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UNIVERSI A CONFRONTO La contrapposizione fra l'atteggi amento ascetico di Bernardo da Clairvaux e quello «mondano» di Suger, aba- te di Saint-Denis, costituisce uno dei nodi tondamentali per la comprensione di una «estetica» medioevale alle so- glie dell'affermazione della nuova maniera, del gotico, che viene tradizionalmente individuata proprio nel ria- dattamento dell'antica chiesa carolingia di Saint-Denis. E sufficiente da questo punto di vista riferisi al saggio del 1946 d i Erwin Panofsky dedicato al ritratto storico-psico- logico dell'abate di Saint-Denis per avere un quadro rias- suntivo del problema. Nella sua polemica con l'abate, considerato a tutti gli effetti il principale responsabile della corruzione dell'anti- ca regola e dell'abbondanza scandalosa di lusso e di mon- danità presenti nell'abbazia, Bernardo coglie l'occasione della correzione di rotta operata nel 1127 come segno provvidenziale del ravvedimento: «Era contro i vostri er- rori, non contro quelli dei vostri monaci che lo zelo delie- persone sante indirizzava le sue critiche. Era per i vostri eccessi, non per quelli dei vostri monaci, che esse erano adirate. E stato contro di voi, non contro l'abbazia, che si sono levati i mormorii dei vostri fratelli... Se voi aveste continuato (nell'errore), quella vostra pompa e fasto avrebbero potuto apparire un po' troppo insolenti... Alla fine comunque, voi avete dato soddisfazione ai vostri cri- tici e perfino aggiunto qualcosa che possiamo giustamen- te lodare» (cit. in Panofsky, 1962 p. 118). La correzione «fraterna» dell'asceta al mondano sanci- sce una tregua fra i due personaggi, ma non impedisce a Suger di portare a compimento la propria opera di edifi- cazione gloriosa e trionfante della casa divina. Ma lo spiri- to di riforma in senso ascetico che preoccupa Bernardo aveva trovato la sua espressione più alta e organica, alme- no per quanto riguarda l'arredo della Chiesa e il problema del lusso nella famosa Apologia ad Wilklmum Abbatem Sancii Theodorici che si propone come sistematica regola di comportamento per i monaci: «Dipinti o sculture a fi- gure non sono tollerati tranne i crocefissi di legno; gem- me, perle, oro e seta erano proibiti; i paramenti sacerdota- li dovevano essere di lino o di fustagno, i candelieri e gli incensieri di ferro; solo i calici si consentiva fossero d'ar- gento o d'argento dorato». Il riferimento al gusto per il prezioso di Suger sembra essere puntualmente condanna- to, avendo quest'ultimo all'opposto del doctor mcllifluus una visione radicalmente diversa del décor dell'abbazia. L'atteggiamento censorio di Bernardo è il polo estre- mo di una dialettica fra ascesi e mondanità, fra prosecu- zione di un décor barbarico che, attraverso il filtro caro- lingio e ottoniano, aveva celebrato la commistione, anche traumatica, fra la Chiesa e l'autorità imperiale o regale. E quindi comprensibile appieno se viene letto come «rea- zione» nei confronti delle degenerazioni e degli eccessi nell'ordine della ricchezza e del mondano, cui abbiamo già fatto riferimento. E lo spirito dei nuovi dissodatori di terre, della folla che fugge dalle tentazioni e dalla rilassa- tezza della città per trovare la serenità nella solitudine e nell'asperità purificante di una natura ostile, da piegare al disegno originale della creazione, che si contrappone e tenta di correggere un sentimento altrettanto radicato nella mentalità medioevale attenta alla materia preziosa, al trasparente del vetro e al riflettente del metallo prezio- so, in una sistematica della materia intrisa di simbologia. La condanna del lusso nella chiesa e nel monastero as- sume toni violentemente radicali; ancora Bernardo: «Di- temi, voi che siete poveri - se siete, tuttavia, poveri - che cosa viene a fare l'oro nel santuario? Ora si appendono nelle chiese non delle corone, ma delle vere ruote coperte di pietre preziose ed ornate da lampade che, d'altra parte, non brillano più delle gemme e delle pietre. Si vedono anche, come candelabri, drizzarsi alberi di bronzo e di pe- so considerevole, meravigliosamente cesellati, risplen- denti di pietre preziose e più ancora delle lampade che reggono». Ciò che Bernardo condanna, richiamando il fe- nomeno per due volte nel breve stralcio citato, è la gara con la luce naturale del fuoco vinta dall'artificiale unione fra pietra, gemma e metallo che la superbia dell'abate e l'abilità dell'artigiano hanno realizzato. L'artificiale che supera il naturale, in una rovinosa china che può distrarre l'uomo, e l'uomo santo oltretutto, il cui intelletto risulta così distratto dalla contemplazione della vera luce. Pur condannando violentemente il lusso e le sue capa- cità distraenti, Bernardo, come è stato giustamente nota- to da Meyer Shapiro, dimostra comunque una attenzione analitica al décor che lo rende in singolare sintonia con 36

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U N I V E R S I A C O N F R O N T O

La contrapposizione fra l'atteggi amento ascetico di Bernardo da Clairvaux e quello «mondano» di Suger, aba­te di Saint-Denis, costituisce uno dei nodi tondamentali per la comprensione di una «estetica» medioevale alle so­glie dell'affermazione della nuova maniera, del gotico, che viene tradizionalmente individuata proprio nel ria­dattamento dell'antica chiesa carolingia di Saint-Denis. E sufficiente da questo punto di vista riferisi al saggio del 1946 di Erwin Panofsky dedicato al ritratto storico-psico­logico dell'abate di Saint-Denis per avere un quadro rias­suntivo del problema.

Nella sua polemica con l'abate, considerato a t u t t i g l i effetti i l principale responsabile della corruzione dell 'anti­ca regola e dell'abbondanza scandalosa di lusso e d i mon­danità presenti nell'abbazia, Bernardo coglie l'occasione della correzione di rotta operata nel 1127 come segno provvidenziale del ravvedimento: «Era contro i vostri er­rori , non contro quelli dei vostri monaci che lo zelo delie-persone sante indirizzava le sue critiche. Era per i vostri eccessi, non per quelli dei vostri monaci, che esse erano adirate. E stato contro di voi , non contro l'abbazia, che si sono levati i m o r m o r i i dei vostri fratelli. . . Se voi aveste continuato (nell 'errore), quella vostra pompa e fasto avrebbero potuto apparire un po' t roppo insolenti.. . Alla fine comunque, voi avete dato soddisfazione ai vostri cri­tici e perfino aggiunto qualcosa che possiamo giustamen­te lodare» (cit . in Panofsky, 1962 p. 118).

La correzione «fraterna» dell'asceta al mondano sanci­sce una tregua fra i due personaggi, ma non impedisce a Suger di portare a compimento la propria opera di edifi­cazione gloriosa e trionfante della casa divina. M a lo spiri­to di riforma i n senso ascetico che preoccupa Bernardo aveva trovato la sua espressione più alta e organica, alme­no per quanto riguarda l'arredo della Chiesa e i l problema del lusso nella famosa Apologia ad Wilklmum Abbatem Sancii Theodorici che si propone come sistematica regola di comportamento per i monaci: «Dipinti o sculture a fi­gure non sono tollerati tranne i crocefissi di legno; gem­me, perle, oro e seta erano pro ib i t i ; i paramenti sacerdota­li dovevano essere di l ino o di fustagno, i candelieri e g l i incensieri di ferro; solo i calici si consentiva fossero d'ar­gento o d'argento dorato». I l riferimento al gusto per i l

prezioso di Suger sembra essere puntualmente condanna­to, avendo quest 'ultimo all'opposto del doctor mcllifluus una visione radicalmente diversa del décor dell'abbazia.

L'atteggiamento censorio di Bernardo è i l polo estre­m o di una dialettica fra ascesi e mondanità, fra prosecu­zione di un décor barbarico che, attraverso i l filtro caro­lingio e ottoniano, aveva celebrato la commistione, anche traumatica, fra la Chiesa e l'autorità imperiale o regale. E quindi comprensibile appieno se viene letto come «rea­zione» nei confronti delle degenerazioni e degli eccessi nell'ordine della ricchezza e del mondano, cui abbiamo già fatto riferimento. E lo spirito dei nuovi dissodatori di terre, della folla che fugge dalle tentazioni e dalla rilassa­tezza della città per trovare la serenità nella solitudine e nell'asperità purificante di una natura ostile, da piegare al disegno originale della creazione, che si contrappone e tenta di correggere un sentimento altrettanto radicato nella mentalità medioevale attenta alla materia preziosa, al trasparente del vetro e al riflettente del metallo prezio­so, i n una sistematica della materia intrisa di simbologia.

La condanna del lusso nella chiesa e nel monastero as­sume toni violentemente radicali; ancora Bernardo: «Di­temi, voi che siete poveri - se siete, tuttavia, poveri - che cosa viene a fare l 'oro nel santuario? Ora si appendono nelle chiese non delle corone, ma delle vere ruote coperte di pietre preziose ed ornate da lampade che, d'altra parte, non brillano più delle gemme e delle pietre. Si vedono anche, come candelabri, drizzarsi alberi di bronzo e di pe­so considerevole, meravigliosamente cesellati, risplen­denti d i pietre preziose e più ancora delle lampade che reggono». Ciò che Bernardo condanna, richiamando i l fe­nomeno per due volte nel breve stralcio citato, è la gara con la luce naturale del fuoco vinta dall'artificiale unione fra pietra, gemma e metallo che la superbia dell'abate e l'abilità dell'artigiano hanno realizzato. L'artificiale che supera i l naturale, in una rovinosa china che può distrarre l 'uomo, e l 'uomo santo oltretutto, i l cui intelletto risulta così distratto dalla contemplazione della vera luce.

Pur condannando violentemente i l lusso e le sue capa­cità distraenti, Bernardo, come è stato giustamente nota­to da Meyer Shapiro, dimostra comunque una attenzione analitica al décor che lo rende in singolare sintonia con

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quanto condanna. Quest'ultima è tanto più drastica quanto più l'influsso negativo dell'apparato può soddisfa­re la sensibilità dell 'uomo del X I I secolo.

Questo programma di riforma, questo desiderio di ascesi e di condanna del superfluo si esprimono nell'agire di Bernardo ma i l personaggio è un esemplare di una folla ben più ampia, con i l ridisegno dell'Abbazia certosina e la censura nei confronti della tradizionale miniatura mona­stica, che viene drasticamente e traumaticamente ridotta al silenzio. La capacità «distraente» dell 'oro e delle gemme si accompagna a una censura dell ' immagine, sia essa d i ­pinta o scolpita, altrettanto puntuale. U n passo celebre dell'Apologia si scaglia contro la «selva» di figure che l ' i m ­maginario alto medioevale aveva espresso fra l 'Alvernia e la Spagna: «Nel chiostro, sotto g l i occhi dei confratelli che leggono, a che giovano quei ridicoli mostri , quella meravigliosa e deforme bellezza, quella bella deformità? A quale fine stanno lì quelle immonde scimmie, quei fe­roci leoni, quei mostruosi centauri, quei mezzi-uomini, quelle t igri coperte di strisce, quei cavalieri che si batto­no, quei cacciatori che si sfiatano nei loro corni? Si vedo­no là mol t i corpi sotto una testa sola, o ancora molte teste sopra un corpo singolo... Insomma tante e tanto meravi­gliose sono le varietà di figure da ogni lato, che siamo più tentati di leggere nel marmo che nei nostri l i b r i , e d i pas­sare i l giorno intero a stupire di queste cose piuttosto che a meditare sulla legge divina. Per l'amor di D i o , se g l i uo­mini non si vergognano di queste pazzie, perché non si fanno trattenere almeno dalla spesa?».

Anche se particolarmente noto e variamente com­mentato, lo stralcio dall'Apologia si inquadra perfettamen­te in quell'atteggiamento di «riforma» del costume deca­duto che anima Bernardo, in una condanna e censura dell'immagine sia essa dipinta o scolpita di importanza decisiva nella nostra ricognizione.

Avendo come termine di riferimento letterario la fantasia metamorfica della letteratura sapienziale e in particolare dell'Apocalisse, della rivelazione per simboli , l'elenco dettagliato della «deforme bellezza» e della «bella defor­mità» costituisce una impressionante sintesi del bestiario ereditato dal mondo greco e da quello arabo che si insi­nua nel décor romanico aggredendo, in un complesso in­treccio con i l vegetale, anch'esso fantastico, l'architettura romanica come i margini dei manoscritti, denunciando una sensibilità impaginativa e tabulatrice di invidiabile ricchezza e spregiudicatezza. Fantasia e osservazione del reale, immagine direttamente citata dall'antico reperto o solamente descritta nei testi, reperti quotidiani e soggetti di un repertorio «lontano» dal punto di vista geografico, provenienti da quelle regioni orientali che si affacciano costantemente come interlocutrici sempre suadenti, nell'attrazione come nell'errore vengono imprigionati nel medesimo disegno impaginativo. Ma l'arco di gloria delle cattedrali spagnole o i t impani d i quelle francesi hanno una funzione di richiamo nei confronti di una folla di fedeli attratti dalla meraviglia, dalla ricchezza e

dall'opulenza fantastica della decorazione. Lo stesso Ber nardo concede alla chiesa secolare questo particolare pri­vilegio accordato alle immagini e alla loro capacità sugge­stiva, una volta che ad esse venga associato i l materiale-prezioso. I I monaco ha abbandonato quanto può soddi­sfare i sensi, «diverso è i l caso dei vescovi... Infatti so che costoro, che sono alle prese sia con gl i ignoranti che con i sapienti, cercano di risvegliare attraverso ornamenti sen­sibili la devozione d i una gente sulla quale le cose de l lo spirito non hanno molta presa». I termini della contesa sulle immagini e sul lusso devono allora essere corretta­mente interpretati una volta che si consideri i l soggetto che Bernardo prende in esame: non la Chiesa a contatto con i fedeli da abbacinare con l 'oro e stupire con le di ­mensioni degli edifici, ma la Chiesa degli «uomini santi», sensibili alle cose spirituali per vocazione. E da ricordare oltretutto come i l modello «monastico» si ponga progres­sivamente come modello del cristiano «perfetto», i l M o ­nastero si offre come «Domus conversionis» in conflitto radicale con i l «secolo» alle cui vanità si rifugge appunto accettando l 'ordine.

I n una interpretazione forte dell'istituzione monasti­ca, in un momento di necessario recupero della purezza della regola originaria come costantemente predicato da Bernardo, come spesso capita i l «ritorno» all'antico può essere interpretato come presuntuosa innovazione: «Quae est ista nova lex? unde ista nova regula? Linde isti -sta si auderem dicere, nova praesumptio et inaudita» pre­dica un ignoto avversario dell'abate. La «presunzione» del rinnovamento della regola scandalizza ma nello stesso tempo attrae un numero sempre più consistente di mona­ci e di simpatizzanti: «In mea Clarevalle... trequens nume­rosità^ tam nobi l ium quam litteratorum novum homi­nem in novitate vitae parturiunt» predica Nicola di Clair­vaux; e l ' immaginario elogiativo dell'apologetica mona­stica può rincorrere le s imil i tudini più fantasiose, asse­condandolo un «bisogno» di «figura» che Bernardo utiliz­za con altrettanta frequenza e regolarità.

Nella sua condanna allora delle decorazioni del chio­stro non sembra venir meno, come afferma Meyer Shapi-ro, i l nesso simbolico di una enciclopedia illustrata del creato capace di accogliere i l quotidiano e l'estraneo, quanto proprio l'inopportunità della decorazione in un ambiente i cui frequentatori non hanno necessità di una introduzione pedagogica al mondo dello spirito, ma ap­punto in nome di quest 'ultimo hanno abbandonato quanto invece si trovano raffigurato negli ambienti di meditazione e di preghiera. I temi della creazione e del giudizio replicano in ogni «Gloria» la loro complessa va­rietà: la gara è quella della completezza delle citazioni per­ché i l singolo edifìcio possa essere perfetto nel narrare at­traverso la decorazione scolpita e affrescata, quest'ultima per buona parte persa nel naufragio delle traversie natura­li e nei cambiamenti di gusto che hanno reso bianchi mu­ri all'origine risplendenti della policromia elementare dei contrasti fra colori primari e secondari, per intero la

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vicenda di creazione, salvezza e condanna del mondo. Ma la necessità di tabulazione deve colpire l'ignoran­

te, chi non frequenta l'equivalente delle immagini , quel testo sacro che costituisce la pietra miliare della salvezza. Ecco allora lo sforzo ascetico, di abbandonare g l i occhi imprecisi e abbagliati dal mondano e dal suo fasto, per raggiungere una più intensa e immediata comunione con i misteri della salvezza meditati direttamente sulla parola, sul Logos, che è lo strumento cui la divinità si è rivelata.

La condanna delle immagini promossa da Bernardo, che come abbiamo detto si applica con la promulgazione di statuti anche alla miniatura di Qteaux, probabilmente a partire del 1150, è quindi relativa al mondo monastico e alla sua particolare regola in un frangente di dic hiarata re­staurazione; il fenomeno, che sembra assumere carattere assolutamente diverso rispetto alle correnti iconoclaste o anti-idolatre d'Oriente, è ulteriore controprova della ca­pacità attrattiva che la pietra o i l muro figurato avevano per l'eterogeneo pellegrino attonito prima davanti alla d i ­mensione monumentale delle fabbriche, successivamente attratto e stordito dalla varietà delle figure e dei materiali che arricchiscono le pareti e i l tesoro della chiesa. E se Bernardo in modo particolare si scaglia contro la «bella» deformità dell'animale fantastico, è proprio per cogliere i l soggetto «periferico» ma certamente non superfluo della creazione che ha i l suo vertice nella figura umana. In que­sta crociata di redenzione dalle tendenze pagane, o dalle reminiscenze idolatre particolarmente fiorenti nel Mas­siccio centrale, Bernardo non è comunque solo: anche-uno dei suoi perseguitati eccellenti, Abelardo, detta a Eloisa, nominata badessa del Paraclito, i l convento fonda­to dal filosofo e votato a una stretta clausura, regole di comportamento in singolare sintonia con quanto prece­dentemente detto. Viene vietato l'uso di stoffe e d i metal­li preziosi; solo i l calice dell'Eucarestia potrà essere d'ar­gento; l'unica decorazione ammessa nella cappella sarà quella della croce di legno, dipinta, per intercessione del padre spirituale, con l ' immagine del crocefisso: «II mon­do, secondo l 'Apostolo, è mor to per queste donne, ed es­se sono morte al mondo; nessuno può vederle mai più... Esse hanno scelto di morire piuttosto che di uscir fuor i ; di giacere innanzi alla soglia della loro clausura, piuttosto che oltrepassarla». I n questo modo una teoria della r inun­cia al mondo si pone come punta estrema e reattiva r i ­spetto alla compromissione e alla mondanizzazione dell'istituzione ecclesiastica con un andamento dialettico che è sempre necessario ricordare una volta si affronti tale immaginario e l'ideologia che lo necessita. All 'esordio di questo paragrafo si è richiamato i l confl i t to di posizione oltre che di mentalità che lega Bernardo di Clairvaux e l'abate di Saint-Denis, Suger; è opportuno r i ­ferirsi allora a quest 'ultimo e alla sua opera di edificazio­ne, nella mondanità, di una chiesa capace di gareggiare con i potenti della terra, anch'essa potente e centrale nelle decisioni politiche come in una anche spregiudicata i m ­prenditorialità economica.

Il programma di Suger è centrato sulla superiorità del­la Chiesa e del suo messaggio: non esiste materia tanto preziosa da essere degna di custodire i frammenti della sua storia raccolti nei reliquiari; eventualmente la scelta del materiale eccellente per purezza e per preziosità ( i l metallo nobile, la gemma) è un necessario riconoscimen­to a tale superiorità. In Suger quel culto del mondano e del lusso che abbiamo visto essere uno degli obiettivi dell'offensiva di Bernardo diventa elemento di una filoso­fìa simbolica di indubbia suggestione. I l vaso prezioso è allora tramite necessario per l'elevazione spirituale dei fe­deli. La scelta, come abbiamo visto, non è senza obiezio­ni , ma anche per questi esiste una risposta esauriente: «I detrattori obbiettano anche che una mente santamente ispirata, un puro cuore, un'intenzione, piena di fede, do­vrebbero bastare per questa sacra funzione; e anche noi esplicitamente e risolutamente affermiamo che queste so­no le cose essenziali. Ma noi siamo convinti che si debba rendere omaggio anche mediante l'esteriore ornamento della sacra suppellettile...».

E evidente la preoccupazione di Suger di cautelare i l proprio programma di arricchimento del décor ecclesia­stico con l'affermazione d'obbligo sulla eccellenza del pensiero retto nell'accostarsi ai misteri della religione; ma questa è affermazione convenzionale; non a caso subito dopo Suger precisa, o meglio corregge i l proprio pensiero sottacendo una critica esplicita alla via ascetica del «di­sprezzo del mondo» attribuibile al proprio grande avver­sario, a Bernardo di Clairvaux; l'ascesi è rinuncia, esclu­sione del mondano, l'idea di Suger è invece quella d i un riscatto della totalità della creazione, in modo particolare di quanto è apprezzato, ammirabile, in sintesi raro e pre­zioso, agli occhi del mondo: «Ma noi siamo convinti che si debba rendere omaggio (alla divinità) anche mediante l'esteriore ornamento della sacra suppellettile... Poiché è sommamente giusto e conveniente che noi serviamo i l nostro Salvatore in tutte le cose, integralmente, Lui che non si è rifiutato di provvedere a noi in tutte le cose inte­gralmente e senza eccezioni».

La filosofia della rinuncia del mondo cede i l passo a una sua forte riappropriazione, anche se segnata dalla vo­lontà di replicare nel quotidiano la donazione del mondo all 'uomo perseguita dalla divinità. N o n è solo questo i l pensiero della Chiesa inserita nel mondo, quella cioè che deve venire a patti con l'ignoranza e la grossolanità di un popolo attratto dalla magnificenza delle suppellettili e dalla maestosità delle cerimonie; in Suger si esalta una f i ­losofia della materia che tende a eguagliare lo spirituale e i l mistero della dottr ina al materiale più prezioso, e conse­guentemente più puro possibile.

I l percorso dall'opacità della terra alla trasparenza e al­la lucentezza della pietra preziosa o del metallo, segue co­munque una traiettoria di indubbio interesse. I l tema del­la luce è anche tema dell'intelligenza delle cose e Suger conduce i l suo lettore in un percorso articolato verso la verità. «Ogni creatura, visibile o invisibile, è una luce por-

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Mt.i .ill'csscrc dal Padre delle luci.. . Questa pietra o quel pezzo di legno è una luce per me... Poiché io percepisco che è bello e buono, che esiste secondo le proprie regole di proporzione; c he differisce in genere e specie da tutt i gli altri generi e speci; che è definito dal suo numero, in virtù del quale è «una» cosa; che non vien meno al suo or­dine; che cerca i l suo luogo conforme alla sua specifica gravità. Allorché in questa pietra percepisco tali e simili cose esse divengono luci per me, in altre parole m i i l l u m i ­nano". I l processo conoscitivo che Suger indica appartie­ne a quell'innovazione nel pensiero razionale medievale c he, nella continuità di quello classico, supera la fallacità dell'occasionale, della debole percezione sensoriale, per giungere alla stabilità delle regole, all 'ordi­ne. «Omnia in mensura, et numero, et pondere disposa­sti» afferma perentoriamente Agostino di Ippona riferen­dosi all'opera della creazione recuperando un luogo sa­pienziale {Sapienza X I , 21); Suger ripete l 'ordine delie-qualità: la proporzione, i l numero, i l peso costituiscono gli elementi essenziali perché i l naturale, e conseguente­mente l'artificiale, siano «buoni e belli». E questo atteg­giamento estetico che fa equivalere bellezza, proporzione e verità, quindi luce, riflesso dell'intelligenza creatrice, è ulteriore elemento non eludibile in una ricognizione dell ' immaginario medioevale nel momento della sua ma­turità.

La parabola della luce che parte dalla contemplazione delle «pietre multicolori» che sottraggono l'abate alle cure esterne per elevarlo a una contemplazione che Panofsky accosta alla trance, è un ulteriore passo dei diversi «sensi» del simbolico cui si è fatto riferimento: la gemma o i l me­tallo prezioso catturano o rif lettono un raggio che è pas­saggio dal materiale allo spirituale; analogamente l ' intel l i ­genza delle cose eleva la conoscenza dalla instabilità della percezione alla logica delle «Idee», i l tut to , anagogicamen­te, si riferisce alla superiore sfera della divinità.

Ma la via «mistica» di Suger, affatto diversa rispetto a quella di Bernardo, non dimentica i l bene materiale che è stato occasionale motore della riflessione. Celebrando i battenti del portale occidentale della sua Abbazia, Suger afferma: «Chiunque tu sia se vuoi celebrare la gloria di queste porte, non ammirare né l 'oro né la spesa, ma i l la­voro dell'opera. Riluce la nobile opera, ma l'opera che nobilmente riluce i l lumina le menti per modo che esse possano procedere, attraverso vere luci, alla luce vera do­ve Cristo è la vera porta. Come esista nelle cose del mon­do lo dimostra l'aurea porta: La cieca mente si innalza al vero attraverso ciò che è materiale e da oscurata che era si leva al veder questa luce».

11 percorso dal materiale allo spirituale non trasporta lo spirito dell'osservatore alle soglie dell'astrazione della aalta, della esclusione del mondo esterno per una attività assolutamente riflessiva e astratta: proprio le porte d'oro, nella lucentezza del materiale e nella «luce» interiore che promana dalla loro «bellezza» frut to dell'attività dell 'arti­giano, denunciano la presenza della luce vera nel mondo.

Per il pensiero di Suger si è parlato di una -estetica della luce che. a partire dal Vangelo di Giovanni viene sviluppata da Plotino, dallo pseudo-Dionigi e da Scoto Eurigena il quale aveva affermato significativamente che «E impossibile per la nostra mente ascendere alla immate­riale imitazione e contemplazione delle gerarchie celesti se non è sostenuta da quella guida materiale che è ad essa adeguata". I l metallo prezioso, la gemma, il cristallo di rocca e i l vetro costituiscono, i n conflitto con la pietra, i «nuovi" materiali con cui si costruisce la nuova abbazia e i l suo décor i l cui splendore è appunto «immagine" della «Vera luce». La nuova sensibilità che si esprimerà con l'esaltazione e la modulazione della Une attraverso le ve­trate dell'abside gotico unisce i l bisogno di tabulazione tradizionale - lo slancio mistico è sempre temperato da un atteggiamento realistico che può andare appunto dal pro­gramma delle storie da rappresentare all'analisi dei costi e delle attrezzature necessarie per la fabbrica - con il nuovo décor ambientale che sembra proporsi, proprio necessita­to dall'esaltazione della luce, con un programma unitario che prevede i l ridisegno dell'intera suppellettile.

Anche Bernardo in un passo citato in questa occasio­ne aveva parlato di luce, quella naturale delle lampade e l'aveva contrapposta alla lucentezza superiore dell'arredo metallico realizzato dall'artigiano giudicando «presuntuo­sa» e «mondana» questa gara fra l 'uomo e l'artefice primo della natura. Suger, ma con lu i una estesa corrente di pen­siero, all 'opposto unisce Luna fonte all'altra in una scala omogenea che, non dimenticando la fisicità e la concre­tezza della terra, pure eleva verso i l cielo.

E bene comunque a questo punto riassumere breve­mente i termini del confl i t to : chiesa mondana da una par­te, o meglio chiesa come intimamente connessa con le potenze della terra (la carica di abate di Saint-Denis è di fatto anche carica politica), quella espressa da Suger; Chiesa ascetica, di rinuncia quella di Bernardo di Clair­vaux, necessitata dalla «ritorma» e dalla restaurazione del­la regola originaria. Chiesa stanziale la prima, Chiesa che si rinnova costantemente con lo spostamento la seconda, avanzando la linea di frontiera verso l ' interno, il cuore dell'Europa. I l décor delle abbazie-madri: Cluny, Saint-Denis da una parte, Qteaux, Clairvaux, Fontaney, Gram-mont dall'altra denunciano due modi di concepire lo stes­so convento fortemente contrastanti, l 'uno in conflitto con l 'altro, l 'uno complementare all'altro. In un ragiona­mento sull'estetica medioevale le due posizioni polari, i loro intrecci anche, oltre ché la constatazione della diver­sità, la loro evoluzione dinamica in altri termini , i testi di cui disponiamo, l 'Apologia di Bernardo e la Cronaca di Suger, sono l 'uno i l manifesto della «riforma della rego­la», l 'altro una autocelebrazione, e autodifesa a volte an­che trasparente, del proprio operato, sono caratteri essen­ziali per una comprensione generale del problema.

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