contraddistinguono il processo. Da
queste premesse si può intuire, comunque, la rilevanza delle
1 G. Anceschi, L’oggetto della raffigurazione, Milano, Etas Libri, 1992, p. 4. 2 G. Bonsiepe, Dall’oggetto alle interfacce, traduzione di F. Costa Milano, Feltrinelli 1993, p. 25. 3 B. Munari, Design e comunicazione visuale, Laterza, Bari, 1993.
3
Capitolo 1
operazioni di design nello sviluppo di un prodotto, conoscenze da
considerare a partire dalle prime idee della progettazione. Nel caso
contrario si potrebbero anche sviluppare oggetti esteticamente
gradevoli, tuttavia questi, non avendo una precisa sintesi delle
attività a cui sono destinati, sarebbero caratterizzati da numerose
difficoltà d’utilizzo. Senza l’apporto del design è, infatti, impossibile
realizzare, parafrasando le parole di Munari, una comunicazione
visuale appropriata e oggetti in grado di esprimere le proprie
funzionalità in un quadro d’interazione coerente.
Queste sono le questioni principali da cui partire per
comprendere quale sia l’essenza reale di un processo di design che
coniuga aspetti funzionali ed estetici, quindi, il nucleo teorico attorno
al quale dovrebbe modellarsi qualsiasi sua applicazione. Tuttavia, le
considerazioni che alimentano i dibattiti intellettuali e scientifici,
sono di rado rispettate negli ambiti produttivi ed economici ove tale
filosofia continua ad essere utilizzata come una risorsa limitata
soggetta esclusivamente ad applicazioni di ritocco. In questi flussi di
produzione viene perpetuato l’errore di accostare lo sviluppo di un
prodotto, con caratteristiche necessariamente innovative, ad un
momento di creazione geniale quasi avanguardistica ove il design
svolge esclusivamente una funzione per l’abbellimento estetico. A
tali tendenze erronee non si sottraggono neanche ambiti economici
più recenti, come i settori dell'information tecnology che dovrebbero
4
Quadro di riferimento
fare delle attività di design, vista la natura complessa della
comunicazione tra un sistema software ed una persona, la principale
risorsa. Lo sviluppo delle modalità d’interazione, tuttavia, è spesso
determinato da scelte casuali le quali più che implementare aspetti
innovativi consolidano forme già preesistenti e difficilmente
modificabili.
Bonsiepe sottolinea come «nell’impostazione prevalente delle
computer science le operazioni relegate al design si rivelano quasi
sempre attività cosmetiche»4 che avvengono quando le strutture
fisiche dei prodotti sono già ultimate. Tali flussi di progettazione si
concentrano principalmente sulle caratteristiche ingegneristiche e
tecnologiche dei sistemi, più che fare attenzione alle reali attività in
cui si andranno a collocare i prodotti. Se fino a pochi anni fa questi
aspetti potevano essere trascurati, poiché computer e reti di
telecomunicazione venivano utilizzati da studiosi o esperti con fini
molto specifici (elaborazione dei dati e condivisione), oggi queste
tecnologie sono adoperate dalla maggior parte degli individui in un
gran numero di operazioni. Non si tratta più di persone con tutte le
competenze del caso, ma di gente normale che usa tali dispositivi
come supporto alle proprie attività quotidiane. Gli utenti della
4 G. Bonsiepe, (op. cit.), 1993, p. 25.
5
Capitolo 1
seconda generazione,5 come definiti da Norman, non hanno bisogno
di funzionalità tecnologiche elevate; necessitano, invece, di modalità
di comunicazione istantanee da apprendere e facilmente integrabili
nelle proprie azioni (figura 1.1).
5 Come spiega Norman un vero abisso separa le richieste e gli atteggiamenti degli utenti della prima ondata da quelli della seconda. I primi sono votati a padroneggiare la superiorità tecnologica della macchina, mentre i secondi vogliono solo utilizzare un sistema semplice ed affidabile. Per approfondimenti, D. Norman, Il computer invisibile, traduzione di B. Parrella, Milano, Apogeo, 1998, p. 37.
6
Quadro di riferimento
Molti dei problemi odierni sono causati dall’adozione di criteri
metodologicamente impropri durante la progettazione dei software,
che considerano un utente medio fornito delle stesse capacità e
competenze di una persona esperta. Così le scelte progettuali si
limitano alla formulazione delle funzionalità dell'interfaccia non
considerando la natura delle attività in cui gli artefatti si vanno a
collocare, ignorando completamente i modelli mentali delle persone
e non approfondendo i loro obiettivi. Ne deriva «un’utilizzo
sregolato o gratuito della multimedialità che produce interfacce che
confondono gli utenti e rendono difficili la comprensione delle
informazioni».6
Come spiegano Rizzo e Pozzi «porre l'attività intera (persona,
strumento, obiettivi) come fulcro del processo di design e valutazione
consente di affrontare l'interazione tra uomo e macchina da più lati
pertinenti, senza fermarsi al solo elemento tecnologico».7 Le grandi
corporate dell’informatica così come le aziende entrate nell’e-
business, nonostante l’ampia estensione avvenuta dei prodotti/servizi
interattivi in ogni ambito della vita professionale e quotidiana delle
persone, sembrano ancora oggi poco sensibili a queste evoluzioni
visti gli scarsi risultati in termini di usabilità. Le logiche di
progettazione, infatti, sono focalizzate quasi esclusivamente nella
6 J. Nielsen, Web usability, Milano, Apogeo, 2000, p. 132. 7 A. Rizzo, S. Pozzi in http://formare.erickson.it/archivio/ settembre_02/ rizzo_pozzi.html
7
Capitolo 1
formulazione di strumenti iperfunzionali8 raramente utilizzati in tutte
le funzionalità disponibili (esigenza dettata dalle prospettive del
marketing e dall’illusione di apportare innovazione soltanto a partire
dalla tecnologia fine a se stessa), piuttosto che a sviluppare modelli
di interazione meno complessi e più adeguati ai valori della
comunicazione umana. Come spiega Norman nel libro Le cose che
ci fanno intelligenti, «nella situazione attuale prevale la tecnologia
sull’uomo»9; ad esempio i programmi utilizzati dai computer (editor
di testo, editor di immagini, ecc.) hanno poco attinenza con le reali
attività delle persone risultando inevitabilmente strumenti con
funzioni astratte e generiche, caratteristiche che ne costituiscono la
maggiore difficoltà nell’apprendimento. I modelli d'interazione con
l’utente vengono considerati solo nella realizzazione dell'interfaccia,
intesa fondamentalmente come un guscio da applicare al sistema per
confezionarne il suo aspetto esteriore. Così si pensa che per risolvere
tutti i problemi basti un'interfaccia migliore. Tuttavia se le modalità
di comunicazione con l’utente costituiscono un elemento finale del
processo, l'interazione sarà necessariamente vincolata ai soli aspetti
tecnologici (basati su logiche completamente differenti da quelle
8 Nel 1992 un programma di videoscrittura come Microsoft Word conteneva 311 diversi comandi: una quantità mostruosa ed inutilizzata di funzioni. 9 D. Norman, Le cose che ci fanno intelligenti, traduzione di I. Blum, Milano, Feltrinelli, 1995, pp. 20-22.
8
Quadro di riferimento
degli esseri umani). Come spiegano Winograd e Flores «se
progettare interfacce vuol dire progettare strategie di
comunicazione, e se la comunicazione è alla base del mondo di vita
dell’uomo, allora progettare interfacce significa progettare mondi di
vita».10
1.2 Definizione di interaction design
L’interaction design nasce proprio dall’intento di porre fine alle
tendenze deterministiche in modo tale da spostare l’interesse nella
progettazione dei sistemi software dalla tecnologia in sé ai bisogni
degli utenti e più in generale alle esigenze degli esseri umani.
L’obiettivo è sviluppare sistemi interattivi usabili in grado di
sostenere le persone nelle loro attività quotidiane e professionali.
Secondo Winograd, che descrive la disciplina come «la
progettazione di spazi per la comunicazione e l’interazione
umana»,11 è proprio l’attitudine ad ideare strumenti di supporto alle
persone che differenzia questo dominio dall’ingegneria del software
focalizzata, invece, sulla realizzazione tecnica e sul funzionamento
delle strutture specifiche. Attuare un processo di interaction design
10 T. Winograd, F. Flores, Understanding Computers and Cognition: A New Foundation for Design. Norwood, Addison-Wesley, 1986, p. 207. 11 T. Winograd, From computer machinery to interaction design. In P. Denning e R. Metcalfe (a cura di) Beyond Calculation:the next fifty years of computing, New York, Springer Verlang, 1997, pp. 149-162.
9
Capitolo 1
vuol dire, prima di tutto, procedere secondo un agire strategico che
investiga sull’uso che verrà fatto del prodotto/servizio e sulle
caratteristiche specifiche degli utenti a cui lo stesso sarà
commercializzato. Le soluzioni da realizzare si vanno a collocare,
infatti, in precisi contesti culturali ed influenzeranno inevitabilmente
il modo collettivo di pensare e di decidere delle persone. Come
precisa Mantovani «quando si progettano questi strumenti si
progettano anche modi di essere delle persone».12 La questione
cruciale è allora come ottimizzare l’interazione tra utenti, sistemi e
ambienti d’uso in modo tale da sostenere e potenziare tutte le attività
coinvolte. Adottare un approccio sistemico nel design è
fondamentale, quindi, per una più ampia considerazione degli aspetti
sociali veicolati dalle interfacce. Da questo punto di vista diventano
centrali tre questioni: facilitare l’apprendimento umano, favorire la
comunicazione tra le persone e aumentarne la loro collaborazione.
L'accessibilità su vasta scala degli strumenti digitali e le possibilità di
connessione in rete, il modo in cui questi strumenti influiscono
sull'organizzazione del lavoro in tutti i livelli produttivi, fanno
emergere la necessità di valutare queste caratteristiche come aspetti
permanenti di un qualsiasi prodotto interattivo. Come evidenzia
Norman buona parte della tecnologia moderna è tecnologia
12 G. Mantovani, Comunicazione e identità, Bologna, Mulino, 1995, p. 25.
10
Quadro di riferimento
d’interazione sociale «abbiamo bisogno di tecnologie in grado di
offrire la ricchezza e la forza dell’interazione senza il fastidio che
l’accompagna».13 Tali questioni ci fanno capire quanto il raggio
d’azione dell’interaction design non sia centrato esclusivamente sulla
realizzazione di interfacce grafiche, come per la HCI (Human
Computer Interaction), ma interessato ad ogni aspetto della relazione
tra utenti, sistemi ed ambienti d’uso. L’obiettivo è molto più
generale, poiché si tratta di organizzare spazi d’interazione non
necessariamente relegati in uno schermo, rispettosi dei criteri e dei
valori della comunicazione umana.
Queste esigenze appaiono particolarmente necessarie nella
situazione attuale di convergenza tecnologica con le possibilità
aperte dalle infrastrutture emergenti (reti wireless, radio-frequenze,
comunicazioni infrarossi, telefonia mobile, ecc.) che portano con sé
spazi di socialità completamente artificiali. L’interaction design deve
coniugare modelli concettuali appropriati, poiché è la natura stessa
della comunicazione multimediale a spostarsi sempre più dallo
schermo dei computer, ai palmari, ai telefonini fino a coinvolgere
l’ambiente fisico con la comparsa di luoghi (stanze intelligenti, città
virtuali ecc.) completamente informatizzati.
13 D. Norman, Emotional Design, traduzione di B. Parrella, Milano, Apogeo, p. 158.
11
Capitolo 1
Se le reti ed i processi di miniaturizzazione odierni ci hanno
permesso di passare dai personal computer in cui luogo canonico
dell’interazione non poteva che essere una scrivania, a dispositivi
hypermediali utilizzabili in contesti mobili, in un prossimo futuro
sarà possibile addirittura sbarazzarsi di terminali così complessi e
iper-funzionali. Come spiega Norman, i media interattivi
abbandoneranno modelli di fruizione intrusivi (come ad esempio la
metafora della scrivania, il sistema di puntamento) in favore di altri
nascosti ed invisibili che comunicheranno in modo automatico negli
ambienti fisici o negli oggetti d’uso quotidiano senza richiedere una
costante partecipazione delle persone (infodomestici, smart device,
dispositivi connessi a database, ecc). Tali modalità d’interazione
necessitano più che di strutture complesse ed ipertecnologiche, di
sistemi adatti ad eseguire un’unica classe di attività che non facciano
un po’ di tutto, ma che abbiano uno stretto legame tra l’uso e il
compito da svolgere, in modo tale che il funzionamento dell’artefatto
risulta totalmente impercettibile durante l’utilizzo.
1.2.1 Cenni storici
I computer, nella loro concezione originale, nascono per
eseguire soprattutto funzioni di calcolo, così che per molti anni sono
stati utilizzati esclusivamente per elaborare grandi quantità
d’informazione o comunque per analizzare questioni matematiche e
12
Quadro di riferimento
scientifiche.14 Le prime strutture erano maneggiate dagli stessi
ingegneri tanto che le interfacce apparivano relativamente semplici
ed includevano interruttori e quadranti capaci di controllare gli stati
interni del sistema. La programmazione doveva essere fatta in codice
binario ed il risultato delle elaborazioni era visualizzato con il
lampeggio dei led sul pannello frontale. Si pensi ad esempio
all’Altair (uno dei primi computer commerciali venduto in kit), in cui
non c'era la tastiera e il terminale video. In tali apparecchi non
potevano comunque sussistere dei problemi d’interazione, poiché
erano adoperati dagli stessi sviluppatori o da persone appassionate ed
esperte che possedevano tutte le conoscenze specifiche. Con
l’introduzione dei terminali video a partire dai primi anni Settanta e
in seguito alla diffusione commerciale del microprocessore (proprio
l’Altair15 fu il primo computer ad implementare questa tecnologia) si
aprono nuove possibilità negli ambiti delle tecnologie informatiche
con la costituzione delle prime postazioni personali sui luoghi di
lavoro (workstation). Lo schermo non solo rivoluziona il tradizionale
modo di interagire con i computer rendendo l’interazione visuale, ma
14 Nel 1946 viene messo a punto l’ENIAC primo calcolatore elettronico digitale composto da 180 mila valvole elettriche. Dopo un anno è in funzione l’EDVAC basato sull’architettura elaborata da Von Neumann alla base del computer moderno. Si tratta della prima macchina in grado di memorizzare dati ed istruzioni delle applicazioni. 15 Fu proprio costruendo software per l’Altair 8800 prodotto al MIT (Massachusetts Institute Tecnologyche) che nel 1975 nasce la Microsoft Corporation fondata da Allen e Gates.
13
Capitolo 1
fa emergere il bisogno di strumenti in grado di mediare tra gli intenti
dell’uomo ed i risultati della macchina. Intanto venivano alimentate
le ricerche sulla rete Arpanet16 che grazie allo sviluppo delle
workstation, alle connessioni tra computer,17 alle capacità di time-
sharing e di elaborazione distribuita, introdussero nuovi protocolli
per la condivisione di informazioni e dati.18
Negli studi delle computer science ci si rende conto che
aumentare le caratteristiche comunicative dei software richiedeva
necessariamente un coinvolgimento di esperti provenienti da altri
ambiti di studi. Il tutto si doveva concretizzare integrando saperi
16 La concettualizzazione della rete Internet avviene già negli anni Cinquanta, quando V. Bush formulava nell’articolo “As we may think” l’idea del Memex, antisignano dell’ipertesto, in cui osservava che l'esplosione dell’informazione rendeva necessaria la creazione di nuovi strumenti capaci di selezionare in maniera efficiente l'informazione e di collegare fra loro porzioni separate. Queste ricerche erano spinte dalla convinzione, che il computer non dovesse limitarsi ad essere un manipolatore di dati, ma potesse essere un valido aiuto per la mente umana anche in altri campi. 17 Come ha evidenziato Franco Carlini nel libro Lo stile del web, l’evoluzione iniziale delle reti telematiche, a differenza di quanto avvenuto per il computer, ha riguardato una dimensione esclusivamente software. Le reti telematiche hanno utilizzato da subito una componente hardware già stabile e metabolizzata nelle società, come il telefono. 18 Nel 1972 Cerf e Kahn introducono il TCP/IP (Transmission Control Protocol/Internet Protocol) un protocollo di comunicazione basato sulla commuttazione di pacchetto che consente di connettersi al di fuori dei nodi predisposti da Arpanet e che entra effettivamente in uso a partire dal 1982. In genere il TCP viene utilizzato per quelle applicazioni che richiedono un servizio orientato alla connessione come ad esempio la posta elettronica e il file sharing.
14
Quadro di riferimento
come quelli dell’intelligenza artificiale (IA)19 e di discipline
accademiche come la psicologia,20 che da anni avevano introdotto
negli studi sui linguaggi e l’apprendimento umano la metafora del
cervello come sistema di elaborazione.21 La collaborazione tra questi
settori si rivela fruttifera tanto che in pochi anni sono realizzati
strumenti come linguaggi di programmazione di alto livello22 e
19 La nascita ufficiale della disciplina è legata a McCarthy che progetta nel 1958 il linguaggio di programmazione LISP (ListProcessing) rimasto per decenni strumento utilizzato dalle ricerche sull’IA. Permetteva implementazioni sia compilate che interpretate e con programmi come l’advice taker era possibile rappresentare conoscenza e fare semplici inferenze. 20 Nel 1957 Chomsky pubblica “Le strutture della sintassi”, uno studio della linguistica che sarà fondamentale per la progettazione della sintassi dei linguaggi di programmazione. 21 Le ricerche di Minskey, McCarthy e Papert portano alla formulazione del LOGO, un linguaggio di programmazione sviluppato negli anni '60. Logo è stato utilizzato con scopi didattici anche se non manca di nessuna funzionalità (come per esempio il Basic), anzi, possiede capacità di manipolazione di simboli non numerici, mancanti nella maggior parte degli altri linguaggi, orientato alla grafica e alla geometria di base. Per approfondimenti, S. Papert, Mindstorms: Children, Computers, and Powerful Ideas, New York, Basic Books, 1980. 22 Negli anni Cinquanta viene sviluppato il primo linguaggio di alto livello in grado di mediare la programmazione in codice binario effettuata sino ad allora sui computer; si tratta del FORTRAN ideato da J. Backus. Lo scopo principale era di supportare le persone nella risoluzione di operazioni matematiche e aritmetiche. Con l'ideazione del COBOL negli anni Sessanta vengono introdotte nuove possibilità poiché permette di realizzare piccole applicazioni gestionali rivolte alla risoluzione di problematiche aziendali. Alla fine degli anni Sessanta Kurtz e Kemeny introducono il BASIC, un linguaggio di programmazione utilizzabile anche da persone poco esperte
15
Capitolo 1
architetture di sistema,23 che hanno permesso di introdurre le prime
interfacce utente. Il sistema operativo UNIX (acronimo di
UNIplexed Information and Computing Service)24 presenta «un
ambiente software per tutti i tipi di sistema, liberando in questo
modo i programmatori dalla necessità di inventare linguaggi
specifici per ciascuna macchina: il software diventa portatile e così
consente la comunicazione tra il computer e la loro programmazione
per scrivere piccole applicazioni software. Il BASIC, a tutt'oggi, rappresenta uno dei migliori strumenti codificati nella programmazione per scopi didattici. Pochi anni dopo Niklus Wirth realizzò il PASCAL cui principale obiettivo era facilitare l'insegnamento nella scrittura dei programmi attraverso l'utilizzo delle regole e della tecniche principali in una unica logica di programmazione. Il C nasce nel 1972 ad opera di Dennis Ritchie ed è stato definito come "il linguaggio di più basso livello tra i linguaggi ad alto livello", poiché nasce per lo sviluppo di sistemi operativi, quindi, per software di basso livello. 23 Una delle prime architetture di sistema di basso livello è il computer della Bell, Digital PDP-7, che utilizza la prima versione del sistema operativo UNIX. 24 Un sistema operativo creato da Ken Thompson ai Bell Laboratories ATT sulla base del sistema MULTICS. Unix è un sistema a strati. Lo strato più interno è l'hardware il quale fornisce servizi al OS. Il sistema operativo (OS), riferito in Unix come al kernel, interagisce direttamente con l'hardware e fornisce i servizi ai programmi utente. I programmi utente non necessitano di conoscere informazioni sull'hardware. Devono solo sapere come interagire con il kernel ed è quest'ultimo a fornire i servizi richiesti. Uno dei più grandi fattori di sucesso è stato che molti programmi utente sono indipendenti dall'hardware sottostante, trasportabili su ogni sistema. http://www.freebsd.org/doc/it_IT.ISO8859-15/books/unix-introduction/ structure.html
16
Quadro di riferimento
omogenea».25 L’interfaccia grafica dello schermo si basa su modalità
d’interazione testuali in cui il compito dell’utente è di digitare delle
stringhe di comandi.
Si inizia a delineare così una vera e propria produzione
standardizzata negli ambiti del software, poiché si passa dagli
sviluppi di tipo custom in cui ingegneri ed appassionati
artigianalmente formulavano le loro strutture ai primi flussi di
progettazione industriale. Gli anni Settanta sono stati il periodo d’oro
per la stabilizzazione di tutti gli elementi relativi al funzionamento
delle architetture hardware e software, tanto che come spiega
Castells vengono a svilupparsi tre principali culture informatiche,
«raggruppate nel punto di interazione tra diversi tipi di macchine e
programmi di linguaggio»:26 la cultura di Arpanet basata sulle
macchine PDP-10 di DEC, con preferenze al linguaggio LISP, la
cultura UNIX27 che utilizzava il linguaggio C e la cultura dei
25 M. Castells, Galassia Internet, traduzione S. Viviani, Milano, Feltrinelli, 2002, p. 51 26 M. Castells, (op. cit.), 2002, p. 50. 27 Quando nel 1976 la AT&T, committente del progetto Unix, sospese la pubblicazione del codice questo ambiente divenne il sistema operativo di rete, grazie all’integrazione di alcuni protocolli nella rete Arpanet UUCP (Unix to Unix CoPy) e alle capacità delle persone definite nel senso comune Hacker. In realtà si trattava delle prima comunità virtuale di Internet che contribuì nello sviluppo del progetto Unix fino a quando nel 1985, Richard Stallman introduce Gnu (acronimo di Gnu is not Unix), un sistema operativo libero basato su una gestione particolare dei diritti d’autore il copyleft. Quando nel 1995 viene lanciato Linux, il kernel in grado di
17
Capitolo 1
microcomputer «che lavorava sul Basic, ponendosi ad un livello
tecnologico molto più basso delle altre culture».28 È quest’ultima a
generare negli anni Ottanta, anche in seguito alla diffusione di nuove
tecnologie multimediali (ipertesti, interfacce grafiche, apparecchi di
realtà virtuale, possibilità di comunicazione vocale uomo-macchina,
schermi interattivi, ecc.) il vero e proprio mercato informatico. Le
tecniche di computer grafica introducono le GUI (Graphical User
Interface),29 un modello d’interazione ancora oggi dominante. Già
nel 1979 era stato lanciato dallo Xerox Parc (Palo Alto Research
Center) “Star” uno dei primi personal computer della storia regolato
da GUI e mouse.30 “Star”, pur non avendo avuto un successo
rendere stabile GNU, il movimento open source fino ad allora impegnato nella distribuzione di piccole applicazioni software gratuite diventa una vera e propria filosofia su come mantenere libero un bene considerato pubblico come il software, lanciando la sfida alla architettura Windows NT nei sistemi operativi di rete. 28 M. Castells, (op. cit.), 2002, p. 51. 29 Già dai primi anni Settanta sono attive su diversi fronti di ricerca numerose università che si impegnano nello studio delle interfacce: l’Arch Mac diretto da Negroponte, l’Università dello Utah dove lavora Sutherland, l’Università del Wisconsin con le ricerche di M. Kruger e l’Università del North Carolina con Kilpatrick. Pur essendo differenti gli spunti e gli obiettivi le ricerche hanno tutte una comune esigenza: affinare le tecniche della computer grafica e realizzare un sistema ipertestuale in grado di garantire l’interazione con l’utente attraverso link ipertestuali. Se, infatti, l’interfaccia grafica crea un spazio sullo schermo del computer attraverso finestre e icone, il sistema ipertestuale diventa il mezzo per muoversi. 30 L’utilizzo del mouse richiede una programmazione “per eventi” decisamente complessa, vista l'ampia gamma di casi che si possono presentare. Necessita di un sistema operativo veloce ed efficiente.
18
Quadro di riferimento
commerciale,31 rappresenta la macchina in grado di essere
maneggiata da persone prive di qualsiasi competenza informatica. «Il
design era talmente ingegnoso da divenire di fatto lo standard per la
seconda generazione del PC».32 La piena affermazione di questi
sistemi, tuttavia avviene solo nel 1984 (figura 1.2), quando la Apple
lancia il Macintosh un computer con capacità multimediali basato
sulla metafora della scrivania e sulla manipolazione diretta di oggetti
(drag and drop) che impone il modello di interfaccia WIMP
(Windows Icon Menù Pointer) riadattato pochi anni dopo dalla
Microsoft per il sistema operativo Windows 3.0 (1992).33
Le evoluzioni appena accennate sono accompagnate ai
miglioramenti nelle tecniche di manipolazione tridimensionale che
31 Nonostante questo computer fosse stato progetto rispettando standard qualitativi elevati in grado di stabilire modalità d’interazione semplici e facilmente apprendibili la sua diffusione commerciale fu limitata dalla incapacità di abbinare a queste caratteristiche, aspetti tecnologici rilevanti per la stabilità del sistema. Le persone si lamentavano per il numero limitato delle funzioni disponibili e per la lentezza nell’esecuzione. I criteri di progettazione con cui fu sviluppato il progetto “Star”, pur non avendo accolto queste esigenze specifiche, ha rappresentato il modello per le architetture successivi. Per approfondimenti, C. Smith, C. Irby, R. Kimball, B. Verplank, E. Harslem, Designing the Star User Interface, in BYTE, Vol.7, n.4 aprile 1982, p. 242-282. 32 D. Norman, Il computer Invisibile, traduzione di B. Parella, Milano, Apogeo, 2002, p. 51. 33 Non è corretto parlare di sistema operativo in quanto Windows 3.x utilizzava una shell, cioè un “ambiente operativo” grafico da installare su DOS.
19
Capitolo 1
permettono la diffusione commerciale dei primi apparecchi di realtà
virtuale.34
34 Il termine fu coniato negli anni Novanta da J. Lanier uno dei fondatori della VPL Research, azienda che commercializza il guanto “data gloves” e il casco “eyephones”. I primi sistemi di simulazione virtuale comunque si intravidero già a partire dagli anni Cinquanta ma è solo con l’attività di Ivan Sutherland, uno dei pionieri nelle ricerche della computer grafica, che i sistemi di VR si avviano verso una ampia affermazione. Sutherland sviluppa nel ‘69 Incredible Helmet un casco interattivo dotato di monitor collegati ad un computer in grado di visualizzare immagini che cambiavano posizione a seconda dei movimenti della testa. Nel 1978 Lippman dell’Architecture Machine Group del MIT fu a capo di un team di ricercatori che svilupparono un rivoluzionario sistema ipermediale che aveva molti punti in comune con la realtà virtuale. Chiamato Aspen Movie Map, permetteva agli utenti una passeggiata virtuale ed interattiva attraverso la città di Aspen, Colorado. Per approfondimenti, A. Lippman, Movie-Maps: An Application of the Optical Videodisc to Computer Graphics, in Computer Graphics 14(3), 1980, pp. 32-42.
20
Quadro di riferimento
Questi, oltre ad avere immediata applicazione in settori come il
nascente mercato dell'entertainment, si rivelano fondamentali in
ambiti come la didattica e la formazione professionale consentendo
lo sviluppo di ambienti interattivi per l’apprendimento, sistemi di
supporto alla didattica o ancora dispositivi in grado di simulare
condizioni fisiche. Attraverso l'implementazione di tali capacità
multimediali, i software sono riusciti a supportare uno spettro sempre
più ampio di attività umane. Queste caratteristiche hanno permesso
un’accessibilità sempre maggiore dei computer ad un’ampia fascia di
figure professionali consacrandone la piena entrata nelle diverse
attività lavorative.35 Tale processo ha comportato, come conseguenza
diretta, uno svincolamento tra la figura dello
sviluppatore/programmatore, quindi dell’ingegnere esperto e quella
dell’utente occasionale o competente esclusivamente in specifiche
operazioni. Alla progettazione di tali dispositivi perciò sono stati
affiancati esperti in tecnologie dell’informazione, in comunicazione,
nella formazione professionale e nelle risorse umane.
Negli anni Novanta mentre l’industria informatica ha
polarizzato la sua offerta sulle applicazioni desktop ad interfaccia
35 Come spiega R. Polillo «la compilazione, campo a campo, di una maschera visualizzata sullo schermo diviene il paradigma standard per le applicazioni di tipo transazionale (sistemi informativi aziendali)». R. Polillo, Design dell’interazione uomo-macchina, http://www.rpolillo.it/ IUM/.
21
Capitolo 1
WIMP, lo sviluppo commerciale della rete e delle telecomunicazioni,
la standardizzazione dei protocolli web,36 il potere degli ipertesti,37 le
possibilità aperte dal linguaggio di programmazione Java,38 hanno
permesso la diffusione di nuovi sistemi hypermediali (motori di
36 Il World Wide Web nasce nel 1990 dall’idea di Tim Bernald Lee. Si tratta di una particolare applicazione di rete che consiste di un protocollo (HTTP) un insieme di regole per gestire le informazioni su Internet che vanno ad integrare il protocollo base della rete Internet (il TCP/IP) ed il linguaggio per la descrizione di ipertesti (HTML). Nel 1994 Tim Berners Lee propone la costituzione del World Wide Web Consortium (W3C), un'organizzazione incaricata di sviluppare standard per il Web attraverso la collaborazione di specialisti, aziende e centri di ricerca; lo scopo è di evitare che le tensioni indotte dal mercato con l’invasione di particolari formati proprietari possano mettere in discussione l'universalità di accesso all'informazione on-line. 37 Nelson nel 1965 coniuga il vocabolo “ipertesto”, a cui dava il significato di sistema di organizzazione di informazioni - testuali e non - in una struttura non lineare, elastica e non rigida che richiedeva le capacità di un computer per mostrarla in modo dinamico e navigarla opportunamente. Nel 1993 Mosaic rivoluziona l’accesso ad Internet aumentandone le capacità multimediali e introducendo il concetto del plug in: diventa possibile richiedere ad un server oltre ad un insieme di dati anche piccole applicazioni che ne consentono la gestione. La compatibilità tra questi sistemi, avviene nel 1995 con il lancio di Java da parte di SUN. 38 Java è derivato da un linguaggio chiamato OAK sviluppato nei primi anni Novanta alla SUN Microsystem come linguaggio piattaforma indipendente, predisposto per applicazioni di intrattenimento quali console, videogame e VCR per comunicazioni. OAK è stato impiegato nella TV via cavo per ordinare programmi. A partire dal 1995 l’obsoleto OAK è trasformato nel moderno Java. Con Java Sun riesce a realizzare il primo linguaggio ‘slegato’ da ogni sistema operativo o microprocessore. Il compilatore Java non produce, infatti, un codice oggetto nativo per una determinata piattaforma, ma piuttosto delle istruzioni byte code da usare con JVM (Java Virtual Machine) in ogni piattaforma.
22
Quadro di riferimento
ricerca, browser, portali, siti, smart device, smart phone, servizi di tv
interattiva, sistemi d’aiuto) utilizzabili in attività e contesti d'uso
diversi. Tali prodotti, data la natura molteplice delle applicazioni,
hanno posto una maggiore attenzione alle problematiche umane che
si sviluppano nei contesti sociali e nello svolgimento di un’attività.
Così i computer e più in generale i prodotti interattivi si sono
trasformati sempre più da meri strumenti di elaborazione
dell'informazione a dispositivi in grado di mediare la comunicazione
tra le persone condizionandone le stesse logiche di azione.
La situazione attuale dove ogni attività può rappresentare un
potenziale settore di applicazione ha bisogno, dunque di metodologie
interdisciplinari capaci di saper conciliare sia le conoscenze tecniche
di sistemisti, programmatori, esperti di networking e sicurezza on-
line che stabilizzano funzionalità hardware e software che le
conoscenze di sociologi, antropologi, semiotici, etnografi e ancora
architetti dell’informazione, web designer, grafici, esperti di arti
visive, in grado di comprendere attività e contesti d'uso, specificando
quali aspetti favorire nelle dinamiche sociali attivate dalle interfacce.
In tale situazione il design ha il ruolo di creare un’esperienza quanto
più veritiera della realtà (figura 1.3).
23
Capitolo 1
1.2.2 Dominio disciplinare
L’interaction design è un approccio alla progettazione che ha
una valenza olistica ovvero sviluppa un quadro di riferimento molto
ampio in cui vengono analizzati i dettagli dell’interazione dalle
interfacce vere e proprie ai contesti sociali d’uso. L’immanenza
dell’oggetto di studi evidenzia come la disciplina non può che essersi
evoluta a partire da diverse aree di ricerca e si è affermata come un
approccio “contenitore” in cui confluiscono differenti ambiti (figura
1.4):
24
Quadro di riferimento
- Discipline accademiche. Ergonomia, Psicologia,
Informatica, Ingegneria, Scienze sociali e dell’informazione.
- Settori interdisciplinari. Interazione Uomo-Macchina
(HCI), Computer mediated Comunication (CMC), Computer
supported cooperative work (CSCW), Fattori Umani, Ergonomia
Cognitiva ed Ingegneria Cognitiva.
- Professioni del design. Grafica, Design Industriale, Arte
e Industria Cinematografica.
Analizzare singolarmente ognuno di questi settori va oltre l’intento
di questo testo. Si potrebbe invece rivolgere lo sguardo agli ambiti
25
Capitolo 1
interdisciplinari che hanno portato nuovi stimoli all’interno delle
ricerche della computer science, contribuendo nell’evoluzione dei
criteri di progettazione delle interfacce.
Tali prospettive hanno come obiettivo comune, nonostante la
diversità degli approcci metodologici, di formulare un processo
centrato sull’utente. La Human Computer Interaction (HCI) nasce
negli anni Settanta, quando le tecniche di computer grafica riescono
a sviluppare interfacce grafiche stabili (GUI) da implementare nei
sistemi operativi dei computer. È stato uno tra i primi approcci ad
interessarsi alla progettazione di applicazioni user-friendly, cui
obiettivo per molti anni è stato focalizzato nella realizzazione di
interfacce grafiche per applicazioni mono - utente. La disciplina ha
ricoperto un importante ruolo anche nello sviluppo dei primi sistemi
ipertestuali come il progetto Intermedia della Apple.39 A partire dalla
seconda metà degli anni Novanta con la diffusione dei sistemi
operativi multi – utente e con le possibilità offerte dal world wide
web l’attenzione della HCI si è rivolta a fattori più generali: da un
lato mantiene il suo spirito originario concettualizzando modalità
d'interazione innovative rispettose dei principi della cognizione
39 È stato sviluppato da Van Dam (il creatore dell’interfaccia del Macintosh) con la collaborazione di Meyrowitz. Presentato fra il 1985 e il 1987 era un sistema ipertestuale per il Macintosh che – sfruttando in pieno le funzioni grafiche di questa piattaforma - permetteva all’utente la modifica on-line di tutte le informazioni che venivano presentate dal sistema: testo, grafica, collegamenti, ecc.
26
Quadro di riferimento
umana dall’altro si interessata agli spazi di interazione ove grazie alle
capacità ipertestuali della rete tali dispositivi diventano un mero
supporto alla comunicazione tra le persone. Per poter ottimizzare tali
aspetti all'interno delle ricerche della HCI sono stati sviluppati due
domini interdisciplinari: il primo chiamato CMC (Computer
Mediated Comunication) l’altro denominato CSCW (Computer
Supported Cooperative Work). Entrambi ricercano forme in grado di
rafforzare i processi di comunicazione tra le persone mediati dai
computer. La CMC è interessata ai fenomeni che si sviluppano on-
line in ambiti come comunità virtuali, forum, chat ecc.40 Tali media
sono utilizzati in situazioni più o meno quotidiane con scopi e
finalità differenti per ogni persona. L’obiettivo principale del
dominio disciplinare è individuare le modalità più adeguate in modo
tale da poter gestire al meglio i flussi di informazione tra gli utenti.
La CSCW è un ambito di ricerca inaugurato da Douge Engelbart già
a partire dagli anni Settanta. Nel 1968 con il sistema denominato
NLS (oN Line System)41 Engelbart, oltre ad introdurre il dispositivo
di puntamento chiamato ‘mouse’, sviluppa anche i presupposti
40 Queste forme di comunicazione sono spesso coniugate all’interno di altre attività quotidiane, per cui rappresentano spesso operazioni succedanee ad altri compiti. 41 Questo sistema prevedeva concettualmente la possibilità di gestire nei software strumenti come ipertesti, wordprocessor, tastiera, mouse e finestre idee assolutamente premature e troppo costose da realizzare per quell’epoca. Per approfondimenti, D. Engelbart in http://sloan.stanford.edu/ MouseSite/dce-bio.htm.
27
Capitolo 1
teorici e tecnici per un nuovo utilizzo dei computer che diventavano
strumenti in grado di favorire la collaborazione nel lavoro delle
persone attraverso videoconferenze e file-sharing. La CSCW ha lo
scopo di migliorare tutti i sistemi impiegati in ambiti professionali
che gestiscono e coordinano le attività delle persone. Tali modalità di
lavoro rappresentano, in virtù dei panorami di convergenza
tecnologica e delle possibilità di formazione continua (e-learning),
metodologie che sicuramente condizioneranno i futuri processi di
sviluppo economico (si pensi alle possibilità delle reti Intranet per le
imprese), trasformando ogni attività lavorativa.
Gli ultimi due domini interdisciplinari che sono considerati in
questa sezione rappresentano delle aree di ricerca fondamentali per
l'interaction design e più in generale per la progettazione di prodotti
usabili. Tali discipline delineano i suggerimenti teorici, definiti
principi astratti di design, utili alla formulazione dei modelli
concettuali di un prodotto. Ci riferiamo all’ergonomia cognitiva e
all’ingegneria cognitiva; entrambe nascono dal connubio tra materie
accademiche come ergonomia, ingegneria, psicologia e studi sulla
comunicazione. La prima disciplina ha un raggio d’azione più ampio
della seconda. «L'ergonomia cognitiva ha come oggetto di studio
l'interazione tra il sistema cognitivo umano e gli strumenti per
l'elaborazione di informazione. La conoscenza prodotta da questo
studio è utilizzata per supportare la progettazione di strumenti
28
Quadro di riferimento
appropriati per i più svariati usi, dal lavoro, all'educazione, al
divertimento» (definizione tratta dallo statuto della Società Europea
di Ergonomia Cognitiva, EACE, 1987). Se l'ergonomia tradizionale
si occupa della relazione uomo, artefatto e ambiente sotto il profilo
meccanico e fisico, quella cognitiva analizza tali processi
soffermandosi sulle dinamiche di percezione, di apprendimento, di
memorizzazione e problem solving delle persone. L’ergonomia
cognitiva, un po’ come l’interaction design, focalizza la sua
attenzione su un gran numero di eventi che riguardano l’interazione
tra le persone, gli oggetti ed i contesti, fornendo alla progettazione
materiale dei prodotti una serie di criteri astratti rispettosi delle
capacità della cognizione umana. Tuttavia la disciplina non si occupa
solo di usabilità, poiché prende in considerazione anche fattori più
pragmatici strettamente correlati alle caratteristiche estetiche ed
emotive dei prodotti.
L’ingegneria cognitiva, invece, può essere considerata un’area
di studi più specifica che analizza le capacità della mente umana
attraverso metodologie di tipo quantitative. La ricerca dell’ingegneria
cognitiva è basata principalmente sulla modellizzazione delle attività
mentali. Sono studiati gli ambiti operativi della mente attraverso
misurazione sulle performance, cercando di capire le relazioni e la
dipendenza tra i diversi processi cognitivi. Queste analisi non sono,
dunque, interessate alle informazioni di una ricerca di tipo
29
Capitolo 1
etnografico in cui le tecniche di osservazione riescono ad
approfondire contesti d’uso e tipologie di utenti, piuttosto, ad
individuare dati oggettivi sulle capacità di elaborazione della
cognizione umana. Per tale motivo l’ingegneria cognitiva ha una
maggiore attenzione agli aspetti connessi con l’usabilità generale di
un prodotto. Rispettare i suggerimenti individuati dalla disciplina
(operazione non priva di problematiche) significa, sostanzialmente,
sviluppare prodotti con un chiaro modello concettuale che si
accordano con le caratteristiche universali delle persone. Raskin
evidenzia come «per poter realizzare interfacce che funzionano
realmente bisogna sviluppare un’ergonomia della mente attraverso
la quale comprendere quali sono i limiti operativi delle nostre
capacità cognitive».42
1.3 Il processo user cetred design (U.C.D.)
Lo scopo generale dell’interaction design è di proporre uno
sviluppo del prodotto centrato sull’utente. Laddove la tecnologia
comporta interazione con le persone, la comprensione del
funzionamento è determinato in gran parte dalla capacità delle
interfacce di essere facilmente comprese. Per cui per realizzare
un’efficace comunicazione tra sistema ed utenti, il processo di
42 J. Raskin, Interfacce a misura d’uomo, traduzione di W. Vannini, Milano, Apogeo, 2004, pp. 9-10.
30
Quadro di riferimento
progettazione deve partire dall'analisi dei meccanismi della
cognizione umana da sostenere nel corso delle attività. Prima di tutto,
perché nell’interazione con tali artefatti ne sono coinvolti un gran
numero, per cui approfondire tali aspetti aiuta nello sviluppare il
modello concettuale del prodotto secondo le caratteristiche degli
esseri umani. In secondo luogo, perché gli stessi sistemi software
emulano le facoltà simboliche e di rappresentazione dell’uomo,
quindi una maggiore comprensione di tali aspetti sarà utile anche per
semplificare le logiche con cui funzionerà il sistema.
Si devono migliorare, in tal senso, i modelli d’interazione fra
tecnologia, persone e cognizione umana. Ciò significa, come spiega
Norman, capovolgere completamente le tendenze attuali in cui la
tecnologia riveste un ruolo primario. «Il pregiudizio a favore
dell’approccio centrato sulla macchina è subconscio, i fautori
sembrano inconsapevoli della propria tendenza giustificando i
propri metodi in quanto logici, necessari e ovvii».43 In questi modelli
produttivi le operazioni di design sono considerate solo quando i
prodotti sono ultimati. L’attenzione è rivolta esclusivamente alle
funzionalità tecnologiche della macchina più che alla specificazione
di logiche di interazione a misura d’uomo. I prodotti sono sviluppati,
per questo motivo, a partire da un processo definito “lineare” o a
“cascata”, in cui le attività della progettazione sono rigidamente
43 D. Norman, (op. cit.) 1995, p. 23.
31
Capitolo 1
stabiliti secondo una sequenza di azioni predefinite. Un modello così
gerarchico non dà alcuna flessibilità ed ogni riformulazione delle
strutture diventa un’operazione molto complessa o addirittura
impossibile da svolgere. La realizzazione del prodotto avviene perciò
secondo un’azione tutta interna alla produzione, in cui le logiche del
marketing e dell’innovazione tecnologica sono dominanti; queste
scelte portano ad ignorare i modelli mentali delle persone e le
caratteristiche specifiche delle attività in cui i sistemi si vanno ad
integrare.
Diversamente nell'approccio centrato sull’utente la realizzazione
degli elementi funzionali avviene solo in seguito alla definizione
delle modalità d’interazione proposte in base alle attività, ai bisogni e
agli obiettivi degli utenti: è solo a partire da tali informazioni che si
possono iniziare a realizzare i dettagli tecnici del funzionamento.
«Un nuovo tipo di processo produttivo che prende avvio con l’utente
per concludersi con la tecnologia».44 Alla luce di queste evoluzioni
si richiede una ri-organizzazione del processo produttivo d’impresa,
in seguito a forme di consumo sempre più basate sulla relazione,
sulla fiducia e sulla cooperazione con l’utente. Come spiega Visciola
«occorre individuare correttamente una voce di investimento,
specificamente dedicata alla cura dell'esperienza dell'utente finale
44 D. Norman, (op. cit.), 2002, p. 224.
32
Quadro di riferimento
ed alle attività di testing».45 Ciò comporta che all’interno delle
aziende nessuna area di competenza (dirigenza, marketing, team di
sviluppo, team di design) può operare più in modo autonomo. La
realizzazione del prodotto avviene attraverso una fase ciclica ed
iterativa costituita da continue attività di testing e valutazioni con
relative modifiche, nell’intento di offrire soluzioni sempre adeguate
agli utenti. Il processo segue un andamento “orizzontale” formato da
attività che non sono pianificate centralmente, ma che dipendono
dalla capacità di implementare le giuste caratteristiche (figura 1.5).
45 M. Visciola in http://www.webusabile.it/archivio/2002/2/3.aspx.
33
Capitolo 1
Da questo punto di vista, la stessa natura della progettazione
diventa un momento di alto coordinamento con gruppi di lavoro che
operano a stretto contatto con una cerchia rappresentativa di utenti.
Deborah Mayhew fa una distinzione tra cicli di vita basati sul
prodotto (approccio centrato sulla tecnologia) e cicli di vita centrati
sul processo (approccio centrato sull’utente).46 Nel primo caso sono
gli strumenti, quindi le funzionalità necessarie a costruire il sistema
che rappresentano la struttura di base del progetto. La natura stessa di
tali operazioni penalizzerà inevitabilmente le persone, poiché la
progettazione procede non avendo un preciso modello concettuale
degli utenti, dunque li costringerà ad assoggettarsi alla logica della
macchina. Nel secondo ciclo produttivo, invece, sono le fasi
dialogiche del processo a formare la base dell’oggetto e ciò consente
di implementare soluzioni più adeguate alle caratteristiche degli
utenti. Come sottolinea la Mayhew la differenza tra questi modelli di
progettazione è tutta concentrata sulla diversa enfasi data durante la
progettazione alle attività di design.
46 D. J. Mayhew, The usability engineering lifecycle, San Francisco, MorganKaufmann, 1999.
34
Quadro di riferimento
1.4 Interaction design come fattore strategico
Bonsiepe ha osservato come il design nell’organizzazione
aziendale abbia raggiunto uno stadio maturo e possa essere
considerato come un’attività autonoma del management al pari di
finanza, produzione, distribuzione e marketing.47 Questa evoluzione
sembra spiegabile se pensiamo al fatto che le economie odierne sono
basate su un processo d’innovazione costante con elevati gradi di
imprevedibilità e discontinuità, elementi che implicano
obbligatoriamente un superamento dei tradizionali metodi di
produzione, organizzazione e gestione delle imprese. L’innovazione
non può scaturire, infatti, in circostanze industriali, in cui dominano
fattori standard, né tanto meno può essere il frutto di una “ispirazione
geniale”; deriva piuttosto da scelte pianificate. Come evidenzia
Castells sono tre i principali elementi che ne concorrono alla
formazione:
- creazione di nuovi saperi nella scienza, nella tecnologia
e nel management;
- possibilità di avere manodopera altamente specializzata;
47 G. Bonsiepe, (op. cit.), 1993, p. 14.
35
Capitolo 1
- esistenza del capitale finanziario e quindi la presenza di
imprenditori in grado di trasformare «i progetti d’impresa in
performance d’impresa».48
L’avvento della e-economy e le possibilità dispiegate dalle
tecnologie dell’informazione affermano l’importanza di nuovi valori
economici come il know-how, la fiducia, la reputazione e la capacità
di collaborazione. Castells sintetizza il processo come l’avvento
dell’impresa di rete.49 L’e-business non rappresenta, infatti, soltanto
la comparsa dell’impresa on-line, «ma un nuovo modo di condurre le
imprese, attraverso internet e altre reti di computer, con varie forme
di connessione ai processi di produzione in loco».50 Come spiega
Rheingold le nuove forme di produzione sono sempre più basate
sulla relazione e sulla fiducia.51 L'interaction design diventa, alla luce
di queste evoluzioni nei modelli economici, una delle leve
fondamentali per poter gestire l’innovazione strutturale del processo
produttivo di ogni impresa enfatizzando nei prodotti i valori
caratteristici del brand. All’interno di un’azienda, per esempio, le
modalità di funzionamento di una rete intranet possono aumentare la
produttività nelle attività di progettazione, managment, distribuzione
48 M. Castells, Galassia Internet, traduzione S. Viviani, Milano, Feltrinelli, 2002, p. 105. 49 M. Castells, (op. cit.) 2002, p. 102. 50 M. Castells, (op. cit.) 2002, p. 104. 51 H. Rheingold, Smart mobs, traduzione di S. Garassini, Milano, Raffaela Cortina Editore, 2002.
36
Quadro di riferimento
ecc.; negli ambiti B2C (Business to Consumer) sistemi come siti,
portali e applicazioni software certificano il know-how raggiunto
dall’impresa nel processo produttivo e quindi le qualità innovative
che distinguono i suoi prodotti/servizi da altri. In tutto ciò, le
modalità d’interazione giocano un ruolo cruciale, poiché come
spiega Manovich «oggi le attività di lavoro e di svago, oltre ad
implicare sempre di più l’uso del computer - e dei sistemi interattivi
in generale -, convergono intorno alle stesse - logiche delle -
interfacce».52 Nel panorama di convergenza attuale, l'interaction
design rappresenta per ogni impresa l’attività cerniera tra le
operazioni di back-office (dall’impresa verso l’interno) e quelle di
front-end (dall’impresa verso l’esterno). Una risorsa infrastrutturale
che da un lato riguarda la dimensione produttiva in senso stretto
interessandosi alla ricerca dell'innovazione nei prodotti in funzione
della soddisfazione delle persone, dall’altro interessa il processo di
pianificazione e dunque la dimensione strettamente istituzionale
dell’azienda rappresentando uno dei principali mezzi attraverso cui
gestire i valori intangibili tipici dei nuovi modelli economici.
52 L. Manovich, Il linguaggio dei nuovi media, Michigan, traduzione di R. Merlini, Milano, edizione Olivares, 2002.
37
Capitolo 1
1.5 Obiettivi del processo: usabilità e qualità in uso
Come già anticipato il principale obiettivo dell’interaction
design è quello di realizzare prodotti interattivi usabili. L'ISO
(International Standard Organization) definisce l'usabilità come
«l'efficacia, l'efficienza e la soddisfazione con la quale utenti
specifici raggiungono obiettivi specifici in particolari contesti
d’uso». Dalla definizione possiamo comprendere come il termine
usabilità non faccia riferimento a caratteristiche intrinseche di un
oggetto, piuttosto considera nella sua integrità il processo di
interazione tra utente, sistema e finalità d’uso. L’usabilità, quindi,
dipende da una serie di concause non necessariamente correlate
all’artefatto ma che si riferiscono anche ai contesti di utilizzo e alla
natura del compito. Per questo motivo nel corso del processo di
interaction design si tende a fare una distinzione tra gli obiettivi di
usabilità e di esperienza d’uso. Questi ultimi sono strettamente legati
alle caratteristiche fisiche dell’oggetto e incidono sugli aspetti
estetici associati allo stile e alla piacevolezza dell’interazione. Per
raggiungere gli scopi sono stabiliti criteri e metodi differenti.
Prima di analizzare singolarmente gli obiettivi di usabilità e
quelli di esperienza d’uso sembra, comunque, opportuno soffermarci
sul concetto di usabilità fornendo qualche ulteriore precisazione. Nel
corso di questo volume, infatti, il termine si presta ad almeno tre
differenti significati:
38
Quadro di riferimento
- obiettivo della progettazione
- euristiche di valutazione
- principi di design
Nella prima accezione il termine vuole evidenziare gli aspetti
generali a cui la realizzazione dei prodotti deve mirare, fornendo i
sistemi dei requisiti necessari. Il processo di sviluppo parte dalla
codifica dei modelli concettuali delle persone (figura 1.6).
Come spiega Norman nella fase di progettazione si distinguono
tre modelli principali: quello del progettista (ovvero le idee
possedute dagli sviluppatori sul funzionamento che trasferiscono nel
prodotto stesso), l’immagine del sistema (ovvero il prodotto come è
39
Capitolo 1
nella realtà e come funzionerà) e quello dell’utente (ovvero l'idea che
l'utente si fa del prodotto e del suo funzionamento). Gli obiettivi di
usabilità mirano a far aderire il più possibile questi modelli, poiché le
maggiori problematiche si pongono quando il modello del progettista
e quindi l’immagine del sistema non coincide con il modello
dell'utente. L’usabilità intesa come obiettivo del processo di
progettazione riguarda, dunque la definizione e la misurazione di
tutti gli aspetti che interessano per la formulazione dei modelli
concettuali appropriati.
Il termine usabilità può essere utilizzato anche per intendere una
precisa tecnica di valutazione come le euristiche. Le euristiche sono
criteri astratti definiti ad ogni progetto molto simili ai principi
generali di design; quando sono adoperate per guidare la valutazione
dei prodotti prendono il nome di euristiche. La metodologia è stata
introdotta da Jacob Nielsen che ha sviluppato la tecnica a partire
dall’analisi empirica di 249 problemi di usabilità in sistemi
differenti.53 Le euristiche hanno numerosi vantaggi, tra tutti
consentire una rapida comparazione tra soluzioni alternative di
design; non è un caso allora che alle prime griglie di euristiche ne
siano seguite in questi anni molte altre che in alcuni casi si sono
rivelate inopportune. Gli svantaggi sono dati dal fatto che le
53 Per approfondimenti, J. Nielsen, Finding usability problems through heuristic evaluation, in Proceedings of CHI, 1992, 373-380.
40
Quadro di riferimento
euristiche sono espresse e verificate solo da persone esperte e
rappresentano una tecnica di valutazione che non coinvolge gli utenti
reali dei prodotti.
Infine, il termine usabilità può fare riferimento esplicitamente ai
principi astratti di design. Questi elementi espressi da discipline
come l’ergonomia cognitiva, aiutano i designer a considerare
proposte alternative secondo le attività in cui i sistemi si andranno a
collocare. Si tratta di un mix di conoscenze teoriche ed esperenziali
da tenere in giusta considerazione nella formulazione dei modelli
concettuali dei prodotti. Questi principi, in ogni caso, nascono per
aiutare i designer quindi non bisogna intenderli come norme
vincolanti da applicare meticolosamente; sono guide generali che
possono facilitare il processo di progettazione del prodotto, poiché
delineano a priori una serie di requisiti dell’artefatto a partire da
informazioni consolidate sulle caratteristiche cognitive delle persone.
1.5.1 Obiettivi di usabilità
Gli obiettivi di usabilità rappresentano lo scopo fondamentale
della progettazione ed il fulcro del processo di interaction design.
Sono da raggiungere nella realizzazione di ogni artefatto interattivo
che deve sostenere le attività delle persone. Come precisato
l’usabilità non fa riferimento alle caratteristiche correlate ai prodotti
in sé, quanto piuttosto alla relazione tra l’artefatto, le persone e
41
Capitolo 1
l’attività da svolgere. Gli obiettivi sono interessati sostanzialmente a
questioni di portata generale e rappresentano dei parametri attraverso
cui valutare il funzionamento delle strutture e le relative modalità
d’interazione. I dati sono raccolti principalmente attraverso analisi
quantitative sulle performance degli utenti fornendo elementi
applicabili alla progettazione di ogni prodotto.
- Efficacia. Rappresenta un obiettivo molto generico che
stabilisce la capacità del prodotto di svolgere le proprie operazioni
nei modi in cui sono state progettate. Per stabilire l’efficacia sono
poste nel corso del processo una serie di questioni. Ad esempio
quanto l’artefatto facilitare il lavoro o se consente alle persone di
imparare in modo produttivo. Data l’importanza generale di questi
aspetti, l’efficacia rappresenta in ogni prodotto interattivo lo scopo
prioritario.
- Efficienza d’uso. I sistemi centrati sull’utente devono
saper agevolare le attività delle persone supportandole ed
aumentandone la produttività. L’efficienza d’uso stabilisce quanto il
prodotto aiuta a portare a termini i compiti (task) dell’utente. Per
capire tali elementi sono svolte delle sessioni valutazione, in cui si
richiede agli utenti di eseguire una serie di compiti predefiniti. Le
performance di ogni persona sono misurate ed analizzate per capire
l’efficienza d’uso del sistema. Queste caratteristiche possono essere
facilmente individuate a posteriori, quando i dispositivi sono già
42
Quadro di riferimento
commercializzati; ad esempio nella comparazione tra due editor di
testo si capisce che se il primo svolge un compito con dieci click del
mouse sarà sicuramente migliore dell’altro che per eseguire la stessa
operazione, ne richiede quindici.
- Grado di soddisfazione. Prende in considerazione le
capacità dell’artefatto di rispondere nei modi previsti alle richieste
dell’utente. Se un sistema risulta complesso nell’esecuzione dei
compiti non riuscirà a soddisfare le esigenze delle persone che, anzi,
frustrate nell’uso eviteranno il prodotto o quanto meno non ne
sfrutteranno a pieno le potenzialità. Naturalmente il grado di
soddisfazione degli esseri umani può variare da persona a persona,
dunque è un fattore strettamente condizionato alle caratteristiche
individuali e all’insieme di esperienze maturate nell’interazione.
- Sicurezza d’uso. Specifica le caratteristiche adottate per
la protezione dell’utente da situazioni pericolose o indesiderate. A
livello internazionale sono stati adottati numerosi standard per
definire le caratteristiche della sicurezza d’uso tra cui i più
importanti, per il processo di interaction design, sono l’ISO 9241 che
si riferisce alle condizioni dell’ambiente di lavoro delle persone, e
l’ISO 14915 riguardante la progettazione di interfacce utente, che
devono essere fornite di strumenti in grado di rimediare a eventuali
errori commessi dalle persone.
43
Capitolo 1
- Facilità di ricordo. La maggior parte dei sistemi
software richiede di compiere diverse sequenze di azioni per ogni
attività da svolgere. Tali sequenze non devono essere apprese ogni
volta che si compie la stessa attività. L’obiettivo, quindi, fa
riferimento alla capacità dei sistemi di facilitare il ricordo delle
modalità già utilizzate. Succede spesso che questi aspetti
dell’interazione sono compromessi dalle scelte fatte nella
progettazione che specifica operazioni confuse senza logica o
disposte male. Per aumentare la facilità di ricordo di un’interfaccia
bisogna fornire agli utenti elementi chiaramente significativi, in
grado di identificare rapidamente anche le funzionalità utilizzate
raramente. La facilità di ricordo può essere stimata in modo
abbastanza semplice, attraverso la misurazione, in un arco di tempo
determinato, del numero di errori commessi dalle persone nello
svolgimento dello stesso task.
- Facilità di apprendimento. Riguarda la semplicità con
cui un artefatto è appreso dalle persone. È uno degli obiettivi più
discussi della progettazione da sempre al centro d’attenzione degli
sviluppatori. La facilità di apprendimento dipende dalla qualità
dell’interazione specificata tra l’uomo e il sistema. Tali aspetti sono
stimati con la misurazione del tempo necessario alle persone per
apprendere una determinata sequenza d’azioni. I dispositivi
interattivi sono artefatti cognitivi cioè strumenti in grado di estendere
44
Quadro di riferimento
i processi cognitivi dell’uomo, per cui devono facilitare i processi di
apprendimento non disturbando la concentrazione e le operazioni
reali degli utenti.54
1.5.2 Obiettivi d’esperienza d’uso
Gli obiettivi di esperienza d’uso si interessano, invece, ad una
dimensione più soggettiva della progettazione facendo riferimento
soprattutto alle caratteristiche fisiche dei prodotti che
contraddistinguono l’esperienza dell’utente. A differenza di quanto
avviene per gli obiettivi di usabilità la valutazione di tali parametri
risulta alquanto problematica: nonostante ne concorrano numerosi
elementi nella definizione (l’interattività, l’attenzione, il ritmo, il
gioco, il coinvolgimento e lo stile narrativo) la stima deve affidarsi a
tecniche qualitative, i cui risultati non possono essere generalizzati
alla progettazione di ogni prodotto, ma riferiti solo ad un unico
progetto. Manca in queste valutazioni la possibilità di individuare
una serie di caratteristiche universali applicabili a grandi campioni di
utenti. I principali obiettivi d’esperienza d’uso sono:
- Piacevolezza d’uso. Approfondisce le caratteristiche
dell’esperienza d’uso mediante questioni strettamente correlate ai
54 D. Norman, Le cose che ci fanno intelligenti, traduzione di I. Blum, Milano, Feltrinelli, 1995.
45
Capitolo 1
principi di usabilità. La piacevolezza d’uso si riferisce sia al
funzionamento generale del sistema, valutando quanto è adeguato
alle attività delle persone, sia alle modalità utilizzate dalle interfacce
da cui dipende lo stile dell’interazione.
- Utilità. Analizza la capacità dei prodotti di offrire
all’utente funzionalità adeguate alle attività da compiere. Un editor di
testo, che contiene anche un vocabolario dei sinonimi, è un buon
esempio di strumento utile. Quando mancano invece le
caratteristiche fondamentali per lo svolgimento di una determinata
attività le persone sono vincolate nelle scelte e non sfrutteranno le
potenzialità del sistema.
- Estetica accattivante. Sono aspetti strettamente
correlati allo stile dell’interazione adottato nelle interfacce. Molto
spesso tali questioni sono considerate come il fulcro delle attività di
design nonostante ne rappresentino soltanto il risultato finale. Le
soluzioni estetiche per gestire i contenuti delle interfacce derivano
dalla natura stessa delle attività in cui il prodotto sarà impiegato, per
cui una progettazione accurata può proporre un design accattivante
utilizzando linee semplici basate su convenzioni naturali e culturali
ben definite.
- Coinvolgimento emozionale. Negli ultimi anni le
evoluzioni tecnologiche avvenute negli ambiti delle computer
science hanno portato ad una maggiore attenzione per gli elementi
46
Quadro di riferimento
affettivi che si sviluppano nell’interazione tra gli uomini e i
computer. I sistemi interattivi, più di ogni altro strumento sono
capaci di trasmettere emozioni nelle persone riuscendo ad emulare le
capacità cognitive ed affettive. Si pensi ad esempio agli agenti di
interfaccia, personaggi animati utilizzati nelle applicazioni software
così come nei prodotti on-line. Enfatizzare su tali caratteristiche
antropomorfe può migliorare, in casi specifici, la qualità
dell’interazione rendendo l’esperienza d’uso più vicina a logiche e
valori degli esseri umani. Tuttavia questi approcci pongono diverse
problematiche sul controllo dei sistemi (vedi informatica pervasiva) e
più in generale sulle questioni di usabilità dei prodotti.
47
48
49
Capitolo 2
Il processo user centred design
2.1 Caratteristiche del processo
Mentre si diffondono i primi strumenti user-friendly, Gould e
Lewis pubblicano l’articolo Design for usability: key priniciples
and what designers think1 ove enunciano tre principi basilari che
avrebbero portato a migliorare la progettazione di interfacce,
rendendo i computer più utili e facili da usare:
- focalizzarsi sugli utenti
- raccogliere dati empirici
- sviluppare un design iterativo
Più che concentrarsi sulla realizzazione empirica di
un’interfaccia, Gould e Lewis individuano delle precise
caratteristiche che distinguono le fasi della progettazione di un
sistema user-fiendly. I criteri costituiscono una precisa filosofia
progettuale che nonostante gli anni passati è ancora attualissima. Il
primo principio espresso da Gould e Lewis suggerisce esplicitamente
di concentrarsi sulle persone reali che utilizzeranno il prodotto. Ciò
vuol dire in buona sostanza che in accordo con i principi
1 J. Gould, C. Lewis, Design for usability: key priniciples and what designers think, Communication of ACM, 1984, p. 28, pp. 300-311.
50
Il processo user centred design
dell’interaction design, i requisiti di un sistema interattivo sono
strettamente condizionati dalle attività delle persone e dipendono
dalla composizione stessa del target di riferimento. Perciò si devono
adottare modelli di progettazione che comprendono gli obiettivi degli
utenti in una determinata attività ed i contesti d’uso in cui sarà svolta.
Per conoscere rapidamente tali aspetti molti approcci all’interaction
design (come il modello del contextual design o ancora il
partecipatory design) coinvolgono le persone non solo nella
valutazione dei prodotti, ma direttamente nel momento della
progettazione. Concentrare l’attenzione sull’utente permette di avere
un ampio numero di feed-back in ogni attività del processo. I team di
sviluppo/design possono monitorare continuamente la correttezza dei
sistemi in base ai suggerimenti delle persone, verificando quanto i
modelli concettuali predisposti sono sensibili alle loro reali attività.
Gould e Lewis nel secondo principio sottolineano l’importanza
di raccogliere dati empirici durante la progettazione. Lo sviluppo di
un prodotto interattivo rappresenta un momento di pianificazione
strategica in cui si distinguono diversi livelli di definizione. Ognuno
richiede la raccolta di quante più informazioni possibili. Le scelte da
implementare devono essere fondate su dati analizzati ed interpretati
che hanno portato ad una visione condivisa tra i team di lavoro. Per
avere dati ben definiti bisogna registrare sin dall'inizio le reazioni, le
prestazioni e gli atteggiamenti degli utenti. Tali informazioni sono
51
Capitolo 2
poi da interpretare secondo gli obiettivi di usabilità e di esperienza
d’uso che il progetto si è prefissato; solo così si potranno costruire
con facilità i prototipi, versioni parziali del prodotto che
consentiranno di avere le prime valutazioni degli utenti. I team di
lavoro così hanno possibilità di scegliere tra proposte alternative,
controllando in ogni fase di sviluppo l'adeguatezza delle soluzioni.
L’ultimo principio espresso da Gould e Lewis coglie la vera
essenza di un processo di progettazione centrato sull’utente.
L'iterazione è la clausola necessaria per realizzare uno sviluppo
senza alcuna direzione prestabilita. Solo utilizzando questo ciclo di
vita è possibile riadattare continuamente ogni aspetto del prodotto
alle esigenze reali delle persone. Ne deriva che le attività di
progettazione richiedono cicli di design, test, rilievi e ri-design.
L’iterazione è inevitabile perché i progettisti non producono mai una
soluzione al primo tentativo ed anche in questo caso l’idea va rivista
alla luce dei feedback provenienti dagli utenti. Questo è
particolarmente vero se l’obiettivo è realizzare sistemi di facile
utilizzo facilmente integrabili nelle attività delle persone.
Nel libro Il computer invisibile Norman spiega come uno
sviluppo produttivo centrato sull’utente oltre che fare attenzione alla
sua esperienza (implementando le giuste soluzioni di design secondo
gli aspetti espressi da Gould e Lewis), poggia su altri due fattori
essenziali (figura. 2.1):
52
Il processo user centred design
- tecnologia
- marketing
La tecnologia garantisce le funzioni e le prestazioni adeguate a costi
ragionevoli. Senza il supporto di tale componente anche i migliori
progetti sono votati al fallimento. Gli aspetti tecnologici sono
importanti nella fase iniziale, quando un prodotto viene
commercializzato ad un target ristretto di persone come esperti o
appassionati. Questi, definiti da Norman gli utenti della prima
generazione, richiedono funzionalità e prestazioni elevate. I
computer come Apple II o Macintosh, pur se più difficili da usare a
causa dell’adozione di standard qualitativi meno curati all’esperienza
53
Capitolo 2
dell’utente rispetto a progetti come ‘Star’ o ‘Lisa’, hanno avuto un
maggiore successo commerciale proprio perché implementavano
delle killer application con elementi tecnologicamente innovativi
come Visicalc2 o il linguaggio Postscript di Adobe.3 Come ribadisce
Norman, solo quando la tecnologia viene data per scontata,
diventando un mero supporto alle attività delle persone, subentrano
valori più vicini all’esperienza dell’utente come l’affidabilità e la
facilità di utilizzo, esigenze specifiche della seconda generazione di
utenti.
Il marketing invece si occupa di comprendere le aspettative degli
utenti in un artefatto. È legato ad attività correlate svolte da una
struttura competente, composta da diverse figure professionali di
un’azienda. Il principale compito è di presentare al pubblico il
prodotto nella sua veste migliore implementandone i valori del brand
e della dimensione corporate dell’azienda. Le strategie di marketing
posizionano il prodotto all’interno del segmento di mercato più
adeguato. Come sottolinea Norman «è essenziale trovare il giusto
contesto per l’azienda, la marca e il prodotto, un contesto che offra
le caratteristiche desiderate. È grazie al giusto posizionamento di
2 Si tratta del primo foglio di calcolo apparso in un personal computer. 3 E’ un linguaggio di descrizione della pagina mediante il quale si introducono nuove capacità tecnologiche nei personal computer. Per la prima volta è possibile stampare testo, immagini direttamente da casa; il progetto Macintosh della Apple apre l’era del modello desktop publishing.
54
Il processo user centred design
questi aspetti che vengono a determinarsi le percezioni del cliente
sulla qualità, il prestigio, il valore, l’affidabilità e la piacevolezza».4
Le tre componenti dello sviluppo produttivo centrato sull’utente
(tecnologia, esperienza dell’utente e marketing) rappresentano dei
saperi perseguibili all’interno di un’unica filosofia di progettazione,
l’interaction design, che da una parte si interessa a realizzare
modalità d’interazione a misura d’utente, implementando elementi
tecnologicamente innovativi; dall’altro rappresenta un processo
conoscitivo dell’esperienza dell’utente attraverso cui approfondire
aspetti fondamentali per la progettazione come attività,
atteggiamenti, procedure, contesti, ecc.; infine può essere definito,
data la sua validità infrastrutturale (dalle attività di produzione vere e
proprie a quelle di managment, dalle operazioni di back-office a
quelle di front-end) il nuovo modo di fare marketing dei
prodotti/servizi.
2.2 Cicli di progettazione a confronto
Con l’espressione “modello del ciclo di vita” si vuole indicare
una rappresentazione schematica del processo di progettazione che
contiene l’insieme delle attività e le relazioni che intercorrono tra
loro. Questi strumenti hanno un’importanza strategica, poiché fanno
4 D. Norman, Il computer invisibile, traduzione di B. Parella, Milano, Apogeo, 2002, p. 56.
55
Capitolo 2
capire l’insieme di operazioni che devono svolgere i team di lavoro
stabilendo le priorità e gli obiettivi da perseguire. I modelli di
progettazione esistenti possono essere semplici o sofisticati; le loro
caratteristiche dipendono dalla portata del prodotto che si vuole
realizzare. Qualsiasi ciclo di vita è una descrizione semplificata della
realtà; si tratta, dunque di astrazioni euristiche che dovrebbero
contenere solo la quantità di dettaglio necessaria alla progettazione.
Negli anni passati si è pensato che per realizzazione un prodotto
interattivo bisognava utilizzare cicli di vita complessi in modo da
gerarchizzare la progettazione, gestendo al meglio il coordinamento
tra le varie figure impiegate. Come dimostrano oggi il movimento
open-source e il fenomeno Linux tali presupposti non sono più
universali ma specifici di un determinato approccio.5
Cusumano e Selby, nell’articolo How microsoft builds
software, evidenziano come anche la Microsoft Corporation, pur
realizzando software complessi, adotta nella progettazione dei suoi
sistemi cicli di vita semplici tesi a favorire la flessibilità del
processo.6 In questo modo, i team di lavoro mantengono un alto
5 Nel libro Galassia Internet (op. cit.), Castells spiega come il processo di innovazione nelle comunità open-source dipenda da un libero accesso all’informazione e dal ruolo fondamentale assunto dalla cooperazione. «Anzi la cooperazione nell’innovazione e la competizione nei prodotti e servizi sembrano essere, le nuove forme di divisione del lavoro». 6 I gruppi di lavoro sincronizzano quotidianamente le loro attività e in periodi fissati stabilizzano il prodotto. I team di lavoro di solito sono
56
Il processo user centred design
grado di autonomia sulle attività generali dello sviluppo, avendo più
facilità di intervento nella riformulazione dei prodotti. I due autori
hanno definito questo metodo “synch and stabilize”7 individuando tre
fasi salienti:
- Pianificazione. Inizia con l’identificazione degli
obiettivi e con la definizione di tutte le attività che l’utente dovrà fare
mediante il sistema. A partire da queste analisi si stabiliscono in un
documento i requisiti di cui sarà fornito il prodotto;
- Sviluppo. La lista dei requisiti è distribuita tra i gruppi
di lavoro preposti allo sviluppo del sistema. Si stabiliscono delle
scadenze in cui verificare tutte le caratteristiche dei sottoprogetti di
ogni team;
- Stabilizzazione. Alla scadenza di ogni data i
sottoprogetti dei team sono stabilizzati nell’architettura generale del
sistema continuando così fino alla stabilizzazione di tutte le soluzioni
di ogni team a cui segue il lancio definitivo del prodotto.
Nelle sezioni successive sono analizzati e confrontati modelli di
progettazione maturati all'interno di domini diversi. Alcuni sono stati
ampliati o completamente rettificati nel corso degli anni, per cui non
composti da un minimo di tre persone a un massimo di otto ma anche da singoli programmatori. 7 M. A. Cusumano e R. W. Selby, How microsoft builds software, Comunication of ACM, 1997, pp. 40(6), 53-61.
57
Capitolo 2
rappresentano approcci esclusivi. Comparando i cicli di vita è
evidente quanto il focus nella progettazione di prodotti interattivi si
sia gradualmente spostato dagli elementi tecnologici della macchina
alle caratteristiche umane degli utenti.
2.2.1 Modello “a cascata” nell’ingegneria del software
L'ingegneria del software è stata la prima disciplina ad occuparsi
della realizzazione di architetture informatiche di basso livello. Si è
sviluppata in seguito alle esigenze, emerse negli ambiti
dell’information tecnology, di realizzare prodotti in tempi e costi
determinati. I primi software, infatti, erano progettati in modo
sperimentale senza caratteristiche standardizzate, per cui bisogna
identificare ad ogni progetto le procedure specifiche da eseguire.
Prima della comparsa del modello “a cascata” (o waterfall) non vi
era un approccio riconosciuto ed universale nello sviluppo dei
software. Dopo questo approccio se ne sono susseguiti altri
provenienti sia da ambiti disciplinari differenti che all’interno
dell’ingegneria del software. I principi del ciclo di vita “a cascata”
sono stati descritti da Royce e successivamente ridefiniti da Bohem.8
Soffermiamoci sulle operazioni previste (figura. 2.2):
8 B. Bohem, A spiral Model of software devlopment and enhancement, IEEE Computer, 1988, pp. 21 (5), 61-72.
58
Il processo user centred design
- Analisi dei requisiti del sistema. L'analisi dei requisiti è
l’operazione che individua gli scopi principali dei sistemi delineando
gli ambienti operativi in cui si andranno ad inserire i prodotti. I
requisiti sono principi astratti che descrivono il comportamento delle
architetture nell’esecuzione dei task specificando le funzioni da
supportare in ognuna. L’analisi inizia con una raccolta di dati da cui
sono ricavate informazioni più dettagliate sul funzionamento e i task
da eseguire. Si distinguono in questa fase i requisiti del sistema
(System Requirements) ed i requisiti utente (User Requirements).
59
Capitolo 2
Entrambi sono critici anche se i primi sono quelli che, data la rigidità
del processo, sono specificati meglio.
- Progettazione. Dopo aver compreso i requisiti
funzionali viene definito un modello astratto, in cui sono specificate
le architetture e le configurazioni globali dei sistemi. Si stabiliscono
caratteristiche come i linguaggi di programmazione e sviluppo, le
strutture di controllo, le strutture dei sottosistemi e gli eventuali
moduli di ogni sottosistema. La progettazione passa poi nel dettaglio
con l'analisi di ciascun modulo e la descrizione delle strutture per la
comunicazione, del processo elaborativo, dei controlli interni e degli
eventuali vincoli di prestazione. Questa fase interessa, quindi, la
realizzazione operativa delle componenti ingegneristiche da cui
deriva il funzionamento generale del sistema.
- Scrittura del codice. La fase di progettazione vera e
propria si conclude con la implementazione del codice. Sono
elaborate, cioè le stringhe relative ai moduli realizzati. Come spiega
Sedehi «è di fondamentale importanza che le interfacce fra i vari
moduli e le corrispondenti funzioni siano ben definite prima
dell'inizio di questa fase».9 La durata delle attività (in certi prodotti si
parla di anni) è strettamente influenzata dai linguaggi di
9 H. Sedehi, Ingegneria economica del software, Roma, Edizioni Eucos, 2003, p. 3.
60
Il processo user centred design
programmazione utilizzati e dai moduli necessari per l’esecuzione di
tutte le funzionalità del sistema.
- Valutazione. La valutazione vera e propria avviene,
quando gli elementi concreti sono già realizzati. Generalmente si
inizia con i test su ogni singolo modulo per poi passare a testarli
nell'insieme per verificare se il sistema risponde nei modi previsti. I
test sono effettuati, di solito direttamente dai team di sviluppo oppure
coinvolgono persone esperte. Perciò non rappresentano un momento
in cui è richiesta la valutazione delle persone reali che compreranno
il prodotto.
- Manutenzione. Il feed-back con gli utenti avviene solo
con la conclusione del ciclo di vita ed il rilascio del prodotto. Sono
fornite informazioni direttamente dagli utenti che utilizzano il
programma nella sua versione finale. Tali dati possono far
comprendere quali sono i bug (o errori) principali del sistema
ponendovi rimedio attraverso il rilascio di versioni successive
(patch) del prodotto. La manutenzione accoglie, dunque questi dati e
li re-interpreta per la formulazione di alcuni aspetti del sistema (ma
sicuramente non del suo funzionamento generale).
Nel corso di questi anni le versioni evolute del modello
‘waterfall’ (incrementale, prototipazione evolutiva, ecc.) non hanno
risolto le problematiche maggiori nell’adozione di tale approccio
derivanti dal fatto che lo sviluppo a cascata non prevede fasi
61
Capitolo 2
d’iterazione tra le attività della progettazione. Ciò implica un
processo gerarchico in cui non si può che fare poca attenzione alle
reali esigenze degli utenti. Se, infatti, la realizzazione di un software
richiede dei tempi variabili che non possono essere stabiliti a priori
non ha alcun senso individuare i requisiti solo all'inizio della
progettazione, poiché il processo potrebbe protrarsi per mesi o
magari per anni per cui gli aspetti analizzati cambieranno nel corso
del tempo così come l’ambiente d’uso e le attività. Non è un caso,
allora che le applicazioni software sono molto lontane dal modo in
cui le persone svolgono le proprie attività, pieni d’intermediazioni
inutili che penalizzano l'interazione e lo stesso funzionamento del
sistema. Tali aspetti possono essere calmierati solo con delle
valutazioni preliminari degli utenti date ancor prima del rilascio del
prodotto. Utilizzare il mercato per misurare l'efficienza dei prodotti
poi, non è una scelta premiante per l’immagine del brand né
sicuramente una strategia edificante per le persone.
2.2.2 Modello “star” nella human computer interaction
La Human Computer Interaction (HCI) si è occupata, a partire
dagli anni Settanta, di realizzare interfacce grafiche da implementare
62
Il processo user centred design
nelle applicazioni software.10 Gli obiettivi del dominio hanno perciò
un interesse più specifico rispetto ad approcci come l'ingegneria del
software o lo stesso interaction design. Nel 1989 Hartston e Hix
propongono il modello denominato Star11 (niente a che vedere con il
sistema realizzato allo Xerox) che descrive un ciclo di vita ideale
nello sviluppo di interfacce grafiche. A differenza del modello “a
cascata” l’approccio non specifica nessun ordine nella sequenza delle
attività della progettazione, per cui ci si può spostare da una all’altra
purché ci sia una fase di valutazione intermedia che rappresenta
l’operazione centrale per poter implementare aspetti rispettosi dei
task degli utenti. Le attività che si evidenziano sono così distinte
(figura 2.3):
- Specificazione dei requisiti. I requisiti sono determinati
dalla natura stessa dei task che le interfacce supporteranno e dal
grado di difficoltà che il sistema prevede per compiere ogni sotto-
attività specifica. Più, infatti, il software implementa funzioni più il
10 I primi computer ad interfaccia grafica sono sviluppati proprio nel finire degli anni Settanta; uno dei primi è Star realizzato allo Xerox Parc, un progetto con standard qualitativi elevati che tuttavia non avrà una grande valenza commerciale. È solo, infatti, con il Macintosh che i computer ad interfaccia grafica diventano sinonimo di sistemi user-friendly e la HCI, impegnata nella progettazione di questi strumenti d'interazione, diventa il principale dominio disciplinare ad occuparsi di progettazione centrata sull'utente. 11 H. R. Hartson, D. Hix, Toward empirically derived methodologies and tools for human computer interface development, International Journal of Man Machine Studies, pp. 31, 477-494.
63
Capitolo 2
design dell’interfaccia sarà articolato. Queste analisi consentono di
delineare quali soluzioni adottare per lo svolgimento dei compiti e
gli elementi su cui insistere per l'organizzazione e la presentazione
degli oggetti nelle interfacce (layout).
- Progettazione concettuale/rappresentazione formale.
L’attività di progettazione si distingue in due passi diversi: in un
primo momento viene formulato un modello astratto con cui regolare
tutti i compiti che l'interfaccia deve sostenere; questa fase prende il
nome di progettazione concettuale. L’attività termina con la
64
Il processo user centred design
realizzazione dei prototipi (storyboard) in cui ogni task e sotto-task è
rappresentato mediante una visualizzazione specifica. Così è
possibile comprendere ogni stato dell’interfaccia in riferimento ai
task da eseguire. Nella fase successiva si passa, invece, alla
rappresentazione formale dell’interfaccia. Sono individuate le linee
guida (look and feel), strumenti utili nella realizzazione di ogni
elemento (widget) dell’interfaccia.
- Implementazione. Integrare ogni aspetto dell’interfaccia
grafica nel codice del sistema non è un'attività semplice, anche se
l’operazione è fondamentale, poiché l’interazione con l’utente
dipende dalla meticolosità con cui sono svolte queste operazioni.
Ogni oggetto dell'interfaccia deve essere implementato nel codice
facendo attenzione che non ci siano errori tra le potenziali operazioni
messe in atto dagli utenti e l’azione specifica con cui deve rispondere
l’interfaccia.
- Prototipazione. I prototipi sono versioni parziali delle
interfacce che forniscono informazioni ai designer sul funzionamento
reale del sistema e sulle modalità d’interazione adottate per eseguire
i task. I prototipi possono avere caratteristiche simili a quelle dei
prodotti finali chiarendo quali aspetti arrecano disturbi nelle
operazioni o che rendono l'interfaccia complessa senza validi motivi.
I prototipi sono fondamentali per avere giudizi rapidi dagli utenti,
quando le strutture non sono ancora completamente definite.
65
Capitolo 2
- Analisi dei task e analisi funzionale. Chiariscono i
particolari dell’interazione approfondendo le modalità specifiche con
cui le interfacce mediano le operazioni tra il sistema e l’utente. La
prima è la più importante, poiché evidenzia i task che il sistema deve
eseguire. L’analisi funzionale avviene successivamente, quando sono
stati stabiliti tutti i task del sistema; ad ogni compito viene
determinato chi tra l’uomo e la macchina avrà la responsabilità sulle
operazioni e dunque il controllo nell’esecuzione.
- Valutazione. Gli aspetti legati alla valutazione hanno
una grande importanza; non è un caso che tale operazione è da
proporre ogni volta che si passa ad un’azione successiva del ciclo di
vita. Naturalmente le attività di valutazione coinvolgono il più
possibile gli utenti reali per testarli nell’esecuzione di compiti
predefiniti.
Il modello Star nasce dall'esigenza di comprendere quali sono le
azioni dei designer nello sviluppo di alcuni aspetti delle interfacce;
gli autori Hartston e Hix identificano due modalità generiche: una
analitica, l’altra sintetica. La prima è caratterizzata da nozioni top-
down che, cioè partono dalle logiche della macchina per raggiungere
il punto di vista dell’utente (ad esempio organizzazione, funzione,
forme, ecc.). La seconda azione, invece, prevede lo sviluppo di
concetti bottom-up che dalla logica umana arrivano al punto di vista
della macchina (ad esempio possibilità di navigazione, icone, menù,
66
Il processo user centred design
ecc.). Nonostante il modello “Star” realizzi un ciclo di progettazione
flessibile, quindi, un alto grado d’iterazione del processo, l’approccio
non è mai stato usato con risultati di successo in grandi progetti; ciò
sembra dovuto al fatto che un modello troppo flessibile è
sicuramente una condizione ottima per sviluppare la creatività dei
designer, ma è contemporaneamente una forma poco maneggiabile
per altre figure coinvolte (projet manager, responsabili di marketing,
ecc.) a cui devono essere forniti strumenti in grado di prevedere e
controllare il processo di sviluppo del prodotto.
2.2.3 Modello “life cycle” nell’ingegneria dell’usabilità
L’ingegneria dell’usabilità è nata da pochi anni all’interno del
dominio disciplinare dell’interazione uomo - computer. Negli anni
Settanta, quando i software erano maneggiati quasi esclusivamente
da persone esperte, l'usabilità dei sistemi non rappresentava ancora
un aspetto fondamentale.12 L'ingegneria dell'usabilità si è evoluta
inizialmente come un approccio eccellente per l'analisi delle
applicazioni web (siti, portali, ecc.); Nielsen è stato uno dei
principali fautori della web - usability fornendo le prime griglie di
12 E’ solo con la diffusione commerciale dei primi sistemi user-friendly (1984) e delle reti di telecomunicazione (1990) che questi elementi diventano una priorità nella costituzione di qualsiasi prodotto interattivo.
67
Capitolo 2
euristiche per valutare l’usabilità in questi prodotti.13 La tecnica ha
trovato ben presto applicazione nella realizzazione di qualsiasi
strumento interattivo rivolto alle attività degli esseri umani,
rappresentando una prospettiva metodologica che individua
rapidamente alcune caratteristiche rispettose dei modi di pensare e di
agire delle persone. È spesso utilizzata per integrare altri modelli di
progettazione ed il suo impiego è frequente nella riformulazione di
prodotti software già presenti sul mercato. In questo caso, sono
individuate le specifiche da adottare per migliorarne l'usabilità. Tali
soluzioni sono testate e poi implementate nelle versioni successive.
Deborah Mayhew ha proposto un ciclo di vita a partire da una
visione olistica dell’ingegneria dell’usabilità.14 Questa disciplina può
essere considerata, secondo l’autrice, speculare rispetto a qualsiasi
altra metodologia di progettazione, poiché rappresenta già di per sé
una visione sistemica. Nel ciclo di vita da lei proposto si distinguono
tre attività principali (figura. 2.4):
- Analisi dei requisiti. Le ricerche devono contenere
descrizioni dettagliate su come portare a termine precisi task. I dati
13 La metodologia delle euristiche richiede la definizione di alcuni parametri per misurare le performance delle persone in riferimento a precisi task da eseguire, la documentazione dei risultati in termini di specifiche di usabilità e il test sulle specifiche di usabilità predisposte. 14 D. J. Mayhew, The usability engineering lifecycle, San Francisco, MorganKaufmann, 1999.
68
Il processo user centred design
sono ricavati dalla misurazione delle performance delle persone
rispetto ai compiti assegnati. I requisiti individuati portano alla
specificazione di una serie di principi generali di design, raccolti in
una linea guida di stile che rappresenta, nel corso dello sviluppo del
prodotto, lo strumento principale per catturare e diffondere gli
obiettivi di usabilità.
- Progettazione/ sviluppo/ valutazione. È la fase più
articolata prevista dal modello; la progettazione, lo sviluppo e la
valutazione sono attività simultanee che si compongono di numerose
sotto-attività in cui le linee guida di stile rappresentano la griglia
generale attraverso cui integrare gli obiettivi di usabilità. Alle fasi di
progettazione, sviluppo e valutazione corrisponde un grado di
definizione sempre maggiore del prodotto in cui le linee di stile sono
lo strumento per passare ad un livello di dettaglio superiore.
69
Capitolo 2
70
Il processo user centred design
- Installazione. Prevede un momento di valutazione che
coinvolge direttamente l’utente.Ciò consente di capire se gli aspetti
riformulati sono soddisfacenti a risolvere le problematiche
d’usabilità che si erano evidenziate: in questo caso il ciclo di vita
termina con il rilascio del prodotto. Nel caso contrario sono
riconsiderati i miglioramenti necessari ed il processo di
progettazione riparte nuovamente dall'installazione, con un ulteriore
feedback dell'utente; queste operazioni sono ripetute tante volte
finché non sono risolte tutte le questioni.
L’approccio è basato su un processo di progettazione molto
flessibile ove, a differenza di quanto proposto nel modello di
Hartston e Hix che non prevede alcuna direzione predefinita, sono le
linee guida di stile a stabilire l'andamento dello sviluppo del
prodotto. Nonostante ciò, come sottolineano Preece, Rogers e Sharp,
l'iterazione tra le attività di design e quelle di valutazione avviene
solo nella seconda fase del processo
(progettazione/sviluppo/valutazione) e ciò comporta che le
informazioni circa il funzionamento del sistema avvengano quando il
modello concettuale (che sfocia concretamente nelle linee guida di
stile) e le proposte di design concrete sono già state formulate. Come
avremo modo di vedere sono queste caratteristiche a differenziare il
ciclo di vita proposto dall’interaction design che, invece, sviluppa un
processo completamente iterativo in ogni sua attività.
71
Capitolo 2
2.2.4 Un modello generale per l’interaction design
Le attività alla base di un processo centrato sull’utente (User
Centred Design) sono quattro e si collegano come mostrato nella
figura 2.5. Si distinguono le seguenti fasi:
- identificare i bisogni, stabilire i requisiti
- progettare
- prototipare
- valutare
Come osservano Preece, Rogers e Sharp il modello non ha un
valore prescrittivo ovvero non pretende di descrivere il modo in cui
tutti i prodotti interattivi devono essere costruiti, tuttavia, data la sua
valenza generica è estendibile ad una grande quantità di progetti. Il
ciclo di vita prevede dei processi iterativi in ogni attività, limitati
solamente dalle risorse allocate e dal tempo stabilito per la
realizzazione. Le iterazioni rappresentano una progressione in
profondità nello sviluppo del prodotto ed ognuna implica le seguenti
attività:
- elaborare un problema di design
- comprendere i bisogni dell’utenza
- formulare modelli concettuali alternativi
- prototiparli
- valutarli
- rielaborare i risultati degli studi di valutazione
72
Il processo user centred design
- apportare le modifiche ai prototipi rispetto ai risultati
degli studi
- valutare i prototipi modificati
- comprendere se le modifiche hanno apportato dei
miglioramenti
Passiamo ora in rassegna le singole fasi del processo di U.C.D.
per comprendere, ancora meglio, quali siano i passaggi che portano
dall’idea iniziale alla costituzione del prodotto vero e proprio. Le
quattro attività generali si suddividono in numerosi sotto-compiti e in
nessuna vi è una successione stabilita dal flusso di progettazione. Il
ciclo di vita è perciò completamente iterativo. Ciò non comporta una
73
Capitolo 2
completa assenza di direzione, poiché ogni attività incomincia da
un’operazione d’analisi delle caratteristiche degli utenti, delle loro
attività e degli aspetti che riguardano i contesti d’uso.
2.3 Come si decide il target di riferimento
Un’operazione preliminare, a qualsiasi attività concreta della
progettazione, è stabilire quale sia il target di riferimento, dunque il
segmento di mercato in cui si posiziona l’azienda, il brand e il
prodotto. «Il posizionamento è il meccanismo con cui queste entità
investono una porzione di contenuto e appropriandosene ne fanno un
territorio proprio, qualificando il loro discorso».15 Il posizionamento
in realtà avviene nella mente del consumatore, poiché si tratta di
comprendere il modo in cui sarà percepito il prodotto dalle persone.
Come ritiene Norman gli utenti «procedono all’acquisto sulla base
di percezioni personali, non su dati di fatto concreti».16 Per questo
motivo le operazioni di posizionamento possono far comprendere a
priori della progettazione caratteristiche come qualità, affidabilità e
piacevolezza percepite dai consumatori. L’identificazione del target,
tuttavia, non è un’operazione semplice. Eason descrive tre categorie
di utenti nella realizzazione di un prodotto: gli utenti primari che lo
usano direttamente, gli utenti secondari che ne fanno un uso saltuario
15 A. Semprini, La Marca, Milano, Lupetti, 2003, p. 44. 16 D. Norman, (op. cit.) 2002, p. 56.
74
Il processo user centred design
e gli utenti terziari che in qualche modo sono influenzati o
determinano la decisione di acquisto.17 La questione è che vi sono
ampie fasce di persone coinvolte dallo sviluppo di un prodotto di
successo che non rientrano nell’utenza diretta. Gli stakeholder «sono
persone o organizzazioni che verranno influenzate dal sistema o che
hanno influenza diretta sui requisiti del sistema».18 In linea di
principio il gruppo degli stakeholder è sempre più ampio
dell’insieme degli utenti che compreranno il prodotto. Nonostante sia
impossibile considerare i bisogni di questa vasta rete nello sviluppo
di un sistema è necessario essere consapevoli della loro presenza.
Come spiegano Preece, Rogers e Sharp «identificare gli
stakeholder[…]significa poter prendere decisioni ponderate su chi
dovrebbe essere coinvolto e a quale livello».19
2.4 Stabilire bisogni degli utenti e requisiti dei sistemi
Bisogna sviluppare un piano concettuale in grado di identificare
le attività delle persone che si vogliono sostenere ed i task principali
che bisogna implementare nei prodotti. La specificazione di questi
17 K. Eason, Information Technology and Organizational Change, London, Taylor and Francis, 1987. 18 G. Kotonya e I. Sommerville, Requirements engineering: processes and techniques, Chichster, UK JohnWiley & Sons, 1998. 19 J. Preece, Y. Rogers, H. Sharp, Interaction design, traduzione Bacigalupo-Fiorani, Milano, Apogeo, 2004, p. 190.
75
Capitolo 2
elementi dà la possibilità di raccogliere informazioni in un frame
concettuale coerente. L’analisi parte dalla comprensione delle
esigenze degli utenti nell’esecuzione di un determinato compito, in
modo da capire le procedure (fisiche e cognitive) eseguite in ogni
loro attività. È solo a partire da queste informazioni che si può
iniziare a realizzare un processo di progettazione centrato sull’utente.
2.4.1 Capire i bisogni e i desideri degli utenti
Per identificare i bisogni ed i desideri degli utenti si fanno analisi
sul target di riferimento. Per i prodotti già presenti sul mercato che
richiedono un re-design il posizionamento è gia avvenuto, così che vi
sono informazioni sugli utenti già disponibili; si tratta allora di
integrare questi dati con altri per fornire delle soluzioni più
appropriate. Per i prodotti di nuova invenzione, invece, il
posizionamento sul mercato deve ancora avvenire; dunque non esiste
ancora un’utenza vera e propria da cui ricavare inferenze. Il progetto
in questo caso parte da zero ed un’ottima fonte informativa, in grado
di rivelare il target di riferimento a cui rivolgersi, è l’analisi di
prodotti simili a quelli da realizzare che hanno sviluppato
comportamenti consolidati nei mercati e dati su cui fare ricerca.
Specificare bisogni e desideri degli utenti richiede l’analisi dei
processi cognitivi ed affettivi attivati nell’interazione uomo-
macchina per definire caratteristiche, capacità ed obiettivi delle
76
Il processo user centred design
persone in relazione ad una determinata attività da svolgere.
L’analisi è utile anche per capire atteggiamenti che variano da
persona a persona e che sono da prendere in considerazione nel
design fisico dei prodotti.
La distinzione fatta tra bisogni e desideri, come ricorda Norman,
è il modo utilizzato dalle ricerche per differenziare ciò che è
«veramente necessario per le attività delle persone (bisogni) rispetto
a ciò che piacerebbe avere (desideri)».20 I bisogni sono determinati
dalle attività che gli utenti compiono con il dispositivo, mentre i
desideri sono influenzati dalla cultura, dalle esperienze e dalle
motivazioni di ogni singola persona. I primi sono individuati
mediante le analisi di usabilità; i secondi sono definiti dalle strategie
di marketing. Come puntualizza Norman molto spesso nella
progettazione di un prodotto si adotta una tendenza errata, ma
volontariamente sfruttata, per cui i team di sviluppo/design si
soffermano più ad implementare aspetti rispettosi dei desideri degli
utenti (come ad esempio una estetica accattivante), piuttosto che
integrare elementi in grado di soddisfare i loro reali bisogni. Queste
scelte portano allo sviluppo di sistemi complessi e poco utili a
supportare le persone nelle loro attività, perciò il successo
commerciale avviene solo in un’ottica di breve periodo, poiché nel
20 D. Norman, Emotional Design, traduzione di B. Parrella, Milano, Apogeo, 2004, p. 40.
77
Capitolo 2
lungo termine le persone non riuscendo a compiere facilmente le loro
operazioni abbandoneranno il prodotto spezzando il rapporto di
fiducia che si viene a creare tra gli utenti e le aziende.
2.4.2 Quali sono i requisiti dei sistemi
Comprendere a chi è rivolto il sistema ed essere certi che
soddisfi bisogni e desideri degli stakeholder sono questioni
fondamentali per il processo di sviluppo. A partire da queste
informazioni si chiariscono gli elementi del funzionamento e delle
relative modalità d’interazione. I requisiti sono affermazioni che
descrivono cosa il sistema deve fare e come lo deve fare. Sono
specificati attraverso delle descrizioni minuziose, poiché si possono
manifestare sotto forme differenti collocandosi su livelli d’astrazione
diversi. Sono individuati attraverso la raccolta e l’interpretazione dei
dati. Tali operazioni portano alla definizione di un insieme
d’elementi rispettosi delle attività degli utenti, degli obiettivi
associati e dei contesti d’uso. L’interaction design, a differenza di
quanto avviene nell’ingegneria del software, distingue diverse
categorie di requisiti nella progettazione di un prodotto:
- Requisiti funzionali. Definiscono ciò che il sistema
deve fare specificando le caratteristiche funzionali da implementare
per svolgere ogni task; la comprensione di tali aspetti è fondamentale
78
Il processo user centred design
per l’uso dell’artefatto, poiché le funzionalità richieste possono
limitarne il modo in cui opera e/o il suo stesso sviluppo.
- Requisiti riguardanti i dati. Ogni sistema interattivo
utilizza delle tipologie di dati. Le capacità multimediali dei
dispositivi odierni consentono l’elaborazione di diverse categorie
(testo, immagini, video, ecc.) in un unico terminale. È fondamentale,
quindi, comprendere quali categorie interessano alla progettazione
specifica del prodotto. Possono essere considerati in relazione ad una
serie di parametri:
1. dimensione/quantità
2. persistenza
3. accuratezza
4. valore
- Requisiti ambientali. Fanno riferimento alle diverse
circostanze in cui opera il prodotto interattivo; sono quattro gli
aspetti da considerare:
1. ambiente fisico. Descrive le caratteristiche che si trovano
nell’ambiente fisico in cui viene utilizzo il sistema (luce,
rumore, ecc.);
2. contesto sociale. Focalizza le diverse modalità che
contraddistinguono i contesti sociali in cui i sistemi si
collocano (la collaborazione, il coordinamento, ecc.);
79
Capitolo 2
3. ambiente organizzativo. Riguarda gli aspetti relativi ai
contesti specifici del prodotto, dunque gli elementi
funzionali che servono per il soddisfacimento delle
attività (assistenza clienti, supporti e risorse per la
formazione, ecc.);
4. ambiente tecnico. Prende in considerazione il panorama
delle infrastrutture tecnologie, cioè le caratteristiche
tecniche da implementare per essere compatibili ad una
o all’altra piattaforma (ad esempio chip Motorola per
Unix/Linux o chip Intel per Windows NT).
- Requisiti utente. Definiscono le caratteristiche del
gruppo di utenti di riferimento. L’analisi si estende fino ad
investigare sulle abilità e competenze delle persone in ogni attività,
poiché tali aspetti hanno un’influenza diretta sul modo di concepire il
design dell’interazione;
- Requisiti di usabilità. Fissano gli obiettivi di usabilità e
i relativi criteri di misurazione. Sono determinanti per la
progettazione di ogni artefatto, dunque influenzano inevitabilmente
tutti i requisiti descritti in precedenza.
2.4.3 Contextual design
Il contextual design è un approccio utilizzato per maneggiare la
raccolta e l’interpretazione dei dati provenienti da ricerche sul campo
80
Il processo user centred design
di tipo etnografico che coinvolgono direttamente gli utenti nei loro
contesti d’uso. La prospettiva ha dimostrato validità in diversi
prodotti spaziando dalla progettazione di telefoni cellulari allo
sviluppo di applicazioni per l’ufficio.21 Il vantaggio del contextual
design è fornire un percorso diretto per osservare l’utente; con
un'unica figura (i designer) è possibile trasformare le informazioni
raccolte in direttive per il design del prodotto. Ciò permette di evitare
distorsioni dei dati, poiché sono solo i designer in collaborazione con
gli utenti ad interpretare ed analizzare i dati. È una metodologia
strutturata che combina, dunque tecniche della ricerca etnografica
alla progettazione empirica dei prodotti. Non è un approccio
esclusivo all’interno dell’interaction design, piuttosto sembra essere
quello che soddisfa meglio le esigenze della disciplina fornendo una
comprensione più ampia degli utenti, delle loro attività e degli
ambienti in cui avviene l’interazione. Nel processo si distinguono
sette fasi:
- l’inchiesta contestuale
- la modellizzazione del lavoro
- il consolidamento
- la ri-progettazione del lavoro
- la programmazione degli ambienti per gli utenti
21 H. Beyer, K. Holtzblatt, Contextual Design: A Customer-Centered Approach to Systems Designs, San Francisco, Morgan Kaufmann, 1998.
81
Capitolo 2
- la costruzione di mock-up
- il testing
Nella figura 2.6 sono sintetizzate le principali operazioni da svolgere
in un’approccio di contextual design e le modalità con cui vengono
eseguite.
Le prossime sezioni approfondiranno le ricerche sulle attività
lavorative e sugli ambienti d’uso degli utenti cercando di capire
come l’approccio modellizza il lavoro delle persone.22
22 Per approfondimenti http://www.cs.concordia.ca/~soen357/article/ personas_grudin.pdf.
82
Il processo user centred design
2.4.4 Inchiesta contestuale
Segue il modello dell’apprendistato ovvero il designer affianca
l’utente cercando di apprendere in che modo svolge le sue attività.
La forma più comune di inchiesta contestuale è quella dell’intervista
contestuale un mix di osservazione, discussione e ricostruzione di
eventi passati. L’inchiesta contestuale analizza principalmente
quattro aspetti:
- Contesto. È il luogo in cui osservare l’utente nei suoi
comportamenti reali. Nei contesti d’uso vengono svolte tutte le
procedure di una specifica attività. Sono da approfondire sia gli
elementi fisici (luce, rumore, ecc.) legati all’ambiente naturale che
quelli culturali (coordinamento, organizzazione, ecc.) determinate
dai processi sociali tra le persone.
- Partnership. Rappresentano il principale criterio da
seguire nelle ricerche sul campo. La partnership è stabilita da una
buona collaborazione tra i designer e gli utenti in modo da
raggiungere una visione condivisa del lavoro. Nell’inchiesta
contestuale non è esercitato alcun controllo dall’intervistatore, per
cui la comprensione delle informazioni avviene mediante dei
processi di cooperazione tra tutte le figure coinvolte.
- Interpretazione. Le attività osservate sono
schematizzate in appunti da re-interpretare prima di utilizzarli per la
progettazione fisica dei prodotti. Anche tale operazione richiede un
83
Capitolo 2
alto grado d’accordo con gli utenti. Uno dei vantaggi del design
contestuale è che l’interpretazione dei dati è svolta direttamente dai
designer evitando distorsioni delle informazioni originali.
- Focalizzazione. L’inchiesta contestuale produce una
grande quantità di dati. In questa varietà diventa difficile restare
concentrati esclusivamente sugli aspetti che interessano alla
progettazione. La tecnica, tuttavia, a differenza di una ricerca sul
campo di tipo etnografico ha una certa rapidità d’applicazione.
Dunque le interviste sono brevi così come le fasi di analisi e
interpretazione. Il designer, inoltre, non si immedesima nel contesto
come un osservatore partecipante, ma indaga solo sugli aspetti del
lavoro che interessano alla progettazione del prodotto.
2.4.5 Modellizzazione e consolidamento del lavoro
Comprendere le attività delle persone significa approfondire gli
aspetti che caratterizzano il loro lavoro. Il termine ha una valenza
ambigua, per cui l’approccio di contextual design individua cinque
modelli che ne concorrono nella definizione. I modelli di lavoro sono
elaborati durante le sessioni d’interpretazione. Dopo le prime analisi
sui dati raccolti, i modelli sono consolidati per ottenerne altri più
astratti in grado d’essere applicabili a più individui, attività e
contesti. Attraverso un diagramma delle affinità gli appunti sono
84
Il processo user centred design
organizzati in strutture gerarchiche raggruppate secondo la natura
stessa dei dati:
- Modello del work flow. Rappresenta l’insieme delle
persone coinvolte nel lavoro ed i meccanismi di comunicazione e
coordinazione che si svilupperanno durante l’esecuzione dei compiti
(figura 2.7);
i modelli consolidati identificano quali sono i ruoli chiave nelle
attività di lavoro. Queste unità d’analisi sono formate dagli obiettivi
preposti per l’attività e dalle responsabilità relative che ne
costituiscono l’ambito;
85
Capitolo 2
- Modello sequenziale. Schematizza la sequenza di azioni
che le persone effettuano per un determinato lavoro. Propone una
segmentazione secondo una serie di passi successivi (figura 2.8);
i modelli consolidati indicano la struttura del compito e le strategie
adottate nel lavoro proponendo una segmentazione dei task per passi
successivi;
- Modello dell’artefatto. Indicano gli oggetti utilizzati
per svolgere il lavoro. Sono segnalate quali funzionalità sono
rilevanti per l’esecuzione del compito; i modelli consolidati
86
Il processo user centred design
mostrano il modo, in cui le persone compiono le attività
manipolando oggetti per raggiungere uno specifico obiettivo.
- Modello culturale. Delinea le convenzioni da adottare
nel lavoro, fattori determinati dalla cultura organizzativa in cui il
sistema si colloca. Ognuna, infatti, possiede regole proprie che
disciplinano inevitabilmente le attività lavorative delle persone
(figura 2.9);
i modelli consolidati servono a capire cosa può influenzare le
persone nell’esecuzione di un compito delineando i soggetti che
all’interno dell’istituzione organizzano le attività.
87
Capitolo 2
- Modello fisico. Fa riferimento alla struttura fisica del
lavoro. Può rappresentare sia gli ambienti lavorativi che la rete di
comunicazione (figura 2.10); i modelli consolidati mostrano i vincoli
dell’ambiente naturale che ogni attività lavorativa possiede.
Preece, Rogers e Sharp affermano che «i modelli consolidati aiutano
i designer a capire gli scopi degli utenti, le strategie che adottano
per raggiungere degli obiettivi, le strutture che supportano tali
strategie, i concetti che aiutano a gestire il lavoro ed infine la loro
mentalità».23
23 J. Preece, Y. Rogers, H. Sharp, (op.cit.), 2004, p. 329.
88
Il processo user centred design
Le fasi discusse fino ad ora sono utili ad individuare in modo
approfondito i bisogni degli utenti e requisiti dei sistemi. In queste
metodologie vi è il vantaggio di osservare il contesto dell’attività
lavorativa, dunque di vedere realmente come operano gli utenti nei
diversi ambiti professionali. Compresa l’entità del lavoro che utenti e
sistema svolgeranno si passa alla formulazione del modello
concettuale del prodotto.
2.5 Progettazione: caratteristiche generali
Con l’individuazione dei requisiti si inizia a sviluppare l’attività
progettuale vera e propria che si distingue, grosso modo, in due
momenti: il conceptual design ed il physical design. Nonostante il
processo di interaction design sia per sua natura iterativo, quindi
senza alcuna direzione predefinita, sviluppare un prodotto a partire
dal suo aspetto fisico può portare a trascurare gli obiettivi principali
dell’attività di progettazione. Ecco perchè il conceptual design è
considerato più che un’attività cronologicamente preliminare al
design fisico del prodotto, come un’operazione immanente che si
colloca ad un livello di astrazione più alto. Nel conceptual design è
sviluppato il modello teorico del sistema in cui si spiega cosa farà ed
in che modo. Le informazioni raccolte in fase di analisi sono
trasformate nel modello concettuale del prodotto. Norman suggerisce
in questa fase di far attenzione a due semplici regole:
89
Capitolo 2
- sviluppare i prodotti guidati esclusivamente dal modello
concettuale
- concettualizzarli su attività specifiche ed esclusive
2.5.1 Cosa sono i modelli concettuali
Norman ritiene che «un buon designer si cura di offrire agli
utenti un modello concettuale esplicito del prodotto».24 Se ciò non si
verifica tocca agli utenti crearsi una propria interpretazione che può
rivelarsi inadatta e tendenzialmente scorretta. Il modello concettuale
è come una storia, non si occupa di descrivere i meccanismi operativi
del prodotto, ma ricompone lo spettro delle azioni possibili
all’interno «di un contesto coerente in modo tale da consentire
all’utente di sentirsi in posizione di controllo».25 Avrà successo se
gli utenti sono in grado di scoprire ed imparare il funzionamento con
il minimo sforzo possibile, invece, sarà un fallimento se le persone si
limiteranno ad eseguire le istruzioni senza alcun tentativo di
comprensione, non riuscendo ad ideare modalità proprie.
Tali questioni evidenziano una delle maggiori querelle nella
progettazione di sistemi interattivi: la scelta nelle esecuzioni delle
attività, tra l’automazione della macchina (approccio centrato sulla
tecnologia) contro il controllo dell’essere umano (approccio centrato
24 D. Norman, (op. cit.), 2002, p. 192. 25 D. Norman (op. cit.), 2002, p. 194.
90
Il processo user centred design
sull’uomo). Mantovani sottolinea come «quando il sistema mette la
persona fuori dal circuito di controllo, si verifica nell’operatore una
alienazione rispetto al compito ed un deterioramento delle capacità
di scelta e di decisione personale».26 Mantenere una progettazione
coerente con le caratteristiche degli esseri umani in ogni aspetto del
prodotto non è un operazione facile. Norman suggerisce di partire
dalla formulazione di un modello concettuale quanto più semplice
possibile in modo tale che possa essere utilizzato per uniformarvi
tutti gli aspetti del design. I dettagli fisici del prodotto così si
integreranno in maniera naturale all’interno del frame teorico.
2.5.2 Concettualizzare il sistema secondo l’attività
Abbiamo accennato come la progettazione centrata sull’utente
deve abbandonare unità d’analisi tipiche della HCI e/ o
dell'ingegneria del software in cui l’interazione tra i sistemi software
e gli utenti viene essenzialmente intesa come una successione di
compiti da effettuarsi. Nel personal computer ad esempio le
applicazioni software «hanno ben poco a che fare con quelle attività
che la gente cerca di portare a compimento[…]. I programmi
odierni offrono troppa potenza rispetto all’utilizzo che è possibile
26 G. Mantovani, L’interazione uomo-macchina, Bologna, Mulino, 1995, p. 45.
91
Capitolo 2
fare e tuttavia difettano di tutte quelle componenti necessarie al
compimento di un’attività specifica».27
Per concettualizzare modalità d’interazione adatte alle attività
delle persone bisogna prima di tutto fare una distinzione semantica
tra termini come attività, compiti ed azioni. Un’attività secondo
Norman corrisponde ad un insieme di compiti convergenti verso
un’unica meta, simultaneamente, svolti da più persone e da più
sistemi. In tal senso le attività sono ad un livello concettuale
immanente rispetto ai compiti. Questi ultimi, invece, sono
determinati dall'insieme di azioni che sistema ed utente svolgono per
arrivare ad uno specifico obiettivo. Le azioni infine sono costituite
dalle operazioni fisiche (schiacciare un bottone, premere un tasto)
effettuate per ottenere un preciso stato del sistema.28
Si comprende adesso come, a differenza di un compito, portare a
termine una particolare attività richiede un arco di tempo maggiore
ed il coinvolgimento di numerose persone. Ciò ha portato alla
progettazione di interfacce in grado di gestire spazi di attività
27 D. Norman (op. cit.) 2002, p. 95. 28 Nel libro, La caffettiera del masochista, Norman, distingue sette stadi che caratterizzano l’azione di una persona: 1) formare lo scopo; 2) formare l’intenzione; 3) specificare l’azione; 4) eseguire l’azione; 5) percepire lo stato del mondo; 6) interpretare lo stato del mondo; 7) valutare il risultato. Il primo stadio riguarda l’obiettivo della persona, gli altri tre fanno riferimento all’esecuzione dell’azione e gli ultimi comprendono la valutazione delle conseguenze sull’azione eseguita. Per approfondimenti, D. Norman, (op. cit.), 1997, p. 58.
92
Il processo user centred design
altamente coordinati e sociali (multi-tasking e multi-utente) ove ogni
funzionalità del sistema non deve interferisce con un’altra. La
concettualizzazione di spazi d’attività (come le finestre delle
interfacce) per i sistemi multimediali odierni non rappresenta,
tuttavia la soluzione magica, poiché molti svantaggi rimangono
sostanzialmente invariati. I software, infatti, sono sempre costretti a
fare un po’ di tutto occupandosi della gestione di numerose
operazioni che rendono complesse le modalità d’interazione. Ad
esempio nessun compito può essere lasciato in sospeso e poi ripreso
nello stesso punto in cui è stato interrotto. Anche il salvataggio di un
file non permette, quando sarà riaperto di riprenderlo nel punto
lasciato.
Nei sistemi desktop il funzionamento basato su un filesystem
gerarchico in cui ci sono numerosi tipi di attività, costringe gli utenti
a dichiarare continuamente ogni intenzione, poiché ad ognuna
corrisponde uno stato differente dell’interfaccia. Così si riscontrano
inevitabilmente interferenze tra attività diverse, non essendoci
possibilità di una fruizione invisibile dello strumento che più di
supportare le attività umane ne crea altre specifiche. Come evidenzia
Raskin i computer sono progettati ancora su principi obsoleti come la
distinzione tra software operativo e software applicativo o il processo
di bootstrapping (la procedura di attivazione di un programma cui
unico scopo è l’avvio di un altro più grande che permette di far
93
Capitolo 2
partire il sistema operativo). «Quando vogliamo annotare un’idea
dovremmo poter andare sul computer e metterci semplicemente a
scrivere senza alcun tempo di avvio, senza alcun lancio di un editor
testuale, senza nomi di file, in un'unica frase senza sentire il peso del
sistema».29 La riduzione di una architettura così complessa
migliorerebbe anche l’usabilità generale dell’interazione uomo-
macchina, tuttavia, questa sembra non essere una priorità.
Secondo Raskin, le interfacce dei software dovrebbero essere
costruite su un unico ambito di azioni, dunque progettate per
soddisfare un’unica classe di attività. Nello stesso modo Norman
indica come i computer più che basarsi sulla formulazione di spazi
d’attività diversi, necessitano di funzionare secondo scopi esclusivi,
dunque finalizzati ad eseguire un’unica attività specifica. «Con
dispositivi separati, diviene automatico far buon uso delle relative
proprietà».30 Le possibilità di comunicazione on-line in modalità
wireless ed i processi di miniaturizzazione degli hardware in corso
hanno già consentito lo sviluppo di nuovi apparecchi con capacità
software rispettosi di tali presupposti (elettrodomestici intelligenti,
lettori mp3, schermi interattivi, videocamere digitali, smart phone,
smart device, etichette identificative).
29 J. Raskin, Interfacce a misura d’uomo, traduzione di W. Vannini, Milano, Apogeo, 2004. 30 D. Norman (op. cit.), 2002, p. 95.
94
Il processo user centred design
2.5.3 Proporre alternative di design
Il team preposto allo sviluppo del prodotto deve fornire soluzioni
di design alternative, in modo tale che ogni proposta può essere
misurata e valutata attraverso il coinvolgimento di utenti ed esperti.
Secondo Preece, Rogers e Sharp le scelte tra alternative ricadono
essenzialmente su due categorie:31
- sulle caratteristiche visibili e misurabili dall'esterno
(quindi sulle caratteristiche fisiche ed ergonomiche)
- sulle caratteristiche interne al sistema che non possono
essere osservate e misurate senza una approfondita analisi
Nel processo di interaction design l'interazione tra sistemi, utenti
e contesti rappresenta il fattore di maggior interesse, per cui le
proposte di design alternative si concentreranno sugli elementi
visibili e misurabili dall'esterno (interfacce). I dettagli tecnici del
funzionamento sono presi in considerazione solo se condizionano il
comportamento esterno del sistema, dunque l'interazione con le
persone. Le proposte alternative derivano dall'osservazione di
soluzioni simili a quelle da realizzare, ma possono scaturire anche da
scelte completamente diverse. Cercare le fonti di ispirazione, nei
prodotti già esistenti sui mercati, aiuta a sviluppare proposte secondo
esperienze già acquisite in altri progetti. La scelta tra alternative deve
coinvolgere le persone reali che utilizzeranno il prodotto: «avviene
31 J. Preece , Y. Rogers e H. Sharp, (op. cit.), p. 194.
95
Capitolo 2
lasciando che utenti e stakeholder interagiscono con le diverse
proposte e discutendo con loro esperienze, preferenze e suggerimenti
per il miglioramento».32
2.6 Attività di prototipazione
Tra la fase di conceptual design e quella di phisical design i
prodotti iniziano ad avere una consistenza con l’attività di
prototipazione. Per prototipo si intende qualsiasi cosa permetta di
rappresentare almeno parzialmente il progetto finale. Si può, ad
esempio, pensare ad uno schizzo su carta oppure ad una parte di
software. Nel processo di interaction design i prototipi servono a
ricevere le prime valutazioni dagli utenti, per cui coinvolgono
soprattutto le persone reali e non solo gli esperti. La prototipazione
ha una doppia valenza: da un lato fa interagire gli utenti con delle
strutture ancora non completamente codificate dall’altro aiuta i
designer a scegliere tra proposte alternative. Secondo Schon i
prototipi incoraggiano nella riflessione e sono un ottimo strumento di
comunicazione, poiché aiutano a discutere di diversi aspetti
coinvolgendo tutte le parti interessate: il gruppo di lavoro, gli utenti,
gli stakeholder, ecc.33 Nelle attività di prototipazione l’interesse
32 J. Preece, Y. Rogers e H. Sharp, (op. cit.), 2004, p.198. 33 D. Schon, The reflective Practiotioner: how professionist think in action, New York, Basic Book, 1983.
96
Il processo user centred design
principale è di avere delle valutazioni rapide sui prodotti. I prototipi
possono assumere anche una struttura fisica vera e propria che
comunque sarà parziale rispetto al modello definitivo. La
prototipazione richiede dei compromessi, poiché non si potranno
investigare su tutte le caratteristiche. Il tipo di risposte fornite
dall’attività è seriamente determinato dagli obiettivi della
progettazione, poiché bisogna costruire qualcosa di veloce e
valutarne alcuni aspetti.
2.6.1 Compromessi della prototipazione
L’attività di prototipazione si focalizza su alcuni elementi che
vogliono essere approfonditi. Secondo Martin e Gaver «vi sono
diversi tipi di prototipi per diversi tipi di propositi».34 Si
propongono, di solito due compromessi ricorrenti: l’analisi della
larghezza delle funzionalità da prototipare contro la profondità delle
funzionalità. Tali caratteristiche portano alla distinzione tra due
categorie di prototipi: quelli interessati a fornire quasi tutte le
funzionalità dei prodotti finali con poco dettaglio, denominati
prototipi orizzontali (low-fi) e quelli interessati ad esplorare in
dettaglio solo alcune funzionalità denominati prototipi verticali (hi-
fi). Questi modelli corrispondono ad altrettante filosofie alternative:
34 H. Martin B. Gaver, Beyond the snapshot:from speculation to prototypes in audiopotography, in Proceedings of DIS 2000, 2000, p. 55-65.
97
Capitolo 2
la prima definita “prototipazione evolutiva” trasforma il prototipo nel
prodotto finale, per cui i sistemi sono testati in maniera rigorosa man
mano che si procede. Nella “prototipazione usa e getta”, invece, sono
utilizzate le risoluzioni parziali come scalini per arrivare al prodotto
finale. I prototipi vengono di volta in volta gettati e la costruzione
ricomincia di nuovo a partire dalle informazioni ricavate.
2.7 Valutazione dei sistemi centrata sull’utente
L’attività di valutazione è il fulcro del processo di progettazione
centrato sull’utente (U.C.D.) e si ripropone costantemente al termine
di ogni altra attività e sotto-attività. Le tecniche utilizzate per la
valutazione dipendono dall’impianto metodologico scelto per
l’analisi e l’interpretazione dei dati, dunque sono delineate all’inizio
del processo, quando si comincia a fare ricerca sulle caratteristiche
degli utenti. Si propone, di solito la dicotomia tra tecniche
quantitative (testare e modellizzare) che prevedano una misurazione,
una quantificazione ed un contesto di laboratorio e tecniche
qualitative (osservare e coinvolgere gli utenti) che agiscono
attraverso opinioni, descrizioni e si svolgono nei contesti reali d’uso.
In ogni caso è opportuno per approfondire le valutazioni operare
secondo una combinazione di entrambe.
98
Il processo user centred design
2.7.1 Osservare gli utenti
Osservare gli utenti è importante per tutti gli approcci alla
valutazione che vogliono capire come viene utilizzano un
determinato prodotto o eseguita una specifica attività nelle modalità
reali d’uso. L’osservazione è un metodo di natura etnografica che
specifica con un livello di dettaglio superiore rispetto a qualsiasi altra
tecnica l’entità dei compiti delle persone, come il sistema li supporta
e le caratteristiche specifiche dei contesti d’uso, quindi, le influenze
degli ambienti sociali, organizzativi e culturali.
Le metodologie impiegate nell’osservazione possono essere
dirette, cioè percepite dall’utente o indirette risultando impercettibili
alle persone cosi da indurle a svolgere i reali comportamenti. In ogni
caso il modo in cui l’osservazione è eseguita dipende dagli scopi
della valutazione e dall’approccio adottato in fase di analisi dei dati.
Il maggior vantaggio dell’osservazione è di comprendere le attività
delle persone attraverso tecniche qualitative (ricerca sul campo, diari
d’uso, inchiesta contestuale) che approfondiscono obiettivi,
procedure ed operazioni reali. Tali valutazioni generano una grande
quantità di informazioni (appunti cartacei, video, foto, registrazioni),
per cui serve organizzarli con dei criteri metodologici, individuando
quali obiettivi raggiungere ancor prima di aver stabilito come
raccogliere i dati.
99
Capitolo 2
Inoltre i risultati ricavati rappresentano dati interpretabili che non
sono uguali a tutti gli utenti, ma che riguardano solo le specifiche
attività osservate in riferimento ad una ristretta cerchia di persone. La
natura stessa di tali informazioni non consente di trasformarli in
direttive per il design del prodotto, per cui c’è bisogno di
interpretazioni intermedie, operazioni che causano inevitabilmente
una perdita dei risultati originali. Infine, i tempi di valutazione sono
lunghi, dunque si protraggono in un arco di tempo rilevante e le
risorse finanziarie necessarie per analisi orientano spesso le aziende
all’adozione di altre tecniche di sviluppo, più veloci nei tempi e
meno dispendiose nei costi.
2.7.2 Testare gli utenti
I test sono un metodo veloce e relativamente economico
attraverso cui valutare i prodotti. Il principale vantaggio nell’utilizzo
di queste tecniche è dato dalle metodologie quantitative che
raccolgono una grande quantità di dati coinvolgendo un gran numero
di persone. Testare gli utenti significa misurare le performance delle
persone in riferimento a task da eseguire. I test aiutano a stimare
l’usabilità di un sistema interattivo in modo rapido e con dati
oggettivi. Tuttavia tali operazioni avvengono in condizioni artificiali,
come i laboratori, molto lontane dai contesti reali, dunque dall’uso
quotidiano che viene fatto di un prodotto. Alla luce di questi aspetti
100
Il processo user centred design
l’attendibilità dei dati raccolti è messa in seria discussione, per cui
sono opportune considerazioni critiche sui risultati ottenuti.
Svolgere test con gli utenti porta ad affrontare una serie di
problemi. Si devono compiere numerose sotto-attività per realizzare
una sessione di testing che risponda a tutte le esigenze informative
della progettazione:
- Stilare una serie di compiti per testare il sistema.
Bisogna capire quali sono gli aspetti problematici dei prodotti da
testare predisponendo una serie di compiti esemplificativi in grado di
fornire risposte precise. Le operazioni devono essere chiare,
arrivando subito ai principali problemi da analizzare in modo che
l’utente sia realmente interessato a svolgerle.
- Selezionare utenti rappresentativi. Si devono
coinvolgere nella valutazione le persone che fanno parte del
potenziale target di riferimento a cui il prodotto è rivolto. Gli utenti
nei test sono rappresentativi del campione, per cui si possono
manipolare fattori come sesso ed età in modo da capire come variano
le condizioni d’uso tra categorie di persone diverse.
- Preparare le condizioni dei test. L’utente deve essere
inserito in un contesto ottimale per svolgere le sue operazioni.
Bisogna fargli capire con delle sessioni di briefing quali siano i
compiti e le esigenze informative della valutazione. La meticolosità
delle operazioni è fondamentale, poiché la chiarezza dei test e delle
101
Capitolo 2
procedure da eseguire può condizionare seriamente i risultati
portando a distorsioni volontarie o involontarie delle persone.
- Pianificare la conduzione dei test. Nei test di
laboratorio un’ipotesi viene verificata stabilendo variabili dipendenti
e indipendenti e condizioni per ognuna; due variabili dipendenti
generalmente utilizzate sono il tempo per l’esecuzione di un task ed
il numero di errori commessi dagli utenti; le variabili indipendenti
rappresentano invece gli aspetti deliberatamente manipolati dagli
sperimentatori per la valutazione di alcune caratteristiche dei
prodotti. Sono verificate assegnando condizioni diverse ai gruppi di
controllo e a quelli sperimentali così da poter comparare i risultati
delle performance (ad esempio la lettura di un’icona di colore
diverso).
2.7.3 Modellizzare gli utenti
A differenza delle metodologie appena discusse modellizzare gli
utenti significa avere misure sulle performance senza alcun
coinvolgimento fisico delle persone. Utilizzare modelli predittivi è
un’operazione molto vantaggiosa, poiché non richiede spese
specifiche nel budget del progetto e nel contempo è possibile
comprendere nei dettagli ed in tempi immediati, le relazione tra
componenti percettive, cognitive e motorie nell’interazione tra
individui e sistemi, nonché i comportamenti delle persone attraverso
102
Il processo user centred design
misurazioni quantitative. Ad esempio si può individuare il tempo
standard che un utente medio deve impiegare in un sistema per
individuare il bersaglio (un’icona, un bottone) su uno schermo ed
effettuare il click del mouse.
Le tecniche sono fondamentali ai fini di una rapida valutazione
dei prodotti, anche se consentono di fare esclusivamente delle
previsioni su comportamenti standardizzati riguardo a specifici task;
perciò sono da integrare nella valutazione dei sistemi con altre
tecniche in grado di dare informazioni sugli aspetti imprevedibili che
si attivano nei contesti d’uso sensibili alle influenze sociali e
culturali.
103
104
105
Capitolo 3
Comprendere gli utenti
3.1 Il potere dell’infrastruttura tecnologica Le capacità di elaborazione e comunicazione dei dispositivi
informatici attuali hanno fatto emergere necessità di comunicazioni
semplici ed intuitive in seguito alla formazione di spazi virtuali in
cui, per mezzo dei software, si creano nuove dinamiche sociali tra le
persone. Le ricerche sull’interazione uomo-macchina in questi anni
hanno formulato molti paradigmi alternativi, alcuni dei quali si sono
dimostrati molto più usabili rispetto alle convenzioni utilizzate
attualmente nelle interfacce grafiche dei computer (metafora
desktop, finestre, agenti d’interfaccia, drag and drop, barre di
navigazione, sistemi d’aiuto, ecc.);1 molte proposte innovative, però,
hanno riscontrato difficoltà nell’implementazione con i sistemi
1 Raskin nel progetto Canon Cat evidenzia come un’interfaccia a misura d’uomo vede tutto il software come un insieme di comandi non facendo distinzione tra software operativo e software applicativo. «In questo scenario i produttori di software non venderebbero più applicazioni monolitiche, ma piuttosto un’insieme di operazioni correlate [...] la differenza è ovvia: l’utente non sarà più costretto a installare un’applicazione enorme per usarne solo una parte, ma potrebbe installare (e pagare) soltanto i gruppi di comando di cui ha effettivamente bisogno». J. Raskin Interfacce a misura d’uomo, traduzione di W. Vannini, Milano, Apogeo, 2004, p. 167.
106
Comprendere gli utenti
esistenti e più in generale nella commercializzazione. Nonostante le
svolte user-friendly degli anni Ottanta e le forti implicazione
dell’usabilità nella progettazione web, infatti, l’interesse nello
sviluppo di prodotti interattivi sembra ancora troppo rivolto alle
caratteristiche tecnologiche da implementare per il funzionamento
delle interfacce (bottoni, menù, ipertesti, finestre) che alla
comprensione e alla specificazione delle attività umane e dei contesti
d’uso in cui i sistemi si vanno a collocare.
Secondo Norman queste ed altre problematiche sono da
attribuirsi alla natura stessa dei mercati informatici, in cui l’interesse
non è tanto sviluppare soluzioni adeguate alle necessità delle persone
ma infrastrutture tecnologiche basate su standard di progettazione
codificati (proprietari) e difficilmente modificabili, in cui basta
dimostrare una qualità del prodotto accettabile.2 «La
standardizzazione dell’infrastruttura si rivela spesso l’elemento
critico per il successo di un settore industriale».3 Tuttavia, man
mano che le tecnologie si evolvono e trovano applicazioni nelle
2 Anche secondo Vannini questo problema è dato dalla stessa conformazione del mercato informatico «L’inganno della tecnologia attuale è quello di aver trasformato le applicazioni software da prodotto a percezione, poiché nella maggior parte dei casi li acquistiamo non come strumento per risolvere un problema quanto piuttosto come uno status symbol, autoreferenziale, che si giustifica a prescindere dalla sua funzione. Il solo requisito a cui i software sembrano rispondere è il dogma dell’upgrade continuo». 3 D. Norman, Il computer Invisibile, Milano, Apogeo, 2002, p. 113.
107
Capitolo 3
attività quotidiane delle persone, diffondendosi nei contesti sociali,
sono utilizzate esclusivamente come supporto alle operazioni, un
mezzo e non un fine (si pensi al telefono, al computer, al web).4
Proprio per questo motivo non ha senso condizionare delle
operazioni sostanzialmente umane, con spazi di socialità sempre più
complessi, a modelli di interazione immutabili ed affini alle logiche
formali della macchina. Le infrastrutture tecnologiche, inoltre,
costituiscono nella new economy un mercato in cui chi vince piglia
tutto,5 infatti, i costi e le difficoltà per il passaggio ad altri prodotti
possono determinare posizioni di primato.6 Castells spiega questo
fenomeno con l’espressione ‘dipendenza del percorso’. Per cui
l’adozione di una determinata infrastruttura richiede all’utente finale
un certo investimento e l'acquisto di prodotti compatibili soltanto con
quelle tecnologie (come ad esempio la piattaforma Win NT/Mac OS
o ancora Motorola/Intel). Nel mondo informatico i sistemi operativi
ed il microprocessore rappresentano le forme principali di
4 Bennato evidenzia due fasi principali nello sviluppo di una tecnologia: la fase innovativa, in cui poche persone la maneggiano e quella della diffusione in cui diventa cultura entrando a far parte delle pratiche sociali. 5 Castells spiega come nelle economie di rete le aziende che giungono per prime a sviluppare elementi di innovazione sono quelle destinate ad avere una posizione di primato sul mercato. 6 Come spiega Norman «E’ questo sembra essere il motivo scatenante per cui le organizzazioni che acquisiscono posizioni dominanti rispetto ad una determinata tecnologia, sono interessate a sviluppare delle architetture così complesse».
108
Comprendere gli utenti
infrastruttura;7 e proprio negli anni in cui si è avuta la diffusione
commerciale dei personal computer, aziende come Microsoft ed Intel
hanno relegato sempre più a nicchie specifiche di mercato i loro
rivali costringendoli ad adottare soluzioni univoche e difficilmente
modificabili. La stessa cosa sta avvenendo nei sistemi operativi di
rete tra l’infrastruttura Windows NT e quella Unix. Come continua
Norman tali considerazioni evidenziano «un’intera industria con un
modello commerciale basato sulla necessità di non soddisfare i
propri clienti»,8 attenta più che all’esperienza dell’utente alle logiche
del marketing, dell’alta finanza e dell’innovazione tecnologica ad
ogni costo.
Alla luce di questi aspetti i team di sviluppatori sono costretti9 ad
essere riluttanti nell’adottare soluzioni realmente usabili e questa è la
ragione principale per cui molte interfacce non vengono realizzate
esaminando le caratteristiche specifiche del pensiero e del
comportamento umano, ma a partire dagli elementi tecnologici da
implementare chiudendo nel cassetto gli studi che hanno osservato e
descritto i processi cognitivi che si attivano nell’interazione tra
artefatti, persone e contesti d’uso.
7 Nel mondo del microprocessore vi sono due infrastrutture principali contrapposte: quelle Motorola che gira con sistemi unix/linux e quelli Intel che adottano principalmente windows NT. 8 D. Norman, (op. cit.), 2002, p. 91. 9 Sapendo anche quanto è rilevante il costo in termini di tempi di apprendimento delle interfacce per gli utenti finali.
109
Capitolo 3
3.2 Caratteristiche psicologiche universali degli utenti
Molti errori nella progettazione dei prodotti sono legati a visioni
aziendali troppo impegnate in questioni finanziarie e di marketing, di
conseguenza poco attente ai reali bisogni degli esseri umani. La
comprensione dei modelli mentali con cui agiscono le persone nello
svolgimento di una determinata attività, tuttavia non vuole essere
uno zelo progettuale, poiché la scarsa usabilità, soprattutto negli
ambiti professionali, rappresenta un peso rilevante per le aziende
configurandosi come un vero e proprio costo. Uno studio del NIST
(National Istitute for Standard and Technology) ha pubblicato delle
ricerche sul prezzo che i difetti dei software hanno sull’economia
statunitense. La cifra è di circa sessantotto milioni di dollari l’anno di
cui almeno un terzo «imputabili direttamente alla totale mancanza di
test prima della vendita».10
Raskin spiega come una progettazione centrata sull’utente deve
assicurarsi che il sistema, nei suoi vari elementi, si accordi con le
caratteristiche psicologiche universali; tale aspetto rappresenta lo
step cruciale normalmente tralasciato dai progettisti in nome degli
standard di mercato. Risultano fondamentali allora i principi espressi
negli ambiti della psicologia cognitiva che nelle ricerche sul pensiero
10 National Institute of Standard and Tecnology, Program Office, Strategic Planning and Economic Analysis Group, ‘the economic impact of inadequate infrastructure for software testing’, Maggio 2002.
110
Comprendere gli utenti
umano ha adottato l’approccio del cervello come sistema di
elaborazione dell’informazione facendo un’opportuna scissione tra
processi legati ai dati (attenzione, memoria, percezione) da quelli
relativi alle teorie sui dati (apprendimento, capacità di linguaggio,
facoltà di pianificare e prendere decisioni). Questi suggerimenti
costituiscono il perno da cui partire per realizzare prodotti interattivi
usabili che abbiano un adeguato modello concettuale dell’utente.
Attraverso queste conoscenze, infatti, i team di sviluppo/design
capiscono in quali operazioni le persone sono brave e quelle in cui lo
sono meno. Solo così si può migliorare la progettazione di artefatti
che devono estendere le capacità umane compensandone le
debolezze.
3.3 Conscio ed inconscio cognitivo
La distinzione fatta nella psicologia cognitiva e negli studi
sull’interazione uomo-macchina tra conscio ed inconscio cognitivo
non corrisponde a qualche insieme di fenomeni fisici del cervello.
Ovvero non è detto che queste due categorie esistano in una specifica
area, tuttavia, la suddivisione è importante per comprendere gli
aspetti legati ai processi cognitivi di attenzione e di memoria e più in
generale alle diverse modalità in cui si può manifestare il
comportamento umano. Nella psicologia cognitiva la dimensione
inconscia ha perso ogni valenza mistico-filosofica diventando parte
111
Capitolo 3
consistente nel processo umano di elaborazione dell’informazione.
Nella figura 3.1 sono riassunte le differenze tra conscio cognitivo ed
inconscio cognitivo che evidenziano come gli stati consci entrano in
gioco ogni volta che le persone affrontano una situazione nuova
pericolosa o quando devono prendere decisioni non abitudinarie.
Si manifestano, quindi, soprattutto nelle attività che richiedono delle
scelte o diverse possibilità di agire. Ma quando un’azione umana
contiene delle alternative? Raskin spiega come imparare qualcosa di
nuovo è un processo che offre molte possibilità sollecitando dunque
gli stati consci delle persone. Nella ripetizione delle azioni le
alternative si assottigliano e le operazioni iniziano a diventare
automatiche entrando a far parte dell’agire inconscio. Le attività di
112
Comprendere gli utenti
routine, che rappresentano la maggior parte delle azioni quotidiane,11
avvengono invece attraverso modalità inconsce del comportamento
umano, eseguite senza un vero e proprio processo di elaborazione,
poiché le informazioni necessarie all’azione sono già memorizzate.
Per sua stessa definizione le persone non hanno la consapevolezza di
un processo cognitivo inconscio. Un’informazione per passare da
stati inconsci ove è immagazzinata a modalità consce ove re-
interpretiamo in modo consapevole ha bisogno di uno stimolo
proveniente dall’ambiente esterno o frutto dell’esperienza
dell’individuo.
3.4 Cognizione
La cognizione fa riferimento a tutto ciò che si verifica nella
mente delle persone. Più specificatamente è il sistema umano che
comprende processi come l’attenzione, la percezione, la memoria,
l’apprendimento, le facoltà di ascoltare, leggere, parlare, pianificare,
ragionare e prendere decisioni. Molti di queste competenze sono
interdipendenti uno dall'altro, anche se raramente si presentano in
maniera indipendente. Norman individua due modalità generiche di
11 Norman spiega come le attività quotidiane o di routine non hanno bisogno di molti progetti o pensieri, poichè hanno delle strutture poco profonde, che non richiedono attività di pianificazione e decisione. Per una approfonimento si veda D. Norman, La caffettiera del masochista, traduzione di G. Noferi, Firenze, Giunti, 1997, p. 139.
113
Capitolo 3
cognizione: la cognizione esperienziale e quella riflessiva.12 Come
precisa l’autore queste due categorie non vogliono rappresentare in
modo assoluto le modalità del pensiero umano, tuttavia, sono le
forme di pensiero che si manifestano più frequentemente. I saperi
della cognizione possono presentarsi singolarmente o
contemporaneamente nel corso di una specifica attività delle
persone: ad esempio si può percepire uno stimolo che attiva dei
processi tipici della cognizione esperienziale e rifletterci sopra
richiamando invece le competenze della cognizione riflessiva. Come
spiega Norman «la distinzione fra il pensiero esperienziale e quello
riflessivo merita di essere presa in considerazione, e questo almeno
in parte perchè molta della nostra tecnologia sembra costringerci
verso un’estremo o l’altro. Con gli artefatti adatti, potremmo
potenziare ciascuna modalità cognitiva».13
3.5 Cognizione esperienziale
La cognizione esperienziale comprende gli stati mentali, in cui
percepiamo e reagiamo a stimoli provenienti dall'ambiente in modo
efficiente e senza sforzi apprezzabili; «l’essenza dell’expertise sta
12 Per approfondimenti, D. Norman, Le cose che ci fanno intelligenti, traduzione di I. Blum, Milano, Feltrinelli, 1995, p. 41. 13 D. Norman, (op. cit.) , 1995, p. 39.
114
Comprendere gli utenti
nel sapere che cosa fare rapidamente ed efficaciemente»;14 Norman
definisce questa area con l’espressione ‘reattiva’ sottolinendone la
natura automatica; il pensiero esperienziale è il comportamento da
esperto, elemento chiave per lo svolgimento efficace di una
determinata attività. La cognizione esperienziale si manifesta
principalmente attraverso degli stadi inconsci del comportamento
umano attingendo direttamente alle esperienze e alle conoscenze già
immagazzinate dalle persone. Come spiega Norman «l’elaborazione
esperienziale comporta una certa attività intellettuale, ma è simile
ad un riflesso in quanto l’informazione rilevante deve già esistere
nella nostra memoria e l’esperienza non fa che riattivarla».15
3.5.1 Memoria e conoscenza
La memoria umana richiede il recupero di differenti forme di
conoscenza che consentono di agire in modo pertinente alle diverse
situazioni. Secondo Norman immagazziniamo informazioni
attraverso due tipi di conoscenza: conoscenza del ‘di’ e conoscenza
del ‘come’. La prima è definita dichiarativa e riguarda la
comprensione di fatti e regole come ad esempio fermarsi al semaforo
14 D. Norman, (op. cit.), 1995, p. 35. 15 D. Norman (op. cit.), 1995, p. 37.
115
Capitolo 3
rosso oppure rispettare le norme di un gioco.16 Può essere facilmente
messa per iscritto così come abbastanza semplice è insegnarla. La
seconda è la conoscenza procedurale in larga misura legata al
subconscio, dunque a tutti quei saperi e competenze tautologiche e
latenti delle persone che si manifestano opportunamente nelle
diverse circostanze (come ad esempio la capacità di suonare uno
strumento musicale). Questa conoscenza ha un elevato grado di
articolazione per cui è molto più difficile metterla per iscritto. Come
spiega Norman il modo migliore per tramandare questa conoscenza è
la dimostrazione, mentre l’acquisizione richiede la pratica.17
La memoria è un processo cognitivo flessibile che articola
contemporaneamente più livelli di conoscenze. Ad esempio, si può
ricordare il nome di un amico, il luogo in cui è stato incontrato
l’ultima volta, oppure, altre associazione completamente disgiunte
dal contesto in cui siamo. Naturalmente le persone non ricordano
tutto ciò che avviene nel mondo circostante, per cui il sistema
cognitivo umano utilizza un processo di filtraggio. Per spiegare
semplicemente tale meccanismo pensiamo al fatto che quanto più
attenzione viene prestata a qualcosa, tanto più saranno i dati
processati elaborati e confrontati con altra conoscenza, dunque
memorizzati. Nelle ricerche della psicologia cognitiva si usano
16 D. Norman, La caffettiera del masochista, traduzione di G. Noferi, Firenze, Giunti, 1997, p. 69. 17 D. Norman, (op. cit.), 1997, p. 69.
116
Comprendere gli utenti
distinguere due tipi principali di memoria: memoria a breve termine
e memoria a lungo termine.
3.5.2 Memoria a breve termine
È definita da Norman quella del presente. La memoria a breve
termine si interessa alla registrazione di stimoli la cui percezione si è
appena conclusa. L’informazione è conservata in modo automatico e
ritrovarla non comporta alcuno sforzo per le persone, anche se la
quantità immagazzinabile è molto limitata. Se, infatti, i dati non sono
elaborati in modo conscio entrando nel fuoco d’attenzione della
persona, l'informazione svanisce nel giro di pochi secondi, per cui
basta essere distratti da uno stimolo diverso che il materiale
contenuto scompare. La memoria a breve termine è fondamentale per
l'esecuzione di compiti quotidiani che richiedono un comportamento
rapido e da esperto (come ad esempio schiacciare una sequenza di
tasti per avere una parola scritta sullo schermo). Ciò rende ancor più
comprensibile quanto tale area della memoria sia strettamente
connessa agli aspetti subconsci del comportamento umano, svolti
senza un vero e proprio processo di elaborazione delle informazioni.
Le interfacce dei sistemi interattivi devono, nelle loro modalità di
funzionamento, diminuire il carico cognitivo della memoria a breve
termine, creando operazioni automatiche che poggiano sulle capacità
subconscie dell’utente.
117
Capitolo 3
3.5.3 Memoria a lungo termine
La memoria a lungo termine è quella del passato. Come spiega
Norman ci vuole del tempo per conservare informazioni così come
un grande sforzo cognitivo per tirarle fuori. Sono immagazzinate
esperienze secondo una registrazione soggettiva degli eventi,
influenzate dalle distorsioni che i meccanismi del pensiero umano
sovrappongono alla realtà delle cose. Attingere dalla memoria a
lungo termine richiede un comportamento conscio delle persone in
cui l’attenzione è canalizzata su un singolo oggetto o evento.
Nell’interazione con le interfacce, la memoria a lungo termine deve
essere sollecitata esclusivamente dalle attività delle persone, quindi
dai compiti per cui è utilizzato il prodotto. Accade invece che le
modalità d’interazione per le logiche stesse con cui funzionano,
richiedono ad ogni stato l’attenzione dell’operatore umano
distraendolo inevitabilmente dai suoi reali obiettivi. Un esempio
specifico è l’insistere ad utilizzare menù adattivi, interfacce
personalizzabili (con comandi che scompaiono o compaiono secondo
l’uso). Tali modalità dovrebbero far interagire le persone con
dispositivi capaci di abituarsi alle differenti esigenze d’uso. Tuttavia
far scomparire comandi presenti qualche attimo prima
nell’interfaccia vuol dire distrarre gli utenti dalle loro reali attività
non permettendogli di consolidare le sue abitudini d’uso.
118
Comprendere gli utenti
3.5.4 Attenzione selettiva
Le implicazioni di questo processo cognitivo sono fondamentali
per sviluppare modalità rispettose delle caratteristiche degli esseri
umani e dei contesti d’uso in cui sistemi si vanno a collocare. Le
interfacce, infatti, possono facilitare le cose o renderle più difficili.
L’attenzione selettiva fa concentrare le persone in un determinato
arco di tempo su un oggetto o evento. Focalizza l’informazione
rilevante per l’azione che si sta svolgendo. La caratteristica
principale del processo d’attenzione è che né esiste soltanto uno in
un dato momento. Questa unicità, da un punto di vista biologico, è
stata rilevante per l'evoluzione dell'uomo, poiché in situazioni
rischiose l’attenzione fa essere vigili rispetto all'ambiente circostante
pronti ad una eventuale azione; in situazioni confortevoli o poco
pericolose fa concentrare le persone su unico aspetto canalizzandosi
su un oggetto/evento. Tali semplici considerazioni sono molto
importanti per la progettazione dei sistemi software: prima di tutto
perchè in tali artefatti si devono delineare quali attività richiedono
una concentrazione esclusiva sul compito, in modo da escluderne
ogni altro e quali invece si svolgeranno in uno stato più vigile quasi
di compresenza, favorendo l’esecuzione di più compiti
contemporaneamente. Inoltre nel corso dell’interazione tra sistemi ed
utenti bisogna fare in modo che non si sviluppino attenzioni
indesiderate che distraggono l’utente conducendolo ad operazioni
119
Capitolo 3
sbagliate o poco affini ai suoi obiettivi. Se il sistema è ben progettato
e favorisce un apprendimento rapido ed univoco, l’attenzione potrà
essere riservata esclusivamente sulle attività da svolgere per mezzo
del dispositivo; nel caso contrario invece le persone sono distratte da
ciò che gli interessa per un funzionamento che complica i compiti
più che semplificarli.
Il processo di attenzione selettiva è condizionato nell’interazione
con un’interfaccia da almeno due elementi: la presentazione
dell'informazione nell'ambiente e gli obiettivi degli utenti. Il modo in
cui sono esposte le informazioni condiziona il grado di difficoltà che
si incontra nel prestare attenzione a singoli eventi/oggetti. Così come
gli obiettivi degli utenti sono più chiari a formarsi, quando non vi
sono eventi inaspettati che distolgono l’attenzione portandola altrove
(ad esempio menu personalizzabili, o messaggi di errore, animazioni
inutili, ecc.). Se, infatti, le persone sanno esattamente cosa cercare e
il sistema rende l’apprendimento facile devono solo confrontare le
conoscenze già disponibili e memorizzate per eseguire le proprie
attività. Questo è il senso della progettazione centrata sull’utente che,
come precisa Raskin, deve tendere alla realizzazione di modalità
d’interazione in cui l'utente sia così assorbito da ciò che sta facendo
da non accorgersi che il sistema comunica con lui.18
18 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 34.
120
Comprendere gli utenti
3.5.5 Automatismi ed abitudini
Qualsiasi sequenza ripetuta nel tempo dagli esseri umani, diventa
acquisita ed automatica ed è grazie a queste capacità cognitive che le
persone possono svolgere più attività contemporaneamente. Quando
sono compiute più azioni simultaneamente una sola di queste è
considerata ‘non automatica’ ed è quella che occupa il fuoco
d’attenzione dell’individuo. Se bisogna svolgere due operazioni e
nessuna di queste è automatica, (ad esempio scannerizzare le
immagini e scrivere il testo della mia tesi) si assiste al fenomeno che
gli psicologi chiamano interferenza: ovvero l’efficienza nel fare le
due operazioni insieme è minore di quella che si ha se le stesse
venissero svolte una per volta. Per mezzo degli automatismi umani,
le azioni che formano la sequenza di un compito diventano, man
mano che vengono ripetute, un blocco unico costituendo una singola
azione che viene eseguita per intero attraverso degli stati di
comportamento inconsci.
Questi aspetti hanno delle conseguenze importanti nelle scelte
della progettazione, poiché bisogna evitare nel corso dell’interazione
l'assunzione o l’assuefazione ad automatismi sbagliati.19 Come
19 Come spiega Raskin nelle attuali interfacce la selezione e la scrittura sono formulati in modoa tale da poter dare adito a problemi «come per esempio quando ciò che si scrive rimpiazza il contenuto della selezione: quante volte ciò che scriviamo va a sostituirsi a qualcosa che non avevamo affatto intenzione di cancellare?». J. Raskin (op. cit.), 2004, p. 127.
121
Capitolo 3
spiega Raskin il dovere del progettista è di impedire la formazione di
cattive abitudini che causino problemi alle persone. I sistemi centrati
sull'utente producono in questo senso una assuefazione benigna.
«Molti dei problemi che rendono un prodotto scomodo e difficile da
usare hanno origine da interfacce che non fanno distinzione tra gli
aspetti positivi e aspetti potenzialmente dannosi nello sviluppo di
abitudini nel comportamento umano».20 Prendendo in considerazione
le caratteristiche degli esseri umani a sviluppare comportamenti
automatici e abitudinari molte delle modalità d’interazione dei
prodotti interattivi odierni si rivelano carenti e poco sensibili a questi
aspetti (vedi 4.2.2).
3.5.6 Percezione visiva
La percezione si riferisce al sistema cognitivo che permette di
acquisire le informazioni dall'ambiente esterno attraverso i differenti
organi di senso. È un processo complesso che ne coinvolge
necessariamente altri come la memoria, l'attenzione e il linguaggio.
La vista è il senso dominante seguita dall'udito e dal tatto. In questa
sezione sono approfondite maggiormente le caratteristiche della
percezione visiva. Secondo l’approccio costruttivista la vista è un
processo che può essere definito attivo ovvero quando si osservano
delle cose non se ne ha una replica esatta, piuttosto una 20 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 22.
122
Comprendere gli utenti
rappresentazione costruita dal sistema di percezione visiva che fa
riferimento a conoscenze immagazzinate nel corso dell’esperienza
dell’individuo. Da un punto di vista biologico sono tre gli elementi
che concorrono alla costruzione di un'immagine: uno dedicato alla
forma, uno al colore e l'ultimo al movimento. Le ricerche dei
meccanismi organizzatori della forma sono state inaugurate dal
movimento della psicologia sperimentale della Gestalt che ha
individuato sei principi:21
- Legge della somiglianza. Fra elementi diversi di forma,
la percezione visiva raccoglie in gruppi gli elementi che sono tra loro
simili (figura 3.2);
- Legge della vicinanza. Le forme di un insieme
percettivo vengono raccolte come unità conformi alla minima
distanza, a parità di altre condizioni (figura 3.3);
21 Per approfondimenti, http://gestalttheory.net/it/.
123
Capitolo 3
I criteri di queste due leggi sono ben comprensibili se analizziamo
l’organizzazione dell’informazione sullo spazio dello schermo
(figura 3.4).
124
Comprendere gli utenti
Nell’immagine a destra i dati sono organizzati in grappoli (cluster),
in quella a sinistra vi è una lettura in riga che risulta più ordinata. Ne
deriva che trovare l’informazione con una schematizzazione a cluster
richiede più tempo rispetto ad una visualizzazione ordinata.
- Legge della chiusura. Le linee delimitate da una
superficie chiusa si percepiscono come unità più facilmente di quelle
che non si chiudono (figura 3.5);
- Legge della curva buona. Le parti di una figura che
formano una curva buona o che vanno nella stessa direzione si
costituiscono in insieme più facilmente delle altre (figura 3.6);
125
Capitolo 3
- Legge della buona forma. Il campo percettivo si
segmenta in modo tale che ad ogni immagine risultino entità quanto
più possibili equilibrate ed armoniche costituite da un'unica forma in
tutte le sue parti (figura 3.7);
- Legge dell'esperienza. L'esperienza e quindi le
informazioni immagazzinate nella memoria delle persone
126
Comprendere gli utenti
condizionano la percezione visiva modellando la forma e la
profondità degli oggetti (figura 3.8).
Oltre gli aspetti legati alla forma, le immagini sono riprodotte
dalla nostra percezione visiva attraverso il colore ed il movimento. Il
colore non è una caratteristica degli oggetti osservati, ma il
complesso risultato dell'effetto che la luce ha sull’apparato percettivo
delle persone. La percezione dei colori dipende da tre dimensioni:
tonalità, chiarezza e saturazione.
- Tonalità. Riguarda il nome dato ai colori ed è data dalla
lunghezza d'onda della luce;
- Chiarezza. Fa riferimento all'intensità del colore;
- Saturazione. È la purezza del colore, riconducibile alla
predominanza di una sola lunghezza d'onda nello stimolo percepito.
127
Capitolo 3
Il colore, quindi così come la forma, è un aspetto fondamentale
nella presentazione delle informazioni e dunque nel layout di
un’interfaccia. Accade invece di notare proprio in questi strumenti
una prolificazione esagerata di colori e forme, tendenze che recano
soltanto disturbo nell’interazione. Per questo motivo le ricerche si
sono concentrate nell’individuazione di soluzioni cromatiche ottimali
nel regolare, ad esempio, i contrasti tra lo sfondo degli schermi video
ed i campi di testo. Dalla combinazione tra teorie sulla percezione
dei colori e dati sperimentali sono state sviluppate una serie di linee
guida per l'accostamento dei colori nel layout delle interfacce:
- evitare l'uso contemporaneo di colori saturi agli estremi
dello spettro (ex: rosso-blu, giallo-viola), a causa della difficoltà che
il sistema di percezione visiva a mettere a fuoco
contemporaneamente questi due colori;
- qualora si desiderasse utilizzare il blu, il colore dovrebbe
essere utilizzato come colore per lo sfondo piuttosto che per le
scritte, e comunque da evitare nei messaggi importanti;
- non usare mai rosso e verde vicini, poiché l’occhio ha
difficoltà nel percepirli contemporaneamente e questa situazione è
ancor più problematica per quei soggetti con deficit nella percezione
dei colori;
- preferire il giallo colore comunemente riconoscibile
anche dai soggetti daltonici;
128
Comprendere gli utenti
- usare pochi colori contemporaneamente
- associare i colori ai vari significati in modo consistente
- usare lo stesso colore per raggruppare oggetti simili
- utilizzare colori saturi e brillanti22
I colori possono essere usati in un’interfaccia anche come
indicatori semantici, per cui è fondamentale sottolineare la
distinzione tra colori caldi e colori freddi. I colori caldi sono quelli
dell'arco giallo-rosso ed evocano atteggiamenti come azione ed
urgenza, dunque da accostare alle modalità specifiche del
funzionamento, come ad esempio un messaggio di errore. I colori
freddi appartengono alla gamma verde-viola e richiamano ad un
senso di lontananza e razionalità; per questo motivo sono più
appropriati a supportare le attività dell’utente permettendone una
maggiore concentrazione.
L’ultimo elemento utilizzato dalla percezione visiva per
ricostruire le immagini è il movimento. Questa componente è molto
limitata nell’apparato percettivo umano ed è comunque condizionata
dai precedenti elementi analizzati (forma e colore). Quando si guarda
un’animazione grafica sul web, l’oggetto stimola differenti gruppi di
ricettori che sollecitano la superficie dell’occhio. Tali stimolazioni
non implicano nell’apparato visivo alcun movimento, poiché
22 R. Polillo, Il design dell’interazione, in Giovanni Anceschi (a cura di), Il progetto delle interfacce, Milano, Domus Academy, 1993.
129
Capitolo 3
l’animazione è rappresentata attraverso fibre nervose eccitate
diversamente per ogni frazione di tempo. Il movimento è dunque il
risultato della consequenzialità delle singole stimolazioni che ci
danno l'impressione generale che l'oggetto si muova. Arhneim in
proposito osserva che «pur se il movimento viene percepito dal
nostro sistema di percezione è comunque determinato dalla struttura
del contesto spaziale e temporale. La stessa cosa è valida per le
proprietà più specifiche del movimento, come la direzione e la
velocità».23 Le interfacce dei prodotti off-line e on-line sembrano
andare in tutt’altra direzione non considerando questi aspetti basilari
degli esseri umani; sono sempre più di moda oggetti animati, agenti
d’interfaccia, comandi animati, strumenti che alla luce di questi
presupposti possono rendere più emozionale l’interazione con le
persone, tuttavia né aumentano in modo ingiustificato la fruizione e
aggravano le problematiche di usabilità dei sistemi.
3.6 Cognizione riflessiva
La cognizione riflessiva raccoglie l’insieme dei processi
cognitivi attraverso i quali gli esseri umani prendono decisioni,
elaborando nuove idee o re-interpretando un evento. Come spiega
Norman le modalità riflessive della cognizione producono senso
23 R. Arnheim, Arte e percezione visiva, Milano, Feltrinelli, 1962, p. 67.
130
Comprendere gli utenti
attraverso il confronto ed il contrasto tra il pensiero ed il processo
decisionale. Perciò hanno un grado di astrazione maggiore rispetto ai
fenomeni della cognizione esperienziale (rapidi ed automatici),
poiché richiedono di immagazzinare informazioni di confrontarle
con quelle già possedute e di seguire associazioni di ragionamento
secondo l’una e l’altra direzione. Sono basate, dunque su un processo
d’elaborazione dell’informazione complesso, lento e laborioso che
articola contemporaneamente forme di conoscenza diverse.
3.6.1 Processi di apprendimento
I processi di apprendimento umano avvengono mediante la
comprensione e la memorizzazione di informazioni circa un
determinato oggetto o evento. Si tratta di un fenomeno che si protrae
nel tempo, per cui la sua durata è in gran parte determinata dalla
complessità dell’oggetto/evento da apprendere. Secondo Norman vi
sono almeno tre differenti modalità di apprendimento le quali si
distinguono proprio in base alla loro durata:24
- Accrescimento. E’ il processo attraverso il quale le
persone accumulano dati. Se si ha a disposizione una cornice
concettuale abbastanza appropriata, l’apprendimento sarà facile e
raggiungerà lo scopo senza particolari sforzi cognitivi. È il caso, ad
24 D. Norman, (op. cit.), 1995, pp. 40-43.
131
Capitolo 3
esempio, della conoscenza di nuovi vocaboli di una lingua. In caso
contrario il processo risulterà lento, difficile e sarà necessario
ripeterlo più volte usando strategie mnemoniche e tecniche che
riducano il carico cognitivo, come ad esempio, l’utilizzo di
annotazioni.
- Messa a punto. Richiede per sua stessa natura un
processo lento che segna il passaggio da una prestazione tipica del
principiante a quella fluida e competente dell’esperto. Questo tipo di
apprendimento si ottiene con l’applicazione delle conoscenze
immagazzinate da ogni persona al mondo reale. Ad esempio le
capacità di linguaggio di un individuo sono un tipico processo di
messa a punto, poiché si imparano in un arco di tempo ampio che
richiede una pratica costante. Questa è, infatti, l’unica condizione
che consente di passare da una competenza tipica di un principiante
(i bambini) ad una propria da esperto (gli adulti).
- Ristrutturazione. La cosa più difficile in una fase di
apprendimento è la formazione di una adeguata struttura concettuale.
Se l’accrescimento e la messa a fuoco fanno riferimento a forme più
vicine alle competenze tipiche della cognizione esperenziale, la
ristrutturazione è un processo che fa parte dei saperi della cognizione
riflessiva. Attraverso tali modalità le persone acquisiscono nuove
capacità concettuali, per cui la durata del processo non può che
essere lenta e graduale.
132
Comprendere gli utenti
Lo sviluppo delle tecnologie informatiche e le possibilità di
connessioni in rete hanno permesso di semplificare buona parte di
questi processi umani grazie all'utilizzo di nuove forme di fruizione.
A differenza dei media audiovisivi, i new media infatti hanno
caratteristiche interattive mai sperimentate fino ad ora, riuscendo ad
instaurare flussi di comunicazione one to one facilitando, almeno
potenzialmente, qualsiasi fase di apprendimento. Favoriscono modi
alternativi di rappresentare la conoscenza, per cui le persone sono in
grado di interagire con le informazioni stesse. Si sviluppano così
modalità informali di insegnamento (come l’e-learning, le
simulazioni virtuali) combinate in attività ludiche e di
intrattenimento lontane dai tradizionali metodi di apprendimento
scolastico. Come sottolinea Norman la distinzione tra queste due
forme è molto rilevante (figura 3.9).
Nella società attuale incentrata sulla conoscenza ed il know-how
con processi di formazione continua ad ogni livello produttivo si
capisce il ruolo strategico che le tecnologie digitali assolvono,
dunque l’importanza che le modalità d’interazione rivestono nel
favorire qualsiasi attività di apprendimento degli esseri umani.
133
Capitolo 3
3.6.2 Capacità di linguaggio: parlare, leggere, scrivere
Dipendono in larga misura dalle facoltà individuali e dalle
diverse esperienze accumulate nel corso degli anni e dalle differenti
caratteristiche fisiche che contraddistinguono ogni persona. I prodotti
interattivi come precisa Raskin pur sfruttando capacità multimediali
mai sperimentate fanno abbondante uso di campi di testo che
rappresentano un elemento costante (dagli ipertesti ai menù a
tendina, dai motori di ricerca alla denominazione dei file di lavoro,
ecc.). Anche nei videogames e nelle tecnologie di realtà virtuale, in
134
Comprendere gli utenti
cui l’interfaccia grafica rappresenta lo spettro delle attività possibili,
sono presenti schermate in cui si richiede l'inserimento di testo o
l’acquisizione di informazioni attraverso la lettura di un testo.
Ciò significa che le interfacce anche avendo un aspetto grafico
sempre più marcato sono ancora incentrate sul potere del testo e
quindi sulle relative capacità cognitive dell’utente di leggere, parlare
ed ascoltare. Le differenze specifiche tra le tre modalità sono legate
indissolubilmente alla distinzione tra cultura orale (ascoltare) e
cultura scritta (leggere e scrivere) articolando questioni, sotto diversi
aspetti importanti nella realizzazione di sistemi interattivi:
- il linguaggio scritto è permanente mentre l'ascolto è
transitorio. Se le informazioni non vengono comprese la prima volta
è possibile rileggerle, cosa impossibile nella comunicazione orale
ove l'informazione viene persa una volta emessa; queste sono le
ragioni per cui vengono implementate documentazione, sistemi di
aiuto, manuali, ecc.
- leggere può richiedere meno tempo che ascoltare o
parlare. Il testo scritto, infatti, può essere visionato rapidamente, cosa
impossibile se ascoltiamo le istruzioni di una voce narrante (come
un’agente di interfaccia);
- l'ascolto richiede uno sforzo cognitivo minore rispetto
alla lettura; non è un caso che i bambini preferiscano ascoltare delle
storie piuttosto che leggere il testo;
135
Capitolo 3
- il linguaggio scritto è di norma grammaticalmente
corretto mentre quello non verbale è spesso sgrammaticato; per cui
nel realizzare un sistemi di aiuto si deve adottare un linguaggio
sintatticamente rigoroso e semanticamente chiaro.
Esistono, comunque, profonde differenze anche riguardo alle
preferenze linguistiche di ciascun individuo. Se alcune persone
preferiscono leggere altre sono più votate all’ascolto e viceversa.
L’interazione tra sistemi interattivi ed utenti deve favorire le forme
linguistiche opportune alle attività da svolgere ed in più compensare
le debolezze che in taluni aspetti riguardano singoli individui. Da
questo punto di vista sono state sviluppate numerose applicazioni che
hanno capitalizzato le abilità di lettura, di ascolto e di scrittura
dell’uomo costituendone un supporto in alcune circostanze. Tra
questi citiamo:
- i libri interattivi e i sistemi che aiutano le persone a
leggere;
- i sistemi di riconoscimento vocale che permettono di
impartire istruzioni attraverso comandi vocali;
- sistemi basati sul linguaggio naturale che consentono
agli utenti di fare domande e che forniscono risposte scritte come i
motori di ricerca;
- i sistemi di aiuto alla cognizione pensati per le persone
che hanno difficoltà con la lettura la scrittura o la conversazione.
136
Comprendere gli utenti
3.6.3 Pianificazione e processi decisionali
Questi processi cognitivi includono il pensare cosa fare, la scelta
tra opzioni possibili e la considerazione (attraverso le informazioni
immagazzinate) a priori di quali conseguenze comporterà lo
svolgimento di una data azione. Come è facile capire tali
competenze richiedono uno stadio conscio dei comportamenti in cui
si fanno considerazioni sui vantaggi e sugli svantaggi di ogni singola
alternativa. La pianificazione avviene attraverso il confronto tra
diverse fonti di informazione, quindi è determinata dalla misura in
cui le persone sono coinvolti nell’attività e dalle esperienze acquisite
in merito. Generalmente gli individui pianificano le loro azioni per
tentativi ed errori cercando di sperimentare differenti modi di agire.
In una nuova attività il processo di pianificazione è inizialmente
lento, procurando errori o mostrandosi insufficiente. Quando invece
viene acquisita una maggiore conoscenza ed esperienza dell’oggetto
in questione, le persone sono capaci di scegliere ottime strategie per
raggiungere i propri fini.
Nella progettazione di interfacce gli sviluppatori spesso
interpretano tali capacità della cognizione umana come la possibilità
di fornire scelte alternative nei comandi, in modo che le persone
siano in grado di pianificare meglio le proprie azioni secondo il loro
grado di esperienza. Un esempio classico sono i menu grafici ed i
comandi da tastiera nei sistemi desktop. Nelle intenzioni questi
137
Capitolo 3
diversi metodi di input dovrebbero segnalare il passaggio da un
atteggiamento tipico del principiante inesperto (che utilizza il mouse
e punta, seleziona e clicca dei comandi nel menù) che ha poca
capacità decisionale, ad uno rapido, produttivo tipico dell’esperto
(che fa uso di tastiera e schiaccia una combinazione di tasti).
Tuttavia far pensare ad ogni utente (esperto o principiante) quale
comando scegliere per raggiungere il proprio obiettivo vuol dire
distrarlo dalle attività per cui utilizza il dispositivo.25 La presenza di
opzioni molteplici, infatti, sposta la concentrazione delle persone dal
compito che bisogna svolgere alla scelta del metodo più appropriato.
Il risultato è la realizzazione di quelle che Raskin definisce
“interfacce modali” che distolgono continuamente l’attenzione dai
contenuti (il compito) per la comprensione dello strumento (i
metodi). Gli artefatti non modali invece non costringono a pensare
sul funzionamento, poiché lo stesso è univoco; i comandi sono
esclusivi, per cui le persone sanno facilmente cosa raggiungere e
come. Questo è l’unico modo, come spiega Raskin, per sfuggire
durante la progettazione alla dicotomia ancora dominante tra le
capacità degli utenti principianti e quelle degli utenti esperti.26
25 Come spiega Raskin si assiste così ad una tendenza progettuale che piuttosto che essere centrata sull’utente occasionale si basa esclusivamente sulle performance e le competenze degli utenti esperti. 26 Per approfondimenti, J. Raskin, (op. cit.), 2003, p. 77.
138
Comprendere gli utenti
3.7 Approcci concettuali alla cognizione nell’interaction design
Nel corso di questi anni gli studi sull’interazione uomo-macchina
hanno visto una continua ed incessante attività di ricerca che ha
portato all’elaborazione di diverse teorie e framework concettuali. In
questa parte analizzeremo solo gli approcci maturati o adottati negli
ambiti dell’interaction design che hanno consentito una più coerente
integrazione tra i principi della cognizione umana e la progettazione
empirica dei prodotti. Consideriamo quattro approcci:
- modelli mentali
- information processing
- cognizione esterna
- cognizione distribuita
3.7.1 Modelli mentali
I modelli mentali sono delle costruzioni interne (mentali) che
ogni individuo forma circa alcuni aspetti del mondo esterno.
Nell’utilizzo d’oggetti quotidiani le persone fanno continuamente
riferimento al loro modello mentale dell’oggetto e non sorprende che
alcuni siano scorretti, poiché la conoscenza umana si evolve
attraverso fasi di errori e tentativi. Il modello mentale influenza il
comportamento dell’individuo stabilendo le priorità nelle azioni da
eseguire. Come spiega Norman, negli artefatti cognitivi la mancanza
139
Capitolo 3
di modelli appropriati è ciò che rende le persone molto frustrate
portandole ad atteggiamenti strambi (psicopatologie).27
La funzione principale del modello mentale è guidare l’utente
nello sviluppo di inferenze esatte su come funziona l’oggetto. Le
competenze sono più rapide a formarsi se le interfacce permettono
un apprendimento rapido; quanto più si apprende il funzionamento di
un aspetto, infatti, tanto più l’utente riesce a sviluppare un modello
mentale adeguato del sistema. È quindi l’attività progettuale che
previene o determina atteggiamenti sbagliati in grado di rendere
l’interazione facile o complessa. Come si aiutano le persone a
sviluppare un buon modello mentale? Il metodo migliore è di
educarle meglio alle attività attraverso diverse fonti d’informazioni
come ad esempio manuali, documentazioni, aiuti in linea, ecc.
Tuttavia queste considerazioni sono state in parte smentite da
alcuni studiosi che hanno dimostrato come le forme tradizionali di
conoscenza legate, per esempio, ad un manuale scritto rappresentano
nei prodotti interattivi una forzatura per l’utente, molto spesso
ignorata per interagire direttamente con l’interfaccia. La proposta
alternativa più valida rimane, dunque, quella di progettare strumenti
più trasparenti, più facili da comprendere e che non arrechino nelle
loro modalità di funzionamento frustrazioni alle persone.
27 D. Norman, (op. cit.), 1997, p. 29.
140
Comprendere gli utenti
3.7.2 Information processing
Una delle chiavi di lettura della psicologia cognitiva è l'idea che
il cervello umano al pari di un computer, sia un processore di
elaborazione delle informazioni. La metafora ipotizza che
l'informazione entra ed esce dalla mente seguendo dei differenti stadi
di elaborazione (figura 3.10). Il modello ‘human information
processing’ offre agli sviluppatori la possibilità di fare predizioni
sulle prestazioni cognitive degli utenti attraverso delle misure di
performance.
141
Capitolo 3
I team di sviluppo/design comprendono così quali processi
cognitivi sono coinvolti in un determinato compito, calcolando il
tempo necessario per portare a termine ogni attività. L’approccio si
basa, dunque sulla modellizzazione delle operazioni mentali e
consente di fare ipotesi sulle performance delle persone.
L'elaborazione umana dell’informazione viene concettualizzata come
una serie di stadi in cui i processi percettivi, cognitivi e motori sono
organizzati in relazione l'uno all'altro.
Il modello è totalmente improntato allo studio della cognizione
umana attraverso i suoi processi interni (vedi 1.2.2) individuando le
relazioni che intercorrono tra ognuno di essi; quindi non considera
nel suo quadro teorico gli andamenti in cui la cognizione si espande
nel mondo fisico mediante l’utilizzo di rappresentazioni esterne
come libri, documenti o un computer. Perciò il modello
dell’information processing necessita di un’integrazione con altri
approcci che siano capaci di delineare le operazioni in cui la
cognizione umana si espande verso l’esterno. Le tendenze
epistemologiche attuali, infatti, sono sempre più concentrate sulle
capacità cognitive delle persone, non solo attraverso l’analisi dei loro
modelli mentali interni, ma anche con la comprensione e
l’osservazione delle procedure eseguite negli ambienti reali d’uso
(vedi 5.1).
142
Comprendere gli utenti
3.7.3 Cognizione esterna
L'approccio alla cognizione esterna descrive i processi che si
espandono dal cervello al mondo reale attraverso l’utilizzo di
supporti fisici. Le persone utilizzano numerosi strumenti
nell’esecuzione delle loro attività (ad esempio libri, quotidiani,
pagine Web, mappe, diagrammi, note, disegni, ecc). Molti di questi
oggetti sono stati creati proprio per aiutare la cognizione umana ad
elaborare e memorizzare dati ed informazioni. L’obiettivo principale
del modello alla cognizione esterna è di individuare in primo luogo, i
processi cognitivi coinvolti in ogni attività umana e
l’interdipendenza fra essi (attenzione, memoria, facoltà di
pianificazione, ecc.); in secondo luogo chiarire le strategie adottate
dagli individui per ridurre il proprio carico cognitivo con
rappresentazioni diverse (penne, carta, computer, ecc.) in riferimento
a differenti tipi di attività (scrittura a mano, dattiloscritta, ecc.);
Secondo Preece, Rogers e Sharp possono essere distinte diverse
strategie utilizzate dalle persone per ridurre il proprio carico
cognitivo:28
- Esternalizzare. Si cerca di trasformare la conoscenza
interna in rappresentazioni esterne in modo tale da ridurre il carico di
memoria. Un esempio è la tendenza da parte degli esseri umani ad
28 J. Preece, Y. Rogers e H. Sharp, Interaction design, traduzione di Baccigalupo-Fiorani, Milano, Apogeo, 2004, p. 168.
143
Capitolo 3
utilizzare diari o calendari. Tali strumenti facilitano i processi di
memoria ed attenzione degli individui mediante supporti esterni alla
cognizione, semplificando il ricordo delle operazioni da eseguire in
un determinato momento.
- Diminuire il carico computazionale. La strategia si
manifesta, quando sono adoperati supporti diversi per eseguire una
stessa attività. Ad esempio l’utilizzo contemporaneo di una
calcolatrice, un foglio e una penna per eseguire dei calcoli
matematici è una strategia tipica per diminuire il carico
computazionale dei processi cognitivi.
- Annotare e tracciare. Un ulteriore modo attraverso il
quale le persone esternano parte delle proprie conoscenze è
modificando le rappresentazioni esterne in modo da evidenziare i
cambiamenti che interessano. Questa strategia si presenta in due
distinte modalità:
1. annotazione cognitiva. Richiede una modifica delle
rappresentazioni esterne come ad esempio la
sottolineatura di una scritta;
2. tracciamento cognitivo. Implica la manipolazione
esterna di elementi diversi per ordine e struttura. Ad
esempio in un gioco di carte le persone esprimono le
proprie capacità cognitive su elementi come colori e
144
Comprendere gli utenti
valore delle figure che implicano una serie di azioni da
eseguire mentre la partita avanza.
3.7.4 Cognizione distribuita
L’approccio che integra sia le conoscenze derivanti dal human
information processing sia i principi della cognizione esterna è la
prospettiva della cognizione distribuita. Mentre i precedenti modelli
si rivelano insoddisfacenti nel considerare i processi che si attivano
tra le persone nei contesti d’uso, l'artefatto e le rappresentazioni
esterne, la cognizione distribuita descrive invece cosa succede in un
sistema cognitivo che non viene localizzato nella testa di un singolo
individuo, ma rappresenta la totalità delle interazioni che avvengono
in un ambiente delineando scambi e processi tra persone, artefatti e
contesti per lo svolgimento di una data operazione. Queste
informazioni sono fondamentali nello sviluppo di ambienti di lavoro
condivisi (come una cabina di pilotaggio di un aereo) e in tutti quei
prodotti di supporto alla collaborazione umana (vedi 4.1.4) in cui
sono da stabilire sia le priorità nelle operazioni tra le persone sia
quanto le responsabilità nell’esecuzione sono lasciate al sistema e
quanto riservate agli utenti. Secondo Preece, Rogers e Sharp
145
Capitolo 3
utilizzare l’approccio della cognizione distribuita comporta in
particolar modo l’analisi dei seguenti aspetti:29
- spazio del problema legato all’attività in questione
- ruolo dei comportamenti verbali e non verbali
- meccanismi che vengono utilizzati per il coordinamento
- configurazioni comunicative che emergono man mano
che l’attività viene eseguita
- modalità in cui la conoscenza del contesto è condivisa
Attraverso il modello della cognizione distribuita sono
identificati meglio tutti i problemi, gli intoppi e i relativi processi di
risoluzione che emergono nelle attività in considerazione dei contesti
sociali d’uso. Ciò fa comprendere in che modo le procedure
potrebbero essere migliorate o riformulate e le conseguenze che i
cambiamenti comporterebbero nelle pratiche operative correnti.
Questi aspetti sono fondamentali soprattutto nella formalizzazione
dei modelli concettuali dei sistemi.
3.8 Emozioni e sistema affettivo
Le capacità computazionali odierne hanno consentito nuove
possibilità di interazione, in cui diventa rilevante proporre strumenti
in grado di convogliare emozioni. L’interaction design fa attenzione
29 J. Preece, Y. Rogers e H. Sharp, (op. cit.), 2004, p. 111.
146
Comprendere gli utenti
a questi aspetti considerando nella formulazione dei prodotti quali
caratteristiche del sistema affettivo influenzano il modo di sentire, di
comportarsi e di pensare delle persone. Come dimostrano alcuni
studi30 i processi emozionali modificano le modalità operative del
sistema cognitivo; ciò significa che le emozioni cambiano il modo in
cui la mente umana risolve i propri problemi. Se i processi cognitivi
interpretano il mondo attribuendogli significati, il sistema affettivo di
cui fa parte l’emozione determina un giudizio sul mondo attraverso
dei valori. Qualsiasi struttura elaborata dal cervello umano possiede,
quindi, una componente cognitiva (dati) ed una componente affettiva
(teorie sui dati).
3.8.1 Livelli dell’emozione
Secondo Norman, Ortony e Rewelle le emozioni si formano in
seguito all’elaborazione di tre diversi livelli (figura 3.11):
- Livello viscerale. In questa parte avvengono dei
processi biologici che hanno un carattere automatico e precablato
nelle persone (percezione);
30 Per approfondimenti, D. Norman, S. Darper, User centred system design: new perspetives in HCI, Hillsdale NJ, Lawrence Erlbaum Associates, 1986.
147
Capitolo 3
- Livello comportamentale. È la zona che controlla,
dandone valore, la maggior parte delle azione umane dunque le
attività abitudinarie eseguite dalle persone (esperienza);
- Livello riflessivo. Si tratta della dimensione
contemplativa del cervello, in cui avvengono tutte le operazioni che
richiedono un’attività di pianificazione (pensiero).
I tre livelli sono continuamente in conflitto tra loro, interagendo
e «modulandosi reciprocamente».31 I processi dal livello più basso a
quello più alto sono quelli guidati dalla percezione, viceversa quelli
diretti dall’alto verso il basso sono attivati dal pensiero. Le emozioni
hanno un ruolo determinante nella vita delle persone, poiché
stabiliscono se una situazione è buona o cattiva, tranquilla o
pericolosa ovvero aiutano attivamente il loro processo decisionale.
31 D. Norman, (op. cit.), 2004, p. 50.
148
Comprendere gli utenti
Modificano, comunque, il comportamento in un arco di tempo
molto breve, poiché sensibili agli eventi immediati a differenza di
quanto avviene per gli stati d’animo, i tratti caratteriali e la
personalità di una persona, che hanno una durata ampia e prolungata
nel corso del tempo. Le emozioni durano poco e suscitano stati
positivi o negativi.
Nella realizzazione di artefatti cognitivi come spiega Norman,
entrambe le categorie risultano fondamentali; le emozioni positive lo
sono per l’apprendimento e più in generale per la curiosità rispetto ad
un determinato oggetto. Alcune ricerche mostrano come un affezione
positiva espande i processi intellettivi e facilita il pensiero creativo.
149
Capitolo 3
In uno stato d’affezione negativo tali fenomeni si contraggono e le
persone si concentrano esclusivamente sugli aspetti direttamente
connessi ad un problema. Queste propensioni non consentono di
valutare nuovi modi per risolvere la stessa attività. Tuttavia, queste
propensioni si rivelano utile in situazioni di pericolo consentendo di
canalizzare l’attenzione su un’unica questione. Un buon processo di
design deve individuare allora, a partire da un’adeguata
comprensione dell’uso a cui è destinato il prodotto e dei contesti in
cui verrà utilizzato, quali aspetti del sistema affettivo enfatizzare.
Un’affezione negativa sarà adeguata in circostanze in cui i compiti
da svolgere sono abitudinari e non richiedono un particolare processo
creativo per le persone. Viceversa in attività che richiedono di
prendere decisioni, in cui è fortemente richiesto un pensiero creativo
sembra più appropriato suscitare emozioni positive, in grado di
espandere maggiormente i processi intellettivi della cognizione.
3.8.2 Design ed emozioni
Come precisa Norman «i tre livelli di elaborazione dell’affezione
portano alle tre forme di design corrispondente [...]. Ciascuno gioca
un ruolo critico nel comportamento umano e svolge un ruolo
150
Comprendere gli utenti
parimenti critico nel design, nel marketing e nell’uso del
prodotto».32
Il design viscerale è quello del mondo fisico. Riguarda le
reazioni iniziali e lo si studia agevolmente «mettendo le persone di
fronte ad un oggetto osservandone le reazioni».33 Gli aspetti viscerali
del design di un prodotto sono legati ad elementi fisici come
l’aspetto, la forma, la struttura dei materiali, il peso. Riguardano,
quindi, le impressioni iniziali e si basano sull'impatto immediato ed
istintivo tra un artefatto ed una persona. Il livello viscerale segna
l’inizio del processo di affezione ed è in questo momento che le
persone emettono giudizi rapidi su ciò che piace e ciò che non piace.
È evidente come tali opinioni, visto il carattere rapido ed automatico
con cui vengono emesse, sono correlate ai comportamenti subconsci
che avvengono senza un processo di elaborazione, proprio perchè le
informazioni sono già memorizzate nell’apparato percettivo umano.
Il design comportamentale è seriamente influenzato dall’utilizzo
dell’oggetto e dalla piacevolezza ed efficacia che lo stesso ha nello
svolgimento di una determinata operazione. «Non è la logica a
contare, ma la prestazione. Questo è l’aspetto del design su cui si
concentrano coloro che operano nel campo dell’usabilità».34 Le
caratteristiche distintive del design comportamentale sono
32 D. Norman, (op. cit.), 1999, p. 58. 33 D. Norman, (op. cit.), 1999, p. 66. 34 D. Norman, (op. cit.), 1999, p. 60.
151
Capitolo 3
rappresentate da aspetti come la funzione, la comprensibilità,
l'usabilità è la sensazione fisica. Nel sistema affettivo umano il
livello comportamentale dell’emozione è il luogo ove risiedono gran
parte delle informazioni e dei giudizi delle persone circa le azioni da
compiere quotidianamente. Anche qui, come nel livello viscerale, le
opinioni si vengono a formare in modo automatico e subconscio
senza un processo vero e proprio di elaborazione dell’informazione.
Il livello comportamentale si basa sul piacere, sulla prestazione e
dunque sull’efficacia d’utilizzo. Tali valori sono influenzati da fattori
individuali come le esperienze, l’addestramento e l’educazione
accumulate dalle persone nel corso della vita.
Il design riflessivo è legato al messaggio, alla cultura e al senso
di un artefatto. Da un lato ha a che fare con il significato degli
oggetti dall’altro concerne l'immagine che abbiamo di noi stessi.
Molto spesso sono gli effetti del design riflessivo a determinare
l'impressione generale di un prodotto. Il concetto stesso di bellezza
deriva dal design riflessivo. «La bellezza guarda al di sotto della
superficie [...] deriva dalla riflessione e dall’esperienza cosciente. È
influenzata dalla conoscenza, dall’apprendimento e dalla cultura».35
Ciò è comprensibile se si pensa che i livelli viscerali e
comportamentali hanno a che fare con l’adesso, il presente; la
dimensione riflessiva riguarda invece l'esperienza a lungo termine.
35 D. Norman, (op. cit.), 1999, p. 86.
152
Comprendere gli utenti
Nel livello riflessivo le persone riflettono sul loro agire attraverso un
comportamento cosciente che favorisce l’apprendimento. Come
spiega Norman in questo livello del design risiede il successo
commerciale del prodotto, poiché è la bellezza di un oggetto che
seduce molto spesso le persone.
153
154
155
Capitolo 4
Progettare l’interazione
4.1 Premessa
Abbiamo compreso come progettare un sistema interattivo a
partire dal suo aspetto fisico (interfaccia) può portare a trascurare gli
obiettivi principali del processo di interaction design. Per realizzare
strumenti a misura d’utente è necessario, infatti, accordarsi fin
dall’inizio con le caratteristiche psicologiche universali degli esseri
umani. Tali esigenze si concretizzano con la formulazione dei
modelli concettuali dei prodotti che descrivono, attraverso una
rappresentazione schematica, l’uso dell’artefatto e l’insieme di
procedure possibili nello svolgimento di una determinata attività.
Addentriamoci dunque fino al cuore della progettazione concettuale
applicando le conoscenze sulle capacità cognitive degli esseri umani
al processo di sviluppo dei prodotti. In ultima analisi consideriamo
quali sono le principali modalità utilizzate nelle interfacce per
eseguire le diverse funzionalità dei sistemi.
156
Progettare l’interazione
4.2 L’interfaccia è il prodotto
Il concetto di interfaccia può far pensare esclusivamente ad un
mondo racchiuso in uno schermo (GUI),1 in realtà le persone
interagiscono con numerose di esse senza considerarle tali. Per cui, il
termine fa riferimento a qualunque strumento in grado di far
interagire un artefatto con una persona. Raskin in proposito afferma:
«interfaccia è il modo in cui si fa qualcosa con uno strumento: le
azioni che dobbiamo eseguire e il modo in cui lo strumento
risponde».2 Norman, nel libro La caffettiera del masochista,
evidenzia come molti degli oggetti utilizzati quotidianamente in
un’attività presentano interfacce inefficaci a dare indicazioni
sull’uso. Queste difficoltà sono determinate dalle scelte errate della
progettazione dei prodotti, in cui non sono state considerate le
caratteristiche specifiche degli individui, dunque i pregi e i limiti del
sistema cognitivo umano. Le persone poi non riescono a distinguere
facilmente i propri limiti da quelli dell’artefatto che utilizzano, anzi
accade che molti incolpino se stessi e non la macchina, la quale per
definizione viene implicitamente considerata come un oggetto
perfetto. Queste situazioni provocano frustrazioni negli esseri umani
e atteggiamenti di panico e di timore nello svolgere ogni azione.
1 Graphical User Interface: è stato il termine utilizzato per descrivere le prime interfacce grafiche dei computer. 2 Raskin J., Interfacce a misura d’uomo, traduzione di W. Vannini, Milano, Apogeo, 2004, p. 2.
157
Capitolo 4
Nei prodotti interattivi invece le interfacce devono favorire un
rapido processo d’apprendimento ed incoraggiare l’utente
nell’esplorazione del sistema. Nonostante ciò i dispositivi attuali
sono sempre più complessi da utilizzare e la tendenza viene
giustificata spesso con l’aumento delle funzionalità nei software;
questa però sembra essere una motivazione discutibile ed aleatoria.
Come spiega Raskin: «non importa quanto sia complesso un
apparecchio nel suo insieme, complicare un'operazione semplice è
qualcosa che non ammette scuse».3 Ci vorrebbe, quindi una profonda
inversione di tendenza per realizzare modalità di comunicazione
centrate sull’utente, tuttavia i progettisti dovrebbero abbandonare
paradigmi d’interazione ormai familiari per gli utenti e già appresi, in
favore di altri modelli più usabili che sono sconosciuti. Le tendenze
nei mercati evidenziano come viene preferita senza dubbio la
familiarità delle strutture alla scelta migliore per le persone. Il
maggior ostacolo all’evoluzione dell’usabilità nei software rimane la
sudditanza agli aspetti tecnologici. Gli stessi strumenti utilizzati per
progettare le interfacce (Visual Basic, C++, Java, ecc.) ratificano le
caratteristiche delle infrastrutture esistenti, limitando la libertà di
scelta di programmatori e designer. Ciò comporta che ogni sistema
per poter essere compreso dall'utente deve implementare funzionalità
multiple (strumenti di aiuto, FAQ, agenti, ecc.) che articolano
3 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 77.
158
Progettare l’interazione
l’interazione e lo stesso funzionamento dell’artefatto. Il modo
appropriato per realizzare un’interfaccia, suggerisce Raskin, è di
capire esattamente ciò che l’utente deve fare per raggiungere il suo
scopo e in che modo il sistema deve rispondere a ciascuna sua
azione. Se un prodotto interattivo fa ciò che gli si chiede alle persone
interesserà molto poco cosa c'è dentro o in quale modo è stato
realizzato, poiché per gli utenti l’interfaccia è il prodotto.
4.2.1 Interfacce modali
Raskin evidenzia quanto nelle interfacce le modalità siano una
notevole fonte di errore e confusione. Gli errori modali avvengono
per mancanza di familiarità con i comandi, quindi per inesperienza
delle persone o quando l'uso del sistema ha sviluppato dei
comportamenti automatici sbagliati. Un'interfaccia può essere
modale rispetto ad una determinata azione così come non modale per
un’altra. Per comprendere meglio a cosa si riferisca il concetto di
modalità bisogna definire che cosa sia un atto. Un atto fa riferimento
ad una sequenza di azioni che una volta iniziata viene completata in
modo automatico da un individuo. «Dato un qualsiasi atto diciamo
che l'interfaccia si trova in modalità specifica se l'interpretazione di
questo atto è costante».4
4 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 42.
159
Capitolo 4
Gli errori modali avvengono, quando «lo stato attuale
dell'interfaccia non è il fuoco dell'attenzione dell'utente e
l'interfaccia risponderà all'atto in uno fra più modi possibili a
seconda dello stato attuale del sistema».5 Le opzioni specifiche di un
applicativo nei computer desktop sono un classico esempio di
modalità. Una stessa combinazione di tasti (scorciatoie da tastiera)
può essere usata per avere dei risultati diversi a seconda dello stadio
dell’interfaccia (quindi del programma in esecuzione). Ciò non
consente che ad ogni atto delle persone corrisponda un unico e
costante comportamento del sistema. Anche le personalizzazioni
delegate all'utente o le interfacce adattive rappresentano un classico
esempio di modalità con il vantaggio che queste sono temporanee.
Comunque, non sembra una strategia efficace veder scomparire dei
comandi dai menù o ritrovarsi ad interagire con interfacce diverse a
seconda delle situazioni, poiché ogni minimo cambiamento vanifica
le abitudini d’uso delle persone. Raskin sottolinea come
«personalizzare un menù di un interfaccia richiede agli utenti un
ulteriore compito del tutto estraneo al loro lavoro. Il tempo speso a
imparare e usare le preferenze è tempo quasi sempre sottratto a ciò
che si deve fare».6 Se si pensa poi agli ambienti di lavoro condiviso
(come una rete intranet) permettere ad ogni utente di modificare
5 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 47. 6 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 64.
160
Progettare l’interazione
un’interfaccia secondo le proprie preferenze, vuol dire non riuscire a
coordinare le attività di collaborazione tra le persone.
Concepire l'interazione in questo modo porta inoltre ad una
stagnazione di modelli esistenti, in cui è necessario suddividere le
interfacce in parti limitate (finestre) riducendo lo stesso ambito
d’azione delle persone. L'atto “g” causa l'azione “a” nella modalità
“A” e l'azione “b” nella modalità “B”; se si è nella modalità “A” e si
vuole compiere l'azione “b”, bisogna come prima cosa riportare
l'interfaccia nella modalità “B” e solo dopo sarà possibile eseguire
l'atto “g” per provocare l’azione “b”.7 Secondo Raskin, i sistemi a
misura d’uomo devono essere costruiti di un unico ambito di azioni;8
ognuno è formato dall'insieme di stati in cui la stessa sequenza di 7 Ad esempio l’editor di testo usato (Microsoft Word) per scrivere questo testo richiede per scegliere uno stile di elenco puntato di aprire dal menù “formato” il comando “elenco puntati e numerati”. Dopo di che appare una finestra per selezionare la categoria di elenco. Se abbiamo cambiato idea, vogliamo aprire un altro documento o crearne uno nuovo, l’interfaccia non risponde più ai comandi, poiché bisogna prima barrare il tasto “OK” nella finestra apparsa per selezionare l’elenco, e solo dopo l’interfaccia consentirà di effettuare ogni altra operazione. 8 J. Raskin, uno degli ideatori del progetto Macintosh ha lanciato nel 1987 il Canon Cat, un computer in cui attraverso comandi cinestetici e modalità d’interazione testuali vengono aboliti alcuni standard di progettazione ancora ricorrenti nei computer desktop. Nelle architetture di sistema l’idea di Raskin è di abbandonare il funzionamento basato su un filesystem gerarchico che condiziona le modalità d’interazione con le persone richiedendone continuamente l’attenzione attiva. Senza la distinzione tra applicazioni e sistema operativo, ad esempio, le persone possono interagire in un unico ambiente di lavoro, in cui svolgere tutte le operazioni senza doversi muovere in finestre diverse dell’interfaccia.
161
Capitolo 4
azioni ha una uguale interpretazione. Ad esempio la pressione del
tasto comando e della lettera “v” in molti applicativi permette di
copiare gli oggetti. L’operazione ha un’uguale efficacia in diversi
stati dell'interfaccia, (poiché lo stesso atto è eseguito in modo uguale)
per cui si configura come l'ambito di un determinato atto. I
programmi che utilizzano la stessa combinazione per un’operazione
diversa creeranno inevitabilmente un nuovo ambito, dunque
un’ulteriore modalità, poiché l'interpretazione non è più costante
nell’interfaccia. Nei sistemi non modali, invece, ciascun atto
dell'utente porta ad un risultato unico: questa è la caratteristica
essenziale per fare abituare le persone non dovendo più pensare o
pianificare prima di agire sul funzionamento del sistema. Norman
indica tre soluzioni per ridurre al minimo gli errori modali:9
- progettare interfacce senza modalità
- assicurarsi che ogni modalità sia segnalata in modo
specifico (fornire feedback)
- assicurarsi che i comandi usati in ciascuna modalità
siano diversi
Tuttavia nella progettazione di interfacce si pensa ancora in
termini di «compromessi fra facilità di apprendimento e rapidità di
9 D. Norman, Design rules based on analyses of human error, Comunication of ACM, 1983, p. 255.
162
Progettare l’interazione
esecuzione».10 Tale assunto ha come conseguenza diretta quella di
formulare più modi per eseguire la stessa operazione secondo
dicotomie che ritengono gli utenti bisognosi di interfacce differenti a
seconda del loro grado di esperienza. Agli esperti sono dati strumenti
per pianificare meglio le proprie azioni (modalità top-down); mentre
gli utenti inesperti necessitano di modelli d’interazione che
semplificano l’esecuzione dei compiti (modalità bottom-up); tuttavia
seguendo questa distinzione le interfacce implementano modalità
inutili e diverse funzioni per compiere uno stesso atto.
Queste sembrano essere le maggiori difficoltà rispetto alle
questioni di usabilità, poiché nessun utente sia esso principiante o
esperto è esente da errori modali. Come continua Raskin oltre a non
includere modalità inutili le interfacce dovrebbero tendere alla
monotonicità: «un'interfaccia monotona è quella in cui un dato
risultato può essere ottenuto in un solo modo».11 Questo non
significa che ci sia un’unica soluzione per arrivare a un dato
contenuto ma piuttosto che: «ciascun comando deve essere
invocabile mediante un unico atto [...]. Un interfaccia
completamente non-modale e monotona ha una corrispondenza 1:1
10 S. Card, T. Moran e A. Newell, The psycology of Human Computer Interaction, Lawrence Erlbaum Associates, Hillsdale NJ, 1997, pp. 29-31. 11 I sistemi desktop sono la giustapposizione di almeno due modalità differenti: una basata sulla manipolazione di elementi grafici che utilizza il mouse(drag and drop); l’altra sui comandi presenti nella tastiera. J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 74.
163
Capitolo 4
fra cause (comandi) ed effetti (operazioni)».12 Solo così l'utente può
sviluppare un grado di fiducia nelle sue abitudini d'uso, per cui
l'interfaccia scompare dalla propria percezione permettendogli di
concentrare ogni energia su ciò che gli interessa.
4.2.2 Progettare per l’errore
Abbiamo visto a proposito degli obiettivi di usabilità, come uno
dei principali standard nella progettazione di interfacce stabilisca di
creare modalità d’interazione in grado di annullare le operazioni
messe in atto dagli utenti. Progettare per l’errore significa fare in
modo che nessuna azione dell’utente abbia un carattere irreversibile
e definitivo. Quando, infatti, non si riesce a porre rimedio a tutti i
bug del sistema dare all’utente almeno la possibilità di annullare le
azioni può essere una soluzione che riesce a limitare i danni.13
Questo è il motivo per cui le interfacce grafiche per svolgere ogni
operazione necessitano di continue conferme. L'idea è che la
richiesta riesca ad attrarre l’attenzione delle persone in
un’operazione potenzialmente pericolosa facendole passare da un
12 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 75. 13 Nel Canon Cat viene introdotto un apposito tasto sulla tastiera in grado di annullare le operazioni chiamato “Redo-Undo”. Come precisa Raskin «gli operatori di annullo e ripetizione sono fondamentali e sufficientemente importanti da meritare un tasto apposito sulla tastiera». Per approfondimenti, J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 120.
164
Progettare l’interazione
comportamento inconscio ed automatico ad uno stato conscio e
vigile.
Tuttavia la tendenza degli uomini a formare comportamenti
automatici o abitudini è inevitabile, per cui qualsiasi sequenza di
azioni ripetuta diventa automatica. Perciò anche le operazioni che
richiedono di confermare una scelta, diventano se riproposte sempre
nello stesso modo parte di una sequenza automatica. L’abitudine
umana in questo caso vanifica la richiesta di conferma che risulta
solo una complicazione (quindi un’operazione in più) nel corso
dell’interazione. Raskin segnala un metodo più efficace per ovviare a
questi problemi: permettere agli utenti di annullare un comando
sbagliato anche se, nel frattempo, si sono effettuate altre operazioni;
oppure «si può almeno cercare di assicurare che la conferma data
dall’utente non sia automatica».14 Questi meccanismi, infatti, hanno
efficacia solo quando non si presentano mai nello stesso modo
attivando, dunque dei comportamenti consci delle persone che non
possono scaturire, con il passar del tempo, in una risposta prevedibile
ed automatica.15
14 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 24 15 Come spiega Raskin, un messaggio di conferma potrebbe richiedere prima di eseguire l'azione, ad esempio, di individuare la lettera di una determinata parola oppure di risolvere un semplice calcolo matematico. Si devono, cioè, attivare realmente degli stati consci delle persone in una operazione di conferma.
165
Capitolo 4
Un’altra considerazione importante è da fare sui messaggi
d’errore. I sistemi computazionali forniscono in questi avvisi codici
numerici e stringhe di comando alla maggior parte delle persone
sconosciute. Anche on-line ove l’usabilità è ormai una parola
d’ordine appaiono nei collegamenti ipertestuali mancanti o nei
problemi di comunicazione con i server avvisi inquietanti e
fondamentalmente inutili a capire quali siano le difficoltà. Se un
messaggio non fa a comprendere i problemi tecnici non c’è alcun
bisogno di mostrarlo. Nella pratica accade totalmente il contrario.
Sfogliando la rete web si giunge a pagine con messaggi d’errore in
cui non vi sono neanche collegamenti per tornare indietro facendo
perdere la direzione del percorso. La maggior parte delle persone
avrà come istinto schiacciare il tasto indietro, tuttavia utenti più
inesperti chiuderanno il browser e ricominceranno la ricerca. Nello
stesso modo nelle interfacce WIMP i messaggi d’errore, pur non
dando alcuna informazione rilevante per l’utente ne impediscono
qualsiasi attività, poiché viene visualizzato un modulo in cui bisogna
schiacciare il tasto di conferma.16 Anche in questo caso l’interazione
è penalizzata da intermediazioni inutili che complicano le stesse
attività delle persone non risolvendone i problemi.
16 In proposito Raskin sottolinea come nelle interfacce i messaggi d’errore dovrebbero essere progettati in modo tale che la selezione sia translucida. J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 131.
166
Progettare l’interazione
4.2.3 Progettare per la conversazione
I sistemi interattivi sviluppano, come già ampliamente
sottolineato, nuove forme di socialità mai riscontrate in altri
strumenti. Posta elettronica, videoconferenze, videotelefonini, chat
room in rete, messaggistica mobile sono tutti esempi di applicazioni
che permettono nuove modalità di interazione sociale tra le persone.
Queste tecnologie sono da considerarsi come parte di un'unica
categoria, cioè strumenti che permettono la comunicazione mediata
dai computer (CMC). Proponiamo una distinzione in base al tipo di
comunicazione supportata; si parla, infatti, di modalità sincrone,
asincrone e di tecnologie CMC in combinazione con altre attività.
Ognuna di queste forme articola in modo diverso le capacità delle
persone e le dinamiche stesse con cui sono eseguite le attività.
- Comunicazione sincronica. Racchiude l’insieme di
tecnologie digitali che consentono di conversare in tempo reale
utilizzando la voce o messaggi di testo. I MUD così come le chat
room e i forum hanno sviluppato meccanismi di conversazione, in
cui è possibile prendere parola e simultaneamente tener traccia delle
conversazioni che avvengono tra altri parlanti.
- Comunicazione asincrona. Comprende le applicazioni
come la posta elettronica, i gruppi di discussione e le conferenze via
computer, in cui l'interazione avviene tra tanti partecipanti dislocati
in posti spazio-temporali diversi. Non si basa su dinamiche
167
Capitolo 4
immediate di domande e risposta, poiché la comunicazione tra le
persone avviene quando vi è interesse dei partecipanti.
- Tecnologie CMC combinate con altre attività. I
sistemi ambientali in grado di costituire un supporto alle attività di
incontro e ai processi decisionali di gruppo. Le stanze intelligenti, le
aule connesse in rete, le tecnologie integrate negli ambienti, i sistemi
di supporto al lavoro rappresentano strumenti utili a supportare le
discussione attraverso varie forme di comunicazione che consentono
contemporaneamente la partecipazione ad attività differenti.
4.2.4 Progettare per la collaborazione
Accanto a queste tecnologie ormai quotidiane né emergono altre,
come gli ambienti virtuali cooperativi (CVE),17 che rappresentano
dei supporti ai processi di formazione continua grazie a modalità di
connessione on-line (e-learning) e a sistemi di simulazione (realtà
virtuale). Nella realizzazione di sistemi ambientali interattivi è
17 In questi ambienti la comunicazione tra le persone avviene attraverso rappresentazioni grafiche dei partecipanti; l'interazione è regolata dall’associazione tra un avatar e delle caselle di testo attraverso i quali è possibile parlare con altri utenti e muoversi in uno spazio tridimensionale. Queste tecnologie si ispirano ad applicazioni storiche come i MUD (Multi User Dungeon/Dimension/Domain) una categoria di giochi di ruolo eseguiti su Internet da più utenti. Per anni queste applicazioni hanno utilizzato modalità completamente testuali attraverso varie forme di messaggistica per poi adottare soluzioni grafiche fino ad integrare le tecniche di realtà virtuale.
168
Progettare l’interazione
fondamentale utilizzare dei meccanismi adeguati a favorire il
coordinamento tra le persone. Le principali caratteristiche umane
nelle attività collaborative richiedono di coordinarsi uno con l’altro
utilizzano una serie di convenzioni:
- le comunicazioni verbali e non verbali
- gli orari, i programmi di lavoro, le regole, le convenzioni
- la condivisione di rappresentazioni esterne
A queste caratteristiche sono da aggiungere elementi tecnologici
rilevanti in grado di far agire un gruppo di persone verso un unico
obiettivo comune stabilendo vincoli e peculiarità dei sistemi
informatici da utilizzare come supporto alla collaborazione. Una
questione importante è stabilire convenzioni adeguate per ogni utente
in grado sia di soddisfare le esigenze lavorative delle persone negli
spazi condivisi che di gestire documenti e cartelle di lavoro con
regole definite. Molti di questi aspetti si concretizzano nell’impostare
una serie di priorità d’accesso ai file condivisi. Tali meccanismi
consentono ad utenti diversi di non lavorare simultaneamente sullo
stesso documento generando così dei conflitti all’interno del sistema.
Le procedure necessarie alla gestione del coordinamento
possono risultare però rigide ed intrusive se i controlli sulle attività
vengono svolti dai sistemi in modo troppo centralizzato; in questo
caso ci sarà una scarsa propensione all’utilizzo da parte delle
persone, poiché tali strumenti non ne aumenteranno la produttività.
169
Capitolo 4
Nel caso contrario adottando soluzioni più flessibili si potrebbero
verificare problemi di scambi e una generale difficoltà nella gestione
dei flussi di comunicazione. Il giusto equilibrio nell'utilizzo di questi
principi è da ricercare, come sempre, nella comprensione delle
attività che gli utenti devono effettuare in modo da fornire tutte le
funzionalità necessarie al raggiungimento dei loro scopi.
4.3 Sviluppare il modello concettuale del prodotto
Dopo aver raccolto una quantità di dati sufficienti, il passo
successivo della progettazione consiste nel formulare il modello
concettuale del prodotto, con cui si intende una descrizione sul
comportamento e sui modi in cui deve presentarsi il sistema per
essere comprensibile agli utenti. Permette di fare una distinzione tra
il funzionamento vero e proprio dell’artefatto, dunque, lo scopo per
cui è stato realizzato e per cui sarà usato e lo stile dell’interazione da
adottare nell’interfaccia.18 Così le decisioni che approfondiscono i
dettagli dello stile sono direttamente influenzate dal modello
concettuale che rappresenta un supporto ad ogni scelta, ponendosi ad
un livello di astrazione più elevato. Come ricordato (vedi 1.5)
18 Secondo Preece, Rogers e Sharp ci sono diversi tipi di stili d’interazione: 1) Command; 2) Speech; 3) Data-entry; 4) Form fill-in; 5) Query; 6) Graphical; 7) Web; 8) Pen; 9) Augmented reality; 10) Gesture and even. Per approfondimenti, http://www.id-book.com/slides_index.htm.
170
Progettare l’interazione
l’usabilità distingue tre modelli nella progettazione di un prodotto: il
modello concettuale dell'utente (ovvero l'idea che l'utente si fà
dell’oggetto e del suo funzionamento), il modello concettuale del
prodotto (ovvero l’artefatto come sarà nella realtà, dunque, come
funzionerà) e il modello concettuale del progettista (ovvero le idee
possedute da questi a riguardo del funzionamento del sistema, che
trasferisce nel prodotto stesso). Nei processi di interaction design gli
ultimi due dipendono necessariamente dal modello dell’utente. Tale
know-how si ottiene solo con analisi di mercato sul target di
riferimento e di usabilità sui task dei sistemi. Preece, Rogers e Sharp
propongono tre metodi alternativi per sviluppare il modello
concettuale di un prodotto interattivo:
- a partire dalle attività dell’interazione
- impiegando metafore
- utilizzando un paradigma d’interazione
4.4 Modelli basati su attività dell’interazione
I modelli concettuali formulati considerando le attività
dell’interazione adattano il funzionamento del sistema alle
operazioni eseguite dalle persone nell’uso del dispositivo. Come
sottolineano Preece, Rogers e Sharp le principali attività svolte dalle
persone con un artefatto interattivo sono:
- fornire istruzioni
171
Capitolo 4
- conversare
- manipolare e navigare
- esplorare e sfogliare
Data la valenza generica ognuna si può presentare in diversi
compiti dell’artefatto manifestandosi in modo combinato per
regolarne il funzionamento. Le attività hanno delle proprietà
specifiche che articolano in maniera differente lo stile
dell’interazione, dunque le logiche stesse delle operazioni umane.
Polillo in proposito fa una distinzione tra:
- scegli e compila (fornire istruzioni)
- parla e ascolta (conversare)
- non dirlo fallo (manipolazione) entra e agisci
(navigazione)
- point and click (sfogliare ed esplorare)
4.4.1 Fornire istruzioni
Questo modello concettuale intende il funzionamento del sistema
come una successione di comandi che l’utente fornisce istruendolo il
sistema su ciò che deve fare. Molti prodotti (videoregistratori,
sistemi hi-fi, macchina da scrivere, computer) sono stati progettati
secondo questa attività generica (premere dei bottoni, inserire dei
parametri, scegliere dai menù, ecc.). È alla base del funzionamento
dei primi sistemi operativi UNIX (figura 4.1) e DOS, così come dei
172
Progettare l’interazione
primi linguaggi di programmazione di alto livello; la scelta di
un’opzione in un menù a tendina vuol dire fornire istruzioni al
sistema. Anche i moderni palmari che utilizzano pennini ottici si
basano principalmente su tale modello concettuale.19 Il beneficio è di
supportare l’interazione in modo rapido e veloce rispettando gli
obiettivi delle persone che hanno una posizione di comando sul
funzionamento generale del sistema.
19 Polillo in proposito parla del paradigma d’interazione del pen computing. Per approfondimenti, R. Polillo, Il design dell’interazione, in Giovanni Anceschi (a cura di), Il progetto delle interfacce, Milano, Domus Academy, 1993.
173
Capitolo 4
Sono da utilizzare in tutte quelle procedure in cui le persone
assumono facilmente dei comportamenti da esperto, sviluppando
delle abitudini d’uso consolidate che non richiedono particolari
forme d’aiuto.
4.4.2 Conversare
Considera l’interazione come un processo comunicativo a due
vie in cui non ci si limita a fornire delle istruzioni, ma a dialogare
con il sistema. Grazie alle capacità multimediali odierne e alle
possibilità di connessioni a database in rete sono stati sviluppati
strumenti come i motori di ricerca, i sistemi d'aiuto per fornire
consulenza su argomenti specifici o ancora gli agenti animati20
personaggi antropomorfi in grado di conversare con l'utente.21 Le
possibilità di interagire con interfacce completamente vocali nel web,
così come nei computer, hanno esteso l’accessibilità di molti prodotti
interattivi (figura 4.2). 20 Bob è stato il primo agente d’interfaccia sviluppato dalla Microsoft; dopo questo progetto ne sono susseguiti altri come la graffetta Clippy incorporata a partire dal sistema operativo Windows 98. 21 Uno degli aspetti principali quando si progettano agenti d’interfaccia è come renderli credibili. Una caratteristica fondamentale è di far combaciare la personalità e lo stato d’animo del personaggio con le sue azioni. Come precisano Lester e Stone per credibilità si intende «la misura in cui gli utenti, interagendo con un agente sono portati a credere che abbia opinioni, desideri e personalità proprie» J. Lester e B. Stone, Increasing beliavability in animated pedagocical agent, in Proceedingsof Autonomous Agent, 1997, 16-21.
174
Progettare l’interazione
Concepire il funzionamento secondo questo modello concettuale
ha il vantaggio di permettere anche agli utenti meno esperti di
interagire in modo familiare non apprendendo alcuna procedura
preliminare. Tuttavia se il controllo sulle attività viene esercitato in
modo troppo centralizzato dal sistema, le persone sentendosi prive di
responsabilità precise perderanno capacità di scelta e di decisione.
Inoltre questo funzionamento pone diversi dubbi sulle capacità dei
sistemi computazionali di emulare le capacità di linguaggio, di
associazioni e di pensiero creativo degli esseri umani (vedi 4.6.7).22
22 Come spiega Zimolong «gli esperti umani applicano principi generali per spiegare un risultato. I sistemi esperti invece si limitano a ripetere parte
175
Capitolo 4
4.4.3 Manipolare e navigare
La manipolazione di oggetti fisici e la navigazione di spazi sono
attività fondamentali degli esseri umani. Le evoluzioni attuali hanno
consentito di trasportare tali operazioni nei computer attraverso
meccanismi d’interazione che utilizzano oggetti grafici per la
presentazione delle informazioni o che consentono l’esplorazione di
luoghi virtuali. Il modello concettuale, dunque supporta tutte queste
attività. La manipolazione diretta (drag and drop)23 è la modalità di
funzionamento principale delle interfacce WIMP, introdotta già a
partire dal progetto Macintosh. È possibile svolgere tre operazioni
principali sull’oggetto virtuale eliminando nella comunicazione fra
uomo e la macchina l’intermediazione del linguaggio scritto:24
della loro sequenza di concatenazione in avanti o all’indietro, costituita da condizioni del tipo – se allora -per proseguire fino al passaggio successivo. Essi non contengono principi di base che potrebbero essere utilizzati come spiegazione». Per approfondimenti, B. Zimolong, S.Y. Nof, R.E. Elberts e G. Salvendly, On the limits of expert system and engineering models in process control in Behaviour and Information Technology, 1987, p. 15. 23 Il Drag & Drop è una funzione molto utile nei sistemi desktop che permette di spostare direttamente attraverso operazioni come puntamento e trascinamento, file di testo, immagini, cartelle, ecc. È stata introdotta da Ben Schneidermann. 24 Polillo parla in proposito della manipolazione diretta di oggetti grafici nei computer, come l’avvento del paradigma d’interazione ‘non dirlo fallo’ che prende il posto del paradigma ‘scegli e compila’ delle interfacce basate unicamente sulla compilazione testuale di maschere dello schermo. R. Polillo, (op. cit.), 1993.
176
Progettare l’interazione
- trascinarlo
- selezionarlo
- aprirlo
Concepire l’interazione secondo questo modello concettuale può
aiutare gli utenti inesperti a svolgere facilmente le proprie attività
manipolando semplicemente elementi grafici. Tuttavia, tali
meccanismi all’aumentare dell’esperienza delle persone nascondono
il reale funzionamento del sistema vincolando le scelte dell’utente.
La navigazione degli spazi virtuali25 (figura 4.3) o della rete web
ha consentito attività impossibili da compiere nel mondo reale, come
teletrasportarsi da un luogo virtuale ad un altro oppure consultare
contemporaneamente l’archivio di dieci biblioteche diverse. Il
principale vantaggio in tali modalità è di consentire facilmente anche
agli utenti meno esperti di capire senza sforzi cognitivi eccessivi
enfatizzando modalità di apprendimento di tipo learning by doing
(imparando facendo). Tuttavia alcuni utenti possono interpretare alla
25 Polillo riferendosi ai sistemi di realtà virtuale parla dell’avvento del paradigma d’interazione ‘entra e agisci’. «Anche se le applicazioni della realtà artificiale per ora sono limitate, le prospettive sono suggestive: dalla telepresenza (la possibilità di muoversi in un ambiente remoto, vedendo ciò che vede una telecamera montata su un robot remoto), alla telemanipolazione (ad esempio, il controllo del braccio di un robot remoto), fino a nuovi prodotti di entertainment (computer games, cinema interattivo)». R. Polillo, (op. cit.), 1993.
177
Capitolo 4
lettera le convenzioni utilizzate aspettandosi che alcuni eventi
accadano nello stesso modo in cui avvengono nel mondo reale.26
4.4.4 Esplorare e sfogliare
Il modello concettuale è basato sulle attività già ampliamente
radicate nelle persone attraverso i media tradizionali come libri,
riviste, tv, radio, libri, saggi. Molti prodotti interattivi imitano
semplicemente, nelle loro modalità di funzionamento, le strategie di
tali strumenti. Anche i siti o i portali web sono media, in cui è
26 L’espulsione del CD nei computer Apple richiede di trascinare l’icona sul cestino. Tale modalità non è intuitiva e non viene appresa facilmente.
178
Progettare l’interazione
possibile leggere una serie di informazioni o sfogliare delle pagine
(figura 4.4).27
Oltre a queste operazioni, però, negli ambienti di rete si forniscono
anche istruzioni (come effettuare un log-in) al sistema o ancora si
conversa (i motori di ricerca).28 Le interfacce grafiche del web si
distinguono da quelle dei prodotti off-line perché non ci sono
27 La navigazione in un ipertesto è consentita da una serie di elementi come testo attivo, immagini attive, bottoni e tabs (linguette). 28 Nello stesso modo l’interfaccia di un browser, pur essendo rivolta ad attività di esplorazione e navigazione di ipertesti, deve implementare campi di testo in cui le persone devono fornire istruzioni al programma (url).
179
Capitolo 4
possibilità di presentazione univoche dell’informazione;29 in questi
ambiti, inoltre, cade l’operazione principale del drag and drop cioè il
trascinamento, e si delinea «un nuovo paradigma di manipolazione
diretta, in cui la interazione verso il computer è molto semplificata,
riducendosi alla semplice pressione di bottoni puntati dal mouse».30
Si riscontra la successione di due sole operazioni principali per
l’utente: 31
- selezionare un bottone
- cliccarci sopra
29 Si tratta dello standard WYSIWYG (What You See Is What You Get) utilizzato già dal Macintosh per far corrispondere lo spazio dello schermo al foglio della stampa. Vengono sviluppati i caratteri True Tipe dalla Apple e il programma Adobe TypeManager. Con il tempo il significato dell'acronimo si è esteso per analogia anche ad alcune problematiche nella creazione di pagine web. Il linguaggio HTML presenta evidenti lacune nella presentazione dell’informazioni, poichè il layout delle interfacce è sensibile alle diverse caratteristiche di ogni terminale (sia software come browser, plug-in, che hardware come schermi, accesso alla rete). In questi ultimi anni, sono stati introdotti strumenti come i CSS (Cascading Style Sheets) che hanno in parte sopperito a queste carenze. Tuttavia, la situazione odierna della rete (si pensi al VRML, allo streaming audio/video) richiede protocolli in grado di rispettare sia l’accesso universale all’informazione on-line che le caratteristiche multimediali dei nuovi prodotti/servizi. 30 R. Polillo, (op. cit.). 31 Polillo spiega come «l’uso generalizzato del concetto di bottone suggerisce abbastanza naturalmente la evoluzione dalla metafora della scrivania alla metafora del pannello di controllo: Secondo questa metafora, il video tende ad assomigliare al pannello di un'apparecchiatura elettronica, con pulsanti, interruttori, slider, spie luminose, display numerici». (op. cit.).
180
Progettare l’interazione
I vantaggi di questo modello concettuale sono dati dalla
naturalezza del metodo per eseguire le funzionalità desiderate che
rende facilmente fruibili i contenuti attraverso semplici operazioni
accessibili ad ogni persona..
4.5 Modelli basati su metafore d'interfaccia
Un modo alternativo per sviluppare il modello concettuale è di
esprimerlo in termini di metafora d’interfaccia. Le metafore aiutano
l’utente a costruirsi più facilmente un modello sul funzionamento del
sistema. Come spiegano Lackoff e Johnson «la metafora è un tipo di
rappresentazione che può essere considerata alla base del nostro
sistema concettuale e nella misura in cui questa ha un ruolo centrale
nella definizione della nostra realtà quotidiana, il nostro esperire è
essenzialmente metaforico».32 Alla base dei sistemi desktop vi è la
metafora della scrivania33 che organizza ogni compito con
32 G. Lakoff, M. Johnson, Metafore e vita quotidiana, traduzione di P. Violi, Bompiani, Milano 1998, pp. 118-132. 33 «Studiando la evoluzione dell'interfaccia utente, ci si imbatte continuamente in numerose metafore, che sono state di volta in volta utilizzate per creare nuovi artefatti: la metafora del menù ("il video è un menù"); la metafora della scrivania ("il video è il ripiano della scrivania"); la metafora del foglio da disegno ("il video è un foglio da disegno"); la metafora del pannello di controllo ("il video è un pannello di controllo"); la metafora della stanza ("il video è una stanza"); la metafora degli agenti ("i programmi sono agenti"); la metafora dei virus ("programmi-virus infettano programmi sani"), e così via». R. Polillo, (op. cit.).
181
Capitolo 4
un’architettura uniforme attraverso diversi strumenti (cartelle, file,
finestre, barre dei collegamenti, menù, ecc.). Polillo evidenzia come
«a volte, la metafora sarà interpretata in modo molto libero, altre
volte il software riprodurrà fedelmente "dentro" il calcolatore la
realtà alla quale ci si è ispirati. In quest'ultimo caso, parleremo più
propriamente di mimesi»34. La mimesi suggerisce delle comparazioni
con un oggetto (ad esempio post-it elettronici, foglio di calcolo,
motori di ricerca, ecc.) concentrandosi sui modi in cui funziona.
L’ipotesi di fondo è che se tali artefatti hanno una utilità nel mondo
fisico devono averne altrettanta in quello digitale. Emulare il
funzionamento di un oggetto è un buon modo per concettualizzare
l'interazione a patto che le funzionalità incorporate abbiano una
capacità maggiore rispetto all’originario. I designer cadono invece
spesso nella trappola di replicare fedelmente le caratteristiche senza
pensare a come migliorare le operazioni nei sistemi digitali. In
questo modo il processo di mimesi risulta inefficiente forzando gli
utenti a eseguire le azioni in modo inconsueto ed inappropriato.
Nonostante metafore e mimesi siano efficaci nel semplificare
l’interazione con un sistema interattivo, tra i designer non c’è grande
accordo e si riscontra una certa opposizione al loro impiego per
diverse ragioni:
- provocano conflitti con i principi del design
34 R. Polillo, (op. cit.).
182
Progettare l’interazione
- non è possibile comprendere il funzionamento del
sistema al di fuori della metafora
- vi sono traduzioni troppo letterarie di cattivi esempi di
design esistenti
- limitano l’immaginazione dei designer
Norman spiega come le metafore non sono altro che il tentativo
di usare una cosa per rappresentarne un’altra «quanti abbracciando
l’impiego delle metafore offrono un’immagine negativa dello
sviluppo centrato sugli esseri umani».35 L’uso può rivelarsi
appropriato nelle fasi iniziali di apprendimento, tuttavia quando sono
state comprese le capacità principali dell’artefatto è solamente un
impaccio. Come precisa l’autore un modello concettuale chiaro, in
grado di far capire facilmente alle persone il funzionamento del
sistema, non avrà bisogno di alcuna metafora.
4.6 Modelli basati su paradigmi d'interazione
A un livello più generale un’ulteriore possibilità nella
formulazione del modello concettuale è data dall’utilizzo di un
paradigma d’interazione. Con quest’espressione si vuole indicare una
filosofia che stabilisce come concepire la comunicazione tra il
sistema, le persone e gli ambienti in modo specifico. Per molti anni il
35 D. Norman, Il computer invisibile, traduzione di B. Parrella, Milano, Apogeo, 1998, p. 196.
183
Capitolo 4
paradigma dominante nello sviluppo di sistemi interattivi è stato
quello delle applicazioni “desktop”. Le evoluzioni odierne nei settori
dell’ITC permettono di concepire il software come una tecnologia
portatile e/o ambientale andando al di là degli schermi e delle
postazioni fisse come supporto canonico della comunicazione uomo-
computer. In tal senso sono emersi prodotti interattivi che estendono
le capacità computazionali agli oggetti fisici ed ai contesti naturali
degli esseri umani. Queste tecnologie non sono usate più per compiti
specifici, ma semplicemente fanno parte delle diverse attività
quotidiane e professionali delle persone.
4.6.1 Desktop
Dagli anni in cui è stata concepita allo Xeroc Parc la metafora
del desktop ha rappresentato anche una concezione su come
progettare l’interazione tra un computer, le persone e gli ambienti. È,
infatti, il periodo in cui si passa dalle workstation ai terminali
home;36 i computer diventano strumenti personali da utilizzare in
casa (figura 4.5); inoltre le GUI rendono accessibili tali dispositivi ad
ogni persona poiché le modalità d’interazione non richiedono più
36 È il passaggio da una cultura ad alto livello tecnologico che si evolve principalmente con obiettivi scientifici basati sull’elaborazione distribuita, il time-sharing, la condivisione dei dati ed il software libero ad una di più basso livello tecnologico con scopi più commerciali basati sull’elaborazione personale, sulle applicazioni mono-utente e gli standard proprietari.
184
Progettare l’interazione
conoscenze da esperto. Abbiamo evidenziato sotto punti di vista
diversi come il desktop abbia ormai esaurito il suo carattere usabile,
una struttura ormai troppo affine alle logiche di marketing,
interessato ad un ambiente software universale ed iperfunzionale in
grado di svolgere troppe attività, in cui regna il disordine tipico di
una scrivania. Il funzionamento dei sistemi desktop ad interfaccia
WIMP si basa sulla giustapposizione di almeno due interfacce
distinte per l’input dei dati: una che impartisce comandi funzionali
della tastiera, l’altra che manipola gli oggetti grafici mediante il
mouse.
185
Capitolo 4
Queste caratteristiche richiedono necessariamente un
funzionamento intrusivo e degli ambiti limitati d’interazione
(finestre), in cui ogni operazione deve essere dichiarata e non può
essere ripresa nel punto in cui è stata lasciata. Nonostante i tanti
paradigmi post-WIMP codificati, la diffusione commerciale è ben
lontana dall’avvenire per le tante ragioni che si sono evidenziate nel
corso del testo.37
4.6.2 Realta virtuale
Un modo di concepire l’interazione in cui la tecnologia stessa,
attraverso rappresentazioni grafiche tridimensionali, crea degli spazi
virtuali a sé stanti e in un certo qual modo sovrapposti al mondo
fisico.38 Le persone interagiscono con oggetti in mondi immersivi
37 Raskin evidenzia i vantaggi del paradigma di navigazione a zoom (ZIP Zooming Interface Paradigm). Come sottolinea l’autore, pur non essendo la panacea di tutti i problemi di navigazione nelle interfacce, rappresenta una soluzione alternativa migliore rispetto alla metafora della scrivania. Prima di tutto perchè viene risolto il problema di aree limitate sullo schermo. «La metafora è quella del volo, e la quota corrisponde al livello di dettaglio con cui osserviamo i contenuti[...]. Lo ZIP non impone nessuna struttura gerarchica o altro al di là della semplice associazione per prossimità spaziale». Per approfondimenti, Raskin, (op. cit.), p. 178. 38 Nell’elaborazione di immagini o animazioni grafiche tradizionali viene fatta molta cura alla qualità visiva dei risultati. I programmi di rendering e di ray tracing utilizzati impiegano molto tempo per elaborare ogni immagine. Nella computer grafica l’utilizzo di più fotogrammi crea delle animazioni. Le persone possono decidere quale sequenza di fotogrammi visualizzare, spostandosi in avanti, ritornando all’inizio, anche se non
186
Progettare l’interazione
indossando dei dispositivi come guanti e caschi. Le tecnologie di
realtà virtuale si sono rivelate fondamentali in settori specifici della
formazione professionale stabilendo processi di apprendimento in cui
è possibile simulare condizioni naturali o addirittura impossibili
fisicamente. Ad esempio, i sistemi che aiutano nell’addestramento
dei piloti (figura 4.6).
possono creare alcun evento, poiché tutto è stato programmato già in precedenza. Negli apparecchi di realtà virtuale, invece, la qualità delle immagini è lontana da quella della computer grafica, poiché il sistema le genera in tempo reale. Ciò permette un meccanismo di interazione completamente differente con l’utente, poiché è egli stesso a scegliere il punto di vista, posizionandosi in un qualsiasi spazio, selezionando un oggetto, cambiandone dimensioni, colori, interagendo con l’ambiente interattivo.
187
Capitolo 4
In precedenza parlando di tecnologie CVE si è osservato come le
applicazioni sono estese anche ad ambiti più generici per rafforzare
attività di conversazione, collaborazione, entertainment e
apprendimento on-line. In tal senso, le possibilità sono legate al
protocollo di comunicazione in rete VRML (Virtual Reality
Modeling Language, a volte letto come vermal) un formato file
progettato per l’impiego sul World Wide Web in grado di
rappresentare grafica vettoriale 3D interattiva.39
4.6.3 Ubiquitous Computing
Con l’espressione ubiquitous computing si intendono diversi
aspetti: prima di tutto, la pervasività dei sistemi di offrire
elaborazione locale; in secondo luogo la presenza di funzionalità
digitali in oggetti quotidiani; infine, la possibilità di accedere in
ambienti intelligenti con capacità elaborative e comunicative
distribuite per soddisfare ogni necessità delle persone.40 Il termine è
39 Il formato file adottato è un semplice file testuale dove possono essere specificati poligoni 3D definendo vertici e spigoli insieme con il colore della superficie, texture, brillantezza, trasparenza, ecc. desiderati. I file VRML sono comunemente chiamati world (mondi) ed adottano l'estensione wrl. Per migliorare le performance di trasmissione, i file sono spesso mantenuti compressi utilizzando gzip. Ad oggi, però, i web browser non supportano nativamente VRML e per fruirne occorre utilizzare appositi plug-in. 40 A metà degli anni Novanta la presenza di migliaia di PC agganciati a Internet, inoperosi per gran parte del tempo, ha dato l’idea di utilizzarli per
188
Progettare l’interazione
stato introdotto da Weiser nei primi anni Novanta per descrivere le
tecnologie che scompaiono negli ambienti. Come spiega Weiser gli
artefatti interattivi esistenti (sistemi multimediali, strumenti di realtà
virtuale, ecc.) non permettono di concepire l’interazione in questo
modo, poiché le persone sono costrette a focalizzare continuamente
la loro attenzione sulle rappresentazioni dello schermo (bottoni,
menù, ecc.), oppure devono muoversi in ambienti simulati
manipolando oggetti virtuali. L’ubiquitous computing, più che creare
dei mondi artificiali in cui svolgere le operazioni, prevede di
realizzare oggetti in grado di integrarsi nel mondo fisico potenziando
la realtà delle attività che già esistono (figura 4.7).
Weiser sottolinea come «l'ubiquitos computing non produrrà
nulla di fondamentalmente nuovo, ma rendendo ogni cosa più veloce
e semplice da svolgere, con meno sforzo e ginnastica mentale,
trasformerà tutto ciò che è possibile trasformare».41 La crescita dei
software nelle loro capacità elaborative e comunicative, le possibilità
di minaturizzazione legate alle ricerche sulle nanotecnologie,
consentono di implementare chip in qualunque oggetto creando
ambienti in cui l’intelligenza è locale.
effettuare elaborazioni distribuite: nasceva SETI@home; era il luglio del 1996, la data che può essere considerata come la nascita di una elaborazione massicciamente distribuita. I calcolatori connessi erano centinaia di migliaia e la capacità elaborativa superava quella dei più grandi supercomputer. 41 M. Weiser, Ubiquitous Computing, http://www.ubiqui.com/hypertext/ weiser/UbiHome.html, 2002.
189
Capitolo 4
Si pensi alla diffusione degli infodomestici,42 oggetti che abbinano
specifiche funzionalità dei computer ad attività quotidiane delle
persone;43 o ancora agli sviluppi delle reti wireless che estendono le
42 Esempi sono il frigorifero che conosce i bisogni alimentari degli utenti e programma la spesa, l'armadietto dei medicinali che sa quali medicine sono necessarie e segnala quelle scadute, il letto che si adegua alla stagione e ai desideri e alle caratteristiche fisiche di chi lo occupa. 43 La Ariston ha messo sul mercato Margherita, una lavatrice che possiede un computer all’interno. È possibile programmare i vari lavaggi, così come collegarla a reti LAN domestiche per dialogare con altri smart device della casa, o ancora ricevere ed inviare e-mail.
190
Progettare l’interazione
possibilità di connessioni in zone urbane creando nuovi flussi di
comunicazione tra vari terminali intelligenti.44
4.6.4 Tangible bits, realtà aumentata e integrazione fisico virtuale
Il paradigma rappresenta una prospettiva più specifica all’interno
delle ricerche sull’ubiquitous computing che concettualizza
l'interazione in modo totalmente speculare rispetto alla realtà virtuale
pur essendone affini i presupposti.45 Piuttosto che creare mondi
immersivi bisogna sviluppare strumenti in grado di combinare
l'informazione digitale negli oggetti fisici. Al MIT (Massachussets
Institute Technology) Hiroshi Ishii, direttore del Media Lab,
44 Rheingold osserva che se un utente non indossa occhiali magici ma accede osservando lo schermo di un palmare o di un telefonino gli ambiente possono essere costruiti con componenti già disponibili nel mercato. “Incominciamo così ad uscire dal mondo futuribile e a entrare nel ciclo produttivo. (op. cit.), 2002. 45 I primi dispositivi di realtà virtuale di Sutherland si basano su una tecnologia di sensori e visori da indossare con caratteristiche evidentemente intrusive. Krueger arriva a sviluppare qualche anno dopo realtà ambientali non immersive coniando il termine Realtà Artificiale (RA). I sistemi di Krueger nascono da una volontà artistica il cui obiettivo era duplice: da un lato creare strumenti per un interazione creativa (quindi grafica) con il computer dall’altro integrare la computer grafica nei media audiovisivi come televisione e cinema. Videoplace era una tecnologia ambientale nel senso che si poteva sperimentarla senza indossare strumenti speciali; l’interazione avveniva mediante la proiezione dell’immagine dell’utente. All’immersione in un mondo virtuale si sostituisce la proiezione di un alter ego su uno schermo.
191
Capitolo 4
introduce l’idea di “bit tangibili”.46 Ishii si riferisce alle possibilità di
abbandonare modi tradizionali di lavorare con i computer come
cliccare icone sugli schermi per passare invece alla manipolazione di
oggetti tangibili presenti nei contesti d’uso. Vengono definite
“phicons” (icone fisiche) e coniugano l’utilizzo concreto di un
artefatto fisico con le capacità digitali.47
All'interno del paradigma si collocano anche le ricerche della
realtà aumentata, studi fondamentali nella realizzazione di stanze
intelligenti (attentive environment) in cui si sovrappongono
informazioni virtuali alla normale percezione dell'ambiente reale. Il
risultato è che contenuti reali e virtuali coesistono (figura 4.8). Ciò
che Negroponte definisce il matrimonio tra bit ed atomi è già realtà
al Physics Media Group nelle ricerche di Gershenfeld che ha ideato
una rete auto-organizzata di sensori e computer così miniaturizzata
da poter essere dipinta letteralmente su una qualsiasi superficie.48
46 Per approfondimenti, H. Ishii, B. Ullmer, Tangible bits: towards seamless interface between people, bits and atom, in Proceedings of CHI, 1993, pp. 234-241. 47 Rekimoto direttore dell’Interaction Lab, dipartimento del Computer Science Laborator della Sony, ha introdotto un metodo alternativo di interazione rispetto al drag and drop. Si tratta del “pick and drop”, utilizzata per spostare elementi da un computer ad un altro, mediante una penna (bastoncino), schermi interattivi e connessioni tra terminali. Rekimoto ha definito questo approccio “chopstick metaphor” (metafora del bastoncino cinese). 48 Il prototipo presentato è formato da migliaia di copie di un singolo circuito ognuno della misura di un granello di sabbia che contiene un
192
Progettare l’interazione
4.6.5 Pervasive computing
Le persone interagiscono in ogni momento e luogo con dati ed
informazioni in ambienti intelligenti. Se i sistemi di realtà virtuale
sfruttano le potenzialità di elaborazione grafica dei computer creando
spazi in cui tutto è interfaccia le tecnologie basate su smart devices,
telefonini, sistemi GPS si evolvono a partire dalle capacità di
comunicazione continua e posizionamento globale.49 Rheingold
osserva come «l'affermarsi dell'informatica pervasiva [...] sta
microprocessore, la memoria e un ricetrasmittente senza fili in quadratini di quattro millimetri per ogni lato. I circuiti sono distribuiti uniformemente in una sostanza semivischiosa ed applicabili ad ogni materiale. 49 Si pensi ai sistemi GPS che sono capaci di rilevare la propria posizione tramite satellite con un grande accuratezza di dieci-qundici metri.
193
Capitolo 4
iniziando a trasformare i telefoni odierni nei telecomandi della vita
[...] le tecnologie pervasive portano con sé il potere della
elaborazione e della comunicazione».50 CoolTown è l’esperimento
della Hewlett Packard costruito intorno al web come mezzo
universale di integrazione tra il mondo fisico e quello virtuale. I
ricercatori attraverso etichette identificative per radio frequenze
(RFID),51 collegamenti internet senza fili, web server su chip,
telefonini, palmari, smart device hanno creato un ecosistema di
oggetti presenti in rete che fa comunicare le persone in luoghi
fisicamente diversi permettendogli di accedere ad informazioni
immagazzinate nei database e consultabili direttamente da ogni
terminale (figura 4.9). Mentre l’ambiente naturale diventa
intelligente acquisendo capacità di rilevare, ricevere e trasmettere
informazioni lo strumento interattivo si evolve da portatile ad
indossabile.
50 H. Rheingold, Smart mobs, traduzione di S. Garassini, Milano, Raffaela Cortina Editore, 2002, p. 185. 51 RFID significa Radio Frequency Identification ed è uno dei sistemi di comunicazione d'avanguardia per riconoscere qualsiasi oggetto che si muove nel raggio d'azione del dispositivo di lettura, purché dotato di una "etichetta intelligente" (smart tag). Per un’approfondimento vedi http://en.wikipedia.org/wiki/RFID.
194
Progettare l’interazione
4.6.6 Wearable computing
Il paradigma nasce all’interno delle ricerche della realtà
aumentata, tuttavia l’interazione non avviene più in contesti
determinati, poiché gli strumenti digitali sono indossabili. Al MIT
sono stati presentati vestiti che grazie a piccoli chip interni diventano
multifunzionali: regolano la temperatura del corpo, registrano i
movimenti, riconoscono le persone, si illuminano di notte. Non si
tratta esclusivamente di moda, ma delle possibilità di rendere gli
esseri umani più efficienti attraverso l’utilizzo di strumenti
interattivi. Gershenfeld evidenza come le necessità di computer
indossabili sono dovute a tre fattori: il desiderio delle persone di
195
Capitolo 4
aumentare le proprie facoltà, una crescente capacità tecnologica di
indossare i computer negli abiti grazie alle nanotecnologie e la
richiesta industriale di spostare l’interazione dai computer alle
persone.52 Secondo Pentland, i potenziali utenti dei computer da
passeggio sono ovunque: «sono essenziali a tutti coloro che devono
svolgere mansioni importanti in cui servono tutte e due le mani, il
problema con i computer normali è che bisogna sedersi e usare una
tastiera».53 Mann pensa che i computer indossabili non affermeranno
il potere dell’informatica pervasiva ma saranno il mezzo per
preservarci da essa.54 Le tecnologie digitali odierne, infatti,
bombardano le persone di suoni ed immagini commerciali non
52 Si pensi alle possibilità di accedere alle informazioni attraverso la personal identification (impronte digitali, riconoscimento dell’iride e della retina, riconoscimento vocale, ecc.) 53 R. Pentland, per un approfondimento si veda http://www.mediamente. rai. it/docs/ approfondimenti/ 001113 _01.asp. 54 Mann professore al MIT nei primi anni Novanta ha proposto un computer indossabile con caratteristiche multimediali che si connette in rete ed in grado di ricevere e-mail. Il WearComp 1 con videocamere e computer che filtrano e rielaborano immagini permette in tempo reale di aggiungere o sottrarre elementi al mondo circostante. Tali modalità unite alle possibilità di connettersi in rete senza fili hanno consentito a Mann di essere il primo cyborg della rete, capace di trasmettere sul web tutto ciò che osservava con le telecamere del suo dispositivo. La diffusione di media pervasivi solleva questioni etiche circa il potere ed il controllo su questi artefatti che sono soprattutto tecnologie di sorveglianza. Una delle questioni più importanti, già emersa in questi anni nel web, è il problema della privacy e quindi di come tutelare le persone dall'utilizzo di strumenti che sono particolarmente sensibili alla posizione e alla diffusione di informazioni personali.
196
Progettare l’interazione
richieste con l’unico scopo di spingerli verso il consumo di un
prodotto o servizio;55 «questo accerchiamento da parte di messaggi
commerciali può essere ribaltato soltanto usando la tecnologia
personale».56
4.6.8 Affective computing
L’approccio trae le sue origini dalle ricerche effettuate negli
ambiti dell’intelligenza artificiale e dell’artificial life.57 Come spiega
Negroponte «la sfida che bisognerà vincere nei prossimi anni è dare
agli utenti non schermi più grandi, miglior qualità di suono e di
immagine o dispositivi di input grafico più semplici, ma, computer in
grado di conoscerci e dare risposte intelligenti, come un vero
assistente umano. Non bisogna chiedersi cosa potrebbe rendere più
facile l’uso del computer da parte dell’uomo, ma come poter rendere
più facile al computer l’interazione con l’uomo».58
Queste prospettive aprono grossi interrogativi sul modo in cui i
sistemi computazionali possono emulare i comportamenti degli
55 Per approfondimenti, S. Mann, Smarth clothing: weareable multimedia computing and personal imaging to restore technological balance between peopele and their environment, in Proceedings of CHI, 1996, pp. 163-174. 56 S. Mann, http://wearcam.org/hi/index.html. 57 Uno dei primi approcci alla Intelligenza Artificiale è stato quello delle reti neurali artificiali, un modello computazione basato sull’emulazione della struttura fisica del cervello umano. 58 N. Negroponte, Essere digitali, Sperling & Kupfer, 1999, p. 5.
197
Capitolo 4
esseri umani manifestandoli nelle modalità più appropriate. Uno dei
primi strumenti fu Eliza, un semplice programma per computer
sviluppato negli anni Sessanta al MIT da Weizenbaum che
rispondeva in linguaggio naturale ad alcuni quesiti posti
dall’utente.59 Le evoluzioni delle capacità computazionali e le
ricerche negli ambiti della robotica60 hanno permesso di realizzare
robot intelligenti in grado di imitare caratteristiche fisiche ed
intellettive dell’uomo. La robotica è una disciplina vastissima emersa
già dai primi del Novecento, quando i robot furono utilizzati nei
processi industriali; da allora le sue evoluzioni sono state legate a
quelle dell'informatica, dell'elettronica e della meccanica, ed oggi
agli albori delle nuove tecnologie, rappresenta un settore che opera
sempre più a stretto contatto con gli esseri umani sviluppando
strumenti per attività quotidiane. Macchine come Kismet,61 robot
maggiordomi, robot animali (vedi figura 4.10) non sono ancora
59 Questa applicazione operava sulla base di una serie di script conversazionali preparati in precedenza dal programmatore e non aveva alcuna comprensione del linguaggio e quindi rispondeva esclusivamente secondo i modelli conversazionali immagazzinati. Per approfondimenti, J. Weizenbaum, “ELIZA - A Computer Program For the Study of Natural Language Communication Between Man And Machine”, Communications of th ACM, Vol.9, n.1, Gennaio 1966, pp. 36-45. 60 In un clima di euforia tecnologica, Asimov propone negli anni settanta le tre famose leggi universali della robotica che avrebbero stabilito i principi dell’esistenza tra queste macchine e gli esseri umani. 61 Per approfondimenti, http://www.ai.mit.edu/projects/humanoid-robotics-group/kismet/kismet.html
198
Progettare l’interazione
oggetti domestici, tuttavia si prevede che nei prossimi anni saranno
sempre più diffusi e quotidiani. Dovranno essere capaci di esprimere
informazioni in modo tale che la gente li capisca a partire dai
movimenti corporei e dalle espressioni facciali.62
4.7 Elementi concreti delle interfacce
Mentre si prendono decisioni sulla natura delle attività da
strutturare nel sistema si organizzano anche gli elementi fisici delle
interfacce. Un chiaro modello concettuale indica le sue funzionalità
62 Come spiega Norman: «I robot avranno bisogno di emozioni per gli stessi motivi per cui né hanno bisogno le persone: il sistema emozionale umano svolge un ruolo essenziale per la sopravvivenza, per l’interazione sociale e la cooperazione e per l’apprendimento». D. Norman, Emotional Design, Apogeo, Milano, 2004, p. 162.
199
Capitolo 4
in modo univoco, dunque delinea naturalmente le modalità
d’interazione. Tuttavia, in questo momento, bisogna risolvere
questioni più pragmatiche legate alle caratteristiche dei progetti
specifici. La realizzazione fisica dell’interfaccia prevede molti cicli
di design e re-design e si evolve con la formulazione di una guida di
stile che approfondisce i dettagli del look and feel individuando
elementi come suoni, colori, forme, immagini ed organizzazione
degli oggetti. Durante queste fasi è verificato continuamente se il
modello concettuale predisposto funziona come pensavano i team di
sviluppo/design. Per realizzazione il layout di un’interfaccia grafica i
dati emersi dall’analisi dei task vengono trasformati in singole
schermate in modo che ogni task e sotto-task abbia una propria
visualizzazione. Ogni compito è eseguito attraverso una serie di
elementi; concludiamo evidenziando quelli più ricorrenti nelle
interfacce degli artefatti interattivi.
4.7.1 Comandi
Nell’interfaccia fisica di una tastiera i comandi sono contenuti in
pulsanti o tasti; in quelle grafiche vengono collocate nei menù
(figura 4.11).
200
Progettare l’interazione
In entrambi i casi i comandi pongono il problema
dell’etichettatura ovvero di come implementare un’azione, cioè la
funzionalità ad un oggetto, dunque l’elemento da manipolare per
ottenerla. Raskin spiega come le più importanti linee guida
specificano due modi: scegliere l’azione e selezionare l’oggetto
oppure scegliere l’oggetto e poi l’azione. «A causa del modo in cui è
realizzata la maggioranza delle interfacce la situazione non è
simmetrica e l’ordine di esecuzione determina una grossa differenza
in termini di usabilità».63 Il paradigma verbo-nome (azione-oggetto)
introduce una modalità; ossia una volta scelto il comando questo
63 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 66.
201
Capitolo 4
avrà effetto sulle prossime selezioni. Con il paradigma nome-verbo
(oggetto-azione) i comandi sono eseguiti nello stesso momento in cui
sono scelti. Inoltre, la forma verbo-nome necessita di un ulteriore
comando che interrompe l’azione. «Il paradigma nome-verbo, invece
non ha questo problema: se la selezione che abbiamo fatto non è
quella che intendiamo, basta che ne facciamo un’altra».64
Negli infodomestici, così come nei computer tradizionali, alcuni
comandi sono eseguiti attraverso la pressione contemporanea di un
tasto funzionale (ctrl, alt, tasto menù, freccette, ecc.) e di un’altro,
cioè, attraverso delle modalità cinestetiche. Gli errori modali di
molte interfacce possono essere eliminati attraverso i quasi modo,
modalità cinestetiche temporanee.65 Tuttavia, un loro eccessivo
utilizzo può portare a delle convenzioni assurde che costringono a
ricordare una serie infinita di tasti (come le combinazioni di ogni
applicativo software). Come spiega Raskin i sistemi interattivi
richiedono due tipi di input: quelli adatti a creare contenuti (testo,
immagini, video) e quelli rivolti a gestire il sistema in queste
operazioni (formattare il testo, selezionare il pennello, cambiare
64 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 67. 65 I quasi modo sono operazioni che richiedono di tener premuto un tasto in combinazione con un’altro per eseguire una data funzione (ad esempio schiacciare shift più un tasto per avere la lettera maiuscola). Il Canon Cat ideato da Raskin conteneva sulla tastiera dei tasti funzione come ad esempio “USE FONT” che tenuto premuto in combinazione con il tasto “STYLE” permette di formattare il testo in ogni parte del sistema.
202
Progettare l’interazione
angolo di visualizzazione). I quasi modo devono essere riservati
esclusivamente alle operazioni sul controllo del sistema.
4.7.2 Pulsanti, interruttori, bottoni
I pulsanti sono elementi fisici o cognitivi che premuti eseguono
determinate funzionalità. Molte interfacce sono progettate in modo
tale che un singolo pulsante svolga molteplici operazioni; si pensi al
tasto “blocco/maiuscolo” dei computer, (interruttore a tasto che
agisce con meccanismi di tipo on/off),66 una funzione che per come è
stata implementata provoca molte problematiche.67 Un interruttore a
tasto determina infatti un errore modale, poiché l’utente concentrato
sulle proprie attività deve prestare attenzione allo stato attuale del
sistema non ricavandone alcuna feedback indicativo.
66 Un interruttore del genere implica che ad ogni pressione l’etichettatura del testo cambia, poiché è cambiata l’azione associata all’oggetto, tuttavia, viene inevitabilmente visualizzata l’opzione deselezionata. Si pensi all’interruttore “blocca/sblocca” del mio programma firewall. Se schiaccio il tasto per bloccare l’accesso al web la casella di spunta mi visualizza la scritta sblocca. Questo meccanismo costringe a fare continua attenzione allo stato del sistema, poiché non da informazione di ritorno rilevanti, per capire attualmente quale sia quello attuale. 67 Il fuoco d’attenzione è concentrato sulla scrittura per cui non ha senso utilizzare un interruttore a tasto. Sarebbe più adeguato utilizzare due tasti specifici. Inoltre il led che si illumina che dovrebbe fornire un feedback all’utente, è inutile poiché non è notato dalle persone che sono concentrate invece sulle loro attività.
203
Capitolo 4
Raskin osserva le peculiarità dei bottoni radio (che prevedono
una casella di selezione) e suggerisce come nelle interfacce grafiche
«bisogna sempre usare bottoni radio e non interruttori a tasto;
questi ultimi vanno bene solo se lo stato controllato dall’interruttore
è il nostro fuoco dell’attenzione ed è visibile, oppure è nella
memoria a breve termine».68 I bottoni radio forniscono informazioni
di ritorno all’utente facilmente comprensibili (feedback).
4.7.3 Finestre
Alan Kay allo Xeroc Parc propose il paradigma delle finestre per
le interfacce grafiche dei computer con l’idea di sviluppare spazi
manipolabili negli schermi e sovrapponibili. Riprendono l’idea delle
maschere utilizzate nei primi software aziendali per compilare i
moduli di un documento campo per campo; tuttavia, le finestre
hanno permesso a più programmi di essere visibili e accessibili in
modo indipendente, spianando la strada per i sistemi multitasking.
(figura 4.12). Così i software hanno avuto la capacità di
concettualizzare una serie di spazi di attività in cui svolgere più
operazioni in parallelo (vedi 2.5.2). Con lo sviluppo dell’interfaccia
WIMP le finestre sono diventate lo standard d’interazione facilitando
68 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 44.
204
Progettare l’interazione
alcune operazioni, ma non risolvendo a pieno le problematiche
principali dei sistemi interattivi odierni.69
Come spiega Raskin l’approccio originario era di eliminare il
concetto stesso di applicazione, in modo da non fare più distinzione
tra ambiente operativo ed ambiente applicativo del software. Tutto
ciò che si è ottenuto, invece, è di aver reso più visibile il sistema.
69 Anche i dispositivi di realtà virtuale utilizzano rappresentazioni come le finestre per visualizzare una serie di informazioni, statistiche e dati mentre si eseguono altre attività.
205
Capitolo 4
4.7.4 Icone
Le icone rappresentano un metodo per semplificazione
l’apprendimento delle principali funzionalità dell’interfaccia (figura
4.13). Spesso l’uso delle icone vincola i progettisti a ragionare in
termini grafici, un modo che induce a implementare operazioni sulla
rappresentazione anziché sulle funzionalità. Le linee guida del
progetto Macintosh affermavano «le icone possono dare un grosso
contributo e all’attrattività di un’applicazione. [...] Ogni volta che
sembra necessario ricorrere ad una etichetta o a una spiegazione
considerate invece la possibilità di usare un’icona al posto del
testo».70 Tuttavia, l’utilizzo di icone che sono essenzialmente delle
metafore, dunque oggetti utilizzati per rappresentare qualcos’altro
non sono sempre comprensibili, anzi sono proprio loro spesso a
dover essere spiegate.
70 Apple Computer Co., Human Interface Guidelines: the Apple Desktop Interface, Harlow, Addison-Wesley, 1987, p. 32.
206
Progettare l’interazione
L’uso delle icone nelle interfacce viene sostenuto dalle capacità
di essere indipendenti dal linguaggio, ma tali supposizioni sono
facilmente contestabili, poiché questi elementi non sono affatto
immuni ai contesti culturali. Come afferma Raskin «le icone
incredibilmente violano il principio della visibilità perché il loro
stesso significato non è visibile».71 Se, infatti, non si è in grado di
capire a cosa serve un determinato oggetto sullo schermo
l’interfaccia sarà inappropriata rispetto al principio della visibilità
(vedi 5.4.1).
71 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 202.
207
Capitolo 4
4.7.5 Strumenti di ricerca
Consentono di accedere ad informazioni e dati memorizzati nel
sistema sorvolando i tradizionali metodi di interazione delle
interfacce (menù, bottoni, icone, finestre). Gli strumenti di ricerca
sono stati integrati come un’ulteriore funzionalità nell’architettura
desktop. Tali modalità, tuttavia, non richiedono più una
presentazione strutturata nell’interfaccia di tipo grafico in quanto gli
strumenti di ricerca possono da soli bastare a regolare l’interazione
con l’utente.72 Raskin, nel libro Interfacce a misura d’uomo,
propone un’interfaccia regolata dalla metafora dello zoom per
ovviare ai problemi dei sistemi desktop (vedi 4.6.1); dagli stessi
presupposti anche se con modalità diverse, l’applicazione proposta
nella sezione sperimentale (vedi 6.11) è basato esclusivamente sul
funzionamento di un motore di ricerca per le attività di interazione
con l’utente, poiché un modo «per riuscire a dare un’interfaccia a
misura d’uomo a computer e infodomestici è di assicurarsi che,
ovunque si possa inserire o manipolare del testo».73 Si pensi agli
infodomestici dotati di piccoli schermi in cui non c’è bisogno di
convenzioni complesse ed articolate come quelle della metafora della
scrivania, quanto di trovare facilmente file memorizzati o e-mail
72 Questo approccio sarà applicato concretamente all’interfaccia del progetto per l’università La Sapienza, facolta di Scienze della Comunicazione di Roma (vedi VI° capitolo). 73 J. Raskin, (op. cit.), 2004, p. 114.
208
Progettare l’interazione
ricevute attraverso un nuovo modo di invocare i comandi. Come
osserva Raskin, bisogna creare un ambiente d’interazione univoco in
cui svolgere tutte le attività in cui non ci siano distinzioni tra parti
limitate delle interfacce. Così i comandi non saranno più selezionati
dai menù o dalle barre di navigazione per essere poi schiacciati, ma
invocati direttamente attraverso una parola scritta e la battitura di un
tasto funzione. Ciò non significa abbandonare le possibilità di
strutturare le informazioni o limitare le capacità multimediali dei
sistemi, piuttosto, rendere più semplice l’interazione non
visualizzando elementi inutili. Il funzionamento di un sistema di
ricerca può portare, se emergesse la necessità, a documenti in cui
elencare tutti i comandi. Un piccolo modulo per inserire il testo da
ricercare, un ambiente con tutte le funzionalità disponibili ed uno
spazio ampio dello schermo ove modificare qualsiasi tipo di file
(testo, audio, immagini, video, ecc.) eliminano il problema della
suddivisione delle interfacce in parti limitate (finestre) e della
collocazione spaziale dei comandi (menù). Il normale spazio
utilizzato da una pagina di testo74 per leggere una e-mail può
visualizzare anche l’elenco di tutti comandi del sistema. Come
osserva Raskin «questo nuovo metodo dovrà essere non solo rapido
e cinesteticamente semplice ma dovrà permettere la ricerca di un
74 Non si tratta di cliccare una finestra, di scegliere da un menù a tendina o di selezionare un’opzione dalla barra dei collegamenti, ma di visualizzare una normale pagina di un foglio di lavoro.
209
Capitolo 4
comando in modo più facile e immediato rispetto a un sistema
basato su menù».75
75 Come precisa Raskin «Adottare convenzioni che non corrispondono a quelle del linguaggio umano rende i computer innaturali da usare. Non sono le nostre convenzioni linguistiche a dover cambiare per essere più semplici da programmare, è il computer che deve essere costretto a lavorare a modo nostro» J. Raskin, (op. cit.), 2004, pp. 123-127.
210
211
Capitolo 5
Tecniche del processo U.C.D.
5.1 Introduzione
Le prime metodologie utilizzate nei processi di progettazione
centrati sull’utente hanno privilegiato inizialmente metodi e criteri
provenienti dagli ambiti della ricerca sperimentale. Nei primi anni
Ottanta le influenze della psicologia di stampo behaviorista portano
ad approcci in cui l’usabilità dei sistemi è stimata principalmente
attraverso la misurazione delle performance degli utenti in
riferimento a precisi task da eseguire. I flussi di sviluppo dei prodotti
poggiavano su inferenze di natura quantitativa, per cui le
informazioni ricavate erano applicate ad ampie cerchie di persone
come verità universali senza alcuna revisione critica. Le tecniche,
però, non fornivano alcun dato sui diversi contesti di fruizione,
dunque sul modo in cui realmente erano svolte le attività dalle
persone, poiché gli utenti interagivano in ambienti artificiali di
laboratorio.
Negli anni Novanta la tendenza si è andata via via affievolendo
dato e sono emerse metodologie di progettazione con una sensibilità
sempre maggiore ai contesti sociali (scenari). Alle tecniche
quantitative, sono stati affiancati metodi qualitativi che analizzano
212
Tecniche del processo U.C.D.
l’usabilità dei sistemi in funzione dei diversi scenari d’uso, dunque
delle caratteristiche sociali e culturali in cui i software si vanno a
collocare. Ciò ha consentito di spostare il focus della progettazione
dall’individuo in sé ai contesti in cui avviene l’interazione.
5.2 Tecniche per comprendere i bisogni degli utenti
Nella figura 5.1 sono descritti i diversi modi con cui si possono
analizzare le necessità degli utenti.
Lo scopo delle tecniche è ottenere quante più informazioni possibili
circa le persone, la natura del loro lavoro e i contesti delle attività, in
213
Capitolo 5
modo tale che il modello concettuale possa sostenere le persone nel
raggiungimento dei loro obiettivi. La comprensione dei bisogni è
un’attività che si protrae per tutto il corso della progettazione
intrecciandosi alle operazioni di specificazione dei requisiti.
5.2.1 Interviste
Come precisano Kahn e Cannell1 si può pensare alle interviste
come a “conversazioni finalizzate ad uno scopo”. In genere, con le
interviste si ricavano una grande quantità di dati (audio, video)
utilizzando diversi supporti (registrazioni audio, video, annotazioni,
ecc.). La scelta tra i diversi metodi con cui condurre un’intervista è
determinata dagli obiettivi preposti sin dall’inizio della progettazione
e dalle tecniche utilizzate per la raccolta, l’interpretazione e l’analisi
dei dati. Nelle metodologie delle scienze sociali si usa fare una
distinzione principalmente tra quattro tipi di interviste:
- Aperte. Le domande poste dall'intervistatore hanno un
contenuto ed una forma di risposta non predeterminata; tuttavia le
questioni poste sono specifiche, per cui la risposta non può che
essere attinente agli argomenti; le interviste aperte stabiliscono un
1 R. Kahn, C. Cannel, The dinamics of interviewing, New York, John Wiley & sons, 1957.
214
Tecniche del processo U.C.D.
dialogo asimmetrico, in cui nonostante non vi siano procedure
formali la direzione della conversazione è già predeterminata;
- Strutturate. Utilizzano una lista di domande predefinite
simili a quelle di un questionario; le domande sono brevi e ben
formulate e richiedono la scelta tra determinate opzioni; le interviste
strutturate impongono una forma di conversazione esplicitamente
asimmetrica in cui la direzione della comunicazione è formale con
contenuti strutturati e poche possibilità di scelta;
- Semi-strutturate. Prevedono risposte di tipo “aperte” e
“chiuse”; le interviste semistrutturate sono una forma intermedia che
coniuga funzionalità specifiche di ognuna delle tecniche analizzate in
precedenza. Hanno un alto grado di versatilità implementando sia
metodi di conversazioni formali che altri più liberi.
- Di gruppo. Si distinguono per l’adozione di forme di
conversazione prive di una forma e/o direzione specifica, in cui la
discussione avviene liberamente e secondo l’interesse delle persone.
La discussione è simmetrica senza contenuti prestabiliti e si evolve a
partire dalle questioni considerate al momento.
È facilmente comprensibile come le categorie descritte si
distinguono sostanzialmente per il diverso grado di controllo che i
team di lavoro esercitano sulle informazioni da ottenere. Mentre le
prime tre tipologie prevedono delle modalità in cui l’intervistatore
impone una direzione predefinita alla conversazione, le interviste di
215
Capitolo 5
gruppo non necessitano di alcuna gestione, poiché coordinamento e
collaborazione sono fondamentali al fine di ottenere tutti i dati
necessari.
5.2.2 Questionari
Sono lo strumento più utile per raccogliere dati coinvolgendo un
campione di utenti molto esteso o comunque sufficientemente
rappresentativo del target di riferimento. La tecnica ha, dunque, una
valenza quantitativa che richiede a monte la risoluzione di alcune
problematiche, poiché bisogna avere capacità nella scelta del
campione di utenti a cui somministrarle; si devono strutturare al
meglio i questionari per avere tutte le informazioni necessarie; infine,
i dati raccolti conducono a soluzioni spesso non univoche ed
incoerenti. Ai problemi evidenziati se ne aggiungono altri che
riguardano una dimensione più etica della ricerca. Gli utenti possono
intenzionalmente manipolare i risultati dei questionari attraverso
delle risposte elusive o volontariamente errate. Inoltre la tecnica, pur
essendo utilissima in situazioni specifiche, è abbastanza costosa e
richiede dei periodi di tempo mediamente lunghi per ottenere le
informazioni ed analizzare i dati.
216
Tecniche del processo U.C.D.
5.2.3 Inchieste
Prevedono una raccolta d’informazioni direttamente nei contesti
di utilizzo dei prodotti, analisi che si espandono all'interno di una
cultura e delle pratiche di un organizzazione specifica. L'inchiesta
può rappresentare, a seconda dell’approccio adottato, un processo di
scoperta con cui si chiariscono gli obiettivi delle persone in una
determinata attività e gli scenari d'uso che la caratterizzano.
L’adozione della tecnica presenta, però, numerosi svantaggi. In
prima analisi c’è il pericolo che le informazioni ottenute sono
invalidate da comportamenti o atteggiamenti condizionati dalla
situazione specifica (l’osservazione diretta). Inoltre l’inchiesta può
richiedere dei tempi molto lunghi e dei costi abbastanza sostenuti per
ottenere le informazioni necessarie. Infine, un’ulteriore difficoltà
deriva dal fatto che i dati provenienti da una ricerca di tipo
qualitativa sono numerosi e difficilmente categorizzabili; questa
situazione può complicare l’analisi e la stessa formulazione del
modello concettuale del prodotto.
5.2.4 Diari d’uso
I diario d’uso attraverso metodologie di natura qualitativa
aiutano a capire i reali bisogni delle persone nel corso di un’attività.
Gli utenti registrano, in appositi diari, le proprie operazioni di lavoro
giornaliere. Tali procedure possono essere affidate all’arbitrio delle
217
Capitolo 5
persone, con descrizioni non predefinite degli eventi oppure
determinate dai team di sviluppo. La tecnica è utile a comprendere il
comportamento e gli stati mentali dell’utente senza rischiare che
l’intrusione dell’osservatore rappresenti un fattore di disturbo per le
indagini. I diari d’uso si sono rivelati utili per la valutazione di
prodotti interattivi destinati ad Internet ove gli utenti sono tanti e
difficilmente identificabili. In questo caso sono somministrati dei
questionari a risposta aperta partendo dal presupposto che i
partecipanti sono affidabili e di conseguenza i dati derivati
abbastanza attendibili. Tuttavia il processo di raccolta, che avviene in
modo rapido e veloce, comporta la precarietà dei dati raccolti.
5.2.5 Focus Group
I focus group hanno una valenza infrastrutturale nel corso del
processo: aiutano a capire le attività e gli obiettivi delle persone;
stabiliscono i requisiti approfondendo le tematiche condivise tra
utenti e team di lavoro; infine evidenziano le questioni in cui il
modello concettuale dello sviluppatore (che possiede competenze da
esperto) è in disaccordo con quello dell’utente. La tecnica prevede la
formazione di piccoli gruppi di persone rappresentativi di un
campione di stakeholder, coinvolti in discussioni informali in cui si
illustrano le diverse caratteristiche dei prodotti. In queste
conversazioni, la figura del moderatore deve riuscire ad indirizzare il
218
Tecniche del processo U.C.D.
dialogo verso gli argomenti che interessano. I focus group delineano,
in un tempo relativamente breve, una quantità d’informazioni (di
natura prettamente qualitativa) che difficilmente verrebbero fuori
tramite la somministrazione di questionari strutturati. Tali dati
specificano, infatti, le propensioni ed i comportamenti tipici
dell’utente chiarendo i loro modelli concettuali. I focus group,
inoltre, fanno incontrare direttamente i progettisti sviluppando un
canale diretto tra necessità degli utenti ed esigenze dei progetti.2
5.2.6 Interpretazione ed analisi
Dopo aver raccolto dei dati sugli utenti con una combinazione di
metodologie di natura qualitativa e quantitativa, si passa
all’interpretazione delle informazioni raccolte. Lo scopo è
individuare dei requisiti che caratterizzeranno il sistema.3 Alle prime
considerazioni generali seguono analisi più approfondite che
stabiliscono i requisiti da implementare nel modello concettuale del
prodotto. Le caratteristiche evidenziate sono valutate attentamente e
richiedono delle fasi cicliche di iterazione che si protraggono finché
2 Una variante è il Focus group elettronico che ovvia a due limiti del focus group tradizionale: la necessità di far incontrare persone distanti e la difficoltà nella sintesi dei risultati. 3 Ad esempio per la descrizione dei requisiti funzionali è prevista la schematizzazione in diagrammi di flusso. I requisiti relativi ai dati possono essere rappresentati attraverso i diagrammi entità-relazione che fanno delle associazioni tra categorie simili.
219
Capitolo 5
non si giunge ad una accordo su tutti gli elementi da implementare.
In genere, più tecniche sono utilizzate per l’interpretazione e l’analisi
dei dati, maggiore sarà la possibilità di specificare aspetti sensibili
alle reali necessità degli utenti.
5.3 Tecniche per comprendere i requisiti dei sistemi
Comprendere i requisiti dei sistemi è un’attività che avviene di
solito in parallelo all’identificazione delle necessità degli utenti.
Sono specificati man mano che le proposte di design sono valutate e
rappresentano elementi fondamentali attraverso cui consolidare i
modelli concettuali dei prodotti (vedi 2.4.5). La comprensione dei
requisiti avviene in un processo, per cui non si tratta di operazioni
determinate in uno specifico arco di tempo, ma che durano per tutto
il corso della progettazione del prodotto.
5.3.1 Descrizione delle attività
Le tecniche che descrivono le attività supportate dal sistema
interattivo sono utilizzate da molto tempo nello sviluppo di strumenti
software. Tuttavia, negli anni passati il metodo era applicato
esclusivamente alle operazioni di valutazione finale che per giunta
coinvolgevano persone esperte o figure interne all’azienda. La
centralità attuale degli utenti ha affermato l’utilità della tecnica
220
Tecniche del processo U.C.D.
durante tutto il processo di progettazione, dalla determinazione dei
requisiti alla prototipazione, dalla valutazione ai test. La descrizione
delle attività si basa sull’uso combinato di tecniche diverse ed
utilizza soprattutto metodologie d’analisi qualitative. Le principali
sono:
- scenari
- casi d’uso
- essential use case
5.3.2 Scenari
Come spiega Carroll «uno scenario è una descrizione narrativa
informale»4 che considera le attività umane attraverso una storia in
cui esplorare contesti, bisogni, scopi, motivazioni, requisiti e
contesti. Gli scenari non servono a capire ciò che il software deve
fare, piuttosto chiariscono gli obiettivi delle persone in relazione alla
natura delle attività e dei contesti d’uso (figura 5.2). Argomentano
come viene svolta un’attività e gli elementi dei contesti d’uso che
possono influenzarla.
4 J. M. Carroll, Introduction to the special issue on “scenario based system development”, Interacting with computers, 2000, pp. 41-42.
221
Capitolo 5
Il livello di dettaglio assunto da uno scenario varia in base ai
prodotti da realizzare e agli scopi che la progettazione si è prefissata.
Per cui non possono essere stabilite a priori forme standard poiché
gli scenari sono determinati da una serie di concause correlate al
processo di narrazione. Di solito la storia si delinea nei workshop e
rappresenta un racconto che ha un punto di vista esclusivo. Le
informazioni provenienti degli scenari hanno una validità generica,
dunque è difficile trasformarle in linee guida per il design dei
prodotti; inoltre, la loro vaghezza può portare a trascurare
problematiche più specifiche dei prodotti. Nonostante questi
svantaggi comprendere gli aspetti che caratterizzano l’interazione tra
persone, artefatto e contesto risulta un’operazione fondamentale,
222
Tecniche del processo U.C.D.
poiché permette ai team di lavoro di concentrarsi sulla natura delle
attività umane piuttosto che sugli elementi tecnologici da
implementare nei prodotti. Bodker sottolinea come gli scenari d’uso
hanno principalmente quattro funzioni:5
- sono una base per la progettazione
- aiutano nell’implementazione tecnica
- migliorano la cooperazione nei team di design
- sono una base comunicativa per team multidisciplinari
5.3.3 Casi d’uso
I casi d'uso si concentrano in modo più specifico sugli aspetti
dell'interazione che riguardano utenti e sistema nello svolgimento
delle attività (figura 5.3). La tecnica è stata proposta negli studi della
comunità dell’OOSE (Object Oriented Software Engineering)6.
L'utilizzo di uno scenario presuppone anche l'impiego di più casi
d'uso che descrivono un insieme di condizioni simili o convergenti
verso un unico scopo. La tecnica è impiegata per individuare
l'insieme di azioni più frequenti nella comunicazione tra l’uomo e la
macchina. Il livello di dettaglio fornito da un caso d'uso
5 S. Bodker, Scenarious in user centered design-setting the stage for feflection and action, Interactive with computer, 2000, p. 63. 6 Per approfondimenti, I. Jacobson, M. Christerson, P. Jonssone G.Overgaard, Object Oriented Software Engineering, A use case driven approch, Harlow, Addison-Wisley, 1992.
223
Capitolo 5
approfondisce le questioni generali degli scenari, in quanto la
rappresentazione delle problematiche d’interazione è più
formalizzata.
Per costruire dei casi d'uso adeguati alle attività delle persone
bisogna capire, prima di tutto, quali sono gli attori principali in ogni
attività. Un caso d'uso ha come protagonista un attore che svolge
delle operazioni attraverso il sistema per raggiungere un suo
determinato obiettivo. Ogni finalità dell’attore rappresenta un
potenziale caso d’uso. Ad ognuno corrisponde una discussione con
più persone in cui sono specificati direttamente gli elementi fisici che
contraddistingueranno il prodotto nella sua versione definitiva.
224
Tecniche del processo U.C.D.
5.3.4 Essential use case
La tecnica è stata proposta da Constantine e Lockwood per
rispondere alle carenze informative emerse nell’utilizzo di scenari
e/o casi d’uso.7 Gli essential use case, anche se presentano
descrizioni più generiche rispetto alle storie proposte negli scenari,
hanno una validità più empirica nella progettazione dei prodotti. La
struttura di un essential use case è definita, infatti, da tre componenti:
un nome che è l’obiettivo principale dell’utente, una descrizione di
tutte le azioni che l’utente deve eseguire e un elenco delle
responsabilità del sistema in ognuna. A differenza dei casi d’uso, che
delineano gli attori principali nelle attività, un essential use richiede
la specificazione dei ruoli fondamentali dell’interazione. Ciò
consente a livello metodologico una flessibilità maggiore, poiché il
concetto di ruolo fa riferimento esclusivamente ad un termine di
posizione che può essere ricoperto da diverse persone così come dal
sistema interattivo in momenti differenti. Gli essential use case
hanno, inoltre, un ulteriore vantaggio: proponendo una suddivisione
generica tra le azioni svolte dall’utente e quelle a carico del sistema,
chiariscono come saranno ripartiti i compiti in ogni attività
dell’interazione. Queste informazioni sono fondamentali per le
7 Per approfondimenti, L. Constantine, L. Lockwood, Software for Use: A Practical Guide to the Models and Methods of Usage Centered Design, Addison Wesley, 1999.
225
Capitolo 5
attività di allocazione dei task ove si stabiliscono i comandi da
implementare nel funzionamento del sistema e quelli da far gestire
agli utenti.
5.3.5 Analisi dei task
L'espressione fa riferimento ad un insieme generico di tecniche
utilizzate per investigare sia i processi cognitivi che le azioni fisiche
compiute dalle persone. La versione più diffusa è l'analisi gerarchica
dei task (HTA Hierarchical Task Analysis) che descrive in una
rappresentazione schematica l’insieme dei compiti che il sistema
deve eseguire per raggiungere gli obiettivi degli utenti. La tecnica
suddivide le attività in diversi compiti e sotto compiti; ognuno è
raggruppato in modo tale da evidenziare relazioni e condizioni per
termine il compito. L'analisi gerarchica dei task si concentra sia sulle
azioni che si riferiscono all’interazione tra il sistema e l’utente che
sulle informazioni correlate ai contesti di utilizzo. Tuttavia il punto
di partenza dell’analisi è l'obiettivo dell'utente, da cui dipendono le
condizioni e le modalità con cui verranno eseguiti i compiti. Altre
tecniche utilizzate per gerarchizzare i compiti sono i modelli GOMS
(Goal, Operations, Methods e Selection rules) che consentono anche
di modellizzare le attività delle persone attraverso standard di
performance su singole operazioni.
226
Tecniche del processo U.C.D.
5.3.6 Task allocation
Capire i task del sistema è uno degli aspetti fondamentali per la
specificazione del modello concettuale del prodotto; la task
allocation (o allocazione dei compiti) decide quali operazioni
saranno a carico del sistema e quali, invece, sotto la responsabilità
delle persone. Queste scelte sono strettamente correlate alla natura
delle attività degli utenti e alla comprensione dei contesti d’uso in cui
il prodotto andrà ad operare. Con la task allocation si stabiliscono,
inoltre, le funzioni da integrare nella struttura hardware e quelle
invece supportate dal software. I diversi compiti da configurare
possono avere poi una relazione temporale, per cui uno deve essere
fatto prima di un’altro oppure devono svolgersi in parallelo. Queste
situazioni pongono dei vincoli d’uso o comunque una certa
strutturazione dei task da considerare nella progettazione fisica delle
interfacce.
5.4 Tecniche di progettazione
Aiutano i designer nella realizzazione empirica di ogni dettaglio
delle interfacce (figura 5.4). Servono a fissare, a partire da
conoscenze teoriche o da esperienze già acquisite in altri progetti,
una serie di priorità del processo in grado di guidare nello sviluppo di
ogni elemento (widget) delle interfacce permettendo la comparazioni
227
Capitolo 5
tra soluzioni alternative. Nelle prossime sezioni sono approfondite le
principali norme nello sviluppo del design di un’interfaccia.
5.4.1 Principi di design
I principi di design derivano dalla teoria e sono informazioni
rispettose dei modi in cui opera la cognizione umana. Hanno un
ampio grado di astrazione ed un vasto dominio applicativo. Per
questo motivo guidano la progettazione e rappresentano il modo
228
Tecniche del processo U.C.D.
migliore per implementare le conoscenze sul modo di agire degli
esseri umani ai modelli concettuali dei prodotti.
I principi di design sono delineati nelle ricerche di ergonomia ed
usabilità discipline che più che interessarsi alla sviluppo materiale
degli artefatti forniscono una serie di suggerimenti teorici per
valutarli. Norman nel suo libro La caffettiera del masochista
identifica alcuni principi generali da rispettare nella realizzazione di
qualsiasi prodotto:
- Rendere le cose visibili. Le funzioni di un oggetto
devono essere visibili in modo che l’utente sappia sempre cosa fare e
come farlo. Quando le funzionalità sono evidenti, infatti, gli oggetti
sono più facili da usare. I comandi mal segnalati rendono difficile,
invece, la comprensione dell’artefatto. I problemi di visibilità si
possono presentare in varie forme, per cui i dispositivi devono
consentire di avere sempre un controllo su ogni azione secondo
convenzioni chiare che si riescono a memorizzare facilmente.8
- Fornire feedback. Bisogna fare in modo (con particolar
attenzione negli artefatti cognitivi) che i comandi permettano azioni
in cui sia visualizzato ciò che si è eseguito (figura 5.5);
8 Norman evidenzia come «finora, l’elaborazione grafica è usata più per dare fumo negli occhi che per usi legittimi. Il suo potere è sprecato, ma in questo campo ci sono grandi possibilità di rendere visibili ciò che deve essere visibile (e lasciato coperto quello che è irrilevante)». D. Norman La caffettiera del masochista, traduzione di G. Noferi, Giunti, Firenze, 1997, p. 214.
229
Capitolo 5
l’azione specifica è segnalata all’utente fornendo una informazione
di ritorno che indica che l’operazione è andato a buon fine. Quando,
infatti, non si hanno risultati apparenti si può facilmente concludere
che un’azione non sia stata svolta.9 Fornire feedback è un principio
strettamente collegato al rendere visibili le opzioni disponibili.
- Fornire vincoli. Le possibilità di azione in un
determinato compito devono essere vincolanti. Stabilire dei vincoli
9 Come sottolineano Preece, Rogers e Sharp «Sono diversi i tipi di feedback a disposizione di un interaction designer: da quelli uditivi a quelli tattili, verbali, visivi a tutte le combinazioni tra questi». J. Prece, Y. Rogers, H. Sharp, Interaction design, traduzione di Baccigalupo-Fiorani, Milano, Apogeo, 2004, p. 25.
230
Tecniche del processo U.C.D.
serve a chiarire procedure appropriate secondo gli obiettivi
dell’utente, riducendo in questo modo possibilità di commettere
errori. I vincoli possono essere di diversa natura: quelli fisici10
derivano dal modo in cui si usa l’oggetto fisicamente; quelli logici
riguardano la comprensione di come funziona un oggetto; quelli
culturali sono basati su convenzioni apprese nel corso dell’esperienza
e dell’interazione sociale; infine quelli semantici sono riferiti al
significato della situazione e all’insieme di azioni possibili per
raggiungere gli obiettivi.
- Fornire un mapping naturale. Il mapping indica la
relazione fra i comandi, il loro azionamento ed i risultati che
provocano. I problemi di mapping sono numerosi e causano molte
difficoltà nell’utilizzo di un oggetto. Un buon mapping deve
presentare una correlazione naturale tra comando e funzione (figura
5.6). Per fare ciò bisogna stabilire le relazioni tra intenzioni
dell’utente e azioni possibili e tra le sue azioni e gli effettivi risultati
nel sistema; come spiega Norman «un buon design richiede
10 Norman parla delle funzioni obbliganti una forma particolare di vincolo d’uso: «le azioni sono vincolate in modo tale che la mancata esecuzione di un passaggio impedisca il successivo». D. Norman, La caffettiera del masochista, traduzione di G. Noferi, Giunti, Firenze, 1997, p. 149. Questi aspetti pongono una serie di vincoli da considerare soprattutto in fase di task allocation.
231
Capitolo 5
riflessione, pianificazione e consapevole attenzione ai bisogni
dell’utente. E a volte centra l’obiettivo».11
- Fornire affordance. Un oggetto possiede una serie di
caratteristiche in grado di suggerirne il funzionamento. Come precisa
Norman le affordance sono un indizio sull’uso (figura 5.7).
11 D. Norman, (op. cit.), 1997, p. 34.
232
Tecniche del processo U.C.D.
Gli oggetti fisici possiedono affordance reali comprese attraverso la
percezione dei sensi umani (una superficie ruvida per un manico, in
modo da favorire la presa). Gli artefatti cognitivi, invece, hanno
affordance percepite, le quali sono determinate da convenzioni
culturali condivise (il colore rosso evoca urgenza). Il concetto di
affordance, in questi anni, è diventato molto popolare tra i designer,
anche se gli eccessivi utilizzi ne hanno stravolto l’originale carica
concettuale.
233
Capitolo 5
5.4.2 Linee guida
Le linee guida hanno un grado di astrazione medio ed un
dominio applicativo più specifico rispetto ai principi di design. Sono
individuate appositamente per progettare un determinato artefatto e
sono fondamentali per la formulazione dei modelli concettuali. Come
specificato dal termine servono a guidare i designer attraverso
considerazioni derivanti da esperienze già acquisite. Le linee guida
possono avere un livello di dettaglio differente mantenendosi più
vicini ai principi di design oppure specificare norme più pragmatiche
ai progetti da realizzare; in entrambi i casi, tali suggerimenti
richiedono interpretazioni per essere trasformate in direttive di
design. Shneiderman descrive le sue linee guida per la progettazione
di interfacce grafiche:12
- Cercare la consistenza. Bisogna mantenere operazioni
simili per svolgere compiti simili. Un’interfaccia è consistente se
adotta delle regole chiare per facilitare l’apprendimento e l’uso.
Tuttavia in artefatti complessi, che implementano molteplici compiti
ed attività, sarà difficile preservare la consistenza dell’interfaccia in
ogni aspetto.
- Consentire agli utenti abituali di utilizzare
scorciatoie. Gli utenti esperti devono avere la possibilità di eseguire
12 B. Shneiderman, Designing the user interface: strategies for effective human computer interaction, Addison Wesley, 1998.
234
Tecniche del processo U.C.D.
comandi attraverso diversi procedure. Tuttavia, come abbiamo visto
(vedi 4.2.1), fornire più metodi per svolgere una stessa azione o
ancora utilizzare una stessa combinazione di tasti per effettuare
operazioni diverse a seconda dello stato dell’interfaccia porta ad
implementare modalità inutili.
- Fornire un feedback indicativo. Dare spiegazioni utili
agli utenti in grado di far capire realmente quali sono le
problematiche del sistema (vedi 4.2.2). Molte informazioni date per
illustrare determinati eventi (messaggi d’errore, collegamenti
ipertestuali mancanti, ecc.) sono inutili, dunque non hanno un
feedback indicativo.
- Progettare finestre di dialogo per offrire una
chiusura. Le interfacce devono rendere chiaro all’utente, quando
un’azione è terminata. Norman, nei suoi principi generali, indica
come bisogna fornire feedback cioè far capire all’utente lo stato del
sistema ed il risultato effettivo delle sue operazioni.
- Prevenire l’errore oppure offrire un modo per porvi
rimedio. I sistemi interattivi sono strutture aperte in cui è difficile
individuare tutti gli errori funzionali. Le interfacce, per questo
motivo, presentano pulsanti in grado di annullare ogni operazione in
modo che nessuna sia irreversibile.
- Fornire controllo. Come evidenziato in precedenza,
(vedi 2.5.1) gli utenti hanno una maggiore propensione all’utilizzo di
235
Capitolo 5
un dispositivo quando si sentono in posizione di comando. Quando è
lo strumento ad avere maggior responsabilità sulle azioni la voglia di
usarlo cade nettamente. Fornire controllo in un’interfaccia, dunque
aumenta la produttività e la capacità di focalizzarsi sulle proprie
attività.
- Ridurre il carico della memoria a breve. Progettare
interfacce che diminuiscano le cose da memorizzare, cioè dare
opzioni fra cui scegliere invece che far ricordare all’utente le
informazioni da una schermata all’altra. Ciò significa in parole
povere favorire modalità di riconoscimento più che di ricordo. Anche
tale criterio, tuttavia, non è immune da problematiche (vedi 4.2.1).
- Fornire una facile inversione delle azioni. È
strettamente correlato al precedente parametro analizzato; vuole
precisare con ulteriore enfasi, come l’interfaccia deve presentare in
ogni suo stato comandi in grado di annullare ogni operazione.
5.4.3 Guide di stile
Rappresentano delle norme più specifiche rispetto ai principi di
design e alle linee guida visti in precedenza. Le guide di stile si
concentrano solo su determinati aspetti di un artefatto,13 dunque
13 Una delle norme delle guide di stile della Apple Computer nel progetto Macintosh indicava di sostituire le spiegazioni in testo scritto con la presentazione di un’icona sfruttando le versatilità grafiche del Macintosh.
236
Tecniche del processo U.C.D.
hanno un dominio applicativo empirico stabilendo quali soluzioni
fisiche implementare. Per questo motivo sono formulate ad ogni
progetto e non richiedono interpretazioni intermedie, poiché sono già
elementi per il design. Secondo la Mayhew «Le guide di stile
sintetizzano in un unico documento i risultati ottenuti dalla
descrizione del contesto d’uso e dal processo di sviluppo di modelli
progettuali fornendo un supporto puntuale alla realizzazione di ogni
dettaglio del prodotto»14. Sono specificati gli aspetti circa lo stile
dell’interazione (il look and feel), componente che influenzerà
notevolmente qualità e piacevolezza della comunicazione con gli
utenti. Da un altro punto di vista le guide di stile rappresentano anche
strumenti strategici di marketing che differenziano i prodotti in
relazione ai contenuti e all’immagine aziendale, certificando standard
qualitativi e/o caratteristiche esclusive. Per le grandi corporate,
impegnate nella produzione di famiglie di prodotti, sono il mezzo per
implementare caratteristiche affini in ogni progetto abbracciando un
universo di valori, significati, simboli ben definiti per far riconoscere
un’identità stabile (brand). Le più famose guide di stile sono state
espresse a partire dai progetti Macintosh della Apple computer
(1985) o ancora, con il rilascio del sistema operativo Windows
(1992) dalla Microsoft Corporation. In progetti complessi o in altri
14 D. Mayhew, The usability engineering lifecycle, San Francisco, MorganKaufmann, 1999, p. 311.
237
Capitolo 5
più modesti, le guide di stile sono fondamentali per adottare
convenzioni adeguate e riconosciute dagli utenti.
5.4.4 Standard
Gli standard sono certificati da organismi internazionali (ISO) e
specificano una serie di caratteristiche universali da applicare alla
progettazione di qualsiasi artefatto. Si tratta, dunque di un insieme di
criteri riconosciuti a livello internazionale che definiscono la qualità
complessiva del prodotto realizzato. Nella progettazione di sistemi
interattivi gli standard da tenere in considerazione sono:
- ISO 9241. Definisce i requisiti ergonomici per il lavoro
di ufficio con i videoterminali. Si compone di 17 parti,15 ciascuna
delle quali tratta aspetti specifici. Le più rilevanti sono le sezione 10,
11, 14, 15, 16 e 17. La prima è denominata “principi dialogici” (10) e
definisce sette principi che caratterizzano il dialogo uomo-computer:
1. idoneo al compito;
2. autodescrittivo;
15 Sono precisamente le seguenti: 1) introduzione generale; 2) guida ai requisiti dei compiti; 3) requisiti dei visual display; 4) requisiti delle tastiere; 5) requisiti delle postazioni di lavoro e posturali; 6) guida all'ambiente di lavoro; 7) requisiti per i display con riflessi; 8) requisiti per i colori; 9) requisiti per strumenti di input diversi dalle tastiere; 10) principi dialogici; 11) guida all'usabilità; 12) presentazione delle informazioni; 13) manuali utente; 14) dialoghi a menu; 15) dialoghi a comandi; 16) dialoghi a manipolazione diretta; 17) dialoghi form filling. Per approfondimenti, ISO, http://www.uni.com/it/.
238
Tecniche del processo U.C.D.
3. controllabile dall'utente;
4. conforme alle aspettative dell'utente;
5. tollerante agli errori;
6. idoneo alla personalizzazione;
7. idoneo all'apprendimento.
La seconda riguarda i principi di usabilità (11) fornendo un
framework per la progettazione e la valutazione dell'usabilità intesa
come «il grado in cui un prodotto può essere usato da specifici
utenti per raggiungere specifici obiettivi con efficacia, efficienza e
soddisfazione in uno specifico contesto d'uso»16 (figura 5.8).
La (14), Dialogo con menu, fornisce raccomandazioni per il
design ergonomico usate dalla human computer interaction. Tali
suggerimenti coprono la struttura, la navigazione, la selezione e
l’esecuzione delle opzioni, la presentazione dei menu.
La (15), Dialogo con comandi, include direttive riferiti ai
linguaggi di comando sulla struttura e sulla sintassi, la presentazione
dei comandi, considerazioni per l’input e l’output, il feedback e
l’help.
La (16), Dialogo con manipolazione diretta, contiene principi
per il design ergonomico del dialogo a manipolazione diretta di
oggetti, dunque il design di metafore, oggetti e attributi.
16 http://www.uni.com/it/.
239
Capitolo 5
La (17), Dialogo con riempimento di maschera, fa
riferimento al design ergonomico dei dialoghi con riempimento
di maschera (form). Queste raccomandazioni riguardano la
forma e la struttura dell’output delle maschere, l’input e la
navigazione al loro interno.
- ISO 13407. Stabilisce i criteri del processo di
progettazione centrato sull’utente (UCD). Le caratteristiche sono
state già approfondite e discusse (vedi 2.1). Presentiamo, in questa
sezione, un quadro sintetico:
240
Tecniche del processo U.C.D.
1. coinvolgimento attivo degli utenti e comprensione delle
loro caratteristiche e dei compiti che svolgono;
2. una appropriata allocazione delle funzioni tra gli utenti e
la tecnologia;
3. l'iterazione delle soluzioni progettuali;
4. una progettazione multisciplinare.
- ISO 14915. Riguarda la progettazione di interfacce
utente per applicazioni multimediali. Lo standard individua i
principali requisiti ergonomici da rispettare delineando come
applicare gli standard al processo di progettazione. Si suddivide in
tre principali gruppi:
1. 14915-1:2002 [Software ergonomics for multimedia user
interfaces (1): Design principles and framework]
definisce i principi generali di sviluppo delle interfacce
ed i framework da utilizzare spiegando come lo standard
può essere applicato allo produzione di prodotti
multimediali.
2. 14915-2:2003 [Software ergonomics for multimedia user
interfaces (2): Multimedia navigation and control]
chiarisce i principi ergonomici di coerenza, ridondanza,
carico mentale cognitivo, robustezza ed esplorabilità
relativamente alle modalità di navigazione nonché i
controlli di base dei contenuti multimediali.
241
Capitolo 5
3. 14915-3:2002 [Software ergonomics for multimedia user
interfaces (3): Media selection and combination]
stabilisce le modalità di selezione e combinazione tra i
singoli contenuti multimediali, spiegando come media
individuali dovrebbero essere utilizzati e combinati.
5.5 Tecniche di prototipazione
Gli utenti esprimono meglio i loro obiettivi se vedono qualcosa e
iniziano ad utilizzarlo; in queste situazioni, infatti, emergono con
maggiore facilità le problematiche d’interazione o gli errori di
funzionamento dell’artefatto. Mentre le attività che identificano i
bisogni degli utenti, raccolgono dati generici sulle propensioni da
interpretare ed analizzare nella prototipazione sono definite delle
direttive per il design, poiché gli utenti interagiscono con oggetti
fattibili che aiutano a capire, in base alla facilità con cui l’artefatto
raggiunge gli obiettivi, come deve essere fatto e il modo in cui
funzionare. Le tecniche di prototipazione, inoltre, aiutano i designer
ad ideare e a valutare proposte alternative. Di solito nell’attività di
prototipazione si adottano due diverse strategie (figura 5.9). Con
quella verticale si costruiscono prototipi ad alta definizione che
implementano durante il processo le funzionalità dell’oggetto con
diverse verifiche e modifiche fino a diventare il prodotto finale; nella
prototipazione orizzontale, invece, sono usati dei modelli a bassa
242
Tecniche del processo U.C.D.
definizione che rappresentano delle versioni molto elementari, in cui
si testano solo alcuni aspetti del prodotto. I prototipi sono gettati man
mano che si verificano le caratteristiche e problematiche specifiche.
5.5.1 Prototipazione low-fi
Il prototipo low-fi (o a bassa definizione) è una versione molto
parziale del prodotto che ne semplifica il funzionamento in modo da
243
Capitolo 5
capirne meglio alcuni aspetti. Sono utilissimi nella progettazione
concettuale di un artefatto, quando si vogliono testare rapidamente
determinati elementi che contraddistingueranno l’interazione con
l’utente. Ma sono fondamentali anche nella fase della progettazione
fisica del prodotto, poiché la semplicità con cui sono generati
permette di considerare per ogni aspetto diverse soluzioni alternative
di design. Inoltre il loro impiego non richiede spese ulteriori nei
budget del progetto.
5.5.2 Prototipi su carta: schizzi e storyboard
La maggior parte dei prototipi a bassa definizione si basa
sull’utilizzo di schizzi, cioè rappresentazioni elementari, che
investigano su alcune caratteristiche in relazione alla natura delle
attività e dei contesti d’uso. Uno storyboard è formato da un insieme
di schizzi o schemi che individuano come gli utenti portano a
compimento un ipotetico task utilizzando più strumenti (figura 5.10).
Gli storyboard sono combinati di solito agli gli scenari d’uso, poiché
ne arricchiscono i dettagli narrativi fornendo all’utente la possibilità
«di calarsi in un gioco di ruolo con il prototipo, interagendo con
esso passo passo».17
17 J. Preece, Y. Rogers e H. Sharp, Interaction design, traduzione di Baccigalupo-Fiorani, Milano, Apogeo, 2004, p. 261.
244
Tecniche del processo U.C.D.
5.5.3 Prototipi su video: mago di oz
Sono realizzati con il supporto di schermi video e prevedono un
grado di definizione maggiore rispetto ai prototipi su carta. Nella
tecnica del “mago di oz” la prototipazione avviene attraverso delle
versioni parzialmente funzionanti del software. Gli utenti hanno
l’opportunità di valutare dei prototipi molto simili alle versioni
definitive dei prodotti. Il sistema, tuttavia, presenta solo l’interfaccia
grafica nella sua veste ultima, poiché il funzionamento del sistema
avviene mediante un altro computer comandato da un operatore
umano (cioè il mago). La persona è esperta per cui attraverso uno
245
Capitolo 5
specchio monodirezionale osserva l’input dell’utente simulando la
risposta del sistema. La tecnica di prototipazione giunge a
valutazioni più veritiere rispetto agli storyboard, poiché l’interazione
tra il sistema e l’utente avviene senza alcun elemento di disturbo in
grado di condizionare scelte, comportamenti ed atteggiamenti delle
persone.
5.5.4 Prototipazione hi-fi
I prototipi ad alta fedeltà utilizzano soluzioni identiche nei
materiali, nel funzionamento, a quelle dei prodotti finali. Molti
richiedono l’impiego di appositi software (Flash, Visual Basic, ecc.)
che riescono a fornire ai prototipi tutti i dettagli specifici. Nonostante
siano molti vantaggi nell’utilizzo di modelli hi-fi adottare questi
metodi richiede la risoluzione di numerose questioni preliminari: in
primo luogo ci sono dei tempi e dei costi considerevolmente
maggiori rispetto ad un prototipo a bassa definizione. In secondo
luogo la complessità delle strutture realizzate, che si trasformeranno
nel prodotto finale, può far emergere una certa riluttanza a proposte
alternative di design; infine ogni bug di un prototipo mette a rischio i
risultati di intere sessioni di valutazione.
246
Tecniche del processo U.C.D.
5.5.5 Prototipi su computer: i software
È diventato il modello fondamentale di prototipazione grazie alla
prolificazione di strumenti software e ambienti di sviluppo
interattivi. In questo caso gli utenti interagiscono con delle versioni
funzionanti che svolgono i compiti simulando il reale processo
d’interazione con le persone ed il funzionamento dell’artefatto. I
software consentono, inoltre, di adoperare i prototipi per valutare le
performance degli utenti in riferimento ai task da eseguire. Si
raccolgono così un insieme di feed-back quantitativi18 circa le loro
attività e gli obiettivi associati, informazioni utili per la
comprensione dell’usabilità del prodotto e per l’eventuale ri-
definizione di requisiti e modelli concettuali.
5.6 Tecniche di valutazione
Nella progettazione centrata sull’utentele attività di valutazione
rappresentano operazioni cicliche riproposte continuamente nel corso
del processo. Coinvolgono gli utenti reali e/o le persone esperte; le
metodologie utilizzate possono richiedere dei punti di vista personali
oppure giungere ad interpretazioni di gruppo. Una comparazione tra i
diversi metodi è proposta nella figura 5.11.
18 Come osserva Raskin «senza una guida quantitativa, non è possibile avere un’idea oggettiva della qualità di ciò che si sta realizzando, nè di quanto sia possibile migliorarlo». J. Raskin, (op. cit.), 2003, p. 105.
247
Capitolo 5
La scelta dei criteri da adottare è comunque strettamente correlata ai
metodi adottati all’inizio della progettazione per la raccolta,
l’interpretazione e l’analisi dei dati. Nelle sezione successive le
tecniche di valutazione sono presentate secondo il grado di
coinvolgimento dell’utente: il primo gruppo (valutazione euristica e
cognitive walkthrough) è formato da approcci che richiedono
248
Tecniche del processo U.C.D.
esclusivamente persone esperte; il secondo gruppo (valutazione
collaborativa, valutazione partecipativa) si basa sulle valutazioni
degli utenti reali; infine l’ultimo insieme (GOMS, keystroke level,
legge di Fits) di tecniche non coinvolge alcuna figura, poiché si
poggia su inferenze induttive della progettazione ricavate attraverso
la modellizzazione delle attività umane.
5.6.1 Valutazione euristica
La valutazione euristica rappresenta uno dei metodi più rapidi
per stimare l’usabilità di un sistema. La tecnica richiede l’intervento
di persone esperte che stabiliscono delle euristiche (vedi 1.5) da
testare.
Gli esperti vantano una buona conoscenza sia dei principi generali
del design sia delle caratteristiche specifiche del prodotto che si
vuole valutare. L’approccio è stato sviluppato da Nielsen e si
compone di tre passi fondamentali: 19
- Sessione di briefing. Gli esperti sono informati sui
principali obiettivi da raggiungere nella sessione di valutazione.
Vengono fornite delle istruzioni sui compiti, sulle problematiche di
19 R. Bias, The pluralistic usability walkthrough-coordinated empathies, in Nielsen e Mack (a cura di ), in Usability Inspection Methods, New York, John Wiley & Sons, 1994.
249
Capitolo 5
usabilità e sulle modalità della valutazione in modo da arrivare alla
codifica di una griglia di euristiche da testare.
- Periodo di valutazione. In un arco di tempo prefissato
gli esperti vengono lasciati liberi di analizzare il prodotto svolgendo
dei task ed utilizzando le euristiche elaborate in precedenza, come
linee guida della valutazione, in modo da quantificare l’usabilità
generale del sistema in ogni compito.
- Sessione di debrifing. Dopo aver testato i prodotti
secondo i task stabiliti, gli esperti discutono i risultati scambiandosi
opinioni e stabilendo le problematiche condivise da migliorare nelle
versioni successive dei prodotti.
5.6.2 Cognitive walkthrough
Anche la simulazione cognitiva (cognitive walkthrough) richiede
una valutazione di persone esperte. A differenza però del metodo
delle euristiche «il cognitive walkthrough si basa sulla simulazione
del processo di problem solving di un utente in interazione con un
sistema per valutare se i suoi obiettivi e le risorse cognitive
necessarie per svolgere l’azione lo condurranno alla successiva
azione corretta»20. Ciò significa che le caratteristiche del sistema non
sono valutate su euristiche determinate a priori, ma in base alla
20 J. Nielsen J, e R. Mack, Usability Inspection Methods, New York, John Wiley & Sons, 1994, pag. 6.
250
Tecniche del processo U.C.D.
semplicità dei modelli d’interazione nel regolare il funzionamento e
la comunicazione con l’utente.
La tecnica si basa sui presupposti del modello
dell’apprendimento esplorativo21 che evidenzia come gli utenti
inesperti comprendono più facilmente se hanno possibilità di
esplorare le funzionalità di un artefatto. In questo caso, dunque non
sono considerati gli aspetti principali dell'usabilità, ma piuttosto
viene simulato il processo di interazione del sistema con l’utente. Gli
esperti stabiliscono a livello cognitivo un flusso di interazione
coerente motivando gli obiettivi dell’utente. Ad ogni azione delle
persone corrisponde una stima delle difficoltà che possono
incontrare. I passi fondamentali della tecnica sono i seguenti:
- Identificazione e documentazione. Dopo aver chiarito
il target potenziale a cui è rivolto il prodotto si precisano le
caratteristiche dell’utente medio e si determinano i task adatti a
valutare l’interazione ed il funzionamento del sistema;
- Conduzione dell’analisi. Sono evidenziati i criteri
condivisi dagli esperti con cui arrivare a delle prime interpretazioni.
Si determinano, inoltre, i metodi per analizzare i dati raccolti che
21 C. Wharton, J. Rieman, C. Lewis, P. Polson, The cognitive walkthrough method: a practitioner’s guide, in Nielsen J. e Mack R. L. (a cura di ), in Usability Inspection Methods, New York, John Wiley & Sons, 1994.
251
Capitolo 5
sono manipolati dagli esperti per verificare quanto incide ogni
singolo fattore sulle problematiche di interazione (vedi 2.7.2);
- Esecuzione delle sequenze di azioni. Si passa alla
simulazione dell’interazione specificando la consequenzialità delle
azioni dell’utente per raggiungere l’obiettivo, dunque le procedure da
eseguire per ogni task nel contesto di uno scenario d’uso tipico;
- Analisi a posteriori. Dopo aver simulato l’interazione,
si considerano le soluzioni da implementare per migliorare la
comunicazione con l’utente. L’analisi degli esperti si conclude con
l’elaborazione di un rapporto che contiene i suggerimenti per porre
rimedio agli errori principali del sistema.
5.6.3 Valutazione cooperativa
La tecnica sviluppa forme di elevata collaborazione tra gli utenti
reali e i team di design. Riesce a stimare i problemi di usabilità
concentrandosi sul modo reale in cui operano le persone,
permettendo una maggior facilità nell’elaborazione di proposte
alternative. Gli utenti sono chiamati a svolgere un numero di compiti.
Durante le operazioni, un moderatore li sollecita ad esprimere
osservazioni ad alta voce registrate con supporti audio-visivi per
analizzare successivamente gli spunti più interessanti e le
problematiche comuni. La valutazione cooperativa può rivelare in
modo rapido ed economico un consistente numero di difetti di
252
Tecniche del processo U.C.D.
usabilità a partire dal coinvolgimento di un piccolo campione di
utenti. La facilità con cui è esercitata l’indagine ne fa un metodo
applicabile in ogni attività del processo di progettazione: dalla
definizione dei requisiti dei sistemi alla progettazione concettuale,
dalla valutazione dei prototipi al design dei dettagli. Nella
valutazione cooperativa, però vi è possibilità di raccogliere
informazioni soltanto coinvolgendo poche persone, per cui la tecnica
si rivela insoddisfacente in tutte quelle indagini che richiedono
analisi su campioni di utenti vasti, poiché il target a cui è destinato il
prodotto è molto ampio.
5.6.4 Valutazione partecipativa
La valutazione partecipativa rappresenta una tecnica
fondamentale nei processi basati su metodologie di design
partecipativo che coinvolgono direttamente l’utente nella fase di
progettazione delle strutture. Anche questo metodo può essere
utilizzato in varie fasi del processo; la sua applicazione richiede
necessariamente un certo numero di iterazioni, poiché le competenze
degli utenti non sono le stesse di quelle dei progettisti. La
valutazione si compone di due fasi. In un primo momento gli utenti e
i team di design/sviluppo si incontrano stabilendo un insieme di task
esemplificativi da valutare. Gli utenti poi sono lasciati all’esecuzione
delle operazioni, mentre i designer osservano. Nella seconda fase,
253
Capitolo 5
utenti e sviluppatori si riuniscono e discutono i risultati attraverso dei
focus group strutturati, in cui sono chiarite le principali
problematiche dell’interazione. Alla fine del dibattito le informazioni
raccolte sono analizzate secondo diversi indicatori,22 in grado di
valutare la soddisfazione dell’esperienza degli utenti.
5.6.5 Valutazione qualitativa dell’esperienza
Il metodo può condurre ad una valutazione sull’esperienza d’uso
degli utenti senza utilizzare ingenti risorse finanziarie, come nelle
ricerche quantitative che coinvolgono molte persone. Gli utenti
interagiscono liberamente con i prodotti nei loro ambienti d’uso,
mentre i designer annotano errori, capiscono la qualità
dell’interazione, segnalano come il sistema reagisce agli input e
quanto il funzionamento sia adeguato ai contesto d’uso. I dati
raccolti sono successivamente analizzati dai team di esperti che
preparano e conducono delle sessioni di interpretazione per capire
quanto l’esperienza degli utenti sia affine ai loro obiettivi. Attraverso
22 I più utilizzati sono il SUMI (Software Usability Measurement Inventory) ed il WAMMI. Il primo è stato sviluppato dalla Human Factors Research Group dell’università di Cork, che prevede, oltre ad un questionario, una specifica applicazione (SUMISCO) per l’analisi dei dati. Gli indicatori della soddisfazione sono: piacevolezza (affect), efficienza, controllo, idoneità all’apprendimento (learnability), e capacità di aiuto (helpfulness). WAMMI è uno strumento simile a SUMI, per la valutazione, ad esempio, nell’uso di un sito web. A differenza del primo, questo può però essere utilizzato on-line, direttamente dal sito da valutare.
254
Tecniche del processo U.C.D.
la valutazione qualitativa, dunque i team di sviluppo/design
acquisiscono informazioni sulle necessità delle persone
approfondendone i contesti d’uso.
È una tecnica fondamentale per i prodotti destinati a mercati
specifici, dunque ad un numero di stakeholder molto limitato. Anche
poche persone, in questo caso, possono costituire un campione
rappresentativo in grado di fornire informazioni sulla qualità
dell’esperienza d’uso. L’applicazione del metodo, invece, per
prodotti di più ampia diffusione richiede necessariamente
l’integrazione con altre tecniche di natura quantitativa, in grado di
arrivare a valutazioni coinvolgendo un numero di persone maggiore.
5.6.6 Valutazione quantitativa dell’esperienza
Il metodo consente un’analisi dettagliata dell’esperienza
dell’utente utilizzando un campione molto ampio. La valutazione
quantitativa coinvolge un campione consistente delle persone a cui è
destinato il prodotto. L’analisi non viene esercitata nei contesti
d’uso, ma in situazione di laboratorio. Durante la sessione di test, gli
esperti misurano le performance delle persone, registrano con
supporti audiovisivi i compiti svolti dagli utenti, comprendendo quali
sono le problematiche maggiori. In seguito i dati sono discussi,
interpretati e analizzati individuando le caratteristiche da migliorare.
255
Capitolo 5
La tecnica, pur rappresentando un supporto efficace alla
valutazione dell’esperienza, pone almeno due problematiche
principali: in primo luogo bisogna scegliere determinati aspetti da
valutare, poiché non osservare l’utente nelle sue operazioni reali
richiede la definizione di una serie di task stabiliti a priori dai team di
sviluppo/design. Per questo motivo, i compiti scelti potrebbero
rivelarsi poco attinenti alle reali problematiche delle persone. In
secondo luogo, il contesto artificiale (i laboratori) può portare a degli
atteggiamenti volontariamente o involontariamente elusivi da parte
delle persone, fattori che rappresentano una distorsione per
l’indagine. A questi svantaggi di natura metodologica si devono
aggiungere poi i costi, dunque le ingenti risorse che l’applicazione
del metodo richiede nelle spese del progetto.
5.6.7 GOMS
A differenza dei metodi discussi sino ad ora le tecniche
analizzate in queste sezioni rappresentano forme di valutazione che
danno informazioni sulle performance degli utenti senza bisogno di
alcun test effettivo sulle persone. I metodi predittivi sono importanti,
quando non è possibile coinvolgere utenti e stakeholder oppure in
quei progetti in cui è necessaria una valutazione semplice, rapida e
continua delle strutture realizzate. Il GOMS (Goal, Methods,
Operators e Selection rules) è un termine generico con cui si vuole
256
Tecniche del processo U.C.D.
intendere una famiglia di metodi di valutazione. Il modello GOMS è
la tecnica impiegata nei primi anni Ottanta da Card, Moran e Newell
per la descrizione e l’analisi dei processi cognitivi coinvolti
nell’interazione tra un utente ed un sistema interattivo.23 La sua
applicazione richiede l’individuazione di:
- Obiettivi. Si individuano gli scopi e le motivazioni
dell’utente nell’utilizzare il sistema, dunque le azioni principali da
eseguire per raggiungere i suoi obiettivi; per ognuno sono analizzate
le sequenze di azioni necessarie;
- Operatori. Sono i processi cognitivi umani che si
attivano nell’interazione con il sistema e le azioni fisiche che devono
eseguite per svolgere un compito. La differenza tra un operatore ed
un obiettivo è data dal fatto che il primo si esegue, mentre il secondo
si ottiene;
- Metodi. Rappresentano le procedure apprese per
l’esecuzione del compito. I metodi sono sequenze automatiche di
azioni memorizzate in seguito all’esperienza maturata in una
determinata attività (ad esempio schiacciare il tasto invio per andare
a capo);
- Regole di selezione. Fanno comprendere quale metodo
viene scelto, quando c’è ne sono diversi per giungere ad uno stesso
23 S. Card, T. Moran e A. Newell, The psycology of Human Computer Interaction, Hillsdale NJ, Lawrence Erlbaum Associates, 1983.
257
Capitolo 5
obiettivo (come ad esempio cliccare un menù con il mouse oppure
schiacciare un tasto funzionale dalla tastiera).
5.6.8 Keystroke level
Anche questa tecnica sviluppata da Card, Moran e Newell risale
ai primi anni Ottanta.24 A differenza del modello GOMS, il keystroke
level consente non solo di descrivere e modellizzazione le attività
degli utenti, ma di stabilire stime quantitative sulle loro
performance.25 I vari compiti sono comparati secondo il tempo
necessario per compierli; queste rapide informazioni orientano
facilmente i team di sviluppo/design nella considerazione di
eventuali soluzioni alternative.
Ai pregi si contrappongono, inevitabilmente, le problematiche
legate all’utilizzo di tecniche di natura quantitativa: in prima analisi è
difficile stabilire quale sia il tempo standard impiegato da un utente
per prepararsi mentalmente ad una determinata azione fisica; in
secondo luogo, l’intervallo di tempo fissato come riferimento per
ogni operazione sarà inevitabilmente poco sensibile alle
caratteristiche individuali che differenziano ogni persona. Perciò i
modelli predittivi come il GOMS o il keystroke level, servono
24 S. Card, T. Moran e A. Newell, (op. cit.), 1983. 25 J. Raskin, Interfacce a misura d’uomo, traduzione di W. Vannini, Milano, Apogeo, 2003, p. 83.
258
Tecniche del processo U.C.D.
esclusivamente a fare previsioni sulla base di comportamenti
attendibili. Le tecniche, dunque sono da integrate con altre
metodologie in grado di approfondire le caratteristiche reali degli
utenti ed i contesti d’uso in cui vengono svolte le attività.
5.6.9 Legge di Fitt
La legge di Fitt26 stabilisce il tempo necessario a raggiungere un
bersaglio utilizzando un sistema di puntamento come il mouse
(figura 5.12).27 Serve a valutare in maniera semplice e veloce le
caratteristiche dell’interazione attraverso tre variabili principali:
- Tempo. Rappresenta l’intervallo che intercorre tra
l’azione fisica dell’utente sul sistema di puntamento ed il momento
in cui viene raggiunto il bersaglio prefissato;
- Distanza. Fa riferimento allo spazio fisico che distanzia
la mano della persona dal bersaglio dello schermo;
- Dimensione del bersaglio. Specifica le dimensioni
fisiche dell’obiettivo da raggiungere sullo schermo.
26 P.M. Fitts, The information capacity of the human motor system in controlling amplitude of movement, Journal of Experimental Psychology, pp. 381-391. 27 Per approfondimenti, J. Raskin, (op. cit), 2003, p. 105.
259
Capitolo 5
In sostanza la legge di Fitt stabilisce che più le dimensioni di un
bersaglio sono grandi, più aumenta la facilità dell’utente nel
raggiungere il suo obiettivo. Queste informazioni sono da
considerarsi nella progettazione di ogni elemento dell’interfaccia
grafica, poiché precisano la collocazione spaziale degli oggetti
grafici nello schermo aiutando i designer a capire come disporre ogni
elemento in relazione l’uno all’altro.
260
261
Capitolo 6
Unificazioni: le bacheche interattive
6.1 Premessa
L’applicazione proposta ha l’obiettivo di rendere la sede di via
Salaria 113 più interattiva mediante l’adozione di un sistema di
terminali innovativi. È concepito per emulare le funzionalità delle
bacheche cartacee (figura 6.1) mirando però a sostituire tali supporti,
262
Unificazioni: le bacheche interattive
che possiamo definire “dump” con dispositivi “smart” in grado, cioè,
di acquisire e fornire informazioni aggiornate integrando le capacità
del sito web in un sistema software concepito per gli ambienti d’uso
degli utenti.
6.2 Analisi del problema
La situazione strutturale odierna evidenzia una scarsa capacità di
comunicazione tra gli utenti e la facoltà; le persone che sono state
coinvolte nell’analisi per la definizione delle necessità degli utenti
lamentano forti lacune nei servizi di informazione, orientamento e
tutoraggio; in particolare si hanno difficoltà nel trovare news e più in
generale una incapacità di ottenere, all’interno della sede, notizie in
tempo reale. L’insufficienza e l’inadeguatezza, infatti dei terminali
per collegarsi al sito (circa due per ogni piano) mal segnalati e mal
ubicati, (figura 6.2) rendono operazioni quotidiane per la didattica
(iscrizioni a corsi o prenotazioni ad esami) procedure lente e
faraginose con tempi di attesa interminabili. Anche l’aula
informatica in cui ci si collega in rete internet contiene pochi
computer rispetto alla mole del profilo d’utenza (circa 15.000 iscritti
tra facoltà di Scienze della comunicazione e facoltà di Sociologia).
Le bacheche interattive mirano a migliorare la fruibilità degli
ambienti d’uso coniugandone funzionalità di elaborazione e
comunicazione.
263
Capitolo 6
Aumentando il numero dei terminali, la qualità dei contenuti e
dei servizi si può rendere più performante ogni attività di docenti e
studenti favorendo, dunque una permanenza ottimale nella sede.
264
Unificazioni: le bacheche interattive
6.3 Obiettivi del progetto
I principali obiettivi del progetto sono:
- Migliorare l’efficienza formativa ed informativa della
facoltà con supporti di nuova generazione in grado di rendere le
attività più flessibili attraverso caratteristiche hypermediali,
multimediali ed interattivi. Ciò significa, sostanzialmente, integrare
modi alternativi di comunicare e condividere informazioni nella sede
di via Salaria 113 per restituire più produttività ad ogni operazione;
- Facilitare la visualizzazione di notizie importanti ai fini
della vita didattica, sociale e culturale, relative al mondo della
comunicazione e a tutte le attività sponsorizzate dalla facoltà; fornire
in tempo reale dati aggiornati sulle attività presenti nella sede; creare
un sistema in grado di indicizzazione le notizie ed aiutare nella
ricerca di news ormai catalogate che consenta sia l’inserimento che
lo scaricamento dei dati. Tali supporti costituiranno una guida anche
per i professionisti interni/esterni alla facoltà, impegnati in specifici
eventi (convegni, conferenze, workshop) della sede.
- Incrementare il numero dei terminali a disposizione degli
studenti. Dalle analisi emerge che non tutti possiedono un
abbonamento privato ad Internet da casa; una piccola percentuale del
campione non ha neanche un computer proprio. La disposizione dei
terminali in facoltà non considera tali fattori, anzi, la maggior parte
dei computer sono collocati nelle stanze dei docenti o del personale
265
Capitolo 6
amministrativo, punti d’accesso limitati per la maggior parte degli
studenti.
6.4 Descrizione dei profili d’utenza
Il sistema interattivo si rivolge agli studenti della facoltà di
Scienze della Comunicazione di Roma università La Sapienza che
rappresentano il profilo d’utenza principale. Tuttavia, (vedi 2.3)
l’individuazione del target rivela numerose figure professionali
(docenti, persone amministrativo, personale esterno, ecc.) che non
rientrano nella categoria d’analisi considerata, pur essendo
influenzate nelle attività e nel modo in cui le svolgeranno, dalle
funzionalità innovative del prodotto. Utilizziamo, dunque un
ulteriore profilo d’utenza per indicare l’insieme generico degli
stakeholder.
6.4.1 Utenti primari
Gli utenti primari sono stati suddivisi in tre categorie
corrispondenti a profili più specifici:
- Studente matricola. Iscritto al primo anno in corso;
- Studente quinquennale/triennale. Iscritto ad anni
successivi al primo. Rientrano in tale categoria anche gli studenti
Erasmus;
266
Unificazioni: le bacheche interattive
- Studente specialistica. In possesso di laurea di base ed
iscritto ad un corso di laurea specialistica.
6.4.2 Stakeholder
L’insieme di stakeholder è rappresentato dalle figure
professionali che, pur contribuendo attivamente alla vita quotidiana
della facoltà, non hanno lo status di studenti. Anche per questo
gruppo sono stati descritti profili più specifici:
- Docenti, assistenti e collaboratori di cattedra. Sono
inclusi sia i docenti a contratto, ordinari ed esterni sia la totalità delle
persone che hanno il compito di fornire orientamento e tutoraggio da
un punto di vista esclusivamente didattico.
- Personale amministrativo. Si tratta di una categoria
molto ampia in cui rientrano diverse figure: preside, segretari/e,
personale per informazioni in sede.
- Personale esterno. Anche questo profilo rimane ampio:
ci sono le persone che intervengono in stage, convegni, eventi e
seminari; altre categorie sono gli addetti alla sorveglianza e alla
sicurezza ed i vari operatori che intrattengono rapporti commerciali
con la facoltà.
267
Capitolo 6
6.5 Interviste aperte per la raccolta dei dati
Le interviste sono state condotte nei contesti d’uso della sede di
via Salaria 113 utilizzando, dunque metodologie d’analisi qualitative.
L’osservazione si è concentrata sulle modalità con cui gli studenti,
attraverso i terminali presenti in ogni piano o l’aula informatica del
piano terra, si iscrivono ai corsi e agli esami oppure visualizzano
informazioni sulla didattica (orari, news, ecc.). Si è proceduto in due
modi alternativi: in alcuni casi, la forma dell’intervista è stata
totalmente aperta, per cui ci si è limitati ad osservare l’utente senza
interventi che potevano influenzarne le prestazioni per poi
intraprendere delle discussioni informali su eventuali miglioramenti
nelle procedure. Altre volte le interviste erano più strutturate
(semiaperte), dunque si richiedeva agli utenti di svolgere le
operazioni e di valutarne l’efficacia rispetto agli obiettivi preposti in
tale attività. I dati raccolti con i due metodi sono stati incrociati per
capire, se e quanto, la presenza diretta dell’intervistatore (modalità
che riguarda esclusivamente la seconda forma di intervista)
condizionasse le operazioni reali degli utenti. I risultati sembrano in
entrambi i casi abbastanza comuni ed il disturbo è stato poco
percepito o addirittura nullo; ciò ha consentito di interpretare i dati in
modo univoco come vedremo di seguito.
Dopo le interviste sono stati illustrati gli obiettivi del progetto,
accolto favorevolmente dalla maggior parte delle persone intervenute
268
Unificazioni: le bacheche interattive
d’accordo sui vantaggi di disporre, negli ambienti d’uso della sede di
via Salaria 113, di numerose postazioni interattive accessibili
liberamente a tutti e di un servizio di informazioni in tempo reale
contenente news didattiche e info relative a uffici, capace di ospitare
qualsiasi notizia su avvenimenti interni ed esterni alla facoltà
strettamente correlati alla didattica e al mondo professionale della
comunicazione.
6.6 Focus group per l’interpretazione dei dati
Il numero limitato di persone coinvolte nella raccolta, nell’analisi
e nell’interpretazione dei dati (15 utenti) ha consentito di utilizzare
metodologie qualitative che approfondiscono meglio le motivazioni,
gli atteggiamenti e gli obiettivi delle persone associati in un’attività e
le caratteristiche dei contesti d’uso in cui tali procedure vengono
svolte. Dopo aver osservato ed intervistato gli utenti nelle loro
operazioni reali gli studenti sono stati coinvolti in un focus group
(ringrazio tutti per la collaborazione), in cui ognuno ha argomentato
le principali difficoltà nelle operazioni svolte e le opportunità per
migliorarle. Il campione di utenti è stato composto in modo tale da
essere rappresentativo dei profili evidenziati per gli utenti primari. Si
è cercato, soprattutto, di rispettare una consistenza numerica più o
meno simile a quella presente in facoltà, per cui il gruppo risultava
così formato:
269
Capitolo 6
- (4) studenti matricola
- (9) studenti quinquennali/triennali (5 persone del
quinquennale, 4 del triennale)
- (2) studenti laurea specialistica
Il campione era formato da sette ragazzi ed otto ragazze; l’età
media oscillava tra i diciannove anni degli studenti matricola ed i
venticinque degli studenti iscritti alla specialistica. Non c’è stata
possibilità di coinvolgere studenti Erasmus, per cui il campione era
formato esclusivamente da studenti di nazionalità italiana.
La figura del tutor (il sottoscritto), dopo aver considerato i dati
raccolti nelle interviste, ha evidenziato preliminarmente alla
discussione alcune problematiche ricorrenti in grado di indirizzare
meglio i contenuti del dibattito:
- Impossibilità dei supporti presenti nella sede di via
Salaria di fornire rapidamente notizie aggiornate agli utenti;
- Inadeguatezza della qualità del servizio di orientamento
e tutoraggio rispetto alla gran mole di utenti della facoltà;
- Inefficienza dei dispositivi attuali (terminali desktop e
bacheche fisiche) rispetto al panorama emergente delle nuove
tecnologie;
- Incapacità di fruire in modo ottimale negli ambienti
d’uso della facoltà di strutture informative già codificate (si pensi al
sito web).
270
Unificazioni: le bacheche interattive
Nel corso del dibattito la figura del tutor non ha dovuto esercitare
un eccessivo controllo sugli argomenti, poiché le questioni
preliminarmente evidenziate sono state percepite come
problematiche comuni alla maggior parte degli utenti indirizzando il
focus dell’analisi verso una visione condivisa. Dopo aver ascoltato
bisogni e necessità di ogni singolo profilo d’utenza (elencati nella
prossima sezione) nel rapporto finale del focus group sono stati
segnalati quattro macro-problemi:
- insufficienza dei terminali per collegarsi al sito web
della facoltà, dunque, incapacità di interagire all’interno della sede
con lo strumento fondamentale per l’inserimento dei dati
(prenotazioni ad esami, iscrizioni a corsi, ecc.);
- impossibilità di svolgere operazioni banali come lo
scarico (download) di informazioni dal sito della facoltà su
dispositivi propri (pen drive, lettori mp3, fotocamere, ecc.), poiché i
terminali attualmente presenti in sede non hanno porte USB
accessibili agli studenti. (figura 6.3.)
- impossibilità di visualizzare notizie in tempo reale
all’interno della sede; tale disservizio è esemplificato dal
funzionamento delle bacheche (poco aggiornate e con argomenti
necessariamente stringati e limitati, rispetto alle informazioni del sito
web);
271
Capitolo 6
- arbitrarietà delle notizie presenti nelle bacheche fisiche
ed una sistematica incapacità di cogliere in tali spazi le reali esigenze
informative degli utenti, ragioni che ne fanno uno strumento
superfluo e poco rilevante ai fini didattici (figura 6.4).
272
Unificazioni: le bacheche interattive
6.7 Definizione dei bisogni dell’utente
I bisogni degli utenti sono così riassunti:
- Studente matricola. Ricerca aule, lezioni,
ricevimenti senza alcuna conoscenza precedente, per cui non sa come
funziona la struttura e dove può trovare le notizie. Tali studenti non
hanno ancora esigenze specifiche e non richiedono una particolare
disposizione della sede e/o delle informazioni preesistenti. Tuttavia
necessitano di notizie chiare ed univoche che sappiano facilitare la
permanenza e l’esplorazione della facoltà.
273
Capitolo 6
- Studente quinquennale/ triennale. Ricerca aule,
lezioni, ricevimenti ed esami possedendo già un preciso modello
mentale sulla sede. Si prenota agli esami, utilizza il forum del sito di
facoltà per discutere con gli amici, partecipa ai seminari e agli eventi
culturali. Questi utenti richiedono informazioni dettagliate sulla
didattica e sul mondo della comunicazione. Per cui è in tale gruppo
che si evidenzia il desiderio di utilizzare supporti innovativi in grado
di personalizzare i flussi di comunicazione tra facoltà e studenti.
- Studente specialistica. Ricerca aule, lezioni, esami
all’interno della facoltà e news dal mondo del lavoro; vuole
conoscere info sugli eventi esterni di carattere culturale, sociale e
professionale. Anche in questo profilo di utenti, dunque è sentita la
necessità di raccogliere informazioni più dettagliate, in modi
abbastanza rapidi, attraverso canali di comunicazione interattivi in
grado di favorire una maggiore efficienza di ogni attività.
6.8 Descrizione delle attività del sistema
Le attività fondamentali che il sistema deve supportare sono due.
All’interno di tali macro-attività si distinguono compiti e sotto-
compiti più specifici.
- Visualizzazione di informazioni. Fornire agli utenti e
stakeholder un servizio per informarli in tempo reale sulle attività
presenti all’interno e all’esterno della sede di via Salaria 113.
274
Unificazioni: le bacheche interattive
1. News, eventi, seminari ovvero notizie su tutto ciò che
succede all’interno della sede attraverso aggiornamenti
in tempo reale. I contenuti visualizzati saranno una guida
per ogni persona costituendo un punto di riferimento per
la vita didattica, sociale e culturale della facoltà;
2. News, opportunità di lavoro, congressi, workshop,
meeting con aziende, cioè, l’insieme di notizie che
ruotano attorno al mondo della comunicazione e che
riguardano la dimensione esterna alla facoltà.
- Inserimento di dati. Utilizzare supporti che forniscano
elementi di interazione, cioè, in grado di rispondere a precise
richieste dell’utente attraverso l’indicizzazione dinamica dei dati in
entrata e la comunicazione ai database dei server. In questo modo la
maggior parte delle operazioni eseguibili attraverso dispositivi
mono-utente (come il computer di casa) sarebbero riportate o
quantomeno integrate negli ambienti d’uso della facoltà.
1. L’interazione consente anche lo scarico in uscita dei dati,
dunque il download di file contenenti informazioni
generiche sulle attività della facoltà, materiale didattico
messo a disposizione dalle cattedra e qualsiasi altro tipo
di dato che si voglia abilitare al download.
2. Catalogazione e ricerca di news attraverso uno strumento
capace di raggiungere in qualsiasi momento una notizia
275
Capitolo 6
archiviata nei database. Alle possibilità di visualizzare
informazioni in tempo reale si aggiungono, dunque le
capacità di ricercare su ogni tipo di dato.
6.8.1 Scenari d’uso
Esponiamo alcuni possibili scenari d’uso secondo il tipo
d’utenza e le necessità che contraddistinguono ogni profilo con lo
scopo di illustrare ancora meglio i vantaggi del sistema proposto.
- Studente matricola. Lo studente entra dall’ingresso
principale e deve sapere l’ubicazione delle aule, gli orari delle lezioni
e dei ricevimenti dei professori. Le bacheche cartacee poste sotto i
due colonnati, di solito contengono informazioni generiche che non
risultano facilmente fruibili per tale profilo; i display interattivi posti
all’ingresso della sede costituiscono la guida ideale per gli studenti
matricola contenendo indicazioni che fanno giungere ai piani
superiori con informazioni certe sull’ubicazione delle stanze ove si
svolgono lezioni, esami, ricevimenti, ecc.
- Studente quinquennale/triennale. Si reca direttamente
nel posto in cui sono presenti lezioni ed esami o quantomeno sa dove
reperire notizie per raggiungere i suoi obiettivi. Negli archi di tempo
non dedicati alle attività didattiche o nelle pause delle lezioni invia
e-mail al professore, utilizza il forum della facoltà per comunicare
con i suoi amici, scarica materiale didattico utile alla sua tesina
276
Unificazioni: le bacheche interattive
oppure ricerca informazioni su eventi culturali della serata. A
differenza dello studente matricola lo studente
quinquennale/triennale ha una vita sociale ben sviluppata all’interno
della facoltà, per cui utilizza molto di più la sede di via Salaria 113;
perciò i contenuti proposti nel sistema delle bacheche interattive
devono tenere in considerazione tali aspetti.
- Studente specialistica. Anche lo studente della laurea
specialistica ha una precisa conoscenza della facoltà ed effettua le
sue operazioni in modo abbastanza disinvolto. Nelle pause utilizza la
bacheca interattiva per attività simili a quelle del profilo d’utenza
precedentemente descritto. È interessato, però anche alle notizie su
workshop, meeting e stage presenti nel centro congressi e a tutti
quegli eventi che prevedono l’incontro o la collaborazione tra il
mondo dell’imprenditoria e quello dell’università.
6.8.2 Analisi dei task
Lo studente ponendosi in vicinanza di una bacheca interattiva
può avere due diverse motivazioni: visualizzare una serie di
informazioni oppure inserire (o scaricare) dei dati.
Per quanto riguarda la prima attività l’analisi dei task è molto
semplice, poiché non sono previste forme particolari di interazione
tra il sistema e l’utente. La visualizzazione delle notizie, inoltre, che
avviene nello stesso modo per tutte le persone utilizza pagine web in
277
Capitolo 6
cui non è richiesta una particolare personalizzazione dei contenuti.1
L’analisi dei task, in questo caso, contemplerà pochi compiti; il
primo è visualizzare informazioni pertinenti alla data e all’orario; il
secondo è di interrogare e ricevere dai database le notizie
collocandole nell’interfaccia grafica dello schermo secondo i diversi
profili d’utenza.
Nella seconda attività prevista per la bacheca interattiva, l’analisi
dei task diventa più complessa per cui sono utilizzati compiti e
sottocompiti per la descrizione. Tali procedure valgono
indistintamente per le attività di inserimento, scarico e ricerca dei
dati. In tali task, infatti, le capacità richieste al sistema sono
univoche: ovvero acquisire una serie di informazioni in entrata,
attraverso normali tastiere Qwerty e comunicarle ai server per
l’aggiornamento dei dati. I dati di input sono raccolti in un modulo
corrispondente a l’unica area di testo accessibile agli utenti
nell’interfaccia grafica; le espressioni utilizzate dalle persone sono in
parole chiavi (come ad esempio “prenotazione all’esame del prof.
Tizio”). Le informazioni inserite dall’utente sono inviate (primo
sotto-compito) al server. Il client (la bacheca interattiva) li interroga
e riceve una serie di dati in entrata che sono mostrati sullo schermo
(secondo sotto-compito) della bacheca interattiva nell’area riservata,
1 Tranne nella sezione centrale dell’interfaccia grafica, ove, in assenza di interattività con l’utente sono visualizzate le informazioni specifiche di ogni cattedra.
278
Unificazioni: le bacheche interattive
in assenza di interattività con le persone, alla semplice
visualizzazione di informazioni. I risultati corrispondono ad un
insieme di pagine web presentate in maniera sintetica come nei
motori di ricerca, che contengono un collegamento ipertestuale sul
titolo di intestazione per accedere al loro contenuto.
Il sistema a questo punto aspetta nuovamente l’input dell’utente.
Quando uno dei documenti è selezionato, viene aperto nella sezione
centrale dello schermo (terzo sotto-compito) ove in precedenza vi
erano tutti i risultati della ricerca.2 Il documento è compilato
dall’utente ed inviato. Il sistema comunica nuovamente con i server
(quarto sotto-compito) restituendo, però questa volta
un’informazione (l’azione eseguita dell’utente) in entrata al database
che integra nei dati già presenti. Infine (quinto sotto-compito) riporta
la sezione centrale dell’interfaccia grafica alla normale
visualizzazione di notizie.
Per rendere più comprensibile l’analisi dei task nell’attività di
inserimento dati adottiamo un caso d’uso (vedi 5.3.3). Lo studente
Mario Rossi deve prenotarsi all’esame di istituzioni di sociologia.
Raggiunge una bacheca interattiva e digita attraverso la tastiera
l’espressione “prenotazione all’esame del prof. Tizio”.3 Il sistema si
2 Nelle attività di scaricamento dei dati (download dei file) e nella ricerca di notizie già archiviate l’insieme di task terminano in questo punto. 3 Potrebbe digitare naturalmente anche espressioni come “prenotazione all’esame della cattedra di sociologia” o ancora “prenotazione dell’esame
279
Capitolo 6
collega al server richiedendo informazioni presenti nei database.
Nello schermo della bacheca interattiva sono mostrati una serie di
documenti che indicano diverse date d’esame secondo i profili di
studenti (quinquennali, triennali, specialistica). L’utente utilizza la
tastiera muovendosi con le freccette e giunto al documento che gli
interessa schiaccia un tasto funzionale (come invio) e apre il file.
Riempie ogni sezione ed utilizza lo stesso tasto funzionale per
inviare il documento compilato. L’interazione tra sistema ed utente
termina in questo punto, il terminale, invece, conclude le sue
operazioni comunicando i dati ai database e riportando la sezione
centrale dell’interfaccia grafica alla visualizzazione di notizie in
tempo reale.
6.9 Comprensione dei requisiti del sistema
La bacheca interattiva è composta da tre elementi hardware:
- schermo: display al plasma da 42/50 pollici;
- tastiera: normali dispositivi di input ad interfaccia
Qwerty;
del 26/04/06”. Il sistema prevedendo una comunicazione attraverso termini chiave permette all’utente di scegliere il grado di estensione della ricerca. Ciò consente un’interazione in cui il controllo sulle attività è strettamente in mano all’essere umano.
280
Unificazioni: le bacheche interattive
- workstation: processore da 1.2 ghz, 512 mb di memoria
RAM, scheda video, scheda di rete ethernet con connessione wireless
(standard 802.11g).
Da un punto di vista software sono, invece, necessari:
- rete Wlan (Wireless Lan Area Network);
- motore di ricerca;
- un browser web (da cui saranno eliminati menù e i
comandi presenti sulla barra di navigazione che richiedono
necessariamente anche l’utilizzo del mouse);
Per rendere più facile l’implementazione negli ambienti d’uso,
l’ideale è basarsi su una struttura fisica degli schermi capace di
ospitare all’interno anche l’architettura hardware di un normale
computer (CPU, microprocessore, scheda madre, scheda video,
schede di rete, dischi di memoria, ecc). In questo caso le porte USB,
necessarie allo scarico dei dati saranno implementate direttamente
nella parte laterale destra dello schermo per consentire il download
su dispositivi propri (pen-drive, fotocamere digitali, ecc.). Il sistema
utilizza collegamenti blutooth per le comunicazioni tra i suoi
dispositivi hardware (la tecnologia di comunicazione è basata su
onde radio a 27 Mhz). Sarebbe impensabile, infatti, riempire la sede
di via Salaria 113 di fili per l’alimentazione di ogni elemento o
addirittura pianificare lavori di ristrutturazione della struttura edile
per l’implementazione all’interno delle mura di tutti i cavi.
281
Capitolo 6
6.9.1 Requisiti funzionali
La bacheca interattiva utilizza un’architettura informatica di tipo
client/server per svolgere ogni task collegandosi in wireless
attraverso la connettività fornita dagli access point (almeno due per
ogni piano) che permettono negli ambienti chiusi la copertura di una
superficie di 100 metri; l’attività di visualizzazione delle notizie è
gestita da un web browser in grado di terminare, nel momento in cui
ci sia un’azione dell’utente, il flusso di informazioni nella sezione
centrale dell’interfaccia grafica per restituire alle persone i risultati
della loro ricerche. Ogni bacheca (il client) dopo l’input dell’utente
interroga il server che gli fornisce una serie di risposte pertinenti alle
informazioni inserite. In tali task l’efficacia è strettamente correlata
alle capacità della rete Wlan di garantire connettività ad ogni client e
alle potenzialità del motore di ricerca in modo tale che i tempi di
attesa tra richiesta degli utenti e risposta del sistema siano quanto più
celeri possibili. Nella figura 6.5 sono sintetizzati i principali moduli
necessari al funzionamento di un motore di ricerca. Per offrire
un’adeguata copertura della rete senza fili (Wlan) la scelta migliore
sarebbe l’impiego di access point a doppia banda compatibili sia al
protocollo 802.11g (standard che garantisce ampia portata in
ambienti chiusi c/a 50 metri, ma che utilizza solo tre frequenze
sovrapposte) che il protocollo 802.11a (che possiede una minore
copertura in ambienti chiusi, c/a 25 metri, ma può gestire fino a 12
282
Unificazioni: le bacheche interattive
frequenze sovrapposte, dunque, una mole maggiore di client
connessi).4
6.9.2 Requisiti riguardanti i dati
Una bacheca interattiva può trattare qualsiasi tipo di dato in
modo indifferente. Ogni informazione può essere visualizzata o
ricercata secondo gli stessi passi evidenziati nella task analysis.
L’estensione dei tipi di dati (audio, video, 3D, ecc.) è correlata alla
4 Come regola generale di ogni rete Wlan è consigliabile non superare più di dieci client sulla medesima frequenza.
283
Capitolo 6
creazione di una struttura di persone adibita alla produzione di
contenuti per il sistema ed in grado di differenziare le informazioni
secondo i diversi profili d’utenza.
6.9.3 Requisiti ambientali
La bacheca interattiva andrà a collocarsi in uno specifico
contesto d’uso; analizziamo nel dettaglio le caratteristiche della sede:
- Ambiente fisico. Gli schermi delle bacheche interattive
operano in verticale collocati alla stessa altezza delle bacheche
fisiche nei corridoi in un ambiente d’uso mediamente illuminato. Le
tastiere per l’input dei dati, invece, sono leggermente inclinate in
modo da essere facilmente fruibili per l’utente;
- Contesto sociale. Il sistema si colloca nei corridoi della
sede di via Salaria 113, in ambiente in cui è presente un tasso di
socialità elevato ed una buona dose di collaborazione e cooperazione
tra le persone; alla luce di tali aspetti bisogna implementare il più
possibile attività multi-utente;
- Ambiente organizzativo. Per i servizi di informazione è
necessario creare una struttura per la realizzazione dei contenuti; tale
personale è rigorosamente interno alla facoltà (studenti, assistenti,
ricercatori) viste le competenze in merito; bisogna, inoltre, stipulare
contratti con ditte esterne per la manutenzione sul software e per la
gestione della sicurezza del network;
284
Unificazioni: le bacheche interattive
- Ambiente tecnico. I computer utilizzeranno
un’infrastruttura di tipo Windows NT, anche se tale scelta è
esclusivamente dettata da questioni di compatibilità delle
componenti hardware e software. La soluzione alternativa (chip
Motorola e sistema operativo Linux) non comprometterebbe, infatti,
alcuna funzionalità del sistema.
6.9.4 Requisiti di usabilità
La bacheca interattiva per soddisfare gli obiettivi degli utenti
dovrà svolgere le sue attività rispettando alcuni parametri:
- Efficacia. Il sistema fornisce un servizio di informazione
diretto ed interattivo che si colloca negli ambienti d’uso della sede di
via Salaria 113, accessibile liberamente da tutti. In tale contesto si
integra intuitivamente nelle attività didattiche, sociali e culturali,
migliorando la comunicazione tra la facoltà ed ogni utente rendendo
più performante ogni operazione.
- Efficienza d’uso. Gli schermi sono posizionati in modo
tale da essere facilmente visibili da più persone; la visualizzazione
delle informazioni utilizza indicatori semantici per dare, anche a
distanze elevate indicazioni ottimali sulle notizie. Il browser, che
gestisce il servizio funziona in modo rapido differenziando le news
secondo i differenti profili d’utenza nell’interfaccia grafica. Le
tastiere sono collocate in una posizione ergonomicamente corretta; il
285
Capitolo 6
motore di ricerca che consente l’interazione con l’utente restituisce
rapidamente le informazioni grazie ad un meticoloso servizio di
indicizzazione dei dati.
- Grado di soddisfazione. L’utente nelle due attività della
bacheca interattiva ha una posizione di controllo su ogni operazione;
le persone non imparano quale modalità di funzionamento utilizzare
per raggiungere uno scopo. Ne tanto meno il sistema pone particolari
vincoli. Perciò, una bacheca interattiva è accessibile ad ogni persona
garantendo una soddisfazione immediata nell’uso.
- Sicurezza d’uso. Gli schermi al plasma sono fissati al
muro eliminando materiali preesistenti in sede potenzialmente
pericolosi come vetro e listini di ferro utilizzati per le bacheche
cartacee. La struttura fisica su cui poggia la tastiera è priva di angoli
retti ed occupa poco spazio in modo da non compromettere
l’esplorazione o la permanenza nei corridoi della sede. Il sistema
software prevede un controllo per l’annullamento delle azioni
dell’utente esercitato direttamente attraverso tasti funzionali della
tastiera.
- Facilità di ricordo. Lo stile dell’interazione da adottare
rappresenta il punto di forza. L’utente non interagendo con oggetti
grafici, mouse, finestre e menù svolge solo poche operazioni sul
funzionamento del sistema concentrandosi esclusivamente sul
contenuto delle sue attività. Sia nel caso della visualizzazione di
286
Unificazioni: le bacheche interattive
notizie che nell’inserimento di dati gli scopi sono raggiunti in modo
immediato. Anzi nell’attività di interazione il contenuto digitato nel
campo di testo rappresenta già l’obiettivo della persona eliminando
qualsiasi altra modalità inutile. Ciò permette di facilitare il ricordo
del funzionamento e di non caricare la memoria a breve dell’utente
di intermediazioni inutili.
- Facilità di apprendimento. Il sistema non richiede
nozioni precedenti o fasi di apprendimento elevate per essere usato.
La semplicità dell’interazione basata su attività di lettura e scrittura
permette ad ogni persona di avere una posizione di controllo su tutte
le operazioni; ciò facilita l’apprendimento e la comprensione del
sistema, poiché si è disposti ad imparare, quando la situazione è
gestita in modo autonomo dagli individui avendo diverse possibilità
di scelta (vedi 5.3.6); nel caso delle bacheche interattive le attività
proposte sono già di per se abbastanza semplici, per cui dare
all’utente il pieno controllo sull’interazione, senza arricchire
l’interfaccia di elementi inutili che ne complicano il funzionamento,
sembra essere la scelta per rispettare al meglio tutti gli obiettivi di
usabilità.
6.10 Specificazione del modello concettuale
Per descrivere il funzionamento della bacheca interattiva e per
specificare il modello concettuale del prodotto è stato considerato il
287
Capitolo 6
paradigma d’interazione dell’ubiquitous computing. Come spiega
Weiser questo modo di intendere il rapporto tra tecnologia, persone e
contesti d’uso non mira a creare strutture innovative, piuttosto, vuole
potenziare quelle preesistenti aggiungendo capacità di elaborazione e
comunicazione negli oggetti quotidiani e negli ambienti fisici delle
persone. Tali principi sembrano totalmente affini agli obiettivi
prefissati nel proporre il sistema delle bacheche interattive; inoltre,
concepire il modello concettuale in tal modo può aiutare ad
integrare5 facilmente, nel progetto originario, ulteriori metodi per
l’input dei dati (telefonini, palmari, ecc.) che utilizzando modalità di
connessione wireless potranno rendere anche le attività di
inserimento, ricerca e scarico dei dati più multi-utente.6
5 Tali possibilità sono legate alla diminuzione dei costi degli hardware, dunque, alla diffusione commerciale dei dispositivi di nuova generazione e alla sicurezza delle reti senza fili. 6 La dimensione elevata degli schermi consente di dividere la sezione centrale dell’interfaccia grafica in più parti in modo da prevedere un’interazione contemporaneamente con più utenti. Uno studente in possesso di un dispositivo di nuova generazione con scheda di rete wireless (ipod, smarth phone, palmari, ecc.), può interagire con il sistema della bacheca interattiva inserendo i dati direttamente dal suo terminale utilizzando una delle sezioni non occupata dello schermo per la visualizzazione dei risultati.
288
Unificazioni: le bacheche interattive
6.11 Stile dell’interazione
Le bacheche interattive hanno un’interazione con l’utente simile
ad un processo comunicativo a due vie, in cui l’attività principale
delle persone è fornire istruzioni attraverso delle parole chiave a cui
il sistema risponde con la visualizzazione di un insieme di pagine o
file. L’interfaccia grafica dello schermo utilizza modalità tipiche
degli ambienti on-line ove non è possibile la manipolazione diretta
(drag and drop) su oggetti grafici. Attraverso le potenzialità permesse
dall’ipertesto sono eseguibili per l’utente due semplici operazioni: la
selezione di un file e la sua apertura. Per cui lo stile dell’interazione
non ha bisogno di adottare le convenzioni utilizzate dal modello
WIMP (icone, finestre, menu ed il mouse), così, riprendendo le
parole di Raskin, contempla una corrispondenza 1:1 fra cause
(comandi) ed effetti (operazioni). Eliminando il sistema di
puntamento, infatti, si riducono gli errori modali dell’interfaccia,
poiché si limitano i comandi che regoleranno l’interazione
favorendo, prima di tutto un funzionamento univoco per l’input dei
dati; inoltre, non ha più alcuna utilità dislocare le funzioni nei menù,
poiché i comandi sono raggiungibili direttamente dalla tastiera,
dispositivo che racchiude l’insieme delle operazioni possibili sul
sistema. La navigazione dell’interfaccia grafica è legata
esclusivamente ai collegamenti ipertestuali selezionabili direttamente
attraverso tasti funzionali e comandi cinestetici (vedi 4.7.1). Infine,
289
Capitolo 6
questo stile d’interazione può risultare più appropriato alle
caratteristiche specifiche dei contesti d’uso della facoltà (figura 6.6).
6.12 Stutturazione dei contenuti
L’interfaccia grafica dello schermo è divisa in quadranti,
suddivisi a loro volta in tabelle in cui sono contenute l’insieme di
notizie differenziate secondo i profili d’utenza. Ci sono quattro
quadranti principali che gestiscono la visualizzazione di news
ognuno dei quali occupa all’incirca uno spazio di 17 pollici di
290
Unificazioni: le bacheche interattive
larghezza nello schermo. Vediamo come sono disposti nello schermo
e quali sono i contenuti principali (figura 6.7):
- la sezione laterale sinistra contiene le notizie che si
riferiscono in particolar modo agli studenti matricola. Dato
l’orientamento da sinistra verso destra della scrittura occidentale,
quest’area dello schermo viene percepita in modo più immediato
dalle persone, dunque facilmente raggiungibile anche da utenti
inesperti; la sezione è destinata a contenere informazioni generiche
291
Capitolo 6
per aiutare gli studenti che non sono ancora in possesso di un preciso
modello della facoltà e che necessitano di accedere in modo semplice
ad ogni notizia.
- la sezione laterale destra mostra le informazioni che
interessano soppratutto gli studenti della laurea quinquennale e
triennale iscritti agli anni successivi al primo. In ogni quadrante
vengono presentate informazioni precise sulle attività didattiche,
sociali e culturali della facoltà, notizie che fanno riferimento alle
attività quotidiane esterna alla sede (orari degli autobus, orari di
apertura-chiusura di teatri, cinema ed ogni altro ente che abbia
intrapreso delle convenzioni con l’università di scienze della
comunicazione).
- la sezione centrale superiore in assenza di interattività
con l’utente, visualizza le informazioni della cattedra a cui si
riferisce la bacheca interattiva. Qui transitano anche le news
(naturalmente di interesse della cattedra) dal mondo del lavoro, sui
congressi ed i meeting con aziende che rappresentano una guida
informativa per addetti interni, esterni, utenti primari e stakeholder.
- la sezione centrale inferiore visualizza le notizie per gli
studenti della laurea specialistica. La bacheca interattiva, date le
dimensioni dello schermo e la collocazione in alto nei corridoi,
consente una fruizione ottimale dell’interfaccia grafica anche per il
quadrante posto più in basso. In questo modo, inoltre, le due sezioni
292
Unificazioni: le bacheche interattive
centrali dello schermo rappresentano un continuum, poiché si
riferiscono ad informazioni che riguardano indistintamente sia le
attività didattiche (interne alla facoltà) che quelle professionali e
culturali.
Per distinguere meglio le sezioni si possono utilizzare i colori
come indicatori semantici dei contenuti. In questo caso si forniranno
degli strumenti d’aiuto (come una legenda) per standardizzare ogni
abbinamento. Tuttavia, si deve far attenzione in tali scelte a non
affollare l’interfaccia grafica di colori che possono infastidire la
fruizione dei contenuti. (vedi 3.5.6).
6.13 Analisi di fattibilità
Ci occupiamo ora di come attuare materiale il sistema
descrivendo quali sono le figure che intervengono nel processo di
realizzazione, proponendo un’analisi sui costi, sui tempi e le risorse
umane necessarie. Infine, definiamo quali sono i punti di forza del
sistema, dunque le motivazioni per realizzarlo e gli aspetti
potenzialmente critici.
6.13.1 Analisi della committenza
Il committente del servizio multimediale è il Preside della facoltà
di Scienze della comunicazione. Il suo obiettivo è fornire a studenti,
293
Capitolo 6
professori e ospiti della sede un servizio di informazioni adeguato
alle necessità degli utenti e al panorama delle nuove tecnologie
emergenti. Le bacheche interattive sono uno strumento utile per
guidare ogni persona nella ricca offerta formativa della facoltà
rendendo contemporaneamente la sede più performante in ogni
attività.
6.13.2 Analisi dei costi
Per ciò che riguarda i costi relativi alla realizzazione del servizio,
vanno considerate le seguenti componenti:
- display (16 mila € circa);
- 6 access point (1500 € circa);
- acquisto del software e delle licenze da utilizzare per il
motore di ricerca;
- ulteriori spese sono relative alla manutenzione degli
apparati tecnologici.
Dopo l’installazione non ci sarà bisogno di aggiornamenti
frequenti per cui i costi iniziali (soprattutto degli schermi) potrebbero
essere ammortizzati trasformando la sede di via Salaria 133 in un hot
spot, un luogo pubblico che fornisce connessioni wi-fi a pagamento.
294
Unificazioni: le bacheche interattive
In questo caso la spesa ulteriore è un access point specifico in grado
di gestire e contabilizzare i flussi di chiamata in uscita.7
6.13.3 Analisi dei tempi
Il servizio può essere realizzato in poche settimane, poiché i
contenuti da inserire sono già presenti, dunque necessitano di piccoli
riadattamenti, mentre l’installazione della rete Wlan e dei display,
non dovrebbe richiedere più di due giorni. Si pensa ad un tempo
massimo di tre settimane lavorative compresa la fase di testing del
sistema. Il motore di ricerca che regola l’interazione con l’utente,
invece, avrà bisogno di tempi maggiori per la realizzazione (si
prevede almeno un mese).
6.13.4 Analisi delle risorse umane
L’analisi delle risorse umane evidenzia come il servizio per
garantire una qualità ottimale deve poggiare sul lavoro congiunto di
due macro-team di persone:
- il gruppo di persone che lavora sui contenuti è interno
alla facoltà. Le figure necessarie saranno un product manager che
supervisioni lo svolgimento del progetto; due autori che selezionano
e correggono i testi esaminando i materiali disponibili; infine un web
7 Per approfondimenti, PC professionale, la guida indipendente alla tecnologia, n. 178, Gennaio 2006, p. 248.
295
Capitolo 6
designer ed un programmatore. Queste due figure lavoreranno a
stretto contatto gestendo rispettivamente la parte grafica
dell’interfaccia e gli aspetti funzionali che riguardano l’interazione
tra client e server.
- il gruppo di persone che si occupano di fornire assistenza
tecnica sul sistema e sulle diverse componenti che costituiscono la
rete Wlan, che è esterno alla facoltà. Le figure richieste sono,
sistemisti informatici, esperti di sicurezza on-line capaci di gestire
reti di network.
Il team work fornitore dei contenuti delle bacheche interattive è
composto da studenti, assistenti, collaboratori e ricercatori.
L’obiettivo è da un lato formare gli studenti su materie che
riguardano la progettazione e la produzione multimediale, in modo
tale da acquisire conoscenze spendibili sul mercato del lavoro;
dall’altro fondare un laboratorio permanente che si imponga nei
mercati dei contenuti multimediali creando un filo diretto tra il
mondo dell’università e quello del lavoro. Il materiale per la
realizzazione del servizio non deve essere creato completamente
poiché già presente nelle pagine del sito web. Naturalmente ci sarà
una ri-definizione di alcuni contenuti, tuttavia le modifiche richieste
sono minime. Le informazioni saranno prevalentemente di tipo
testuale con aggiunta di immagini e parti grafiche nei casi di
pubblicità e design dell’interfaccia.
296
Unificazioni: le bacheche interattive
6.13.5 Swot analysis
Forniamo di seguito uno schema pratico e facile dell’analisi dei
vantaggi e svantaggi del sistema proposto, sia interni che esterni:
Analisi interna
Vantaggi
- livello elevato di utilità del servizio offerto;
- coesistenza di materiali multimediali con una produzione
minima di ulteriori contenuti;
- creazione di un ecosistema intelligente negli ambienti
d’uso della facoltà in grado di informare gli utenti attraverso
comunicazioni sincrone ed asincrone;
- creazione di nuove competenze per gli studenti coinvolti;
- possibilità di legare la distribuzione dei contenuti al
download su dispositivi propri (pen drive, fotocamere digitali, ecc.),
cosa impossibile nei terminali presenti attualmente in facoltà;
Svantaggi
- Costi per l’acquisto degli schermi; per cui è quasi
impossibile creare una postazione interattiva per ogni cattedra della
facoltà;
- Problemi di sicurezza della rete intranet ed una
incapacità, se non in modo totalmente rigoroso, di gestire l’accesso
297
Capitolo 6
alla rete di ogni dispositivo presente in sede, esterno al network
configurato.8
Analisi esterna
Vantaggi
- Prodotto gratuito per gli utenti;
- Singolarità del progetto, dunque, possibilità di brevettare
aspetti specifici del sistema, che non utilizzano infrastrutture già
preesistenti;
- Diffondere nell’opinione pubblica attraverso azioni
concrete la qualità del servizio formativo ed informativo offerto
dall’università, aspetto che troppe volte rappresenta il punto debole
della facoltà di Scienze della Comunicazione.
Svantaggi
- Atti vandalici e/o furti.
8 Questo problema porta alla difficoltà della gestione degli accessi. Nello specifico creando una rete senza fili sono utilizzati diversi profili utente che hanno facoltà di controllo diverse sul network. Solo in modalità di amministratore è possibile consentire accesso ad apparecchi esterni alla rete configurata. Il sistema delle bacheche interattive può interagire con l’utente utilizzando sia l’uno che l’altro profilo. Tuttavia la differenza in queste scelte è notevole; nel primo caso la sicurezza della rete è più esposta, poiché ogni terminale può accedervi fornendo connettività a strumenti esterni alla rete; nel secondo caso, invece, l’utente può accede ad un numero limitato di operazioni ed è impossibile collegarsi alla rete con dispositivi esterni ad essa.
298
Unificazioni: le bacheche interattive
- Poche possibilità se si configura un’area wireless con
accessi alla rete troppo rigorosi di rendere multi-utente le operazioni
di inserimento, ricerca e scarico dei dati.
6.14 Conclusioni
Lo scopo del progetto è stato di considerare metodologie
alternative nella progettazione del software in modo da proporre
modelli di interazione più semplici ed efficaci tra la macchina e
l’uomo. Molte delle questioni evidenziate nel volume descrivono
come il processo di convergenza tecnologica ha trasformato i
supporti informatici da semplici dispositivi di calcolo matematico
utilizzati da ingegneri appassionati ed esperti a tecnologie di
comunicazione ed intrattenimento per il pubblico di massa. Si assiste
allo sdoganamento dei computer strumenti non più esclusivi di
contesti come uffici e/o scuole, ma presenti ormai nei salotti di ogni
casa come media center. Contemporaneamente la miniaturizzazione
degli hardware e le connessioni in modalità wireless offrono mobilità
e connettività ovunque.
L’analisi ha dimostrato senza troppe digressioni in questioni
tecnologiche, come sia possibile sfruttare la multimedialità offerta
dai dispositivi attuali in una direzione più contigua alla logica degli
esseri umani. Il passo preliminare è concepire metodologie di
progettazione realmente centrate sull’utente che prevedano un suo
299
Capitolo 6
coinvolgimento attivo durante la realizzazione del prodotto. Per fare
ciò bisogna adottare processi di produzione del software più iterativi
in grado di accogliere in ogni momento una eventuale riformulazione
del prodotto. In secondo luogo si devono fornire modalità di
comunicazione uomo-macchina differenti da quelle proposte nei
sistemi desktop, strutture ormai troppo affini al marketing delle
grandi corporate informatiche, in cui le questioni di interazione
vengono espresse esclusivamente in termini di estetica e design
accattivante dell’interfaccia. L’efficacia dei futuri artefatti interattivi,
invece, è legata alle capacità di integrarsi invisibilmente nelle attività
quotidiane e negli ambienti d’uso semplificando le procedure delle
persone ed aumentandone la produttività. Devono avere, perciò, una
corrispondenza univoca tra la funzione da eseguire e l’attività da
svolgere. È ciò che Norman puntualizza (vedi 2.5.2), quando parla di
strumenti basati su un’unica attività che siano mirati a compiere
poche operazioni, per cui l’interfaccia tende letteralmente a
scomparire dalla percezione dell’utente. Il modello WIMP,9 invece,
va in una direzione opposta richiedendone continuamente la
partecipazione delle persone ed inglobando numerose attività in cui
ognuna deve essere dichiarata. In questo senso il desktop rappresenta
la metafora del disordine che regna in ogni scrivania (fisica o
9 Ci riferiamo anche all’architettura di sistema su cui si basa ogni dispositivo desktop.
300
Unificazioni: le bacheche interattive
cognitiva). Tali critiche sono motivate sia da analisi quantitative
(GOMS e legge di Fitts) che da analisi qualitative (scenari, casi
d’uso, focus group, ecc.).
Per tali motivazioni l’interazione proposta per la bacheca
interattiva non ha utilizzato un modello d’interfaccia simile fornendo
all’utente, in primo luogo, un unico modo per svolgere le sue attività;
così l’attenzione è canalizzata esclusivamente sulle operazioni
pertinenti e che interessano alle persone senza perdersi nelle
modalità di funzionamento dell’artefatto. Inoltre, l’assenza del
dispositivo di puntamento (mouse) rende ogni bacheca interattiva
uno strumento usabile rispetto all’ambiente d’uso in cui si va a
collocare (corridoi) ed alle attività che deve supportare
(visualizzazione ed inserimento di dati).
Il progetto illustrato ha una forte propensione sperimentale. È
stato concettualizzato osservando le attività reali che gli studenti
eseguono in facoltà e cercando di accogliere i bisogni ed i desideri
emersi durante l’interpretazione dei dati raccolti. Perciò il modello
concettuale del sistema, in linea con i principi dell’interaction design,
non rappresenta il punto di vista del progettista (che pensa da
persona esperta), ma si avvicina al modello mentale dell’utente
proponendo un’interazione che raggiunge da subito gli obiettivi delle
persone. Un’idea che può avere, visti i vantaggi argomentati in
termini d’usabilità, una concreta applicazione nella sede di via
301
Capitolo 6
Salaria 113 migliorando le attività didattiche preesistenti ed i flussi di
comunicazione tra facoltà e studenti.
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Bibliografia
XV
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XVI
Bibliografia
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XVII
Bibliografia
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XVIII
Bibliografia
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XIX
Bibliografia
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XX
Bibliografia
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XXI
Bibliografia
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- Articoli e interviste
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Bibliografia
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