Università degli Studi di Napoli Federico II Dott.ssa M. Cristina. Montesi Mattia Costanzo Matr....
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Università degli Studi di Napoli Federico II
Scuola Politecnica e delle Scienze di Base
Area didattica di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali
Corso di laurea in
BIOLOGIA GENERALE E APPLICATA
Tesi di laurea triennale in
FISICA APPLICATA
Studi di frammentazione per fasci in Adroterapia
Relatore Candidato
Dott.ssa M. Cristina. Montesi Mattia Costanzo
Matr. N82/3731
Anno Accademico 2016/2017
1
Indice
Introduzione pag. 2
1. Radiazioni ionizzanti in campo medico pag. 3
1.1 Radioterapia convenzionale ed adroterapia pag. 3
1.2 Parametri fisici e biologici pag. 5
1.2.1 Interazioni delle particelle cariche con la materia pag. 5
1.2.2 Bethe-Bloch e Stopping Power pag. 6
1.2.3 Range pag. 7
1.2.4 Dose pag. 8
1.2.5 LET, Linear Energy Transfer pag. 8
1.2.6 RBE, Relative Biological Effectiveness pag. 9
1.3 Effetti della frammentazione nucleare in adroterapia pag. 11
2. Effetti biologici della radiazione pag. 13
2.1 Danni da radiazione a carico della molecola di DNA pag. 13
2.2 Ciclo cellulare e radiosensibilità pag. 14
3. Rivelatore ad emulsioni nucleari pag. 17
3.1 Le emulsioni nucleari pag. 17
3.2 Sistema automatico di scansione pag. 18
3.3 Acquisizione dati pag. 19
Conclusioni pag. 22
Bibliografia pag. 23
2
Introduzione
L’adroterapia è una tecnica di terapia oncologica che sfrutta le proprietà fisiche e
biologiche di particelle cariche pesanti, gli adroni (dal greco adrós, forte). A
differenza di quanto succede in radioterapia classica, basata sui raggi X che
rilasciano la maggior parte della dose (energia rilasciata per unità di massa)
all’inizio del loro percorso, gli adroni rilasciano il massimo della loro dose a fine
percorso, nel cosiddetto Picco di Bragg (Bragg Peak, BP). Il caratteristico rilascio
di energia delle particelle cariche consente l’irraggiamento di tumori profondi o in
vicinanza di organi a rischio, limitando la dose depositata nei tessuti sani
circostanti. Inoltre l’adroterapia risulta essere più efficace nel trattamento dei
tumori radioresistenti.
Un problema aperto per l'adroterapia è la definizione dell'efficacia biologica delle
particelle cariche. Per i protoni, ad esempio, è sempre stata considerata un’efficacia
biologica relativa costante, ma recenti studi mostrano che sono trascurati gli effetti
dovuti all'interazione nucleare tra il fascio ionizzante e il corpo umano. Il fascio di
particelle cariche, nell’attraversare i tessuti, può provocare effetti di
frammentazione nel bersaglio o, a sua volta, essere oggetto di frammentazione. In
entrambi i casi, i frammenti prodotti interagiscono con i tessuti umani e innalzano
il livello di dose complessiva impartita al paziente.
L’obiettivo di questa tesi riguarda l’analisi di alcuni meccanismi di rilascio di
energia delle particelle cariche nella materia, il danno biologico indotto e lo studio
di una tecnica di rivelazione delle particelle cariche basata su emulsioni nucleari.
Nel capitolo 1 verranno introdotti i parametri fisici e biologici caratterizzanti la
radiazione ionizzante, utilizzata in adroterapia, facendo riferimento alla
frammentazione generata nel tessuto e nel fascio di ioni incidenti.
Nel capitolo 2 verranno approfonditi gli aspetti del danno biologico indotto dalla
radiazione ionizzante.
Nel capitolo 3 si analizzeranno le potenzialità dei rivelatori ad emulsione nucleare
per lo studio della frammentazione dei fasci per adroterapia. Verrà descritto il
principio di funzionamento delle emulsioni nucleari e la loro scansione tramite
microscopi automatici. Nello stesso capitolo saranno presentati alcuni test
preliminari dedicati alla misura della ionizzazione prodotta in emulsione da fasci
di ioni elio e carbonio con energia 80 MeV/n.
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Capitolo 1
Radiazioni ionizzanti in campo medico
L’utilizzo della radiazione ionizzante in ambito medico ha un ruolo rilevante sia
nel campo della diagnostica sia nel campo terapeutico, e risale alla scoperta dei
raggi X, avvenuta nel 1895. Focalizzando l’attenzione sul ruolo delle radiazioni
ionizzanti in ambito terapeutico per il trattamento di neoplasie, si può affermare
che attualmente più del 50% dei pazienti affetti da patologie oncologiche
localizzate viene sottoposto a trattamenti di radioterapia. In questo capitolo
analizzerò una nuova tecnica radioterapica, l’adroterapia, basata sull’utilizzo di
ioni pesanti. Inoltre introdurrò i parametri fisici e biologici necessari a comprendere
il meccanismo del rilascio di energia nella materia da parte della radiazione
ionizzante. Infine esaminerò il problema della frammentazione della radiazione
incidente e del tessuto da essa attraversato.
1.1 Radioterapia convenzionale e adroterapia
La radioterapia convenzionale è basata sull’utilizzo di fotoni (raggi X e 𝛾), in un
intervallo di energia tra i 5 e 20 MeV. Tuttavia, il loro impiego presenta dei limiti.
I fotoni rilasciano la loro energia in modo pressoché costante lungo tutto il percorso
attraversato, colpendo, in egual misura, sia il tessuto sano sia il tessuto tumorale.
La curva presentata in fig. 1 descrive il rilascio di energia di un fascio di fotoni da
21 MeV: l’energia depositata, qui rappresentata in termini di dose, ha un
andamento esponenziale in funzione della profondità. L’energia massima viene
rilasciata nei primi 20 mm. Questo comportamento, unito al fatto che il fascio di
fotoni presenta un’elevata diffusione laterale, fa sì che siano poco adatti al
trattamento delle neoplasie poste in profondità.
Figura 1. Curva del rilascio della dose, in funzione della profondità,
per un fascio di fotoni di energia 21 MeV.
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Per ovviare ai limiti della radioterapia convenzionale, è stata messa a punto una
nuova metodica, l’adroterapia, che prevede l’impiego di particelle cariche come
protoni, ioni elio, carbonio e ossigeno. Attualmente ha impiego clinico solo
l’adroterapia con protoni e ioni carbonio. Al mondo ci sono più di 50 centri in cui
si pratica la protonterapia a livello clinico. In Italia centri specializzati in questa
tecnica radioterapica sono lo CNAO (Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica,
Pavia), ATreP (Agenzia Provinciale per la Protonterapia, Trento) e il Protonterapia
CATANA (Centro di Adroterapia ed Applicazioni Nucleari Avanzate, Catania). Il
numero di pazienti trattati, solo in Italia, è di circa 2500.
Le particelle cariche depositano la loro energia in modo differenziato lungo il loro
tragitto nel tessuto: basso rilascio di energia nel canale di ingresso della radiazione
e un massimo rilascio di energia a fine percorso, in quello che viene definito picco
di Bragg (BP), come mostrato in fig. 2. Le interazioni che gli adroni instaurano,
mentre attraversano il target, li rallentano, fino al raggiungimento di una velocità
minima, che corrisponde ad un massimo rilascio di energia nel picco di Bragg. La
profondità raggiunta dagli adroni è modulabile con l’energia e il picco di Bragg
viene fatto coincidere con la regione in cui si trova il volume tumorale. Il
caratteristico rilascio di energia e la diffusione laterale limitata dei fasci di adroni
consentono di ridurre l’irraggiamento dei tessuti sani, situati nel canale di ingresso
della radiazione e limitrofi alla zona tumorale. Questa opportunità diventa
fondamentale quando in prossimità del volume tumorale sono situati organi a
rischio, quali sono tutti gli organi vitali.
Figura 2. Curva del rilascio di dose, in funzione della profondità in acqua, per fotoni (curva
blu), protoni (curva gialla) e ioni carbonio (curva viola).
Un fascio di adroni con energia pari a 400MeV/n libererà energia ad una profondità
maggiore rispetto ad un fascio con energia iniziale pari a 200MeV/n.
Per irradiare un tumore a profondità superiori a 25 cm, sono necessarie energie
iniziali del fascio non inferiori a 200 MeV/n per i protoni, e non inferiori a 400
MeV/n per gli ioni carbonio.
L’ampiezza del picco di Bragg, invece, dipende dal fatto che non tutte le particelle
del fascio subiscono lo stesso numero di collisioni, per cui la perdita di energia tra
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due o più particelle dello stesso fascio può variare lievemente. Tale fenomeno è
noto come straggling dell’energia del picco di Bragg ed è dell’ordine di pochi
millimetri. Per il trattamento delle neoplasie, le cui dimensioni possono superare i
10 cm, si ha la necessità di avere un picco di Bragg che ricopra tutto il volume del
tumore. Modulando l’energia del fascio incidente, nel corso dell’irraggiamento, si
ottiene un fenomeno che va sotto il nome di SOBP (Spread Out Bragg Peak), che
consente, come mostrato in fig. 3, di irradiare tutta la regione tumorale.
Figura 3. Sovrapposizione di diversi picchi di Bragg ottenuta modulando l’energia del fascio
incidente. La dose rilasciata nei picchi permette di irraggiare l’intero volume tumorale.
1.2 Parametri fisici e biologici
1.2.1 Interazioni delle particelle cariche con la materia
Le particelle interagiscono con la materia attraverso collisioni. Le particelle
cariche, gli adroni, definiti proiettili, colpiscono la materia, indicata come
bersaglio. Proiettile e bersaglio hanno un contatto definito interazione. Le
interazioni possono essere di due tipi:
Elastiche, quando, dopo l’urto con il bersaglio, la particella proiettile
conserva la propria energia cinetica, quindi resta costante la velocità prima
e dopo l’urto.
Anaelastiche, quando, dopo l’urto con il bersaglio, la particella proiettile
cambia la propria energia cinetica e, quindi, varia la propria velocità.
Dal punto di vista radiobiologico, gli urti anaelastici tra gli adroni del fascio
incidente con gli atomi del bersaglio hanno importante rilevanza.
Quando il proiettile colpisce gli elettroni atomici del bersaglio, questi transitano ad
un livello energetico superiore per poi ritornare in quello iniziale, se l’energia
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trasferita è bassa, oppure l’elettrone abbandona direttamente l’atomo, che resta
ionizzato, se l’energia trasferita è alta. Gli elettroni, allontanati per ionizzazione,
possono a loro volta indurre ulteriori ionizzazioni.
1.2.2 Bethe-Bloch e Stopping power
Le particelle cariche pesanti che interagiscono con la materia lo fanno tramite una collisione con gli elettroni atomici e i nuclei del bersaglio.
Le collisioni con i nuclei del bersaglio assorbono mediamente una piccola
quantità di energia, quando la massa dei nuclei bersaglio è molto più grande di
quella della particella incidente, producendo deviazioni nella traiettoria della
particella incidente. Quando la particella carica pesante perde la sua energia
diminuisce la sua velocità. Dato un numero iniziale di particelle N0 che
attraversano uno spessore x di materiale, il numero di particelle in uscita dal
materiale è dato dalla seguente relazione:
N (x) = N0· e−x/λ (1.1)
dove λ è il cammino libero medio per un dato tipo di particella.
Quando la particella carica interagisce con gli elettroni del mezzo
attraversato, questi ultimi acquisiscono una certa quantità di energia dalla
particella incidente e possono essere espulsi dall’atomo, producendo una ionizzazione dell’atomo stesso.
La perdita di energia per ionizzazione di una particella carica pesante è
descritta dalla formula di Bethe-Bloch:
𝑑𝐸 𝑁𝐴𝑍𝜌 𝑟2𝑚 𝑐2𝑧2 2𝑚 𝑐2𝛽2𝛾2𝑊 𝐶
−
dove
𝑑𝑥 = 2𝜋
𝐴 ∙ 𝑒 𝑒
𝛽2 (𝑙𝑛 𝑒 𝑚𝑎𝑥 − 2𝛽2 − 𝛿(𝛾) − 2
𝐼2 𝑍 ) (1.2)
𝑁𝐴è la costante di Avogadro
𝑍 è il numero atomico del bersaglio
𝐴 è il peso atomico
𝜌 è la densità del bersaglio
𝑟𝑒è il raggio dell’elettrone
𝑚𝑒è la massa dell’elettrone 𝑐 è la velocità della luce
𝑧 è la carica della particella incidente
𝛽è il rapporto tra la velocità della particella e quella della luce 1
𝛾 = √1 − 𝛽2
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𝑊𝑚𝑎𝑥 è la massima energia trasferibile ad un elettrone in un singolo urto
𝛿è una correzione per la densità del materiale
𝐶 è la correzione di shell, importante a basse energie
𝐼 è l’energia di eccitazione del materiale
La formula di Bethe-Bloch fornisce l’energia cinetica persa per unità di lunghezza
da una particella carica che attraversa un materiale.
Nell’equazione le due grandezze che caratterizzano la perdita di energia per unità
di lunghezza sono la velocità, 𝛽, e la carica, 𝑧, della particella incidente. La perdita
di energia è inversamente proporzionale al quadrato della velocità della particella,
e direttamente proporzionale al quadrato della sua carica.
Particelle a bassa velocità perdono più energia per unità di lunghezza rispetto a
particelle di alta velocità. Quest’ultime riescono a raggiungere profondità
maggiori nel materiale attraversato. A parità di velocità, le particelle che perdono
più energia sono quelle che hanno carica maggiore.
Nell’ambito dell’adroterapia, le cariche proiettile sono rappresentate da nuclei
leggeri (Zp<10), con energia sino a fino a 220 MeV/n per protoni e ioni elio, 430
MeV/n per ioni carbonio. I valori di β ≃ 0.7 consentono di irradiare tumori fino ad
una profondità di circa 30 cm. A queste velocità, la perdita di energia per unità di
lunghezza (dE/dx), nel processo di rallentamento, è dominata dalle collisioni
anelastiche con gli elettroni del bersaglio.
Una particella carica subisce, oltre agli urti inelastici con gli elettroni, che portano
alla perdita di energia per ionizzazione, urti elastici con i nuclei del bersaglio: si
parla in questo caso di scattering coulombiano.
1.2.3 Range
Altra caratteristica fondamentale dell’interazione degli adroni con la materia è il
range, che rappresenta la distanza percorsa da una particella nel mezzo prima che
questa si fermi. Matematicamente il range è definito da:
R(E) =∫𝐸
(𝑑𝐸
)−1𝑑𝐸 (1.3) 0 𝑑𝑥
L’integrale indica la somma dell’energia persa, secondo la formula di Bethe-Bloch,
per ogni tratto di percorso dx. Per gli adroni, il range corrisponde alla posizione del
picco di Bragg. Gli adroni più leggeri, a parità di energia cinetica totale, hanno un
range maggiore.
Il range è soggetto a fluttuazioni, causa la natura probabilistica dei processi di
interazione, ed è soggetto a un fenomeno detto straggling. Fissata l’energia iniziale,
il range di una particella può assumere valori diversi, distribuiti attorno ad un
valore medio, come mostrato in fig. 4. Il grafico della fig. 4 è stato ottenuto facendo
collidere un fascio di particelle con energia fissata su bersagli di spessore crescente
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e misurando la frazione di particelle trasmesse (particelle uscenti/particelle
incedenti, I/I0) in funzione della lunghezza del mezzo attraversato.
Non tutti gli adroni del fascio si fermano allo stesso punto, poiché possono subire
fenomeni diversi di diffusione. Dal grafico si definisce mean range lo spessore di
assorbitore necessario affinché il numero di particelle uscenti sia pari alla metà di
quelle incidenti. Il valore per il quale sono state assorbite tutte le particelle incidenti
si determina tracciando la retta tangente alla curva in questo punto e valutando la
sua intersezione con l’asse che riporta gli spessori.
Figura 4. Curva tipica del range di particelle cariche.
1.2.4 Dose
Gli effetti radiobiologici dei trattamenti adroterapici e radioterapici sono correlati
alla dose assorbita, definita come perdita di energia della radiazione ionizzante per
unità di massa.
D = 𝑑𝐸
𝑑𝑚 (1.4)
La sua unità di misura è il Gray (Gy) che equivale a 1J/Kg.
La dose assorbita è proporzionale all’energia, dE, depositata in un materiale di
massa, dm, in seguito al passaggio della radiazione ionizzante. La dose non fornisce
indicazioni né sul tipo di interazioni, né sul tipo di particelle secondarie prodotte,
che sono parametri da considerare per valutare l’efficacia biologica della
radiazione.
1.2.5 LET, Lineare Energy Transfer
Questo parametro indica l’energia trasferita da una particella carica a un mezzo per
unità di lunghezza dx percorsa:
LETΔ = 𝑑𝐸∆
𝑑𝑥 (1.5)
L’unità di misura del LET è il keV/𝜇m. Questo parametro è molto simile allo
stopping power (-dE/dx): il LET tiene conto dell'energia trasferita solo nelle
vicinanze della particella incidente primaria, mentre lo stopping power considera
anche i rilasci di energia delle particelle secondarie prodotte dal fascio primario.
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Il LET è un parametro fondamentale per capire il danno biologico che si apporta
ed è legato univocamente all’energia delle particelle. Il danno biologico è, infatti,
legato alla densità di deposizioni di energia di ogni singola particella che attraversa
il mezzo. All’aumentare della densità di ionizzazione, aumenta la probabilità di
indurre danni rilevanti su target biologici, come le molecole di DNA. A tal
proposito, le radiazioni ad alto LET (protoni, neutroni, ioni), definite densamente
ionizzanti, producono danni biologici maggiori rispetto a radiazioni a basso LET
(fotoni ed elettroni), definite sparsamente ionizzanti. Come esempio, in fig. 5 è
mostrata la differente ionizzazione prodotta da protoni e ioni carbonio.
Per questo motivo tra LET e DOSE sussiste un legame.
La dose rilasciata da particelle in un bersaglio dipende dal numero di particelle che
attraversano il bersaglio stesso e dal LET di ognuna di esse.
Figura 5. Confronto della densità di ionizzazione prodotta da protoni e ioni carbonio con
energia 1 MeV/n in acqua e rappresentazione schematica di una molecola di DNA. Gli ioni
carbonio producono una densità di ionizzazione maggiore rispetto ai protoni e causano
maggiori danni al DNA (Kraft,1997)
1.2.6 RBE, Efficacia Biologica Relativa
Il calcolo e la predizione del danno biologico indotto da radiazione ionizzante
sono basati sull’efficacia biologica relativa (Relative Biological Effectiveness -
RBE). E’ definita come il rapporto tra la dose assorbita di una radiazione di
riferimento (fascio di raggi X) e la dose assorbita della radiazione presa in
considerazione per indurre lo stesso danno biologico:
RBE = 𝐷𝑋−𝑅𝑎𝑦𝑠
𝐷𝑅𝑎𝑑𝑖𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 (1.6)
L’effetto biologico da considerare è la morte cellulare che si verifica dopo
irraggiamento. Nello specifico, in radiobiologia si considera la morte riproduttiva
o clonogenica, ossia l’incapacità della cellula di clonare in modo regolare se stessa.
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La valutazione dell’RBE si basa sulle curve di sopravvivenza cellulare: in fig. 6
sono riportate tali curve. Fissato al 10% il livello di sopravvivenza cellulare, le
curve mostrano che per ottenerlo si deve somministrare una dose di circa 3 Gy con
ioni leggeri e una dose di circa 6 Gy con raggi X.
Poiché la dose dipende dal LET delle particelle, anche l’RBE dipende da questo
parametro. Radiazioni ad alto LET aumentano il rilascio di energia, che causa così
danni biologici maggiori. Radiazioni a basso LET, avendo un rilascio di energia
più basso, inducono danni biologici minori.
Utilizzando radiazioni a basso LET, sarà pertanto necessario somministrare una
dose maggiore per ottenere lo stesso effetto, in termini di danno biologico, che si
otterrebbe utilizzando radiazioni ad alto LET.
L’RBE è uno strumento molto importante, che descrive l’efficacia con cui la
radiazione ionizzante uccide le cellule tumorali, ma non può essere assegnato in
modo univoco ad una data radiazione: l’RBE è una quantità che dipende in modo
complesso da parametri fisici (tipo di particella, energia incidente, dose, LET) e da
parametri biologici (tipo di tessuto, fase del ciclo cellulare, livello di
ossigenazione).
Pertanto, l’RBE cambia al variare di tessuti e organi, e può variare anche all’interno
del tumore stesso. Ogni tipo di radiazione è caratterizzato da una propria forma con
diversi valori di RBE rispetto ai fotoni (considerati avere RBE = 1.0).
La valutazione dell’RBE è particolarmente complessa in adroterapia, dove risulta
essere fortemente dipendente dall’energia del fascio utilizzato e dal tipo di target.
Figura 6. Curve di sopravvivenza cellulare e determinazione dell’RBE, per livelli di
sopravvivenza del 10% e 1% per due diversi tipi di radiazione ionizzante: curva rossa per
ioni leggeri, curva nera per raggi X (radiazione di riferimento).
Poiché la dose dipende dal LET delle particelle, anche l’RBE dipende da questo
parametro. Radiazioni ad alto LET, aumentano il rilascio di energia, che causa così
danni biologici maggiori. Radiazioni a basso LET, avendo un rilascio di energia
più basso, inducono danni biologici minori.
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Per cui a parità di danno biologico, con radiazioni a basso LET si deve
somministrare una dose maggiore rispetto a quella somministrata con radiazioni ad
alto LET.
1.3 Effetti della frammentazione nucleare in adroterapia
Il fenomeno della frammentazione nucleare, pur non avendo un’elevata probabilità
di accadere, è importante nell’interazione delle particelle cariche con la materia. Le
particelle cariche usate come proiettili in adroterapia hanno energie tali da poter
subire o provocare la frammentazione nucleare: sia il bersaglio sia il proiettile
possono subire frammentazione.
Quando si utilizzano protoni, il fenomeno della frammentazione nucleare è dovuto
agli atomi del tessuto umano che costituisco il bersaglio. I frammenti prodotti
hanno basse energie e il loro range è dell’ordine di qualche decina di micron. La
loro rivelazione è molto difficile e fino ad ora non è stato possibile misurarne le
frazioni prodotte e le energie.
Quando si utilizzano fasci di ioni, come ad esempio 4He, 12C o 16O, la
frammentazione riguarda sia gli atomi delle particelle proiettile sia gli atomi del
bersaglio. Il fascio primario produce ioni o frammenti secondari che interagiscono
nel tessuto allo stesso modo di quelli primari, ma ciascun frammento ha un diverso
LET ed RBE.
Quantificare le energie e il numero dei frammenti prodotti in entrambe le
configurazioni è necessario per realizzare un corretto piano di trattamento
radioterapico.
Il tessuto umano su cui interagiscono gli adroni può essere simulato da bersagli
come il carbonio, l’acqua (H2O) o il lexan (C16-H14-O3).
In recenti studi (Tommasino, 2015) gli effetti biologi prodotti da un fascio di
protoni a 200 MeV/n sono stati osservati utilizzando uno spessore di H2O in cui, a
varia profondità, si trovavano immerse delle sezioni di tessuto. In fig. 7 sono
riportate le cellule inattivate dalla ionizzazione (punti verdi) e quelle inattivate dai
frammenti del bersaglio (punti rossi). Se si considera il rapporto tra cellule
danneggiate dai frammenti (punti rossi) e quelle danneggiate direttamente dalla
ionizzazione (punti verdi), si nota che tale rapporto è più alto nel canale d’ingresso
e diminuisce nel picco di Bragg. Tale rapporto passa da 1/8 nel canale d'ingresso a
1/40 nel picco. E’ ipotizzabile che il contributo dei frammenti, nel canale di
ingresso, faccia aumentare di circa il 10% la dose rilasciata dalla radiazione nella
sua totalità (fascio primario + frammenti).
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Figura 7. Effetto della ionizzazione e della frammentazione del bersaglio su cellule in sezioni
di 1 mm2 immerse in acqua e irraggiate con un fascio di protoni da 200 MeV/n.
La quantificazione del numero, del tipo e dell’energia dei frammenti prodotti nei
trattamenti di adroterapia risulta essere molto importante per quantificare l'effetto
biologico prodotto sui tessuti sani e/o organi a rischio vicino ai volumi tumorali.
Questo consentirebbe di utilizzare un corretto valore della RBE nei Treatment
Planning System (TPS) sviluppati.
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Capitolo 2
Effetti biologici della radiazione
2.1 Danni da radiazione a carico della molecola di DNA
Gli effetti biologici della radiazione sono principalmente a carico della molecola
di DNA, che può subire lesioni o rotture.
Si distinguono due tipi di effetti (vedi fig. 8):
Diretti: riguardano gli effetti dovuti ad eventi di eccitazione e di
ionizzazione prodotti dalla radiazione ionizzante e coinvolgono direttamente
macromolecole vitali per una cellula, come il DNA;
Indiretti: riguardano i danni indotti al DNA non direttamente dalla
radiazione incidente, ma dalle molecole d’acqua che, in seguito al passaggio
della radiazione, si scindono in radicali liberi, quali H+ ed OH-; questi
prodotti reagiscono con la molecola di DNA, inducendone il danno.
Considerando il danno biologico in relazione al LET, si osserva che per
radiazioni ad alto LET prevalgono effetti diretti, per radiazioni a basso LET
prevalgono quelli indiretti.
Figura 8. Visualizzazione schematica degli effetti diretti e indiretti della radiazione ionizzante:
in questo caso sono mostrati gli effetti prodotti da fotoni.
I danni indotti sul DNA possono essere:
rottura del singolo filamento, SSB (Single Strand Break);
rottura della doppia elica, DSB (Double Strand Break);
rottura dei legami tra le basi, oppure loro alterazione e distacco;
cross-link molecolari, formazioni di legami forti tra le doppie eliche di una
stessa molecola di DNA, tra le eliche di due molecole di DNA distinte o tra
una proteina e una molecola di DNA.
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Lo schema dei danni è riassunto in fig. 9.
Figura 9. Schema riassuntivo dei danni prodotti dalla radiazione ionizzante sul DNA e
possibili conseguenze finali (Biagini, 1999).
Le lesioni SSB e DSB si verificano a seguito della rottura dei legami
fosfodiesterici. Un legame fosfodiestereo collega l’atomo di carbonio in posizione
3' dello zucchero di un nucleotide con il carbonio in posizione 5' dello zucchero
del nucleotide successivo. (F. Amaldi, Biologia molecolare, 2014).
La maggior parte delle SSB vengono riparate dai meccanismi di riparo al DNA
messi in atto dalla cellula stessa. Dati sperimentali mostrano che la letalità
cellulare è correlata soprattutto alle DSB (Biagini, 1999). Quindi le rotture a
doppio filamento risultano lesioni più serie causate dalla radiazione. Al passaggio
della radiazione, si concentrano in pochi nanometri siti con danni multipli,
caratterizzati da due o più lesioni situate entro pochi passi di avvitamento della
doppia elica. Questa concentrazione di lesioni, in siti multipli a poca distanza tra
loro, prende il nome di clustering. Il fenomeno del clustering determina una
riduzione dell’efficienza di riparazione da parte della cellula, in quanto più
complessi enzimatici vengono reclutati contemporaneamente sullo stesso tratto di
DNA, a poca distanza tra loro, interferendo reciprocamente con la loro stessa
attività riparatrice.
2.2 Ciclo cellulare e radiosensibilità
La radiazione, danneggiando il DNA, influenza il ciclo cellulare.
Le cellule, normalmente, sono regolate in modo tale che, dopo una serie di
divisioni, entrano in una fase di senescenza, per poi andare in apoptosi e morire.
La senescenza è un fenomeno fisiologico dovuto all’accorciamento delle regioni
terminali dei cromosomi definite telomeri. (F. Amaldi, Biologia molecolare,
2014)
I telomeri consistono in delle ripetizioni in tandem di una breve sequenza
nucleotidica (nell’uomo 5I-TTAGGG-3I). La loro funzione è quella di proteggere
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le estremità dei cromosomi dall’attacco delle esonucleasi, formando i cosiddetti
quartetti G, e di tenere sotto controllo il numero di divisioni cellulari. Ad ogni
divisone cellulare i telomeri si accorciano, fino ad arrivare ad un limite tale per
cui il cromosoma risulta ridotto per perdita di coppie di basi. Pertanto
l’informazione genetica è inficiata e l’accorciamento dei telomeri stessi è visto
come danno al DNA. Si attiva un segnale di arresto del ciclo cellulare dipendente
dalla proteina p53 e di conseguenza la cellula entra in senescenza. Le cellule in
senescenza non possono proliferare. Sono cellule destinate alla morte. Tuttavia,
la fase di senescenza può essere superata, instaurando cicli di divisione
incontrollati. Le cellule diventano immortali, determinando l’insorgenza di una
neoplasia. L’immortalizzazione delle cellule può essere indotta o da virus
(esempio, il papilloma virus) o dalla sovraespressione dei geni per l’enzima
telomerasi. La telomerasi è un enzima, una trascrittasi inversa, che utilizza piccoli
frammenti di RNA come stampo per sintetizzare DNA telomerico. Una sua
sovraespressione implica che i cromosomi restino integri e con lunghezza
costante. A tali condizioni si possono affiancare meccanismi molecolari che
inducono una down-espressione dei geni oncosoppressori e una up-espressione
degli oncogeni.
La cellula si replica in modo sequenziale, rispettando un ordine preciso di eventi.
In modo sequenziale il ciclo cellulare è scandito, dunque, dalle fasi G1, S, G2, M
(fig. 10). Le fasi G1, S, G2 determinano l’interfase. Essa consiste nel tempo che
intercorre tra una divisione mitotica e quella successiva.
Figura 10. Le fasi del ciclo cellulare (Alberts et al., 2004).
Le fasi principali del ciclo cellulare sono due: la fase S e la fase M.
La fase S è una fase di sintesi. In questa fase l’intero genoma viene replicato al
fine di produrre due copie per ciascun cromosoma, in modo da ripartirli nelle due
cellule figlie egualmente.
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La fase M è propriamente il meccanismo di mitosi, secondo cui da una cellula
progenitrice si generano due cellule figlie geneticamente uguali, con correndo
cromosomico 2n (46 cromosomi nell’uomo). Questa fase è suddivisa in: profase,
prometafase, metafase, anafase e telofase.
Alla telofase segue la citodieresi, che porta alla formazione di due cellule distinte.
La mitosi, dunque, genera due cellule figlie geneticamente identiche alla cellula
progenitrice. Pertanto al fine di ripartire il genoma nelle cellule figlie, bisogna che
questo duplichi. Il DNA di ciascun cromosoma deve essere prima replicato,
producendo due copie di ciascun cromosoma, e i cromosomi duplicati devono
essere segregati in modo corretto nelle cellule figlie, affinché ognuna delle due
abbia una copia dell’intero genoma.
Oltre queste due fasi, ci sono altre due definite gap extra, la fase G1e la fase G2.
La fase G1 è la prima del ciclo cellulare, in cui la cellula raddoppia le proprie
dimensioni e aumenta il numero di enzimi e organuli come l’apparato di Golgi e
lisosomi. Rappresenta una fase di intensa attività biochimica. La cellula appena
generatasi deve aumentare il proprio volume, produrre proteine e RNA,
accumulando molecole per la fase S.
La fase G2 è una fase preparatoria alla mitosi. In questa fase la cellula si organizza
strutturalmente per affrontare la divisione cellulare.
Le radiazioni possono colpire le cellule in qualsiasi loro fase del ciclo,
determinando in base alla fase di esso, uno specifico danno, come indicato in
tabella 1.
Criterio della valutazione della
radiosensibilità
Fase più sensibile del ciclo cellulare
Morte riproduttiva M
Danno cromosomico G2
Ritardo della divisione G2
Sintesi del DNA G1 iniziale
Tabella 1. Radiosensibilità delle fasi del ciclo cellulare (Prasad, 1995).
Tuttavia si può concludere che l’effetto generale radiobiologico è quello di
ritardare il ciclo cellulare fino ad arrestarlo, portando alla morte clonogenica delle
stesse cellule, il cui tempo di arresto è direttamente proporzionale alla dose di
radiazione con cui sono irradiate.
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Capitolo 3
Rivelatore ad emulsioni nucleari
Le potenzialità dell’utilizzo delle emulsioni nucleari per studi di frammentazione
derivano dalla loro capacità di registrare il passaggio della radiazione ionizzante
con una elevata risoluzione spaziale (dell’ordine del micron) e angolare (decimi
di grado). La ionizzazione prodotta nelle emulsioni è proporzionale all’energia
rilasciata dalla particella incidente. Di seguito ne verrà descritto il principio di
funzionamento, lo scanning automatico e alcuni test preliminari che mostrano la
differente ionizzazione di ioni elio e carbonio.
3.1 Emulsioni nucleari
Le emulsioni nucleari sono strati di gel organico in cui sono sospesi sali d’argento,
in particolare il bromuro di argento (AgBr), sotto forma di cristalli: gli strati di
emulsione sono depositati su polistirene. Quando le particelle cariche colpiscono
i cristalli, queste cedono energia lasciando lungo il loro cammino una immagine
definita latente. Le immagini latenti vengono rese visibili da un processo di
sviluppo chimico di tipo riducente che permette la trasformazione del bromuro di
argento in argento metallico.
Le emulsioni, dopo lo sviluppo, vengono fissate con sodio o trisolfato di
ammonio, in modo tale da rimuovere tutti i cristalli di AgBr non colpiti da
radiazione, evitando che questi possano dare un oscuramento di immagine.
Gli aggregati di atomi di argento metallico, grani, sono visibili al microscopio
ottico. La densità di questi grani è direttamente proporzionale alla ionizzazione
prodotta dalla particella carica e pertanto alla sua perdita di energia.
In fig. 11 è riportata (a sinistra) la struttura di una emulsione nucleare, e una foto
(a destra) di una emulsione sottoposta a sviluppo chimico in cui sono visibili i
grani lasciati da radiazione ionizzante.
Figura 11. Struttura di una emulsione nucleare (sinistra) in cui è indicato il passaggio di una
particella carica, ortogonalmente alla superficie, che produce ionizzazione nei due strati di
emulsione. Fotografia di una emulsione(destra), acquista tramite microscopio ottico, in cui si
osserva il passaggio di una particella carica che viaggia parallelamente alla superficie.
I grani vengono rivelati sotto forma di raggruppamenti in pixel, che si mostrano
scuri ed allineati, tramite un microscopio ottico. I pixel scuri sono organizzati in
cluster; per ogni strato di emulsione vengono acquisite immagini a varia
18
profondità in modo da ottenere una sequenza longitudinale di cluster. Le sequenze
allineate di cluster della parte top e bottom dell’emulsione formano quelle che
vengono definite rispettivamente microtraccia top e microtraccia bottom che,
allineate in sequenza, formano la basetrack. Le basetracks, così ricostruite,
indicano il passaggio della particella carica e il loro volume, misurato in numero
di cluster, è proporzionale alla ionizzazione della particella.
I film di emulsione vengono osservati al microscopio e mostrano sempre un
“rumore di fondo”, detto fog, che rappresenta l’immagine sviluppata di quei
cristalli di bromuro di argento che non contengono alcuna immagine latente legata
al passaggio di una particella, ma sono eccitati dalla radiazione termica.
3.2 Sistema automatico di scansione
Le analisi delle emulsioni, utilizzate come rivelatori, vengono condotte con
microscopi ottici che acquisiscono immagini con una risoluzione dell’ordine del
micron. La struttura tridimensionale della basetrack è ottenuta variando il piano
focale del microscopio, per poter analizzare così l’intero spessore dell’emulsione.
Il microscopio, utilizzato per questo lavoro di tesi, è stato ottimizzato per la
scansione delle emulsioni nucleari dell’esperimento OPERA (finanziato
dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – INFN) che ha ottenuto l’importante
risultato della dimostrazione dell’oscillazione dei neutrini.
Figura 12. Il microscopio ottico (sinistra) utilizzato per la scansione delle emulsioni con le
sue principali componenti; schematizzazione (destra) del principio di acquisizione delle
immagini.
I principali componenti del microscopio (fig. 12) sono di seguito indicati:
tavolo di supporto;
piatto di scansione guidato da due motori per i movimenti sul piano
orizzontale (X,Y) e su cui, come supporto per l’emulsione, è montata una
lastra di vetro, sotto la quale vi è un aspiratore d’aria, in modo che il film di
emulsione resti ben adeso alla lastra;
19
un braccio di sostegno per l’obiettivo;
un motore che consente all’obiettivo di muoversi verticalmente (Z), per
scansiona i vari strati dell’emulsione;
un obiettivo (ingrandimento 20 apertura numerica 0.75 campo di vista
805 m 595 m);
una telecamera digitale che acquisisce l’immagine catturata dall’obiettivo
(Mikrotron MC-4082, dimensioni del pixel 77 m, frame rate 563 fps);
un sistema di illuminazione posto al di sotto della lastra di vetro (le
acquisizioni sono fatte in trasmissione) (lampada alogena 100 W).
L’intero spessore dell’emulsione è analizzato su più piani, e le immagini acquisite
tramite telecamera, vengono poi digitalizzate secondo una scala di grigi di 256
livelli. Un software dedicato processa le immagini in modo tale da riconoscere i
cluster allineati, cioè raggruppamenti di pixel anneriti e allineati. Per ogni
microtraccia vengono registrate le coordinate della posizione (x, y) e gli angoli
(x, y). Lo zero della posizione spaziale è indicato in fig. 12; gli angoli sono
misurati rispetto alla perpendicolare al piano dell’emulsione. Le basetracks,
ricostruite a partire dalle microtracce, presentano una risoluzione spaziale
dell’ordine del micron e una risoluzione angolare inferiore a 0.3° (5 mrad).
3.3 Acquisizione dati
Per caratterizzare la risposta delle emulsioni nucleari a differenti tipi di radiazioni,
coppie di emulsioni sono state esposte a fasci di p, 4He, D e 12C a energie di 80
MeV/n, presso i Laboratori Nazionali del Sud (LNS). Lo schema dell’esposizione
è riportato in fig. 13.
Le coppie di emulsioni, con una superficie di 5 cm2, sono state racchiuse in
involucri di sottile alluminio (spessore 20 m) al fine di evitare la loro esposizione
alla luce.
Figura 13. Schema (sinistra) e fotografia (destra) dell’esposizione a fasci ionizzanti a LNS.
Nella fotografia sono visibili due rivelatori digitali utilizzati per calibrare l’intensità del
fascio.
20
Dopo il processo di sviluppo chimico, tramite microscopio ottico e software
dedicato, sono state ricostruite le tracce lasciate dalla radiazione ionizzante nelle
emulsioni.
In questo lavoro di tesi, mi sono occupato di analizzare, tramite microscopio, le
emulsioni esposte a un fascio di ioni elio e carbonio. In fig. 14, mostro come
appaiono, durante le acquisizioni, i cluster prodotti dalla ionizzazione dei due tipi
di ioni. Si può vedere, come il carbonio formi dei cluster molto più grandi rispetto
all’elio. Le dimensioni del cluster sono proporzionali alla ionizzazione rilasciata
dalla radiazione, pertanto mi aspetto che la ionizzazione del carbonio sia più alta
rispetto a quella dell’elio.
Figura 14. Immagini delle emulsioni acquisite al microscopio: a sinistra, è evidenziato, nel
cerchio rosso, un cluster prodotto da una particella di elio, a destra, sono indicati i cluster
prodotti da due ioni carbonio.
Con un software dedicato, le immagini acquisite al microscopio su più piani
focali, sono state processate in modo da ricostruire le basetracks indicanti il
passaggio delle particelle ionizzanti nelle emulsioni, secondo la procedura
descritta nel paragrafo precedente. In fig. 15 è visualizzata la distribuzione
spaziale (X,Y) delle basetracks prodotte da ioni elio e carbonio.
Queste distribuzioni sono state prodotte eliminando il contributo dei raggi
cosmici, a cui tutta la Terra è esposta e che inevitabilmente attraversano le nostre
emulsioni. Le emulsioni sono state esposte in modo che la radiazione incidente
formasse un angolo quasi nullo con l’ortogonale alla superficie stessa
dell’emulsione, pertanto il contributo dei raggi cosmici può essere soppresso,
imponendo un taglio sull’angolo delle tracce considerate. Il segnale sarà formato
da tracce a piccolo angolo, i raggi cosmici avranno tracce a grande angolo.
Il software utilizzato registra, per ogni basetrack, il numero dei cluster prodotti,
il cui volume totale è proporzionale alla ionizzazione della particella.
In fig. 16 sono riportati i grafici delle curve di ionizzazione per gli ioni elio e
carbonio. Questi grafici riguardano emulsioni sottoposte ad un trattamento
21
termico di 28°C per eliminare effetti di saturazione. Sull’asse delle ascisse è
riportato il volume dei cluster, sull’asse delle ordinate è riportato il numero di
basetracks aventi quel volume. Si può notare che il valor medio del volume di
traccia misurato per gli ioni carbonio (78±10) è più del doppio di quello degli ioni
elio (34±5).
Figura 15. Distribuzione spaziale delle basetracks per ioni elio (sinistra) e ioni carbonio
(destra)
Figura 16. Distribuzione del volume di traccia per ioni elio (in alto) e per gli ioni carbonio
(in basso).
22
Conclusioni
Il lavoro di questa tesi sperimentale ha riguardato l’analisi dell’adroterapia, nuova
tecnica di radioterapia, che presenta notevoli potenzialità, ma lascia ancora aperto
il problema della definizione dell'efficacia biologica delle particelle cariche. Il
fascio di particelle cariche, nell’attraversare i tessuti, può provocare effetti di
frammentazione nel bersaglio o essere, a sua volta, oggetto di frammentazione. In
entrambi i casi, i frammenti prodotti interagiscono con i tessuti umani e innalzano
il livello di dose complessivo impartito al paziente.
Dopo una prima analisi delle grandezze fisiche e biologiche coinvolte nel processo
di interazione radiazione-materia e degli effetti biologici della radiazione
ionizzante, ho analizzato l’utilizzo di emulsioni nucleari come rivelatori di
radiazione. Le emulsioni nucleari consentono di ricostruire le tracce lasciate dalle
particelle cariche con elevata risoluzione spaziale ed angolare, fornendo una misura
della ionizzazione rilasciata. Presso il Laboratorio di Emulsioni Nucleari del
Dipartimento di Fisica “E. Pancini”, ho eseguito test preliminari per la
ricostruzione delle curve di ionizzazione prodotta da fasci di ioni elio e carbonio
con energia 80 MeV/n.
Rivelatori basati su emulsioni nucleari verranno impiegati per studi di
frammentazione nell’ambito dell’esperimento FOOT (FragmentatiOn Of Target)
finanziato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, per analizzare i frammenti
prodotti dall’interazione di fasci di ioni elio, carbonio e ossigeno interagenti con
bersagli che simulano il tessuto umano. Nell’ambito dell’esperimento FOOT, ne l
prossimo novembre 2018, rivelatori basati su emulsioni nucleari verranno esposti
a fasci di ioni elio da 700 MeV/n per analizzarne la frammentazione, presso il GSI
(Darmstadt, Germania).
23
Bibliografia
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Editrice Ambrosiana (II edizione, 2014)
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Journal, 2013
Tommasino F., Durante M., Proton Radiobiology, Cancers, vol. 7, pp 353-381,
2015
24
Ringraziamenti
La parte dei ringraziamenti è stata quella più macchinosa da elaborare. Non
volendo incorrere in soliti cliché, mi sento, ad ogni modo, di dedicare un piccolo
pensiero a chi, in questi anni, mi ha accompagnato, incoraggiato ed anche ripreso.
Un pensiero di stima e gratitudine va alla mia relatrice, la Dott.ssa M. Cristina
Montesi. Devo a lei questo lavoro di tesi e grazie alla quale ho scoperto un mondo
di cui ignoravo l’esistenza. Spero, un giorno, di affermarmi nel campo della
biofisica e quel giorno, dovunque io mi trovi, le rivolgerò un semplice, ma
sentito, grazie.
Ed un grazie va anche alla Dott.ssa Adele Lauria per i suoi consigli durante la
stesura della tesi.
A quel ragazzo di 15 anni ed alle sue difficoltà.
Se volgessi uno sguardo al passato, non mi riconoscerei, anzi, direi che quel
ragazzo impacciato, malinconico ed a tratti abulico sarebbe un estraneo. Ma è a
lui che devo la persona che sono oggi. Dai genitori si può trarre esempio, si riceve
l’educazione, dagli amici, invece, consigli ed aiuto, ma credo che se non si tocchi
il fondo da soli di risalire non se ne parli affatto.
Ringrazio, come giusto che sia, i miei genitori. Mi avete dato la possibilità di
esprimermi, sempre. Con i vostri sacrifici posso guardare ad un futuro migliore.
Ringrazio mia sorella, Maria. Non potrei fare a meno della nostra complicità, mai.
Ricorda che per quante volte tu possa cadere, hai sempre tuo fratello a tenderti la
mano.
Un pensiero d’affetto lo dedico a mia zia Cristina. Grazie, infinite volte, per la tua
costante presenza. E grazie anche a mia nonna.
‘’ Alle occasioni mancate. Che tu possa non mancare mai quelle veramente
importanti, e che la vita te ne offra davvero tante da cogliere, perché le meriti. ‘’
Geppa, io ti ringrazio con tutto me stesso. La nostra amicizia è andata oltre il
semplice scambio di banali interessi. Due caratteri diversi, che ci hanno spinti,
addirittura, a diverbi e veementi scambi di opinioni, tuttavia è in quei momenti
che siamo realmente maturati, e sono contento di essermi confrontato con una
mente sveglia e sagace. Mi hai aiutato a capire che nulla conta di più che essere
se stessi, e posso dire che, ad oggi, una piccola parte di me è anche tua. Non siamo
soliti abbandonarci a futili sentimentalismi, per cui ti dedico un sincero e voluto:
‘’ ti voglio bene! ‘’
25
Ad una amica, una seconda sorella, sulla quale si può sempre contare, Ida.
Abbiamo condiviso, in questi anni di università, gioie e lacrime, ma siamo
arrivati, malgrado i problemi avuti, alla fine. Sei di cuore buono. Grazie.
Non posso non dedicare un pensiero a Carmen, la mia amica ‘’ prestigiosa ‘’.
Nonostante tutto, l’affetto non è mai andato via. Sono sicuro che ci aspettano altre
avventure in cui faremo perdere i capelli a Geppa.
Grazie anche a coloro con cui sono cresciuto e con cui ho condiviso gli anni del
liceo. Francesca, Olga, Aurelia, Arianna e Domenico sempre nel mio cuore.
Un pensiero lo rivolgo anche a Benedetta e Chiara, felice di avervi incontrato e di
aver raggiunto, insieme, una bella intesa.