Unità W1 Gli occhi degli assassini Reale, W2 I profughi...

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Questa pagina può essere stampata esclusivamente per uso didattico © Loescher Editore 2012 Reale, troppo reale Saper fare Walter Siti La casa di via Vermeer W3 Roberto Saviano Io so e ho le prove W3 Goffredo Parise I profughi, la fame, i morti W2 Truman Capote Gli occhi degli assassini W1 Wu Ming Gap99 W4 Unità

Transcript of Unità W1 Gli occhi degli assassini Reale, W2 I profughi...

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Reale, troppo reale

Saper fare

Walter SitiLa casa di via Vermeer

W3

Roberto SavianoIo so e ho le prove

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Goffredo Parise I profughi, la fame, i morti

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Truman Capote Gli occhi degli assassini

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1 Gli scenari dell’epocaGrandi trasformazioni Gli ultimi decenni

hanno visto la vita degli individui e delle società trasformarsi molto rapidamente. Essi sono sta-ti caratterizzati da avvenimenti storici molto si-gnificativi a livello globale: la caduta del muro di Berlino nel 1989, l’attentato terroristico dell’11 settembre 2001, la crisi economica scoppiata nel 2008 e, infine, la cosiddetta “pri-mavera araba” iniziata alla fine del 2010, ovvero la serie di proteste e movimenti d’insurrezione popolare per l’inizio di un processo di democra-tizzazione che ha coinvolto in breve tempo molti Paesi nordafricani e del Vicino Oriente. Tuttavia, i mutamenti più profondi avvenuti in questi anni sono stati il frutto di una “rivolu-zione invisibile”; essi cioè sono dipesi non da grandi eventi che hanno sconvolto la Storia quan-to dall’affermarsi silenzioso ma inesorabile di una «società liquida» (espressione coniata dal so-ciologo polacco Zygmunt Bauman), ovvero di un mondo in cui non ci sono punti fermi, in cui tutto cambia in maniera estremamente veloce. Tutto si mescola: razze, saperi, tradizioni e sti-li si compongono in un melting pot, ovvero in una società multietnica e multiculturale in cui l’uomo contemporaneo si è ritrovato a vivere quasi suo malgrado. La velocità è il segno distin-tivo di tale nuovo mondo: non si fa in tempo ad adeguarsi a esso, a comprenderne e a comporne le contraddizioni, che già un altro cambiamento è subentrato e le mappe mentali per interpretarlo sono diventate obsolete. Questo nuovo modello di società si è imposto a livello mondiale con il

I contesti

progressivo affermarsi di una globalizzazione che ha coinvolto ogni ambito della vita sociale. Se ciò ha permesso a culture lontane di conoscersi e di entrare in comunicazione tra loro, gli effetti negativi non sono mancati: come, per esempio, l’omologazione delle abitudini dei singoli indi-vidui ai modelli economico-culturali dominanti, a scapito di quelli minoritari, che hanno perso la loro identità o sono del tutto scomparsi.

Tecnologia e mass-media Uno dei principali re-sponsabili dei cambiamenti in essere in questi an-ni è stato il massiccio progresso della nuova tec-nologia, che ha generato un enorme sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa. Con la loro capacità di pervadere la nostra società – come un liquido, per l’appunto – e diffondersi sull’intera superficie mondiale, essi hanno creato una fitta trama di relazioni che ha reso l’intero pianeta un gigantesco «villaggio globale», secondo l’im-magine proposta già negli anni Sessanta dal so-ciologo canadese Marshall McLuhan. Il grande progresso tecnologico di questi anni ha permesso di sviluppare realtà fino a pochi anni fa del tutto impensabili. Tuttavia, le enormi potenzialità dei mezzi di co-municazione di massa si sono talvolta rivelate causa di effetti negativi; per esempio, una pro-gressiva perdita di contatto con la vita reale: la possibilità di vivere infinite realtà parallele e virtuali si è inserita nell’esistenza quotidiana individuale in maniera ambigua e subdola, arri-vando talvolta a sostituirsi completamente a essa. L’incontrollabile tendenza a plasmare inconscia-mente le proprie vite secondo i modelli che sono

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offerti, per esempio, dalla televisione o dalla pub-blicità (e il conseguente affermarsi di un sistema di valori basato su uno sfrenato consumismo) o a trascurare i rapporti umani diretti per dedi-carsi esclusivamente a quelli mediati dalla rete (l’abuso dei social network) sono chiari esempi di un esito degenerato e controproducente del progresso tecnologico. Il segno che l’uo-mo, come spesso è accaduto, si è lasciato sfuggire di mano e ha reso incontrollabili i frutti del suo stesso sapere e della sua intelligenza.

2 Il contesto culturaleCaratteri dell’arte contemporanea Tali ra-

dicali cambiamenti hanno investito, con con-seguenze ben visibili, anche il mondo artistico in tutte le sue forme. Il progressivo affermarsi dell’industria culturale, ovvero di una conce-zione dell’opera come “merce”, ha generato un ripensamento globale dell’arte stessa: essa si è avvicinata al mondo del mercato, trasformandosi in una forma particolare di prodotto commerciale e perdendo la sua “aura” di oggetto frutto di pu-ra spiritualità. Tale nuova concezione ribalta del tutto l’idea tradizionale, esemplarmente espres-sa dalla filosofa tedesca Hannah Arendt, per cui «un oggetto può dirsi culturale nella misura in cui resiste al tempo». Nella realizzazione di opere d’arte contemporanee si privilegia invece il loro aspetto istantaneo e temporaneo: si utilizzano spesso materiali “poveri” e degradabili, destinati a dissolversi nel tempo; i luoghi stessi in cui esse vengono esposte sono prevalentemente mostre temporanee. Molto spesso, la vera opera consi-ste non nell’oggetto creato quanto nella perfor-mance stessa dell’artista, ovvero nel momento fugace, unico e irripetibile della creazione.In altri casi, si eseguono interventi momentanei sull’ambiente, magari solo per scattarne delle fo-to o farne dei video, che resteranno l’unica “pro-va” dell’esistenza dell’opera.

Una letteratura varia e popolare Passando adesso a un’analisi del ricco e frastagliato panora-ma della narrativa dei nostri giorni, bisogna con-statare la difficoltà di individuare un feno-meno letterario dominante, anche in conside-

razione della complessità e della mobilità che ca-ratterizza il mondo contemporaneo. L’affermarsi dell’industria culturale ha investito anche questo ambito specifico, causando l’affermazione di una letteratura di consumo, popolare e di gene-re (giallo, noir, thriller, horror, fantasy ecc.) o, molto spesso, di vari generi contaminati fra loro.

Un (nuovo) ritorno alla realtà Al fianco dello sviluppo di questa narrativa popolare e di genere (che non bisogna però considerare, a priori, co-me “inferiore” rispetto agli esiti artistici di altre epoche letterarie) si registra in questi ultimi de-cenni l’urgenza di un nuovo ritorno alla realtà. Questa tendenza contemporanea rappresenta un tentativo di superamento del postmoderno, che aveva spinto il lettore a privilegiare le atmo-sfere del fantastico e del meraviglioso, a sospen-dere le leggi della logica, a introdurre nel mondo letterario elementi assurdi o stranianti. In tal mo-do, rappresentando la realtà nei suoi aspetti mol-teplici e frammentari, la letteratura postmoderna intendeva significare l’impossibilità di pervenire a una conoscenza certa e univoca di essa. Negli ultimi anni, però, si avverte di nuovo il biso-gno di una letteratura in diretto e stretto contat-to con il mondo. Rispetto alle esperienze lettera-rie che in passato hanno posta la realtà al centro della loro poetica, come il Naturalismo fran-cese e il Verismo italiano nell’Ottocento oppu-re, verso la metà del Novecento, il Neorealismo italiano, nel ritorno alla realtà in letteratura dei nostri giorni vi sono elementi di grande novità.

Mario Schifano, Coca Cola, 1972, rovereto, Mart.

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3 Gli autori e le opereA ben vedere, già negli anni Sessanta del

Novecento si collocano le radici di questo feno-meno contemporaneo, ben visibile nelle opere di autori “irregolari”, che hanno cioè maturato una visione del mondo originale e – con il senno di poi – profetica. Essi hanno rappresentato un momento di rottura rispetto alla tradizione lette-raria, rifiutando di partecipare ai movimenti cui facevano riferimento gli autori del loro tempo, assumendo una posizione talvolta defilata (Gof-fredo Parise), o talvolta di palese contestazione (Pier Paolo Pasolini e Truman Capote).Proprio Capote, scrittore statunitense, è l’“inven-tore” del genere del romanzo-verità: A sangue freddo (1966), costruito su avvenimenti di cro-naca realmente accaduti, racconta la vicenda del-la strage della famiglia Clutter, un omicidio dalle modalità efferate e dal futile movente, attraverso le testimonianze che l’autore stesso ha raccolto nella sua inchiesta giornalistica, mettendo in lu-ce i molteplici punti di vista che, come tessere, compongono il mosaico della realtà ({ Gli occhi degli assassini, p. 6).Il mestiere di giornalista è determinante anche per la produzione letteraria di Goffredo Parise: nel suo reportage sul conflitto del Biafra ({ I profughi, la fame, i morti, p. 13), pubblicato sui quotidiani nazionali alla fine degli anni Sessanta, contemporaneamente ai fatti, l’autore non esita a proporre ai suoi lettori un quadro durissimo delle sofferenze terribili quanto inutili del popo-lo africano. Parise si reca dove il lettore non ha il coraggio di andare nemmeno con la mente, re-gistra tutto quello che vede, i disagi e le tragedie di quel mondo; egli non ha timore di testimoniar-li e di combattere così la finta ignoranza di una certa società italiana: manifestazione di spirito di conservazione, nella migliore delle ipotesi, e nella peggiore di indifferenza, ipocrisia, qualunquismo. I primi anni del terzo millennio hanno visto un’in-tera generazione di scrittori raccogliere l’eredità di questi “profeti” di un nuovo realismo: si tratta di autori innovativi, figli della “società liquida”, desiderosi d’indagare il fenomeno in cui sono im-mersi e di riprendere contatto con la realtà, an-che nei suoi aspetti più spiacevoli e inquietanti,

comunque preferibili alla fluttuazione in un mon-do finto, plastificato. Tra costoro, segnaliamo il collettivo bolognese Wu Ming – termine cinese mandarino che significa “senza nome” – che rac-coglie diversi scrittori le cui opere sperimenta-no diverse nuove tendenze della narrativa con-temporanea. Nell’ambito della loro produzione la raccolta Anatra all’arancia meccanica, uscita in volume nel 2011, contiene racconti di stam-po iperrealista, ovvero caratterizzati da un re-alismo talmente estremo da diventare surreale, molti dei quali erano già stati diffusi nella rete o pubblicati su rivista ({ Gap99, p. 36).Si spiega in tal modo il “realismo d’emergenza” di Walter Siti: il suo romanzo Il contagio (2008) è un’opera priva di un intreccio, in cui personaggi e storie si affollano davanti agli occhi del narrato-re e del lettore, che osservano il grande inganno della vita di una borgata in cui tutto viene pla-smato a immagine e somiglianza della “dittatura” mediatica ({ La casa di via Vermeer, p. 21). Siti conduce uno “spietato” esperimento letterario; il suo romanzo è un laboratorio in cui, con strumen-ti linguistici raffinatissimi, è riprodotta una realtà tragicamente universale: quella dell’individuo non più padrone della sua vita. Roberto Saviano è l’autore di Gomorra (2008), sorprendente caso letterario che si col-loca all’incrocio di più generi: romanzo, saggio, reportage giornalistico, memoria personale. In esso l’autore ricostruisce e descrive con straor-dinaria precisione “il regno del male” rappresen-tato dalla camorra napoletana, che ha costruito un sistema criminale non circoscritto a una di-mensione locale, bensì radicato su tutto il ter-ritorio nazionale e con interessi economici rile-vantissimi su scala internazionale. Rompendo il muro di omertà e denunciando il potere onniper-vasivo della camorra, Saviano ha restituito alla letteratura un’alta funzione morale e civile ({ Io so e ho le prove, p. 28); egli ha dimostrato che la letteratura può agire sulla realtà, che la forza della parola può contrastare la violenza e il cri-mine. È un dato di fatto, riconosciuto dalle stes-se autorità preposte alla tutela della legalità, che la lotta alla criminalità organizzata ha registrato una forte accelerazione grazie al successo del libro di Saviano.

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La vita e le opere La vita L’esistenza di Truman Streckfus

Persons, nato a New Orleans (Louisiana) nel 1924, è stata segnata da un’infanzia e un’adole-scenza difficili. All’età di soli sei anni viene ab-bandonato dai genitori separati e accudito da pa-renti in Alabama; la sua infanzia solitaria trova il suo solo conforto nell’amicizia con alcune ragazze della sua età, fra cui la scrittrice Harper Lee (l’au-trice del celebre romanzo Il buio oltre la siepe, il cui personaggio di Dill è costruito a immagine di Truman). Lettore onnivoro, dotato di prodigiose e preco-ci abilità nella scrittura, Truman cerca la via del riscatto personale nella letteratura: trasferitosi a New York nel 1933 a casa della madre (risposatasi con Joseph Capote, di cui assumerà il cognome), comincia a collaborare con alcune riviste – tra cui il prestigioso «New Yorker» – dapprima come fat-torino, quindi come autore di racconti. L’apprez-zamento dei lettori lo rende ben presto un autore di successo e lo introduce nei salotti della Gran-de Mela: diventa così amico di grandi persona-lità dello spettacolo (l’attore Humphrey Bogart), dell’arte (il celebre Andy Warhol) e della letteratu-ra (il drammaturgo Tennessee Williams). Oltre che il successo delle sue opere e la frequen-tazione dei divi e dell’alta società, a farne un per-sonaggio al centro delle cronache saranno anche il suo temperamento complesso e sfrontato, lo scandalo – nella società dell’epoca – della sua omosessualità mai nascosta, gli eccessi nell’uso di alcool e droghe e, in generale, uno stile di vita disordinato ed esagerato. Tale tendenza si aggraverà nell’ultimo periodo della sua vita: ab-bandonato dal compagno abituale e sfruttato da amanti occasionali, Truman Capote morirà di cir-rosi epatica (conseguenza della sua sregolata esi-stenza) a Bel Air, nei pressi di Los Angeles, nel 1984.

Le opere Capote esordisce nella letteratura con una serie di racconti – tra cui il suo primo suc-cesso, Miriam (1945) – risalenti agli inizi degli an-ni Quaranta. Il suo primo romanzo è Altre voci, al-tre storie (1948), storia (ispirata in parte alla sua biografia) dell’adolescenza inquieta di un tredicen-ne. A questo romanzo seguiranno la pubblicazione

di altre opere – Un albero di notte (1949), L’arpa d’erba (1951) – che lo affermeranno tra i più in-teressanti autori della nuova generazione. Uno dei suoi scritti di maggior successo è il romanzo Cola-zione da Tiffany (1958), da cui tre anni più tardi sarà tratto il celebre film di Blake Edwards, con protagonista Audrey Hepburn. Il suo romanzo più noto è A sangue freddo (1966), opera che inau-gura una nuova forma di narrazione, vicina nei metodi e nella forma all’indagine giornalistica. Il suo ultimo lavoro, rimasto incompiuto e pubblicato postumo, è il romanzo Preghiere esaudite.

A sangue freddoLa trama A sangue freddo ricostruisce un

fatto di cronaca realmente accaduto: il 16 novem-bre 1959, a Holcomb, un tranquillo villaggio agrico-lo del Kansas, quattro membri della rispettabile fa-miglia Clutter vengono brutalmente assassinati da due balordi, Perry Edward Smith e Richard Eugene Hicock, introdottisi in casa in cerca di denaro. La loro rapida scomparsa lascia però la po-lizia senza indizi né piste da seguire. Soltanto dopo anni di ricerche si arriverà a catturare i due, a pro-cessarli e, infine, a condannarli a morte.

Un romanzo in tempo reale Tale episodio di cro-naca colpisce nel vivo l’opinione pubblica ame-ricana, che s’interesserà al caso seguendo con at-tenzione gli sviluppi sui mezzi di informazione, che gli dedicheranno ampio spazio. Anche Capote si fa-rà coinvolgere totalmente dalla vicenda: non solo seguirà le indagini, in qualità di corrispondente del «New Yorker», ma assisterà al processo, du-rato cinque anni, e vorrà conoscere personalmente e frequentare con assiduità i due assassini, Perry e Richard, di cui diventerà amico e confidente e che accompagnerà fino al patibolo. La stesura del romanzo è contemporanea allo svol-gersi della vicenda giudiziaria; la sua pubblicazio-ne a puntate sul «New Yorker» riscuote un enorme successo ma provoca anche grandi polemiche, dovute al contrasto tra il rapporto intimo che Ca-pote instaura con i due omicidi e lo stile freddo e distaccato con cui racconta la loro storia.

Truman Capote

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1. Kansas: stato del Midwest degli Stati Uniti: si tratta di uno degli stati agricoli più produttivi del Paese.2. Konrad Adenauer: politico e statista tedesco, cancelliere della Germania Occidentale dal 1949 al 1963. È uno dei padri dell’Unione Europea.

3. Harold Macmillan: primo ministro del Regno Unito dal 1957 al 1963.4. Eisenhower: Dwight Da-vid Eisenhower è stato il tren-taquattresimo presidente degli Stati Uniti d’America, dal 1953 al 1961.5. T. Keith Glennan: è stato,

tra l’agosto 1958 e il gennaio 1961, il primo capo della agenzia spaziale statunitense NASA.6. Commissione federale di credito agricolo: organismo governativo incaricato di valuta-re le richieste di finanziamento pubblico da parte degli impren-ditori agricoli.

Il giovane si chiamava Floyd Wells, era basso e quasi privo di mento. Aveva tentato diverse carriere: militare, bracciante, meccanico, ladro; l’ultima gli

aveva fruttato una condanna da tre a cinque anni nel Penitenziario di Stato del Kansas1. La sera del martedì 17 novembre 1959 era sdraiato nella sua cella con la cuffia di una radio premuta contro le orecchie. Stava ascoltando un notiziario, ma la voce dell’annunciatore e il grigiore degli avvenimenti di quel giorno («II Can-celliere Konrad Adenauer2 è giunto oggi a Londra per una serie di conversazioni con il Primo Ministro Harold Macmillan3... Il Presidente Eisenhower4 ha avuto un colloquio di settanta minuti col dottor T. Keith Glennan5, sui problemi spaziali e lo stanziamento finanziario per l’esplorazione dello spazio») lo facevano scivola-re nel dormiveglia. La sonnolenza scomparve immediatamente quando sentì: «I funzionari che indagano sul tragico massacro dei quattro componenti la famiglia di Herbert W. Clutter si sono appellati al pubblico per qualsiasi informazione che possa contribuire alla soluzione di questo sconcertante caso. Clutter, sua moglie e i due figli adolescenti sono stati rinvenuti assassinati nella loro fattoria vicino a Garden City nelle prime ore di domenica. Ciascuno era stato legato, imbavaglia-to e colpito alla testa con una carabina calibro 12. Gli investigatori ammettono di non riuscire a trovare un movente per questo delitto, definito da Logan Sanford, Direttore dell’Ufficio Investigativo del Kansas, il più atroce nella storia del Kan-sas. Clutter, importante coltivatore di grano, ex incaricato di Eisenhower presso la Commissione federale di credito agricolo6...»

Wells era sbalordito. Come in seguito avrebbe dichiarato, «non riusciva a cre-derci». Pure aveva buone ragioni per farlo, dato che non solo aveva conosciuto la famiglia trucidata, ma conosceva benissimo chi l’aveva massacrata.

La cosa era iniziata molto tempo prima, undici anni addietro, nell’autunno del 1948, quando Wells aveva diciannove anni. Stava «girando il paese, facendo i me-

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Gli occhi degli assassini Il brano riporta il momento culminante dell’inchiesta. Dopo anni di ricerche infruttuose, all’improvviso avviene una svolta. Non sarà però merito degli investigatori se le indagini s’indirizzeranno nella giusta direzione: è grazie a un detenuto del Penitenziario di Stato del Kansas, Floyd Wells, che i due assassini saranno infine identificati.

• GENERE romanzo-verità

• LUOGOEtEmpO Stati uniti; anni

Cinquanta-Sessanta

• pERsONaGGi Floyd Wells; la

famiglia Clutter; Dick (richard Eugene Hicock); l’investigatore alvin Dewey e sua moglie Marie

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stieri che capitavano», come raccontò. «In un modo o nell’altro capitai laggiù nel Kansas occidentale. Vicino al confine col Colorado. Cercavo lavoro e, chiedendo in giro venni a sapere che forse avrebbe fatto comodo un bracciante alla Fattoria River Valley, era così che l’aveva chiamata il signor Clutter. E infatti lui mi assunse. Rimasi là un anno, credo, tutto l’inverno ad ogni modo, e quando me ne andai era solo perché mi sentivo i piedi che mi prudevano. Avevo voglia di muovermi. Non che avessi avuto da dire con il signor Clutter. Mi trattava benissimo. Come trattava tutti quelli che lavoravano per lui; per esempio se si era un po’ a corto prima del giorno di paga, ti dava sempre un cinque o dieci dollari. Pagava dei buoni salari e se te lo meritavi era pronto a darti una gratifica. Sul serio, di tutte le persone che ho conosciuto, il signor Clutter era quella che mi piaceva di più. Tutta la famiglia. La signora Clutter e i quattro figli. Quando li ho conosciuti, i due più piccini, quelli che sono stati uccisi, Nancy e il piccolo con gli occhiali, erano ancora dei bambinetti, sui cinque, sei anni. Le altre due, Beverly e l’altra che non ricordo come si chiamava, erano già alle superiori. Una bella famiglia, proprio bella. Non li ho mai dimenticati. Quando me ne sono andato era nel 1949. Mi sono sposa-to, ho divorziato, poi mi hanno sbattuto sotto le armi, sono successe altre cose, è passato del tempo si può dire, e nel 1959, nel giugno 1959, dieci anni dopo che me n’ero andato dal signor Clutter, mi hanno spedito a Lansing. Perché mi sono introdotto in quel negozio di apparecchi. Apparecchi elettrici. La mia intenzione era prendere una falciatrice elettrica. Non da vendere. Volevo cominciare ad af-fittare falciatrici. In modo da avere una piccola azienda stabile mia. Naturalmente non ci ho cavato nulla se non una condanna da tre a cinque anni. Se le cose non fossero andate cosi non avrei mai conosciuto Dick, e magari il signor Clutter ora non sarebbe sottoterra. Ma è andata così. Ecco qui. Ho incontrato Dick.

«È stato il primo con cui ho diviso la cella. Siamo rimasti insieme un mese, mi pare: giugno e parte di luglio. Stava terminando una condanna da tre a cinque, sarebbe stato rilasciato sulla parola in agosto. Chiacchierava parecchio di quel-lo che intendeva fare quando fosse stato fuori. Diceva che forse sarebbe andato nel Nevada, in una di quelle cittadine di basi missilistiche, si sarebbe comperato un’uniforme e si sarebbe fatto passare per ufficiale dell’Aviazione. Così avrebbe potuto smerciare una bella sfilza di assegni fasulli. Questo era uno dei progetti che mi raccontò. (A me personalmente non era mai parso gran che. In gamba, non lo nego, ma non aveva l’aspetto adatto a quella parte. Non aveva l’aria di un ufficiale dell’Aviazione.) Altre volte mi ha accennato a quel suo amico, Perry. Un tipo mezzo indiano con cui era stato in cella. E parlava dei bei colpi che lui e Perry avrebbero potuto combinare quando si fossero messi di nuovo insieme. Non l’ho mai conosciuto, quel Perry. Non l’ho mai visto. Era già uscito da Lansing, rilasciato sulla parola. Ma Dick continuava a dire che se si fosse presentata la possibilità di un colpo grosso sul serio, poteva sempre contare su Perry Smith come compare.

«Non ricordo esattamente come venne fuori il signor Clutter, la prima volta. Deve essere stato quando discutevamo di lavoro, dei diversi mestieri che avevamo fatto. Dick era meccanico d’auto, specializzato, e aveva quasi sempre fatto quel lavoro. Solo una volta aveva lavorato come autista per l’ambulanza di un ospeda-le. Pieno di sbruffonate a quel proposito. Sulle infermiere e tutto quel che aveva

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7. cocker spaniel: razza canina di taglia medio-piccola e dal pelo lungo.

combinato con loro nel retro dell’ambulanza. Comunque io gli raccontai che per un anno avevo lavorato in una tenuta piuttosto grande nel Kansas occidentale. Per il signor Clutter. Lui voleva sapere se il signor Clutter era ricco. Sì, risposi. Sì, lo era. Anzi, dissi, una volta il signor Clutter mi aveva raccontato di avere speso diecimila dollari in una settimana. Cioè disse che certe volte gli costava diecimila dollari alla settimana far funzionare quell’azienda. Dopo d’allora Dick non la smi-se più di farmi domande su quella famiglia. In quanti erano? Quanti anni avreb-bero avuto ora i figli? Come si arriva alla casa, esattamente? Com’era disposta? Il signor Clutter aveva una cassaforte? Non lo nego, gli dissi che l’aveva. Perché mi pareva di ricordare una specie di armadio o una cassaforte, o qualcosa, proprio dietro la scrivania nella stanza che il signor Clutter usava come ufficio. E da allora Dick si mise a parlare di far fuori il signor Clutter. Disse che lui e Perry sarebbe-ro andati laggiù a rubare, e avrebbero ucciso tutti i testimoni, Clutter e chiunque altro si fosse trovato là. Mi descrisse una dozzina di volte come l’avrebbero fatto, in che modo lui è Perry li avrebbero legati e poi gli avrebbero sparato. Gli dissi: “Dick, non potrai mai farcela.” Ma onestamente non posso dire di avere cercato di dissuaderlo. Perché mai neanche un minuto ho pensato che lui intendesse an-darci sul serio. Credevo che fossero solo chiacchiere, come se ne sentono tante a Lansing. Praticamente non si sente altro: quello che uno farà quando sarà fuori, le aggressioni, le rapine e via dicendo. Per lo più sono solo spacconate. Nessuno le prende sul serio. Ecco perché, quando ho sentito quel che ho sentito alla radio, be’, non riuscivo a crederci. Eppure era successo. Così come aveva detto Dick.»

Questa era la storia di Floyd Wells, sebbene per il momento non si sognasse neppure di raccontarla. […] Non aprì bocca e trascorsero altri dieci giorni. […] Poco dopo, torturato dalla necessità di «dirlo a qualcuno», si confidò con un altro prigioniero. […] «Disse che avrebbe sistemato lui la cosa. Così il giorno dopo si mise in contatto con il vicedirettore e gli disse che io volevo essere “convocato”. Raccontò al vice che se mi faceva chiamare nel suo ufficio con un pretesto qualsiasi, magari avrei potuto dirgli chi aveva ucciso i Clutter. Naturalmente il vicedirettore mi mandò a chiamare. Io avevo paura ma ripensai al signor Clutter, che non mi aveva mai fatto alcun male e che a Natale mi aveva regalato un portamonete ne-ro con dentro cinquanta dollari. Parlai al vice. Poi raccontai tutto al direttore in persona. E mentre me ne stavo ancora là, proprio nell’ufficio del direttore Hand, quello ha preso il telefono...»

La persona a cui il direttore Hand telefonò era Logan Sanford. Sanford ascoltò, riappese, diede parecchi ordini, quindi fece una telefonata personale ad Alvin De-wey. Quella sera, quando uscì dal suo ufficio nel tribunale di Garden City, Dewey portò con sé una grossa busta. Quando giunse a casa, Marie era in cucina a pre-parare la cena. Nell’attimo in cui Dewey apparve, lei si lanciò nel resoconto delle tragedie familiari. Il gatto aveva aggredito il cocker spaniel7 della casa di fronte e ora pareva che il cagnolino avesse un occhio gravemente ferito. E Paul, il figlio di nove anni, era caduto da un albero. […]

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Mentre sua moglie descriveva questi infausti eventi, Dewey si versò due tazze di caffè. Improvvisamente Marie si interruppe nel bel mezzo di una frase e lo fissò. Dewey aveva il volto arrossato e lei capì che era esultante. Disse: «Alvin. Oh, teso-ro. Ci sono buone notizie?» Senza fare commenti Dewey le porse la busta. Marie aveva le mani umide, se le asciugò, sedette al tavolo di cucina, prese un sorso di caffè, aprì la busta e ne trasse le fotografie di un giovane biondo e di un giovane bruno dalla pelle olivastra: foto d’archivio di polizia. Due schedine parzialmente in codice accompagnavano le fotografie. Quella del biondo diceva:

Hickock, Richard Eugene (WM) 28. KBI 97093; FBI 859273 A. Indirizzo: Ed-gerton, Kansas. Data di nascita 6-6-31. Luogo di nascita: KC., Kans. Altezza: 175. Peso: 87. Capelli: biondi. Occhi: azzurri. Corporatura: robusta. Colorito: roseo. Professione: verniciatore d’auto. Reato: Truffa e assegni falsi. Rilasc. Par.: 13-8-59. Da: So. K.C.K.

La seconda descrizione diceva:Smith, Perry Edward (WM) 27-59. Luogo di nascita: Nevada. Altezza: 160.

Peso: 77. Capelli: neri. Reato: F e E. Arrestato: (in bianco). Da: (in bianco). Di-sposizioni: Mandato KSP 13-3-56 da Phillips Co. 5-10 anni. Entr. 14-3-56. Rilasc. Par. 6-7-59.

Marie esaminò le foto di fronte e di profilo di Smith: un volto arrogante, du-ro, eppure non del tutto perché vi si scorgeva una strana delicatezza; le labbra e il naso apparivano ben modellati, e gli occhi, umidi, dall’espressione sognante, le parvero piuttosto belli, con una certa sensibilità, un po’ da attore. Sensibilità e qualcos’altro: «cattiveria». Per quanto non cattivi, non repulsivamente «crimina-li» come gli occhi di Hickock, Richard Eugene. […] «Chi sono?» chiese Marie. Dewey le raccontò la storia di Floyd Wells, e concluse : «Buffo. Nelle ultime tre settimane ci siamo concentrati proprio su questa possibilità. Abbiamo rintraccia-to tutti quelli che hanno lavorato alla fattoria dei Clutter, Ora, così com’è venuto fuori, sembra solo un colpo di fortuna. Ma tra qualche giorno saremmo arrivati a questo Wells. Avremmo scoperto che è in carcere. Allora saremmo giunti alla verità. Sì, maledizione.» […]

II tono di lui la colpì; osservò di nuovo quei volti sul tavolo di cucina. «Pensa a questo» disse posando un dito sul ritratto del giovane biondo. «Pensa a questi occhi. Che ti si avvicinano.» Poi rimise le foto nella busta. «Preferirei non averle viste.»

Truman Capote, A sangue freddo, Milano, Garzanti, 2005

scheda di analisi

oppressi, dei martiri della società. Capote riconosce nella giovinezza di Perry, l’autore materiale dei delit-ti, tratti comuni con la propria (l’abbandono, la madre alcolizzata, il padre assente, l’omosessualità, la violen-za e il disprezzo della gente), comprendendo così che solo il caso e il talento avevano potuto risparmiare a lui una sorte analoga. L’autore ci dice, così, che sono il deserto degli affetti e le drammatiche situazioni di

Il tema e il messaggio

Leggendo il romanzo, il lettore ha modo di cono-scere a fondo la vita di vittime e carnefici, che alla fine sembrano quasi scambiarsi le parti: i giovani assassini hanno compiuto un gesto di violenza inau-dita, ma l’indagine puntuale sulle loro vite svolta da Capote svela un passato terribile, che fa di loro degli

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Laboratoriosultesto

Comprendere1. Descrivi l’atteggiamento in cui è colto il personaggio di Floyd in apertura del brano.2. Floyd è un delinquente abituale? Che tipi di reati ha commesso?3. Come è entrato in contatto con la famiglia Clutter?4. Da quale tipo di attività deriva il benessere economico dei Clutter? Essi ostentano la loro ricchezza?

La lingua e lo stile Scrive Truman Capote a proposito del suo romanzo:

«Tutto il materiale di questo libro non derivato da mia osservazione diretta o è stato preso da registrazioni ufficiali o è il risultato di colloqui con le persone diret-tamente interessate, e molto spesso di tutta una serie di colloqui che si sono protratti per un tempo conside-revole». L’opera inaugura così – per stessa ammissio-ne del suo autore – il genere letterario del romanzo-verità (non-fiction novel), in cui resoconto giornali-stico e racconto si fondono insieme.

Il meccanismo narrativo scelto da Capote preve-de l’adozione sistematica di una focalizzazione in-terna: sono i personaggi stessi a raccontare la sto-ria, ognuno dal proprio punto di vista. Anche il bra-no proposto è esemplare di questa molteplicità dei punti di vista, per cui i vari personaggi si passano la parola l’un l’altro, a completare il mosaico della vicenda.

La prosa di Capote è cruda e realistica, asciutta, molto ricca di riferimenti concreti e dettagli (si ve-da in apertura il passaggio in cui si riportano i testi del notiziario radiofonico, oppure la trascrizione inte-grale delle schede segnaletiche dei colpevoli pregiu-dicati), ma non rinuncia alla partecipazione emoti-va: per esempio, nella descrizione dei turbamenti di Floyd, prima e durante la sua decisiva testimonianza; oppure nell’esame della foto di Perry Smith da par-te di Marie, la moglie dell’investigatore Dewey (vi si scorgeva una strana delicatezza; gli occhi umidi, dall’espressione sognante... con una certa sensibi-lità, un po’ da attore).

La sintassi è piana, con frasi molto brevi e un rit-mo frammentario che emerge soprattutto nei lunghi discorsi diretti. Il lessico è medio e rifugge da ter-mini gergali e volgari, pur in un contesto, come quello del carcere, che avrebbe potuto giustificarli. Tale cir-costanza è una prova evidente della meticolosa opera-zione di mediazione letteraria compiuta dall’auto-re, che ha reso la lingua dei personaggi omogenea sul piano lessicale.

cui la società non sa farsi carico, preferendo l’emargi-nazione alla solidarietà, a generare dei mostri. Nem-meno il detective Dewey, particolarmente coinvolto nelle indagini, riuscirà a trovare pace dopo la senten-za di condanna a morte dei responsabili. Già alla fine del brano, una volta riuscito a dare un volto e un nome agli assassini, i sentimenti che l’investigatore prova e partecipa alla moglie sono intrisi di inquietudine.

I sentimenti dei personaggi Nella prima sequenza, l’autore introduce il perso-

naggio di Floyd, cogliendolo nel momento in cui di-viene consapevole della verità sulla strage dei Clutter. Pur considerando la possibilità di incassare un premio per rivelare i nomi degli assassini, in un primo tempo non vuole rivolgersi all’autorità per non contravvenire al codice d’onore vigente tra i carcerati. In segui-to, di fronte alla gravità del fatto e al peso della co-scienza, si confida con un amico e infine, grazie alla mediazione di quest’ultimo, si risolve a rendere testi-monianza di fronte al vicedirettore del penitenziario e poi al cospetto del direttore Hand.

Il protagonista della seconda sequenza del brano è Alvin Dewey, titolare dell’inchiesta sulla strage di Holcomb. Tutti i suoi sforzi investigativi sono sta-ti sinora infruttuosi (non si sarebbe certamente arri-vati all’identificazione dei responsabili del gesto effe-rato se non ci fosse stata la provvidenziale “soffiata” di Floyd); ma non è questa delusione a turbarlo: un oscuro presentimento e i primi accenni di una pro-fonda inquietudine si materializzano già nel mo-mento in cui osserva i volti sulle foto segnaletiche. Dewey confesserà, nella conclusione del romanzo, dopo aver assistito all’esecuzione dei colpevoli, che «si era immaginato che la morte di Smith e Hickock avrebbe prodotto una sensazione di completamento, di liberazione, un’opera compiuta secondo giustizia». Ma ciò non può essere: le questioni più importanti, ri-guardanti la natura dell’uomo e la sua capacità di com-piere gesti terribili, continueranno a rimanere senza risposta.

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5. Floyd ha conosciuto personalmente entrambi gli assassini? Motiva la tua risposta.6. Dick è un assiduo frequentatore del carcere? Ha mai commesso omicidi, prima del massacro dei Clutter?7. Chi è Logan Sanford? Quale ruolo ha nella vicenda? Motiva la tua risposta con riferimenti specifici al testo.8. Descrivi la situazione a casa Dewey quando alvin rientra con la bustache contiene le schede dei due as-

sassini.

interpretare9. Quando me ne andai era solo perché mi sentivo i piedi che mi prudevano (r. 31-32). Qual è il significato di que-

sta frase? 10. Credevo che fossero solo chiacchiere, come se ne sentono tante a Lansing. Praticamente non si sente altro:

quello che uno farà quando sarà fuori, le aggressioni, le rapine e via dicendo. Per lo più sono solo spacconate. Nessuno le prende sul serio (rr. 89-92). Quale particolare state d’animo è testimoniato da questa parte del racconto di Floyd?

11. Quale significato assume, anche alla luce del prosieguo della storia, la conclusione del brano?

analizzareNarrazioneepuntodivista

12. La focalizzazione interna varia o rimane costante? Motiva la tua risposta con specifici riferimenti al testo. 13. Individua la presenza di flashback all’interno del testo.

stile14. Il testo reca evidenti tracce di uno stile giornalistico: evidenzia la presenza di indicazioni relative a luoghi,

tempi, nomi di persone, informazioni fondamentali per il giornalismo di cronaca.15. Come spieghi, a livello stilistico, l’inserimento del testo della scheda segnaletica in codice, fitta di abbrevia-

zioni e formule burocratiche, relativa ai due assassini?

padroneggiarelalinguaLessico

16. Concentrati sul lessico utilizzato nel brano, individuando i termini colloquiali e quelli di tono più informale.

Grammatica17. Osserva la sintassi del lungo monologo di Floyd, a partire da In un modo o nell’altro… (rr. 27-93). Identifica

e sottolinea gli elementi sintattici tipici del parlato, come la presenza di frasi nominali e di ripetizioni. 18. In generale, nel testo prevale una costruzione paratattica o ipotattica? Motiva la tua risposta.

produrre19. nella tua esperienza, sapresti indicare alcuni episodi di cronaca nera che hanno avuto un’eco paragonabile

all’omicidio dei Clutter? Quale ruolo hanno avuto, in essi, i mezzi di comunicazione, in particolare la tele-visione? ti è parso che il dovere d’informare sia sconfinato nella volontà di “spettacolarizzare” la vicenda? Discutine con i tuoi compagni.

20. In un testo di circa una pagina, racconta un episodio della tua vita scolastica (per esempio, l’interrogazione di un compagno) nella forma della testimonianza di almeno due personaggi che vi hanno assistito. Co-mincia con il presentare i “testimoni” che hai scelto (un compagno di classe e l’insegnante, per esempio); poi cura la focalizzazione del racconto in modo da lasciare libero campo alle due voci, così che abbiano la possibilità di svelare, dal loro punto di vista, gli eventuali retroscena del fatto.

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La vita e le opereLa vita Nasce a Vicenza nel 1929, figlio di Ida

Wanda Bertoli, ragazza madre; la sua infanzia, priva di una figura paterna, si rivela un’età mol-to difficile per il ragazzo, che matura in questi anni un carattere problematico e introverso. Nel 1937, la madre sposa Osvaldo Parise, direttore del «Gior-nale di Vicenza», il cui affetto nei confronti del pic-colo Goffredo restituisce in parte a quest’ultimo un po’ di serenità. Nel 1944, appena quindicenne, Goffredo parteci-pa alla Resistenza; finita la guerra, intraprende gli studi liceali e poi quelli universitari, iscriven-dosi a diversi corsi di laurea ma non completando-ne nessuno. La sua carriera di scrittore inizia alla fine degli anni Quaranta, con alcuni racconti pub-blicati per diversi quotidiani e riviste. Il suo primo romanzo, Il ragazzo morto e le comete (1948) è un’opera sperimentale che lascia perplessi la criti-ca e il pubblico. Migliore fortuna avranno i romanzi successivi: La grande vacanza (1953) e soprat-tutto Il prete bello (1954), che lo rende un auto-re affermato anche all’estero. In questi anni cono-sce e inizia a frequentare i più importanti scrittori italiani dell’epoca: Eugenio Montale, Giovanni Comisso, Carlo Emilio Gadda, Guido Piove-ne, Alberto Moravia.La sua vita, d’ora in poi, sarà caratterizzata da con-tinui viaggi in tutto il mondo, in cui mette in lu-ce il suo talento di reporter. Le esperienze in essi maturate e la sapienza esistenziale derivata da tanti incontri confluiscono in una raccolta di brevi rac-conti in due volumi, Sillabari (1972, 1982). Muore nel 1986 a Treviso, a causa di una malattia cardiaca.

Lo scrittore Narratore di talento e autore versa-tile, Parise è stato romanziere, giornalista e anche sceneggiatore cinematografico, collaborando con registi importanti, come Mauro Bolognini e Fe-derico Fellini. Di particolare rilievo è la sua atti-vità giornalistica: avviato al mestiere dal patri-gno, Parise collabora alle maggiori testate italiane in qualità di reporter, effettuando frequenti viaggi di lavoro negli anni Sessanta e Settanta, soprattut-to nelle zone calde del mondo. Sulle motivazioni di tale scelta esistenziale, prima ancora che pro-fessionale, dichiarerà: «Non si tratta di passione politica o militare, ma di una specie di fame fisica

e mentale che porta a confondere il proprio san-gue con quello degli altri in luoghi o paesi che non siano soltanto quelli della propria origine». I suoi articoli testimoniano della capacità di cogliere l’es-senza dei paesaggi umani su cui Parise ha posa-to il suo sguardo: il Vietnam, il Giappone, la Cina, il Laos, il Cile, il Biafra sono oggetto di intense e luci-de testimonianze che superano l’istanza informati-va, mirando a trasmettere il sentimento delle cose e a restituire al lettore emozioni potenti e genuine.

BiafraLa guerra del Biafra Quattro dei reportage di

Parise sono raccolti nel volume Guerre politiche: Vietnam, Biafra, Laos, Cile, pubblicato nel 1976. Biafra è il titolo della sezione del volume che rac-coglie gli articoli apparsi sul «Corriere della sera» nell’agosto del 1968, a documentare un terribi-le conflitto scatenatosi nell’ambito del tentati-vo d’instaurare uno Stato indipendente secessio-nista nel territorio della Nigeria. Protagonista di questa scriteriata avventura politica – istigata an-che da ingenti interessi economici – è un ufficiale dell’esercito nigeriano, Chukwuemeka Odumegwu Ojukwu, «educato a Eton e a Cambridge», come scrive Parise, che non esiterà a sacrificare un nu-mero altissimo di vite umane sull’altare della sua megalomania politica e militare. Ojukwu, governatore militare della regione est del-la Nigeria, abitata dall’etnia Ibo, ne autoproclame-rà l’indipendenza nel 1967, dando origine alla Re-pubblica presidenziale del Biafra, di cui egli sarà il primo e l’unico presidente. Con una popolazione di circa tredici milioni di abitanti, essa resterà in vita dal 30 maggio 1967 al 15 gennaio 1970.

La strumentalizzazione della tragedia Le atroci sofferenze della popolazione, soprattutto dei bam-bini, verranno esibite al mondo come strumento di pressione sulla comunità internazionale per ot-tenere il riconoscimento del neonato Stato indi-pendente del Biafra. Secondo l’interpretazione di Parise, una guerra fra tribù viene così trasforma-ta in una tragedia di immani proporzioni: una rac-capricciante macchina pubblicitaria esibisce cadaveri di bambini al solo scopo di costringere il mondo intero ad assecondare un piano di potere meschino e vergognoso.

Goffredo Parise

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1. canizie: condizione di chi ha i capelli bianchi.

Sono in un campo di profughi nella foresta: è formato da cinque capanno-ni, un tempo scuole o magazzini, disposti intorno a un cortile ai limiti di

un villaggio. I profughi sono seicento, forme imprecise di colore bruno, spesso avvinte una all’altra, in cui denti e cornee biancheggiano. Affollano l’interno dei capannoni o stanno accovacciati nel cortile, sotto minuscole tettoie di foglie di palma che non servono a ripararli dalla pioggia che scroscia: si stringono intorno a fuochi che si spengono, avvolti dalle spire di un fumo nauseabondo che vaga nell’aria, si perde nella foresta e rende imprecisa la vista.

Solo un poco alla volta e aguzzando lo sguardo si riesce a distinguere in questa massa, che ha perduto le caratteristiche individuali dell’umanità e ha assunto quel-le collettive e indecifrabili della morte, ciò che un tempo doveva essere un uomo, una donna, un bambino. Si è costretti a guardarli dall’alto perché quasi nessuno si regge in piedi. I bambini, che sono la maggioranza, scheletrici, rattrappiti, chi sdraiato e chi seduto contro un muro o un paletto piantato nel fango, poggiati sul bacino come su un piedestallo, le ossa inerti delle due gambe allineate davanti a sé, le mani congiunte nel grembo nudo. Stanno immobili, il grosso cranio soste-nuto a fatica dalle visibili e fragili vertebre del collo si piega sugli omeri. Sul volto che non ha più carne ma solo pelle tesa sulla struttura ossea e sulle cartilagini, le vene gonfie delle tempie pulsano a intermittenze lentissime e irregolari; ai lati degli occhi la pelle forma una rete di rughe, i capelli schiariti dall’assenza di proteine, di un biondo rossiccio, fanno pensare alla canizie1 e, visti insieme, uno accanto all’altro, sono una folla di minuscoli vecchi in silenziosa, educata, composta attesa.

Nessuno si muove verso di me, nessuno tende la mano, nessuno chiede nulla, spinto se non altro da un ultimo fremito di vitalità. Dalla loro povera, essenziale nudità, seduti su un terreno liso, consunto come una vecchia sedia dai loro cor-picini, sollevano lo sguardo con fatica, per un istante, poi lo riabbassano verso un punto-nulla al loro fianco: uno sguardo non triste, non disperato, non affamato, non impaurito, bensì calmo e quasi sereno, distaccato, contemplativo: della to-tale e definitiva intelligenza delle cose di questo mondo, della perfetta coscienza della solitudine e del dolore dell’uomo. A due, tre, cinque anni, perché questa,

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I profughi, la fame, i mortiIl reportage di Parise ci costringe alla visione di immagini dure e toccanti. La realtà dell’enorme miseria, della fame e degli effetti della guerra sono riportati dallo scrittore con crudo e intransigente realismo: è attraverso il suo stile preciso e oggettivo, ma non per questo distaccato o indifferente, che Parise mette in atto la sua ferma denuncia degli orrori e delle assurdità che caratterizzano la guerra civile nel Biafra.

• GENERE reportage

• LUOGOEtEmpO Biafra; fine anni

Sessanta

• pERsONaGGi Il narratore-

reporter; il suo accompagnatore; gli ospiti del campo profughi; il direttore del campo

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2. manioca: arbusto tipico delle zone tropicali, dal-le cui radici si estrae una nutriente farina (detta tapioca).

3. Port Harcourt: città situata nella parte orien-tale del delta del Niger.

nella maggioranza, è la loro età, essi possiedono la grandezza di chi ha conosciuto e sperimentato l’intero arco di una lunga vita che si preparano ad abbandonare.

Eccone uno, accanto alla madre, avrà forse tre anni: piccolissimo tutto testa, ossicini, unghie e membrane come un pipistrello: attizza un piccolo fuoco davan-ti a sé e sul fuoco arrostisce una lucertola che poi gratta con la lama arrugginita di un coltello. Al seno della madre, due stracci lunghi, spiegazzati, sta appeso un altro bambino, quasi un neonato, ma ossuto e rugoso come un centenario, i denti sporgenti da una bocca ormai senza più labbra. Si accanisce a poppare e ingoia quel misero seno fin quasi a ingozzarsi, poi si stacca con brevi singhiozzi e conati di vomito, piange grosse lacrime che lo inondano tutto e si sforza di strillare: ma non è uno strillo, un vagito, il suo, bensì una sorta di strido rauco e debole che perde suono via via e si spegne in un rantolo asmatico. Allora la madre non sa-pendo che fare gli porge lei stessa il seno a cui il bambino si attacca con voracità ancora maggiore.

Nello spazio di venti minuti, il tempo della mia visita, ne muoiono due, un bambino di cinque anni e una bambina di nove. Il primo sta disteso bocconi ac-canto alla madre, gli occhi ancora aperti e afflosciati, i denti già lievemente grigi, le palme ancora rosee, rovesciate. La madre gli carezza il capo piangendo in silen-zio, senza guardarlo. L’altra madre, in fondo al capannone, si lamenta accanto al cadavere della figlia. Più che un lamento è un canto funebre, un urlo ritmico che lei accompagna battendo le mani e piegandosi fino a terra e che finisce in un lungo gemito. Poi ricomincia. Gli altri, a centinaia, non guardano, muovono appena gli occhi nel niente che si avvicina, stretti ai figli, in attesa del loro turno.

Il mio accompagnatore insieme al direttore del campo mi porta a vedere il ma-gazzino viveri. È una baracca, chiusa con due lucchetti. Ho contato undici sacchi di farina di manioca2, tre sacchi di fagioli, mezzo sacco di latte in polvere, due sca-tolini di medicinali, soprattutto vitamine. Sono le riserve per tre giorni, poi non ci sarà più nulla. La razione è di un pugno di manioca e uno di fagioli per persona, al giorno. Chiedo chi potrà sopravvivere.

«Per il novanta per cento e forse più dei bambini che sono qui la sorte è segna-ta. Vivranno ancora qualche giorno, forse una settimana, forse dieci giorni. Ma è certo che moriranno tutti. Per gli adulti la mortalità è inferiore. Le cause della morte sono la totale mancanza di nutrimento proteinico. Questi sono qui da mag-gio, dalla caduta di Port Harcourt3. Non hanno mangiato nulla, nulla di nulla per circa un mese, il tempo di camminare fino a qui. Sono circa centoquaranta chilo-metri, sempre nella foresta. Sono arrivati, anzi sono stati trovati press’a poco nelle condizioni in cui lei li vede ora. Appartengono alla razza Efik, una minoranza della costa abituata a nutrirsi di pesce e quindi a un tasso proteinico relativamente alto. La vitamina non serve, soltanto il pesce e la carne avrebbero potuto salvarli, ma ormai è troppo tardi e in ogni caso non avverrà».

«Come sono arrivati fin qui?».

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«A piedi, errando nella foresta verso nord. Hanno terrore della guerra, la ve-dono per la prima volta, e temono di essere tutti massacrati dai nigeriani. Alle prime sparatorie fuggono senza sapere dove. Alcuni trovano asilo nei villaggi, già sovrappopolati e in preda alla carestia. Moltissimi, terrorizzati, rimangono nella foresta e muoiono di fame senza che nessuno lo sappia».

Esco dalla baracca viveri. Alcuni uomini stanno scuoiando un corpo bian-chiccio, gonfio e semicarbonizzato. Per un istante ho un sospetto terribile, ma mi accorgo subito che è il corpo di un agnello. Quel corpo puzzolente e gonfio, da cui non sono state tolte le interiora, non appare tanto diverso da quello dei due bambini morti; così promiscuo, totale e totalitario è l’orrore da rendere non solo possibile ma perfino lecita la confusione tra esseri umani e animali. La mente è come dissolta, la ragione perde di colpo la sua funzione di strumento conoscitivo e associativo, soli strumenti di conoscenza rimangono i sensi che registrano indif-ferentemente i fenomeni.

Lasciamo il campo. Una donna segue la nostra automobile sotto la pioggia tor-renziale. Dapprima sorride, forse per ingraziarsi qualcuno di noi, si batte il ventre con una mano, fa il gesto di mangiare e parla, parla incessantemente. Poiché si accorge che l’auto si allontana ci segue spalancando le braccia, cade nell’acqua, si risolleva, cade ancora e urla, con urla rauche da bestia.

A poche centinaia di metri dal campo, lungo la pista dove navighiamo come in un fiume, incontriamo abitanti dei villaggi vicini, alcuni coperti da impermea-bili di plastica, gialli, verdi, azzurri. Chi a piedi, chi in bicicletta, ridono, saltano, con la vitalità allegra e un po’ pazza degli africani. In una capanna due bambini sani, grassocci, danzano al suono di un tamburo. Con l’incoscienza della natura

profughi del Biafra, nigeria 1968.

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4. nasse: trappole per pesci co-stituite da reti chiuse che vengo-no lasciate in acqua con un’esca per attirare le prede.5. Gowon: il tenente colonnel-lo Yakubu Gowon fu l’artefice di

una durissima repressione con-tro l’etnia Ibo del sud della Ni-geria che, a seguito di un colpo di stato militare, nel 1966, ave-va assunto il controllo del Pae-se imponendo come presidente

il generale Ironsi. Quest’ultimo sarà rimosso dal contro-colpo di stato promosso dalle popolazio-ni del nord, guidate appunto da Gowon.

altrettanto allegra, altrettanto vitale. Percorriamo ampie vallate, felice foresta di un verde smeraldo intenso, irrorata dalla pioggia, solcata da balenanti spade di sole, palme, banani, liane, foglie, si gonfiano, si illuminano di colori, esplodono nello spettacolo insieme indifferente, crudele e misterioso della vita.

Raggiungiamo un altro campo di profughi, a pochi chilometri di distanza. Stes-sa visione. Alcuni hanno tentato di organizzare un mercatino, una minuscola, atro-ce finzione di iniziativa privata. Nel cortile si allineano traballanti banchetti, fatti con stecchi piantati per terra e coperti di foglie di palma su cui è esposta la merce in vendita: cinque o sei fagioli allineati, un mucchietto di bacche, un microscopico mucchietto di sale, un topo. Fa pensare a un gioco atroce, insensato, se non fosse che offrono di vendere quella merce anche a me. Chiedo chi la compra.

«Quelli che hanno ancora qualche soldo. In molti campi si è formato subito un piccolo commercio, gli africani non sanno rinunciare al commercio, forse quello era il loro mestiere, prima di arrivare qui. I più sani vanno di notte nella foresta, raccolgono lumache e banane, ammazzano topi e lucertole che mettono in ven-dita. Se riescono a racimolare qualche sterlina vanno in città, ad Aba4, a piedi, comprano un mucchietto di sale, che è la cosa più rara, e lo portano qui. Molto spesso sono loro a mangiare la merce che mettono in vendita perché quasi nessuno possiede denaro. È la forza dell’abitudine e l’attaccamento alla vita che li spinge a continuare nel loro mestiere. Guardi quello».

Mi indica un uomo che sta intrecciando nasse4. Lavora lentamente, coscienzio-samente, con precisione. Ne ha già intrecciate quattro, allineate accanto a sé. «È un pescatore. Lui sa che il Biafra non ha più alcuno sbocco sul mare, che quelle nasse non servono a nulla, che nessuno le comprerà. Eppure continua a fare il suo mestiere come se il mare ci fosse. È la speranza, signore».

Visitiamo un ospedale col tetto coperto di corvi magrissimi, schifosi, arcigni, che si spennano. È pieno di soldati feriti, ammassati sui letti e sul pavimento sotto i letti. Sono tutti giovanissimi, chi senza un braccio, chi senza una gamba. Uno di questi mi chiama, indica il troncone della gamba fasciata poco più su del ginoc-chio con bende rigide di sangue rappreso. Solleva il troncone con uno sforzo e dice: «Gowon5, Gowon». Un altro è arrivato ora dal fronte sud. Gronda sangue e delira. Quando mi vede, con uno sforzo, piangendo e urlando, cerca di gettarsi su di me. Accorrono le infermiere che lo immobilizzano. Il medico mi prende per un braccio e mi porta via, dicendomi: «L’ha scambiata per un mercenario e chia-ma in aiuto il suo comandante per ucciderla».

Passiamo nel reparto bambini. Anche qui le condizioni dei bambini sono di-sperate. Nella maggioranza sono piccoli scheletri come ho già visto nei campi, altri sono gonfi, tumefatti, la pelle scura si squama da tutto il corpo e lascia il posto a una nuova pelle biancorosea, all’apparenza sana e intatta come quella dei nostri

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6. yam: tubero di dioscorea, pianta coltivata nelle regioni tropicali a scopo alimentare; si

tratta di una patata dolce molto nutriente.

bambini. È la pelle della morte. A questo punto non c’è più niente da fare, se non lenire le sofferenze con un liquido viola di cui sono tutti cosparsi. Uno di questi bambini viola, di due anni, sta mangiando. Lo osservo: ha accanto a sé un piatto con una salsa rossa molto pepata, qualche pezzetto di carne di montone nella salsa e in una scodella una specie di polenta, un impasto ricavato dalla farina di yam6, grosso tubero che è il cibo nazionale. L’uso è quello di modellare palline di questa polenta tra le dita e di immergerle poi nel sugo. Il bambino fa tutto questo con estrema lentezza e vorrei dire perfino con distaccata eleganza. Modella a lungo la pallina senza fretta, come se non avesse fame, poi la intinge nel sugo, la lascia sco-lare per qualche istante, infine ingoia la pallina senza masticarla. Sta seduto eretto nella culla, come se fosse a tavola, come un adulto, educato, calmo e autoritario. La madre, una donna giovanissima, gli sta accanto. Osservo lo sguardo della ma-dre. Non è rivolto al bambino, bensì al cibo. È uno sguardo vorace, bestiale. A un certo punto, coprendo il gesto col suo corpo per nascondersi, si getta sul cibo del bambino e comincia a mangiarlo in fretta. Il bambino lascia fare, smette di modellare le palline di yam e incrocia le mani sul grembo guardando altrove. In quell’istante entra un’infermiera, solleva la madre dal cibo e la schiaffeggia con violenza una, due, molte volte. La donna riceve gli schiaffi con la bocca piena, non fa nulla per difendersi, in piedi, rigida, fino a quando le lagrime cominciano a scorrerle sulle guance.

Goffredo Parise, Guerre politiche: Vietnam, Biafra, Laos, Cile, Milano, Adelphi, 2007

Bambini del Biafra, nigeria 1967.

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scheda di analisi

che attizza il fuoco; il piccolo appeso al seno della ma-dre; il cadavere della bimba di nove anni vegliata dalla madre che le intona uno straziante canto funebre; il pescatore che intreccia nasse; il giovane soldato ferito e allucinato; il bambino di due anni che nell’ultima se-quenza modella con eleganza palline di yam.

La lingua e lo stile Nel testo sono presenti, riportati nella forma del di-

scorso diretto, alcuni inserti di intervista: le dichia-razioni rese al giornalista Parise, tipiche del genere re-portage, non hanno solo la funzione di rendere meno monotona la lettura, spezzandone il ritmo, ma servono a introdurre un punto di vista diverso rispetto a quello di chi scrive, certificando la pluralità delle fonti a cui ha attinto l’autore e dunque la scrupolosità del suo la-voro.

Goffredo Parise è uno scrittore “nomade”, non appartenente a una specifica scuola letteraria, ma pos-siede una poeticità innata e istintiva affinatasi nel cor-so del suo percorso artistico. «Poeta senza versi», com’è stato definito, partecipa del sentimento delle cose mentre le racconta: si veda, a titolo esemplifica-tivo, la descrizione dell’atteggiamento dei bambini del primo campo o le immagini suggestive della foresta.

La sua scrittura, tuttavia, non rinuncia alla sua es-senza chiarissima, lapidaria, incisiva. L’accumu-lazione dei particolari anatomici delle vittime della guerra (si veda, per esempio la descrizione iniziale dei bambini), con l’impiego insistente di un lessico speci-fico, vuole rappresentare con efficacia la deformazione fisica prodotta dalle sofferenze e dalla fame negli in-dividui. Esattezza, precisione, cura del dettaglio emergono anche in altri passaggi: nell’inventario dei vi-veri rimasti nel magazzino, nel racconto, da parte del testimone, dell’odissea dei profughi Efik e dei problemi legati al loro regime alimentare, nella descrizione del-le abitudini alimentari legate al consumo di yam ecc.

Il tema e il messaggio Allo scopo di denunciare e smascherare l’atrocità

di quanto sta accadendo in Biafra, nel suo reportage giornalistico Goffredo Parise racconta con dettaglia-to realismo le condizioni della popolazione locale. Il suo occhio si sofferma in particolare sull’infanzia dolente, sui bambini che, a causa degli stenti, han-no assunto l’aspetto di vecchi e anche la loro triste saggezza (a due, tre, cinque anni [...] possiedono la grandezza di chi ha conosciuto e sperimenta-to l’intero arco di una lunga vita che si prepara-no ad abbandonare). Lo stesso Parise, ricordando quest’esperienza, ne parlerà come di un «momento di pesante invecchiamento di tutta la mia persona». Lon-tano da un moralismo astratto e inutile, sono gli ele-menti descrittivi concreti e oggettivi a imporre con forza al lettore – che diviene per il tramite delle parole del giornalista a sua volta testimone – la con-statazione dello scandalo assurdo di una guerra inau-dita, inutile e cinica, elevato a dramma universale.

I luoghi e i personaggi Il testo accosta una serie di inquadrature in cui ven-

gono descritti paesaggi naturali e umani. I primi, seppur descritti con brevi tratti, restituiscono l’imma-gine di una natura rigogliosa e lussureggiante, che contrasta volutamente con gli elementi legati alla dimensione umana: la foresta produce infatti lo spet-tacolo insieme indifferente, crudele e misterioso della vita, come afferma lo stesso autore, in antitesi con l’immagine della morte e della desolazione che caratterizza i diversi luoghi abitati dall’uomo. A ciascuno di essi è dedicata una sequenza: fra capan-noni, edifici fatiscenti e ripari precari vive, immobile nel suo dolore, la popolazione. Il reporter la descrive in termini generici, per poi focalizzarsi su singoli in-dividui che incarnino il dolore di tutti: il bambino

Laboratoriosultesto

Comprendere1. Cerca nel testo le informazioni riguardanti il primo campo profughi: l’ubicazione dell’insediamento, la

quantità e la tipologia di edifici, il numero di profughi e la loro età.2. L’autore si sofferma sulla descrizione dei bambini: che cosa fanno? Quali sono le loro caratteristiche fisi-

che? Come si comportano nei confronti del giornalista che li osserva?3. Dove sono conservati i viveri? Qual è la consistenza delle scorte?4. nel secondo campo di profughi c’è un mercatino: quali merci vi si vendono? Come mai è sopravvissuto tale

piccolo commercio?

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5. Quali sono gli atteggiamenti delle diverse madri descritte da parise? 6. perché gli Efik temono di essere massacrati dai nigeriani?

interpretare7. perché i bambini sofferenti hanno un atteggiamento distaccato e composto? tale comportamento quali

sentimenti ed emozioni suscita nel giornalista e nel lettore?8. non tutta l’umanità descritta è dolente. Il giornalista registra la presenza di un gruppo di persone allegre,

sane e ben nutrite. Che cosa possiamo dedurre e intuire da quest’apertura dello sguardo – certo non ca-suale – su un quadro in cui la nota dominante non è il dolore e la tragedia?

9. non mancano nel testo squarci descrittivi, in cui la natura è rigogliosa, quasi esuberante nella sua bellezza e vitalità: quale funzione attribuisci a queste note paesaggistiche?

analizzareLuoghiepersonaggi

10. Individua nel testo quali sono i diversi luoghi in cui si svolge l’azione e spiega in che modo essi sono carat-terizzati.

11. perché il giornalista sceglie di focalizzare la sua attenzione sulla rappresentazione di singoli individui?

tecnichenarrative12. nel brano sono presenti porzioni di testo fra virgolette. Che cosa rappresentano? Come ne spieghi la pre-

senza? 13. Cerca nel testo degli esempi dello stile estremamente realistico e dettagliato di parise.

padroneggiarelalinguaLessico

14. L’accumulazione è uno degli artifici retorici più efficaci usati da parise. rilevane la presenza nel brano, spie-gando lo scopo per cui l’autore vi ricorre.

15. Così promiscuo, totale e totalitario è l’orrore da rendere non solo possibile ma perfino lecita la confusione tra esseri umani e animali. Qual è il significato abituale del termine promiscuo? Quale senso assume, in questa frase?

16. Visitiamo un ospedale col tetto coperto di corvi magrissimi, schifosi, arcigni, che si spennano. Che cosa signifi-ca l’aggettivo arcigno?

a) puzzolente, putrido. c) Severo, duro. b) Chiassoso, rumoroso. d) rissoso e violento.

Grammatica17. rintraccia i numerali presenti nel testo. Sai spiegare il motivo di una presenza così significativa?18. I bambini, che sono la maggioranza, scheletrici, rattrappiti, chi sdraiato e chi seduto contro un muro... Chi ha

funzione di aggettivo o pronome? Di quale tipo?

produrre19. Quali reazioni ha prodotto in te la lettura di un testo così duro? In particolare, credi che la parola scritta sia

stata capace di esprimere e rappresentare efficacemente tale realtà? Oppure pensi che le immagini sareb-bero riuscite a ottenere un impatto maggiore, a suscitare emozioni più forti? Discutine con i tuoi compagni.

20. Il problema della fame nel mondo e l’emergenza umanitaria diffusa nel sud del mondo continuano a esse-re una tragica realtà. ne hai mai indagato le dimensioni e le ragioni? Scrivi un testo espositivo-argomenta-tivo di circa una pagina in cui presenti le tue conoscenze e le tue opinioni su tale argomento.

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La vita e le opereLa vita Nato a Modena nel 1947, Walter Siti è

critico letterario e narratore. Dopo aver con-cluso la sua formazione alla Scuola Normale Supe-riore di Pisa, Siti ha insegnato letteratura italiana negli atenei di Pisa, Cosenza e L’Aquila. Dalla metà degli anni Novanta ha accostato ai suoi scritti di critica letteraria una produzione narrativa di rilie-vo.

Le opere La propensione di Siti per una lette-ratura di carattere realistico si manifesta già nei suoi primi scritti di critica letteraria: Il realismo dell’avanguardia (1973) e Il neorealismo nella poesia italiana (1980). Questo suo orientamento poetico emerge anche nell’interesse per la figura letteraria di Pier Paolo Pasolini, di cui Siti ha curato l’edizione critica delle opere complete per i Meridiani Mondadori (1998-2001).La sua attività di romanziere inizia nel 1994, con la pubblicazione di Scuola di nudo, a cui seguiranno Un dolore normale (1999), La magnifica merce (2004) e Troppi paradisi (2006): in particolare in quest’ultimo romanzo l’autore presenta gli effetti devastanti, quasi apocalittici, prodotti dal tentati-vo di riprodurre nella realtà il mondo fittizio dei reality-show televisivi. Dopo Il contagio (2008) e una serie di racconti, nel 2010 ha pubblicato il romanzo Autopsia dell’ossessione.

Il contagioIl tema Questo romanzo del 2008 rappresen-

ta una sorta di autobiografia fittizia dell’autore, che si cela dietro il personaggio del “professore”, il quale registra e racconta in presa diretta l’esisten-za quotidiana della borgata romana in cui vive e il suo inarrestabile degrado umano e civile, che egli rende con la metafora del “contagio”, termine che allude al rischio di una diffusione pandemica di tale pericolosa infezione sociale.

I personaggi L’opera non ha una trama vera e pro-pria; la borgata è il teatro di una serie di avveni-menti che si susseguono caoticamente e che acco-glie sulla scena attori tanto numerosi quanto “irregolari”: un culturista-gigolò, una prostitu-ta, uno spacciatore, una paraplegica politicamente impegnata, un ultrà, una moglie maltrattata… Un palazzo, un condominio di tre piani della periferia romana è il microcosmo in cui ciascuno organiz-za la propria vita seguendo lo stesso codice non scritto: «godere tutto e subito, non conservar-si rimpianti per l’età matura, non negarsi nessuna esperienza».

Walter Siti

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1. raccordo: il Grande Raccor-do Anulare, l’arteria stradale che circonda la città di Roma.2. Gianfranco… torti: il riferi-mento è alle tormentate vicende matrimoniali di Fiorella, che tutti

chiamano Sabrina, e Gianfranco, spacciatore che ambisce ad allar-gare il suo giro d’affari, in parte narrate nel capitolo precedente.3. porello: poveretto (dialetto romano).

4. buffi: i soldi (in dialetto roma-no, “buffi” è sinonimo di debiti).5. occlusione alle tube: pato-logia dell’apparato genitale fem-minile che rende impossibile il concepimento.

La casa esiste, in un angolo di borgata che potrebbe essere tutte le borgate; oltre il raccordo1, così lontano dal Centro che i taxi per venirvi a prende-

re vi sottopongono a un terzo grado, pretendono un telefono fisso, e il cognome, e l’assicurazione formale che non faranno il viaggio a vuoto. Una casa popolare degli anni Ottanta, col cemento a vista (scritto in rosso all’imbocco della scala A: “l’invidia è la forza dei cornuti”), in una strada senza uscita ma con un buco nella rete per risparmiarsi il giro lungo quando si torna a piedi dal supermercato. […] La casa è illuminata dal sole al tramonto e componendosi con gli altri parallelepi-pedi sfalsati, nello smeraldo dei campi, smentisce il luogo comune che le borgate siano sempre brutte.

Nella scala A ci sono nove appartamenti ma ci abitano solo sette famiglie, dato che il secondo piano è occupato per intero da Fiorella col bambino, e ogni tanto si sente persa in quell’appartamento enorme sicché si piazza al balcone a telefonare per ore; più che altro alle amiche, ma c’è chi testimonia di averla sentita ansimare porcherie a un ex, vedi che Gianfranco non ha poi avuto tutti i torti2. Il bambino è buonissimo, porello3, di giorno dondola la testa e di notte non piange quasi mai. Marcello, il culturista del primo piano che con quello che si inietta è sensibilissimo ai rumori, non si è mai lamentato per il piccolo; si lamenta quando l’inquilina del terzo va a fare le pulizie da Fiorella e attacca la lucidatrice alle nove del mattino, che è un’ora più che civile ma per lui è il primo sonno: «a Vale, l’hai consumato ’sto pavimento». Poi però, quando la vecchia signora scende col bambino in braccio, e lui è a spasso col cane, è gentilissimo sia con lei che col pupo, fa mille clowne-rie – si lega un fazzoletto sulla bocca per farlo ridere, entra nel negozio di articoli sportivi, «questa è una rapina, consegnatemi tutti i vostri buffi4! ». Forse perché lui di figli non ne può avere. La scala A è una scala disgraziata quanto a bambini: Marcello è sterile; Flaminia, la moglie del romanista in affidamento diurno, è lei ad avere un’occlusione delle tube5; Francesca, la paraplegica che occupa l’altro

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La casa di via Vermeer L’occhio del narratore inquadra il mondo della borgata romana a diversi livelli, alternando i dettagli di uno sguardo analitico a più vaste vedute d’insieme. Via Vermeer è, nella finzione del romanzo, il nome di una via del quartiere di Tor Bella Monaca; in realtà, una strada con questo nome a Roma non esiste: ma è proprio tale circostanza a trasformare questo mondo e i suoi personaggi in una realtà universale e allegorica, simbolo del degrado umano e della crisi di valori tipici non solo della borgata romana, ma di gran parte della società contemporanea.

• GENERE romanzo

• LUOGOEtEmpO roma; epoca

recente

• pERsONaGGi Gli abitanti del

palazzo di via Vermeer

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6. fa la vita: si prostituisce.7. pippare: sniffare cocaina.8. roba: si intende la droga. 9. poliomelite: malattia vira-le altamente contagiosa, che in alcuni casi può provocare la pa-

ralisi.10. tutori: apparecchi ortopedi-ci che hanno lo scopo di sostene-re parti del corpo lese o sottopo-ste a traumi.11. accompagno: sostegno eco-

nomico fornito dalle istituzioni previdenziali a persone con in-validità (anche detto “accompa-gnamento”).

appartamento del primo piano, potrebbe tecnicamente diventare madre ma il de-stino ha soffocato l’ipotesi. Al terzo piano c’è una coppia di semianziani con una figlia sposata a Lavinio, in rotta coi genitori, poi un separato che vive con la ma-dre settantenne (la signora Valeria, appunto), infine una ragazza brasiliana che fa la vita6 e quindi non è il caso. Se Fiorella, com’è probabile, tornerà dai suoi, non ci saranno germogli freschi nel palazzo. Che è arido anche visto da fuori: non un fiore, non una pianta ai balconi – solo bacinelle, e sedie di plastica, e fustini di de-tersivo. Qui sono gli uomini che restano a casa e loro non hanno il pollice verde; e comunque considererebbero poco virile curare le piante. Se ne fottono, stanno a giocare a carte o a pippare7, e quando le donne rientrano strillano perché i ma-riti o i figli non hanno messo fuori manco la monnezza, figuriamoci ricordarsi di innaffiare le rose. […]

Si strilla molto in borgata, ma le incazzature sono considerate fenomeni natu-rali, scivolano come acqua sul vetro. L’abitudine alle urla ne fa emergere il lato comico. I due fratelli che litigavano per una cattiva spartizione della roba8, e uno gridava all’altro da ormai cinque minuti «t’ammazzo, t’ammazzo, t’ammazzo », fin che una voce esasperata interruppe «oh, si vói te l’ammazzo io, basta che la famo finita». O quello che chiamava «Pippoo, Pippoooo» alle tre di notte per svegliare Filippo il verduraio, e si sentì rispondere flemmatico da un cocainomane «pur’io pippo, ma mica faccio tutto ’sto casino». […]

Francesca, detta la Cicci, ha una resistenza terribile e una risata contagiosa; all’inizio degli anni Cinquanta, quando è nata, c’era il boom della poliomielite9 in Italia e lei c’è cascata dentro. Non ha mai camminato in vita sua, se non per brevissimi e faticosissimi momenti, con tutori10 più ingombranti e invalidanti an-cora della carrozzina. Da piccolissima non si rendeva conto, lo shock è stato alle elementari: un giorno è tornata da scuola sostenendo che voleva morire presto, che non vedeva l’ora, perché la suora le aveva promesso che dopo morta, in para-diso avrebbe camminato. Giocava al parco coi coetanei e si divertiva, finché non arrivavano le madri e li strappavano, «vieni via che la bambina è malata». Così la madre, donna energica precocemente vedova, l’ha portata dal paesello a Roma, sperando che nella grande città si notasse meno, e poi era più comodo per gli ospedali e le cure. […]

Nella casa, la Cicci la chiamano “il grillo parlante” perché è l’addetta ufficiale alle prediche, unica voce di sinistra in un ambiente compattamente di estrema de-stra. La invidiano per motivi sordidi, per esempio perché è riuscita con aderenze a ottenere di autogestirsi i soldi che lo Stato le garantisce per l’accompagno11, sic-ché può permettersi belle e lunghe vacanze; si è comprata un pulmino di seconda mano e glielo ha minacciato a tutti, «occhio al pulmino che ve spezzo le gambe». Azzardavano spiritosaggini anche sul segmento più tragico della sua vita, quan-do stava con Salvatore che loro avevano soprannominato Boccadoro dato quello

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che riusciva a fare col pennello tra i denti. Ma Francesca non riesce a disprezzarli davvero i suoi vicini: «io li vedo, loro lo sanno, rispondono stai tranquilla; a me non mi torcerebbero un capello, anzi devo ammettere che se ho un’emergenza sono protettivi e generosi».

Gli inizi non sono stati facili. Lei è una delle prime regolari, grazie all’invalidità: i bandi erano per gli anziani, per i disabili, per gli sfrattati – ma purtroppo pure per chi stava ai domiciliari e quelli, non potendo muoversi, convocavano i delinquenti a casa loro. Francesca era sola, sua madre era scomparsa da poco e quel quartie-re le faceva un brutto effetto («come quando vai al cimitero e vedi da lontano i lumicini... be’ qui per me era lo stesso, quando tornavo la sera e vedevo le lucine di tutte quelle finestre»); lo usava come dormitorio, lavorava alla Esselunga e tor-nava tardi. Pian piano si è resa conto dei giri mafiosi che c’erano, il business della vendita degli alloggi popolari, anche a trenta-quaranta milioni l’uno, roba che se lo racconti all’estero ti ridono in faccia; lei si è scontrata col capo della cosca per-ché avevano venduto l’alloggio che invece era già stato assegnato a una sua amica cieca, ma ha capito che non poteva opporsi frontalmente con una denuncia; si è inventata una tecnica d’aggiramento e l’ha avuta vinta. Le sue ossa politiche se le è fatte così: «siamo noi a creare il quartiere in cui viviamo».

Da allora Francesca non è più stata sola; all’accompagnatrice amorfa e neutra (anche se piena di buona volontà) del Comune si è sostituito un gruppo di com-pagni e compagne, che l’aiutavano volentieri e in cambio si beccavano qualche soldino. Una corte colorata, allegra, che ha finito per essere accettata pure dai fa-scisti del palazzo, tante partitelle a calcio e tanta musica scaricata sull’iPod. Una signora le ha fatto da mamma per quel che riguarda la cucina, le ha insegnato i piatti romani e spesso glieli portava già pronti da casa sua. Che importanza ha se

Graffiti urbani nella borgata romana di tor Bella Monaca.

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12. sezione: la sezione del parti-to, ovvero la sua sede locale.13. Tetraplegico: afflitto da te-traplegia, paralisi di tutti e quat-

tro gli arti.14. ha tigna: è cocciuta, deter-minata.15. Pietralata: borgata romana.

16. piaghe da decubito: lesio-ni della pelle dovute all’eccessiva permanenza a letto nella medesi-ma posizione.

la stessa signora, di sera, si metteva al davanzale perché abitava al piano terra, e dalla finestra passava le bustine ai tossici? Il marito e un figlio in galera, l’altro in comunità, che doveva fare per vivere?

C’è un’offesa, però, che Francesca non perdona al destino, un rancore da cui non esce. Ha avuto una storia con un ragazzo che è durata otto anni, quando lei ne aveva venticinque e il ragazzo ventuno; ha perso la battaglia contro i genitori, lui era normale e i suoi erano terrorizzati. Lui ora è sposato, ha una figlia adolescente e si incontrano qualche volta in sezione12, è sempre rimasto un uomo debole. Ma non è questa l’offesa del destino, il destino si è scatenato con lei facendole incon-trare Salvatore. La casa è ancora piena delle sue foto: siciliano per parte di padre, baffi folti, volto scavato, occhi neri. Tetraplegico13 per un incidente di tuffo, incaz-zato col mondo. Hanno deciso di convivere, compatibilmente coi turni balordi di lei; lui all’inizio solo i fine settimana, per il resto a casa della madre. «Perché non ti pigli una carrozzina a motore? recuperi il settanta per cento di autonomia...» – non voleva saperne, non voleva uscire di casa, dall’incidente non era più stato al mare, si vergognava del proprio corpo. «Io mi sono vista così fin da piccola, lui si ricordava di quando era bello.»

Francesca ha tigna14, non molla; hanno azzeccato un tredici al totocalcio e con la vincita si sono comprati un Mercedes («seh, tredicimila impicci» protestano Bruno e Marcello, «che, nun se sa che la madre de Boccadoro era ’a strozzina più famosa de Pietralata15? se metteva in mezzo pure nei fallimenti, comprava i debiti e mandava a riscòte... mica ce crederai davero che er fijo s’è paralizzato co’ un tuf-fo? j’hanno sparato, j’hanno»); si spostavano con gli amici, Salvatore aveva diritto a due accompagnatori perché era grave, s’era formata una brigata di cinque o sei – Sicilia, Sardegna, Costa Azzurra; a Taormina lui le offrì una suite coi finestroni troppo alti, e per mostrarle la spiaggia dovette farla sollevare da un amico. Salva-tore diceva che metà del suo cervello era rimasta incazzata, ma gli piaceva di più l’altra metà: «amore guarda dove t’ho portato»; «che guardo, se non ci arrivo?». Lui sulla spiaggia dipingeva, con la bocca e dei pennelli speciali; quadri precisis-simi, quasi geometrici, maniacali; quando dipingeva si astraeva dalla realtà. Ha tracciato a matita un ritratto di lei; la sua ultima opera, perché un tumore al pan-creas se l’è portato via in tre mesi.

Questo è il colpo da cui Francesca non s’è più ripresa. «Salvo non se lo meri-tava... la sua sofferenza naturale, quella che aveva già, hanno voluto che non ba-stasse, gli dèi schifosi, che ne occorreva un’altra, supplementare... la nostra vita ce l’eravamo modellata, dolorosa, perché lui aveva le piaghe da decubito16, dei problemi a urinare, delle infezioni continue... dolorosa, okèy, ma grande, io met-tevo il mio coraggio e lui l’istruzione... vicino a lui mi sentivo una nullità, intellet-tualmente... non accetto che tutto questo sia stato ripagato con altro dolore, non

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17. aspettativa: sospensione temporanea dal lavoro, che il lavoratore stesso ha il diritto di richiedere.

l’accetterò mai... al lavoro mi sono messa in aspettativa17, giorno e notte in ospe-dale con Salvo, ci siamo svenati per la stanza singola perché uno così mica lo puoi abbandonare in corsia... giorno e notte, giorno e notte... non mangiava, vomitava, era diventato giallo... e se n’è andato... il momento più bello era il momento di andare a letto, che riuscivamo a dormire abbracciati... perché di giorno c’erano sempre le carrozzine di mezzo... invece di notte, al di là di tutto quello che può accadere tra un uomo e una donna, era proprio il contatto, come quando incontri l’ombra tua e l’abbracci...»

Walter Siti, Il contagio, Milano, Mondadori, 2008

scheda di analisi

fisico da una grave disabilità e nello spirito da dolori e delusioni terribili, l’unico personaggio sano. Evi-dente è il rapporto inversamente proporzionale che le-ga, nella costruzione del personaggio, la salute del cor-po e quella dell’anima. Francesca combatte per degli ideali politici e sociali, persegue obiettivi che supera-no l’egoismo e l’individualismo imperanti, demolisce il muro dell’indifferenza generale tessendo attorno a sé una sottile rete di solidarietà sociale, afferma con for-za i suoi sentimenti, rifugge falsità e ipocrisia, guarda il mondo con disincanto e consapevolezza critica. La determinazione irremovibile del personaggio (Fran-cesca ha tigna) apre uno spiraglio di umanità in questo panorama cupo e desolato.

La lingua e lo stile Le modalità espressive dello stile di Walter Siti sono

molto particolari: nella caratterizzazione degli indivi-dui e degli ambienti la scrittura tende ad assume-re la forma stessa delle cose, a mimetizzarsi con esse. La scelta stessa della lingua utilizzata, un impa-sto originalissimo di italiano e romanesco (in cui alcuni critici riconoscono l’influenza di Carlo Emilio Gadda), è funzionale a tale senso di vicinanza imme-diata alla realtà da raccontare. Anche il brano proposto è caratterizzato da un’evi-dente sperimentalismo linguistico, realizzando un’operazione d’imitazione del parlato: in verità, essa è il risultato di un approccio letterario ben pen-sato, frutto della sensibilità stilistica e del “mestiere” dello scrittore. Solo apparentemente tale lingua è ri-presa in maniera pedissequa dal vero: essa contamina il romanesco dei personaggi con l’italiano (a volte di registro elevato) e, simmetricamente, piega la lingua italiana verso il dialetto, per darle maggiore espressivi-tà. Anche sul piano delle scelte linguistiche e formali, dunque, Siti vuole sottolineare la realtà confusa, ambi-gua, illusa e illusoria delle borgate.

Il tema e il messaggio Il brano è un esempio di quel “realismo d’emer-

genza” con il quale l’autore restituisce un’immagine fedele delle nuove borgate, frammenti rappresenta-tivi dell’intera società, ampiamente condizionata, nel-lo stile di vita e nei sistemi valoriali, dai modelli impo-sti dai media.

Se Pasolini, autore caro all’autore di Il contagio, aveva lamentato che le borgate negli anni del boom economico si stavano “imborghesendo”, stavano cioè perdendo la loro spontaneità e la loro genuinità popo-lari, il romanzo di Siti fa emergere una realtà opposta: ora è la classe media borghese delle periferie romane che si sta “imborgatando”, ovvero sta adeguando i suoi sistema di valori a una realtà degradata, sta abbassando i suoi standard umani e morali. I perso-naggi del romanzo coltivano sogni di lusso impossibili quanto insensati, fanno dell’indifferenza morale la lo-ro divisa quotidiana, fanno abuso di droga, improvvi-sano giorno per giorno un’esistenza priva di prospet-tive future. Simbolo sintomatico di quest’assenza pa-tologica di futuro, per un’umanità ormai alla deriva, è la sterilità che caratterizza, per motivi diversi, gli abitanti della casa.

I personaggi I personaggi maschili presentano tutti delle ca-

ratteristiche comuni e stereotipate; si tratta però del capovolgimento del luogo comune del maschio vi-rile, sicuro di sé, autorevole: gli uomini qui sono debo-li e sperduti, spesso caratterizzati da una sessualità ambigua, dall’esercizio di un individualismo feroce, di una chiusura totale nei confronti del prossimo, dall’il-lusione di poter dimostrare la forza e il coraggio che non hanno picchiando le loro donne o sfruttando gli altri.

In questa folla anonima di meschini personaggi è in-vece una donna, Francesca, detta Cicci, provata nel

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Laboratoriosultesto

Comprendere1. Descrivi la casa di via Vermeer e l’ambiente circostante.2. Elenca i personaggi che abitano nel palazzo, con indicazioni esplicite riguardanti la loro vita (professione,

stato civile, passatempi e abitudini).3. Qual è il tono di voce abituale degli abitanti del quartiere? Quali ne sono le comiche conseguenze?4. Descrivi l’infanzia di Francesca.5. racconta la storia d’amore tra Francesca e Salvatore.

interpretare6. Una casa popolare degli anni Ottanta […] in una strada senza uscita ma con un buco nella rete per risparmiar-

si il giro lungo quando si torna a piedi dal supermercato (r. 4-7). tale descrizione della casa di via Vermeer ti sembra presenti degli aspetti allegorici?

7. Non ci saranno germogli freschi nel palazzo (r. 33). L’autore si riferisce al fatto che i condomini non hanno il pollice verde o anche ad altro?

8. «Siamo noi a creare il quartiere in cui viviamo» (r. 85). Qual è il significato di questa frase e che cosa mostra del carattere di Francesca?

analizzareLinguaestile

9. rintraccia nel testo alcuni esempi di discorso indiretto libero, espediente tipico di una narrazione realistica.10. Evidenzia tutte le espressioni dialettali romanesche. Sono utilizzate in modo sporadico o frequente? Si tro-

vano prevalentemente in discorsi diretti o indiretti?11. È frequente la presenza di espressioni scurrili, volgari: sottolineale e rifletti sull’effetto che produce sul let-

tore questa scelta stilistica.

padroneggiarelalinguaLessico

12. La casa è illuminata dal sole al tramonto, componendosi con gli altri parallelepipedi sfalsati, nello smeraldo dei campi. Quale figura retorica è presente in questa frase?

13. La invidiano per motivi sordidi. Che cosa significa l’aggettivo sottolineato? a) Segreti. b) Ignobili. c) personali. d) Sporchi.14. nel testo sono molti i termini o le espressioni che appartengono al campo semantico del degrado sociale

e morale. ricercane alcuni e trascrivili.

Grammatica15. Si è comprata un pulmino di seconda mano e glielo ha minacciato a tutti, «occhio al pulmino che ve spezzo le

gambe». riscrivi la seguente espressione utilizzando un registro formale.

produrre16. In un testo di circa una pagina descrivi la tua casa oppure la tua scuola utilizzando lo stesso procedimento

utilizzato da Walter Siti per la casa di via Vermeer: parti dall’esterno, caratterizzando prima il paesaggio e il contesto, poi l’aspetto della costruzione; entra quindi nell’edificio, soffermandoti a descriverne la popo-lazione; infine, concentrati su un singolo personaggio, raccontandone brevemente la sua esistenza quoti-diana e le relazioni con le persone che hanno accompagnato i passaggi più significativi della sua vita.

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Reale, troppo reale • u n I t àp a r t E 3

La vita e le opereL’opera Roberto Saviano è nato a Napoli nel

1979. Laureatosi in filosofia, inizia la sua attività di giornalista all’inizio del Duemila, scrivendo per numerose riviste e quotidiani. Sin dal suo debut-to, focalizza la sua attenzione sulla realtà della cri-minalità organizzata. Nel 2006, a soli ventisette anni, pubblica la sua opera prima, il romanzo-re-portage Gomorra; l’opera passa quasi inosservata, all’inizio, ma in poco tempo essa ottiene un riscon-tro di pubblico e di critica straordinario: il libro ha venduto solo in Italia oltre due milioni e mezzo di copie, a cui vanno aggiunte altre dieci milioni di copie vendute in tutto il mondo. A Gomorra sono ispirati anche un spettacolo teatrale e una pellicola cinematografica, diretta da Matteo Garro-ne, vincitrice del Gran Premio della Giuria al Festi-val di Cannes del 2008.

Le conseguenze sulla vita dello scrittore L’enor-me successo di Gomorra ha obbligato il suo autore a una difficilissima realtà quotidiana: a causa delle ripetute minacce di morte da parte dei clan camor-ristici, Saviano è costretto a vivere sotto la costan-te protezione di una scorta, senza la possibili-tà di spostarsi liberamente da un posto all’altro, di fare una passeggiata solitaria, d’incontrare i suoi amici o i suoi familiari quando più ne ha voglia. Ma tale drammatica perdita di libertà, il tributo che ha dovuto pagare per il coraggio del suo impegno civile, non ha per questo diminuito la sua determi-nazione nel denunciare i mali che affliggono la sua terra; tale sforzo è anzi addirittura aumentato, at-traverso la scelta di usare i mezzi di comunicazione di massa (televisione e giornali nazionali e interna-zionali) per diffondere a più persone possibile la forza del messaggio di Gomorra. Saviano è così divenuto il simbolo della resi-stenza al crimine attraverso lo strumento pacifi-co della parola, tanto da essere invitato nel 2008 a tenere un discorso sul tema della libertà d’espres-sione all’Accademia di Stoccolma, l’organismo re-sponsabile dell’assegnazione dei premi Nobel.

GomorraI temi Le informazioni puntuali raccolte da

Saviano nel suo pluriennale “tirocinio” di giorna-lista in terra di camorra si trasformano in una de-scrizione organica del sistema camorristico, con tutte le implicazioni sociali ed economiche del fenomeno malavitoso che ha il suo nucleo origina-rio in Campania, ma che estende i suoi interessi e le sue attività in vaste zone d’Italia e ben oltre i confini nazionali. Il valore dell’opera di Saviano sta proprio nella sua capacità di mostrare, oltre la su-perficie di violenza e degrado che costituisce l’im-magine “tradizionale” del mondo criminale, la real-tà della sua struttura interna, le linee direttive che guidano la sua strategia, la sua volontà di in-filtrarsi nel tessuto sociopolitico e nell’eco-nomia ufficiale. Tale capacità di penetrazione e di analisi ha reso Gomorra un libro fondamentale per la comprensione del mondo della criminalità organizzata.

La forma Al di là dei contenuti di alto profilo civile, dal punto di vista squisitamente letterario Gomor-ra è un grande racconto visionario, potente e terribile, in cui la realtà indagata viene plasmata fino ad assumere i caratteri di una materia imma-ginaria, iperrealistica, grazie a strategie narrati-ve e scelte stilistiche consapevoli e assai riuscite. Si tratta perciò di un romanzo-verità le cui due componenti – l’aspetto di costruzione letteraria e quello d’indagine giornalistica – sono ben amalga-mate tra di loro e portate entrambe a livelli di qua-lità altissima.

Roberto Saviano

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1. edili: l’aggettivo sostantivato indica i lavoratori dell’edilizia.2. Luciano Bianciardi: auto-re del romanzo La vita agra (1962), nel quale, con toni rab-biosi e una deformazione a tratti grottesca della realtà, si denun-cia il passaggio brutale, nell’Italia

del boom economico, dalla civiltà contadina a quella industriale.3. Pirellone: il grattacielo mila-nese storica sede amministrati-va dell’industria Pirelli, oggi sede della Regione Lombardia.4. Ribolla: piccolo centro della provincia di Grosseto in cui sor-

geva una miniera per l’estrazio-ne della lignite; il 4 maggio 1954 fu teatro della più grave tragedia mineraria italiana del secondo dopoguerra: quarantatré perso-ne persero la vita nella sezione “Camorra sud” dell’impianto, a causa dell’esplosione di gas grisù.

Il potere dei clan rimaneva il potere del cemento. Era sui cantieri che sen-tivo fisicamente, nelle budella, tutta la loro potenza. Per diverse estati ero

andato a lavorare nei cantieri, per farmi impastare cemento non mi bastava altro che comunicare al capomastro la mia origine e nessuno mi rifiutava il lavoro. La Campania forniva i migliori edili1 d’Italia, i più bravi, i più veloci, i più economici, i meno rompicoglioni. Un lavoro bestiale che non sono mai riuscito a imparare particolarmente bene, un mestiere che ti può fruttare un gruzzolo cospicuo solo se sei disposto a giocarti ogni forza, ogni muscolo, ogni energia. Lavorare in ogni condizione climatica, con il passamontagna in viso così come in mutande. Avvici-narmi al cemento, con le mani e col naso, è stato l’unico modo per capire su cosa si fondava il potere, quello vero.

Fu quando morì Francesco Iacomino però che compresi sino in fondo i mec-canismi dell’edilizia. Aveva trentatré anni quando lo trovarono con la tuta da la-voro sul selciato, all’incrocio tra via Quattro Orologi e via Gabriele D’Annunzio a Ercolano. Era caduto da un’impalcatura. Dopo l’incidente erano scappati tutti, geometra compreso. Nessuno ha chiamato l’autoambulanza, temendo potesse ar-rivare prima della loro fuga. Allora, mentre scappavano, avevano lasciato il corpo a metà strada, ancora vivo, mentre sputava sangue dai polmoni. Quest’ennesima notizia di morte, uno dei trecento edili che crepavano ogni anno nei cantieri in Italia si era come ficcata in qualche parte del mio corpo. Con la morte di Iaco-mino mi si innescò una rabbia di quelle che somigliano più a un attacco d’asma piuttosto che a una smania nervosa. Avrei voluto fare come il protagonista de La vita agra di Luciano Bianciardi2 che arriva a Milano con la volontà di far saltare in aria il Pirellone3 per vendicare i quarantotto minatori di Ribolla4, massacrati

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Io so e ho le prove Il brano che segue, situato nell’ultima parte dell’opera, costituisce una pagina di prosa ispirata; la rabbia per gli abusi commessi dagli imprenditori del cemento è solo la scintilla che innesca una riflessione più ampia sulla necessità di un impegno civile, attraverso l’uso pacifico ma deflagrante della parola, la cui forza di rivelazione è capace di cambiare il mondo. Il richiamo alla figura di Pier Paolo Pasolini, scrittore, poeta, regista, personaggio politicamente e intellettualmente scomodo, morto assassinato nel 1975, non è casuale: egli è uno dei massimi rappresentanti di un modello di cultura che fa dell’impegno per una denuncia ferma e decisa dei mali della società la sua ragione d’esistenza.

• GENERE romanzo-verità

• LUOGOEtEmpO napoli e Casarsa;

primi anni Duemila

• pERsONaGGi Il narratore-reporter

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5. Io so: il riferimento è all’esor-dio di un celebre articolo di Pier Paolo Pasolini, intitolato Che cos’è questo golpe?, pubblicato sul «Corriere della sera» il 14 no-vembre 1974 e confluito poi negli Scritti corsari.6. jingle: termine inglese (lette-ralmente “tintinnio”) che si rife-risce a una breve frase musicale, un ritornello, un motivetto usato spesso in radio e in televisione come breve sigla per annunciare, per esempio, l’inizio di una pub-blicità o il cambio di programma.7. Casarsa: paese friulano dove

Pasolini nacque, nel 1922, e dove sarà sepolto.8. il nome uno e trino: il riferi-mento è ai tre elementi onoma-stici, tuti con la medesima inizia-le, di Pasolini: la sigla PPP, del resto, è usata spesso in luogo del nome per esteso dello scrittore.9. Caproni: Giorgio Caproni (1912-1990) è stata una della vo-ci poetiche più significative del secondo Novecento. 10. santino laico: il santino è una piccola immagine sacra og-getto di devozione popolare, usata in questo caso come me-

tafora di un culto e di una fede fatta di luoghi comuni e ritualità superficiale. Il termine è qui ab-binato, con una sorta di ossimo-ro, all’aggettivo laico, a indicare che si tratta di un oggetto di fede non religiosa.11. Cristo letterario: l’espres-sione, fortemente pregnante, accosta l’immagine di Cristo alla personalità umana e letteraria di Pasolini: come sopra, ciò che si intende è che non si vuole tra-sformare lo scrittore in un’imma-gine di devozione, una figura da adorare.

da un’esplosione in miniera, nel maggio 1954, nel pozzo Camorra. Chiamato così per le infami condizioni di lavoro. Dovevo forse anch’io scegliermi un palazzo, il Palazzo, da far saltare in aria, ma ancor prima di infilarmi nella schizofrenia dell’attentatore, appena entrai nella crisi asmatica di rabbia mi rimbombò nelle orecchie l’Io so5 di Pasolini come un jingle6 musicale che si ripeteva sino all’assil-lo. E così invece di setacciare palazzi da far saltare in aria, sono andato a Casarsa7, sulla tomba di Pasolini. Ci sono andato da solo, anche se queste cose per renderle meno patetiche bisognerebbe farle in compagnia. In banda. Un gruppo di fedeli lettori, una fidanzata. Ma io ostinatamente sono andato da solo.

Casarsa è un bel posto, uno di quei posti dove ti viene facile pensare a qualcu-no che voglia campare di scrittura, e invece ti è difficile pensare a qualcuno che se ne va dal paese per scendere più giù, oltre la linea dell’inferno. Andai sulla tomba di Pasolini non per un omaggio, neanche per una celebrazione. Pier Paolo Paso-lini. Il nome uno e trino8, come diceva Caproni9, non è il mio santino laico10, né un Cristo letterario11. Mi andava di trovare un posto. Un posto dove fosse ancora possibile riflettere senza vergogna sulla possibilità della parola. La possibilità di scrivere dei meccanismi del potere, al di là delle storie, oltre i dettagli. Riflettere se era ancora possibile fare i nomi, a uno a uno, indicare i visi, spogliare i corpi dei reati e renderli elementi dell’architettura dell’autorità. Se era ancora possibile inseguire come porci da tartufo le dinamiche del reale, l’affermazione dei poteri, senza metafore, senza mediazioni, con la sola lama della scrittura.

Presi il treno da Napoli per Pordenone, un treno lentissimo dal nome assai elo-quente sulla distanza che doveva percorrere: Marco Polo. Una distanza enorme sembra separare il Friuli dalla Campania. Partito alle otto meno dieci arrivai in Friuli alle sette e venti del giorno dopo, attraversando una notte freddissima che non mi diede tregua per dormire neanche un po’.

Da Pordenone con un bus arrivai a Casarsa e scesi camminando a testa bassa come chi sa già dove andare e la strada può anche riconoscerla guardandosi la punta delle scarpe. Mi persi, ovviamente. Ma dopo aver vagato inutilmente riuscii a raggiungere via Valvasone, il cimitero dove è sepolto Pasolini e tutta la sua fami-glia. Sulla sinistra, poco dopo l’ingresso, c’era un’aiuola di terra nuda. Mi avvici-nai a questo quadrato con al centro due lastre di marmo bianco, piccole, e vidi la tomba. “Pier Paolo Pasolini (1922-1975).” Al fianco, poco più in là, quella della

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12. E non... istruttorie: l’au-tore utilizza un lessico specifico giudiziario per indicare che la verità della parola è immediata, non deve essere verificata come le prove all’interno del processo, e nemmeno emerge dal confron-to di informazioni e testimonian-ze.13. gabbio: prigione.14. le pagine… materia: la teo-ria diviene pratica. L’espressione pagine dei manuali si riferisce per metonimia (il concreto per l’astratto) al contenuto delle pa-gine; i frattali sono frammenti di materia dotati di particolari ca-ratteristiche geometriche.15. pen drive: dispositivo rimo-vibile di memorizzazione dati per

computer.16. ciclostilati: stampati con una macchina tipografica detta ciclostile (oggi caduta in disuso).17. riprese… iridi: viste con i propri occhi. 18. temprate… legni: irrobu-stite con le emozioni tanto da di-ventare resistenti come il ferro e il legno.19. trasento: intuisco.20. cantilene... potere: le frasi di circostanza, vuote e ripetitive di chi detiene il potere.21. cassato: eliminato.22. brechtiano: ispirato al pen-siero del drammaturgo tedesco Bertolt Brecht (1898-1956).23. alle mani... delle storia: attraverso tale espressione figu-

rata Saviano si riferisce all’azio-ne concreta di chi fa muovere la Storia.24. ciotole… Giacobini: un’al-tra espressione figurata per af-fermare la maggiore importanza che rivestono agli occhi dell’au-tore le cause materiali (le ciotole perennemente vuote) degli av-venimenti storici (la presa del-la Bastiglia, evento scatenante la Rivoluzione francese) rispetto alle loro manifestazioni ideologi-che (la Gironda e i Giacobini, ovvero l’ala moderata e quella ra-dicale del governo rivoluzionario francese).25. un Veermer: un quadro del pittore olandese Jan Veermer (1632-1675).

madre. Mi sembrò d’essere meno solo, e lì iniziai a biascicare la mia rabbia, con i pugni stretti sino a far entrare le unghie nella carne del palmo. Iniziai a articolare il mio io so, l’io so del mio tempo.

Io so e ho le prove. Io so come hanno origine le economie e dove prendono l’odore. L’odore dell’affermazione e della vittoria. Io so cosa trasuda il profitto. Io so. E la verità della parola non fa prigionieri perché tutto divora e di tutto fa pro-va. E non deve trascinare controprove e imbastire istruttorie12. Osserva, soppesa, guarda, ascolta. Sa. Non condanna in nessun gabbio13 e i testimoni non ritrattano. Nessuno si pente. Io so e ho le prove. Io so dove le pagine dei manuali d’economia si dileguano mutando i loro frattali in materia14, cose, ferro, tempo e contratti. Io so. Le prove non sono nascoste in nessuna pen-drive15 celata in buche sotto terra. Non ho video compromettenti in garage nascosti in inaccessibili paesi di monta-gna. Né possiedo documenti ciclostilati16 dei servizi segreti. Le prove sono incon-futabili perché parziali, riprese con le iridi17, raccontate con le parole e temprate con le emozioni rimbalzate su ferri e legni18. Io vedo, trasento19, guardo, parlo, e così testimonio, brutta parola che ancora può valere quando sussurra: «È falso» all’orecchio di chi ascolta le cantilene a rima baciata dei meccanismi di potere20. La verità è parziale, in fondo se fosse riducibile a formula oggettiva sarebbe chi-mica. Io so e ho le prove. E quindi racconto. Di queste verità.

Cerco sempre di calmare quest’ansia che mi prende ogni volta che cammino, ogni volta che salgo scale, prendo ascensori, quando struscio le suole su zerbini e supero soglie. Non posso fermare un rimuginio d’anima perenne su come so-no stati costruiti palazzi e case. E se poi ho qualcuno a portata di parola riesco con difficoltà a trattenermi dal raccontare come si tirano su piani e balconi sino al tetto. Non è un senso di colpa universale che mi pervade, né un riscatto mora-le verso chi è stato cassato21 dalla memoria storica. Piuttosto cerco di dismettere quel meccanismo brechtiano22 che invece ho connaturato, di pensare alle mani e ai piedi della storia23. Insomma più alle ciotole perennemente vuote che portaro-no alla presa della Bastiglia che ai proclami della Gironda e dei Giacobini24. Non riesco a non pensarci. Ho sempre questo vizio. Come qualcuno che guardando Vermeer25 pensasse a chi ha mescolato i colori, tirato la tela coi legni, assemblato

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26. parato: carta da parati, ri-vestimento.27. Qatar: Stato dell’Arabia orientale, affacciato sul Golfo Persico, con ricchi giacimenti petroliferi.28. Minsk: città della Bielorus-sia.

29. maghrebini: immigrati ori-ginari dei paesi del Maghreb, re-gione dell’Africa settentrionale situata fra il Sahara e l’Atlantico.30. inerti: materiali usati in edi-lizia, come sabbia e pietrisco, che non subiscono trasformazioni chimiche durante la lavorazione.

31. iperurani: luoghi letteral-mente situati oltre i cieli; terri-tori dell’immaginazione, della pura fantasia.32. Castelvolturno: località della costa campana a nord di Napoli, in provincia di Caserta.

gli orecchini di perle, piuttosto che contemplare il ritratto. Una vera perversione. Non riesco proprio a scordarmi come funziona il ciclo del cemento quando vedo una rampa di scale, e non mi distrae da come si mettono in torre le impalcature il vedere una verticale di finestre. Non riesco a far finta di nulla. Non riesco proprio a vedere solo il parato26 e penso alla malta e alla cazzuola. Sarà forse che chi nasce in certi meridiani ha rapporto con alcune sostanze in modo singolare, unico. Non tutta la materia viene recepita allo stesso modo in ogni luogo. Credo che in Qatar27 l’odore di petrolio e benzina rimandi a sensazioni e sapori che sanno di residenze immense, occhiali da sole e limousine. Lo stesso odore acido del carbonfossile, a Minsk28, credo rimandi a facce scure, fughe di gas, e città affumicate mentre in Belgio rimanda all’odore d’aglio degli italiani e alla cipolla dei maghrebini29. Lo stesso accade col cemento per l’Italia, per il mezzogiorno. Il cemento. Petrolio del sud. Tutto nasce dal cemento. Non esiste impero economico nato nel mezzogiorno che non veda il passaggio nelle costruzioni: gare d’appalto, appalti, cave, cemen-to, inerti30, malta, mattoni, impalcature, operai. L’armamentario dell’imprenditore italiano è questo. L’imprenditore italiano che non ha i piedi del suo impero nel cemento non ha speranza alcuna. È il mestiere più semplice per far soldi nel più breve tempo possibile, conquistare fiducia, assumere persone nel tempo adatto di un’elezione, distribuire salari, accaparrarsi finanziamenti, moltiplicare il proprio volto sulle facciate dei palazzi che si edificano. Il talento del costruttore è quello del mediatore e del rapace. Possiede la pazienza del certosino compilatore di do-cumentazioni burocratiche, di attese interminabili, di autorizzazioni sedimentate come lente gocce di stalattiti. E poi il talento di rapace, capace di planare su terreni insospettabili, sottrarli per pochi quattrini e poi serbarli sino a quando ogni loro centimetro e ogni buco divengono rivendibili a prezzi esponenziali.

L’imprenditore rapace sa come usare becco e artigli. Le banche italiane sanno accordare ai costruttori il massimo credito, diciamo che le banche italiane sem-brano edificate per i costruttori. E quando proprio non ha meriti e le case che costruirà non bastano come garanzie, ci sarà sempre qualche buon amico che garantirà per lui. La concretezza del cemento e dei mattoni è l’unica vera mate-rialità che le banche italiane conoscono. Ricerca, laboratorio, agricoltura, artigia-nato, i direttori di banca li immaginano come territori vaporosi, iperurani31 senza presenza di gravità. Stanze, piani, piastrelle, prese del telefono e della corrente, queste le uniche concretezze che riconoscono. Io so e ho le prove. So come è sta-ta costruita mezz’Italia. E più di mezza. Conosco le mani, le dita, i progetti. E la sabbia. La sabbia che ha tirato su palazzi e grattacieli. Quartieri, parchi, ville. A Castelvolturno32 nessuno dimentica le file infinite dei camion che depredavano il Volturno della sua sabbia. Camion in fila, che attraversavano le terre costeggiate da

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33. Asiago: paese in provincia di Vicenza situato sull’omonimo altipiano.34. Tenerife: isola delle Cana-rie.35. Sassuolo: cittadina in pro-vincia di Modena.36. mastro: termine dialettale per “maestro”, usato per indica-re il muratore capocantiere.37. padri: si allude ai “padri del-

la Repubblica italiana”, espres-sione ricorrente con cui vengo-no designati gli importanti uomi-ni politici dell’Italia postfascista elencati di seguito.38. Ferruccio Parri: politico antifascista, tra i fondatori del Partito d’Azione, combattente nella Resistenza.39. Luigi Einaudi: presiden-te della Repubblica italiana dal

1948 al 1955.40. Pietro Nenni: uomo politico socialista, direttore dell’«Avan-ti!» e più volte ministro della Re-pubblica.41. comandante Valerio: nome di battaglia di Walter Audisio, il partigiano che presumibilmente uccise Benito Mussolini.

contadini che mai avevano visto questi mammut di ferro e gomma. Erano riusciti a rimanere, a resistere senza emigrare e sotto i loro occhi gli portavano via tutto. Ora quella sabbia è nelle pareti dei condomini abruzzesi, nei palazzi di Varese, Asiago33, Genova. Ora non è più il fiume che va al mare, ma il mare che entra nel fiume. Ora nel Volturno si pescano le spigole, e i contadini non ci sono più. Senza terra hanno iniziato ad allevare le bufale, dopo le bufale hanno messo su piccole imprese edili assumendo giovani nigeriani e sudafricani sottratti ai lavori stagio-nali, e quando non si sono consorziati con le imprese dei clan hanno incontrato la morte precoce. Io so e ho le prove. Le ditte d’estrazione vengono autorizzate a sottrarre quantità minime, e in realtà mordono e divorano intere montagne. Mon-tagne e colline sbriciolate e impastate nel cemento finiscono ovunque. Da Teneri-fe34 a Sassuolo35. La deportazione delle cose ha seguito quella degli uomini. In una trattoria di San Felice a Cancello, ho incontrato don Salvatore, vecchio mastro36. Una specie di salma ambulante, non aveva più di cinquant’anni, ma ne dimostrava ottanta. Mi ha raccontato che per dieci anni ha avuto il compito di smistare nel-le impastatrici le polveri di smaltimento fumi. Con la mediazione delle ditte dei clan lo smaltimento occultato nel cemento è divenuta la forza che permette alle imprese di presentarsi alle gare d’appalto con prezzi da manodopera cinese. Ora garage, pareti e pianerottoli hanno nel loro petto i veleni. Non accadrà nulla sin quando qualche operaio, magari maghrebino, inalerà le polveri crepando qualche anno dopo e incolperà la malasorte per il suo cancro.

Io so e ho le prove. Gli imprenditori italiani vincenti provengono dal cemento. Loro stessi sono parte del ciclo del cemento. Io so che prima di trasformarsi in uomini di fotomodelle, in manager da barca, in assalitori di gruppi finanziari, in acquirenti di quotidiani, prima di tutto questo e dietro tutto questo c’è il cemen-to, le ditte in subappalto, la sabbia, il pietrisco, i camioncini zeppi di operai che lavorano di notte e scompaiono al mattino, le impalcature marce, le assicurazioni fasulle. Lo spessore delle pareti è ciò su cui poggiano i trascinatori dell’economia italiana. La costituzione dovrebbe mutare. Scrivere che si fonda sul cemento e sui costruttori. Sono loro i padri37. Non Ferruccio Parri38, non Luigi Einaudi39, non Pietro Nenni40, non il comandante Valerio41.

Roberto Saviano, Gomorra, Milano, Mondadori, 2006

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scheda di analisi

La struttura della narrazione Due episodi autobiografici posti nella prima parte

del brano (l’esperienza di lavoro estivo nei cantieri che culmina con la morte dell’operaio Iacomino e il viaggio a Casarsa che ha per meta la tomba di Pasolini) sono preludio all’ampia sequenza riflessiva, volta a svela-re i meccanismi del potere, al di là delle storie, oltre i dettagli. In essa, i singoli fatti e le circostanze parti-colari vengono inseriti in un quadro coerente e convin-cente di denuncia, diventando prove inconfutabili per ricostruire il sistema della criminalità organizzata e of-frendo la dimostrazione della sua pervasività nell’eco-nomia e nella società. I passaggi del percorso argomen-tativo sono scanditi dalla ripetizione della formula io so e ho le prove, ricavata dall’articolo citato di Pasolini, che costituisce il punto di partenza per un crescendo che culmina, nella conclusione del passo, con l’attribu-zione sdegnosa e sarcastica del titolo di padri della pa-tria a imprenditori e costruttori senza scrupoli.

La lingua e lo stile Il brano proposto è esemplificativo dello stile di Sa-

viano. I periodi hanno un’architettura semplice, sono spesso molto brevi e con prevalenza di una struttura paratattica. Per quanto riguarda gli artifici retorici, è molto frequente l’uso dell’accumulazione e dell’ana-fora; l’abbondanza di metafore e metonimie dà an-cora maggiore gravità e spessore ai concetti.

Sul piano delle scelte lessicali, pensieri e senti-menti diventano “corporei”, sulla base di un proce-dimento sistematico che inizia già nell’esordio del brano proposto (Era sui cantieri che sentivo fisicamente, nelle budella, tutta la loro potenza), per poi prosegui-re nelle numerose occorrenze di termini appartenenti al campo semantico del corpo e della fisicità; riferimenti a una “materialità” che serve a dare concretezza a queste rivelazioni scomode e difficili da accettare.

Il tema e il messaggio Roberto Saviano non racconta in Gomorra nul-

la che sia meno che documentato: con un ritmo te-so e serrato ha indicato con estrema precisione no-mi e cognomi di vittime e carnefici, ha descritto con dovizia di particolari le strutture camorristiche e le modalità del reclutamento della manodopera, ha di-stinto le diverse tipologie di affari loschi quanto remu-nerativi e le complicità politiche che li rendono possi-bili. Soprattutto le pagine iniziali di Gomorra sembra-no elenchi in cui si affollano nomi, documenti e dati di varia natura, che rafforzano l’obiettività del racconto e lasciano il lettore esterrefatto per la dram-maticità espressa dalle cifre. Procedendo nella lettu-ra del romanzo, la componente riflessiva emerge con vigore sempre maggiore, fino a che, nella sezione conclusiva, s’incontra il brano qui proposto, denso di significati e implicazioni letterarie.

Illustrando come dalla speculazione edilizia la mala-vita campana abbia tratto profitti enormi, estendendo capillarmente il proprio potere su tutta la penisola, il protagonista e voce narrante racconta le reazioni sca-tenate in lui da un episodio di cui è stato testimone: la morte di un giovane operaio edile, Francesco Iacomino. Rabbia e sdegno determinano sensazioni fisiche forti e sentimenti contrastanti, di smarrimento e di ribellione, che si trasformano però, nel suggestivo ricordo dell’Io so di Pasolini, in qualcosa di completa-mente diverso. Spinto da questa suggestione, Saviano racconta di essersi recato presso la tomba di Pasoli-ni alla ricerca d’ispirazione, per ricevere una sorta di investitura e recitare una specie di preghiera laica, che egli stesso definisce l’io so del mio tempo. Attra-verso di essa la lama della scrittura, l’energica fidu-cia nella forza della parola rivelatrice della veri-tà, è utilizzata per lanciare una vibrante denuncia di ciò che si nasconde dietro il potere del cemento.

Laboratoriosultesto

Comprendere1. per quale motivo il personaggio-narratore sceglie di lavorare nei cantieri edili?2. Quali reazioni suscita la morte di Francesco Iacomino nel protagonista?3. Individua lo scopo dichiarato del pellegrinaggio sulla tomba di pasolini.4. In quali luoghi dominano rispettivamente l’odore del cemento e quello del petrolio? E quali immagini ri-

spettivamente si associano all’uno e all’altro odore?5. Descrivi la figura dell’imprenditore italiano del cemento: quali attività svolge, che vita conduce? perché

viene definito rapace?

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6. Soffermati sulla descrizione di don Salvatore, il vecchio mastro (rr. 139-141): che cosa ha determinato il suo attuale aspetto fisico?

7. Quale tipo di modifica al testo della Costituzione propone di introdurre l’autore in conclusione? perché?

interpretare8. per quale motivo Marco polo, il nome del treno che porta l’autore dalla Campania al Friuli, è eloquente

(r. 147), secondo il narratore?9. E la verità della parola non fa prigionieri perché tutto divora e di tutto fa prova (r. 63-64). Quale convinzione

dell’autore esprime, secondo te, questa frase?10. Ho sempre questo vizio. Come qualcuno che guardando Vermeer pensasse a chi ha mescolato i colori, tirato la

tela coi legni, assemblato gli orecchini di perle, piuttosto che contemplare il ritratto (r. 87-89). Qual è il vizio che Saviano non riesce proprio a togliersi?

11. Che cosa significa l’espressione inseguire come porci da tartufo le dinamiche del reale (r. 44)?

analizzarestrutturadellanarrazione

12. Individua nel testo le sequenze narrative e quelle riflessive.13. nel racconto del viaggio verso Casarsa, dalla partenza sino alla visita alla tomba, fabula e intreccio corri-

spondono?

stile14. Individua tutti i passaggi del testo in cui sono nominate parti del corpo umano o sensazioni fisiche. prova

a spiegare quale effetto genera la scelta stilistica, da parte dell’autore, d’insistere su tali elementi.

padroneggiarelalinguaLessico

15. Cerca nel testo esempi di accumulazione e ripetizione. 16. Quest’ennesima notizia di morte, uno dei trecento edili che crepavano ogni anno nei cantieri in Italia si era co-

me ficcata in qualche parte del mio corpo. perché Saviano utilizza il verbo crepare?17. E se poi ho qualcuno a portata di parola riesco con difficoltà a trattenermi dal raccontare. Qual è il significato

dell’espressione sottolineata? Come si potrebbe esprimere il medesimo concetto?18. riporta le espressioni che si riferiscono alla metafora continuata dell’imprenditore rapace.19. ricerca e trascrivi i vocaboli del lessico specifico dell’edilizia presenti nel brano.

Grammatica20. Le banche italiane sanno accordare ai costruttori il massimo credito, diciamo che le banche italiane sembrano

edificate per i costruttori. nel periodo compare due volte la parola costruttori, usata con due funzioni logi-che diverse. Quali?

a) Complemento di termine e di mezzo. c) Complemento di vantaggio e di termine. b) Complemento di termine e di vantaggio. d) Complemento di limitazione e di termine.

produrre21. ti sembra che la rabbia e la tensione emotiva dell’autore influiscano in maniera positiva o negativa sull’ef-

ficacia della comunicazione? Discutine con i tuoi compagni.22. In un testo di circa una pagina prova a costruire il tuo io so e ho le prove per denunciare una situazione per

te intollerabile, o anche solo fastidiosa o spiacevole, in modo che la sola forza della tua parola possa ren-dere del tutto evidente ai tuoi potenziali lettori la verità delle tue affermazioni.

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vERifiCaUNità Reale, troppo reale

e Saper fareSapere 1. Vero o falso?

a) La «società liquida» è caratterizzata dalla stabilità e dall’affermazione di valori tradizionali e duraturi. V F b) nel «villaggio globale» le distanze geografiche si sono annullate: si condividono gli stessi valori e stili di vita anche a migliaia di chilometri di distanza. V F c) L’arte all’inizio del terzo millennio mira all’eternità, alla durata delle sue manifestazioni, alla trasmissione di valori universali. V F d) uno degli indirizzi dominanti la letteratura degli ultimi decenni è lo sviluppo di una narrativa popolare e di genere. V F e) Già negli anni Sessanta avvenimenti di cronaca e vicende politiche internazionali hanno ispirato autori “irregolari” che hanno gettato le basi per un nuovo realismo. V F f ) Il recente ritorno al realismo rappresenta una tendenza esclusivamente italiana. V F g) nella storia della letteratura europea c’erano già stati movimenti volti alla rappresentazione realistica del mondo. V F h) La letteratura di questi ultimi anni ha riscoperto il valore della testimonianza e dell’impegno civile. V F i) Lo sviluppo dei mass-media e delle nuove tecnologie ha sortito soltanto effetti negativi. V F l) La letteratura postmoderna vuole rappresentare la realtà nei suoi aspetti molteplici e frammentari. V F m) «Società liquida» è un’espressione coniata dal sociologo canadese Marshall McLuhan. V F n) L’espressione “industria culturale” indica l’avvicinamento del mondo industriale alle opere d’arte e alla letteratura. V F

2. Rispondi alle seguenti domande.a) In che cosa consiste il genere del romanzo-verità, inaugurato da truman Capote con A sangue fred-

do? b) a quali particolari comportamenti di truman Capote sono dovute le polemiche seguenti la pubbli-

cazione di A sangue freddo? c) nel reportage di parise lo sguardo obiettivo del giornalista si mescola con la sensibilità dello scritto-

re. In che modo?d) Con quale formula è stata denominata la letteratura di Walter Siti? per quale motivo? e) Quale autore è un punto di riferimento fondamentale sia per roberto Saviano sia per Walter Siti?f ) Quale conseguenza ha avuto il successo planetario di Gomorra sull’esistenza quotidiana del suo au-

tore?g) In quali modi specifici i testi proposti in questa unità svolgono tutti una funzione civile?

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vERifiCaUNità

Saper fareSapere e

1. La chiamata[…] L’assemblea straordinaria dei soci, convocata d’urgenza, aveva deciso di dotare il locale di un servizio d’ordine.– Vedi, Franz, i soci mi hanno imposto un gonfio...Per «gonfio», Lando intendeva un culturista non acculturato e poco disposto alla dialettica.– È uno che passa la vita in palestra, tutto muscoli e niente cervello. Tu lo sai come vanno queste cose. Se quello si mette là davanti e li affronta a muso duro, finisce anche peggio di com’è cominciata.Lando era un localaro1 sui generis, non apprez-zava i buttafuori professionisti, convinto com’era che i muscoli in bella mostra non fossero la cura, ma parte del problema. Era comprensibile, voleva salvaguardare l’immagine «alternativa» del locale. Ne andava della sua street credibility2, disse. E poi, con i guai che avevano avuto la stagione preceden-te per via di chi si faceva le canne tra i tavolini, se questi si mettevano a spacciare, stavolta la pula gli avrebbe fatto chiudere baracca3.Morale della favola, mi chiedeva una mano. Si dà il caso che nel mezzo del cammin di nostra vi-ta mi ritrovassi momentaneamente disoccupato

e dissi che per un equo compenso avrei potuto prendere in gestione la security del Gap99. Ma a una condizione.– Sarebbe?– Mi fai scegliere le persone giuste.– Guarda che col gonfio dovrai lavorarci. Quello non lo schiodo4, rischio che i soci anziani mi met-tano in minoranza... e a dirtela tutta, quelli non vedono l’ora.– Mi servono altre due persone. Stesso compenso anche per loro.– Sei un amico, Franz.– Lo so.E così andò.

2. La squadra.Il primo che contattai fu Ricky, al secolo5 Riccardo Pelloni, maestro di thai boxe6 e persona di assoluto sangue freddo. Sapevo che aveva bisogno di soldi e che aveva fatto lo stesso lavoro in uno dei cen-tri sociali a più alto rischio ambientale della città. Oltre al sale in zucca, Ricky aveva altri pregi. Tre quarti del suo corpo erano ricoperti di tatuaggi; da buon redskin7 portava i capelli rasati, con tan-

Comprendereeinterpretareuntesto

focus:lavitanotturna

Leggi il brano e poi rispondi ai quesiti.

Wu MingGap99Il brano che segue è ripreso da un racconto pubblicato dal collettivo di scrittori d’avanguardia Wu Ming. Gap99, il racconto di cui si propone la sequenza iniziale, è anche il soggetto di un fumetto in cui si trasferisce l’esperienza autobiografica di due membri del gruppo di scrittura, che avevano lavorato come addetti alla sicurezza in una discoteca – il Gap99, appunto – nei pressi di Bologna.

1. localaro: gestore del locale. 2. street credibility: letteralmente “credibilità da strada”. Lando è preoc-cupato di salvaguardare la propria im-magine agli occhi dei frequentatori di locali “alternativi”. 3. la pula… baracca: la polizia gli

avrebbe fatto chiudere il locale.4. non lo schiodo: non riesco a man-darlo via.5. al secolo: espressione che precede l’indicazione del nome anagrafico. 6. thai boxe: sport da combattimento di origine thailandese, anche noto co-

me Muay Thai o “boxe thailandese”. 7. redskin: gruppo giovanile di estre-ma sinistra formatosi negli anni Ottan-ta, caratterizzati da un atteggiamento sociale e politico ribelle e violento.

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to di cicatrice in cima al cranio; era alto quanto me e dieci volte più agile, senza essere pieno di steroidi. Il solo aspetto era un deterrente alla tra-cotanza degli ubriachi. L’avevo conosciuto alcuni anni prima nel mezzo di un movimentato scam-bio di opinioni con alcuni gentiluomini di vedute ristrette. Ricky mi aveva spontaneamente aiutato a ridurli a più miti consigli, controbilanciando la mia inferiorità numerica.Qualche anno dopo, proprio Ricky mi aveva presentato quello che sarebbe diventato il terzo membro della squadra. Ahmed, nato in Tunisia, residente in Italia da molti anni. A dispetto della bassa statura, Ahmed aveva un fisico e una stret-ta di mano che incutevano già un certo rispetto. Ma non fu questo il motivo per cui lo chiamai in causa. Serviva un mediatore culturale che potesse trattare con gli avventori maghrebini da pari a pari. Uno di loro, che ne conoscesse atteggiamenti e fi-sime8, il gergo, le pose, e che li potesse inquadrare e dissuadere preventivamente. In questo Ahmed si rivelò una manna dal cielo.Il palestrato imposto dall’assemblea dei soci era tal Max Strazzari, una specie di cubo umano, come sono spesso i culturisti non più giovincelli. Non era una cattiva persona, ma non mi ci volle molto a capire qual era la sua ossessione. Il rispetto. Lo esigeva da chiunque, ne parlava sempre, usando sinonimi e giri di parole (non molto ampi, a dire il vero). La sua frase preferita era: «Io sono un professionista ». Il fatto stesso che avesse bisogno di ripeterlo in continuazione non deponeva a suo favore. Era come se dovesse convincersene. Pen-sai che avrei potuto irretirlo di parole, una buona arma contro gli inetti. Così gli raccontai che qual-che anno prima avevo fatto da scorta alla Coman-dancia dell’Ezln9, in Messico, e avevo conosciuto il subcomandante Marcos10 (evitando però di spe-cificare che si era trattato di un servizio di scorta rigorosamente disarmato).– Io non ho fatto nemmeno la naja, – si autocom-miserò Max.

Ritenni che tutto sommato potevo tenerlo sotto controllo. E anche se una vocina flebile in un an-golo del cervello mi diceva che presumevo troppo, accettai il rischio e cominciai.A proposito, io mi chiamo Francesco Lupo. Franz, per gli amici. E sono quello che ha affrontato la situazione quando le cose si sono messe male. Cer-to, per chi se lo ricorda. Perché nessuno ci ha mai scritto sopra un poema, girato un film, o disegna-to un fumetto. 3. La prima notte.– Come c… ti sei vestito?Lando mi accolse con il bicchiere in mano. Aveva un’espressione perennemente ridente. Era già così alle scuole elementari, quando ci eravamo cono-sciuti, e il tempo non gliel’aveva tolta dalla faccia. Quella sera però era anche un po’ stupita, mentre rimirava il mio completo nero e la cravatta.Era un look insolito per quel tipo di ambiente, dove prevalevano piercing al naso, maglioni larghi e jeans spazzapavimento11.La scelta faceva parte della strategia che avevo de-ciso di adottare. Il mio personale new deal12. Nel corso della serata, Lando ebbe modo di constatare che avevo visto giusto.Quando gli ubriachi si trovavano di fronte uno in abito scuro, istintivamente si riprendevano e ricominciavano a connettere13 (o almeno ci prova-vano). Di solito esordivo con un tono tranquillo, conciliante, ma fermo.– Puoi parlare con me e chiarire la cosa civilmen-te, oppure con lui, – indicavo Ricky, che, tatuaggi in vista sotto la canotta mimetica, torreggiava alle mie spalle.Quasi sempre i ragazzi si lasciavano accompagnare al guardaroba mansueti, per recuperare le giacche e togliere il disturbo.Ma quella era ordinaria amministrazione.Loro arrivarono verso mezzanotte.

Wu Ming, Anatra all’arancia meccanica, Torino, Einaudi, 2011

8. fisime: idee fisse, specifici modi di pensare. 9. Comandancia dell’EZLN: è la struttura direttiva dell’Esercito Za-patista di Liberazione Nazionale, mo-vimento armato clandestino nato nel 1983 che prende il nome da Emiliano Zapata, celebre rivoluzionario messi-cano, composto per lo più da indios

discendenti degli antichi Maya, il cui obiettivo è l’affermazione dei diritti delle popolazioni indigene.10. subcomandante Marcos: il capo e portavoce principale dell’EZLN.11. spazzapavimento: talmente lun-ghi da toccare terra.12. new deal: il New Deal (“nuovo corso”) è l’espressione con cui ci si ri-

ferisce al piano di riforme attuato dal presidente statunitense Franklin De-lano Roosevelt negli anni Trenta per uscire dalla gravissima crisi econo-mica del 1929. In questo caso, l’uso dell’espressione – così sproporzionata rispetto alla situazione – è chiaramen-te ironico. 13. connettere: ragionare.

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Competenzatestuale individuareericavareinformazioni

1. Chi si occupa dell’assunzione del capo della sicurezza della discoteca? Qual è il suo ruolo nella gestione del locale e per conto di chi agisce?

2. Franz conosceva il suo datore di lavoro già prima del colloquio per l’assunzione?3. Quali sono le condizioni poste da Franz per accettare l’incarico?4. Quanti sono i membri della squadra? riporta i loro nomi e le motivazioni che hanno indotto Franz a sceglierli.5. Descrivi l’abbigliamento che Franz sceglie di indossare nella sua prima serata di servizio. La sua scelta è in

linea con le abitudini degli avventori del locale? 6. In quale modo, con quale strategia di comunicazione (verbale e non verbale) Franz riesce a imporre le sue

regole sui frequentatori del locale?

Comprendereisignificati7. Qual è il significato dell’espressione li affronta a muso duro (rr. 9-10)?8. Quale dei personaggi ritiene che i muscoli in bella mostra non fossero la cura, ma parte del problema (rr. 14-15)?

Sai spiegare il significato di quest’opinione? 9. nel contesto in cui è proposta, quale tipologia di individuo è identificata dalla locuzione poco disposto alla

dialettica (r. 7)? a) uno che preferisce risolvere le questioni con la violenza più che con le parole e il dialogo. b) uno che non ama esprimersi in dialetto. c) uno che usa molto la mimica facciale. d) una persona timida e dal carattere debole.

10. Oltre al sale in zucca, Ricky aveva altri pregi (r. 45). Che cosa significa l’espressione sale in zucca?

interpretareevalutare11. Chi è il gonfio (r. 5) di cui si parla all’inizio del racconto? per quale motivo, secondo te, il suo nome non viene

rivelato all’inizio della storia?12. L’espressione non molto ampi, a dire il vero, riferita ai giri di parole (rr. 76-77) spesso usati da uno dei personag-

gi, quale sua caratteristica tende a sottolineare?13. Si da il caso che nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovassi momentaneamente disoccupato (rr. 22-24). In

questa frase riecheggia un verso famosissimo della nostra tradizione letteraria, l’incipit della Divina Comme-dia di Dante alighieri. per quale motivo, secondo te, l’autore lo ha chiamato in causa?

14. Nessuno ci ha mai scritto sopra un poema, girato un film, o disegnato un fumetto (rr. 97-99). Che cosa intende dire il personaggio con questa sua riflessione?

Comprenderestruttureecaratteristichedeigeneritestuali15. Il narratore è interno o esterno? Che tipo di focalizzazione viene adottata?16. Dividi il brano in sequenze, specificandone la tipologia e indicando per ciascuna di esse un titolo sintesi.17. In che modo vengono caratterizzati i personaggi?18. Quali sono i luoghi del testo in cui emerge un realismo particolarmente marcato? Quali elementi stilistici

producono tale effetto?

Riconoscereilregistrolinguistico19. Indica quale registro linguistico è prevalente nel testo.

a) Formale. b) Medio. c) Informale. d) Dialettale.

20. nel testo prevale la paratassi o l’ipotassi?

Competenzalessicale21. Che cosa significa, letteralmente, la locuzione sui generis? Da quale dei seguenti aggettivi potrebbe essere

sostituita? a) testardo. b) Originale. c) Incosciente. d) Incapace.

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22. Quale espressione può sostituire il termine security? a) Sicurezza. b) Forza di polizia. c) personale di sorveglianza. d) anticrimine.

23. Chi è il mediatore culturale? a) un uomo di media cultura. b) un esperto di linguaggi multimediali. c) Colui che gestisce le pubbliche relazioni in un locale notturno. d) una figura che favorisce la mediazione fra le diverse culture.

24. Che cosa significa il termine naja? Conosci il motivo per cui questo vocabolo, oggi caduto in disuso, era po-polarissimo fino a una decina di anni fa?

Competenzagrammaticale25. Che cos’è il vocabolo buttafuori?

a) un verbo. b) un sostantivo composto. c) un nome alterato. d) un neologismo.

26. È uno che passa la vita in palestra. Che cos’è uno? a) un numerale ordinale. b) un pronome dimostrativo. c) un pronome indefinito. d) un articolo indeterminato.

27. Stesso compenso anche per loro. Che cos’è stesso? a) un aggettivo qualificativo. b) un aggettivo con funzione rafforzativa. c) un pronome indefinito. d) un aggettivo identificativo.

28. Il palestrato imposto dall’assemblea dei soci era tal Max Strazzari, una specie di cubo umano, come sono spesso i culturisti non più giovincelli. Di che tipo è la proposizione sottolineata?

a) Subordinata interrogativa indiretta. b) Subordinata comparativa. c) Subordinata modale. d) Coordinata alla principale.

29. Quasi sempre i ragazzi si lasciavano accompagnare al guardaroba mansueti. Qual è la funzione logica del ter-mine sottolineato?

a) Complemento di modo. b) attributo. c) Complemento predicativo del soggetto. d) avverbio.

30. Aveva un’espressione perennemente ridente. Quali elementi si susseguono nell’espressione sottolineata? a) articolo, sostantivo, aggettivo, aggettivo. b) articolo, sostantivo, avverbio, aggettivo. c) articolo, aggettivo, avverbio, sostantivo. d) articolo, sostantivo, aggettivo, verbo.