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1 MUKKA EXPRESS: UNA CONTRAZIONE MANCATA ? Alice Giannitrapani Negli ultimi mesi del 2004 si inizia a trovare negli scaffali dei negozi di casalinghi uno strano oggetto: una sorta di caffettiera, ma più grande del normale, colorata (a chiazze bianche e nere), dal design accurato. Si tratta di Mukka Express (fig. 1); è prodotta dalla Bialetti – azienda leader nella produzione di caffettiere, la stessa che produce Moka Express, Brikka, e altre ancora. Essa serve a preparare in casa il cappuccino (ma anche il caffellatte, come vedremo). Fig. 1: Mukka Express Nelle parole di Edoardo Acciarino, Marketing Manager della Bialetti Industrie Coffeemaker Division: “È un prodotto che nasce dalla considerazione dell’universalità di consumo del cappuccino, sia in termini geografici che di profilo del consumatore. Considerando il gradimento del cappuccino presso i target più giovani, riteniamo che la nascita di Mukka Express significhi l’ingresso di Bialetti nel mondo della prima colazione all’italiana, in cui protagonista è la famiglia giovane con bambini. Per ciò che concerne l’estero, dove il consumo del

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MUKKA EXPRESS: UNA CONTRAZIONE MANCATA ?

Alice Giannitrapani

Negli ultimi mesi del 2004 si inizia a trovare negli scaffali

dei negozi di casalinghi uno strano oggetto: una sorta di

caffettiera, ma più grande del normale, colorata (a chiazze

bianche e nere), dal design accurato. Si tratta di Mukka

Express (fig. 1); è prodotta dalla Bialetti – azienda leader

nella produzione di caffettiere, la stessa che produce Moka

Express, Brikka, e altre ancora. Essa serve a preparare in

casa il cappuccino (ma anche il caffellatte, come vedremo).

Fig. 1: Mukka Express

Nelle parole di Edoardo Acciarino, Marketing Manager

della Bialetti Industrie Coffeemaker Division: “È un prodotto

che nasce dalla considerazione dell’universalità di consumo

del cappuccino, sia in termini geografici che di profilo del

consumatore.

Considerando il gradimento del cappuccino presso i target più

giovani, riteniamo che la nascita di Mukka Express significhi

l’ingresso di Bialetti nel mondo della prima colazione

all’italiana, in cui protagonista è la famiglia giovane con

bambini. Per ciò che concerne l’estero, dove il consumo del

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prodotto è diffuso a tappeto, la penetrazione di mercato sarà

principalmente rivolta ai paesi in cui l’abitudine di consumo

è già molto sviluppata: penso principalmente alla Germania e

ai paesi del nord Europa”.

In questo breve articolo, ci si propone di studiare la

funzionalità (operativa e comunicativa) di questo oggetto,

seguendo le operazioni che un ideal tipico

acquirente/consumatore dovrebbe compiere per acquistare

l’oggetto e metterlo in funzione, degustando, infine, il

cappuccino. Verrà anche analizzato l’annuncio stampa che

pubblicizza Mukka Express, al fine di indagare il tipo di

consumatore inscritto nel testo, nonché la strategia

comunicativa adottata dall’enunciatore. Il tutto verrà

portato avanti avendo, come termine di confronto, altre due

caffettiere Bialetti: Moka Express (in quanto rappresenta il

grado zero della caffettiera) e Brikka (in quanto la sua

peculiarità – fare il caffè con la cremina – la assimila, per

tipo di sistema valvolare e per tipo di risultato “cremoso”

alla nostra Mukka).

1. Mukka e la colazione

Mukka Express è un oggetto particolare che pone non pochi

problemi a un primo approccio anche solo descrittivo. In

effetti, cosa è? Cosa fa per l’uomo e/o al suo posto? Come si

situa nell’universo degli altri prodotti Bialetti? A chi si

rivolge? Come si utilizza? Che immagine vuole veicolare?

Mukka non è una caffettiera, bensì una “macchina per

cappuccino” (come viene indicata nel packaging): essa cioè

consente o, almeno dovrebbe consentire, come vedremo, di

preparare due tazze di cappuccino senza ricorrere all’ausilio

di altri elementi accessori. Si pone, quindi, come prodotto

del tutto innovativo, non esistendo altri strumenti per la

preparazione del cappuccino sui fornelli domestici.

Seguendo i passi che Greimas (1983) indicava come

pertinenti per un’analisi esaustiva dei lessemi, possiamo

iniziare a studiare la nostra macchina per cappuccino

indagando: la componente configurativa (ovvero l’indagine

delle singole parti, in relazione al tutto, dell’oggetto in

questione), la componente tassica (ovvero l’analisi delle

relazioni che l’oggetto intrattiene con altri oggetti),

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infine, la componente funzionale (la funzione, sia pratica

che simbolica, che l’oggetto riveste).

Componente configurativa. La base (parte inferiore) è

costituita da una caldaia, che perde la spigolosità di quella

delle normali caffettiere per diventare tondeggiante; essa è

dotata di “valvola di sicurezza ispezionabile” (e vedremo

come questo sia solo un primo accenno alla /sicurezza/ che

verrà altrove ribadita). Su di essa si incastra il filtro ad

imbuto, che è dotato di un “sistema a molla” (ancora una

volta troviamo analogie strutturali con la Moka, ma ulteriori

diversificazioni in vista di una complessità sempre

maggiore). La parte superiore (raccoglitore) è a sua volta

composta da diversi pezzi: piastrina e guarnizione che

verranno in contatto con la miscela posta nel filtro (che,

dunque, mediano tra parte superiore e inferiore); manico (in

plastica e dotato di apposite scanalature per le dita,

ergonomico); coperchio, differente dalle normali caffettiere

perché forato (nel foro si incastra il pulsante). È proprio

il raccoglitore che si differenzia maggiormente dal reso

delle caffettiere: esso è abbastanza grande perché dentro va

posto il latte (fino al livello contrassegnato da un’apposita

tacca interna); in più è dotato di una “valvola

pressostatica” (simile, ma ancora più grande rispetto a

quella di Brikka). La valvola è smontabile: nelle istruzioni

verrà dedicata ad essa un’intera facciata in cui si spiega

come si smonta e come si pulisce (pulizia “consigliata dopo

ogni singola produzione”): è, quindi, un oggetto segnalato

come particolarmente importante, di cui bisogna aver cura, in

quanto è proprio questo che consente di ottenere la schiuma

nel cappuccino. Sulla valvola è incastrato un “pulsante”che

consente di impostare le modalità di funzionamento della

macchina per cappuccino – segnalate attraverso istruzioni

(“per cappuccino premi”) inscritte direttamente nell’oggetto.

La Mukka, infatti, può preparare non solo il cappuccino, ma

anche (sollevando il pulsante) un caffellatte; componente

configurativa e componente funzionale risultano così legate

attraverso il pulsante.

Componente tassica. Le alternative (o opposizioni

paradigmatiche) per degustare un cappuccino prima

dell’invenzione di Mukka comportavano:

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• Andare al bar;

• Rinunciare al cappuccino e optare per un caffelatte

(senza schiuma) ottenuto riscaldando il latte in un apposito

contenitore e aggiungendovi del caffè preparato con la

normale moka;

• Preparare un caffellatte successivamente “montato”

(quindi con la schiuma) con un piccolo aggeggio a immersione

la cui elica, rotando, produce una schiuma simile a quella

del cappuccino del bar.

• Preparare un cappuccino con la macchina elettrica

casalinga per caffè, il cui funzionamento è simile a quello

della macchina professionale da bar.

La prima alternativa si distingue dalla Mukka nel dar

vita a una pratica totalmente diversa, nel porre in gioco

spazi (bar vs casa) e attori (macchina professionale,

barista, eventuali altri clienti vs Mukka, eventuali

“commensali”) nettamente distinti.

La seconda alternativa si distingue per una differenza

sostanziale nel risultato: a essere valorizzata, nella

preparazione del caffelatte, è più la velocità del processo

che la qualità dell’oggetto di valore; a cambiare, insomma, è

l’assiologia dei valori in gioco, nonché il risultato del

giudizio di gusto. Si noti, tra l’altro, che un cappuccino si

differenzia da un caffellatte per qualità che sono

soprattutto estesiche (densità, corpo, consistenza) ed

estetiche (vista della crema).

Nel terzo caso siamo di fronte a un risultato pressoché

simile, ma ottenuto attraverso una moltiplicazione delle

pratiche (e degli oggetti occorrenti).

Con l’ultima alternativa, infine, otteniamo un

cappuccino ben montato e con la schiuma, ma vi è sempre la

necessità di seguire, in sequenza, un certo numero di

passaggi (montare e riscaldare il latte con il vapore,

preparare il caffè con le cialde, amalgamare le due bevande).

Se, quindi, consideriamo la pratica del preparare una

prima colazione in casa (escludendo, così, la prima

alternativa), notiamo come la mission di Mukka sia quella di

superare i punti deboli delle altre possibilità sopra

elencate: agire in maniera efficace ed efficiente; preparare

un cappuccino dando importanza alla qualità del risultato e

contenere, al contempo, i tempi e gli strumenti utili per la

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preparazione; massimizzare i risultati con un impiego minimo

di risorse e conseguente alleggerimento del lavoro per

l’attore umano (ma vedremo come, in realtà, le cose non

stiano proprio così).

In termini più semiotici possiamo dire che ciò che viene

accentuato, almeno in questa prima fase descrittiva (in cui

la macchina per cappuccino non è ancora stata messa alla

prova), è il sema della /contrazione/: un’unica macchina per

avere in tempi contenuti ciò che normalmente si ha in tempi

estesi e con l’ausilio di una pluralità di strumenti. Ad una

dimensione sequenziale e processuale (prima preparare il

caffè, poi riscaldare il latte, unificare le due bevande e,

infine, amalgamarle montandole insieme) se ne sostituisce una

basata sulla sincronia, in cui è sufficiente preparare

adeguatamente la macchina per avere il cappuccino. Questa,

almeno, dovrebbe essere l’innovazione introdotta.

Componente funzionale. La macchina si rivela altamente

specifica: Mukka è monofunzionale, serve a preparare il

cappuccino e, tutto al più, un caffellatte (non ci si può

preparare un normale caffè o, almeno, così non è contemplato

nelle istruzioni, né nel packaging) – abbiamo visto come il

pulsante consenta di scegliere tra le due modalità.

Un’ulteriore funzione assolta è di tipo prettamente estetico:

in qualità di oggetto di design, infatti, essa diventa anche

un soprammobile da esporre e da guardare (vedremo, nella

conclusione, come questa sarà la funzione che la Mukka

assolve al meglio).

Il cappuccino, ci dirà il packaging, è una bevanda

tipicamente relegata a uno specifico momento della giornata

(la colazione) – almeno in Italia; ne consegue che la Mukka

ha un utilizzo diverso rispetto alla caffettiera: essa

effettua una scansione singolativa giornaliera, segnando,

iterativamente, l’inizio di una giornata. Una caffettiera,

invece, non viene utilizzata durante una specifica fase del

giorno: sebbene solitamente associata a determinati momenti

(mattina, dopo i pasti,..), il suo utilizzo si rivela molto

più flessibile. La preparazione del caffè è, insomma, una

pratica iterativa a-temporalizzata che scandisce la giornata

in maniera più o meno personalizzata; la preparazione del

cappuccino, di contro, viene definita dall’enunciatore come

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una pratica singolativa, temporalmente specificata, che

scandisce il succedersi dei giorni.

Ci si potrebbe chiedere come mai i nostri costrutti

culturali si rivelino così rigidi e, al contempo,

n a t u r a l i z z i n o ( m i s t i f i c a n d o ? ) l’associazione

colazione/cappuccino (cui si potrebbe sovrapporre una

distinzione Italia vs estero) e lascino, invece, ampi spazi

di manovra nell’associare il caffè con un momento della

giornata ben determinato, ma non sembra essere questa la sede

adatta per disquisire di questioni a cavallo tra una

semiotica e una sociologia di processi culturali.

2. Mukka, Moka e Brikka

Moka Express e Brikka: è con questi due oggetti che, come si

accennava, in questa breve analisi, verrà prevalentemente

sviluppato il confronto. Soprattutto si cercheranno di

mettere in luce similarità e differenze tra i tre prodotti; o

per dirla con Jakobson, l’invarianza nella variazione, al

fine di far emergere il senso dell’oggetto nel suo complesso.

Avevamo già altrove notato (cfr. Giannitrapani, 2004)

come tra le caffettiere le contaminazioni di genere stiano

diventando sempre più frequenti: così, ad esempio, troviamo

Brikka – la caffettiera in grado di darci il caffè con la

cremina (efficace vezzeggiativo con cui viene indicato nel

packaging e nelle istruzioni il non meglio identificato

effetto del lavoro della caffettiera) simile a quello del bar

(rispetto al quale il caffè fatto in casa riserva un

complesso di inferiorità) – che contamina moka e macchina

professionale. Ma anche ElettriKa – una caffettiera “nomade”

e portatile, con fornello elettrico incorporato in grado di

darci la nostra bevanda in qualsiasi luogo ci sia una presa –

che contamina da un lato tecnologia meccanica e tecnologia

elettrica, dall’altro, nel suo nomadismo, ricorda i caffè

presi “al volo” nei bar. Essa, tra l’altro, sembra possedere

alcune caratteristiche tipiche di quelli che Semprini (2002)

indica come oggetti mondializzati: acontestualità (“[…]

l’oggetto mondializzato sembra quasi in grado di fluttuare in

una sorta di spazio-tempo che gli è proprio”) e

transcontestualità (secondo cui l’oggetto “[…] sembra capace

di coesistere col contesto locale, senza mai integrarsi

veramente ad esso ma senza neppure rimetterlo radicalmente in

discussione.”) (ivi, p. 53). Va, comunque, ricordato che

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questo “sganciamento” dal contesto è solo parziale, in quanto

le pratiche di fruizione e di decodifica si attuano sempre e

comunque all’interno di codici e norme che sono legati a una

certa cultura e sono, dunque, locali (“[…] si potrebbe dire

che se l’enunciazione di questi oggetti è acontestuale la

loro ricezione è sempre, almeno in parte, contestuale”) (ivi,

p. 59).

Nel caso di Mukka, però, non ci troviamo in effetti di

fronte a una contaminazione, ma a una travalicazione1 di

genere: permane, come nel caso di Brikka, la contaminazione

casa/bar, ma ad essere enfatizzato è un nuovo oggetto di

valore, il cappuccino, appunto; d’altro canto, nella sua

attenzione al lato estetico, riprende anche la caffettiera di

design.

Cambiano, parzialmente, o meglio divento più complesse,

anche le interfacce. Nella caffettiera classica interagiscono

con l’uomo il manico (che facilita la presa dell’oggetto), il

pomello (che serve a sollevare il coperchio), la caldaietta

(nell’atto di svitare la moka); interagiscono con gli altri

oggetti la caldaia (in contatto con l’acqua e con il fuoco) e

il filtro ad imbuto (con la miscela). Nella Mukka, oltre a

questi elementi, si aggiungono il pulsante (che serve al

soggetto per impostare la modalità cappuccino o caffellatte)

e il misurino (che serve per dosare la giusta quantità

d’acqua). In realtà, esso non è un elemento indispensabile

(la dose di acqua necessaria è contrassegnata anche da un

asterisco all’interno della caldaia); serve, più che altro, a

rimarcare la diversità del funzionamento della macchina per

cappuccino rispetto alle normali caffettiere (l’acqua non

deve arrivare al livello della valvola), a spezzare le

pratiche consuetudinarie della preparazione del caffé. Il

misurino è, insomma, un elemento ridondante (rispetto

all’asterisco), c o n funzione d i sottolineatura

dell’importanza (e della diversità) dell’operazione da

compiere. Un elemento particolarmente critico per Mukka

1 Viene in mente, a tal proposito, ciò che Floch dice a proposito delprefisso tras- : “…trasgressione – nel senso letterale di ‘passare aldi sopra’. Il prefisso tras-, che ritroviamo in trasmissione,trasfusione o tradizione, è una delle manifestazioni linguistichedella non-discontinuità.” (Floch, 1997; p.71). In tal senso, la Mukkasi pone in una posizione di non-discontinuità rispetto alle altrecaffettiere.

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diventa la caldaia (sia interfaccia oggetto, che interfaccia

soggetto), che sarà fondamentale nella sua messa in pratica

(sulla criticità del progetto di questa interfaccia cfr.

infra par. 5)

Il nome: Mukka. Esso si colloca lungo un continuum,

richiamando esplicitamente da un lato Moka, dall’altro

Brikka. È una questione di identità aziendale; una variazione

che si inserisce su un sistema di tratti comuni (le “m” e le

“k”2 ripetute, l’allitterazione tra Mukka e Moka),

ripetizione nella variazione, permanenza (che garantisce

riconoscibilità) e d evoluzione (che garantisce

differenziazione), (Ricœur, 1990). Dal punto di vista

semantico, il nome in questione evoca immediatamente un

universo organico e biologico di origine animale; convocando

proprio la mucca, ovvero l’animale produttore della materia

prima di cui la macchina si serve. Di contro, Brikka evoca il

bricco, un oggetto che serve a contenere il caffè,

richiamando, quindi, il processo che pone in atto ed evocando

un universo meccanico e culturalizzato. Moka indica, invece

un tipo di caffè, andando ad identificare Moka Express come

la caffettiera per antonomasia, il grado zero della

caffettiera.

3. Il packaging: una comunicazione multipla

Andiamo con ordine e partiamo dall’acquisto della macchina

per cappuccino per arrivare alla degustazione. Il packaging

di Mukka è molto ricco e si apre a una pluralità di

considerazioni. Lo sfondo è a chiazze bianche e nere come

quelle della mucca e della Mukka; in tal modo la scatola

ricalca il design rafforzandolo e raddoppiandolo, creando una

coerenza enunciativa; il progetto del prodotto e quello del

pack tendono a incontrarsi, simulando l’effetto trasparenza,

ma non consentendo un poter-vedere pieno. Rispetto alla

seriosità del packaging monocromatico e per di più scuro di

Brikka, quello di Mukka la identifica, già al primo e

superficiale sguardo, come un prodotto ludico e giovanile.

2 La sostituzione delle “c” con le “k” è tipica, tra l’altro, delloslang giovanile; fatto che farebbe presupporre la volontà da partedell’azienda di rivolgersi in maniera ammiccante ad un pubblicogiovane. Il termine Mukka non risultando, però, incomprensibile anchead altri tipi di fruitori, non li esclude, di fatto, dal riconoscersicome enunciatari iscritti.

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Le informazioni fornite vengono posizionate nei diversi

lati della scatola secondo la loro natura: la facciata

anteriore e quella posteriore servono da presentazione,

forniscono una valorizzazione estetica (fungendo da richiamo

immediato, da attrazione); quelle laterali servono da

approfondimento, dispongono una valorizzazione cognitiva

(informano e convincono). In altri termini, la figura

dell’enunciatore assume diverse facce: nel primo caso è un

destinante che promette e seduce, nel secondo si trasforma in

informatore competente che ha una vocazione scientifica.

Un lato (fig. 2) fornisce, infatti, informazioni a

proposito di marchi, brevetti, design e ergonomia; quello che

in Brikka veniva chiamato “sistema valvolare”, riceve qui

ulteriore specificazione diventando una “valvola

pressostatica”. Vengono presentate delle foto di dettagli che

“si ancorano” rispetto al testo. Infine, viene posta

particolare attenzione al sema della /sicurezza/ (si parla di

“sicurezza totale nell’utilizzo”) facendo emergere la figura

di un enunciatore aiutante e difensore. Questa preoccupazione

sembra essere motivata dalla novità dell’oggetto: minore è la

familiarità che si ha verso un prodotto, maggiori saranno le

remore nei suoi confronti e maggiori saranno le informazioni

da fornire per superare tali remore; la stessa cosa, d’altro

canto era avvenuta con Brikka, in cui, però, a essere

valorizzata era la sola /semplicità/ nell’utilizzo.

Figg. 2-3: Facciate latareli del packaging

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La /semplicità/ e la /velocità/ sono i temi dominanti

dell’altra facciata laterale (fig. 3), in cui vengono date

delle mini-istruzioni (sempre accompagnate da fotografie

illustrative) su come far funzionare la macchina; la

conclusione è che “In pochi minuti, sarà possibile gustare

due deliziose tazze di cappuccino”; viene, ancora una volta

sottolineata la possibilità di /contrazione/ di spazi e tempi

cui più sopra si accennava.

La facciata anteriore (fig. 4) propone una fotografia

della Mukka in un’aspettualizzazione risultativa: la macchina

con accanto una tazza di cappuccino; simile è la foto posta

ad angolo tra la facciata laterale e posteriore (il cappucci-

no mentre viene versato nella tazza). La stessa aspettualiz-

zazione la troviamo nel packaging della Brikka, con evidenti

richiami sinestetici al corpo e alla densità della schiuma,

vero plus di entrambe le macchine.

Fig. 4: Facciata anteriore del packaging

In alto la scritta “Mukka Exspress” intercalata da un

piccolo disegno di una mucca (per chi non aveva ancora capito

l’assonanza con il mondo animale) e a capo “l’arte del cap-

puccino”: il termine arte contiene un tentativo di valorizza-

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zione della pratica della preparazione della bevanda, consue-

tudinariamente legata a un ambito di quotidianità e di bana-

lità. Lungi dall’essere atto meccanico, la preparazione del

cappuccino con la Mukka si configura come artistico e il sog-

getto che lo prepara viene così valorizzato come competente e

creativo; diventa, appunto, un artista. L’enunciatore seduce,

in tal modo, l’enunciatario prospettandogli non solo

un’immagine positiva del risultato di un possibile acquisto,

ma anche un’immagine positiva del sé. Ulteriore notazione va

fatta sul font utilizzato per il nome: è spesso e molto ton-

deggiante, quasi fumettistico; esso si oppone evidentemente

al carattere tipografico esile e aggressivo utilizzato da

Brikka (fig. 5). Questo aspetto, d’altro canto, corrobora

l’universo semantico associato alle due bevande: il caffè è

una bevanda amara, spigolosa e pungente; il cappuccino ha un

gusto più morbido e delicato. In altri termini, si instaura

un sistema semi-simbolico: font Brikka : font Mukka = durezza

: morbidezza.

Fig. 5: Font di Mukka e Brikka a confronto

La facciata posteriore (fig. 6), infine, introduce

un’innovazione nella strategia enunciativa di Bialetti: appa-

re una fotografia di attori umani, vengono figurativizzati

gli utilizzatori iscritti. Nonché, ancora una volta, il mo-

mento di degustazione della giornata: una della macchie nere

della confezione sfuma e dentro l’alone da essa creato si ri-

trova una giovane coppia in pigiama con una bambina; in basso

si intravedono due tazze di cappuccino cremoso. Il pigiama

marca, quindi, la dimensione temporale (mattina, colazione)

che, tra l’altro, sembra essere sottolineata dalla sfumatu-

ra/alone che incornicia la foto; si tratta, infatti, di

un’atmosfera sospesa che richiama vagamente il sogno e

l’attività onirica. Le due tazze (per le quali è, tra

l’altro, tarata la Mukka) indicano l’esclusione della bambina

dall’atto del bere (il caffè, è una banalità, non è adatto ai

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più piccoli). Come facciamo a sapere che l’esclusa sia pro-

prio la bambina? È solo il nostro senso comune a suggerirlo?

No, di fatto la bambina indirizza lo sguardo oltre, in una

direzione che, se proiettata, ricade al di fuori del contorno

fotografato; mentre la giovane coppia guarda, quasi contem-

plandole, le due tazze, vero oggetto del desiderio (e di va-

lore).

Fig. 6: Facciata posteriore del packaging

Sempre in questa facciata sono presenti delle frasi che

vale la pena comparare con quelle che trovavamo in Brikka;

qui si legge, infatti:

“Bialetti rivoluziona il rito della colazione. Da oggi

potrai preparare il tuo cappuccino con la massima semplicità

d’uso. Con Mukka Express puoi gustare comodamente nel calore

della tua casa, tutta la cremosità di un cappuccino come

quello del bar.”

In Brikka, avevamo:

“A casa come al bar.

Con Brikka è facile ottenere a casa propria due tazzine

di caffè espresso con la cremina. Proprio come quello del

bar.

Con Brikka chi ama l’espresso ha finalmente trovato la

sua moka: basta seguire attentamente le istruzioni. E a chi

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rispetta tutte le fasi di preparazione, Brikka riserva 3 mm.

di crema per un caffè davvero speciale.”

Brikka e Mukka si pongono come le uniche macchine in

grado di eguagliare la bontà della colazione al bar (la cui

superiorità qui, come altrove, viene data per scontata).

Entrambe ribadiscono, come già avevamo visto, la loro

semplicità di utilizzo. Entrambe valorizzano euforicamente la

cremosità delle bevande che concorrono a produrre. Ma le

analogie terminano qui: mentre il Destinatario modello di

Brikka è ben determinato (“chi ama il caffè”); quello di

Mukka risulta del tutto indeterminato, viene identificato da

un “tu” generico3. Nel testo di Brikka troviamo delle forme

verbali impersonali; mentre in Mukka si dà del tu,

avvicinando enunciatore ed enunciatario4. Una piccola

incoerenza enunciativa: mentre nella facciata laterale le

mini-istruzioni avevano una forma impersonale (“Versare il

latte nel raccoglitore fino alla tacca di riferimento.”) –

che poi verrà mantenuta nel libretto – , qui cambia il modo

di porsi rispetto all’enunciatario. Una giustificazione a

tale scelta potrebbe essere motivata da una sorta di

sdoppiamento dell’enunciatore che si fa più serio quando deve

spiegare e conferire un saper fare all’utente; mentre gli si

avvicina quando le informazioni riguardano la modalità del

volere.

All’utilizzatore di Brikka viene prefigurata una prova

da affrontare: soltanto mostrando di essere in grado di

seguire perfettamente le istruzioni potrà gustare l’oggetto

di valore (caffè con cremina). Notiamo, inoltre, come la

necessità di seguire le istruzioni venga ribadita già due

volte all’interno di queste poche righe, conferendo

particolare importanza all’operazione. Per Mukka, invece

l’importanza delle istruzioni era già stata ribadita (anzi ne

veniva dato un sunto nella facciata laterale); il breve testo

si limita qui a sottolineare il risultato della prestazione.

3 Forse è proprio questo il motivo della presenza della fotografia:serve a referenzializzare la comunicazione che altrimenti risulterebbedel tutto spersonalizzata.

4 Curiosamente questa situazione verrà ribaltata, come vedremo, nelleistruzioni che risulteranno molto più distanzianti e serie in Mukka eamichevoli e scherzose in Brikka.

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Nel complesso la facciata posteriore con la fotografia e

la scritta sottolinea un contesto familiare (mai evocato in

Brikka) e caloroso ed evidenzia la portata innovativa della

macchina (“rivoluziona”).

4. Istruzioni per l’uso ed elementi “para-

testuali”...questioni di coerenza

Già in Brikka, aprendo la scatola, non trovavamo direttamente

la caffettiera (come avveniva per Moka express), ma un

incarto. Qui l’incarto si fa trasparente, segnalando subito

un poter vedere. Dall’atto di apertura della confezione si

può verificare il particolare design di Mukka, le sue chiazze

bianche e nere; Mukka è un oggetto di design. Se Brikka

manteneva i tratti tipici di una caffettiera limando le

superfici appuntite e arrotondando i tratti lineari di Moka,

qui, l’innovazione viene portata all’estremo: è un oggetto

del tutto nuovo che ci appare. Scompaiono spigoli e linee

rette (caratteristiche eidetiche); compare il colore

(caratteristiche cromatiche); vengono stravolte le dimensioni

e le proporzioni (caratteristiche topologiche). Emerge una

forte cesura tra parte inferiore (nera, monocromatica) e

parte superiore (bianca e nera, a chiazze) che un po’

richiama il colore del cappuccino, monocromatico alla base e

a chiazze (però bianche e marroni) in superficie.

Le analogie non finiscono qui. Ancora una volta troviamo

un misurino che servirà a dosare l’acqua e conferirà un’aura

scientifica all’operazione da compiere. Di nuovo ritroviamo

un piccolo foglio di carta che sottolinea l’importanza della

lettura delle istruzioni e fornisce qualche ulteriore

informazione. Se nella Moka Express le istruzioni erano del

tutto anonime e la loro lettura appariva irrilevante, in

Brikka, viceversa, ne veniva ribadita l’importanza con ogni

espediente. In altri termini, l’enunciatore, conoscendo le

abitudini interpretative del proprio enunciatario (non

leggere le istruzioni di una caffettiera + saper fare pratico

relativo al caffè) si trovava nella necessità di spezzare le

consuetudini, di smontarne la competenza presupposta,

ribadendo, con ogni mezzo, l’importanza della lettura delle

istruzioni. Quello che si vuole impedire è che, come spesso

accade, l’utilizzatore si rivolga direttamente all’oggetto

sin dal primo uso. In Brikka la funzione di richiamo era

assolta da un bollino rotondo con apertura a fisarmonica,

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dalla grafica accurata. Qui è un vero e proprio foglio,

arancione fosforescente, che utilizza un font consuetudinario

(fig. 7).

Fig. 7: Dentro la confezione: foglietto di Mukka e

bollino di Brikka

L’incipit del foglietto è “Lettura fondamentale per

l’utilizzo” e, oltre a rinviare alla lettura delle

istruzioni, fornisce informazioni circa la giusta dose di

elementi da utilizzare, la fiamma medio-alta su cui porre la

macchina, la valvola e la schiuma da distribuire tra le

tazze. Stupisce, in effetti, che un oggetto di design, per

definizione particolarmente attento alla cura del piano

dell’espressione, non ponga attenzione alla strutturazione di

un elemento paratestuale che, tra l’altro, è uno dei primi ad

essere incontrato dall’utente. Ma, voluta o no (non è di

pertinenza di questo studio dirlo), l’incoerenza con il resto

dell’enunciazione suscita proprio una maggiore attenzione nei

suoi riguardi, facendolo risaltare rispetto a tutto il resto.

L’incoerenza, in altri termini, segnala un pericolo o, più in

generale, importanza.

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Le istruzioni di Brikka (fig. 8) erano contenute in un

pieghevole formato brochure, colorato e caratterizzato da una

spiccata facilità di lettura (vs difficoltà per la Moka

tradizionale). L’opuscolo pieghevole consentiva di avere

davanti e su un unico piano l’immagine della caffettiera,

seguita dalla spiegazione delle fasi di preparazione. Ogni

pagina conteneva una sola istruzione (vs tutte le istruzioni

in un micro-foglio per Moka) e tutte con la stessa struttura:

numeri grandi in progressione (in alto a sinistra, ancora una

volta a rimarcare la sequenzialità dei passi); scritta del

numero in lettere seguita dell’istruzione; consiglio;

traduzione in altre quattro lingue; illustrazione

fumettistica del passo da seguire (in basso a sinistra).

Erano delle istruzioni particolari, in cui si abbandonavano

le regole di genere dei manuali, per rivolgersi in modo

confidenziale all’enunciatario, scherzare con lui (“facile,

vero?”), dargli dei consigli (“Stai attento alla quantità

d’acqua che utilizzi. Se è troppa, dal raccoglitore uscirà

caffè caldo che potrebbe sporcare i fornelli”).

Fig. 8: Istruzioni di Brikka

Con Mukka le cose cambiano nuovamente. Il formato

brochure viene abbandonato; ritroviamo un vero e proprio

“libretto di istruzioni” (come si vede scritto nella pagina

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iniziale). E, per certi versi, abbiamo un ritorno alla

strategia enunciativa di Moka Express. In quattro facciate

troviamo tutte le informazioni che poi saranno tradotte nelle

successive in altre lingue. Vi è, rispetto a Brikka, un

ritorno al genere “manuale”: utilizzo di forme verbali

neutre, assenza di qualsiasi forma di interpellazione del

lettore, istruzioni concentrate in poco spazio, strategia

enunciativa distanziante. La presenza delle figure

illustrative non accompagna chiaramente l’informazione cui si

riferiscono; molte illustrazioni sono concentrate creando un

andamento confusionario della pagina (e della lettura, fig.

9). Di fatto, stupisce che un oggetto ludico e giovanile come

Mukka non sia accompagnato da una tipologia di istruzioni

ammiccanti, come erano quelle di Brikka.

Fig. 9: Istruzioni di Mukka

Nella prima facciata delle istruzioni ritroviamo

un’assoluta novità: la Mukka “presenta anche la possibilità

di preparare un caffelatte […]. Le due modalità si impostano

agendo sulla posizione del pulsante”. A questo punto le

istruzioni si sdoppiano in “Modalità preparazione del

cappuccino (pulsante abbassato)” e “Modalità preparazione del

caffelatte (pulsante alzato)”: a variare è, oltre alla

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posizione del pulsante, la quantità d’acqua necessaria e,

quindi, l’equilibrio tra le dosi dei diversi elementi. Se

fino a questo momento avevamo visto Mukka come un oggetto

monofunzionale e specifico; ora (solo dopo l’acquisto)

veniamo a conoscenza del fatto che essa è programmata per

fare anche altro. Come mai nessuno lo aveva comunicato?

Sicuramente fare un caffelatte non è difficile con i normali

strumenti da cucina, né è un’innovazione poterlo preparare a

casa; la vera peculiarità di Mukka è il cappuccino, ma ci

saremmo aspettati almeno un accenno a questa seconda

modalità.

Tra testi (macchina per cappuccino) e paratesti

(packaging, foglietto arancione, istruzioni), insomma, non è

stata adottata un'unica strategia enunciativa, con il

risultato di una certa incoerenza nello stile comunicativo e

conseguenti momenti di disorientamento per il fruitore.

L’enunciatore iscritto è un innovatore che si rivela, a

seconda dei contesti, più o meno distante e più o meno

amichevole; il simulacro dell’enunciatario è, parallelamente,

un valorizzatore della pratica della colazione, sensibile

alle seduzioni estetiche e aperto all’innovazione sebbene,

come vedremo, non sempre potrà essere soddisfatto.

5. La pratica: una promessa tradita

L’essenza trasformatrice di una caffettiera è del tutto

peculiare: l’acqua (liquido), passando attraverso la miscela

(solido) e acquisendo alcune delle sue proprietà, diventa

caffè (liquido commestibile); in questo è coadiuvata dal

fuoco che contribuisce al passaggio di stato: /separatezza/

/fusione/. La moka opera, dunque, una trasformazione di

tipo qualitativo e non quantitativo. Questo passaggio di

stato non viene compiuto a trecentosessanta gradi, su una

molteplicità di sostanze (indeterminate) – come invece fanno,

ad esempio, la centrifuga e l’amalgamatrice – ma soltanto

utilizzando l’acqua e certi tipi di miscela di caffè.

In Moka, così come in Brikka, si opera una

trasformazione che va dallo strutturato (miscela) all’amorfo

(caffè liquido) (Bastide, 1987), ed è proprio l’assenza di

struttura a costituire il valore dell’oggetto, nonché del

soggetto operatore (caffettiera). Cosa accade in Mukka? Essa

non stravolge questa trasformazione (che risulta sempre

preliminarmente necessaria), ma vi aggiunge qualcos’altro.

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Non solo compare, infatti, un’altra sostanza (il latte), ma

ulteriori operazioni di trasformazione – sempre a partire da

sostanze omogenee e discrete (liquidi). Seguendo la

terminologia di Bastide (ivi) possiamo dire che essa mescola

insieme latte e caffè (passando dal semplice al composto) e

simultaneamente le monta (è qui che viene creata la schiuma),

passando dallo stato di concentrazione all’espansione: si

espande il sapore del caffè nel latte (espansione gustativa),

ma si espande anche la materia (espansione volumetrica). Ed è

proprio questa simultaneità di programmi narrativi – che

consuetudinariamente, dovrebbero essere sequenziali –, a

rendere conto della contrazione spazio-temporale cui si

accennava in apertura.

Moka e Brikka operano trasformazioni dallo strutturato

all’amorfo e dal compatto al discreto creando comunque un

oggetto semplice. Mukka opera un ulteriore passaggio

complicando l’operazione, aggiungendo altri tipi di

trasformazioni e creando un oggetto composto e composito. Il

latte, che va posto nella parte superiore della macchina

secondo il livello indicato da un’apposita tacca interna,

lavora in sinergia con il caffè nella costruzione di questo

oggetto di valore complesso (cappuccino); anzi, possiamo dire

che, alla fine del processo di preparazione, latte e caffè

diventano un tutt’uno, un attante duale (Greimas, 1976),

ovvero due elementi che si comportano come un unico attante.

La caffettiera è un soggetto operatore dotato di un

proprio saper fare (ma anche di un poter fare potenziale) e

solitamente, salvo impedimenti, porta a termine un programma

narrativo (fare il caffè) contribuendo alla creazione di un

oggetto di valore (oggetto di valore culinario). Alla base

della sua azione vi è, comunque, una struttura manipolatoria

(l’instaurazione nella moka di un dover fare, un far fare)

operata dal soggetto umano il quale assume, quindi, il ruolo

del destinante (ovvero di colui che stabilisce un contratto

con il soggetto/caffettiera, imponendogli un sistema di

valori – anch’essi culinari). Il tutto avviene in una

dimensione temporale che è caratterizzata da tipi di

aspettualizzazioni diversi a seconda della tecnologia

utilizzata. Il sistema valvolare di Brikka e Mukka, infatti,

le distingue dalla classica Moka: le prime vanno poste sul

fuoco a fiamma alta e la fuoriuscita della bevanda non si

configura come un processo durativo, ma quasi istantaneo.

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Anche la dimensione tensiva è radicalmente diversa.

Laddove abbiamo un progressivo accumulo di tensione e un

parallelo lento momento dis-tensivo (Moka), qui il tutto

entra in una dimensione “accelerata”: la tensione arriva

subito al suo apice, così come la fase dis-tensiva non è

progressiva, ma istantanea. Insomma, la temporalità di una

moka tradizionale si configura come processuale e durativa,

mentre quella di Brikka e Mukka come sintetica e tendente

verso la terminatività.

Ma se passiamo dalla teoria alla pratica, dai paratesti

ai testi, dalle istruzioni alla preparazione concreta,

andiamo incontro ad una sorpresa: il tempo di preparazione è

molto breve, il caffè fuoriesce in pochi minuti, ma il

cappuccino è freddo. Il calore è un elemento essenziale di

questa bevanda, una qualità s-necessaria, un sema inerente

(per dirla con Rastier) la cui assenza fa crollare la mission

che l’oggetto si era prefissata. La conferma di questa

essenzialità della caratteristica ci viene, oltre che dal

senso comune, dalla consultazione de La piccola enciclopedia

del caffè (Stella, 1999) che alla voce “cappuccino” dice: “Un

buon cappuccino […] esige un latte caldo, scaldato al

momento, nella quantità necessaria” (ivi, p.42).Se, quindi,

la funzionalità comunicativa era efficace, la funzionalità

operativa (il modo di funzionare) fallisce.

Mukka alla fine non si rivela un soggetto autonomo: è

necessario riscaldare prima e separatamente il latte. Viene a

cadere la simultaneità, la contrazione dei programmi

narrativi. Nella pratica concreta si andrà incontro a una

programmazione temporale obbligata dei compiti, obbligata

perché fondata su implicazioni logiche (prima riscaldare, poi

preparare il cappuccino). Mukka non è così in grado di

inglobare in pieno tutte le funzioni di altri strumenti, non

è un attante sincretico, ma necessita anche della presenza di

altri soggetti operatori (bricco per scaldare il latte). Il

programma narrativo di scaldare il latte diventa indipendente

(con un proprio spazio utopico) e aggiunto (Greimas, 1983).

Queste complicazioni, però, vengono misconosciute e

cancellate dall’enunciatore, causando una perdita di fiducia

da parte dell’enunciatario e una conseguente rottura del

patto comunicativo.

Come nota Greimas a proposito della zuppa al pesto, “la

programmazione globale avviene a partire dal punto finale del

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processo immaginato. Essa consiste, partendo da uno scopo

fissato, nella ricerca e nella elaborazione dei mezzi per

raggiungerlo. […] È solo in una fase successiva che avviene

la temporalizzazione dei programmi narrativi e che si fissa

l’ordine della loro progressione.” (ivi, p.162). Ed è proprio

in questa seconda fase che Mukka non si rivela un soggetto

pienamente competente.

Ulteriore problema si rivela quello dimensionale: la

grandezza della circonferenza della parte superiore e

inferiore causano non pochi problemi di natura pratica

nell’avvitare e nello svitare i due pezzi. L’oggetto si

rivela inadeguato rispetto alla costituzione fisica di alcuni

dei possibili utlizzatori, non essendo adeguatamente tarato

sui limiti del sistema fisico umano. “La messa in gioco del

nostro corpo proprio modifica l’oggetto, gli attribuisce una

resistenza particolare, una profondità, una consistenza che

avvertiamo, in maniera sensibile, in modo diverso rispetto a

un’esperienza puramente cognitiva dello stesso oggetto”

(Semprini, 1996; p. 114). Con il cambio di design, insomma,

cambiano anche i gesti o, meglio, i sintagmi gestuali, ovvero

le sequenze di azioni e le loro gerarchie.

Il soggetto si ritrova in una posizione di non-poter-

fare e viene implicato in un tipo di comunicazione che passa

da un regime contrattuale a uno polemico; Mukka e attore

umano possono ritrovarsi così in posizione di soggetti

antagonisti. Ma questa barriera creata dall’oggetto è, in

realtà, di tipo modulare e non categoriale, è selettiva (le

difficoltà incontrate nell’apertura saranno direttamente

proporzionali alla grandezza della mano): “Il controllo

delegato agli oggetti dipende in parte dalle qualità relative

dell’attore di cui l’accesso è controllato e in parte dalle

qualità dei materiali delegati al controllo” (Hammad, 2003,

p.265).

La caldaia, in qualità di interfaccia soggetto, risulta

mal progettata: in virtù della sua grandezza e della sua

levigatezza, non favorisce una presa agevole da parte

dell’attore umano (al contrario della moka tradizionale, in

cui le piccole dimensioni e la sfaccettatura facilitano

l’apertura della caffettiera). In qualità di interfaccia

oggetto, invece, la caldaia è ben programmata: proprio la

larghezza della base consente di porre l’oggetto su una

“fiamma medio-alta” (quella prescritta nelle istruzioni); la

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larghezza, configura, così, un certo tipo di azione (un certo

tipo di fornello e di fiamma). Questo elemento, è, in

sostanza, un elemento ambiguo che da un lato favorisce la

riuscita della pratica, dall’altro impedisce un’agevole

interazione oggetto-soggetto.

Infine, quando proviamo a versare la bevanda nella tazza

ci rendiamo conto che ci vogliono altri due elementi

fondamentali per la degustazione: due tazze. Non si può,

infatti, riempire solo una tazza lasciando una parte della

bevanda nel raccoglitore, pena la rinuncia alla schiuma del

cappuccino. A conferma di quanto detto, nelle istruzioni

leggiamo: “Sollevare il coperchio e distribuire prima il

liquido poi la crema, aiutandosi con un cucchiaino”. Se si è

da soli e si prova a riempire una sola tazza, si otterrà un

semplice caffellatte e la schiuma e il resto del cappuccino

rimarranno nel raccoglitore. Mentre con la normale Moka una

parte di caffè può stare nel raccoglitore, senza che questo

implichi una variazione nel giudizio di gusto, qui il

contenuto va completamente versato perché la schiuma è

l’ultimo elemento a fuoriuscire.

Allora la macchina per cappuccino cessa di essere uno

strumento autonomo, avendo bisogno di altri due attori-

oggetto (le tazze) per un efficace funzionamento. In altri

termini, il corretto funzionamento della Mukka implica la

presenza di una configurazione interoggettuale dalla quale si

rivela imprescindibile e, in un ceto senso, dipende: da un

punto di vista narrativo e sintagmatico il risultato

dell’oggetto presuppone la presenza di altri oggetti che si

rivelano gerarchicamente superiori. Mukka e le due tazze

vengono a costituire un’unica configurazione, un unico piano

del contenuto (cappuccino come oggetto unitario di

degustazione) c u i corrispondono diversi piani

dell’espressione (tazze, bevande, Mukka).

6. L’annuncio stampa

L’annuncio stampa di Mukka Express (fig. 10) fornisce ulte-

riori elementi di approfondimento sull’immagine che la mac-

china per cappuccino intende veicolare e sulla strategia e-

nunciativa adottata.

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Fig. 10: Mukka: annuncio stampa

Il primo elemento che il lettore incontra muovendo il

proprio sguardo dall’alto è una mucca che quasi tocca un

ragazzo disteso a letto appena sveglio, il quale, alquanto

sbigottito, guarda l’animale con la coda dell’occhio. In alto

a destra l’headline: “Siete mai stati svegliati da una

mucca?”. In basso, in una fascia ben separata dal resto,

troviamo gli altri elementi classici di ogni annuncio stampa:

il nome dell’oggetto (Mukka express, scritto in rosso e

inframmezzato da una piccola mucca, la stessa che si

ritrovava nel packaging); il payoff, che segnala il

posizionamento del prodotto (“Un cappuccino perfetto per un

risveglio morbido tutte le mattine”); il bodycopy (“È nata

Mukka Express, la macchina che cambierà il vostro modo di

fare colazione. Capace in pochi minuti di preparare un

cappuccino dalla schiuma morbidissima”). Procedendo verso

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destra, troviamo il packshot (l’immagine del prodotto) con

accanto le due tazze di cappuccino e, infine il trademark

(l’omino Bialetti) e il logotipo (nome dell’azienda).

Si tratta di una pubblicità di tipo ironico, che ben si

lega all’immagine ludica e giovanile del prodotto.

Chiaramente, si gioca qui sul significante “Mucca”, nella sua

doppia accezione di Mukka e di animale. Probabilmente, chi

non conosce il prodotto rimarrà inizialmente spiazzato e,

proprio per questo, potrà essere incuriosito e proseguire

nella lettura dell’annuncio, arrivando fino alla fine e

scoprendo che in realtà il soggetto incaricato di dare il

risveglio è una macchina per cappuccino e non l’animale.

Mukka e la mucca sono poste in una situazione di

subalternità: l’animale c’è per affermare il prodotto, per

operare un richiamo al latte, al mondo organico, alla prima

colazione. Il collegamento tra i due elementi è evidente

anche a livello visivo: innanzi tutto cromatico (entrambi

sono a chiazze bianche e nere), ma anche eidetico (prevalenza

di linee curve) e topologico (il muso della mucca sconfina

sul soggetto e, parallelamente, la Mukka sconfina dalla parte

inferiore a quella superiore dell’annuncio).

Il significante, la parola “mucca” nell’headline, vuole

rimanere, almeno in un primo momento, indeterminato: è la

parte visiva a disambiguare il testo, sono le figure a fare

da ancoraggio alla parte scritta. L’elevata densità

figurativa dell’annuncio, in tal senso, compensa

l’indeterminatezza della parte scritta incanalando solo su

essa lo sforzo interpretativo di tipo cognitivo richiesto al

lettore. In altri termini, figure (determinatezza) e headline

(indeterminatezza) sono due elementi che si compensano a

vicenda al fine di consentire una corretta comprensione

dell’annuncio.

Dal punto di vista del significante, mucca e Mukka sono

trattati come termini equivalenti; forse, un’identica scritta

con le due “K” avrebbe posto maggiormente in evidenza il

prodotto, senza far venire meno il richiamo al mondo

biologico.

L’annuncio è assimilabile a quel tipo di pubblicità che

Floch chiama “obliqua”, una “pubblicità del paradosso, che

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letteralmente va contro il senso comune, simula l’incongruo e

il non immediato, dove colui che guarda il manifesto è il

soggetto di un fare interpretativo” (Floch, 1992; p. 245).

Non a caso, Floch stesso indica l’ironia coma una forma

discorsiva tipica di questo genere di annunci:

“Essa [l’ironia, n.d.r.] stipula l’emergenza di un

enunciatario a cui l’enunciante attribuisce una competenza

interpretativa considerevole. […] Quest’ultimo è promosso

all’assenso. In effetti, l’ironia, più di ogni altra forma di

discorso, convoca l’enunciatario, provoca in lui un fare

interpretativo complesso, sulla base di una fiducia

postulata. L’assenso realizza allora, sul modello di

un’intesa segreta – di una connivenza – la solidarietà dei

soggetti.” (ivi, p. 250)

A livello topologico, l’organizzazione spaziale della

pagina è classica: headline e visual sono nettamente distinti

dagli altri elementi; a tre quarti di pagina circa c’è una

cesura fisica, una linea retta che demarca i due spazi;

soltanto la parte superiore di Mukka va a finire nel visual

dell’annuncio (facendo da rima alla mucca, come abbiamo

visto). Notiamo una piccola incoerenza: se sul piano del

contenuto i significati veicolati chiamano in causa un fare

interpretativo del lettore (i giochi di parole, l’ironia,

l’innovazione portata dal prodotto); sul piano

dell’espressione, l’impostazione classica e lineare

dell’annuncio non conferma questa strategia, creando una

sorta di cesura tra i due elementi.

Il visual pone in primo piano i due soggetti animati

(uomo e animale) creando un contrasto sfondo/figure. Lo

sfondo è quello di una stanza da letto, di cui vediamo solo

un angolo e alcuni elementi: un comodino su cui sono posate

delle riviste, una penna e una lampada, una scarpa buttata a

terra. La stanza è disordinata e anche il ragazzo, essendosi

appena svegliato, ha i capelli spettinati e l’aria un po’

trasandata. L’immagine dell’uomo, nonché l’ambientazione,

contrastano con la fotografia che avevamo trovato nel

packaging: lì avevamo una famiglia, con una bambina;

nonostante fossero tutti in pigiama (quindi presumibilmente

svegli da poco) la composizione della foto e gli

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atteggiamenti dei personaggi veicolavano un immagine di

ordine, pulizia, linearità.

Di contro, nell’annuncio è il caos a prevalere, l’uomo

fotografato è uno e il risveglio non sembra così piacevole

per come sembrava nell’altra immagine. È vero che il letto su

cui è disteso sembra essere a due piazze e che nella parte

inferiore dell’annuncio sono presentate due tazze di cappuc-

cino – fatto che non esclude la presenza di un’altra persona

(o forse è la mucca?) non inquadrata – ma l’ambientazione e

la scena di disordine non sembrano evocare un contesto fami-

liare e adulto. Rivolgendosi in entrambi i casi a un pubblico

giovane, l’enunciatore convoca, comunque, due contesti di-

scorsivi e ammicca a target diversi, ampliando il pubblico di

riferimento, ma perdendo, ancora una volta, in unitarietà di

strategia enunciativa. Quello che colpisce, tra l’altro, alla

luce di quanto scoperto a proposito dell’essenzialità delle

due tazze, è che in tutte le comunicazioni veicolate non sia-

no mai presenti due attori umani: nel packaging avevamo tre

soggetti umani, qui un ragazzo soltanto.

A livello semantico, la parte verbale riprende alcuni

elementi della comunicazione già incontrati nel packaging:

viene sottolineato ancora una volta il momento della prima

colazione e del risveglio come momento appropriato in cui

mettere in azione l’oggetto, ma soprattutto viene dato

rilievo alla portata innovativa della macchina – essa

“cambierà” (e non rivoluzionerà, come è scritto nel

packaging) il modo di fare colazione. Nell’headline la marca

temporale /mai/ si contrappone a /tutte le mattine/ del

payoff: da un prima in cui era impossibile essere “svegliati

da una mucca” (ovvero preparare un cappuccino con una

macchina simile alla caffettiera), si passa ad un dopo in cui

si può preparare il cappuccino “tutte le mattine”, marca che

sottolinea, così, una temporalità durativa che accentua il

ripetersi routinario delle pratiche quotidiane.

Infine, particolare attenzione è data al sema della

/morbidezza/ (“risveglio morbido”, “schiuma morbidissima”):

essa è una caratteristica tattile, che, sinesteticamente,

viene attribuita al gusto e, attraverso il cappuccino,

transitivamente al momento del risveglio (e, quindi, al

soggetto). Ad essere sottolineato è un processo che tende a

sminuire le discontinuità tra il sonno e la veglia,

“ammorbidendo” il passaggio tra i due momenti. Questa

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caratteristica sembra, altresì, essere enfatizzata anche nel

font utilizzato: il nome del prodotto scritto in rosso in

basso è lo stesso che trovavamo nel packaging, di cui abbiamo

già detto, ma anche gli altri elementi scritti utilizzano un

carattere senza grazie, rotondeggiante e privo di spigoli.

Il sema della /morbidezza/, però, non viene

parallelamente trattato a livello eidetico nel visual:

nonostante il piumone con le sue pieghe e il viso della mucca

siano prevalentemente formati da linee curve, sono presenti

numerosi spigoli e linee rette (il comodino, la testata del

letto, l’angolo per terra nel parquet) che non contribuiscono

a enfatizzare la morbidezza al pari di quanto è stato fatto

per la parte scritta, né fanno da rima (e da richiamo) alla

rotondità, curvilinearità del design di Mukka. Considerata da

un altro punto di vista, questa “incoerenza”, di contro, non

si rivelerebbe come tale: il sema della /morbidezza/ è

attribuito solo a certi elementi/figure (mucca, Mukka,

piumone) che sono in grado di marcare euforicamente il

momento del risveglio; tutto il resto (per lo più tutto lo

sfondo) rimane invece rettilineo e spigoloso, marcando

disforicamente ciò che ricade al di fuori della pratica qui

valorizzata (il risveglio e la colazione).

Conclusione

L’introduzione di un’innovazione è sempre difficile da

comunicare, da far accettare, da testare; ed è proprio in

questa fase (non del tutto terminata) che Mukka si trova.

Essa seduce attraverso stimoli estetici (il suo design) e

pratici (la possibilità di “rivoluzionare il rito della

colazione”), ma poi delude nei secondi; tradendo la delega

cognitiva e funzionale che le era stata accordata. Alla fine,

delle tre funzioni che avevamo riconosciuto all’inizio

dell’analisi, è quella che sembrava essere secondaria a

rivelarsi fondamentale e prioritaria: è la funzione estetica

a prevalere, facendo diventare la Mukka un bell’oggetto da

esporre, un soprammobile di cui godere esteticamente (e meno

estesicamente).

Questa considerazione ci fa venire in mente

essenzialmente due riflessioni. Da un lato, questa breve

analisi conferma un assunto già ben presente alla semiotica

degli oggetti: le cose non sottostanno a una gerarchia di

funzioni fissate a priori, al cui vertice sta quella pratica;

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al contrario, essa “è una delle tante possibilità simbolico-

sociali offerte all’oggetto” (Marrone, 2002, p.32). Si va,

cioè, verso un superamento della tradizionale dicotomia

strumentalità vs esteticità da un canto, denotazione vs

connotazione dall’altro (ivi).

Dall’altro, conferma la possibile utilità pratica di

un’analisi semiotica degli oggetti. Lungi dall’essere un mero

strumento di commento fatto a posteriori su un qualche fatto

sociale, l’analisi può diventare elemento di un’azione

preventiva, volta al superamento, in sede di test di

prototipi, ad esempio, di gap pratici o comunicativi,

difficoltà costitutive, meccanismi enunciazionali poco

coerenti. Perché ciò possa avvenire, però è necessaria

un’opera di comunicazione, è necessario che le riflessioni e

le analisi vengano diffuse tra responsabili di comunicazione

e marketing, progettisti e designer. Solo aprendo il dialogo

con le altre discipline, insomma, sarà possibile un reciproco

arricchimento e un incremento di conoscenza; viceversa, le

analisi si aggiungeranno le une alle altre avendo come

effetto solo una ridondanza e un parziale arricchimento di

una ristretta comunità.

La nostra macchina per cappuccino è, comunque, ancora

all’inizio della sua carriera oggettuale (Semprini, 1996),

quindi ancora aperta a possibili innovazioni sia dal punto di

vista dell’enunciazione che dell’enunciato; e ancora, il suo

senso risulta tutto negoziabile, ri-negoziabile e

specificabile nelle pratiche sociali e contestuali quotidiane

dei soggetti.

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Data di pubblicazione in rete : 21 marzo 2005