Marrakech Express

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diari di bordo prima puntata Primo “viaggio”, non “vacanza”, vera e propria con nostra figlia al seguito. I partecipanti: io e LUI, cop- pia decennale che continua a vivere nel peccato, e lei (4 anni, grande viaggiatrice-vacanziera, so- prannominata affettuosamente “la nana”). Fatte le presentazioni, via, c’è un aereo da prendere! Milano Malpensa – Marrakech. 3-7 aprile 2010, ovvero le vacanze di Pasqua. Le aspettative non sono state deluse. Le recensio- ni di TripAdvisor non smentiscono. Mai. Ormai il nostro guru nella scelta degli alloggi. Ma prima una piccola postilla sull’aeroporto di Marrakech – Menara. Se pensate di arrivare e tro- vare una struttura fatiscente, obsoleta, insomma antiquata, beh, abbandonate questo pensiero o voi che vi atterrate. La struttura è imponente, ampia e luminosa, pulita e ordinata. Dove nulla sembra lasciato al caso. Peccato solo che al nostro arrivo siano atterrati 6, dico 6, voli in contemporanea. Ciò ha significato più di un’ora di coda al controllo passaporti. All’uscita il nostro autista mandato dal Riad ad attenderci. Finalmente siamo arrivati! Il fido Aziz non si fa mancare nulla: la cosa meravigliosa che ci ha colpito è il suo bicchierino di caffé preso nel parcheggio e messo in macchina per soddisfare il desiderio di caffeina, in qualunque momento… In poco più di un quarto d’ora, solo ed esclusiva- mente per motivi di traffico, dalla città nuova in cui è situato l’aeroporto eccoci attraversare le mura della Medina ed entrare nella storia della Città Rossa. Banchetti di frutti colorati, carretti trainati da ciuchini, carrozze per turisti, biciclette, donne velate dalla testa ai piedi e non, uomini in giacche a vento e uomini in camicia…ognuno ha il suo Marrakech Express. NULLA DI MEGLIO DEL RIAD “LE CLOS DES ARTS” di Valeria Merlini diari di bordo bookavenue

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diario di bordo

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diari di bordoprima puntata

Primo “viaggio”, non “vacanza”, vera e propria con nostra figlia al seguito. I partecipanti: io e LUI, cop-pia decennale che continua a vivere nel peccato, e lei (4 anni, grande viaggiatrice-vacanziera, so-prannominata affettuosamente “la nana”). Fatte le presentazioni, via, c’è un aereo da prendere!

Milano Malpensa – Marrakech. 3-7 aprile 2010, ovvero le vacanze di Pasqua. Le aspettative non sono state deluse. Le recensio-ni di TripAdvisor non smentiscono. Mai. Ormai il nostro guru nella scelta degli alloggi.Ma prima una piccola postilla sull’aeroporto di Marrakech – Menara. Se pensate di arrivare e tro-vare una struttura fatiscente, obsoleta, insomma antiquata, beh, abbandonate questo pensiero o voi che vi atterrate. La struttura è imponente, ampia e luminosa, pulita e ordinata. Dove nulla sembra lasciato al caso.Peccato solo che al nostro arrivo siano atterrati 6, dico 6, voli in contemporanea. Ciò ha significato più di un’ora di coda al controllo passaporti.All’uscita il nostro autista mandato dal Riad ad

attenderci. Finalmente siamo arrivati! Il fido Aziz non si fa mancare nulla: la cosa meravigliosa che ci ha colpito è il suo bicchierino di caffé preso nel parcheggio e messo in macchina per soddisfare il desiderio di caffeina, in qualunque momento…In poco più di un quarto d’ora, solo ed esclusiva-mente per motivi di traffico, dalla città nuova in cui è situato l’aeroporto eccoci attraversare le mura della Medina ed entrare nella storia della Città Rossa. Banchetti di frutti colorati, carretti trainati da ciuchini, carrozze per turisti, biciclette, donne velate dalla testa ai piedi e non, uomini in giacche a vento e uomini in camicia…ognuno ha il suo

Marrakech Express. NULLA DI MEGLIO DEL RIAD “LE CLOS DES ARTS”

di Valeria Merlini

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personale indice di calore…

Aziz ci lascia nell’ultima piazza raggiungibile in macchina, a pochissimi passi dal Riad Le Clos des Arts. Dove ci viene incontro Massimo, il proprie-tario. Il Riad è a cinque minuti a piedi da tutto, nel cuore della Medina.E qui, la magia. La sensazione di entrare in un altro mondo. Fuori il vociare delle persone, dei mercanti, delle moto e delle biciclette a cui Allah indica la via (cioè se tu ti trovi sulla loro rotta non è un proble-ma che li tocca). Entrando al Riad ti lasci tutto alle spalle.Musica bassissima in sottofondo. Mosaici, colori, fontana, petali di rose, alcove, cuscini, tendaggi e luce. Tutto insieme ad abbagliarci.Massimo ci accompagna nella nostra suite, la Nacre, chiusa da una tenda. Per la prima volta nel nostro girovagare non esistono chiavi. La cosa ci stupisce, ci affascina, ci predispone molto bene. Un letto a baldacchino per noi e un letto a baldac-chino da principessa per la nana. Tappeti, scrigni per tavolini, sedie in pelle, manichini come opere d’arte, soffitti affrescati nella stanza grande. Una porta a doppia anta conduce al guardaroba: mai ripiani degli armadi mi hanno fatta sentire così sicura su dove sistemare i vestiti. Tutto nuovo e pu-lito. Un mobile aperto di fronte al doppio armadio

e un piccolo frigorifero messomi a disposizione per le solite medicine che mi accompagnano ovun-que. Da qui si accede al bagno. Che poi chiamarlo bagno è riduttivo. Lavandino dorato incastonato in un piano a mosaico e specchio marocchino d’ordi-nanza. Tutti gli accessori e le rubinetterie in metallo dorato martellato. Da lasciarci gli occhi e il cuore. In questa prima sala il lavandino e il gabinetto. Nella seconda una doccia che ti ci perdi. Mosaici anche qui. Insomma, un sogno.Nel Riad ci sono 4 suites e 3 camere, ma guai a chiamarle standard. La nostra è al piano terreno, nel cortile interno. Una scala laterale porta al primo piano dove ci sono il resto degli alloggi, tutti affac-ciati sul cortile interno. Ancora un piccolo sforzo e con le scale si arriva al tetto. Questo Riad è uno dei pochi con piscina superiore (così sempre al sole), 6 lettini e, meraviglia delle meraviglie, su ogni lettino oltre al telo, un pareo e un cappello di paglia per proteggersi dal sole. Ma che posto è mai questo? Anche tavoli e ombrelloni per la colazione, quando la temperatura mattutina lo consente (ricordo che l’escursione termica tra quando c’è il sole e quando tramonta è importante).

Ciò che rende a nostro avviso unico il Riad sono senz’altro i proprietari. Massimo e sua moglie Giorgina. L’amore li ha fatti incontrare in Tanzania, la dichiarazione è stata meglio che da manuale:

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in mezzo alle dune del deserto. Lei ha detto sì. E la continua voglia di scoperta e di movimento, di comunicazione e di sperimentazione di Massimo e di Giorgina li hanno portati qui a Marrakech. A rea-lizzare uno dei tanti sogni che, ormai come re Mida, Massimo pensa e riesce a creare: acquistare il Riad da un’artista francese, rimetterlo a nuovo grazie all’aiuto di volenterosi amici che hanno trascorso l’estate a Marrakech e aprirlo al pubblico. Che con pareri unanimi lo hanno decretato uno dei migliori di Marrakech!Giorgina e Massimo non si negano mai agli ospiti. Non sono albergatori. Sono un uomo e una donna che hanno aperto la loro casa per farne una dimora d’accoglienza. Ti dedicano del tempo. Perchè qui la fretta non esiste. I particolari sono importanti. Le descrizioni su dove andare, cosa fare e cosa vedere sono minuziose. E non si limitano a farlo all’arrivo: appena ne hanno la possibilità ti accolgono alla porta chiedendoti come è andata la tua giornata. E lo fanno con vero interesse. Perchè nelle loro in-tenzioni capisci che vogliono sì farti stare bene, ma anche conoscere davvero le persone che hanno di fronte. Mai trattamento fu più eccellente.E se si è fortunati, se ci si ricorda di prenotare per tempo (in modo da permettere alla cucina di fare la spesa adeguata), si può anche cenare al Riad. I piatti sono quelli della tradizione marocchina, ma rivisitati e arricchiti di particolari. Per esempio, la

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prima sera abbiamo potuto gustare, come cena di Pasqua:insalate marocchine e risotto al salmone e porri; tajine di rana pescatrice (eccezionale) accompa-gnata da cous-cous; millefoglie con panna e fra-gole fresche. Ahimé il vino, come le birre, bisogna scordarsele: occorre una licenza apposita e il Riad che viene scoperto a servirne essendo sprovvisto di tale documento viene chiuso all’istante. Meglio quindi per un gioiellino del genere non correre rischi.Seguite Giorgina e Massimo anche su Facebook: Riad le Clos des Arts, Marrakech Medina.

©Valeria Merlini

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Marrakech Express

di Valeria Merlini

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io e lei ci mettiamo al riparo del gazebo dove c’è il tripudio di divani e cuscini, LUI dorme al sole, come se nulla fosse.Al risveglio andiamo diretti nella zona per nulla battuta dai turisti degli artigiani, dove Giorgina ci ha detto che potremo trovare chi ci farà la cornice per lo specchio del nostro bagno milanese. Dopo aver scoperto i prezzi degli specchi in Italia ci è ve-nuta l’idea geniale di portarcelo fatto e finito come vogliamo da qui. E le contrattazioni hanno inizio. Troviamo il nostro artigiano perfetto: un mito che impiegherà solo due giorni (ma temo che lavorerà giorno e notte…). Il prezzo? Partita da 1500Dhr, la contrattazione è scesa (e si è fermata) a 950Dhr – 85€ circa – (contro i 700€ italiani).Sulla strada non resistiamo ed entriamo in un’erbo-risteria dove compriamo il tè alla menta da portare

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PRANZO A “UN DÉJEUNER À MARRAKECH”; MERCATO DEL MELLAH CON APERITIVO AL “KOSYBAR”.

day 1

Dopo le istruzioni operative da parte di Giorgina eccoci in giro. Ma è già ora di pranzo.E subito dietro il Riad, quando ancora non ci siamo immersi nella piena vita di Marrakech, ci ritroviamo seduti in questo localino che sa, terribilmente, di Francia. Meglio, di Côte d’Azur. Con tanto di poster della Promenade des Anglais. E sottofondo di musi-ca jazz.Siamo al Un déjeuner à Marrakech. Personale com-posto da ragazzi, tutti gentilissimi. Cucina deliziosa.Cosa abbiamo mangiato: omelette au fromage, tris de salades marocaines, brochette de boeuf; panna cotta al miele, mousse au café (stupenda!).Cosa abbiamo bevuto: tè alla menta (ormai d’obbli-go), orangina, schweppes au citron.E poi, visto il caldo e il sole stupendo (e vista l’ora di siesta che anche qui viene solennemente rispet-tata), testiamo subito i lettini della piscina per il sonnellino. Ma fa un caldo insopportabile, per cui

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a casa e i bastoncini di liquirizia (quelli che succhia-vamo da bambini e ci lasciavano in bocca gli orridi pelucchi…). Da qui ci dirigiamo alla Mellah, il quartiere che una volta era degli ebrei, ora con un mercato coper-to molto carino dove poter acquistare orecchini, braccialetti, perline, tessuti, e tantissimo altro. Io mi limito ad un paio di orecchini per 10Dhr (qualcosa come 1€!!!). Dal mercato usciamo e ci portiamo sulla piazza principale in cui ci sono molti negoziet-ti che espongono lampade e lampade e lampade e ancora lampade. E andiamo a prendere l’aperitivo di rito: al KosyBar. Dove l’attrattiva principale è data dai nidi delle cicogne che dominano i tetti circo-stanti. Cicogne dappertutto. Uno spettacolo! Poi arriva l’ora del rientro, l’aria si è fatta frizzantina. Dopo una doccia strepitosa nel nostro bellissimo bagno, stasera si cena al Riad. Giorgina ci ha pre-parato una cena pasquale prelibatissima: insalate marocchine (per me), risotto al salmone e porri (per loro due), tajine di rana pescatrice accompagnata da cous cous, millefoglie di fragole e panna.Avete presente il detto “Quando la frutta sapeva di frutta“? Beh, qui a Marrakech è incredibile. Il sapore delle fragole riporta a fragranze dimenticate, che forse noi non abbiamo nemmeno fatto in tempo a conoscere…Domani sveglia all’alba: ci aspetta una grande giornata!

fine seconda puntata

© le foto sono di Valeria Merlini

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DIARIO DI BORDO

terza puntata

. (DAY 2) Come scrivevo, sveglia all’alba. Che se in un pri-mo momento ci ha un po’ spaventati, ragionando sul fuso orario non era poi così tragica. Insomma, sveglia per me e i miei preparativi alle 5,00, mentre a loro due ho concesso qualche minuto in più. Ma che fatica, poverina, svegliare nana…Alle 5,30 viene allestita una colazione solo per noi 3, nel silenzio e nella quiete mattutina del Riad. Anche se interrotta dallo squillo del telefono di chi doveva venire a prenderci. Già perchè oggi è una giornata speciale: la nostra prima volta in mongol-fiera!Devo spendere qualche parola sulla colazione, sul tripudio di delizie: tè, brioches, tre tipi di marmella-te diverse, spremuta d’arancia, yogurt fresco, pane caldo, e chi più ne ha più ne metta. Dobbiamo rifo-cillarci per benino perchè non abbiamo la minima idea di cosa ci aspetta.Puntuale e preciso, alle 5,45 Daniel, di Ciel d’Afri-que, ci viene a prendere con la sua jeep nella piazza vicino al Riad. E via a prendere altri passeg-geri (una famiglia di origine serba, ma residenti a Milano dagli anni ’80, molto in – lui soprannomina-

to in seguito Mr. Black per via del colore della carta di credito. E non aggiungo altro!).Il viaggio verso il luogo della partenza ci porta fuori Marrakech, attraverso le strade che all’alba si stanno animando e che non lasciano certo pre-sagire in che cosa si trasformeranno da lì a poche ore: caos, traffico, clacson, e gente ovunque. La strada conduce verso le pianure che circondano Marrakech, dove ad un certo punto l’asfalto lascia il passo allo sterrato. Fino ad uno piccolo villaggio, davvero pochissime costruzioni, in cui alla jeep viene attaccato un carrello (intuiamo contenga la mongolfiera). Dopo qualche altro minuto eccoci su uno spiazzo enorme, circondato da campi verdi, in cui assistiamo alla magia: l’assemblaggio del cesto al pallone. Uno spettacolo unico, perchè il pallone viene estratto da un fodero in cui è ripiegato accu-ratamente, srotolato lungo il terreno, mentre sopra al cestone di vimini (chiamato gondola) viene mon-tata la struttura del bruciatore, il cui scopo è fornire l’aria calda che sospingerà il pallone verso l’alto.

Prima un grosso ventilatore (e quando dico grosso è davvero grosso) gonfia il pallone, che non si alza ancora perchè necessita dell’aria calda. L’aria riscal-data, che si raccoglie nel pallone, lo rende infatti più leggero dell’aria circostante e determina così la spinta ascensionale del pallone e del cesto ad esso

MARRAKECH EXPRESS. In mongolfiera con “Ciel d’Afrique”

di Valeria Merlini

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vincolato. E’ incredibile vedere la trasformazione: da un enorme sacchetto schiacciato ad un mae-stoso pallone. E che effetto quando Daniel ed uno dei suoi aiutanti entrano dentro il pallone, ormai gonfio per metà, ma ancora sdraiato, per tirare le pieghe che resistono sul fondo: loro due, piccoli piccoli, all’interno di una tale maestosità.E, infine, quando tutto è pronto e manca davvero poco, ecco Daniel che entra nel cesto, che al mo-mento è ancora sdraiato su un fianco, accende il bruciatore e butta aria calda proveniente da questa immensa fiamma all’interno del pallone… Ed ecco che il pallone si alza, portando con sé, raddrizzan-dolo quindi, anche il cesto a cui Daniel pare incol-lato.Maestoso, colorato, imponente. La mongolfiera è pronta ad accoglierci. L’interno del cesto è diviso in 5 spazi: quello maggiore al centro, dove il pilota si deve occupare di tutto e 4 laterali in cui prendiamo posto.E quando la mongolfiera alle 7 del mattino si stacca da terra, lentamente, con solo il rumore del brucia-tore che fortunatamente ci scalda (la temperatura a quest’ora del mattino è ancora fresca, molto fre-sca), l’emozione. E le lacrime. Sono davvero poche le volte in cui si piange per l’emozione in una vita. Troppo poche. Questa è una di quelle. Una felicità incredibile si impadronisce di me. La mia gioia è

inversamente proporzionale alla velocità di salita. Da provare, almeno una volta nella vita.Quello che si vede sono dolci colline, campi verdi e ordinati, poche case qua e là, greggi di pecore. E minuscole, le jeep del nostro gruppo che ci se-guono, fino a quando le perdo di vista e Daniel ci comunica che abbiamo raggiunto l’altitudine di un chilometro. Dopo un’ora inizia la discesa. Che avverrà poco distante da dove ci siamo alzati. Il cesto al suo interno ha dei maniglioni a cui ci si deve aggrappare durante l’atterraggio per evitare di cadere, solo perchè non esiste un sistema di fre-nata ad hoc, a parte l’attrito del cesto con il terreno. Infatti, quello che accade è che il cesto gratti per un po’ di lato sui sassi su cui ci appoggeremo alla fine. Nulla di cui preoccuparsi comunque.Una volta scesi dal cesto assistiamo allo sgonfia-mento e al ricollocamento del pallone sul carrello. Il tutto si svolge in tempi molto più rapidi di quelli serviti per gonfiarlo.Quando sono convinta di tornare al Riad, quanto meno a Marrakech, Daniel ci tira fuori dal cilindro una super-sorpresa. Sono infatti le 8 passate da poco, quando raggiungiamo una casa attraverso una strada sterrata. All’ingresso ci accolgono due signore con il solo capo coperto e dai vestiti in co-lori sgargianti. Sono la suocera e la nuora che abita-no in questo appezzamento di terreno, in mezzo

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al nulla. Circondati da campi, il loro sostentamento deriva dalle pecore e dal piccolo orto con cui rica-vano quanto serve quotidianamente (e che spero serva anche come vendita in qualche mercato).Entriamo nel loro mondo e, una volta di più, tutto il resto è fuori. Daniel ci dice che quasi ogni giorno, finito il tour in mongolfiera, porta qui i partecipan-ti a fare una sorta di merenda. Il giardino interno rivela cespugli di rosmarino con un aroma fortis-simo e, una volta in più, abbiamo avuto modo di constatare come profumi e sapori siano più mar-cati. Veniamo fatti accomodare in una stanza della casa (che conta due sole entrate dal lato di questo giardino) che è la loro camera da letto. Togliamo le scarpe ed entriamo. La stanza ha cuscini sui tre lati, un tavolino in mezzo, stuoie su cui camminare (e mi viene il sospetto che sia una camera da letto per un armadio al lato opposto della stanza con sopra una valigia e una televisione). Arriva una delle due donne, quella giovane, con un annaffiatoio e una bacinella per raccogliere l’acqua che cade e con la quale ci laviamo le mani. Poi arriva pane cal-do appena sfornato, un piatto con olio e un altro piatto con miele. Il pane, ci spiega Daniel, va intinto nell’olio e nel miele e, assicuro, non ricordo di aver mai assaggiato nulla di così dolce. Oltre al tè alla menta che ci danno, tanto che al secondo giro lo chiedo senza zucchero. Buono, buono da morire,

ma così dolce che sai che ti stai facendo del male.Le chiacchiere, la merenda, il fatto che si sta così bene in questo mondo non ci fanno rendere conto del tempo che passa. Dopo foto di rito, consegna dei diplomi di provetti mongolfieristi (perdonatemi la licenza), ci rimettiamo in macchina. Baci e ab-bracci, si torna a Marrakech.E anche qui Daniel ci regala un tour extra attra-verso la Palmeraie, zona degli hotel esclusivi. Ma che vanno evitati accuratamente se si vuole vivere Marrakech come merita!

fine 3a puntata

© le foto sono dell’Autrice

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DIARIO DI BORDO, 4a Puntata

PIAZZA DJEMAA EL FNA CON PRANZO AL “CAFÉ DES ÉPICES”; GIRO SUI DROMEDARI; HAMMAM ZIANI; CENA AL DAR MOHA. (DAY 2)

Una volta rientrati a Marrakech, salutati tutti, ci avviamo finalmente nella piazza, famosissima piaz-za, Djemaa El Fna, cuore pulsante di Marrakech, per certi aspetti dell’intero Marocco. Ne riassume i tempi, il divenire del giorno e della notte; tra le sue attrazioni antropologiche si perdono i turisti e i viaggiatori, ma soprattutto vi passano l’esistenza, ogni giorno, gli uomini e le donne di Marrakech, come in un palcoscenico all’aria aperta. E’ qui che si svolge gran parte di tutta la vita sociale, culturale e turistica. Ma siamo solo di passaggio, entriamo veloci nel souq (o souk che dir si voglia) da dove si accede al dedalo irregolare di strette vie che for-mano il mercato, nel ventre della medina. Veloci perchè io sono terrorizzata. Ho letto, sentito dire e poi confermato da Giorgina e Massimo, che gli incantatori di serpenti ti mettono al collo i poveri rettili e tu, turista, paghi qualunque cifra purché ti venga tolto. Ecco, io non voglio trovarmi in quella spiacevole situazione. Non per il denaro, ma per il terrore, assoluto terrore, dei serpenti. Tanto che appena entrati nel souq non mi rendo conto che il venditore che si sta avvicinando ha tra le mani un serpente finto, non vero. Ormai è fobia.

Dobbiamo mangiare. Anche in questo caso seguia-mo una dritta e attraversiamo quindi una parte del souq per uscire in una piazzetta dove predomina-no le bancarelle di cappelli e borse, rigorosamente di paglia. Guardando bene vedo che oltre queste bancarelle c’è di nuovo la piazza Djemma El Fna, quindi non abbiamo fatto altro che una strada a L contraria e capovolta (praticamente, entrati, dritto lungo, a sinistra e fuori).La meta è il Café des épices, con la classica terrazza da cui ammirare il panorama sulla piazzetta sotto-stante e sui tetti circostanti. E anche qui, cappelloni enormi di paglia con cui ripararsi dal sole. Il cibo, però, non mi ha molto soddisfatta, lo devo ammet-tere.Cosa abbiamo mangiato (meglio, quello che era a disposizione per quella giornata come riportato da lavagna): sandwiches au poulet, acqua con gas e fanta. Bah… Rientrando al Riad ne approfittiamo per fare un giretto tra le viuzze, fotografare la vita del quartiere, con le bancarelle del pesce, i coni gelato all’aperto, la carne appesa e tutta la vita di Marrakech. Che ci stupisce, che ci rapisce.Andiamo a farci il solito sonnellino, è stata una mattinata lunga. Al solito, io e nana in camera, al fresco, sotto il piumone, lui al sole caldo, caldissi-mo, in piscina.…Al risveglio, come le avevamo promesso, mi tocca il giro sui cammelli (dromedari, secondo me, una

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di Valeria Merlini

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sola gobba). E sia. Un taxi ci porta all’esterno della Medina, su Avenue de la Mènara. Ed ecco Aisha e Madonna. A loro la prima, docile, bravissima, piacevole. Madonna l’esatto contrario: non vuole accucciarsi per farmi salire, proprio non se lo sogna nemmeno, incazzosa, insomma quello che mi me-rito. E poi, una volta in groppa, mi tiene tutta storta tanto che mi tocca mettermi di lato, come negli anni sessanta… Ma dico io! Un giretto da un’oretta lungo il viale e nei giardini della Mènara, ecco un po’ triste. Magari vale la pena andare alla Palme-raie solo per fare il giro sulla sabbia in groppa ai cammelli (o dromedari che dir si voglia). O magari, ancora meglio, evitare del tutto di sottoporre que-sti poveri animali a quella che vedo come un’inutile agonia…Meno male che c’è un seguito. Abbiamo fissato l’hammam dalle 19,00 alle 20,00. E non uno di quelli fighetti che, come dice Giorgina puoi tro-vare anche qui a Milano. No, uno di quelli veri, dove vanno i marocchini stessi. Ed è vicinissimo al Riad. Si chiama Les Bains Ziani, e nana accetta di partecipare anche lei. Quindi, le femmine da una parte, il maschio dall’altra. Commento anticipato: un’esperienza indimenticabile, unica, meravigliosa! Nana continua a dire che ci vuole tornare, anche a distanza di tempo.All’entrata veniamo dirottate verso uno spogliato-io con armadietti e lucchetti (peccato solo che le scarpe non abbiano modo di essere fisicamente se-

parate dagli abiti). Ciabattine d’ordinanza e accap-patoio. Poi verso l’ultima sala dell’hammam, quella del vapore o bagno turco. Un donnone mi fornisce di saponetta con cui strofinarmi e sciacquarmi con acqua tiepida, poi mi siedo sui gradoni e attendo che il vapore faccia il suo lavoro. Lei? Ha scoperto

l’acqua calda. Ma nel vero senso della parola; gioca come una pazza a buttarsi secchiate d’acqua tiepi-da. Bene, sono tranquilla. Poi arriva il mio donnone

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che mi porta in una sala adiacente a quella del vapore dove mi ristrofina e mi piazza su tavolone di marmo ed eccoci. Mi sento dal macellaio. Sono pronta alla tortura. …Ma che tortura e tortura, sono in paradiso! Lei mi strofina con un guanto e mi tira via pelle morta come mai nessuno me ne aveva tirata via. La differenza dalle spa milanesi (e non)? Che sul guanto non c’è nessuna crema, nes-sun unguento che addolcisca il trattamento: è una prova d’urto, solo i più forti resistono. Ce la faccio, alla fine è un piacere. Da qui una sciacquata veloce ed eccomi in un’altra sala, altro tavolone e questa volta sono al lavaggio vero e proprio: bagno schiu-ma, massaggio e, roba da non credere, persino lo shampoo. Fino a quando non mi gira supina e, per fare un massaggio completo, si mette dietro la mia testa e fa scorrere le mani dal mio ventre in su. Ok, niente da dire, no? Peccato che il mio donnone sia dotata di due tette giganti e quando si sdraia su di me io praticamente soffoco, ho un momento di mancamento. Vorrei vedere voi… Infine, sotto la doccia a sciacquare il tutto. E, rompina come sono, chiedo se hanno anche un pettine per i miei no-dacci: il donnone mi pettina mentre io approfitto del getto caldo. Io l’amo e amo questo posto.Ma nana? L’avevo lasciata a giocare, la ritrovo stesa sul tavolone da macellaio che si fa fare lo scrub con il guanto e ride come una pazza. Stesso tratta-mento, ovviamente più soft, anche per la doccia e lo shampoo. E’ molto a suo agio la ragazza. E la sua

donnona, se la bacia tutta…Al termine ci rivestiamo e ci accomodiamo in una sala dell’hammam ad aspettare LUI, sorseggiando tè alla menta.Ed è già ora di cena. Il tassista che ci ha accom-pagnato ai cammelli sarà il nostro autista per la serata. Quindi un salto veloce al Riad e di nuovo in pista per la tappa di questa sera. Conosciuto per la sua gastronomie legendaire, le petit prince de la cuisine, nuivelle cuisine marocaine, entriamo al Dar Moha.Peccato solo che io abbia lasciato l’appetito all’hammam, forse. Non riesco davvero a gustarmi le prelibatezze che ci vengono portate al tavolo. Anzi, sbaglio pure un’ordinazione e mi ritrovo nel piatto del fegato puzzolente anziché del patè… Il menù è a degustazione, quindi a scelta tra alcune proposte: si parte con insalate marocchine (almeno una decina di piccole porzioni), per poi passare alla tajine o, nel mio caso, a quello che credevo fosse patè, il tutto per forza accompagnato da cous cous. Per finire il dolce. Una delle pochissime volte in vita mia che non tocco cibo. Che spreco. Per il cibo e per il conto.Rientro triste al Riad… Non me la sono goduta per niente, la giornata è stata troppo piena… E domani è l’ultimo giorno.

fine 4 puntata

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le foto dell’autrice sono di proprietà © ViolaBlanca

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Quinta puntata.

E l’ultimo giorno non poteva che arrivare… Meno male che al momento della colazione facciamo una bella chiacchierata con Massimo che ci racconta i suoi trascorsi in Africa, tra una rivista e un’associa-zione di aiuti a chi davvero ne ha bisogno, la sua storia è davvero ricca. E ci confida che intrattenersi con gli ospiti del Riad è molto spesso un “mettere alla prova” per capire chi si ha davanti e come la gente si comporta di fronte a certe notizie o, chia-miamole pure così, brutture della vita. E’ un piacere stare ad ascoltarlo…Ma dobbiamo uscire. Oggi ci aspetta il Museo Dar Si Said, sede del Museo delle Arti Marocchine… Peccato solo aver scelto il giorno di chiusura. Allora ci dirigiamo al Palazzo Bahia. Costruito nel XIX secolo come residenza del sultano Ahmed el Mansour, colui che ha garantito al paese grande ricchezza, è in stile arabo-moresco con materiali preziosi, tra i quali marmo di Carrara che è stato scambiato con carichi di zucchero. Bahia significa brillante e con esso i Marocchini pensarono di aver costruito il più grandioso palazzo di tutti i tempi.L’ampio cortile e il loggiato con pavimenti in mar-mo e piastrelle colorate erano destinati alle concu-bine del sultano. Il palazzo non lesina nemmeno in una serie di giardini stupendi.Mentre ci spostiamo da una stanza all’altra, evitan-do le orde di gruppi con guida che racconta la sua

storia in ogni lingua, scatto fotografie e non posso fare a meno di immaginare il palazzo all’epoca di maggior splendore, con il vociare, con i pettegolez-zi, pieno del fascino e dei colori delle belle concubi-ne. Nonostante abbia letto in numerosi libri che la vita delle concubine non fosse certo rose e fiori… Due su tutti: Il Giardino delle Favorite di Katie Hick-man e Il Decimo Dono di Jane Johnson.Al termine della visita, rapida e indolore, anche per via di nana che rompe, giriamo per i giardini del palazzo letteralmente invasi dai gatti. E qui scatta la crisi di nana: le manca il suo gatto, quindi li ac-carezza tutti, ma proprio tutti. Passaggio obbligato per alleviare la mancanza.Riusciamo a trascinarla fuori e ci concediamo un giro da veri turisti, dopo quello di ieri a dorso di cammello (che secondo me resta un dromedario). Altra estenuante contrattazione, ma nulla rispetto a quella che verrà in seguito. Si sale. E lei sta sulla cassetta di guida anteriore. Da vera pettegola. Il giro, lo devo ammettere, nonostante le mie ti-tubanze iniziali, è meraviglioso, le viettine della Medina si aprono in scorci nascosti e fotografare le persone intente al lavoro o al passeggio quotidia-no è stupendo. Tranne quando lasciamo le mura della Medina e ci catapultiamo nel traffico, terribile traffico, cittadino per raggiungere la piazza Djemaa El Fna. Oggi mi tocca affrontarla sul serio. Prima di arrivarci passiamo di fronte all’hotel La Mamou-nia, considerato senz’ombra di dubbio il più bello

MARRAKECH EXPRESS. PALAZZO BAHIA: TURISTI IN CARROZZA: PIAZZA DJEMAA EL FNA. (DAY 3)

DIARIO DI BORDOdi Valeria Merlini

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d’Africa.Ed eccoci alla piazza. Di nuovo mi muovo con cau-tela: non so dove siano i serpenti e cosa possa suc-cedermi. Arrivati al centro della piazza, quella del film Marrakech Express appunto, ci viene incontro Marco con il suo fetido padrone. Marco è un’ado-rabile pulciosissima scimmietta, il fetido padrone quello che te la piazza addosso per le foto di rou-tine e per sganciarti soldi. Peccato che me la sarei portata via… Per strapparlo da quella catena…Dopo l’incontro, felice, ma al tempo stesso triste per la povera vita che gli tocca, eccoli! Vicini ai loro suonatori di flauto magico, ecco i cobra, neri e viscidi… Anche se lontana, c’è poco da fare, mi fanno paura e schifo. E le storie che raccontano sono vere: mentre i pifferai magici suonano, i loro esimi colleghi hanno altri serpenti in mano e giron-zolano a caccia di turisti, fino a quando trovano lo sventurato che si è avvicinato troppo e che in men che non si dica si ritrovano il rettile (non il cobra, per fortuna) al collo. Non fa per me. Sto alla larga e fotografo con il tele. Mentre sorseggio una meravi-gliosa spremuta d’arancia…

continua.

©foto violablanca, Valeria Merlini 2010

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Marrakech Express

di Valeria Merlini

6a e ultima puntata

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Dopo esserci dissetati ci inoltriamo nuovamente nel souk (o souq che dir si voglia, ricordate?). Questa volta sono più a mio agio, avendo scoperto il luogo in cui giacciono i serpentacci. Prima di pranzo mi concedo di gironzolare alla ricerca di qualche acquisto: bracciali berberi, vassoio con teiera e bicchieri tipici per il tè alla menta, e la contrattazione del-la mia vita. La voglio chiamare così, perchè è così che la ricordo. Amo contrattare, ma mai nessuna mi aveva dato più soddisfa-zione di questa. La coperta per il mio ami-co Lorenzo (su commissione). La trovo, è lei. La voglio, l’avrò. Ma la cifra richiesta è folle, sapendo poi che in giro posso aver-la ad altri prezzi. Quindi, ad un loro rifiuto di accettare la mia proposta, me ne vado. E quando dico che me ne vado, vuol dire che devo fare delle scale perchè il souk qui si iner-pica anche in alto. Vengo rincorsa, da un altro, non dal mio venditore. Ho messo i negozianti in agita-zione. Torno di sopra, il mio venditore rilancia. Io non ci sto, ripropongo il mio prezzo che, rispetto al suo, è la metà della metà della metà della metà… Ho reso l’idea? Non ci sta, dice che non può, che è una coperta fatta a mano e perepèperepèperepè! Me ne vado, di nuovo. E di nuovo vengo richiamata. La pantomima va avanti. Fino a quando la spunto. Secondo me perchè sono stufi di avermi tra i pie-di, ma molto più ragionevolmente perchè il prezzo di vendita era accettabilissimo. Sono molto soddi-sfatta. Ho dovuto, però, in tutto questo, tenere LUI alla larga, per non correre il rischio di vedere vani-ficate le mie trattative con una sua resa immediata.Ora possiamo anche andare a pranzo.Meta, dietro consiglio di Giorgina, la Maison de la Photographie(1), aperta da poco, ma molto par-ticolare. Per raggiungerla bisogna per forza attra-

versare il souk (il dramma sarà doverlo fare anche al ritorno). Ed eccoci, un po’ a fatica lo devo am-mettere (forse ancora poco conosciuto), al Museo. Vista l’ora ci dirigiamo subito sulla terrazza da cui il panorama è sempre accattivante. Oggi fa un caldo pazzesco, meno male che siamo riparati dal sole. Il menù scritto sulla lavagnetta d’ordinanza ci cattura.Abbiamo mangiato: salade ma-rocaine, tajine poulet au citron.Abbiamo bevuto: coca cola, acqua gas, tè alla menta.Sarà stata l’ora, la contrattazione della mia vita, il sole, il caldo, l’atmosfera, ma tutto era sem-plicemente meraviglioso, buonissimo e sa-poritissimo. Il miglior pranzo di questi giorni!Scendendo dalla terrazza non si può fare a meno di gi-ronzolare tra le stanze dedicate alle fotografie di ogni tempo. Scatti che hanno catturato situazioni di altre epoche, persone che restano immortali attraverso la storia. Vale sempre la pena, noi lo facciamo sempre, curiosare in un museo della fotografia, così come in vecchie e polverose biblioteche. Le mie passioni.

DIARIO DI BORDO

MARRAKECH EXPRESS.

PIAZZA DJEMAA EL FNA CON CON-TRATTAZIONE DELLA MIA VITA; PRANZO ALLA MAISON DE LA PHOTOGRAPHIE; ESCARGOTS IN PIAZZA DJEMAA EL FNA. (DAY 3) ultima puntata

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Si rientra per la siesta pomeridiana.…E l’ultima passeggiata ci riporta alla piazza Djemaa El Fna, punto nevralgico di Marrakech. Per due mo-tivi: primo, per vedere la sua trasformazione nel tardo pomeriggio, con bancarelle su bancarelle di qualunque tipo di cibo si voglia, lunghi tavoloni a disposizione degli astanti per le degustazioni, me-glio le vere e proprie cene. Secondo, ben più im-portante motivo: DEVO, DEVO assolutamente, con-tro tutto e contro tutti, mangiare le lumache tanto decantate da racconti di viaggio che mi sono letta prima della partenza (ma che sia Massimo che Gior-gina mi hanno invece caldamente sconsigliato di provare). Ma io sono e resto un’ariete. Devo speri-mentare. E lo faccio. Buonissime, succulente e poco importa se la ciotola che ha usato per servirmele è stata sciacquata con la brodaglia (definita così da LUI) che si trovava nel pentolone insieme alle lu-mache, quindi precedentemente usata da un altro cliente. Poco importa. Risultato: sono stata benis-

Athos Faccincani, Elsa Di Lauro

Virgo Fidelis

Mursia

simo (del resto, se sono sopravvissuta nel lontano 1998 a quel queso comprato per la strada nella Repubblica Dominicana…).Ultimi acquisti, saluti e sguardi alla Città Rossa. Che ci ha ammaliati. Tanto da volerci tornare. Forse nemmeno tra tanto tempo…

Il libro che ha viaggiato con me.

“Se vuoi diventare un bravo pittore, Samuel, c’è solo una cosa da fare: dipingere, dipin-gere, dipingere”. E Samuel Johnson Kipling sa cosa fare per diventare quel grande pit-tore, con i suoi trentacinque anni, l’uomo dall’uccello grande, il maestro. Rinascere.Un libro da leggere per scoprire la commistione tra scrittura e pittu-ra, dove le pennellate si trasforma-

no in colore, gioia, emozione. Delle parole.Abbiamo voluto fare una cosa diversa. Dare la parola agli autori.Dipingere è un lavoro, il mio lavoro. Scrivere mi diverte. Ho talmente tante cose da dire, rifles-sioni da condividere e avventure da raccontare... Così ho deciso di scrivere, inseme ad Elsa Dilau-ro, un romanzo, ora edito da Mursia. C’è molto di me, ci sono numerosi aspetti autobiografici, tra le pagine di ...Virgo Fidelis anche se sono co-munque tutte rivisitate in chiave romanzesca.Virgo Fidelis non è soltanto il titolo che Samuel, pittore affermato e di successo, dà alla sua opera più importante, sono anche due parole da sussur-rare quando tutto sembra ormai perduto, quando le domande che da sempre l’uomo si è posto sem-brano aver perso di significato e le poche certezze che ci si è costruiti crollano. Questo romanzo è uno spaccato di quel viaggio che è la vita affascinante ed intrigante di una celebrità del mondo dell’arte,

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ma chiunque potrà riconoscersi nei moti d’animo e nelle speranze che accomunano gli uomini a di-spetto di credo, cultura e provenienza. Samuel Jo-hnson Kipling nasce in una famiglia dai tanti figli e dalle poche risorse; scopre sin da piccolo la sua passione per la pittura, ma capirà altrettanto presto che per scalare la via del successo dovrà affrontare meschinità e pregiudizi, non per ultimo quello nei confronti del colore della sua pelle; ma la celebrità è una vetta tanto entusiasmante quanto insidiosa… quello di cadere è un pericolo che a volte si dimen-tica. Samuel è alla ricerca di Dio, dell’amore e di se stesso, e quando avrà trovato tutto ciò che ha sem-pre desiderato lo perderà in un colpo solo, per ritro-varlo sotto altre forme, per capire che la risposta a tutte le nostre domande non può essere razionale. La risposta è dentro ognuno di noi, parole di Athos Faccincani.

Quando abbiamo cominciato a lavorare insie-

me, Athos ed io avevamo un progetto: scrive-re un romanzo a quattro mani per svelare in-triganti retroscena del mondo dell’arte; oggi quel progetto è una realtà dal titolo-Virgo Fide-lis- che a giorni sarà in libreria edito da Mursia. Quest’esperienza, oltre ad insegnarmi a credere e combattere per ciò che veramente si desidera, mi ha dato un’altra possibilità: conoscere da vicino un grande artista del nostro tempo, un uomo la cui in-teriorità non smette mai di sorprendere e stupire.parole di Elsa Dilauro

© Valeria Merlinifoto: © Violablanca

note al capitolo:(1)http://www.maison-delaphotographie.com/accueil.html