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Università degli studi di Padova

Facoltà di Ingegneria

TESI DI LAUREA

Studio delle prestazioni del sistema di raffreddamento

bifase del rivelatore SPD di ALICE

Relatore: Francesca Soramel

Correlatore: Rosario Turrisi

Laureando: Andrea Francescon

A.A. 2010/2011

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Indice Introduzione 5

Capitolo 1 Fondamenti teorici 5

1.1 Cenni di fluidodinamica 5

1.1.1 I fluidi e le loro proprietà 5

1.1.2 Energia totale. Teorema di Bernoulli 12

1.1.3 Moto laminare e moto turbolento 13

1.1.4 Moto laminare 15

1.1.5 Strato limite 17

1.1.6 Moto turbolento 19

1.1.7 Perdite di carico 21

1.2 Cenni di trasmissione del calore 25

1.2.1 Introduzione. I tre meccanismi dello scambio termico 25

1.2.2 Scambio termico per conduzione 26

1.2.3 Scambio termico per convezione forzata entro condotti 28

Capitolo 2 Il Silicon Pixel Detector (SPD) 33

2.1 L’esperimento ALICE 33

2.2 SPD 35

2.3 L’half stave 36

2.4 Il sistema di raffreddamento di SPD 39

2.4.1 Principio di funzionamento 42

2.4.3 Progetto del sistema e scelta dei componenti 43

2.4.4 Descrizione dettagliata dell’impianto 51

Capitolo 3 Risultati dei test 57

3.1 Introduzione 57

3.2 L’impianto a termosifone bifase 57

3.2.1 Descrizione dell’impianto 59

3.2.2 Condizioni per la stabilità dell’impianto 62

3.2.3 Avvio e ramp-down dell’impianto 63

3.3 La sezione di test 65

3.3.1 Considerazioni 68

3.4 Caratterizzazione dei filtri 69

3.5 Variazione di Dp e del flusso al variare della potenza applicata sul settore 75

3.5.1 Considerazioni 79

3.6 Ebollizione localizzata 79

3.6.1 Considerazioni 82

3.7 Test per la valutazione dell’impedenza dei filtri 83

3.7.1 Considerazioni 86

3.8 Test con filtri otturati 87

3.8.1 Considerazioni 92

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3.9 Test con polveri graduate 93

3.9.1 Polvere 0,4-12 µm 99

3.9.2 Polvere 80-200 µm 105

3.9.3 Polvere 20-50 µm 107

3.9.4 Polvere <75 µm 108

3.9.5 Test di stop&start 109

3.9.6 Considerazioni 110

Appendice 115

A.1 Alcune proprietà del C4F10 115

A.1.1 Variazione della densità al variare della pressione 115

A.1.2 Variazione della viscosità al variare della pressione 116

A.2 Termofluidodinamica delle miscele bifase 117

A.2.1 Introduzione. Principali grandezze caratteristiche 117

del moto bifase

A.2.2 Regimi di deflusso bifase con evaporazione 121

in condotti verticali

A.2.3 Regimi di deflusso bifase con evaporazione 122

in condotti orizzontali

A.2.4 Mappe di deflusso 124

A.2.5 Perdite di carico 129

A.2.6 Il coefficiente di scambio termico in convezione forzata con

ebollizione all’interno di condotti 132

Bibliografia 135

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Introduzione

Presso il Large Hadron Collider (LHC) del CERN opera l’esperimento ALICE (A Large Ion

Collider Experiment), il cui obbiettivo è lo studio delle caratteristiche della materia nelle

condizioni estreme di temperatura e pressione in cui si ipotizza possa essersi trovata 10 µs

dopo il Big Bang.

L’esperimento ALICE si compone di diversi rivelatori di particelle, realizzati con tecnologie

differenti a seconda della specifica applicazione cui sono dedicati. Il Silicon Pixel Detector

(SPD) costituisce il rivelatore più interno di ALICE ed è focalizzato sulla localizzazione del

vertice primario e la ricostruzione dei vertici secondari e delle tracce delle particelle a basso

impulso: il suo ruolo è di estrema importanza per la conduzione dell’intero esperimento.

SPD è realizzato con la tecnologia dei pixel di silicio ibrido, che consiste in una matrice

bidimensionale di diodi al silicio polarizzati inversamente.

L’elettronica del rivelatore produce per dissipazione una potenza termica non trascurabile se

confrontata con la massa dello stesso (1500 W nell’intero SPD). Tale potenza deve essere

smaltita da un apposito sistema di raffreddamento per evitare il danneggiamento del

rivelatore.

Il sistema di raffreddamento di SPD utilizza un ciclo inverso a compressione di vapore che

sfrutta perfluorobutano (C4F10) come fluido refrigerante.

L’impianto di raffreddamento di ogni settore, testato per lungo tempo presso i laboratori del

CERN prima dell’installazione del rivelatore, presentava un’efficienza di raffreddamento

ε=100% ed un’elevata stabilità nel tempo.

Una volta installato nella sala sperimentale, il sistema ha però mostrato un drastico calo

dell’efficienza (ε=87%), ulteriormente ridotto (ε=71%) in seguito ad alcuni avvenimenti.

Non si è trovata, nell’immediato, una causa evidente per questo comportamento.

Una serie di test dedicati ed uno studio approfondito della storia del sistema fin dalla sua

attivazione nella sala sperimentale, suggeriscono che il comportamento osservato sia in gran

parte attribuibile ad una parziale occlusione dei filtri installati in serie nelle linee dell’impianto.

Tali filtri non sono raggiungibili se non contestualmente a un esteso disassemblaggio dei

servizi dell’esperimento, operazione che richiede un periodo di almeno sei mesi.

Poiché nel 2013-2014 è previsto un lungo stop tecnico per tutti gli esperimenti operanti

presso LHC per un upgrade dell’energia e della luminosità, sarà allora possibile operare le

modifiche richieste per raggiungere i filtri che si presumono occlusi. Essendo però questo un

intervento che richiede un notevole dispendio di tempo e di risorse, un approfondito studio

del problema è necessario prima della pianificazione dell’intervento.

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Le analisi teoriche e le simulazioni effettuate non sono state in grado di dare una spiegazione

definitiva del fenomeno. Per questo motivo, si è deciso di realizzare un banco-test con lo

scopo di riprodurre sperimentalmente le condizioni che si osservano nell’impianto di

raffreddamento di SPD. La fase di test in laboratorio è propedeutica a qualunque intervento

sull’installazione.

In questo lavoro sono presentati i test realizzati a questo scopo e vengono analizzati i risultati ottenuti. Le conclusioni a cui si è giunti potranno così essere utilizzate per la pianificazione di futuri interventi sull’impianto.

Nel Capitolo 1 vengono ripresi alcuni concetti necessari per la comprensione del lavoro svolto e per una corretta interpretazione dei risultati ottenuti. Questi riguardano soprattutto la fluidodinamica, la meccanica dei fluidi e la trasmissione del calore. La discussione delle basi teoriche del lavoro viene completata con la trattazione della termofluidodinamica delle miscele bifase riportata nell’Appendice 2. Nel Capitolo 2 viene descritto il rivelatore di particelle SPD e il relativo sistema di raffreddamento. Vengono presentati il progetto del sistema, la scelta dei componenti e le condizioni di funzionamento.

Nel Capitolo 3, dopo la presentazione dell’impianto sperimentale utilizzato (Par. 3.2-3.3), sono descritti i test effettuati e sono presentati i risultati ottenuti. Per prima cosa è stata effettuata la caratterizzazione dei filtri utilizzati (Par 3.4), misurandone la caduta di pressione in funzione del flusso. Per diverse combinazioni di filtri è poi stata calcolata l’impedenza fornita al flusso (Par 3.7) e l’effetto della potenza applicata al settore (Par 3.5). Infine sono state riprodotte le condizioni di deflusso attraverso filtri parzialmente occlusi prima otturando parte della superficie con colla epossidica (par. 3.8), poi introducendo nel circuito polveri graduate di diversa granulometria (Par 3.9).

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Capitolo 1

Fondamenti teorici

Introduzione

In questo capitolo sono presentati alcuni concetti di fluidodinamica, di meccanica dei fluidi e

trasmissione del calore necessari per una completa comprensione dei test descritti nel seguito

e per una corretta interpretazione dei risultati ottenuti. In particolare, dopo un richiamo delle

principali proprietà dei fluidi (con particolare riferimento al C4F10, il fluido refrigerante

utilizzato nell’impianto in esame) vengono descritti i regimi di deflusso laminare e turbolento,

mettendone in risalto le caratteristiche. Viene infine ripreso il concetto di perdita di carico nel

deflusso di un fluido all’interno di un condotto. La trattazione, dove non specificato

diversamente, si basa sui seguenti testi: “Trasmissione del calore” di Bonacina e al.,

“Mechanics of fluids” di Massey, “Meccanica dei fluidi” di Cengel ed “Idraulica “ di Ghetti.

Nella seconda parte vengono ripresi i concetti fondamentali della trasmissione del calore,

esclusivamente in riferimento alla conduzione e alla convezione forzata entro condotti. La

trattazione segue ancora l’impostazione del testo di Bonacina. A completamento della

trattazione sono riportati in appendice alcuni cenni di termofluidodinamica delle miscele

bifase, tratti da “Wolverine engineering data book” di J. R. Thome e dagli appunti di

termofluidodinamica e trasmissione del calore di L. Rossetto.

1.1 Cenni di fluidodinamica

1.1.1 I fluidi e le loro proprietà

Si consideri (1) un volumetto infinitesimo dV in seno alla massa fluida, contenente il punto

P: se dm è la massa di tale volume di fluido e dG ne è il peso, si possono definire le seguenti

caratteristiche del fluido nel punto P:

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La “densità” del fluido è la massa di fluido per unità di volume. La densità di un corpo varia

in generale con la pressione e con la temperatura. Ad un aumento di pressione corrisponde

sempre un aumento di densità (in quanto diminuisce il volume)(1.3) ma tale effetto è

trascurabile nei liquidi (per la loro scarsa comprimibilità) (Fig. A.1) mentre è rilevante nei gas

(Fig. A.2).

Per quanto riguarda la temperatura, si ha che in generale il volume aumenta con la

temperatura e quindi la densità diminuisce sia in fase liquida (Fig. 1.1) che in fase gassosa

(Fig. 1.2).

1550

1600

1650

1700

1750

1800

1850

-100 -80 -60 -40 -20 0

De

nsi

ty [

kg/m

3]

Temperature [°C]

C4F10 Liquid Density vs Temperature (@ 1 bar)

Figura 1.1 Variazione della densità al variare della temperatura per C4F10 liquido alla pressione di 1 bar.

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Un’altra importante caratteristica dei fluidi è la “viscosità”, cioè la resistenza al moto del

fluido che si sviluppa all’interno del fluido stesso. Si considerino due superfici piane di area A

in moto relativo tra di loro alla velocità dv, separate dalla distanza dh al cui interno è presente

un fluido in contatto con le pareti che supponiamo muoversi per strati o lamine parallele alle

pareti (escludiamo cioè moti turbolenti). Risulta allora che la forza F necessaria a mantenere

le due superfici in moto relativo alla velocità dv è direttamente proporzionale alla velocità

relativa dv tra le lastre, all’area A delle pareti e inversamente proporzionale alla distanza tra di

esse tramite il fattore di proporzionalità µ, che è appunto la viscosità del fluido:

Perciò, sull’unità di superficie, lo sforzo tangenziale sarà:

Dalla (1.4), detta “legge di Newton”, è possibile ricavare l’unità di misura della viscosità:

[

] [

]

Nel S.I. l’unità di misura della viscosità è il Ns/m2 o Pa·s ma in pratica vengono sempre usati

il poise P o il centipoise cP, definiti come:

La viscosità dei gas è molto minore di quella dei liquidi: nei gas essa cresce al crescere della

temperatura (Fig. 1.4) e, meno marcatamente, col crescere della pressione (Fig. A.4), mentre

0

2

4

6

8

10

12

-50 0 50 100 150 200 250

De

nsi

ty [

kg/m

3]

Temperature [°C]

C4F10 Vapor Density vs Temperature (@1 bar)

Figura 1.2 Variazione della densità al variare della temperatura per C4F10 gassoso alla pressione di 1 bar

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nei liquidi essa decresce fortemente all’aumentare della temperatura (Fig. 1.3), mentre

dipende poco dalla pressione per pressioni lontane da quella critica (Fig. A.3).

Oltre alla viscosità appena introdotta, detta anche “viscosità dinamica”, esiste un altro tipo di

viscosità ν, detta “viscosità cinematica” in quanto a differenza della prima, non contiene

grandezze dinamiche ma solo cinematiche. Le due grandezze sono legate dalla seguente

relazione:

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

-100 -80 -60 -40 -20 0

Vis

cosi

ty [

μP

a·s]

Temperature [°C]

C4F10 Liquid viscosity vs Temperature (@ 1 bar)

0

5

10

15

20

-50 0 50 100 150 200 250

Vis

cosi

ty [

µP

a·s]

Temperature [°C]

C4F10 Vapor viscosity vs Temperature (@ 1 bar)

Figura 2.2 Andamento della viscosità dinamica al variare della temperatura per C4F10 liquido alla pressione di 1 bar.

Figura 1.4 Andamento della viscosità dinamica al variare della temperatura per C4F10

gassoso alla pressione di 1 bar.

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Ai fini del lavoro qui presentato, un’altra importante caratteristica di un fluido è la sua

“tensione di vapore” cioè la pressione esercitata dal suo vapore in equilibrio di fase con il

liquido ad una data temperatura. Essa quindi corrisponde alla pressione di saturazione del

liquido alla temperatura data, cioè la pressione alla quale il liquido cambia fase.

Un sistema nel quale un liquido ed il suo vapore sono in equilibrio si dice “saturo”: in

condizioni di saturazione la pressione del vapore saturo dipende solo dalla temperatura.

Questa è la proprietà principale del vapore saturo. Nel diagramma pressione volume

specifico (p-v) del fluido, la zona del vapore saturo si trova all’interno della cosiddetta “curva

di Andrews”: all’interno di questa curva, infatti, liquido e vapore si trovano in equilibrio, a

formare quello che viene detto vapore saturo. Si noti come (Fig. 1.6) all’interno della curva di

Andrews isobare e isoterme coincidano. Il tratto a sinistra della curva (tratto rosso)

rappresenta il liquido saturo, mentre quello a destra (tratto blu) il vapore saturo secco.

0

0,005

0,01

0,015

0,02

0,025

0,03

0,035

-100 0 100 200 300

Kin

. V

isco

sity

[cm

2 /s]

Temperature [°C]

C4F10 Kin. Viscosity vs temperature (@ 1 bar)

Series1

Figura 1.5 Andamento della viscosità cinematica al variare della temperatura per C4F10

alla pressione di 1 bar.

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Figura 1.6 Diagramma pressione-volume specifico (p-v) del C4F10.

Il liquido che si trova a temperatura minore del liquido saturo alla stessa pressione si dice

“liquido sottoraffreddato” (zona a sinistra della curva di liquido saturo), mentre il gas che si

trova a temperatura maggiore del vapore saturo alla stessa pressione si dice “vapore

surriscaldato” (zona a destra della curva di vapore saturo secco).

Se in seno ad una massa fluida in movimento la pressione in qualche punto scende al di sotto

della tensione di vapore, avviene un’improvvisa vaporizzazione del fluido con conseguente

formazione di bolle, anche se non tutto il fluido si trova in condizioni di saturazione. Tale

effetto si chiama cavitazione: le bolle passando poi in punti a pressione maggiore, possono

liquefarsi producendo onde di pressione che si propagano all’interno del fluido.

1.1.2 Energia totale. Teorema di Bernoulli

In un sistema semplicemente comprimibile (in assenza cioè di effetti magnetici, elettrici e di

tensione superficiale), l’energia totale è data dalla somma di tre addendi: energia interna,

energia potenziale ed energia cinetica:

Se il sistema fluido è in deflusso all’interno di un condotto si aggiunge l’energia legata alla

pressione p/ρ=pv. Applicando al sistema il teorema delle forze vive si ottiene (2):

dove:

- L’12 è il lavoro utile prodotto dal sistema;

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- R12 rappresenta le perdite per attrito.

La (1.10), detta “equazione generalizzata di Bernoulli”, descrive le variazioni di energia nel

deflusso stazionario monodimensionale di un fluido all’interno di un condotto tra le sezioni 1

e 2.

Se si considera il deflusso di un fluido ideale (non viscoso) e incomprimibile, senza che venga

prodotto lavoro utile si ha:

che rappresenta la costanza lungo il condotto del trinomio di Bernoulli.

1.1.3 Moto laminare e moto turbolento

Il deflusso di un fluido incomprimibile all’interno di un condotto è soggetto esclusivamente

alle forze di inerzia e alle forze viscose. Se parti del fluido si trovano a differente quota

geodetica, oltre a queste è necessario considerare le forze dovute alle differenze di pressione

piezometrica. Queste, però, sono da ritenersi nulle in un condotto orizzontale.

Le forze d’inerzia risultano direttamente proporzionali alla densità del fluido e al quadrato

della velocità e al quadrato di una dimensione caratteristica del campo di moto (il diametro d

nel caso di condotto circolare):

Le forze viscose risultano essere direttamente proporzionali alla viscosità e alla velocità e alla

lunghezza caratteristica del moto:

Il deflusso monofase dei fluidi viscosi, può assumere due diversi regimi di moto: il regime

laminare ed il regime turbolento. Nel regime laminare, le particelle di fluido seguono

traiettorie lineari, parallele le une alle altre e parallele all’asse del condotto, che coincidono

con le linee di corrente se il moto è stazionario. Il deflusso del fluido avviene per scorrimento

parallelo di strati infinitesimi di fluido e quindi senza nessun mescolamento, nemmeno su

scala microscopica. Nel regime laminare, il deflusso del fluido è governato dallo forze viscose

(che tendono a soffocare le perturbazioni che si generano in seno alla massa fluida) e risulta

essere costante nel tempo.

Nel moto turbolento le particelle seguono traiettorie casuali ed il deflusso del fluido è

caratterizzato dalla presenza di numerosi vortici di dimensione e velocità differente. Le

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grandezze termodinamiche e fluidodinamiche del fluido variano nel tempo e nello spazio in

maniera casuale e non prevedibile, anche se si possono definire delle quantità medie sulla

sezione, che rimangono costanti in regime stazionario. Le perturbazioni che si formano nel

fluido vengono ora alimentate dalle forze di inerzia che prevalgono, in questo caso, sulle

forze viscose.

Numerosi studi sperimentali hanno evidenziato come lo stato critico di passaggio dal regime

laminare a quello turbolento, in un moto uniforme, dipenda da:

- caratteristiche del fluido (densità ρ e viscosità µ alla temperatura del fluido);

- velocità media v nella sezione considerata;

- diametro interno del condotto d (o diametro idraulico, se il condotto non è circolare).

Queste grandezze si combinano in un parametro adimensionale detto “numero di Reynolds” Re:

Il numero di Reynolds risulta essere il rapporto tra le forze di inerzia, che tendono ad esaltare

le perturbazioni del moto, e le forze viscose, che invece tendono a smorzarle, entrambe

riferite al medesimo volume di fluido.

Un certo valore critico del numero di Reynolds Rec segna il passaggio tra moto laminare e

moto turbolento:

- per Re<Rec qualunque perturbazione del moto viene smorzata dalle forze viscose ed

il moto si mantiene laminare;

- per Re>Rec il regime laminare risulta molto instabile e qualsiasi perturbazione del

moto, esaltata dalle forze d’inerzia, porta il moto in regime turbolento.

Durante i suoi esperimenti sulle transizioni di regime, Reynolds evidenziò un’altra differenza

molto importante tra i due regimi di moto, oltre a quella già discussa. (3) Studiando la caduta

di pressione specifica per unità di lunghezza del condotto a diverse velocità del fluido, egli

notò come Δp/l fosse linearmente dipendente dalla velocità (e quindi dalla portata) nel

regime laminare (come si vedrà più avanti), mentre una volta raggiunta la velocità critica (e

quindi Rec) si ha un improvviso aumento della perdita di carico specifica e il legame tra Δp/l

e la velocità varia tra 1,7 (tubi molto lisci) e 2 (tubi scabri), come evidenziato dal seguente

grafico:

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La Fig. 1.7 mostra un’altra importante caratteristica della transizione di regime: come si può

vedere, infatti, sono presenti due velocità critiche (cui corrispondono due Rec) una per la

transizione da regime laminare a regime turbolento, detta velocità critica inferiore e compresa

tra 2000 e 2300, l’altra per la transizione tra regime turbolento e regime laminare, detta

velocità critica superiore e compresa tra 2500 e 4000. La più importante delle due, e alla quale

spesso ci si riferisce come velocità critica, è la velocità critica inferiore che segna la fine della

stabilità del moto laminare. Tra le due velocità critiche si ha quello che viene detto “regime di

transizione”, nel quale il moto turbolento non è ancora pienamente sviluppato.

1.1.4 Moto laminare

Si consideri un fluido in moto laminare all’interno di una tubazione di sezione circolare

uniforme di diametro d. Si consideri un elementino anulare di fluido di raggio r, spessore dr e

lunghezza dx coassiale con la tubazione orizzontale.

Applicando l’equilibrio delle forze nella direzione del moto, considerando che in tale

direzione agiscono solo le forze legate agli attriti viscosi e alle differenze di pressione, e

introducendo l’espressione di Newton per lo sforzo tangenziale (considerando la viscosità µ

costante), si ottiene (4):

(

)

la quale, integrata due volte rispetto a r, fornisce:

(

)

Figura 1.7 Diagramma in scala logaritmica della perdita di carico specifica Δp/l in funzione della velocità del fluido u. Si noti l’aumento di Δp/l nel passaggio da regime laminare a regime turbolento

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I valori delle costanti di integrazione C1 e C2 si ottengono imponendo le seguenti condizioni

al contorno:

- dv/dr=0 per r=0 (cioè si impone che, per ragioni di simmetria, la velocità sia

massima sull’asse);

- v=0 per r=R (cioè si impone che in prossimità della parete la velocità sia nulla).

Risulta allora (4):

(

)

Dalla precedente risulta quindi che in regime laminare

il profilo della velocità è parabolico, con velocità nulla

in prossimità della parete (Fig. 1.8) e velocità massima

sull’asse.

Una volta ottenuta la velocità v(r), è possibile ottenere il valore della portata di fluido

attraverso la sezione anulare di spessore dr precedentemente definita che risulterà uguale alla

velocità per l’area infinitesima (3):

(

)

(

)

che, integrata sull’intera sezione di raggio R, fornisce (3):

(

)∫

(

)

che è conosciuta anche come formula di Hagen-Poiseuille.

Se si considera una tubazione di lunghezza l ancora di sezione circolare costante, alle cui

estremità sia presente la differenza di pressione piezometrica p1-p2, l’equazione di Hagen-

Poiseuille può essere scritta come:

e mostra come la portata di un fluido in regime laminare all’interno di un condotto

orizzontale di sezione circolare costante sia proporzionale alla caduta di pressione alle

estremità, alla quarta potenza del raggio del condotto ed inversamente proporzionale alla

viscosità del fluido.

Figura 1.8 Profilo di velocità parabolico di un fluido in regime laminare.

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E’ necessario far notare (3) come l’equazione (1.21), essendo stata ottenuta per un volume

infinitesimo di spessore dx, sia valida sia per fluidi incomprimibili che per fluidi comprimibili,

essendo trascurabile all’interno dello spessore dx la variazione della densità del fluido. Nel

caso di flusso di fluidi comprimibili all’interno di tubi di lunghezza finita l, nei quali l

variazione di densità del fluido può essere significativa, la precedente può non essere più

applicabile. Inoltre la (1.21) è applicabile solo per regime laminare pienamente sviluppato.

1.1.5 Strato limite

Un fluido viscoso in moto in prossimità di una parete solida, tende ad aderire alla parete e

quindi a ridurre la velocità relativa fino ad annullarla in prossimità della parete stessa. Tale

azione di rallentamento della parete si trasmette poi alla massa del fluido per effetto delle

forze viscose. Esiste quindi uno strato di fluido in prossimità della parete che risente

fortemente del rallentamento indotto dall’adesione del fluido alla parete solida: tale zona è

detta “strato limite” della corrente fluida.

Tale concetto fu introdotto inizialmente da Prandtl, che per primo ipotizzò che il deflusso di

un fluido a contatto di una superficie solida potesse essere suddiviso in due parti:

- una parte, a contatto con la parete, nella quale è predominante l’effetto degli sforzi

tangenziali, caratterizzata da elevati gradienti di velocità e quindi da elevati sforzi

tangenziali;

- una parte, più lontana dalla parete, nella quale il campo di velocità non risente

dell’effetto di adesione indotto dalla parete sul fluido ed il profilo di velocità risulta

indisturbato.

L’intero processo di sviluppo dello strato limite può essere evidenziato studiando il deflusso

di un fluido reale su una lastra piana (3) (5).

Figura 1.9 Sviluppo dello strato limite nel deflusso di un fluido su una superficie piana (Vio).

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Sia u∞ la velocità indisturbata del fluido e sia A il bordo di attacco (ad angolo di incidenza

nullo) della lastra piana. A contatto con la superfice della lastra, il fluido tende ad aderire ad

essa per effetto della viscosità e la velocità relativa tende a diminuire. Per effetto delle forze

viscose sempre maggior quantità di fluido viene interessata dal rallentamento e lo strato

limite aumenta quindi il suo spessore (Fig. 1.9). In questa prima parte di lunghezza xc il

regime di moto all’interno dello strato limite è completamente laminare e l’andamento della

velocità in funzione della distanza dalla parete segue, come si è visto, una legge parabolica.

Per distanze dal bordo d’attacco maggiori di xc, poiché sempre più fluido risulta interessato

dagli effetti viscosi e lo spessore dello strato limite aumenta, il regime laminare all’interno

dello strato limite diventa instabile e dopo una zona di transizione (subito dopo xc), lo strato

laminare presenta un regime turbolento in ogni punto tranne che in un sottile strato aderente

alla parete detto “sottostrato laminare” nel quale il regime si mantiene laminare ed il profilo

di velocità si può considerare lineare. Tra sottostrato laminare e strato turbolento il passaggio

avviene attraverso una zona intermedia detta “buffer layer” all’interno della quale il moto,

pur dominato dagli effetti viscosi, presenta già numerosi vortici. Nello strato limite

turbolento i profili di velocità seguono leggi del tipo:

(

)

con n funzione di Re (n=7) nel campo di velocità di maggior interesse per la pratica).

Per deflussi all’interno di condotti, lo sviluppo dello strato limite presenta caratteri simili.

Si consideri un fluido che entra in un tubo da una sezione molto più grande (5): nella sezione

di ingresso la velocità è costante su tutta la sezione e pari al valore indisturbato w∞ che il

fluido possiede prima di entrare nel condotto. All’aumentare degli effetti viscosi, la velocità in

prossimità della parete diminuisce, la velocità all’asse aumenta per mantenere costante la

velocità media (la portata in ogni sezione è costante) e la pressione all’asse diminuisce, in

accordo con il teorema di Bernoulli.

Allontanandosi dalla sezione di ingresso, una sempre maggior quantità di fluido risente del

rallentamento indotto dalla parete e trasmesso tramite le forze viscose: lo spessore dello

strato limite aumenta finché, alla distanza Li dall’asse, detta “lunghezza di ingresso”, lo strato

limite raggiunge l’asse del condotto, occupa l’intera sezione e il fluido raggiunge la “regione

di moto pienamente sviluppato”. In tale regione il profilo di velocità w=w(r) si mantiene

identico in tutte le sezioni successive (se il moto avviene in regime stazionario):

- se Re<Rec, il moto completamente sviluppato sarà laminare ed il profilo di velocità

sarà parabolico:

(

)

dove wa è la velocità all’asse.

- Se Re>Rec, il fluido presenterà moto turbolento completamente sviluppato con

profili di velocità che seguono approssimativamente la legge:

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(

)

La lunghezza di ingresso Li soddisfa alla relazione:

Lo sforzo tangenziale è direttamente proporzionale al gradiente di velocità. Perciò nella zona

di moto completamente sviluppato, dove il profilo di velocità è costante, anche lo sforzo

tangenziale alla parete τo è costante. Nella prima parte del condotto, invece, detta “regione di

sviluppo idrodinamico” lo sforzo tangenziale alla parete non è costante (4): τo è massimo

nella sezione iniziale della tubazione dove lo strato limite è minimo e quindi il gradiente di

velocità è massimo; a partire da tale valore decresce progressivamente fino al valore minimo

che si ha nella regione di moto pienamente sviluppato.

1.1.6 Moto turbolento

Come si è mostrato nel precedente paragrafo, all’imbocco di un condotto, per effetto

dell’adesione del fluido alla parete, si ha la formazione di uno strato limite anulare dapprima

laminare poi, al crescere dello spessore dello stesso per effetto delle forze viscose, tale strato

limite può diventare turbolento ed occupare tutta la sezione del condotto.

Alla distanza Li (che dipenderà da Re, dalla parete del tubo, dal tipo di imbocco) il flusso

presenterà quindi un regime di moto pienamente sviluppato. Se Re>Rec il regime di moto

sarà turbolento pienamente sviluppato su tutta la sezione. Anche in questo caso, come in

quello dello strato limite, si possono distinguere sulla sezione quattro zone, a seconda della

distanza dalla parete, che presentano particolari caratteristiche del moto:

- sottostrato laminare: a contatto con la parete il moto è dominato dagli effetti viscosi. Il

regime si presenta sempre laminare, il gradiente di velocità è molto elevato e così

anche gli sforzi tangenziali. Il profilo di velocità si può praticamente considerare

lineare;

- buffer layer: è questa una zona ancora dominata dagli effetti viscosi, ma nella quale

iniziano a manifestarsi i primi vortici;

- strato di transizione: procedendo verso l’asse del condotto si ha lo strato di transizione

in cui avviene lo sviluppo dei vortici anche se questi non sono ancora dominanti;

- strato turbolento: nel quale le turbolenza è predominante e gli effetti viscosi risultano

trascurabili. Il profilo di velocità è molto piatto e segue una legge logaritmica.

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A differenza del regime lineare, per il quale è possibile risolvere analiticamente le equazioni

del moto e determinare dei profili di velocità esatti (che abbiamo visto essere parabolici), per

il regime turbolento, in seguito al suo carattere caotico ed imprevedibile, non è possibile

ottenere delle soluzioni esatte delle equazioni del moto, ma queste possono essere ottenute

soltanto mediante metodi approssimati e per interpolazione dei dati sperimentali.

Per i tubi cilindrici lisci (1), l’equazione che meglio approssima i dati sperimentali è la

seguente:

dove per u*, detta “velocità di attrito”, vale:

La (1.26) vale in tutta la sezione del condotto tranne che nel substrato laminare, dove invece

il profilo di velocità, che può ritenersi lineare, si può determinare tramite la:

Le curve (1.26) e (1.28) si intersecano per√

: poiché in questo punto si può

considerare che finisca il substrato laminare, (finendo l’andamento lineare della velocità) cioè

y=δ, lo spessore del substrato laminare si può calcolare come:

Anche i tubi cilindrici scabri, quando si può assumere che la scabrezza sia tale da rompere

completamente il moto laminare e si possa quindi trascurare l’esistenza del substrato

laminare, presentano un andamento logaritmico della velocità sull’intera sezione del tubo,

dato dalla seguente relazione, ottenute da Nikuradse tramite lo studio di condotti a scabrezza

determinata:

dove es è la scabrezza in sabbia introdotta da Nikuradse.

In Fig. 1.10 si riportano, per un condotto circolare di diametro D, i profili laminare e

turbolento di velocità, per la stessa velocità media sulla sezione V, ma a diverso Re: come si

può notare, rispetto al profilo parabolico della velocità in regime laminare, il profilo

turbolento risulta più appiattito, presenta cioè un valore più uniforme sull’intera sezione

tranne che in prossimità della parete, dove si ha un elevato gradiente di velocità (fino a vX=0

in prossimità della parete) e quindi elevati sforzi tangenziali.

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1.1.7 Perdite di carico

La perdita di carico Δp tra due punti di un condotto all’interno del quale scorre un fluido, è

pari alla variazione dell’energia posseduta dal fluido nei due punti del condotto e può quindi

essere espressa tramite l’equazione di Bernoulli come:

(

) (

)

Dove i termini tra parentesi sono l’energia totale del fluido nella sezione 1 e nella sezione 2.

Spesso, nella pratica, risulta conveniente esprimere la perdita di carico in termini di variazione

della colonna di fluido come:

(

) (

)

Dividendo tale valore per la distanza l tra le sezioni 1 e 2 del condotto si ottiene la variazione

di quota piezometrica per unità di percorso J, detta anche “cadente piezometrica”:

Solitamente, sia per moti laminare che per moti turbolenti, la perdita di carico viene espressa

tramite la formula di Darcy-Weisbach:

dove il parametro f, detto “fattore di attrito”, è un parametro adimensionale che dipende

(come si vedrà più avanti) dalla scabrezza relativa del tubo e dal numero di Reynolds del

fluido.

Figura 1.10 Confronto tra i profili di velocità laminare e turbolento per il moto di un fluido all’interno di un condotto circolare.

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Il fattore di attrito, in quanto termine che esprime la resistenza incontrata dal fluido nel suo

deflusso all’interno del condotto, è strettamente correlato allo sforzo tangenziale alla parete

del condotto τo.

Si dimostra (5) come la variazione di pressione lungo l’asse del condotto sia legata allo sforzo

tangenziale alla parete dalla seguente relazione:

In maniera più generale, tramite un bilancio delle forze su un anello di fluido di spessore dr

compreso tra i raggi r ed r+dr e di lunghezza dx in moto permanente alla velocità v

all’interno di un condotto di diametro d=2R, si può dimostrare (5) che a partire dall’asse del

condotto (r=0) dove lo forzo tangenziale è nullo (τ=0), lo sforzo tangenziale cresce

linearmente fino al valore massimo τo che si ha alla parete, cioè vale:

dalla quale si ottiene la (1.35) ponendo r=R per τ=τo.

Scrivendo la (1.34) per un tratto infinitesimo di condotta di lunghezza dx risulta:

dalla quale si ottiene:

La caduta di pressione piezometrica nel tratto infinitesimo dx sarà:

dalla quale si ottiene:

Sostituendo la (1.40) nella (1.37) e tenendo conto della (1.35) si ottiene:

Nel caso di regime laminare pienamente sviluppato, si è visto come il moto sia regolato

dall’equazione di Hagen-Poiseuille (1.20) dalla quale si ottiene:

La (1.34), applicata ad un tratto di lunghezza finita l, fornisce:

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Inserendo la (1.42) nella (1.43) e considerando una velocità media sulla sezione v=Q/A, si

ottiene:

L’espressione così ottenuta mostra come per un fluido in regime laminare pienamente

sviluppato, il fattore d’attrito sia inversamente proporzionale al numero di Reynolds, e come

sia indipendente dalla scabrezza delle pareti del condotto.

Per un fluido in regime turbolento sviluppato, invece, il fattore d’attrito risulta essere

funzione anche della scabrezza relativa della condotta, come evidenziato dalle esperienze di

Nikuradse su tubi resi artificialmente scabri, con un fattore di scabrezza noto. Egli ottenne la

seguente mappa:

Come si può vedere, per Re<2100 (regime laminare), il fattore d’attrito è indipendente dalla

scabrezza relativa ed è inversamente proporzionale a Re (nel diagramma logaritmico di

Nikuradse tale relazione è rappresentata da una retta). Nel campo di moto turbolento si

possono notare due regioni distinte che presentano diversi comportamenti del fattore

d’attrito:

- per basse scabrezze relative (tubi lisci) e bassi Re, i valori del fattore d’attrito si

dispongono su un’unica curva, ad indicare la trascurabile dipendenza dalla scabrezza

della tubazione. Tale regime viene detto “moto turbolento in tubo liscio”;

Figura 1.11 Mappa di Nikuradse per tubi a scabrezza uniforme (www.mp.haw-hamburg.de)

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- per valori più elevati di Re i punti relativi ad uno stesso valore di scabrezza relativa, si

dispongono invece su curve che tendono a divenire parallele all’asse delle ordinate,

segno che la dipendenza da Re risulta trascurabile in questa regione (“moto turbolento in

tubo scabro”).

Tra queste due regioni è presente un’altra regione, di transizione, nella quale il fattore di

attrito dipende sia dalla scabrezza che da Re.

Come precedentemente evidenziato, nel caso di regime turbolento, non è possibile ottenere

per via analitica una relazione tra gradiente di pressione e velocità del fluido: tutte le relazioni

di cui si dispone sono ricavate per via empirica o semiempirica.

Per il moto turbolento in tubi lisci si può usare l’equazione di Prandtl-von Kármán:

che deriva da considerazioni teoriche, ma che risulta difficile da applicare in quanto implicita.

Di più facile applicazione sono invece l’equazione di Blasius:

oppure la seguente:

Per il regime completamente turbolento si può usare una variante dell’equazione di Prandtl-

von Kármán:

√ (

)

oppure la seguente, che a differenza della precedente è esplicita:

( )

A conferma di quanto detto prima, si noti come le relazioni per i tubi lisci non presentano la

dipendenza dalla scabrezza, ma solo da Re, così come le formule per i tubi scabri, non

presentano la dipendenza da Re ma solo dalla scabrezza relativa.

Tuttavia nei tubi commerciali, a differenza dei tubi a scabrezza controllata usati da

Nikuradse, il comportamento della parete passa gradualmente da liscio a scabro attraverso

regioni di transizione nelle quali non tutte le asperità escono dal sottostrato laminare del

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profilo di velocità turbolento. In questi casi il fattore di attrito dipende sia da Re che dalla

scabrezza della parete e deve essere calcolato con l’equazione di Colebrook-White:

√ (

√ )

Si osservi come per parete liscia (e=0) e parete scabra (Re→∞) si ottengono rispettivamente

la (1.45) e la (1.48).

Una rappresentazione grafica dell’equazione di Colebrook-White (di non facile applicazione

in quanto implicita) è fornita dal cosiddetto “abaco di Moody”.

1.2 Cenni di trasmissione del calore

1.2.1 Introduzione. I tre meccanismi dello scambio termico

Il passaggio di calore tra due zone dello spazio a temperatura diversa può avvenire attraverso

tre distinti meccanismi di scambio termico, ognuno dei quali presenta particolari

caratteristiche. Se lo scambio termico avviene all’interno di corpi solidi, liquidi o gassosi

senza apprezzabile trasporto di materia, si parla di “scambio termico per conduzione”. Quando lo

scambio termico avviene tra un fluido in movimento ed un altro corpo con un trasporto di

Figura 1 Diagramma di Moody. (www.ask.com)

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materia non trascurabile, si parla di “scambio termico per convezione”. Quando, infine, lo scambio

termico avviene tramite onde elettromagnetiche, si parla di “scambio termico per radiazione”.

In molti casi pratici, tutti e tre questi meccanismi avvengono contemporaneamente,

contribuendo in propria parte al flusso termico totale. In altri casi, alcuni di questi

meccanismi, contribuendo solo in minima parte al flusso termico totale, possono essere

trascurati così da poter semplificare la trattazione. In tutti i casi discussi in questo lavoro, il

fenomeno di irraggiamento si può ritenere trascurabile, mentre rivestono grande importanza i

meccanismi di conduzione in regime stazionario attraverso superfici solide e di convezione

forzata di un fluido all’interno di un condotto. Di seguito verranno descritti principalmente

questi due casi, lasciando gli altri a testi specialistici (5) (1) (4).

1.2.2 Scambio termico per conduzione

L’equazione della conduzione, nel caso semplice di una barretta lunga Δx di area A di

materiale omogeneo ed isotropo ben isolata lungo la superficie esterna, nella quale cioè il

flusso termico q si può considerare monodimensionale e diretto lungo l’asse x coincidente

con l’asse del cilindro, alle cui estremità è mantenuta una differenza di temperatura costante

Δt= t1-t2, risulta essere:

Dalla precedente, detta “equazione di Fourier”, risulta che il flusso termico [W] è

direttamente proporzionale all’area A della sezione e alla differenza di temperatura alle

estremità, ed inversamente proporzionale allo spessore Δx tramite il coefficiente di

proporzionalità λ detto “coefficiente di conduzione termica” [W/mK], caratteristico del

materiale considerato. Il segno meno indica che la direzione del flusso è opposta a quella del

gradiente termico.

L’equazione di Fourier può essere scritta in forma differenziale come:

e, in forma vettoriale, eliminando così l’ipotesi restrittiva di monodimensionalità del flusso

termico:

dove q* [W/m2] è il flusso termico specifico o densità di flusso termico.

Vediamo ora come applicare questi risultati ad alcuni casi di interesse pratico, finalizzati

soprattutto al lavoro presentato di seguito.

Si consideri uno strato piano indefinito di spessore l di un materiale omogeneo ed isotropo.

Sulle superfici di estremità dello strato sia mantenuta una differenza costante di temperatura

t1-t2 e non vi sia generazione di calore internamente allo strato. Il flusso termico che dalla

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parete a temperatura maggiore fluisce verso quella a temperatura minore attraverso la

superficie A dello strato, risulta essere:

dove, in analogia con la legge di Ohm per la conduzione elettrica, il termine l/λA viene detto

“resistenza termica” dello strato piano. Se λ si può ritenere indipendente dalla temperatura, si ha

che il profilo di temperatura all’interno dello strato risulta essere lineare, cioè:

Se ora supponiamo che lo strato piano sia in realtà composto da due strati diversi (diverso

materiale, diversa conduttività termica λ, diverso spessore l), essendo t1 e t2 ancora le

temperature (supposte costanti) sulle superfici esterne e t’ la temperatura sulla superficie di

separazione tra gli strati, poiché il flusso q che attraversa il primo strato dovrà essere uguale

al flusso che attraversa il secondo, si può scrivere:

Per cui, considerando ora le superfici esterne, si ha:

Come si vede, la resistenza termica totale dello strato è data dalla somma delle resistenze dei

singoli strati:

Se si considera ora il caso, di grande importanza nella pratica, di scambio termico per

conduzione attraverso lo strato cilindrico ad esempio di un tubo di sezione circolare, si ha:

E quindi:

Dove t1 e t2 sono ancora le temperature sulla superficie interna e sulla superficie esterna,

mentre re ed ri sono rispettivamente raggio esterno e raggio interno del condotto.

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In questo caso il profilo di temperatura attraverso lo strato non è più lineare bensì

logaritmico:

Nel caso di strato composto, similmente a prima, si ha che la resistenza termica totale è data

dalla somma delle resistenze dei singoli strati:

1.2.3 Scambio termico per convezione forzata entro condotti

Come è già stato anticipato, si dice “convezione termica” il meccanismo di scambio termico

che si instaura tra due sistemi a temperatura diversa ed in contatto tra di loro, almeno uno dei

quali sia un fluido. Un esempio di scambio termico per convezione è quello che si ha quando

un fluido lambisce la superficie di un corpo solido. Per descrivere il fenomeno di convezione

termica, si considera lo scambio termico tra un fluido in moto forzato all’interno di una

condotta e la parete della condotta stessa, che si assume a temperatura diversa rispetto alla

temperatura del fluido.

Come è stato fatto notare durante l’analisi dello strato limite, nel deflusso di un fluido a

contatto con una parete solida, il fluido a diretto contatto con la parete presenta velocità

relativa nulla rispetto alla parete stessa: in questa zona, allora, lo scambio termico sarà

puramente conduttivo e si potrà scrivere:

(

)

Dove λ è la conduttività termica del fluido, n è il versore normale alla parete e ( t/ n)p è il

gradiente termico calcolato alla parete che risulta essere collegato alla configurazione del

campo di moto e alle grandezze fisiche del fluido che ad essa contribuiscono.

Ci si aspetta, però, che il fenomeno di scambio termico per convezione sia influenzato non

solo dalle proprietà termiche del fluido, quali la conduttività, il calore specifico e dai gradienti

termici presenti, ma anche dal campo di moto realizzato e da tutte le grandezze che

concorrono a realizzarlo, siano esse fisiche, geometriche o dinamiche.

In pratica, per descrivere i fenomeni conduttivi, si usa la “legge di Newton della conduzione

termica”:

( )

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dove α è il coefficiente di convezione, tp è la temperatura della parete e tf la temperatura del

fluido (definita ad esempio come temperatura di mescolamento adiabatico, in quanto la

temperatura non è costante su tutta la sezione).

La legge di Newton, di natura puramente empirica, non descrive i fenomeni che

intervengono durante la convezione ma permette di introdurre il coefficiente α di

convezione: questo risulta essere funzione della geometria del sistema, delle proprietà fisiche

del fluido e delle caratteristiche del campo dinamico.

Il valore di α può essere ricavato sperimentalmente oppure con metodi teorici e matematici,

che necessitano, comunque, di una verifica sperimentale.

I metodi che si possono usare per la determinazione di α sono:

- analogia tra i fenomeni di trasporto di energia, di materia e di quantità di moto;

- analisi dimensionale;

- la risoluzione esatta delle equazioni differenziali che descrivono il moto con

convezione;

- la risoluzione approssimata (mediante metodi numerici) delle suddette equazioni del

moto.

Di seguito si descrive il metodo dimensionale per la determinazione del coefficiente di

scambio termico α, così come presentata in (5).

Per poter applicare l’analisi dimensionale è necessario stabilire quali siano i parametri che

intervengono nel fenomeno di convezione e che quindi influiscono su α.

Numerosi studi, sia teorici che sperimentali, hanno condotto a stabilire i seguenti parametri

come influenti sul coefficiente di convezione:

- sezione trasversale del condotto, espressa dal diametro (nel caso di condotto a

sezione circolare) o dal diametro equivalente idraulico deq (nel caso di condotto a

sezione non circolare);

- condizioni fluidodinamiche medie sulla sezione, espresse dalla velocità media v;

le proprietà fisiche del fluido che influenzano il campo di moto, come ρ e µ, e quelle che

influenzano il trasporto di calore, come λ e cp.

In conclusione risulta:

( )

Il teorema di Buckingham assicura che le 7 variabili indipendenti descritte nella precedente

equazione possono essere ridotte a 3 parametri adimensionali, che nel caso in esame sono i

seguenti:

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-

detto “numero di Nusselt”;

-

detto “numero di Reynolds”;

-

detto “numero di Prandtl”.

In virtù di queste considerazioni, l’equazione (1.64) può essere riscritta come:

che, tramite l’interpolazione dei dati sperimentali, assume la seguente espressione:

Dove C, m ed n si ottengono ancora tramite l’interpolazione dei dati. Vediamo ora alcuni casi

pratici.

Bisogna innanzitutto distinguere tra moti interni, confinati cioè all’interno di pareti solide, e

moti esterni, nei quali il fluido, che occupa uno spazio che si può ritenere illimitato, lambisce

una superficie solida. I due casi, infatti, sono caratterizzati da differenti caratteristiche

fluidodinamiche, differenti definizioni del numero di Reynolds e da differenti valori critici

per lo stesso:

moti interni

dove v è la velocità media sulla sezione e d il diametro interno del tubo (o il diametro

idraulico).

moti esterni

dove v∞ è la velocità indisturbata del fluido e x la distanza dall’inizio della lastra (o bordo

d’attacco).

Esistono molte relazioni che permettono di esprimere la (1.67) e che dipendono dal tipo di

moto (interno od esterno), dal tipo di regime (laminare o turbolento), dal tipo di scambio

termico (riscaldamento del fluido o raffreddamento) e dai parametri geometrici del sistema.

Regime laminare

Nel caso di regime laminare, per la regione di imbocco (abbiamo visto che regione di

imbocco e regione a moto completamente sviluppato presentano caratteristiche

fluidodinamiche molto differenti), è appropriata l’equazione di Sieder e Tate:

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(

)

(

)

valida per diametri e Δt non troppo elevati, lunghezze del condotto l≤2Li, dove Li lunghezza

del tratto di imbocco, può essere calcolata come:

L’equazione di Sieder-Tate è soggetta, però, alle seguenti limitazioni:

-

con Gz “numero di Graetz” che significa l≤2Li

(ciè l’equazione vale per la sola fase di imbocco, dove il fenomeno di convezione non

è ancora pienamente sviluppato);

-

(cioè si escludono i condotti troppo corti)

- (moto laminare)

-

L’equazione di Sieder-Tate vale sia nel caso di riscaldamento che nel caso di raffreddamento

del fluido.

Per quanto riguarda, invece, la regione a regime termico completamente sviluppato (Gz<20,

l>Li) oppure per l’intero tubo (se Gz<10, l>2Li), una analisi dettagliata permette di ricavare

dei valori per il numero di Nusselt che risultano essere:

Nu=3,656 se tp=cost

Nu=4,364 se qp=cost

Regime turbolento

Nel caso di regime turbolento completamente sviluppato in tubi con pareti lisce (nei quali è

trascurabile l’aumento di scambio termico indotto dalla rugosità) è largamente diffuso l’uso

dell’equazione di Dittus e Boelter:

Con m=0,4 nel caso di riscaldamento del fluido

m=0,3 nel casi di raffreddamento del fluido.

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Capitolo 2

Il Silicon Pixel Detector (SPD)

2.1 L’esperimento ALICE

ALICE (A Large Ion Collider Experiment) è un esperimento realizzato presso il Large

Hadron Collider (LHC) del CERN (Ginevra, Svizzera). LHC è un acceleratore di particelle la

cui linea di fascio è costituita da un anello di 27 km di circonferenza, posto tra i 50 ed i 150 m

al di sotto della superficie terrestre. Lungo questo anello sono disposti 4 esperimenti

principali: ALICE, ATLAS, CMS ed LHCb.

L’esperimento ALICE è focalizzato sullo studio delle proprietà della cromodinamica

quantistica o QCD (Quantum ChromoDynamics), il settore del Modello Standard che

descrive l’interazione forte, una delle quattro interazioni fondamentali.

L’esperimento è dedicato allo studio delle collisioni tra ioni di Pb accelerati da LHC fino a

valori dell’energia per nucleone nel centro di massa pari a √ Secondo la

QCD in tali condizioni, caratterizzate da valori estremamente elevati di densità e

temperatura, si ha la formazione del Quark-Gluon Plasma, un stato della materia nel quale i

quark non sono più confinati all’interno degli adroni, come invece avviene nella materia in

condizioni ordinarie, ma si comportano come particelle libere. Si ipotizza che tale stato fosse

quello dell’universo circa dieci microsecondi dopo il Big Bang.

L’esperimento si compone di 18 diversi rivelatori, realizzati con differenti tecnologie a

seconda del campo di utilizzo specifico. Nella parte più interna del rivelatore si trova il

sistema di tracciamento al silicio (Inner Tracking System o ITS) il cui compito è la

localizzazione del vertice primario, la ricostruzione dei vertici secondari derivanti dai

decadimenti di particelle instabili e il tracciamento e l’identificazione delle particelle a bassa

quantità di moto.

L’ITS è il primo rivelatore che circonda la beam pipe (la zona in cui avvengono le collisioni),

costituita da un cilindro di berillio di 800 µm di spessore e un diametro esterno di 59,6 mm.

L’ITS è costituito da 6 strati di rivelatori (Fig. 2.2 ) basati su tre diverse tecnologie, ognuna

applicata a due strati, dall’esterno verso l’interno: Silicon Strip Detector (SSD), Silicon Drift

Detector (SDD) e Silicon Pixel Detector (SPD).

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Figura 2.1 L’esperimento ALICE.

Figura 2.2 Sezione dell’Inner Tracking System (ITS) installato attorno alla beam pipe.

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2.2 SPD

Il Silicon Pixel Detector (SPD) costituisce l’elemento più interno dell’Inner Tracking System

(ITS). E’ un componente fondamentale per la determinazione del vertice primario e per la

misura del parametro d’impatto, definito come la minima distanza dal vertice primario della

traiettoria della particella.

Essendo il rivelatore più vicino alla beam pipe, ci si aspetta che operi con una densità di tracce

che può arrivare fino a 50 tracce/cm2 e con elevati tassi di irraggiamento ( si stimano 2,5 kGy

di dose totale assorbita in 10 anni di operazione).

La risoluzione nel calcolo dell’impulso e del parametro di impatto per particelle a basso

momento è fortemente legata agli effetti di scattering multiplo della particella nel materiale che

costituisce il rivelatore; per questo motivo la quantità di materiale attraversata dalle tracce

(material budget) deve essere minimizzata.

L’intero progetto del rivelatore è dunque ottimizzato per aumentare la risoluzione di

tracciamento mantenendo il material budget a valori accettabili.

Il rivelatore SPD è costituito da 10 settori in fibra di carbonio (CFSS) disposti con simmetria

cilindrica attorno alla linea del fascio. Ogni CFSS supporta 6 piani di rivelatori (o stave) con i

relativi condotti di raffreddamento: 2 si trovano sulla superficie interna (detta layer 1) ad una

distanza media di 39 mm dall’asse del fascio mentre 6 si trovano sulla superficie esterna (layer

2) ad una distanza media di 76 mm dall’asse del fascio. La differente disposizione degli stave

tra layer 1 e layer 2 (Fig. 2.3)è studiata in modo da ottimizzare l’angolo solido di copertura η

del rivelatore così da aumentare l’efficienza di tracciamento.

Figura 2.3 I 10 settori costituenti SPD montati a formare il rivelatore. Si noti la diversa disposizione degli stave tra layer 1 e layer 2.

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I supporti in fibra di carbonio presentano uno spessore di 0,2 mm ottenuto dalla

sovrapposizione di due strati di 0,1 mm di materiale composito. Le fibre di carbonio sono

parallele in ciascuno strato mentre risultano ortogonali tra i due strati. La superficie esterna

del CFSS è rivestita da uno strato di 10 µm di parilene (un polimero) per assicurare

l’isolamento elettrico della struttura.

2.3 L’half stave

Ciascuno stave è costituito da due half stave di 143 mm di lunghezza, separati da un gap di 500

µm. Ogni half stave è a sua volta costituito da due ladder, 10 ASIC chip e da un chip pilota

incollati su di un Pixel bus. Il ladder è un ibrido p-on-n di silicio e costituisce l’elemento

sensibile del rivelatore: è diviso in cinque parti, ciascuna contenente 32x256 celle (o pixel) di

dimensione pari a 50x425 micron. Il pixel è l’unità fondamentale di rivelazione ed è costituita

da una giunzione p+n (un diodo) alimentata inversamente. Il chip pilota, detto MCM (“Multi

Chip Module”) è situato ad un’estremità dell’half stave e serve a garantire l’accoppiamento

elettronico tra il sensore ed il sistema di acquisizione dati.

Su ognuna delle cinque unità che costituiscono il ladder è applicato un chip di lettura (detto

Pixel chip) tramite una tecnica detta bump-bonding (Fig. 2.5): ogni singolo pixel del sensore è

collegato ad un pixel del chip . Il chip di lettura, realizzato da IBM con tecnologia CMOS, è

progettato con disegno resistente alle radiazioni.

Figura 2.4 Il CFSS di un settore di SPD

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Il collegamento tra i chip di lettura e il chip pilota (MCM) è realizzato tramite un flat cable (detto

Pixel bus) costituito da cinque strati di alluminio separati da strati di Kapton (un

poliammide): uno strato è riservato alle connessioni di terra, uno alla tensione di

alimentazione dei moduli mentre i restanti tre sono riservati alla trasmissione dei dati. I ladder

sono poi collegati al Pixel bus a all’ MCM tramite wire-bonding (Fig. 2.5)

La struttura di un half stave è quindi composta da i seguenti strati (Fig. 2.6):

- Pixel bus per il trasporto dei dati e delle tensioni necessarie al funzionamento del

sensore;

- il sensore di silicio (ladder) di 200 µm di spessore;

- il bump-bonding che realizza il collegamento elettronico e meccanico tra il ladder e il chip

di lettura;

- chip di lettura (Pixel chip), dello spessore di 150 µm, che permette la lettura dei dati

forniti dal ladder e la loro conversione analogico/digitale;

- grounding-foil, costituito da uno strato di 25 µm di alluminio e uno strato di 50 µm di

Kapton, il cui scopo è quello di isolare elettricamente il rivelatore dal CFSS e di

fornire una massa elettrica comune all’half stave. Il grounding-foil presenta dei fori in

prossimità dei chip di lettura, detti pads, nei quali viene depositato la grease che realizza

il contatto termico tra chip e sistema di raffreddamento;

- grease termica per l’accoppiamento termico tra chip e sistema di raffreddamento

- tubo evaporativo del sistema di raffreddamento.

Figura 2.5 Pallina di Sn-Pb del diametro di 50 µm utilizzata per il bump-bonding (sinistra) e collegamenti tramite wire-bonding (destra).

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Nel CFSS, due half stave vengono incollati testa a testa nella direzione z (con un gap di 500

µm) a formare uno stave, con gli MCM alle due estremità. Nel CFSS trovano posto 6 stave,

due nel layer 1 e 4 nel layer 2. Dieci settori vengono quindi assemblati insieme attorno alla

beam pipe a formare il rivelatore. In totale SPD è costituito da 60 stave (120 half stave)che

comprendono 240 ladder e 9,8x106 celle.

Figura 2.7 Il rivelatore SPD installato attorno alla beam pipe.

Figura 2.6 Sezione di un half stave

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2.4 Il sistema di raffreddamento di SPD

All’interno dei Pixel chip di SPD si ha generazione di calore per dissipazione (effetto Joule).

Se non asportato, tale calore pari a 25 W/stave, causerebbe un aumento di temperatura degli

half-stave di 1 °C/s, distruggendoli in meno di un minuto.

Risulta perciò indispensabile al corretto funzionamento del rivelatore, un efficiente sistema di

raffreddamento in grado di asportare tutto il calore generato.

Il progetto del sistema di raffreddamento di SPD è stato guidato dai seguenti requisiti:

- rimuovere una potenza nominale, dovuta ai 60 stave, di 1500 W, mantenendo la

temperatura dello stave costante e compresa nell’intervallo 25-30°C;

- avere un profilo di temperatura lungo lo stave il più uniforme possibile (indispensabile

per evitare dilatazioni in alcune parti dello stave che comprometterebbero la stabilità

meccanica dello stesso);

- lavorare a pressioni ragionevoli (il più possibile vicine alla pressione atmosferica) al

fine di ridurre il material budget;

- essere il più possibile esente da perdite del fluido refrigerante;

- essere regolabile in tempo reale, permettendo la variazione della temperatura di

evaporazione.

Tutte queste considerazioni hanno condotto alla scelta di un sistema di raffreddamento

evaporativo, nel quale l’assorbimento di calore è dovuto all’evaporazione di un fluido

refrigerante. Un sistema di raffreddamento evaporativo, pur essendo più complesso da

gestire rispetto ad un sistema monofase, fornisce i seguenti vantaggi:

- ottimizza lo scambio termico, in quanto durante l’evaporazione il coefficiente di

scambio termico è molto maggiore che nel deflusso della singola fase (A.2.6);

- annulla il gradiente di temperatura lungo lo stave, in quanto l’evaporazione avviene a

temperatura costante (supponendo di trascurare le variazioni di temperatura legate

alla variazione della pressione di evaporazione per le perdite di carico per attrito

lungo il tubo evaporatore);

- riduce la massa di fluido circolante, in quanto il calore latente di evaporazione risulta

maggiore di quello sensibile e ciò permette di ridurre la quantità di fluido refrigerante

circolante a parità di potenza rimossa;

- riduce la dimensione dei tubi, in quanto una minor portata consente di avere una

sezione minore dei tubi a parità di numero di Reynolds e di velocità di deflusso;

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- permette di avere canali paralleli a differenti temperature, semplicemente evaporando

a diverse pressioni (tramite l’utilizzo di regolatori di pressione). Ciò può avvenire per

ogni settore nel nostro sistema, mentre i 6 stave del settore condividono la stessa

pressione di evaporazione. Questo sarebbe invece impossibile in un sistema di

raffreddamento con un fluido monofase alimentato da un singolo collettore.

Per quanto riguarda il fluido frigorigeno, la scelta è stata guidata dalle seguenti esigenze (2):

- avere una curva pressione-temperatura in condizioni di saturazione favorevole, cioè

che non presenti pressioni di condensazione troppo elevate e pressioni di

evaporazione troppo basse, relativamente alle temperature richieste dal tipo di

applicazione;

- avere un elevato calore latente di vaporizzazione alla temperatura di evaporazione di

lavoro ed un basso volume specifico del vapore saturo secco, in modo da avere una

bassa portata volumetrica a parità di calore asportato;

- essere inerte nei confronti dei materiali dell’impianto con cui potrebbe venire a

contatto in caso di rottura o malfunzionamento ed essere inerte alle radiazioni.

Numerosi studi di fattibilità sui fluidi refrigeranti esistenti, hanno ristretto la scelta ai

perfluorocarburi (CxFy), in quanto la maggior parte dei fluidi frigorigeni alternativi o sono

basati su idrocarburi (proibiti dai regolamenti antincendio nella caverna di ALICE) o

contengono elementi che, soggetti a radiazioni ionizzanti, possono originare composti

corrosivi (come HF). Un’importante caratteristica dei perfluorocarburi è la loro dielettricità.

Come si è già detto, il progetto del sistema di raffreddamento è fortemente influenzato anche

dal material budget, che deve essere mantenuto al minimo possibile. Perciò si è scelto, per i

condotti evaporativi, uno spessore di 40 µm ed un raggio esterno massimo di 2 mm. Queste

imposizioni hanno le seguenti conseguenze sul progetto del sistema:

- il materiale della tubazione deve essere in grado di sopportare stress termici e

meccanici richiesti anche con uno spessore molto ridotto;

- la pressione di evaporazione del fluido alla temperatura necessaria per il

raffreddamento del settore deve essere compatibile con la resistenza meccanica dei

condotti.

- per asportare completamente il calore con superfici di scambio così ridotte, le

caratteristiche di scambio termico del sistema devono essere ottimizzate.

Il materiale in grado di sopportare gli stress meccanici, termici e chimici nelle condizioni

discusse, è risultato essere il Phynox (Elgiloy), una lega austenitica a base di cobalto (40% Co,

20% Cr, 16% Ni, 7% Mo, Fe BAL), molto resistente alla corrosione. Nonostante le buone

proprietà meccaniche del Phynox, la pressione all’interno dei condotti deve comunque essere

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mantenuta a valori modesti e la massa di fluido circolante all’interno del sistema deve essere

minimizzata, per ridurre il material budget.

Per ottimizzare la superficie di

scambio termico, il condotto presenta

la geometria riportata a lato (Fig. 2.8).

Sono stati testati diversi fluorocarburi: assumendo una potenza dissipata di 25 W per

ciascuno stave e una temperatura di evaporazione di 15°C, si sono calcolate le pressioni

risultanti all’interno del tubicino per i fluidi testati. Nelle seguenti tabelle si riportano i dati

così ottenuti.

Densità a 15°C [kg/m3]

Portata per stave Portata per settore (6 stave)

Portata totale (60 stave)

Liquido Saturo

Vapore saturo

[g/s] [L/min] [g/s] [g/s] [L/min]

in out in out in out

C5F12 1623,8 7,23 0,22 0,01 1,82 1,32 0,05 10,95 13,19 0,49 109,47

C6F14 1747,2 2,72 0,21 0,01 4,70 1,28 0,04 28,20 12,78 0,44 281,97

C4F10 1536 20,75 0,25 0,01 0,73 1,52 0,06 4,38 15,16 0,59 43,85

I primi due fluidi presentano un maggiore calore latente di vaporizzazione, quindi richiedono

una minor portata (quindi minor material budget) a parità di calore assorbito (vedi tabella).

D’altro canto, la pressione di evaporazione alla temperatura di lavoro (15°C) risulta troppo

bassa e non sufficiente a vincere le perdite di carico della linea di ritorno fino all’impianto.

Si è quindi scelto il C4F10 come fluido operativo dell’impianto. Se ne riporta il diagramma

pressione-entalpia (p-h) (Fig.2.9), con evidenziate le isoterme a 15°C (temperatura di

evaporazione) e di 18°C (temperatura di condensazione).

Fluido Pev ΔHev Note

C5F12 577 mbar 104,618 kJ/kg pev troppo bassa

C6F14 189 mbar 107,958 kJ/kg pev troppo bassa

C4F10 1,92 bar 91,008 kJ/kg

Figura 2.8 Sezione dei condotti evaporativi in Phynox di SPD.

Tabella 2.1

Tabella 2.2

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42

Figura 2.9 Diagramma p-h del C4F10 con evidenziate le isoterme a 15°C (linea rossa) e 18°C (linea blu).

I tubicini in phynox, all’interno dei

quali avviene l’evaporazione del

C4F10, sono posizionati sul

supporto in fibra di carbonio

(CFSS) che sostiene il settore e

posti in contatto termico con il

sensore tramite una colla termica

ad elevato coefficiente di

conduzione (Fig. 2.10).

2.4.1 Principio di funzionamento

Il sistema di raffreddamento sfrutta un ciclo inverso a compressione di vapore, che utilizza

perfluorobutano (C4F10) come fluido operativo. In Fig. 2.11 è riportato uno schema

semplificato dell’impianto ed il relativo ciclo nel diagramma pressione entalpia (p-h).

Il C4F10 evapora all’interno del settore (tratto D-E) a 15°C (1,9 bar), cui corrisponde un

calore latente di vaporizzazione pari a 91.038 J/kgK (Refprop). All’uscita del settore (E),

lungo il percorso di ritorno all’impianto (circa 35 m), il fluido subisce una caduta di pressione

per attrito (fino a raggiungere il valore di circa 1,8 bar) aumentando la sua temperatura per

scambio termico con l’ambiente (circa 22°C). All’ingresso del compressore, il fluido si trova

dunque in condizioni di vapore surriscaldato (punto F). Il compressore aumenta la pressione

del vapore fino a 2,1 bar, che è la pressione di condensazione a 18°C. All’interno del

condensatore il gas viene liquefatto scambiando calore con l’acqua refrigerata fornita da un

circuito esterno (G-H).

Figura 2.10 Sezione di un half stave assemblato su un CFSS.

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Figura 2.11 Schema semplifica dell’impianto del sistema di raffreddamento di SPD (sinistra) e ciclo termodinamico realizzato dall’impianto sul diagramma p-h).

Il liquido saturo all’uscita del condensatore viene quindi sottoraffreddato in uno scambiatore

di calore (H-A) per evitare l’insorgere di fenomeni di cavitazione nella pompa. La pompa

innalza la pressione del liquido (A-B) fino ad un valore tale da permettere a questo di vincere

le perdite di carico del circuito che conduce al rivelatore (circa 50 m) e di raggiungere i

capillari ancora nella condizione di liquido sottoraffreddato, ma in equilibrio termico con

l’ambiente della caverna. La velocità della pompa viene regolata mediante un circuito PID

(Proportional-Integral-Derivative) in anello chiuso che controlla la pressione in mandata della

pompa, così da poter anche controllare la portata massica di fluido refrigerante nei capillari.

La caduta di pressione che avviene all’interno dei capillari (C-D) porta il fluido in condizioni

di saturazione con un certo valore del titolo di vapore. Lungo i condotti evaporatori del

settore, il fluido evapora (D-E) assorbendo calore ed aumentando progressivamente il titolo

del vapore, fino a giungere, all’uscita del settore (punto E) in condizioni prossime a quelle di

vapore saturo secco.

2.4.2 Progetto del sistema e scelta dei componenti

Come si è visto, la potenza generata da ciascun stave è ~ 25 W, cui corrisponde una potenza

totale generata nell’intero SPD pari a 1500 W. Il sistema è stato progettato con un fattore di

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sicurezza pari a 2, assumendo quindi una dissipazione di 50 W/stave corrispondenti a 3 kW

totali.

Portata di massa e portata volumetrica

Parametro fondamentale per la scelta dei componenti e per il progetto dell’intero sistema è la

portata di massa di fluido refrigerante(e quindi la portata volumetrica, legata alla prima

dalla()). La portata richiesta è determinata dalla potenza termica che il sistema deve asportare

e dal calore latente di vaporizzazione del fluido alla temperatura di evaporazione (in questo

caso 15°C):

⁄ ⁄

Nella seguente tabella sono riassunti i valori di portata massica e volumetrica, sia nel caso di

liquido saturo che di vapore saturo secco, per un singolo stave, per 6 stave (1 settore) e per

60 stave (l’intero SPD):

Densità @ 15°C [kg/m3]

Portata per 1 stave Portata per 6 stave Portata per 60 stave

Liquido saturo

Vapore saturo

ṁ [g/s]

[L/h] ṁ [g/s]

[L/h] ṁ [g/s]

[L/h]

In (liq) Out (vap)

In (liq) Out (vap)

In (liq) Out (vap)

1533,6 20,855 0,6 1,41 104,1 3,6 8,46 624,6 36 84,6 6246

Tabella 2.3

I capillari

I capillari sono il componente che introduce la caduta di pressione che porta il fluido dall’alta

pressione presente nel condensatore (2,1 bar a 18°C) alla bassa pressione di evaporazione

(1,92 bar a 15°C). La scelta del capillari rispetto ad altri elementi di espansione (quali ad

esempio valvole termostatiche) è dovuta non solo all’estrema semplicità ed affidabilità dei

primi, ma soprattutto all’ambiente di lavoro molto particolare in cui l’elemento deve operare,

in questo caso caratterizzato da elevati campi magnetici e intense radiazioni ionizzanti.

La perdita di carico subita dal fluido nei capillari può essere calcolata tramite l’eq. di Darcy-

Weisbach:

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in cui il fattore di attrito f viene, invece, calcolato tramite l’equazione di Blasius ( valida per

tubi lisci e Re≤104):

Con

- ρ=1533,6 kg/m3 (densità del C4F10 liquido a 15°C)

- D=0,5 mm (diametro del capillare scelto per l’impianto).

La lunghezza l del capillare viene scelta a seconda della caduta di pressione che si vuole

ottenere: bisogna evitare assolutamente che il fluido evapori prima dei capillari, cosa che

porterebbe ad una notevole ostruzione del flusso. Perciò, la pressione pC del fluido prima

dell’ingresso nei capillari, deve essere superiore alla pressione di saturazione del fluido alla

temperatura tC≈22°C raggiunta dal fluido stesso per scambio termico con l’ambiente durante

il percorso di mandata:

pc>psat (@ tC=22°C)=2,43 bar

Quindi la differenza di pressione minima a disposizione per far fluire il C4F10 all’interno del

capillare è:

psat (@ tC=22°C)-pev (@ tev=15°C)=2,43-1,92 bar=510 mbar

Dalla seguente figura, che riporta la caduta di pressione (calcolata con la (2.1)) in un capillare

del diametro di 0,5 mm in funzione del flusso per diversi valori di lunghezza l del capillare, si

può vedere come la lunghezza minima del capillare sia 220 mm, in corrispondenza della quale

si ha una caduta di 510 mbar con una portata pari a quella di progetto.

Figura 2.12 Curve Δp-flusso per diverse

lunghezze in capillari con di=0,5 mm

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Per ottenere un maggior campo di funzionamento, si è infine scelto un capillare della

lunghezza di 550 mm.

Condotti di mandata e di ritorno

Considerazioni simili a quelle effettuate per il dimensionamento dei capillari, permettono di

calcolare il diametro ottimale delle linee di mandata e di ritorno, essendo la lunghezza delle

linee fissata e pari alla distanza tra impianto e ingresso del rivelatore, per la linea di mandata,

e tra uscita del rivelatore e impianto per la linea di ritorno. Le seguenti figure (2.14-2.15)

riportano quindi le perdite di carico lungo le linee della lunghezza data, per diversi valori del

diametro interno del condotto, assumendo liquido saturo nelle linee di mandata e vapore

saturo secco in quelle di ritorno.

Con lo stesso procedimento viene calcolato

il diametro interno dei 6 tubi (detti “exhaust

tube”) che dall’uscita del settore conducono

al collettore della linea di ritorno, dei quali si

riporta una immagine.

Figura 2.13 Condotti di uscita del settore

(exhaust tube) e relativo collettore.

Figura 2.14 Curve Δp-flusso per diversi valori di diametro interno relative alle linee di mandata (sinistra) e a quelle di ritorno (destra9 del sistema di raffreddamento.

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Il diametro ottimale deve minimizzare le perdite per attrito (inversamente proporzionali al

diametro interno del condotto) pur mantenendo una velocità sufficiente del fluido, con la

portata necessaria (diametro, portata e velocità sono legate dalla relazione Q=vA=vπD2/4).

Sono stati quindi scelti i seguenti diametri interni dei tubi:

- 4 mm per la linea di mandata

- 10 mm per la linea di ritorno

- 1,5 mm per gli exaust tube

Con questi valori è ora possibile calcolare le perdite di carico per attrito.

Nella linea di mandata si può supporre sia presente solo liquido ad una temperatura prossima

a quella ambiente (22°C). Per ogni linea si ha una portata di massa ṁ=3,6 g/s ed una portata

volumetrica di liquido =ṁ/ρ=8,46 L/h.

La perdita di carico risulta essere:

con:

- ΔHf perdita di carico in termini di variazione di colonna di fluido;

- f fattore di attrito;

- L e D lunghezza e diametro della linea di mandata;

- v velocità media sulla sezione.

La velocità media sulla sezione viene calcolata a partire dalla portata volumetrica come:

Figura 2.15 Curve Δp-flusso per

diversi valori del diametro interno

relative agli exhaust tube del

settore.

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*

+

Si può allora calcolare il numero di Reynolds del flusso come:

[ ] *

+

Il fattore d’attrito f, calcolato tramite la formula di Blasius, risulta:

La perdita di carico nella linea di mandata di lunghezza l=50 m e diametro interno D=4 mm,

in termini di variazione di colonna di fluido risulta essere:

Perciò la caduta di pressione alle estremità della linea sarà:

[

] *

+

In modo analogo si possono calcolare le perdite di carico nelle altre zone del circuito, di cui

si riportano i risultati:

linea di mandata (liquido) Δp=125 mbar

linea di ritorno (gas) Δp=45 mbar

exhaust tubes (gas) Δp=50 mbar

La caduta di pressione nei patch panel (connessioni che collegano due sezioni di tubo) non è

nota ma può essere stimata, nel caso peggiore, come pari all’intera caduta lungo la linea di

ritorno, cioè 45 mbar.

La caduta di pressione all’interno dei tubi evaporativi del settore è di difficile valutazione in

quanto, essendo presente una miscela bifase, le perdite dipendono dal tipo di regime di

deflusso che si instaura (A.2.5). Anche quest’ultimo è di difficile valutazione data la forma

molto particolare del condotto per la quale non esistono precedenti studi in letteratura. In

prima approssimazione è possibile ottenere il valore della perdita di carico come media tra i

due casi estremi di fluido in condizioni di liquido saturo e fluido in condizioni di vapore

saturo secco alla pressione di evaporazione corrispondente ad una temperatura di

evaporazione di 15°C.

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Nella seguente tabella si riportano i risultati per due diversi flussi, uno di progetto (0,6 g/s

per stave) e uno nominale (0,3 g/s) per stave.

Flusso per stave [g/s]

Re (100% liq)

Re (100% gas)

Δp (100% liq) [mbar]

Δp (100% gas) [mbar]

Δp medio [mbar]

Variazione di tev lungo lo stave [K]

0,6 1536 36805 6 214 110 1,6

0,3 767 18400 2,7 62 32 0,5

Tabella 2.4

Si noti come all’aumentare della portata di fluido refrigerante, aumenti la variazione di tev

lungo il settore in seguito alla variazione di pev per le perdite per attrito lungo il deflusso.

Poiché la temperatura lungo il sensore deve essere il più uniforme possibile, grande cura deve

essere posta nel controllo della portata del fluido in fase di esercizio.

Compressore

Considerando un diametro di 4 mm per la linea di mandata, 1,5 mm per il tubo di scarico e

10 mm per la linea di ritorno, e una portata di massa di 0,6 g/s per ogni stave, la caduta di

pressione incontrata dal vapore nella linea di ritorno durante il percorso per raggiungere

l’impianto di raffreddamento è:

cioè:

Ciò significa che , se la pressione di evaporazione è di 1,92 bar (tev=15°C), la pressione

all’ingresso del compressore è di 1,8 bar, mentre la pressione di mandata sarà pari alla

pressione di condensazione del fluido a 18°C e cioè 2,1 bar.

Come si è visto, il flusso massico di fluido refrigerante richiesto da ogni stave per asportare

completamente il calore generato, risulta essere di 0,6 g/s e quindi 36 g/s per i 60 stave che

compongono l’intero SPD.

All’ingresso del compressore (punto F), il fluido si trova in condizioni di vapore surriscaldato

alla temperatura di 22°C (pari a quella ambiente) e alla pressione di 1,8 bar, cui corrisponde

una densità del fluido pari a ρ=18,815 kg/m3. La portata volumetrica risulta in queste

condizioni pari a:

*

+

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Con questi valori è stato possibile scegliere il compressore che, visto il tipo di applicazione, è

un compressore a membrana: il vantaggio di questa soluzione è l’assoluta impermeabilità

ottenuta con l’eliminazione dello scorrimento tra le parti. E’ necessario infatti evitare ogni

contaminazione del fluido refrigerante , anche da parte di aria, che porterebbe ad una

modifica delle proprietà termodinamiche del fluido. Anche l’assenza di olio lubrificante,

caratteristica di tali macchine, è indispensabile a tale scopo.

Pompa

Per poter scegliere la pompa è necessario conoscere la pressione in ingresso, la pressione di

mandata, e la portata che questa dovrà elaborare.

La pompa deve garantire l’intera portata del sistema di raffreddamento, cioè, in condizioni di

progetto, 36 g/s di C4F10, che, a 18°C, corrisponde ad una portata volumetrica pari a

*

+

La pressione minima che la pompa deve generare alla mandata deve permettere al fluido di

raggiungere i capillari ancora in condizioni di liquido sottoraffreddato, tenendo conto di tutte

le perdite che si hanno lungo la linea di mandata che si suddividono in perdite distribuite per

attrito (125 mbar) e perdite legate alla variazione di quota piezometrica (750 mbar) per

raggiungere il rivelatore.

Per la pressione di mandata della pompa risulta dunque:

cioè:

La pressione minima di ingresso nella pompa è invece pari a 1,7 bar, che corrisponde ad una

temperatura di condensazione pari a 12 °C.

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La pompa, scelta sulla base del precedente diagramma (Fig. 2.16) è il modello 214 AP.

Condensatore e scambiatori di calore

Per il dimensionamento e la scelta del condensatore che provvede alla liquefazione del gas

proveniente dalla linea di ritorno e dello scambiatore di calore che provvede al suo

sottoraffreddamento, è necessario conoscere la potenza termica che questi devono estrarre

dal fluido.

Per il condensatore, ipotizzando una temperatura di condensazione di 18°C (cui corrisponde

pcond=2,1286 bar) e una temperatura all’uscita del compressore (punto G) di 24°C, si ha:

( [

] [

]) [

]

Per lo scambiatore di calore, ipotizzando una temperatura di sottoraffreddamento di 12°C e

trascurando le perdite di carico all’interno dei circuiti, si ha:

( [

] [

]) [

]

Come si è visto, oltre allo scambiatore per il sottoraffreddamento del liquido installato

all’uscita del condensatore, sono poi stati installati 10 scambiatori (uno per ogni linea) che

sottoraffreddano il liquido in prossimità del rivelatore. Supponendo che il liquido venga

raffreddato da 19°C a 9°C con una portata pari a quella nominale (3,6 g/s per linea), si ha:

( [

] [

]) [

]

2.4.3 Descrizione dettagliata dell’impianto

La seguente descrizione dettagliata dell’impianto presenta valori diversi da quelli presentati

nella descrizione semplificata (valori nominali), in quanto questi sono i valori reali di

Figura 2.16 Diagramma portata-prevalenza per pompe a palette.

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funzionamento dell’impianto misurati nei vari punti di misura (o da questi derivati) in una

generica sessione di presa dati.

Il C4F10 evapora all’interno del settore (punto F) a tev=13°C (pev=1,79 bar). La linea di

ritorno, che dal rivelatore conduce all’impianto di raffreddamento, è costituita da 10 tubi di

acciaio inossidabile 316L di diametro esterno/interno pari a 12/10 mm, per una lunghezza di

circa 35 m lungo la quale il fluido subisce una caduta di pressione per attrito (fino a

raggiungere una pressione di 1,6 bar) e si porta in condizioni di equilibrio termodinamico con

l’ambiente della caverna (22°C). A metà della linea di ritorno, i tubi sono dotati per circa 10

m di un cavo scaldante coassiale autoregolato (punto 10) costituito da una serie di resistenze

che, tramite la dissipazione totale di circa 600 W (60 W per ogni linea), permettono al fluido

di evaporare completamente, prima dell’ingresso nel compressore. La presenza di liquido non

evaporato in seno alla corrente fluida potrebbe infatti danneggiare il compressore a

membrana . Inoltre, garantendo la presenza di solo vapore sulla maggior parte della linea di

ritorno si ha un migliore controllo delle condizioni di evaporazione grazie alla minore e più

prevedibile perdita di carico del vapore rispetto a una fase mista.

C

D

E

F

G

H

Figura 2.17 Schema dettagliato dell’impianto di raffreddamento di SPD

I

L

M/N

O

A

B

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All’ingresso del compressore, il fluido si trova in condizioni di vapore surriscaldato (punto I).

Il compressore mantiene la pressione costante sulle linee di ritorno, determinando la

temperatura di evaporazione nel rivelatore.

La pressione di ritorno, uguale per tutte le linee, è misurata da un sensore che trasmette il

valore ad un ciclo PID implementato nel PLC (Programmable Logic Controller) che controlla

l’impianto. Questo varia la velocità del compressore agendo su un frequenzimetro, per

mantenere costante la pressione di evaporazione all’interno del settore. In condizioni

stazionarie di funzionamento, la portata di vapore all’ingresso del compressore è costante,

per cui la sua velocità si stabilizza su frequenze comprese tra 30 e 50 Hz.

Il fluido in uscita dal compressore (punto L) entra nel condensatore dove viene riportato allo

stato liquido, scambiando calore con il circuito di acqua refrigerata centrale del CERN (ad

una temperatura dell’acqua in ingresso tin=6,6 °C). Al fine di mantenere la pressione di

condensazione al valore desiderato, in questo caso 2,2 bar, sensori di pressione e di

temperatura monitorano i valori di condensazione e li inviano al PLC che, tramite un ciclo

PID, agisce sulla valvola di regolazione del flusso di acqua refrigerata. All’uscita del

condensatore, il liquido saturo viene sottoraffreddato in uno scambiatore a piastre, ancora

alimentato dall’acqua di raffreddamento del CERN, allo scopo di evitare la cavitazione

all’ingresso della pompa e più in generale, l’evaporazione del liquido lungo la linea di mandata

prima dell’ingresso nei capillari. Un secondo sottoraffreddamento (punto 2), ancora mediante

I

L

Figura 2.18 Ciclo termodinamico realizzato dall’impianto di raffreddamento di SPD.

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scambiatori a piastre (uno per ogni linea), viene effettuato in prossimità del rivelatore, quindi

poco prima dell’ingresso del fluido nei capillari in modo da abbassare nuovamente la

temperatura del fluido che lungo il percorso ha raggiunto l'equilibrio termico con l'ambiente

(22 C).

.Dopo il primo sottoraffreddamento del fluido, una pompa rotativa a palette (punto 5)

innalza la pressione ad un valore tale da permettere al liquido di vincere le perdite di carico

della linea di mandata che conduce al rivelatore (costituita ancora da 10 tubi di acciaio

inossidabile 316L di diametro esterno/interno pari a 6/4 mm per una lunghezza di 50 m) e di

raggiungere i capillari ancora nella condizione di liquido sottoraffreddato, ma in equilibrio

termico con l’ambiente della caverna. La potenza scambiata nel settore può essere regolata

variando la portata di fluido refrigerante attraverso i capillari. Poiché questa è imposta dalla

differenza di pressione alle estremità dei capillari stessi, la regolazione della potenza viene

effettuata variando la pressione di mandata della pompa, agendo ancora sulla frequenza di

rotazione tramite un frequenzimetro azionato dal PLC tramite la lettura del valore della

pressione di mandata misurata sulla linea. Nell’impianto sono installate due pompe, una delle

quali è ridondante, entrambe del tipo a palette rotanti in modo da ridurre la NPSH (Net

Positive Suction Head) richiesta dalla pompa e ridurre quindi la possibilità di avere

cavitazione. Il passaggio da una pompa all’altra può essere fatto da remoto in pochi minuti.

A valle delle pompe, prima del collettore di mandata da cui dipartono le singole linee che

alimentano i 10 settori, sono presenti tre filtri (punto 4): il primo viene detto “hydrofilter” ed è

specializzato nella rimozione di acqua. Il secondo, un setaccio molecolare, consente di

ottenere livelli di O2 inferiori a 5 ppm (parti per milione). E’ quindi presente un filtro a

matrice porosa di granulometria pari a 1 µm per impedire che particelle estranee possano

raggiungere i capillari ed il settore.

Dopo la zona dei filtri, è presente il collettore dal quale partono le 10 linee che alimentano i

10 settori di SPD. Delle valvole pneumatiche, installate all’inizio di ogni linea sia nel

collettore di mandata che in quello di ritorno, alimentate dal circuito di aria compressa del

CERN permettono di escludere ogni singola linea di alimentazione. A valle di queste è

presente la valvola regolatrice di pressione (che permette di regolare il flusso in ogni settore),

un flussimetro per la determinazione del flusso, un sensore di pressione ed una valvola

Schrader, tramite la quale è possibile fare il vuoto in ogni singola linea. Circa 30 metri dopo il

collettore, sono presenti nelle linee gli scambiatori di calore (punto 2) per il

sottoraffreddamento del liquido dei quali si è già parlato e, a valle di questi, i sensori di

temperatura e pressione che forniscono gli ultimi valori delle proprietà del fluido prima del

suo ingresso nel rivelatore. Tra gli scambiatori di sottoraffreddamento e i capillari del settore,

sono inoltre presenti due filtri in serie da 60 µm, posizionati entrambi all’interno del magnete,

il primo nella posizione detta PP4 (“Patch Panel” 4) e il secondo nella posizione PP3, sempre

per evitare l’ingresso di particelle estranee all’interno dei capillari. Mentre il filtro PP4 è

facilmente raggiungibile, quando è consentito l’accesso nella caverna di ALICE (durante gli

stop tecnici) e per questo viene sostituito con regolarità, il filtro PP3 non può essere

raggiunto se non tramite un lungo intervento (circa un anno) e quindi non può essere

cambiato con regolarità né visionato. Dopo i filtri, in prossimità del rivelatore, ciascuna linea

entra in un collettore dal quale dipartono i sei capillari (Fig. 2.19), ognuno dei quali alimenta

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uno stave. Dopo i capillari (al di sotto dello stave) è presente il tubicino in phynox all’interno

del quale avviene l’evaporazione del C4F10. All’uscita del settore, dei tubi del diametro di 1,5

mm (exhaust tube) collegano le sei linee con un collettore di uscita, dal quale inizia ognuna

delle 10 linee di ritorno che si riuniscono

prima dell’ingresso nel compressore, nel

collettore di ritorno. In prossimità del

collettore di ritorno sono presenti, per

ogni linea, una valvola pneumatica che

consente l’esclusione delle singole linee,

un sensore di pressione, una valvola

Schrader per il vuoto e due valvole di

sicurezza, che proteggono il settore da

eventuali sovrappressioni.

Figura 2.19 I capillari all’ingresso di un settore si SPD ed il relativo collettore.

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57

Capitolo 3

Risultati dei test

3.1 Introduzione

In questo capitolo vengono presentati i risultati dei test condotti presso i laboratori del

CERN, per cercare di comprendere meglio i fenomeni che stanno alla base dei problemi che

si osservano nel sistema di raffreddamento del rivelatore SPD installato presso la sala

sperimentale di ALICE.

Come prima cosa verrà descritto l’impianto utilizzato per i test: si tratta di un impianto di

raffreddamento a termosifone bifase, privo di componenti attivi quali pompe e compressori.

Esso utilizza come fluido refrigerante il C4F10 o perfluorobutano. La trattazione si basa sui

dati forniti dal gruppo costruttore dell’impianto (DC, “Detector Cooling” del CERN) e sui

risultati di test precedenti (J. Direito et al. “Mini-thermosyphon tests results”). Vengono poi

descritti il circuito realizzato come sezione test, rappresentativo dell’idraulica del sistema di

SPD, e i vari componenti che lo costituiscono.

Vengono quindi presentati i test effettuati ed i risultati ottenuti.

Per prima cosa sono stati caratterizzati i filtri utilizzatati successivamente, determinando le

rispettive curve caratteristiche in termini di caduta di pressione sul filtro Dp in funzione della

portata.

Sono quindi stati effettuati dei test con filtri parzialmente otturati con colla epossidica, a

diverso grado e con diverse modalità di otturazione, per valutarne l’effetto sul flusso e per

confrontarne il comportamento con quello dei settori reali in caverna.

Sempre con le stesse finalità, sono state utilizzate polveri graduate di diversa misura, inserite

nel circuito e fatte circolare assieme al fluido.

3.2 L’impianto a termosifone bifase

L’impianto motore utilizzato per i test, è un impianto di raffreddamento a termosifone

bifase, che usa come fluido refrigerante C4F10 o perfluorobutano .

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Il principio che sta alla base di detto impianto è quello di far circolare naturalmente il fluido

refrigerante, senza l’ausilio di macchine operatrici, quali pompe o compressori.

La circolazione naturale bifase è ottenuta facendo condensare il fluido refrigerante a valori di

pressione e temperatura inferiori a quelli di evaporazione e ad una altezza superiore rispetto a

quella a cui avviene l’evaporazione. Questo permette di avere, nella linea di mandata,

all’uscita del condensatore, un incremento di pressione dato dall’altezza piezometrica ΔH,

pari alla differenza tra l’altezza a cui si trova il condensatore rispetto a quella a cui si trova

l’evaporatore. Tale incremento di pressione si può calcolare come:

dove:

Δp= p2- p1 , con p2 pressione a valle della

condotta di mandata, all’ingresso

dell’evaporatore e p1 pressione all’uscita

dell’evaporatore;

ρ è la densità del liquido nelle condizioni di

saturazione;

g è la costante di gravitazione universale;

ΔH è l’altezza a cui è posizionato il

condensatore rispetto a quella a cui è

posizionato l’evaporatore.

Inserendo nell’equazione i valori appropriati, cioè:

ρ=1558 kg/m3 (densità del fluido alla pressione di condensazione di 1,5 bar)

g=9,81 N/kg (costante di gravitazione universale)

ΔH=17,4 m (altezza disponibile nell’impianto).

si ottiene:

ΔH

P1

P2 Detector/Evap

orator

P3

P2

> P3

> P1

Tcond

Tliq

Figura 3.1 Schema dell’impianto a termosifone bifase utilizzato per i test

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Nella linea di ritorno, dopo l’evaporazione, la forza motrice che spinge il gas all’interno del

condensatore è la differenza tra la pressione di evaporazione e quella di condensazione p3-p1.

Il fluido, infatti, evapora, ad una temperatura superiore a quella di condensazione, cosa che

consente di avere una minima differenza di pressione tra l’evaporatore e il condensatore. Tale

differenza porta il gas in uscita dall’evaporatore lungo la condotta di ritorno fino al

condensatore.

Data una pressione di evaporazione pev=1,8 bar (che corrisponde a Tev=13°C) e una

pressione di condensazione pcond=1,5 bar (che corrisponde a Tcond=8°C), si ottiene:

3.2.1 Descrizione dell’impianto

Il condensatore, posto ad un’altezza ΔH=17,4 m rispetto al livello dell’evaporatore, liquefa il

C4F10 gassoso proveniente dalla linea di ritorno ad una temperatura che si può ritenere pari a

quella ambiente (18-22°C), in seguito allo scambio termico con l’esterno lungo il percorso di

ritorno. I valori di temperatura e pressione di condensazione possono essere impostati

dall’utente variando il valore della temperatura del fluido refrigerante fornito dal chiller. Il

chiller, raffreddato ad acqua, raffredda un bagno di C6F14, che viene poi pompato all’interno

del condensatore, a diverse temperature di lavoro. All’interno del condensatore, lo scambio

termico è assicurato da un tubo a serpentina al cui interno scorre il C6F14 e la cui superficie

utile di scambio termico è 3,4 m2.

Nelle nostre condizioni di lavoro, caratterizzate da una pressione di condensazione pcond=1,5

bar che corrisponde ad una temperatura Tcond=8°C, la potenza termica fornita per la

condensazione del fluido refrigerante, è pari alla differenza tra l’entalpia del vapore e quella

del liquido alle condizioni di condensazione:

[

]

Il liquido condensato, deve trovarsi ad una temperatura minore (di circa 5°C) rispetto al

vapore all’interno del condensatore, per evitare ebollizione del liquido, che potrebbe bloccare

la circolazione naturale del fluido (in altre parole il liquido deve essere sottoraffreddato).

All’uscita del condensatore il liquido scende lungo il condotto di mandata per gravità

aumentando la sua pressione lungo la discesa per la presenza della colonna di liquido

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sovrastante. Lungo la mandata aumenta anche la temperatura del fluido in seguito al flusso

termico dall’ambiente circostante, attraverso le pareti della conduttura (sebbene questa sia

isolata). L’aumento della temperatura dipende dalla portata di fluido refrigerante e dallo

spessore dello strato isolante. Il liquido attraversa prima una valvola di espansione, in cui

diminuisce la sua pressione e subisce una ulteriore perdita di carico all’interno dei capillari,

all’uscita dei quali si trova nella condizione di vapore saturo alla pressione di evaporazione

desiderata, condizione nella quale l’evaporazione può avvenire a temperatura costante. Si

deve però evitare in ogni modo l’evaporazione del liquido prima del suo ingresso nei capillari,

condizione questa che comporterebbe perdite di carico elevate e ostruzione del flusso. La

valvola di espansione permette di effettuare la regolazione della portata del fluido refrigerante

all’interno dell’impianto ma ,nel nostro caso, resterà fissa, poiché la regolazione della portata

verrà effettuata con una apposita valvola di regolazione graduata ad alta precisione

posizionata nella sezione di test (Par 3.3).

Il fluido entra quindi nel settore dove evapora aumentando progressivamente il suo titolo.

All’uscita dell’evaporatore il vapore, dopo essere stato surriscaldato all’interno di un carico

termico che vaporizza la parte di liquido eventualmente rimasta, raggiunge il condensatore

lungo la condotta di ritorno, spinto dalla differenza di pressione tra la pressione di

evaporazione e quella di condensazione (che si è visto essere di circa 0,3 bar).

Il dummy load è costituito da un bagno di glycole riscaldato da due dissipatori (da 3kW

ciascuno) e da uno scambiatore di calore a piastre che presenta da una parte il C4F10 (lato

evaporativo) e dall’altra il glycole che viene fatto circolare tramite una pompa.

Analizziamo, ora, il ciclo sul diagramma pressione-entalpia (p-h) relativo al C4F10:

Figura 3.2 Rappresentazione sul diagramma p-h del ciclo inverso realizzato dall’impianto a termosifone

A B

C

D E

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La linea che congiunge i punti A e B, rappresenta la condensazione del fluido (pcond=1,5 bar;

Tcond=8°C) ed il successivo sottoraffreddamento ( di 5°C) all’interno del condensatore.

Tra i punti B e C si realizza l’incremento di pressione dovuto alla colonna di liquido nel

condotto di mandata. Nel nostro caso, essendo l’altezza disponibile pari a 17,4 m, la

differenza di pressione sviluppata tra mandata e ritorno è di 2,6 bar, ma varia con le

condizioni operative (variando la densità del fluido con la temperatura). Si noti, sempre nel

diagramma p-h, il riscaldamento del fluido tra B e C lungo la condotta di mandata, dovuto

allo scambio termico con l’ambiente.

La linea che congiunge i punti C e D rappresenta la caduta di pressione sulla valvola di

espansione.

Tra D ed E il fluido prima evapora all’interno del settore, poi viene surriscaldato all’interno

del dummy load, per assicurare che nella condotta di ritorno vi sia solo gas (del liquido

rimanente potrebbe infatti arrestare il flusso all’interno dell’impianto).

Infine, tra E ed A il fluido passa dall’evaporatore al condensatore, risalendo la condotta di

ritorno spinto dalla differenza di pressione Δp’’.

3.2.2 Condizioni per la stabilità dell’impianto

Affinché un impianto di questo tipo possa essere avviato e possa raggiungere poi un

funzionamento stabile, è necessario che le seguenti condizioni siano soddisfatte:

- la pressione di saturazione del fluido, nel condensatore, deve essere superiore alla

pressione del liquido per evitare evaporazione del liquido all’interno del condensatore

(condizione questa che potrebbe influire sulla stabilità del flusso). In altre parole, il

liquido nel condensatore deve essere sottoraffreddato (nel nostro caso di circa 5°C).

- per evitare l’ebollizione del C4F10 lungo la condotta di mandata che scende dal

condensatore verso l’evaporatore, è necessario che in ogni punto di tale condotta, il

liquido sia sottoraffreddato (T<Tev). Il verificarsi di questa condizione è

particolarmente importante quando la temperatura di condensazione o di

evaporazione è minore di quella ambiente, come in questo caso.

- affinché soltanto vapore sia presente nella condotta di ritorno verso il condensatore,

è necessario che in ogni punto di questa la temperatura del vapore sia maggiore della

temperatura di condensazione. Il dummy load provvede appunto a surriscaldare il

fluido per evitare condensazione nella condotta di ritorno.

Esistono alcuni parametri di funzionamento che è sempre necessario controllare per

garantire un funzionamento stabile dell’impianto, e questi sono:

- Δt nel condensatore fra la temperatura di saturazione e la temperatura del liquido

deve essere sempre di qualche grado affinché non si abbia ebollizione del liquido nel

condensatore;

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- Δp’ deve sempre essere pari alla prevalenza dovuta all’altezza idrostatica altrimenti il

liquido può iniziare ad evaporare condizionando il flusso fino a fermarlo;

- Δt tra il vapore all’uscita dell’evaporatore e la temperatura di saturazione deve essere

di qualche grado per evitare la condensazione del vapore nella linea di ritorno,

condizione che, anche in questo caso, porterebbe all’arresto del flusso.

Questi 3 parametri sono costantemente monitorati tramite una serie di sensori, di pressione,

di temperatura e di flusso che, collegati ad un PLC ,forniscono i dati ad una interfaccia

grafica. Nella seguente figura è possibile vedere la posizione dei sensori (Par. 3.3) all’interno

dell’impianto.

I parametri che l’utente può controllare sono:

- la temperatura (e quindi la pressione) di condensazione, variando la temperatura di

alimento del fluido del chiller;

- il flusso massivo di refrigerante, agendo sulla valvola di regolazione del flusso;

- la temperatura del bagno di glycole nel carico termico e quindi la temperatura di

surriscaldamento del vapore, variando la potenza dei riscaldatori;

- la potenza asportata dall’evaporatore, variando la potenza applicata al settore tramite

l’alimentatore.

Figura 3.3 Posizionamento dei sensori lungo l’impianto.

Legenda:

TT sensore di pressione

PT sensore di pressione

FT misuratore di flusso

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3.2.3 Avvio e ramp-down dell’impianto

Prima di avviare il flusso, agendo sulla valvola di espansione, è necessario controllare che i

seguenti requisiti siano soddisfatti:

- tutti i parametri di funzionamento (Par. 3.2.2) devono avere i valori richiesti;

- il carico termico deve essere acceso per assicurare che solo vapore sia presente nella

linea di ritorno;

- all’interno del condensatore deve essere presente il giusto Δt tra Tcond e Tliq (Fig. 3.1)

per evitare evaporazione del liquido.

Soddisfatte che siano queste condizioni, è possibile aprire la valvola di espansione avviando il

flusso di C4F10 all’interno del circuito.

Una volta che l’impianto sia stato fatto partire, alla temperatura ambiente, è possibile portarlo

alla temperatura di evaporazione desiderata (Fig 3.4) abbassando gradualmente la

temperatura del fluido fornito dal chiller e aspettando che il sistema diventi stabile.

Durante questa operazione, un parametro fondamentale è la velocità di variazione della

temperatura del chiller: se questa avviene troppo lentamente, il tempo per portare l’impianto

Start-up

Running Cold

Liquid

2-Phase

Gas

Ramp Down

Figura 3.4 Rappresentazione nel diagramma p-h del ramp-down dell’impianto dalle condizioni ambiente alle condizioni desiderate.

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alle condizioni desiderate risulta essere troppo lungo. Se, invece, si varia temperatura troppo

velocemente, si può avere un blocco del flusso per l’incipiente evaporazione del liquido nella

condotta di mandata. La ragione di questo comportamento, risiede nel più elevato

coefficiente di scambio termico presentato dal vapore in condensazione rispetto al liquido,

all’interno del condensatore. In seguito ad una diminuzione della temperatura del fluido

fornito dal chiller, la variazione di temperatura del vapore risulta quindi più veloce di quella

del liquido e, se la temperatura del vapore si avvicina alla temperatura del liquido,

quest’ultimo potrebbe iniziare ad evaporare, con le conseguenze negative sul flusso che sono

già state descritte.

Numerosi test condotti dal gruppo DC del CERN (6), hanno dimostrato che, una volta

raggiunte le condizioni per l’avvio dell’impianto, se tutti i parametri di funzionamento

vengono mantenuti alle condizioni nominali, l’impianto presenta un comportamento molto

stabile, e può quindi essere condotto per lunghi periodi senza problemi.

La Fig. 3.5 mostra un esempio di funzionamento di lungo periodo dell’impianto (35 h). Si

può notare come il comportamento dell’impianto risulti molto stabile. Le oscillazioni di

temperatura che si possono notare sono dovute sia alle oscillazioni della temperatura di uscita

dal chiller, sia alle variazioni della temperatura dell’ambiente in cui l’impianto è installato.

Queste ultime possono però essere ridotte o annullate cercando, se possibile, di installare

l’impianto in un ambiente a temperatura controllata.

Altri test sono stati condotti per studiare il comportamento del sistema al variare del flusso.

Nel test di cui si vedono i risultati nella Fig. 3.6 , il flusso, inizialmente a 30 g/s, è stato poi

portato a 20 g/s e infine a 15 g/s.

Figura 3.5 Test di funzionamento per lungo periodo (35 h) dell’impianto a termosifone.

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Come si può vedere, al diminuire della portata massica, decresce anche la temperatura di

saturazione. Questo perchè, al diminuire della portata di refrigerante, diminuisce la potenza

richiesta al condensatore e questo aumenta la sua efficienza. Si può inoltre notare come esista

una portata minima per avviare l’impianto (15 g/s per l’impianto in esame), dovuto al fatto

che per portate minori, la temperatura di saturazione, diminuendo per l’effetto appena

menzionato, può risultare troppo vicina alla temperatura del liquido, con conseguente

ebollizione del liquido nella condotta di mandata.

3.3 La sezione di test

Per la conduzione dei test con l’impianto a termosifone descritto nel precedente paragrafo, è

stato progettato e costruito un circuito, o sezione, funzionale ai test da condurre. La sezione

di test parte dalla fine della condotta di mandata e procede in parallelo con l’impianto a

termosifone (Fig. 3.7).

Figura 3.6 Effetti della variazione del flusso sui parametri di funzionamento dell’impianto a termosifone.

Figura 3.7 Layout dell’impianto a termosifone: in rosso è evidenziata la sezione di test e le posizioni PP4 e PP3.

PP4 PP3

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All’inizio della sezione di test è presente una valvola di regolazione del flusso, che permette di

selezionare il valore della portata massica desiderata.

Subito dopo la valvola di regolazione è presente

il misuratore del flusso di massa: è questo un

flussimetro che sfrutta, come principio di

misura, la forza di Coriolis, cioè la forza

apparente a cui sembra essere soggetto un

corpo, se si osserva il suo moto da un sistema di

riferimento in moto circolare rispetto ad un

sistema di riferimento inerziale. All’interno del

flussimetro sono presenti due tubicini piegati ad

U di piccolo diametro, mantenuti in vibrazione

controllata con un angolo nullo di sfasamento

reciproco.

Il flusso del fluido all’interno dei tubicini induce, per effetto della forza di Coriolis, uno

sfasamento nella frequenza di vibrazione dei due circuiti (Fig. 3.8), sfasamento proporzionale

alla portata massica, che, tramite un opportuno fattore di calibrazione, può così essere

misurata.

Bisogna ricordare che tale flussimetro non misura la portata volumetrica V, bensì la portata

di massa ṁ. Queste due quantità sono legate tra di loro tramite la densità del fluido:

Subito a valle del flussimetro è presente la prima postazione per filtro, denominata PP4 in

riferimento alla posizione in caverna in cui si trova il Patch Panel n. 4. In questa posizione

trova posto il primo dei due filtri che possono essere testati, anch’esso individuato dal codice

PP4.

Il filtro utilizzato per i test è un filtro Swagelok (SS-4-VCR-2), uguale ai filtri utilizzati

nell’impianto reale in caverna. Esso è costituito da una superficie filtrante ottenuta per

sinterizzazione, su un corpo di acciaio inossidabile. La postazione che ospita il filtro, sempre

della Swagelok, garantisce un elevato grado di tenuta sia con il circuito in pressione che nelle

condizioni di vuoto (Fig. 3.9) condizione, questa, indispensabile per il tipo di applicazione qui

sviluppata (la contaminazione del fluido refrigerante con aria porterebbe infatti ad una

modifica delle caratteristiche termofisiche del fluido).

Filtro

Figura 3.8 Principio di funzionamento di un flussimetro di massa che sfrutta l’effetto Coriolis.

Figura 3.9 Connessione “leakless” per filtri Swagelok.

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Subito dopo il filtro PP4, è posizionato il misuratore di pressione, anch’esso denominato

PP4, per i motivi già citati. L’elemento sensibile di tale strumento, è costituito da una

membrana ceramica la cui deformazione, per effetto della pressione esercitata dal fluido,

induce una variazione di capacità nella cella di misura, variazione proporzionale al valore

della pressione stessa. Tale valore viene poi convertito in segnale di corrente e quindi fornito

come valore in uscita.

A questo punto, ha inizio la zona denominata PP3, sempre per analogia con il circuito reale

in caverna, costituita da un’altra postazione per filtri ed il secondo misuratore di pressione.

Come si può notare (Fig. 3.7), soltanto il secondo filtro (PP3) è compreso tra due sensori di

pressione, quindi soltanto per questo sarà possibile misurare la caduta di pressione Dp

causata dal filtro stesso.

Terminata la sezione di misura, si trova quella che è la parte principale del circuito: questa è la

parte evaporativa dell’impianto, dove il fluido refrigerante C4F10 evapora asportando calore,

costituita da un settore di SPD e dai componenti ad esso funzionali.

Il settore presente nella sezione di test utilizzata in questo lavoro, è un’esatta replica di uno

dei 10 settori che costituiscono il rivelatore SPD posizionato nel cuore dell’esperimento

ALICE. Tutta la parte idraulica e meccanica (compresa la geometri del supporto in fibra di

carbonio) è la medesima di un settore reale. L’unica differenza, rispetto ad un settore reale, è

che non sono presenti gli stave che costituiscono l’elemento sensibile per il rilevamento delle

tracce delle particelle: questa è la parte tecnologicamente più avanzata (e parimenti più

costosa) dell’intero settore e, non essendo necessaria ai test svolti in questo lavoro, si è deciso

di ometterla per evitare il rischio di un eventuale danneggiamento. Poiché nel settore reale, i

fenomeni dissipativi che avvengono nei circuiti degli stave durante il funzionamento,

producono il calore che il sistema di raffreddamento deve asportare, nel settore utilizzato per

i test, la generazione di tale calore viene simulata tramite una serie di resistenze posizionate in

stave geometricamente simili a quelli reali, in modo da avere una analoga distribuzione del

calore generato. Tali resistenze sono alimentate tramite un alimentatore di potenza, mediante

il quale è possibile variare la potenza applicata al settore, simulando così diverse condizioni

operative del settore.

Subito a monte e a valle del settore, due valvole manuali consentono di escludere il settore

dal circuito. Tale operazione può risultare necessaria sia per effettuare operazioni senza aprire

il resto del circuito (che causerebbe una perdita di fluido refrigerante) sia per ragioni di

sicurezza: quando , infatti, il settore non è sorvegliato, è necessario scollegarlo dal circuito e

“mettere in aria” le sue linee perché un eventuale arresto del flusso nell’impianto, porterebbe

ad un riscaldamento del fluido all’interno dei tubicini evaporativi e ad un progressivo

aumento della pressione fino a valori che potrebbero deformare permanentemente i tubicini

(~3 bar assoluti).

Proprio come nei settori reali, prima dell’ingresso nel settore, un collettore separa il flusso in

6 circuiti per i 6 capillari, che provvedono alla caduta di pressione necessaria a portare il

fluido nelle condizioni di saturazione nelle quali avviene l’evaporazione. Dopo i capillari, il

flusso entra nei tubicini evaporativi che si trovano all’interno del settore e a contatto termico

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68

con gli stave. All’interno di questi avviene l’evaporazione ed il progressivo aumento di titolo

del fluido.

Dopo l’uscita dal settore, e il ricongiungimento delle 6 linee in un collettore di uscita, il

circuito si ricollega alla linea dell’impianto a termosifone, dove entra nel dummy load per la

completa evaporazione del fluido prima dell’ingresso nella linea di ritorno.

Una valvola manuale separa la sezione di test dalla linea dell’impianto in modo che, anche

con il circuito di test scollegato, il fluido possa continuare a circolare nell’impianto a

termosifone, in modo che quest’ultimo non debba essere fermato (essendo il riavvio

un’operazione piuttosto delicata e lunga).

3.3.1 Considerazioni

Dopo aver analizzato in dettaglio l’impianto di raffreddamento di SPD installato nella

caverna di ALICE e l’impianto che alimenta il banco test utilizzato per questo lavoro, un

confronto tra i due sistemi è d’obbligo per avere una stima dell’accuratezza dei risultati

ottenuti.

La differenza principale tra i due impianti è proprio la modalità con cui essi fanno circolare il

fluido refrigerante. Mentre nell’impianto reale una pompa rotativa a palette innalza la

pressione del liquido prima del collettore da cui partono le 10 linee che alimentano i 10

settori che costituiscono SPD, ed un compressore, nella linea di ritorno, convoglia il gas in

uscita dai settori all’interno del condensatore, nell’impianto a termosifone, invece, la

circolazione del fluido avviene in maniera naturale, senza l’ausilio di pompe o compressori.

Tale differenza, seppur notevole, risulta incidere relativamente poco sull’accuratezza dei

risultati, in quanto l’impianto a termosifone utilizzato, fornisce valori di pressione e

temperatura a monte e a valle della sezione di test, confrontabili con quelli utilizzati

nell’impianto reale. La sezione di test, perciò, è soggetta a condizioni termodinamiche del

fluido, simili a quelle presenti in caverna e tali valori, possono essere inoltre modificati

nell’impianto di test per simulare il funzionamento del sistema anche in condizioni diverse da

quelle nominali.

Com’è già stato detto in precedenza in questo capitolo, il settore utilizzato per i test è una

replica esatta di un settore di SPD. I collettori di ingresso e di uscita, i capillari, i tubi

evaporativi del settore, insomma, l’intero comportamento idraulico del settore testato è

uguale a quello di un settore reale. Anche la generazione di calore, che in questo caso non è

prodotta da effetti dissipativi nei circuiti elettronici degli stave ma da resistenze posizionate al

posto di questi, riproduce il comportamento termico di un settore reale.

La principale differenza tra le due soluzioni, riguarda il layout del circuito che dall’impianto

raggiunge il rivelatore e il piping dello stesso.

In caverna l’impianto è costituito da 10 circuiti identici, uno per ogni settore. La linea di

mandata è composta da tubi in acciaio inossidabile 316L di diametro esterno 6 mm e

diametro interno 4 mm. La linea raggiunge il detector dopo un percorso di circa 40 m e una

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69

differenza di altezza di circa 7 m. All’uscita del settore, la linea di ritorno, sempre costituita da

10 tubi di acciaio inossidabile ma con un diametro maggiore (12 mm all’esterno e 10

all’interno), ritorna al condensatore dopo un percorso di circa 35 m. Nella sezione di test,

invece, sia per la linea di mandata che per quella di ritorno, il tubo utilizzato è in rilsan (un

poliammide) trasparente con diametro esterno pari a 6 mm e diametro interno 4 mm. Anche

il layout risulta essere diverso (Fig. 3.10) e la lunghezza dei tubi ridotta, per ragioni di

opportunità, non rientrando tra gli scopi di questo lavoro la riproduzione del

comportamento delle linee e dell’impianto originale ma dell’idraulica del settore e, come si

vedrà, dei filtri.

Si può dunque ritenere che le differenze testé evidenziate non siano rilevanti e i risultati così

ottenuti possono ritenersi, almeno per gli scopi che ci si è prefissi, accurati ed affidabili.

3.4 Caratterizzazione dei filtri

Nella prima parte dei test sono stati caratterizzati i filtri

misurandone la caduta di pressione al variare della portata e al

variare della potenza applicata sul settore, per avere dei valori di

riferimento con cui confrontare i risultati ottenuti nei test .

I filtri analizzati sono tutti prodotti dalla Swagelok (Fig. 3.11) e

sono gli stessi filtri che si utilizzano nel sistema di raffreddamento

di SPD nella caverna di ALICE. Sono filtri ad alto grado di

purezza, con corpo in acciaio inossidabile e parte filtrante in

matrice porosa ottenuta mediante sinterizzazione, con misura

media della maglia di 60 µm o di 20 µm.

Figura 3.10 Immagine della sezione di test. Sono visbili i sonsori di pressione e le connessioni dei filtri PP3 e PP4 e la replica di un settore di SPD utilizzata per i test.

Figura 3.11 Filtro Swagelok SS-4-VCR-2.

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70

Per ogni filtro (o combinazione di filtri) si è valutata la caduta di pressione Dp (calcolata

come differenza tra i valori di pressione PP4 e PP3) al variare della portata e della potenza

applicata sul settore. In questo modo è stato possibile ottenere le curve caratteristiche dei

filtri Dp-Flusso per diversi valori della potenza applicata sul settore.

Per il filtro da 60 µm, si sono ottenuti i valori riportati in Fig 3.12.

Si noti che le curve ottenute presentano l’andamento parabolico caratteristico delle perdite di

carico concentrate, essendo valida per queste l’espressione:

con ξ coefficiente caratteristico del tipo di perdita.

Si osserva, inoltre, come la variazione della potenza applicata sul settore non sia molto

influente, essendo le diverse curve per lo più sovrapposte. Una leggera differenza si osserva

soltanto tra la condizione di settore spento (0 W applicati) e settore acceso (alle diverse

potenze cha variano tra 50 W e 200 W).

Per un flusso pari a 3 g/s, la caduta di pressione sul filtro è pari a 0,375 bar, mentre, nel caso

di settore alimentato a 150 W, la caduta è pari a 0,410 bar, per una differenza di circa 35

mbar.

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0 1 2 3 4

Dp

[b

ar]

Flow [g/s]

60 µm clean filter

DP vs flow

0 W

50 W

100 W

150 W

200 W

Poly. (0 W)

Figura 3.12 Curva caratteristica Dp-Flow per diverse potenze applicate al settore per filtro da 60 µm.

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71

Flow [g/s] Power [W] Dp [bar]

3 0 0,375

3 50 0,401

3 100 0,408

3 150 0,410

3 200 0,413

Lo stesso test, condotto con un filtro da 20 µm, ha fornito i risultati riportati in Fig.3.13.

Anche in questo caso le curve vengono bene interpolate da una curva di secondo grado e,

come prima, si ha una leggera differenza tra la curva relativa al settore spento (0 W) e le

curve relative a settore alimentato (alle diverse potenze). In quest’ultimo caso, al variare della

potenza applicata, le curve risultano ancora tutte sovrapposte indicando che l’influenza della

potenza applicata sul settore è praticamente trascurabile, mentre si registra ancora una lieve

variazione nel comportamento termofluidodinamico nel passaggio tra settore spento e

settore alimentato.

La caduta di pressione sul filtro da 20 µm è sensibilmente superiore a quella relativa al filtro

da 60 µm: per una portata di 3 g/s, la Dp per il filtro da 60 µm è pari a 0,375 bar a settore

spento mentre, per il filtro da 20 µm nelle stesse condizioni, Dp= 0,660 bar, quasi il doppio.

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5

Dp

[b

ar]

Flow [g/s]

20 µm clean filter

Dp vs Flow

0 W

50 W

100 W

150 W

200 W

250 W

Poly. (0 W)

Figura 3.13 Curva caratteristica Dp-Flow per diverse potenze applicate al settore per filtro da 20 µm.

Tabella 3.1

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72

Si è poi passati a determinare la caduta di pressione relativa a 2 filtri da 60 µm posti

praticamente a contatto (separati soltanto da una guarnizione per salvaguardarne l’integrità)

nella posizione PP3, tra i due misuratori di pressione (Fig. 3.14). E’ stato così possibile

valutare l’entità dell’effetto di ostruzione generato dal primo filtro sul secondo, dovuta alla

parziale sovrapposizione delle maglie.

La caduta di pressione, in questo caso, è compresa tra i valori relativi al filtro da 60 µm e

quelli relativi al filtro da 20 µm: ancora per una portata di 3 g/s, la caduta di pressione Dp sui

2 filtri vale 0,514 bar a settore spento, che equivale ad un incremento del 37% rispetto al

singolo filtro.

Filter Flow [g/s] Power [W] Dp [bar]

60 µm clean 3 0 0,375

20 µm clean 3 0 0,660

2x60 µm clean 3 0 0,514

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0 1 2 3 4

Dp

[b

ar]

Flow [g/s]

Two 60 µm clean filter close togheter

Dp vs Flow

0 W

50 W

100 W

150 W

200 W

Poly. (0 W)

Figura 3.14 Curva caratteristica Dp-Flow per diverse potenze applicate al settore con due filtri da 60 µm posti vicini.

Tabella 3.2

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73

Si è poi voluto caratterizzare la situazione che si ha nei settori reali in caverna, costituita da

due filtri in serie, uno nella posizione PP4 e uno nella posizione PP3, entrambi filtri da 60

µm.

Dal confronto con i risultati ottenuti per il singolo filtro da 60 µm, è possibile avere una

stima dell’influenza che su questo, ha il primo filtro, quello in posizione PP4.

Come si può vedere (Fig. 3.14), per 3 g/s (valore assunto come riferimento per il confronto

dei vari test) la caduta di pressione sul secondo filtro (quello nella posizione PP3) è ancora

Dp=0,375 bar, come nel caso di un solo filtro da 60 µm. Questo significa che la diminuzione

di flusso associata alla caduta di pressione sul primo filtro, non influenza visibilmente la

caduta di pressione sul secondo filtro (che dovrebbe diminuire per la diminuzione del flusso

fornita dal primo filtro).

Considerando il filtro da 20 µm, invece di quello da 60 µm, nella posizione PP4, prima del

secondo filtro da 60 µm, si ottengono i valori di Fig. 3.15.

0

0,05

0,1

0,15

0,2

0,25

0,3

0,35

0,4

0,45

0 1 2 3 4

Dp

[b

ar]

Flow [g/s]

Two 60 µm clean filter in series

Dp (on PP3 filter only) vs Flow

0 W

100 W

150 W

Poly. (0 W)

Figura 3.14 Curva caratteristica Dp-Flow per diverse potenze applicate al settore con due filtri da 60 µm posti in serie, uno nella posizione PP4 e l’altro nella posizione PP3.

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In questo caso, la caduta Dp sul filtro da 60 µm vale 0,301 bar per una portata di 3 g/s e a

settore spento, segno che la diminuzione di flusso legata alla caduta di pressione sul filtro da

20 µm, causa una diminuzione della caduta di pressione sul secondo filtro (si è visto come

Dp e flusso siano collegate tra loro dall’equazione caratteristica delle perdite di carico

concentrate), rispetto al caso di singolo filtro da 60 µm.

A conclusione dei test di caratterizzazione, per avere una visione completa dei risultati

ottenuti, risulta utile riunire in un solo grafico, le curve Dp-flusso a settore spento per le varie

soluzioni analizzate:

0

0,05

0,1

0,15

0,2

0,25

0,3

0,35

0 1 2 3 4

Dp

[b

ar]

Flow [g/s]

20 µm + 60 µm clean filter

Dp (on 60 µm filter) vs Flow

0 W

50 W

100 W

150 W

200 W

Poly. (0 W)

Figura 3.15 Curva caratteristica Dp-Flow per diverse potenze applicate al settore con un filtro da 20 µm nella posizione PP4 e un filtro da 60 µm nella posizione PP3.

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75

3.5 Variazione di Dp e del flusso al variare della potenza

applicata sul settore

In questo test si è voluto determinare l’influenza della potenza applicata sul settore, sulle

condizioni di deflusso del fluido refrigerante analizzando la variazione di portata del fluido e

la variazione di caduta di pressione sul filtro esaminato. Per fare ciò, si è variata la potenza

applicata al settore tramite l’alimentatore, tra 0 W e 225 W a passi di 25 W e ad ogni passo si

sono valutati i valori di Dp e flusso, dopo aver atteso la stabilizzazione del sistema.

Si sono così ottenuti i valori riportati in Tabella.

Power [W] Dp [bar] Flow [g/s]

0 0,493 3,429

25 0,487 3,393

50 0,473 3,349

75 0,461 3,295

100 0,450 3,237

125 0,438 3,182

150 0,421 3,121

175 0,411 3,069

200 0,401 3,021

225 0,395 2,982

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0 1 2 3 4

Dp

[b

ar]

Flow [g/s]

Pressure drop Dp vs Flow @ 0 W

60 um clean filter

20 um clean filter

2x60 um clean filters

60+60 um clean filters

20+60 um clean filters

Figura 3.16 Grafico riassuntivo dei risultati dei test di caratterizzazione per le varie soluzioni analizzate.

Tabella 3.3

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76

Come si può vedere (Fig. 3.17), variando la potenza applicata tra 0 W e 225 W, si ha una

notevole riduzione di flusso, pari a 0,5 g/s con un flusso iniziale di 3,5 g/s (valvola tutta

aperta) con un decremento quindi del 15% rispetto al flusso iniziale a settore spento. Con la

diminuzione del flusso risulta una concomitante riduzione della caduta di pressione sul filtro

pari a 100 mbar, da 0,5 bar a 0,4 bar.

In seguito ai risultati ottenuti con il precedente test, si è deciso di approfondire questa

indagine valutando ancora gli effetti generati dalla potenza applicata sul flusso e sulla caduta

sul filtro Dp, ma a portate minori, per stabilire se a flussi paragonabili a quelli che si hanno

nei settori reali in caverna si instaurino altri fenomeni di rilievo.

All’inizio di ogni sessione, la portata iniziale viene impostata variando la posizione della

valvola di regolazione situata nella prima parte della sezione di test. La portata iniziale è stata

variata tra 2,5 g/s e 1 g/s (così da analizzare l’intero campo di portate) con passi di 0,5 g/s.

Una volta impostato il valore iniziale della portata, la potenza applicata sul settore è stata

incrementata da 0 W a 250 W, con passi di 25 W, valutando ad ogni incremento la pressione

PP4, la caduta di pressione Dp sul filtro ed il flusso.

Per tutti i test, il filtro utilizzato è un filtro Swagelok da 60 µm pulito.

0

1

2

3

4

0 100 200 300

Flo

w [

g/s]

Power [W]

Flow vs Power

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0 100 200 300

Dp

[b

ar]

Power [W]

Dp vs Power

Figura 3.17 Andamento del flusso e della caduta di pressione Dp su un filtro da 60 µm all’aumentare della potenza applicata sul settore.

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1) Test con portata iniziale pari a 2,5 g/s

Potenza [W]

Pressione ingresso PP4

Dp Flusso Note

0 2,878 0,212 2,501

25 2,890 0,207 2,479

50 2,912 0,201 2,456

75 2,941 0,197 2,428

100 2,970 0,194 2,400

125 2,997 0,190 2,369

150 3,029 0,186 2,340

175 3,050 0,185 2,314

200 3,068 0,182 2,293

225 3,076 0,182 2,286

250 3,080 0,180 2,286

2) Test con portata iniziale pari a 2 g/s

Potenza [W]

Pressione ingresso PP4

Dp Flusso Note

0 2,593 0,150 2,001

25 2,607 0,145 1,989

50 2,622 0,146 1,973

75 2,650 0,143 1,954

100 2,682 0,140 1,935

125 2,705 0,139 1,917

150 2,730 0,139 1,898

175 2,741 0,135 1,890

200 2,747 0,135 1,890

225 2,757 0,132 1,885

250 dryout

3) Test con portata iniziale pari a 1,5 g/s

Potenza [W]

Pressione ingresso PP4

Dp Flusso Note

0 2,333 0,093 1,500

25 2,351 0,095 1,495

50 2,365 0,092 1,487

75 2,384 0,090 1,478

100 2,402 0,089 1,467

125 2,426 0,091 1,449

150 2,431 0,093 1,456

175 2,438 0,092 1,453

200 dryout

Tabella 3.4

Tabella 3.5

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78

4) Test con portata iniziale pari a 1 g/s

Potenza [W]

Pressione ingresso PP4

Dp Flusso Note

0 2,250 0,058 1,005

25 2,250 0,053 0,964

50 2,240 0,047 0,967

75 2,256 0,047 0,962

100 2,259 0,045 0,962

125 dryout

Riunendo in un solo grafico i risultati ottenuti nei 4 test effettuati, relativi a 4 diversi valori di

portata iniziale, è stato possibile valutare se, al diminuire della portata, risulta più evidente la

diminuzione di flusso dovuta all’alimentazione del settore.

Dall’analisi dei risultati ottenuti si può vedere come, per il valore di portata iniziale più

elevato (2,5 g/s) la differenza di portata indotta dall’applicazione della potenza sul settore

risulti pari a 0,21 g/s passando da 0 W a 250 W applicati al settore , che corrisponde ad un

decremento di portata pari quasi al 9% della portata iniziale, e quindi non trascurabile,

essendo il filtro utilizzato un filtro pulito da 60 μm. Mentre, la variazione di portata tra 0 W e

150 W (potenza nominale di progetto del settore) è pari a 0,15 g/s (6,5 % della portata

iniziale). Tale decremento, però, si riduce, sia in valore assoluto che percentualmente, al

diminuire della portata iniziale: per un valore di portata iniziale pari a 1,5 g/s, ad esempio, la

diminuzione di portata, passando da 0 W a 150 W di potenza applicata al settore, è di soli

0,044 g/s, corrispondenti al 3% della portata iniziale. Variazioni di portata ancora minori si

registrano per portate iniziali minori, a valori paragonabili a quelli presenti in caverna nelle

linee dei vari settori di SPD (1-1,5 g/s).

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

0 50 100 150 200 250 300

Flu

sso

[g/

s]

Potenza [W]

Variazione di flusso al variare della potenza applicata al settore

2,5

2

1,5

1

Figura 3.18 Curve relative alla variazione del flusso al variare della potenza applicata al settore per diversi valori del flusso iniziale.

Tabella 3.6

Tabella 3.7

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79

Lo stesso comportamento si può osservare per la variazione di Dp sul filtro (si ricorda che

Dp e flusso sono legati tra di loro dall’equazione caratteristica delle perdite di carico

concentrate): anche in questo caso, l’effetto di diminuzione della caduta di pressione sul filtro

dovuto all’applicazione di potenza sul settore, si fa via via meno rilevante al diminuire del

valore della portata iniziale del fluido.

3.5.1 Considerazioni

In questo test si è valutato l’effetto della potenza applicata sul settore, sulla portata di fluido e

sulla caduta di pressione sul filtro. Un primo test, effettuato a valvola di regolazione del

flusso completamente aperta (flusso iniziale pari a 3,5 g/s), ha evidenziato come alimentando

il settore fino a 225 W si abbia una riduzione importante di flusso (0,5 g/s) e una

concomitante riduzione della caduta di pressione sul filtro (100 mbar).

Ulteriori test, condotti per portate minori (parziale chiusura della valvola di regolazione del

flusso) hanno però evidenziato come tali effetti si riducano notevolmente al diminuire della

portata e possano quindi ritenersi pressoché trascurabili per i valori a cui lavorano

usualmente i settori di SPD (1-1,5 g/s).

3.6 Ebollizione localizzata

Poiché una eventuale ebollizione del liquido prima del suo ingresso nei capillari

provocherebbe notevoli perdite di carico ed ostruzione del flusso, deve essere posta grande

attenzione affinché ciò non avvenga.

0

0,05

0,1

0,15

0,2

0,25

0 50 100 150 200 250 300

Dp

[b

ar]

Potenza [W]

Variazione di Dp al variare della potenza applicata al settore

2,5

2

1,5

1

Figura 3.19 Curve relative alla variazione della caduta di pressione su un filtro da 60 µm al variare della potenza applicata al settore per diversi valori del flusso iniziale.

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80

Si è quindi deciso di intraprendere una serie di test per stabilire i motivi dell’evaporazione del

fluido prima dei capillari osservata durante i precedenti test e valutare le condizioni

termodinamiche del fluido refrigerante in questo caso.

Poiché la formazione di bolle non si osservava mai a completa apertura della valvola di

regolazione del flusso, ma soltanto durante la chiusura della stessa, si è iniziato col valutare la

variazione delle condizioni termodinamiche del fluido con la chiusura della valvola di

regolazione.

Le principali proprietà termodinamiche del fluido di interesse per questo test sono pressione

e temperatura: per la pressione si è deciso di considerare il valore misurato dal sensore di

pressione in PP4, essendo questo in prossimità della zona dei filtri (dove cioè si osservava la

formazione di bolle) ma non essendo ancora influenzato dalla caduta di pressione sul filtro.

Non essendo però presente un misuratore di temperatura in prossimità del punto PP4, è

stato installato un termometro a termocoppia esternamente al tubo (nella parte metallica di

connessione) isolato rispetto all’ambiente esterno.

E’ stato quindi possibile valutare la variazione della pressione PP4 e della temperatura del

fluido al variare della posizione di chiusura della valvola e quindi al diminuire della portata di

fluido refrigerante.

Per avere una descrizione precisa dell’andamento di p e T, in funzione del grado di chiusura

della valvola, il campo delle portate (e quindi il l’intervallo di chiusura della valvola) è stato

suddiviso in 9 punti uniformemente distribuiti dal valore di massima portata (punto 0,

valvola tutta aperta) al valore di minima portata (punto 8).

Per ogni punto, dopo aver atteso la stabilizzazione del sistema, sono stati valutati i valori

della pressione PP4, della caduta di pressione sul filtro, del flusso e della temperatura del

fluido.

Di seguito si possono vedere i valori così ottenuti:

Posizione valvola

Pressione PP4 [bar]

Dp [bar] Flusso [g/s] Temperatura [°C]

Note

0 3,62 0,357 3,477 14,1

1 3,244 0,282 2,998 14,3

2 3,022 0,236 2,681 14,6

3 2,63 0,151 2,06 15,5

4 2,425 0,112 1,688 16,1

5 2,175 0,069 1,203 17,3

6 2,073 0,049 0,962 17,8

7 2,13 0,03 0,668 18,7 Inizio bolle

8 1,989 0,009 0,362 19,2 Bolle

Tabella 3.8

Page 82: Università degli studi di Padova fluido che si sviluppa all’interno del fluido stesso. Si considerino due superfici piane di area A in moto relativo tra di loro alla velocità dv,

81

Diagrammando l’andamento della pressione PP4 e della temperatura all’aumentare della

chiusura della valvola (e quindi al diminuire della portata di fluido refrigerante) si ottiene:

In Figura 3.20 è mostrato l’andamento della pressione PP4 che decresce in conseguenza della

riduzione di pressione/flusso operata tramite la chiusura della valvola. In Figura 3.21 si noti

l’aumento di circa 5°C della temperatura del fluido in seguito alla riduzione del flusso.

L’effetto di scambio termico con l’ambiente risulta infatti predominante in seguito alla

riduzione del flusso: a parità di flusso termico dall’ambiente, diminuisce infatti la portata di

massa del flusso ed anche la sua velocità, rendendo inutile anche un eventuale isolamento dei

tubi (effetto provato anche nell’installazione in caverna).

0

1

2

3

4

0 2 4 6 8 10

PP

4 p

ress

ure

[b

ar]

Valve position

PP4 [bar]

PP4 [bar]

0

5

10

15

20

25

0 2 4 6 8 10

Tem

pe

ratu

re T

[°C

]

Valve position

T [°C]

T [°C]

Figura 3.20 Andamento della pressione PP4 al variare del grado di chiusura della valvola di regolazione del flusso.

Figura 3.21 Andamento della temperatura del fluido al variare del grado di chiusura della valvola di regolazione del flusso.

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Come si può vedere dal diagramma p-h (Fig. 3.21), le condizioni termodinamiche del fluido

nel punto 7 di chiusura della valvola misurate nel punto PP4 della sezione di test, sono molto

vicine alla curva di saturazione e quindi al punto di evaporazione. L’ulteriore caduta di

pressione dovuta al filtro (seppur molto piccola in corrispondenza del ridotto flusso),

avvicina ancor più il punto di funzionamento alle condizioni di saturazione, e questo spiega la

formazione delle bolle che si originano in seno alla corrente fluida in prossimità dei filtri e dei

sensori di pressione.

3.6.1 Considerazioni

In questo test sono state riprodotte le condizioni termodinamiche del fluido che portano alla

formazione di bolle nella zona dei filtri.

Si sono analizzati i valori della pressione e della temperatura del fluido nel punto PP4 della

sezione di test, per diversi livelli del flusso.

Si è quindi potuto verificare in che misura la diminuzione di pressione (Fig. 3.19) e l’aumento

di temperatura (Fig. 3.20) portino le condizioni del fluido sempre più vicine alla curva di

saturazione (Fig. 3.21) e quindi all’ebollizione dello stesso.

Da questo test si possono così evincere considerazioni importanti sulla conduzione

dell’impianto. Sebbene, infatti, le condizioni iniziali del fluido siano impostate in modo da

evitare anche una parziale ebollizione dello stesso, la complessità del percorso idraulico, la

Figura 3.21 Curve relative alla variazione del flusso al variare della potenza applicata al settore per diversi valori del flusso iniziale.

18 °C

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presenza di filtri parzialmente occlusi e lo scambio termico con l’ambiente possono portare

in condizioni prossime a quelle di saturazione.

3.7 Test per la valutazione dell’impedenza dei filtri

Per cercare di stabilire l'influenza di ciascun tipo di filtro utilizzato sulle condizioni di

deflusso del fluido refrigerante, è stata effettuata una serie di test atti a valutare la

diminuzione di flusso (in g/s) dovuta a ciascun filtro per diversi valori del flusso stesso.

Grazie all'utilizzo di una valvola di regolazione ad alta precisione, è stato possibile impostare

con esattezza i punti di misura, assicurando un’elevata ripetibilità dei test.

A differenza dei precedenti test, in questo caso non si è impostato il flusso, tramite la valvola

di regolazione (essendo proprio il flusso oggetto dell’indagine), ma si sono impostate

determinate posizioni della valvola (ripetute poi con precisione nelle varie sessioni del test) e

si è quindi valutato il flusso risultante nelle varie posizioni per diverse soluzioni di filtri, in

modo da avere un indice dell’impedenza fornita da ciascun filtro.

Per ciascuna configurazione, si è partiti con la valvola completamente aperta, e perciò in

condizioni nominali di deflusso. Quindi si è proceduto a chiudere la valvola in posizioni

prestabilite, fissando così i sei punti di misura, uguali per tutte le sessioni di test, indicati poi

con una numerazione da 0 (valvola completamente aperta) a 5 (massimo grado di chiusura

della valvola), a coprire l'intero campo di flusso da circa 3,5 g/s (massima portata ottenibile

con questo impianto) a circa 0,4 g/s. Per ogni punto di misura si sono registrati il flusso

corrispondente e la caduta di pressione Dp sul filtro in esame. Da questi, è stato quindi

possibile costruire, per ogni filtro, un grafico rappresentante il valore della portata in

funzione del grado di chiusura della valvola.

1) Test senza filtro

Posizione

valvola

Dp [bar] Flusso [g/s] Note

0 0 3,742

1 0 3,16

2 0 2,052

3 0 1,210

4 0 0,776 Inizio formazione di bolle

5 0 0,449 Incremento formazione di bolle

Tabella 3.9

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2) Test con filtro da 60 μm pulito

Posizione

valvola

Dp [bar] Flusso [g/s] Note

0 0,308 3,424

1 0,239 2,953

2 0,129 1,984

3 0,057 1,169

4 0,041 0,767 Inizio formazione di bolle

5 0,042 0,442 Incremento formazione di bolle

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5

4

0 1 2 3 4 5 6

Flo

w [

g/s]

Valve position

Flow vs Valve position without filters

without filters

Figura 3.22 Variazione del flusso all’aumentare del grado di chiusura della valvola senza la presenza di filtri.

0

1

2

3

4

0 2 4 6

Flo

w [

g/s]

Valve position

60 um clean filter Flow vs Valve position

60 um clean filter

Tabella 3.10

Figura 3.23 Variazione del flusso all’aumentare del grado di chiusura della valvola con filtro da 60 µm pulito.

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3) Test con filtro da 20 μm pulito

Posizione

valvola

Dp [bar] Flusso

[g/sec]

Note

0 0,542 3,170

1 0,437 2,776

2 0,233 1,917

3 0,101 1,155 Formazione di bolle

4 0,043 0,763 Incremento formazione di bolle

5 0,060 0,432 Valori fluttuanti per effetto delle bolle

4) Test con due filtri da 60 μm ravvicinati

Posizione

valvola

Dp [bar] Flusso [g/sec] Note

0 0,582 3,14

1 0,474 2,756

2 0,267 1,879

3 0,125 1,104 Sviluppata formazione di bolle

4 0,107 0,721 Incremento formazione di bolle

5 0,095 0,391 Valori fluttuanti per effetto delle bolle

0

1

2

3

4

0 2 4 6

Flo

w [

g/s]

Valve position

20 um clean filter Flow vs Valve position

20 um clean filter

Figura 3.24 Variazione del flusso all’aumentare del grado di chiusura della valvola con un filtro da 20 µm.

Tabella 3.11

Tabella 3.12

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3.7.1 Considerazioni

Riunendo in un solo grafico le curve relative al flusso di fluido refrigerante in funzione del

grado di chiusura della valvola di regolazione per i diversi filtri esaminati, è stato possibile

stabilire l’influenza della presenza dei vari filtri sulle condizioni di deflusso del fluido (Fig.

3.26).

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5

0 2 4 6

Flo

w [

g/s]

Valve position

Two 60 um clean filters Flow vs Valve position

2x60 um clean filters

Figura 3.25 Variazione del flusso all’aumentare del grado di chiusura della valvola con due filtri da 60 µm vicini.

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5

4

0 1 2 3 4 5 6

flo

w [

g/s]

valve position

Flow vs valve position

0 filters

60 um

2x60 um

20 um

Figura 3.26 Grafico riassuntivo dei test sulla variazione del flusso all’aumentare del grado di chiusura della valvola per le diverse soluzioni testate.

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Come si può vedere, l’inserimento del filtro da 60 μm comporta una diminuzione di portata

non trascurabile a valvola tutta aperta, e pari a 0,32 g/s (pari quasi al 9% della portata senza

filtro); condizioni ancora peggiori si registrano, ovviamente, con il filtro da 20 μm e i due

filtri da 60 μm ravvicinati, dove la diminuzione di flusso in condizioni di valvola

completamente aperta è pari a circa 0,6 g/s (pari al 16% della portata senza filtro).

Queste differenze, però, si riducono notevolmente al diminuire dell’apertura della valvola, e

quindi per portate minori. Al terzo punto di misura, infatti, per valori di portata prossimi 1,1-

1,2 g/s, e quindi confrontabili con i valori di flusso presenti in caverna nella maggior parte

dei settori, la differenza fra la portata senza filtro e con filtro da 60 μm si riduce a soli 0,04

g/s (pari a circa il 3%).

Il filtro da 20 μm e i due filtri da 60 μm ravvicinati sono caratterizzati da condizioni flusso

molto simili (rappresentate dalla sovrapposizione delle relative curve nei grafici): questo

significa che queste due configurazioni presentano una simile impedenza al flusso del fluido.

In conclusione, con i risultati ottenuti in questo test, si può affermare che l’impedenza dei

filtri puliti si può ritenere trascurabile per i valori di portata a cui lavorano i settori di SPD in

caverna. Si è perciò ipotizzato che la riduzione del flusso registrata nelle linee del sistema

reale, sia dovuta ad un accumulo di polveri nei filtri, con conseguente aumento

dell’impedenza degli stessi. I prossimi test, con filtri otturati con colla epossidica e con

polveri graduate all’interno del circuito, affrontano questa possibilità.

3.8 Test con filtri otturati

Per cercare di riprodurre in laboratorio le condizioni che possono provocare le variazioni di

flusso osservate nel sistema reale, sono stati progettati alcuni test che prevedono l’utilizzo di

filtri la cui superficie è stata parzialmente otturata con colla epossidica.

Nella prima parte del test si sono utilizzati 3 filtri con diverso grado di otturazione (50%,

75% e 90% della superficie totale) ma tutti e tre otturati nello stesso modo (copertura

uniforme di una sezione sempre più estesa della superficie del filtro) e tutti e tre otturati con

colla epossidica. Lo scopo del test è quello di valutare la relazione tra superficie libera del

filtro ed il flusso risultante. In questo modo, una volta ottenuta tale relazione e confrontati i

risultati con i valori che si registrano nell’impianto reale, sarà possibile stabilire se una parziale

occlusione del filtro PP3 può essere la causa della riduzione di flusso nei settori e stimare il

grado di occlusione del filtro stesso.

Nella seconda parte dei test, sono stati invece utilizzati dei filtri con la superficie otturata in

maniera diversa, ma tutti con lo stesso grado di copertura, per valutare l’effetto dei differenti

campi di moto che si instaurano nei diversi casi.

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Ogni filtro, dopo essere stato otturato, è stato posto nella postazione PP3, tra i due sensori di

pressione (in modo da poterne determinare la caduta di pressione Dp sul filtro), e si è

valutato il flusso, la caduta di pressione Dp e la pressione a monte detta PP4, per diversi

gradi di chiusura della valvola di regolazione del flusso e per diversi valori della potenza

applicata sul settore.

Consideriamo dapprima, i test realizzati con i filtri a diverso grado di otturazione. Se si

analizza la variazione della pressione a monte del filtro otturato (pressione PP4) per i diversi

filtri considerati al variare del flusso (impostato tramite la valvola di regolazione), si può

vedere come l’effetto di innalzamento della pressione dovuto all’ostruzione fornita

dall’occlusione della superficie, sia modesto fino al 75%, mentre presenta un incremento

notevole passando al filtro con il 90% della superficie occlusa. Per un flusso di 1,5 g/s, ad

esempio, l’incremento di pressione tra filtro pulito e filtro 50% occluso è di circa 200 mbar,

che diventano 500 nel caso si otturazione fino al 75%. Con il filtro otturato al 90%, invece,

l’incremento di pressione arriva a più di 1,5 bar (Figura 3.27).

Se consideriamo ora la variazione con il flusso della caduta di pressione Dp sul filtro, ancora

per i tre filtri a diverso grado di otturazione, si ottiene il seguente grafico:

Figura 3.27 Andamento della pressione a monte del filtro PP4 in funzione della portata massica di fluido per diversi gradi di otturazione della superficie rispetto al caso di filtro pulito.

1,5

2

2,5

3

3,5

4

4,5

0 1 2 3

Pre

ssu

re P

P4

[b

ar]

Flow [g/s]

Pressure PP4 vs Flow @ 100 W

Clean Filter 60µm

50% Epoxy Filter

75% Epoxy Filter

90% Epoxy Filter

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In questo caso, le differenze tra le varie soluzioni testate diventano leggermente più marcate.

Per un flusso di 1,5 g/s, infatti, passando dal filtro pulito al filtro otturato al 50% della

superficie totale, la caduta di pressione cresce di 160 mbar passando da 0,140 bar a 0,3 bar.

Tale valore aumenta se si considera il filtro otturato al 75%: rispetto al filtro pulito,

l’incremento di Dp è di 500 mbar che però diventa 1,4 bar con riferimento al filtro otturato

al 90%.

In conclusione, quindi, si può affermare che l’effetto di otturazione della superficie del filtro,

seppur evidente, si mantiene contenuto per valori fino al 75% della superficie otturata,

mentre presenta un notevole incremento con il 90% della superficie occlusa.

Una volta valutata l’influenza sul flusso del grado di otturazione del filtro, si è proceduto a

valutare l’influenza della modalità di otturazione del filtro stesso, intendendo con questo

l’influenza di diverse tipologie di copertura della superficie del filtro.

Si sono testati 3 diversi filtri, ognuno otturato in maniera diversa.

Il primo filtro, chiamato “spot”, presenta la superficie otturata con 6 punti (o spot) del

diametro di circa 1 mm (Fig. 3.29), per una superficie otturata di circa il 50% dell’intera

superficie del filtro.

Il secondo filtro, detto “diffuse”, presenta una superficie otturata in maniera più uniforme e

diffusa, per un totale di superficie otturata pari ancora al 50% della superficie totale del filtro.

Il terzo filtro, infine, chiamato “center”, presenta una superficie uniformemente otturata nella

zona centrale, presentando invece un anello completamente libero alla periferia della

Figura 3.28 Andamento della caduta di pressione Dp sul filtro in funzione della portata massica di fluido per diversi gradi di otturazione della superficie rispetto al caso di filtro pulito.

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1

1,2

1,4

1,6

1,8

0 1 2 3

Dp

[b

ar]

Flow [g/s]

Dp vs Flow @ 100 W

Clean Filter 60 um

50% Epoxy Filter

75% Epoxy Filter

90% Epoxy Filter

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90

superficie filtrante (Fig. 3.29). In questo modo, si è cercato di

ostruire il flusso proprio nella zona, quella centrale, in cui il flusso

presenta la velocità maggiore (e quindi la maggior portata) sia che il

regime sia laminare che turbolento.

Anche in questo caso ogni filtro, dopo essere stato opportunamente

otturato, è stato posto nella postazione PP3 e si è valutato il flusso,

la caduta di pressione sul filtro Dp e la pressione in ingresso PP4,

per diversi gradi di chiusura della valvola di regolazione del flusso e

per diversi valori della potenza applicata sul settore.

Per prima cosa si è valutata l’influenza dei tre tipi di otturazione sul

flusso. Per fare ciò, si è impostata la valvola di regolazione del

flusso in 8 posizioni prestabilite (per altrettanti punti di misura) a

coprire tutto il campo del flusso da 0 (valvola completamente

aperta) a 7 (flusso minimo). Per ogni punto di misura è stato quindi

calcolato il flusso corrispondente, per evidenziare eventuali

differenze tra i diversi filtri testati.

Figura 3.29 Due esempi di filtri otturati con colla epossidica utilizzati nei test. In alto il filtro “spot”, in basso il filtro “center”.

Figura 3.30 Variazione del flusso all’aumentare del grado di chiusura della valvola con filtro otturati.

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Come si può vedere (Fig. 3.30), l’influenza sul flusso del tipo di otturazione del filtro è

pressoché nulla, com’è evidenziato dal fatto che le tre curve, relative ai tre diversi filtri,

coincidono. Si può notare, inoltre, come l’otturazione stessa sia pressoché ininfluente sulle

condizioni di deflusso (come si era già notato nel test precedente), come dimostra il fatto che

le curve relative ai filtri occlusi, poco si discostano dalla curva di riferimento relativa al filtro

da 60 µm pulito (non è stato possibile riportare la curva del filtro pulito completa perché

ottenuta per differenti gradi di chiusura della valvola. Si sono riportati solamente i tre punti 0,

1 e 3 per i quali il grado di chiusura coincideva. Questi tre punti sono comunque sufficienti a

mostrare come le tre modalità di otturazione diano influenze trascurabili rispetto al filtro

pulito).

Un’ulteriore conferma della scarsa influenza sul flusso dell’occlusione di parte della superficie

del filtro si ha dal seguente grafico, ottenuto sempre durante questi test.

Il grafico riporta in ascissa il flusso misurato dal flussimetro, ed in ordinata la pressione a

monte del filtro (cioè la pressione in ingresso) misurata dal sensore di pressione PP4. Come

si vede, le curve relative ai diversi filtri sono praticamente sovrapposte, ad ulteriore conferma

della poca influenza del modo di otturazione dei filtri. La leggera deviazione della curva

relativa al filtro pulito per flussi prossimi a 1 g/s, è probabilmente dovuta ad un aumento

locale di pressione dovuto al manifestarsi dell’ebollizione (che inizia proprio in questo punto)

che, a causa del moto caotico delle bolle, crea un leggero aumento di impedenza nel flusso.

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5

4

0 1 2 3 4

Pre

ssu

re P

P4

[b

ar]

Flow [g/s]

Pressure PP4 vs Flow @ 0 W

60 um clean filter

spot

diffuse

center

Figura 3.31 Andamento della pressione PP4 in funzione del flusso con filtri otturati con colla epossidica.

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Si consideri, ora, il grafico che riporta in ascissa ancora il flusso, ma in ordinata la caduta di

pressione sul filtro Dp, calcolata come differenza tra i valori misurati dai sensori di pressione

PP4 e PP3 (Fig. 3.32).

Come si vede dal grafico, la curva relativa al filtro pulito, è quella che presenta minor caduta

di pressione al variare del flusso, com’è ovvio. Meno ovvio è invece il fatto che la caduta di

pressione per i filtri otturati sia solo leggermente superiore a quella del filtro pulito, anche

con una non trascurabile percentuale di otturazione del filtro (50%).

Per un flusso di 3 g/s, la differenza tra Dp relativa a filtro pulito e quella relativa al filtro spot

è di circa 100 mbar, mentre è minore per gli altri filtri (diffuse e center). Tali differenze, poi,

si riducono al diminuire del flusso, per cui, a valori di flusso con i quali si lavora in caverna

(1-1,5 g/s), l’influenza del tipo di occlusione (e dell’occlusione stessa) sul flusso, si può

ritenere trascurabile.

3.8.1 Considerazioni

In questi test, tramite l’utilizzo di filtri la cui superficie era stata parzialmente otturata con

colla epossidica, in modo da limitare la superficie di deflusso, si sono valutati gli effetti di una

parziale ostruzione dei filtri sul deflusso del fluido.

Nella prima parte sono stati testati 3 filtri a diverso grado di otturazione (50%, 75% e 90%)

ma tutti otturati nello stesso modo con colla epossidica. I test hanno evidenziato come

l’effetto dell’otturazione si mantenga ridotto fino al 75% di superficie otturata, presentando

invece una forte influenza solo per elevati gradi di otturazione (90%).

Figura 3.32 Andamento della caduta di pressione sul filtro in funzione del flusso con filtri otturati con colla epossidica.

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In un secondo momento si è valutata l’influenza di diverse modalità di otturazione del filtro,

che producono diverse configurazioni delle linee di flusso realizzate dal fluido. I risultati

ottenuti in questo caso, tendono ad escludere un’influenza importante della modalità di

otturazione del filtro, anche se una più estesa serie di test sarebbe necessaria per

comprendere più a fondo il fenomeno.

3.9 Test con polveri graduate

Come è già stato menzionato in precedenza, ognuna delle 10 linee del sistema di

raffreddamento che alimentano i 10 settori di SPD, presenta, prima dell’ingresso nel settore,

due filtri Swagelok da 60 µm in serie. Il primo di questi (detto PP4) è raggiungibile anche ad

esperimento chiuso quando, in assenza di fasci di adroni, viene concesso l’ingresso nella

caverna di ALICE per la manutenzione. Il secondo filtro (detto PP3), invece, non può essere

raggiunto se non tramite l’apertura completa dell’esperimento ALICE, intervento che

richiede diversi mesi di operazione con manodopera specializzata e che quindi non può

essere eseguito se non durante uno stop molto lungo (almeno un anno) di tutti gli

esperimenti in funzione presso LHC.

Poiché più volte è stata ipotizzata l’ostruzione del filtro PP3, come una delle cause dei

problemi di flusso che affliggono alcune delle linee del sistema di raffreddamento di SPD, nel

settembre 2009 si decise di effettuare una analisi SEM (Scanning Electron Microscopy) e

EDS (Energy dispersive X-ray analysis) sui filtri PP4 utilizzati nelle linee 5 e 7 dell’impianto

(linee che già presentavano una inspiegata riduzione del flusso), per stabilire un’eventuale

presenza di materiale estraneo sulla superficie del filtro e per cercare di scoprirne l’origine.

Gli stessi test sono stati effettuati su un filtro nuovo (non usato) e sui due filtri usati nelle

linee 5 e 7.

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0 2 4 6 8Energy (keV)

0

10

20

30

40

cps

C

Fe

Si Mo

Cr

Cr

Fe

FeNi

Figura 3.33 Analisi SEM e EDS di un filtro nuovo.

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Sulla superficie del filtro nuovo sono visibili spot contenenti O e Al (Fig. 3.33). Oltre a ciò,

però, la superficie sembra pulita e priva di particelle estranee.

L’analisi dei filtri usati ha confermato la presenza, oltre degli spot contenenti Al e O già

osservati nel filtro nuovo, di numerose altre particelle estranee (Fig. 3.34) depositate sulla

matrice porosa del filtro, che le indagini EDS hanno mostrato essere composte di

innumerevoli elementi tra i quali O, Al, K, C, Sn, Cu, P, Ca, Cu, Na, Cl e Zn (vedi spettri

EDS).

Tali particelle sono presenti in maggior quantità sulla superficie del filtro rivolta verso il

flusso (Fig. 3.35), cosa che porterebbe a pensare che le particelle abbiano raggiunto la

superficie del filtro trasportate dalla corrente fluida. Se si accetta tale ipotesi si deve allora

immaginare che le particelle siano in grado di attraversare la matrice porosa e depositarsi sulla

faccia a valle del filtro (poiché numerose particelle sono state trovate anche sulla faccia del

filtro non rivolta verso il flusso) o proseguire il loro camino con la corrente, per depositarsi

ed esempio sul filtro successivo. Non si hanno però spiegazioni in merito all’origine di tali

particelle: la notevole presenza di carbonio C ha suggerito una possibile provenienza dalle

palette della pompa dell’impianto (appunto in carbonio) ma tale ipotesi non è ancora stata

verificata.

Figura 3.34 Analisi SEM di un filtro nuovo (sinistra) e di un filtro usato nella linea 7 dell’impianto di raffreddamento di SPD.

Figura 3.35 Analisi SEM del filtro usato nella linea 7: Superficie rivilta verso il flusso (sinistra) e superficie opposta (destra).

Page 97: Università degli studi di Padova fluido che si sviluppa all’interno del fluido stesso. Si considerino due superfici piane di area A in moto relativo tra di loro alla velocità dv,

96

2 4 6 8Energy (keV)

0

5

10

15

20

25

cps

C

O

Fe

Na

Mg

Al

Si

0 2 4 6 8Energy (keV)

0

5

10

15

20

25

cps

CO

FeNa Si

P

S Ca

Fe

Cu

0 2 4 6 8Energy (keV)

0

10

20

30

cps

C

O

FeNaMg

Al

Si

Cl

0 2 4 6 8Energy (keV)

0

5

10

15

cps

C

O

Cu

Al

Si

PS

Ca Fe

Cu

Cu

Figura 3.36 Analisi SEM e EDS del filtro usato nella linea 7 dell’impianto di raffreddamento di SPD.

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97

In seguito alla conferma della presenza di materiale estraneo fornita dalle analisi, si è voluto

testare l’efficacia di un processo di lavaggio dei filtri tramite flusso a bassa pressione (1,4 bar)

in controcorrente per una giornata intera. Sono state quindi ripetute le stesse analisi per

valutare le condizioni della superficie dei filtri.

Come si può vedere dalle immagini, la superficie risulta visibilmente più pulita: permangono

gli spot contenenti O e Al (che sembrano essere parte integrante della superficie del filtro),

anche se sono ancora presenti alcune particelle contenenti, oltre agli elementi già visti in

precedenza, tracce di Ag e di sale (NaCl). Nulla si può dire sulla parte interna del filtro. Dai

test effettuati in caverna risulta che tramite la pulizia si ha un miglioramento delle prestazioni

del sistema, ma non un recupero completo del flusso, probabilmente a causa di particelle

bloccate all’interno della matrice del filtro.

Figura 3.37 Analisi SEM del filtro 7 prima (sinistra) e dopo (destra) il lavaggio per controflussaggio.

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98

0 2 4 6 8Energy (keV)

0

50

100

cps

C

CrFe

Na

Si Mo

Cl

Cl K

Ca

Cr

Cr

Fe

FeNiNi

0 2 4 6 8Energy (keV)

0

20

40

60

cps

C

CrFeNiNiNa

AlSi Mo

Cl

KCa Cr

Cr

Fe

FeNiNi

Figura 3.38 Analisi SEM e EDS del filtro 7 dopo il lavaggio in controcorrente.

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99

Sulla base degli esiti di queste analisi, si è deciso di condurre alcuni test con delle polveri

graduate, allo scopo di valutare l’effetto da queste prodotto sul filtro e quindi sul flusso del

fluido.

Poiché gli esami microscopici hanno evidenziato la presenza di carbonio fra le particelle

estranee presenti nella matrice del filtro, e poiché l’origine di questo può essere associata al

deterioramento delle palette della pompa (appunto in carbonio), si è deciso di effettuare i test

con polveri di carbonio.

Sono state testate 4 tipologie differenti di:

- 0,4-12 µm polvere di carbonio vetroso

- 20-50 µm polvere di carbonio vetroso

- 80-200 µm polvere di carbonio vetroso

- fino a 75 µm polvere di carbonio (non vetroso)

La polvere è stata introdotta a monte del primo filtro (PP4), ed il vuoto è stato fatto a valle

del secondo filtro per forzare tutta la polvere inserita a fluire verso i filtri, in modo che non

venisse persa polvere nella direzione opposta del circuito.

3.9.1 Polvere 0,4-12 µm

Si è iniziato il test con le polveri a granulometria minore: queste sono composte da particelle

sferiche di carbonio vetroso con diametri compresi tra 0,4 e 12 µm. Il campione di polvere

pesato era di 0,25 g ma, in seguitò alla difficoltà derivanti dalla manipolazione di polveri così

fini, si può considerare che solo il 50% dell’originaria quantità di polvere sia entrato

effettivamente nel circuito.

Dopo aver introdotto la polvere nel circuito tramite una “T” Swagelok si è passati, seguendo

la procedura stabilita, ad effettuare il vuoto nell’impianto.

All’apertura della sezione di test, è stato possibile vedere il flusso di una grande quantità di

polvere attraverso il primo filtro (PP4) e attraverso il secondo (PP3), quindi nei capillari e

all’interno del settore. Era questo un comportamento che ci si aspettava da questo tipo di

polvere, essendo di granulometria molto inferiore della matrice media del filtro (60 µm). Sin

dall’avvio, il flusso risulta comunque sensibilmente ridotto passando da 3,12 g/s (flusso con

due filtri puliti da 60 µm in serie) a 2,8 g/s.

Nel grafico seguente si riporta il valore del flusso per diverse posizioni della valvola di

regolazione, come misura dell’impedenza fornita dai filtri e dalla polvere. Come riferimento si

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100

riportano le curve relative a filtro pulito e filtro otturato a spot con colla epossidica (~ 50%

della superficie otturata).

Si noti come la riduzione di flusso dovuta alla polvere sia decisamente maggiore rispetto ai

casi di riferimento.

Il filtro PP3 mostra una caduta di pressione Dp=600 mbar: tale valore assieme alla riduzione

della pressione PP4 indicano come la principale otturazione sia nel filtro PP4 (dove viene

inserita la polvere) e, in proporzione minore, sul filtro PP3 come dimostra l’aumentata Dp

sul filtro. Come si vedrà più avanti, le analisi SEM e EDS proprio sul filtro PP3 utilizzato in

questo test, confermeranno la presenza di polvere sulla superficie del filtro.

In Fig. 3.39 vengono raccolti i risultati ottenuti in questo test, in termini di caduta di

pressione sul filtro Dp in funzione del flusso per diversi valori della potenza applicata al

settore. Come riferimento si sono riportano ancora le curve relative a filtro pulito e filtro

otturato a spot con colla epossidica (~ 50% della superficie otturata).

Come si può vedere, la polvere causa un notevole incremento della caduta di pressione sul

filtro, anche rispetto al caso di superficie otturata per il 50 % con colla epossidica.

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5

4

0 2 4 6 8

Flo

w [

g/s]

Valve position

Flow vs Valve position

0 W

100 W

125 W

spot filter (0 W)

60 um clean filter

Figura 3.39 Andamento del flusso al variare del grado di chiusura della valvola con polvere 0,4-12 µm.

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101

E’ stato poi effettuato un breve test di potenza (applicando al settore 133 W, 175W e 220 W)

con i risultati evidenziati nel seguente grafico:

Come si può vedere si ha una leggera diminuzione di flusso all’aumentare della potenza

applicata, come succedeva nel caso di filtri puliti, senza l’evidenza di ulteriori effetti. Sembra

perciò che, relativamente all’effetto della potenza applicata al settore, il sistema otturato si

comporti come il sistema pulito.

Per aumentare il grado di intasamento è stata poi inserita una seconda boccetta di polvere,

dello stesso peso della prima. In questo caso l’inserimento è stato più preciso e si può

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0 1 2 3 4

Dp

[b

ar]

Flow [g/s]

Dp vs Flow

0 W

100 W

125 W

150 W

60 um clean filter (0W)

spot filter (0 W)

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

0 50 100 150 200 250

Flo

w [

g/s]

Power [W]

Flow vs Power

Flow [g/s]

Figura 3.40 Curve Dp-flusso con polvere 0,4-12 µm.

Figura 3.41 Andamento del flusso al variare della potenza applicata al settore con polvere 0,4 12 µm.

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102

considerare che solo il 30% della polvere originaria sia andato perduto. In questa fase i

parametri di funzionamento del sistema sono cambiato come riportato in Tabella 3.13.

Caratteristiche PP4 Dp Flow Note

Inserimento II boccetta polvere (0 W)

3,178 0,585 2,337

100 W 3,225 0,554 2,260

Inserimento I boccetta polvere

3,450 0,598 2,840

Filtri puliti 3,424 0,424 3,120

Come si può vedere, il secondo inserimento causa un’ulteriore riduzione del flusso mentre il

Dp sul secondo filtro resta costante (mentre ci si aspetterebbe che diminuisse al diminuire del

flusso). Questo significa che ulteriore polvere, passata attraverso il primo filtro, si è

depositata sul secondo. Inoltre, la diminuzione della pressione a monte PP4 implica una

aumento della caduta di pressione sul primo filtro (purtroppo non misurabile) per l’effetto di

ostruzione della nuova polvere introdotta. Anche in questo caso è stato fatto un breve test di

potenza che ha confermato i risultati precedenti (Fig.3.42).

0

0,5

1

1,5

2

2,5

0 50 100 150 200

Flo

w[g

/s]

Power [W]

Flow vs Power

Flow [g/s]

Figura 3.42 Andamento del flusso al variare della potenza applicata al settore dopo il secondo inserimento di polvere 0,4-12 µm.

Tabella 3.13

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103

Sui filtri utilizzati in questo test sono state effettuate delle analisi SEM e EDS. Si è così

stimato in circa il 25% della superficie l’area otturata dalle polveri nel filtro PP4 e si è

confermata la presenza di numerose particelle anche sulla superficie del filtro PP3 (Fig. 3.43)

dimostrando come delle particelle di diametro compreso tra 0,4 e 12 µm, possano

attraversare la matrice porosa di un filtro da 60 µm e depositarsi sulla matrice del filtro

successivo.

Figura 3.43 Analisi SEM del filtro utilizzato nei test con polveri 0,4-12 µm.

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Dopo aver installato nuovi filtri è stata introdotta, sempre con la medesima procedura, una

quantità doppia (0,5 g) di polvere ancora della granulometria minore (0,4-12 µm).

Questi i risultati:

PP4 [bar] Dp [bar] Flow [g/s]

2,478 0,355 1,15

Come era previsto, si ha una drastica diminuzione del flusso: si passa dai 3,12 g/s che si

hanno con filtri puliti a 1,15 g/s. La riduzione della pressione PP4 implica che molta polvere

è rimasta bloccata a monte del primo filtro e il ridotto Dp sul secondo filtro suggerisce che

non molta polvere aggiuntiva si è depositata sul filtro PP3.

Si è provato ad alimentare il settore in queste condizioni a diverse potenze per valutarne gli

effetti sull’efficienza di raffreddamento. Com’è stato possibile valutare anche tramite una

termocamera, se si mantiene la potenza al di sotto dei limiti consentiti dal flusso disponibile

di fluido refrigerante, per evitare il dryout, il sistema riesce a raffreddare senza problemi lo

stave. Con il flusso disponibile, si calcola che la potenza massima che il sistema riesce a

smaltire senza incorrere in dryout è:

dove i valori di entalpia del vapore e del liquido sono stati calcolati a 16°C, che è la

temperatura di evaporazione all’interno del settore.

Per potenze superiori, invece, si incorre necessariamente nel dryout alla fine del settore, con

conseguente aumento della temperatura dello stave (comportamento che si ha anche senza le

polveri e in condizioni ottimali di funzionamento).

Figura 3.44 Analisi termografica delle estremità del settore alimentato con 100 W dopo il test con le polveri 0,4-12 µm.

Tabella 3.14

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105

3.9.2 Polvere 80-200 µm

Dopo i test con le polveri a granulometria minore, si è passati a studiare quelle a

granulometria maggiore, che presentano diametri delle sfere compresi tra 80 e 200 µm. Ogni

campione è ancora del peso di 0,25 g ma in questo caso, a differenza di prima, il campione

non viene introdotto tutto allo stesso tempo ma in momenti diversi, per evitare che tutta la

polvere si compatti sulla superficie del primo filtro: ciò consente di avere una situazione più

simile alla realtà (si pensa infatti che nelle linee in caverna la polvere eventualmente presente

si sia depositata sul filtro in un periodo di tempo relativamente lungo, dell’ordine di alcuni

mesi).

Si riportano di seguito i valori ottenuti durante i test (si può considerare che ogni

introduzione di polvere riguardi circa 0,05 g di polvere).

Descrizione Power [W] PP4 [bar] Dp [bar] Flow [g/s] Note

Primo inserimento

0 W 3,360 0,498 2,819

100 W 3,390 0,470 2,715

Secondo inserimento

0 W 3,305 0,460 2,8

100 W 3,350 0,430 2,684

Stop&start 0 W 3,280 0,460 2,815

Night stop 0 W 3,310 0,490 2,778

Terzo inserimento

0 W 2,217 0,080 0,775

100 W dryout

All’avvio del flusso non sono visibili molte particelle attraversare i due filtri, essendo la

granulometria delle polveri (80-200 µm) maggiore della maglia media del filtro (60 µm).

Figura 3.45 Analisi termografica del settore con potenze superiori a 100 W dopo il test con le polveri 0,4-12 µm. Principio di dryout.

Tabella 3.15

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106

Già dopo il primo inserimento di polvere, si raggiungono condizioni di deflusso simili a

quelle ottenute con un’intera boccetta da 0,25 g di polvere 0,4-12 µm: il flusso scende a 2,8

g/s e scende la pressione PP4 per la caduta di pressione dopo il primo filtro. Non è invece

facile spiegare il relativamente alto valore di Dp sul filtro che può essere dovuto o a particelle

di polvere rimaste nel circuito dal test precedente, a particelle di diametro minore di quello

dichiarato dal fornitore o a difetti di fabbricazione dei filtri. Il sistema riesce a raffreddare

senza problemi le stave con 100 W applicati al settore.

Con l’introduzione di una seconda quantità di polvere, le condizioni di deflusso restano

pressoché invariate ed anche in questo caso il sistema riesce a raffreddare le stave con 100 W

applicati al settore. Anche con l’improvviso stop del flusso e la seguente ripartenza, il sistema

non presenta rilevanti variazioni nelle condizioni di deflusso.

Dopo il fermo notturno del circuito (si ricorda che l’impianto a termosifone continua a

circolare il fluido refrigerante tramite un by-pass anche quando la sezione di test è chiusa, ad

esempio durante la notte, per ragioni di sicurezza), l’impianto conferma i dati registrati il

giorno precedente.

Con la terza introduzione di polvere, i valori cambiano drasticamente: il flusso presenta una

drammatica riduzione fino a 0,775 g/s, il più basso valore mai ottenuto con questo impianto

con la valvola di regolazione completamente aperta. Se si confrontano i risultati ottenuti nei

test con i filtri otturati con colla epossidica, si può vedere come nemmeno con il filtro

otturato al 90% il flusso fosse così basso. La forte riduzione della pressione PP4 indica che

l’ostruzione è per la maggior parte situata nel filtro PP4 (com’era da aspettarsi visto le

dimensioni medie della polvere) come dimostra anche la caduta di pressione ridotta sul filtro

PP3 (si ricorda che tale valore è diminuito anche in seguito alla diminuzione del flusso,

essendo le due grandezze correlate).

Si può stimare che la quantità di polvere inserita in totale nei tre momenti sia pari a 0,15-0,2

g: questa quantità produce un notevole impatto sul flusso del fluido, come dimostrano anche

i test di potenza effettuati. In tale situazione, infatti, il sistema non è in grado di raffreddare le

stave con 100 W applicati al settore: come si può vedere dall’immagine ottenuta tramite la

termocamera lo sviluppo del dryout alla fine del settore produce un rapido amento di

temperatura. Con tale valore del flusso, il sistema è invece in grado di raffreddare le stave con

soltanto 75 W applicati al settore.

Figura 3.46 Analisi termografica del settore alimentato con 100 W dopo il test con le polveri 80-200 µm. Si noti il dryout alla fine del settore.

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107

3.9.3 Polveri 20-50 µm

A questo punto si è passati a studiare gli effetti delle polveri di media granulometria (20-50

µm). Come nel caso precedente, si è deciso di introdurre la polvere in piccole quantità ed in

momenti diversi, per evitare che tutta la polvere si blocchi sulla superficie del primo filtro.

Prima di iniziare il test, sono state valutate le condizioni iniziali del sistema, con filtri puliti e

senza l’introduzione di polvere, per vedere se si fosse tornati alle condizioni nominali o se il

sistema avesse risentito delle precedenti inserzioni di polvere.

A valvola tutta aperta e con due nuovi filtri da 60 µm, il sistema presenta un flusso di 3,1 g/s:

se si confronta tale valore, con quelli ottenuti nelle stesse condizioni (due filtri puliti da 60

µm in serie) durante la fase di caratterizzazione dei filtri, si può notare come si possa ritenere

trascurabile l’effetto delle polveri precedentemente immesse e si possa quindi considerare che

il sistema sia ritornato alle condizioni iniziali.

Anche in questo caso sono state effettuate tre inserzioni di polvere per un totale di polvere

inserita pari a circa 0,15 g. Ad ogni inserzione si sono valutati i valori della pressione PP4,

della caduta di pressione sul filtro e del flusso con settore spento e con 100 W applicati. Si

sono ottenuti i seguenti valori:

Descrizione Potenza [W] Pressione PP4 [bar]

Dp [bar] Flow [g/s] Note

Prova condizioni

0 W 3,380 0,280 3,100

I inserimento polvere

0 W 3,015 0,217 2,650

100 W 3,075 0,204 2,551

II inserimento polvere

0 W 2,650 0,146 2,135

100 W 2,715 0,138 2,065

III inserimento polvere

0 W 2,168 0,032 0,915

100 W 2,190 0,030 0,895

Stop&Start 0 W 2,138 0,040 0,795

Figura 3.47 Analisi termografica del settore con potenza ridotta a 75 W. Scomparsa del dryout.

Tabella 3.16

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108

Come si può vedere dalla precedente tabella (che riassume i risultati ottenuti durante i test), il

flusso diminuisce sostanzialmente ad ogni inserimento di polvere: 0,45 g/s dopo il primo

inserimento, ulteriori 0,52 g/s dopo il secondo e 1,22 g/s dopo il terzo. Dopo i tre

inserimenti il valore del flusso arriva a 0,915 g/s, valore limite perché il sistema riesca a

raffreddare le stave con 100 W applicati.

Si è quindi effettuato uno stop del sistema (tramite la chiusura della valvola di ammissione

nella sezione di test) e un immediato riavvio. Ciò ha prodotto un’ulteriore diminuzione del

flusso (di circa 0,1 g/s) portando il flusso a valori (0,8 g/s) con i quali non si è più in grado di

raffreddare il settore con 100 W applicati. Tale effetto di variazione del flusso in seguito a

semplici fermate e riavvii del sistema, si è già osservato nell’impianto reale di SPD ma non è

ancora stato spiegato in modo esaustivo. Nella figura seguente vengono riassunti in forma

grafica i valori di flusso ottenuti durante la varie fasi di inserzione della polvere o di stop e

riavvio dell’impianto.

3.9.4 Polveri <75 µm

Si sono infine valutati gli effetti prodotti sul flusso dall’ultimo tipo di polveri, le polveri di

diametro inferiore a 75 µm di carbone non vetroso. Come nel test precedente la polvere è

stata inserita in diversi momenti (in questo caso 4) per un totale di polvere inserita pari a circa

0,15-0,2 g.

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5

4

0 1 2 3 4 5

Flo

w [

g/s]

20-50 µm metal powder Flow trend

0 W powder flow

0 W nominal flow(without filter)

0 W 60+60 um cleanfilters

Inserimenti di polvere

Stop&Start

Figura 3.48 Variazione del flusso in seguito ai vari inserimenti di polvere 20 50 µm

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109

Anche in questo caso, si è voluto valutare le condizioni del sistema con filtri puliti prima

dell’inserimento di nuova polvere per vedere se questo ritorna alle condizioni iniziali. A

valvola tutta aperta il sistema presenta ora un flusso pari a 2,9 g/s quindi leggermente

inferiore ai casi precedenti. Questo può essere dovuto all’effetto delle polveri

precedentemente inserite e depositate lungo la sezione di test e deve essere tenuto in

considerazione nell’analisi dei risultati dei seguenti test.

In Tabella 3.17 si riportano i valori ottenuti durante il test.

Descrizione Potenza [W] Pressione PP4 [bar]

Dp [bar] Flusso [g/s] Note

Condizioni iniziali

0 W 3,159 0,254 2,895 Leggera diminuzione flusso

I inserimento polvere

0 W 2,777 0,173 2,235

100 W 2,822 0,169 2,192

II inserimento polvere

0 W 2,742 0,172 2,183

100 W 2,802 0,166 2,132

III inserimento polvere

0 W 2,565 0,147 1,898

100 W 2,624 0,138 1,839

IV inserimento polvere

0 W 2,422 0,102 1,487

100 W 2,464 0,101 1,457

Nonostante il ridotto diametro delle particelle, sembra che la maggior parte della polvere

rimanga a monte del primo filtro com’è testimoniato dalla forte riduzione della pressione

PP4 e dalla piccola caduta di pressione sul filtro PP3.

Dopo l’ultimo inserimento di polvere, il flusso risulta pari a 1,45 g/s. Purtroppo non è

possibile fare dei confronti precisi tra i valori ottenuti con le varie tipologie di polvere, poiché

non è stato possibile pesare la quantità di polvere inserita nei diversi momenti, e si può dare

solo una stima della quantità di polvere persa per problemi tecnici. Ulteriori studi sono quindi

richiesti per stabilire una correlazione precisa tra quantità di polvere, diametro medio delle

particelle e impedenza prodotta sul flusso. In questo, come nei precedenti test, si ha però la

conferma dell’elevato potere ostruente delle polveri.

3.9.5 Test di stop&start

Un ultimo test è stato effettuato ancora con le polveri di minor diametro e utilizzando una

quantità molto ridotta di polvere ~ 0,05 g. Dopo l’introduzione della polvere, il sistema è

stato ripetutamente fermato e quindi riavviato (stop&start), anche aprendo la sezione di test e

Tabella 3.17

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110

quindi effettuando nuovamente il vuoto sulla linea, per valutare come queste operazioni

agiscano sul flusso, cercando di riprodurre gli effetti di variazione del flusso spesso

sperimentati nell’impianto reale in seguito a semplici arresti dell’impianto e successivi riavvii.

Ipotizzando che tali effetti potessero essere dovuti a polvere depositata sui filtri o in circolo

nelle linee, con lo scopo di cercare di riprodurre tale effetto al banco test, si è inserita una

piccola quantità di polvere nella sezione di test (sempre a monte del filtro PP4) e sono poi

stati effettuate varie operazioni (quali fermate e riavvii dell’impianto, con o senza effettuare il

vuoto nella linea, movimenti meccanici della linea, chiusure improvvise della valvola di

regolazione) registrando i valori del flusso ad ogni operazione effettuata.

In Figura 3.49 si riportano in forma grafica i risultati dei test.

Come si può vedere dalla precedente figura, in seguito alle varie operazioni effettuate il flusso

varia in maniera considerevole: oltre al crollo del flusso in seguito al secondo inserimento di

polvere (ancora una quantità molto ridotta, ~ 0,05 g), si può notare come il sistema subisca

importanti oscillazioni del flusso in seguito al riavvio dopo la chiusura della sezione di test.

3.9.6 Considerazioni

I test effettuati mediante polveri graduate hanno confermato l’elevato potere ostruente delle

polveri: con modeste quantità di polvere (0,15-0,2 g) si sono raggiunti valori di flusso pari a

0,8-0,9 g/s, valori nettamente inferiori anche al caso di filtro otturato fino al 90% della

superficie con colla epossidica.

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5

4

0 5 10

Flo

w [

g/s]

0,4-12 µm metal powder Flow with a small amount of powder

0 W powder flow

0 W nominal flow(without filter)

0 W 60+60 um cleanfilters

inserimento altra polvere

Stop&Start con movimenti linea

Stop&Start

Cambiato filtro PP3

Figura 3.49 Variazione del flusso in seguito alle varie azioni effettuate sul circuito

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111

Si è poi riusciti a riprodurre al banco test gli effetti di variazione del flusso in seguito a stop

dell’impianto e successivo riavvio, come si è osservato nel sistema di raffreddamento di SPD.

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112

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113

Conclusioni Il presente lavoro raccoglie i risultati dei test effettuati presso i laboratori del CERN per lo

studio dell’efficienza del sistema di raffreddamento bifase del rivelatore SPD

dell’esperimento ALICE.

Il sistema di raffreddamento, che in numerosi test effettuati prima dell’installazione

presentava un’efficienza costante e pari a ε=100%, una volta installato nella sala

dell’esperimento ha mostrato una drastica riduzione dell’efficienza ed un continuo degrado

delle prestazioni nel tempo.

Vari studi e considerazioni sul sistema suggeriscono che tale comportamento sia in gran parte

attribuibile ad una parziale occlusione dei filtri presenti nella posizione PP3 dell’impianto.

Tali filtri non sono accessibili (e non possono quindi essere rimossi o visionati) se non

tramite un lungo intervento che che potrà essere effettuato solo nel periodo 2013/2014,

durante il lungo stop tecnico programmato per tutti gli esperimenti in funzione presso LHC.

Nei test presentati in questo lavoro si è cercato di riprodurre sperimentalmente, mediante un

banco-test, le condizioni di ostruzione dei filtri tali da determinare il calo di efficienza subito

dal rivelatore. Per fare ciò, si è dapprima eseguita la caratterizzazione dei filtri (Par 3.4)

misurandone la caduta di pressione in funzione del flusso per diversi valori della potenza

applicata al settore: questa fase ha permesso di ottenere dei valori di riferimento con cui

confrontare i risultati ottenuti con i test successivi. Si è quindi valutata l’influenza della

potenza applicata sul settore in termini di variazione del flusso e della caduta di pressione sul

filtro (Par. 3.5) e l’impedenza fornita dai filtri (3.7). Poichè un’eventuale ebollizione del fluido

refrigerante prima del suo ingresso nel rivelatore potrebbe causare un aumento notevole

dell’impedenza del sistema e una seria ostruzione del flusso, sono stati condotti alcuni test

(Par. 3.6) riproducenti le condizioni che possono determinare una ebollizione anche

localizzata del liquido prima del suo ingresso nel settore. Si è allora visto come, sebbene le

condizioni iniziali del fluido siano tali da evitare ebollizione dello stesso prima dell’ingresso

nel settore, la complessità del percorso idraulico, la presenza di filtri parzialmente occlusi e lo

scambio termico con l’ambiente possono portare in condizioni prossime a quelle di

saturazione.

Infine, si è passati allo studio delle condizioni di deflusso del fluido refrigerante in presenza

di ostruzione dei filtri. Per simulare tale effetto, in un primo caso si è operato un parziale

ricoprimento della superficie del filtro con colla epossidica (Par 3.8). In un secondo caso

sono state utilizzate polveri di dimensioni calibrate per simulare l’effetto di accumulo di

detriti all’interno del circuito di test (Par 3.9).

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L’analisi dei risultati ottenuti ha condotto alle seguenti considerazioni:

- gli effetti di ostruzione del flusso forniti dalle polveri graduate risultano essere più

importanti di quelli forniti dall’otturazione del filtro con colla epossidica;

- è stato osservato (anche con analisi al microscopio elettronico) il deposito di polvere

di piccolo diametro (0,4-12 µm) passata attraverso la matrice di un filtro da 60 µm,

sulla superfice del filtro successivo, sempre di granulometria pari a 60 µm.

- sono stati riprodotti al banco test gli effetti di variazione del flusso in seguito a

semplici arresti e riavvii dell’impianto di raffreddamento, effetti sperimentati più volte

nel sistema reale installato nella sala dell’esperimento.

Il nostro banco test è stato realizzato con lo scopo di riprodurre alcune caratteristiche salienti

del circuito di raffreddamento del rivelatore SPD, anziché una replica del sistema installato

nella sala sperimentale. Questa strategia ha permesso di realizzare alcuni test in tempi

relativamente brevi grazie a un progetto molto semplificato. Il vantaggio è stato quello di

ottenere un sistema facilmente adattabile alle esigenze che scaturivano di volta in volta

dall’esperienza.

I risultati sono estremamente soddisfacenti per due ragioni. La prima è che è stato possibile

riprodurre alcuni aspetti importanti del comportamento di un sistema molto difficile da

simulare. La seconda è che i risultati stessi forniscono indicazioni su come migliorare le

caratteristiche del banco di test in modo da poter studiare più approfonditamente il sistema

reale. Questa attività è già in corso presso il CERN.

In tal modo si potranno eseguire le prove di fattibilità necessarie a supportare la

progettazione dei futuri interventi mirati a ristabilire la massima efficienza di raffreddamento

del rivelatore SPD.

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115

Appendice

A.1 Alcune proprietà del C4F10

A.1.1 Variazione della densità al variare della pressione

1500

1550

1600

1650

1700

0 5 10 15 20 25 30 35

De

nsu

ty [

kg/m

3]

Pressure [bar]

C4F10 Liquid density (@ -5°C)

0

50

100

150

200

250

300

350

400

0 5 10 15 20 25 30 35

De

nsi

ty [

kg/m

3]

Pressure [bar]

C4F10Vapor density (@ 160 °C)

Figura A.1.1 Variazione della densità al variare della pressione per C4F10 liquido a -5°C.

Figura A.1.2 Variazione della densità al variare della pressione per C4F10 gassoso a -5°C.

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116

A.1.2 Variazione della viscosità al variare della pressione

200

220

240

260

280

300

320

340

360

0 5 10 15 20 25 30 35

Vis

cosi

ty [

µP

a·s]

Pressure [bar]

C4F10 Liquid viscosity vs pressure (@ -5 °C)

0

5

10

15

20

25

0 5 10 15 20 25 30 35

Vis

cosi

ty [

µP

a·s]

Pressure [bar]

C4F10 vapor viscosity vs pressure (@ 160 °C)

Figura A.1.3 Variazione della viscosità dinamica al variare della pressione per C4F10 liquido a -5°C.

Figura A.1.4 Variazione della viscosità dinamica al variare della pressione per C4F10 gassoso a -5°C.

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A.2 Termofluidodinamica delle miscele bifase

A.2.1 Introduzione. Principali grandezze caratteristiche del moto bifase

Si consideri il deflusso di una miscela bifase liquido-gas

all’interno di un condotto di sezione A (Fig. A.2.1). Sia AL

la frazione della sezione occupata dal liquido e sia AG la

frazione della sezione occupata dal gas in un determinato

punto del condotto.

Si definisce “velocità media u” di una delle due fasi il rapporto tra la portata volumetrica della

fase considerata e l’area della sezione trasversale occupata dalla fase:

Si definisce poi “portata specifica G” di ciascuna fase il rapporto tra la portata di massa della

fase e l’area della sezione trasversale occupata dalla fase stessa:

Si definisce invece “velocità superficiale J” di ciascuna fase il rapporto tra la portata volumetrica

della fase considerata e l’area A della sezione totale del condotto:

La velocità superficiale J della fase corrisponde alla velocità che la fase avrebbe se fluisse da

sola all’interno del condotto.

Nel processo di ebollizione in convezione forzata di un fluido all’interno di un condotto, il

progressivo cambiamento di fase è accompagnato da un graduale aumento del “titolo del

vapore” x, definito come il rapporto tra la portata di massa del gas ṁG e la portata di massa

totale del fluido in una sezione generica del condotto:

Il volume specifico del vapore, risulta però assai maggiore di quello del liquido perciò, anche

per bassi titoli (x‹0,1), il vapore occuperà gran parte della sezione di deflusso. Risulta perciò

Figura A.2.1 Sezione di un deflusso bifase gas-liquido all’interno di in condotto circolare.

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118

utile definire il parametro “grado di vuoto” α, rapporto tra l’area occupata dalla fase vapore in

una certa sezione rispetto all’area totale della sezione:

Esistono numerose relazioni per il calcolo del grado di vuoto, alcune più semplici ma meno

accurate, altre molto più vicine al fenomeno fisico, ma che richiedono un maggiore sforzo

computazionale. Di seguito vengono presentati alcuni di questi metodi.

Si assuma un modello di deflusso omogeneo della miscela bifase entro il condotto, che

descrive le due fasi come uniformemente miscelate a formare una miscela omogenea di

densità e volume specifico definiti da:

*

+

con una unica velocità media (uL=uG).

Il grado di vuoto si può allora calcolare semplicemente come:

[

]

{

}

A verifica di quanto detto poco sopra riguardo la relazione tra α ed x, si noti come per elevati

valori del rapporto ρL/ρG il grado di vuoto cresca molto più rapidamente del titolo, mentre

per ρL/ρG=1 si ha α=x.

Se invece si adotta il modello di deflusso a fasi separate, nel quale le due fasi vengono

supposte come completamente separate con il liquido che scorre alla velocità uL mentre il gas

con velocità uG, il grado di vuoto può essere calcolato tramite l’equazione di Lockhart-

Martinelli:

dove ΦLtt è detto “moltiplicatore bifase di attrito”, mentre Xtt è il “parametro di Martinelli”, che

verrà introdotto più avanti.

Molti autori consigliano di utilizzare, per il calcolo del grado di vuoto, la versione di Steiner

(1993) dell’equazione di Rohuani-Axelsson (1970):

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119

*( ) (

)

+

Mentre per deflussi verticali con gradi di vuoto α>0,1 (quindi già a partire da ridotti titoli del

vapore, per quanto detto in precedenza) risulta ancora utilizzabile la stessa equazione di

Rouhani-Axelsson (1970):

[[ (

)

] (

)

]

Si definisce “scorrimento tra le fasi” S il rapporto tra la velocità media della fase vapore uG e la

velocità media della fase liquida uL:

Anche per lo scorrimento S esistono in letteratura varie correlazioni, che vengono

brevemente presentate qui di seguito in ordine crescente di accuratezza.

Se si considera il modello di deflusso omogeneo della miscela bifase (uG=uL) risulta

ovviamente:

Secondo Zivi si ha:

La relazione di Chisholm (1973) dà invece:

√ (

)

Secondo Chawla (1967) si può scrivere:

[

(

)

(

)

]

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120

dove:

-

è il numero di Froude della fase omogenea (e ρH=ρL(1-αOM)+ρGαOM) la

relativa densità)

-

ed è valida per 0<x<1.

La correlazione più accurata, sebbene richieda uno sforzo di calcolo leggermente maggiore, è

probabilmente l’equazione del CISE:

dove:

-

- (

)

(

)

- (

) (

)

(

)

(σ tensione superficiale)

Dalla precedente equazione è possibile ricavare la relazione fondamentale che lega titolo del

vapore x, grado di vuoto della miscela α e scorrimento S:

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121

A.2.2 Regimi di deflusso bifase con evaporazione in condotti verticali

A seconda del grado di vuoto presente in una certa sezione e della portata del fluido, si

stabiliscono all’interno del condotto particolari regimi di deflusso, a cui sono associati

determinati meccanismi di scambio termico. La capacità di predire il particolare regime di

deflusso che si realizza in una certa sezione del condotto, è di fondamentale importanza per

una corretta valutazione del coefficiente di scambio termico e delle perdite di carico subite

dal fluido durante il deflusso.

Si consideri il deflusso di un fluido all’interno di un condotto verticale a sezione circolare di

diametro costante, uniformemente riscaldato sulla superficie e si supponga che all’ingresso

del condotto il fluido sia in condizioni di liquido saturo o sottoraffreddato.

Nella prima parte del condotto il calore porta il liquido (se sottoraffreddato) alle condizioni

di saturazione. A questo punto, in alcuni centri di nucleazione, inizia il processo

dell’ebollizione nucleata con produzione netta di vapore. Le bolle che si formano sono

trascinate in seno alla corrente ed il regime che si instaura è detto “bubbly flow”. Le bolle

possono variare in dimensione e forma ma sono tipicamente sferiche e con diametri

sensibilmente minori rispetto al diametro della condotta.

All’aumentare del grado di vuoto, le bolle tendono a crescere ed avvicinandosi, tendono a

riunirsi fino a formare tappi di vapore che si alternano a sacche di liquido. Queste sacche

presentano una forma simile ad un proiettile, con un naso emisferico e una coda più

smussata, e presentano dimensioni paragonabili al diametro del condotto. Tale regime viene

detto “slug flow”.

Al crescere della velocità del fluido (e quindi della portata) la struttura del flusso diventa

instabile a causa del continuo disfacimento e ricomponimento delle sacche di liquido che

assumono una forma più allungata e movimenti caotici. Tale regime è detto “churn flow”. Alla

crescita ulteriore della velocità, il liquido tende a disporsi all’esterno delle lingue di gas, ed il

flusso assume un regime detto “semi-annular flow” avvicinandosi progressivamente alla

conformazione caratteristica del regime descritto di seguito.

Un ulteriore aumento del grado di vuoto sulla sezione confina il vapore al centro del

condotto, mentre il liquido forma un film aderente alla parete: tale regime è detto “annular

flow”. Il vapore presenta una velocità molto maggiore del liquido, perciò l’interfaccia è

disturbata da onde ad alta frequenza: parte del liquido all’interfaccia viene strappato dal film

sotto forma di goccioline e trascinato in seno alla corrente di gas, quindi vaporizzato. Tale

regime, particolarmente stabile, è il regime desiderato nel caso di deflusso bifase all’interno di

condotti, sia per la sua stabilità sia perché l’intero perimetro del tubo è bagnato dal fluido,

cosicché lo scambio termico è ottimizzato e non si hanno punti di dryout (zone di tubo a

contatto con il gas). Nonostante il grado di vuoto sia molto elevato, il titolo è ancora

inferiore al 20-25%.

All’aumentare della velocità del fluido le goccioline di liquido strappate dal gas sull’interfaccia

aumentano di numero e possono aggregarsi a formare ciuffi di liquido in seno alla massa di

gas nella zona centrale del condotto. Tale regime è detto “wispy annular flow”.

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All’aumentare della portata e all’aumentare quindi degli sforzi tangenziali esercitati dalla fase

gas sull’interfaccia liquido-vapore, il film diventa instabile e una quantità sempre maggiore di

liquido viene trascinata all’interno della corrente gassosa sotto forma di goccioline nel regime

che è detto “mist flow”: un film stabile di vapore presso la parete ed una corrente di gas che

trascina gocce di liquido all’interno. In seno alla corrente gassosa continua l’evaporazione

delle goccioline di liquido finché non si ha vapore saturo secco e quindi vapore surriscaldato.

A.2.3 Regimi di deflusso bifase con evaporazione in condotti orizzontali

Nel caso di flusso in condotti orizzontali, i regimi di deflusso che si verificano sono simili a

quelli, appena descritti, che si instaurano nel caso di moto verticale, tranne che per la

tendenza di stratificazione del flusso per effetto della forza di gravità che tende a confinare il

liquido nella parte inferiore del condotto e il gas nella parte superiore.

Nel caso di deflusso orizzontale si verificano allora i seguenti regimi di deflusso:

“Bubbly flow”: come nel caso verticale, tale regime è caratterizzato dalla presenza di bolle di

gas in seno alla corrente liquida; le bolle tendono in questo caso a concentrarsi nella parte

superiore del condotto per effetto del galleggiamento. Solo per elevate portate, in cui

risultano prevalenti gli sforzi tangenziali esercitati della corrente, le bolle risultano

uniformemente distribuite, come nel caso di deflusso verticale.

“Stratified flow”: per basse velocità relative delle fasi liquida e gassosa, le fasi risultano

completamente stratificate, con il liquido che scorre nella parte inferiore del condotto alla

velocità uL ed il gas che occupa la parte superiore e fluisce alla velocità uG maggiore di quella

del liquido. Si possono avere due sottoregimi, stratificato liscio “stratified smooth” o stratificato

Figura A.2.2 Regimi di deflusso nel moto verticale di un fluido bifase.

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123

ondoso “stratified wavy” a seconda che la portata sia più o meno elevata, e si instaurino quindi

onde di instabilità sulla superficie di separazione delle fasi.

“Intermittent flow”: nel regime intermittente di deflusso orizzontale, la massa di liquido è

separata da sacche di gas, formatesi in seguito alla coalescenza delle bollicine di vapore. A

seconda della velocità del fluido, si possono avere due sottoregimi:

- “plug flow”: il deflusso di sacche di liquido è separato da lunghe bolle di vapore che

aderiscono alla parte superiore del condotto (per questo viene spesso chiamato anche

“elongated bubble flow”); il diametro delle bolle di gas è minore del diametro del

condotto, perciò la sezione inferiore del tubo è costantemente bagnata dal letto

liquido, mentre nella parte superiore il deflusso di liquido è alternato alle bolle di

vapore. Tale regime si verifica per basse portate del fluido;

- “slug flow”: per portate maggiori, il diametro delle bolle diventa paragonabile al

diametro del condotto, perciò il deflusso risulta caratterizzato da grandi bolle di

vapore che separano sacche di liquido, al cui interno è trasportata anche la fase gas

sotto forma di goccioline.

Entrambi i regimi sono caratterizzati da una forte intermittenza del deflusso, in quanto, al

passare delle sacche di vapore la portata massica è ridotta, mentre aumenta molto al fluire

delle sacche di liquido.

“Annular flow”: come nel caso di deflusso verticale, il liquido forma un film lungo tutto il

perimetro del tubo ma, per effetto della gravità, tale film presenta spessore minore nella parte

superiore ed un letto più consistente di liquido in quella inferiore. All’aumentare della

velocità del fluido, l’interfaccia liquido-vapore diventa molto frastagliata e presenta onde ad

alta frequenza soprattutto nel letto liquido inferiore (si parla spesso di “wavy-annular flow”) che

strappano goccioline di liquido e le includono all’interno del flusso di gas. La parte superiore

del condotto, causa il ridotto spessore del film liquido, è la prima che evapora

completamente fino a che si ha una parte del condotto lambita dalla sola fase gas (dry out).

“Mist flow”: per elevate portate, gli sforzi tangenziali della fase gas sono così elevati da

strappare tutto il liquido dal film esterno ed inglobarlo nella vena gassosa sotto forma di

goccioline. Tutto il perimetro del condotto è allora lambito dal fluido in fase gas e

l’evaporazione ulteriore del liquido porta il fluido nelle condizioni di vapore saturo secco.

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In conclusione, si può affermare che il deflusso bifase in condotti orizzontali presenta regimi

simili al caso di deflusso verticale ma subisce un effetto di stratificazione del liquido per

effetto della forza di gravità. Tale effetto si riduce per elevate portate, dove gli sforzi

tangenziali tra le fasi diventano predominanti: in questo caso i regimi si avvicinano molto al

caso verticale.

A.2.4 Mappe di deflusso

Per cercare di predire il regime di moto assunto da una miscela bifase in una certa sezione di

un condotto, sono state realizzate negli anni una serie di mappe di deflusso che permettono

di stabilire il regime di moto di un fluido bifase a partire da certe caratteristiche

termodinamiche del fluido stesso.

Per il flusso verticale ascendente, una delle mappe più usate è quella di Hewitt e Roberts

(1969), principalmente per flussi aria-acqua e acqua-vapore. Il sistema di coordinate della

mappa presenta in ascissa il flusso della q.d.m. della fase liquida e in ordinata il flusso della

q.d.m. della fase gas:

Figura A.2.3 Regimi di deflusso nel moto verticale di un fluido bifase.

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In seguito Teitel e Dukler (1977) in base ai risultati di una serie di studi teorici sui meccanismi

che determinano la transizione tra i vari regimi, realizzarono una mappa più precisa e

maggiormente in accordo con i dati sperimentali.

Per quanto i riguarda il deflusso orizzontale, una delle prime mappe fu presentata da Baker

(1954) e sviluppata poi da Bell (1970) ma, anche in questo caso, studi teorici condotti da

Teitel e Dukler portarono alla realizzazione di una nuova mappa, il cui utilizzo è oggi

fortemente consigliato per deflussi adiabatici bifase in condotti orizzontali.

Tale mappa considera i seguenti gruppi adimensionali:

*

+

in funzione del parametro di Martinelli Xtt:

𝜌𝐿𝑉𝐿

�� 𝑥

𝜌𝐿

𝜌𝐺𝑉𝐺

�� 𝑥

𝜌𝐿

Figura A.2.4 Mappa di Hewitt-Roberts (1969) per il deflusso verticale di fluidi bifase all’interno di un condotto.

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[(

)

(

)

]

dove (dp/dz)L e (dp/dz)G sono le cadute di pressione per attrito della fase liquida e della fase

gas rispettivamente, che scorrono da sole nel condotto.

Ogni cambiamento di regime è caratterizzato da una certa curva di transizione all’interno

della mappa e la valutazione si effettua con il relativo parametro adimensionale tra quelli

introdotti:

- CURVA 1: è la curva relativa alla transizione tra regime stratificato e regime

intermittente o regime anulare (a seconda del valore di X). Viene valutata tramite il

parametro F.

- CURVA 2: descrive la transizione tra regime anulare ed intermittente e si valuta

ancora tramite il parametro F. Tale curva si riferisce al valore costante X=1,6.

- CURVA 3: è descritta dal parametro K e rappresenta la transizione tra moto

stratificato lineare e moto stratificato ondoso.

- CURVA 4: rappresenta il passaggio tra deflusso a bolle e deflusso intermittente e si

valuta tramite il parametro T (sempre in funzione di X).

Figura A.2.5 Mappa di Teitel-Dukler per il deflusso orizzontale di fluidi bifase all’interno di un condotto.

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Per utilizzare la mappa di Teitel-Dukler è necessario, per prima cosa, calcolare i valori del

parametro di Martinelli Xtt e del numero di Froude Fr. Entrando con questi valori all’interno

della mappa, se il punto risultante si trova all’interno della regione anulare, allora si può

concludere che il regime di moto è anulare. Se invece il punto si trova nella regione in basso a

sinistra del grafico, allora è necessario calcolare il numero K per la distinzione tra moto

stratificato e moto perturbato. Se, infine, il punto Fr-X si trova nella parte destra del grafico è

necessario calcolare T per la distinzione tra flusso a bolle e flusso intermittente.

Tutte le mappe finora descritte, sono relative a deflussi adiabatici, anche se spesso sono

utilizzate per deflussi diabatici come quelli relativi a evaporazione e condensazione del fluido.

Importanti studi per la determinazione dei regimi di moto nel caso di deflusso con

evaporazione sono stati condotti da Kattan, Thome e Favrat (1998) per tubi di piccolo

diametro, come quelli che caratterizzano gli evaporatori. Tali studi hanno portato alla

realizzazione di una mappa di deflusso per moti con evaporazione, che presenta in ascissa il

titolo del fluido e in ordinata la portata di massa. Vengono introdotti i 6 seguenti parametri

geometrici adimensionali:

dove:

- PL e PG sono rispettivamente il perimetro bagnato ed il perimetro asciutto del tubo;

- AL e AG sono le sezioni di deflusso della fase liquida e della fase gas;

- h è l’altezza del liquido stratificato alla base del condotto;

- Pi è l’estensione dell’interfaccia tra le fasi nella sezione;

- di è il diametro interno del tubo, usato per adimensionalizzare i parametri.

Figura A.2.6 Rappresentazione dei parametri utilizzati nel metodo Kattan-Thome-Favrat (1998).

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128

Essendo h una incognita, è necessario un processo iterativo per determinare hLd. Una volta

noti i 6 parametri adimensionali, il regime di deflusso può essere calcolato dalle caratteristiche

termodinamiche del fluido.

La mappa presenta le seguenti curve di transizione:

- curva di transizione tra regime stratificato (S) e stratificato ondoso (SW);

- curva di transizione tra regime stratificato ondoso (SW) e intermittente anulare (I/A);

- curva di transizione tra regime intermittente e regime anulare;

- curva di transizione tra regime anulare e regime mist.

Opportune equazioni (per la conoscenza delle quali si rimanda al lavoro di Kattan, Thome e

Favrat) permettono di determinare le portate che segnano la transizione di fase per ogni

valore del titolo della miscela e che consentono così di determinare il regime di deflusso del

fluido.

Figura A.2.7 Mappa dei regimi di deflusso per il moto di fluidi bifase con evaporazione (Kattan-Thome-Favrat).

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129

A.2.5 Perdite di carico

Come si è visto per il grado di vuoto α e per lo scorrimento S, anche per il calcolo delle

perdite di carico per un deflusso bifase sono state sviluppate negli anni numerose

correlazioni, che dipendono molto dal modello che si assume per descrivere il deflusso della

miscela. Di seguito si presentano le più significative.

Modello omogeneo

Come si è già avuto modo di dire, il modello omogeneo del deflusso di una miscela bifase

assume che le due fasi siano miscelate in maniera del tutto omogenea e viaggino alla stessa

velocità (uG=uL, cioè S=1).

La densità della miscela si calcola come:

con αOM dato dalla (A.2.7).

La perdita di carico totale Δpt si compone di tre fattori: perdita di carico statica Δps (legata

alla variazione di altezza e quindi di energia potenziale), la perdita di carico per variazione

della quantità di moto Δpm (legata alla variazione di energia cinetica del flusso) e la caduta di

carico per attrito Δpf:

La perdita di carico statica, per una miscela bifase omogenea si può calcolare come:

dove H è la variazione di altezza e θ è l’angolo rispetto al piano orizzontale.

La perdita di carico per variazione di quantità di moto della miscela si può calcolare, per unità

di lunghezza z del tubo, come:

(

)

(

)

Mentre la perdita di carico per attrito si può calcolare come:

dove il fattore di attrito della miscela omogenea si calcola tramite le equazioni valide per il

deflusso monofase:

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con e

Ovviamente, per determinare la caduta di pressione sull’intero tubo, le precedenti equazioni

devono essere integrate passo a passo su sezioni del condotto per le quali si possono ritenere

costanti con buona approssimazione le condizioni di deflusso.

Modello di deflusso a fasi separate

Nel modello di deflusso a fasi separate, si suppone che ciascuna fase fluisca completamente

separata dall’altra, ognuna con la propria velocità media.

Ancora, la perdita di carico si può considerare somma di tre addendi ().

In questo caso, per la caduta di pressione statica si ha:

dove la densità bifase si calcola come:

nella quale il grado di vuoto α si può calcolare, ad esempio, con l’equazione di Steiner (),

mentre la perdita di carico per variazione della quantità di moto risulta:

,*

+

*

+

-

Se, come nel nostro caso, il deflusso avviene in un tubo orizzontale (per il quale Δps=0),

qualora sia possibile misurare la caduta di pressione totale sul tubo, sottraendo al valore così

misurato la caduta di pressione per variazione della quantità di moto, calcolabile con la

precedente equazione, è possibile ricavare la perdita di carico per attrito.

In alternativa, esistono diverse correlazioni che permettono di calcolare Δpf.

Uno dei primi metodi introdotti per calcolare le perdite di carico per attrito in una miscela

bifase a fasi separate è il metodo di Lockhart-Martinelli (1949).

L’idea è quella di correggere il valore della perdita di carico per attrito calcolata per la singola

fase tramite degli opportuni moltiplicatori bifase. Perciò risulta:

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con ΔpL e ΔpG perdite di carico per attrito calcolate rispettivamente per la sola fase liquida e

per la sola fase gas.

I moltiplicatori bifase, si possono invece calcolare come:

dove il parametro di Martinelli Xtt per entrambe le fasi in regime turbolento è si calcola come:

(

)

(

)

(

)

mentre il parametro C dipende dai regimi assunti rispettivamente dalla fase liquida e da quella

gassosa secondo la seguente tabella:

Liquido Gas C

Turbolento Turbolento 20

Laminare Turbolento 12

Turbolento Laminare 10

Laminare Laminare 5

Più tardi (1979) Friedel introdusse un nuovo metodo sempre basato sui moltiplicatori bifase

(Δpf=ΔpLΦLO2), e maggiormente in accordo con i risultati sperimentali che si andavano via

via raccogliendo.

con

-

-

- (

)

(

)

(

)

Tabella A.1

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A.2.6 Il coefficiente di scambio termico in ebollizione all’interno di tubi

Con il procedere dell’evaporazione del fluido lungo il tubo, varia il titolo del vapore della

miscela, variano i regimi di deflusso della miscela e con essi variano le caratteristiche

termodinamiche e fluidodinamiche del flusso. Come conseguenza di tutti questi effetti, si ha

anche una variazione del coefficiente di scambio termico, come si può vedere nella seguente

immagine.

In generale, si nota un aumento

del coefficiente convettivo con

l’aumentare del titolo finché non si

raggiungono le condizioni di dry-

out parziale o totale, cioè quando

una parte, o tutta la circonferenza

del tubo in una determinata

sezione è a contatto con il vapore

in seguito all’evaporazione del film

liquido.

In queste condizioni si ha una

brusca caduta del coefficiente di

convezione dovuta alle ridotte

proprietà di scambio termico della fase gas rispetto alla fase liquida. Questo porta ad un

repentino incremento della temperatura di parete (se il flusso termico alla parete è mantenuto

costante, come avviene nel nostro caso all’interno dell’evaporatore del detector) fino a valori

che possono risultare critici per la parete stessa o per gli elementi ad essa collegati.

Nel caso si SPD, un aumento eccessivo della temperatura di parete può portare al

deterioramento della grease termica che collega il tubo evaporatore ai chip ed al conseguente

danneggiamento di questi ultimi per surriscaldamento (in quanto il calore generato dai chip

non viene più asportato efficientemente). Per evitare che accada ciò, SPD è dotato di un

sistema di controllo che rileva la temperatura dei singoli stave: quando questa raggiunge il

livello di allarme, il sistema provvede a spegnere lo stave per salvaguardarne l’integrità. Ma,

poiché lo spegnimento degli stave causa una riduzione della quantità di dati ottenuta durante

gli esperimenti, questo deve essere il più possibile limitato cercando di evitare il dryout nella

zona del settore.

Come nel caso di deflusso monofase, il coefficiente convettivo può essere introdotto a

partire dalla relazione di Newton che nel caso di deflusso bifase diventa:

( )

Figura A.2.8 Coefficiente di scambio termico e regimi di deflusso nel moto orizzontale con evaporazione (Kreith, 2000)

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Dove q è il flusso termico specifico alla parete (ipotizzato costante), Tp è la temperatura

locale della parete, Tsat è la temperatura di saturazione alla pressione locale del fluido ed αtp è

il coefficiente convettivo di scambio termico bifase.

Nel processo di scambio termico di un fluido bollente in convezione forzata all’interno di un

tubo alle cui pareti è presente un flusso termico uniforme e costante, si ritiene che il processo

complessivo sia dovuto al contributo di due fenomeni:

- ebollizione nucleata;

- ebollizione convettiva.

Dalle precedenti considerazioni si può ritenere che il coefficiente di scambio termico

convettivo bifase sia la somma di due componenti: il coefficiente di scambio termico legato

alla sola ebollizione nucleata αnb e quello legato invece alla sola ebollizione convettiva αcb:

Questa equazione, dovuta a Chen (1963), è forse una delle prime correlazioni per il

coefficiente di scambio termico convettivo bifase.

Durante i suoi studi per dare una forma operativa alla precedente equazione, Chen notò i

seguenti fenomeni:

- il maggior gradiente di temperatura alla parete che si ha nel liquido in convezione

forzata rispetto all’ebollizione statica, in parte riduce la nucleazione, riducendo αnb; se

ne tiene conto introducendo il fattore di soppressione S;

- il vapore formatosi dall’ebollizione del liquido, aumenta la velocità del fluido e quindi

il coefficiente di scambio termico rispetto al caso monofase: è quindi necessario

introdurre un parametro F che tenga conto dell’aumento del coefficiente di

convezione rispetto al caso monofase, dovuto all’evaporazione.

Egli giunse quindi alla seguente espressione:

dove αnb viene calcolato tramite la correlazione di Forster-Zuber (1955) per l’ebollizione

nucleata:

[

]

con Δtsat=Tp-Tsat e Δpsat=pp-psat (dove il pedice p si riferisce ai valori alla parete del

tubo).

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Il coefficiente S di riduzione si calcola come:

dove (con F dato dalla (A.2.38)).

Il coefficiente di scambio termico convettivo per la sola fase liquida si calcola ad esempio con

l’equazione di Dittus-Boelter (1.70) usando come portata del liquido .

Infine, il “moltiplicatore bifase di Chen” F, che tiene conto dell’aumento di αL dovuto

all’ebollizione, risulta essere:

(

)

Con il procedere degli studi sull’ebollizione altre correlazioni si sono aggiunte, spesso

estrapolate dall’enorme banca dati che si andava formando. La maggior parte di queste

relazioni presenta la medesima forma che è la seguente:

dove l’esponente n varia da autore ad autore e vale:

n=1 Chen (1963) (semplice somma dei due fattori)

n=2 Kutateladze (1961) (in cui viene enfatizzato il fenomeno prevalente)

n=3 Steiner-Taborek (1992)

n=∞ Shah (1982) (dove viene considerato solo il maggiore dei due fattori).

I metodi testé descritti si riferiscono ad ebollizione in deflussi verticale. Per deflussi

orizzontali, i metodi utilizzati spesso sono degli adattamenti dei metodi precedenti, in molti

casi realizzati dagli stessi autori.

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Bibliografia

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Ringraziamenti

Le prime persone che devo ringraziare per la realizzazione di questa tesi sono sicuramente

Francesca, la mia relatrice, che con grande disponibilità mi ha guidato nella stesura del lavoro

e Rosario, il mio correlatore, che ha dedicato con pazienza molto del suo tempo ad aiutarmi

in ogni minima difficoltà e dal quale ho imparato veramente molto. Devo poi ringraziare

Claudio per la sua amicizia e per l’importante supporto che mi ha fornito durante tutto il mio

periodo a Ginevra. Un ringraziamento particolare alla mia famiglia, a Giorgio, Esterina,

Claudia, Giorgia, Roberto, Elisa, Adriano, Marco e Jole, per il loro aiuto durante tutti questi

anni di studio e alla mia ragazza Edit, vicina a me in ogni momento.

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