UNIONE INDUSTRIALE DI TORINO · 2012. 2. 15. · UI Torino pag. 4 di 33 24/10/2011 Faccio...
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UNIONE INDUSTRIALE DI TORINO
CONVEGNO INTERNAZIONALE “MAKE IT IN ITALY”
Sergio Marchionne
CEO Fiat, Chairman e CEO Chrysler Group
Torino, 24 ottobre 2011 – ore 15.00
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UI Torino pag. 2 di 33 24/10/2011
Signore e Signori,
buongiorno a tutti.
Voglio ringraziare innanzitutto Gianfranco Carbonato per l’opportunità
che mi ha dato di parlarvi oggi, in un momento delicato e complesso nello
sviluppo della nostra azienda e del nostro Paese.
Per una serie di ragioni, principalmente storiche, le nostre due aziende,
Fiat e Fiat Industrial, sono diventate il punto di convergenza di dibattiti,
litigi e prese di posizione che hanno coinvolto tutte le componenti della
nostra società: dai sindacati ai politici agli industriali.
Gli unici che, questa volta, non sono entrati nel merito sono i gestori del
sistema finanziario. Sono anche sicuro che l’avrebbero fatto, se non
avessero avuto altre cose più importanti da gestire.
I problemi che stanno affrontando le due Fiat sono il tema centrale delle
presentazioni e del dibattito di oggi, qui all’Unione Industriale: che ruolo
può o dovrebbe giocare il settore manifatturiero nel sistema economico di
questo Paese?
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Non sono qui per dare lezioni a nessuno, ma semplicemente per
condividere con voi una serie di riflessioni su ciò che è successo nel
settore automotoristico internazionale negli ultimi dieci anni e, in
particolare, negli ultimi tre o quattro.
Si tratta di cambiamenti storici, che hanno avuto un impatto fondamentale
e duraturo sulle strategie della Fiat, costringendo un’azienda, che è stata
protagonista dello sviluppo industriale di questo Paese per più di 112 anni,
a mutare piani, obiettivi e tattiche, per necessità di sopravvivenza.
Nonostante lo tsunami, finanziario e industriale, che abbiamo vissuto e
stiamo vivendo, la Fiat è rimasta fedele ad alcuni principi, che proprio per
la sua storia e per il senso di appartenenza a questo Paese, sono rimasti
immutati.
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Faccio riferimento alle parole che usai in quello che adesso appare un
lontano 2006, in occasione della mia prima partecipazione all’assemblea
generale dell’Unione Industriale di Torino, in questa stessa sala.
“Se una società liberale deve continuare ad esistere, è nel suo
interesse appoggiare le persone che soffrono le conseguenze
che derivano dalle trasformazioni causate dai movimenti dei
mercati.
Questo si basa sulla premessa fondamentale che esistono dei
fattori fuori dal controllo e dalla responsabilità individuale che
possono generare sofferenze e situazioni di grande difficoltà.
Queste persone hanno bisogno di sostegno, al fine di
permettere loro di trovare nuovo lavoro e mantenerli integrati
nella società.
Un’intera gamma di misure è potenzialmente disponibile, tutte
quante sono perfettamente compatibili con una società
aperta, libera e in libero mercato.
L’Europa può e deve distinguersi nella creazione e nella
gestione dei liberi mercati riconoscendo e trattando in modo
efficace ed equo le conseguenze del loro funzionamento sui
cittadini”.
Questa era la premessa di un ragionamento molto più ampio.
La nostra azienda non stava basando il proprio turnaround sullo
spargimento di sangue, che i mercati finanziari sembravano cercare
avidamente, ma aveva identificato altrove l’origine delle grandi perdite
operative.
Nel 2004 la crisi della Fiat era dovuta ad un problema tutto interno
all’azienda.
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Era rimasta per troppo tempo isolata e chiusa su se stessa e in qualche
modo anche protetta tra le mura domestiche. Aveva perso il contatto con
la realtà del mercato.
In quel momento, non si rendeva conto che la sua sopravvivenza
dipendeva semplicemente dalla sua capacità di competere.
Il corpo manageriale era congelato in una struttura gerarchica e verticale,
dove le decisioni erano lente e il modo di gestire aggiungeva solo
complessità ad un business già difficile.
Quello che abbiamo fatto è stato smantellare la rigidità dell’organizzazione,
creandone una piatta e veloce.
Siamo tornati a mettere il cliente e il prodotto al centro della nostra
strategia.
Ma la cosa più importante è che abbiamo introdotto un nuovo concetto di
leadership, quale elemento chiave per la gestione delle persone e del
cambiamento.
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Questo ha permesso di avviare un percorso di crescita straordinaria, che
ha portato la Fiat a sostenere i ritmi del mercato, a guadagnare quote e a
macinare utili.
Tanto che nel 2008 abbiamo raggiunto il più alto risultato della gestione
ordinaria in quelli che allora erano 109 anni di storia della nostra azienda.
Da perdite superiori ai 2 milioni di euro al giorno nel 2004, weekend
compresi, siamo passati a circa 10 milioni di euro di utili al giorno nel
2008, weekend compresi.
Quello che è emerso da questa esperienza è che le vere cause delle grandi
perdite operative della Fiat non stavano nel costo del lavoro, che
rappresenta il 6-7% del totale del costo del prodotto. Le cause andavano
cercate altrove.
Ma, sempre nel 2006, dissi anche questo:
“Questo non significa che dobbiamo abbandonare o ridurre
l’impegno di portare i livelli di produttività e flessibilità delle
nostre attività industriali ad essere i più competitivi.
Questo impegno è essenziale per assicurare una crescita
industriale basata su investimenti non solo generati dal sistema
Italia, ma anche provenienti dall’estero, cosa che il nostro
Paese non è stato mai capace di fare in modo coerente”.
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Ho voluto rileggere oggi una parte di quell’intervento per riaffermare una
cosa molto semplice.
L’atteggiamento della Fiat non è cambiato da allora.
Infatti, non modificherei una sola virgola di quel discorso.
Tutto quello che la Fiat ha fatto negli ultimi sette anni e mezzo è
assolutamente coerente con quella convinzione di fondo.
Non è licenziando che si diventa più efficienti.
Non è il costo del lavoro di per sé che fa la differenza tra un’azienda
competitiva ed una relegata ai margini del mercato.
Ma non può neppure essere visto come un valore assoluto e isolato dal
resto.
Diventa un problema quando il mercato per i nostri prodotti è sottoposto
a cambiamenti strutturali e permanenti.
Diventa un problema quando non è collegato a indici di produttività e di
utilizzo degli impianti.
Il cammino di risanamento e di crescita iniziato nel 2004 è stato
bruscamente interrotto dallo scoppio della grande crisi internazionale.
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Nel 2008, la Fiat, come tutti, ha dovuto fare i conti con un contesto
completamente stravolto.
Le condizioni di base, sulle quali avevamo disegnato i nostri programmi,
sono state spazzate in un attimo.
I mercati sono stati stravolti.
L’effetto della tempesta finanziaria, che si è generata negli Stati Uniti, ha
travolto tutto il mondo industriale.
Come scrisse Lev Tolstoj nelle prime righe del suo romanzo Anna
Karenina:
“Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro; ogni
famiglia infelice è infelice a modo suo”.
E ognuno dei concorrenti nella nostra industria, a livello internazionale, ha
sofferto le pene dell’inferno a modo suo.
Vi dò alcuni esempi.
Nel 2005 la General Motors era la più grande industria automobilistica del
mondo, un’azienda che poteva permettersi di pagare due miliardi di dollari
per non acquistare il settore auto della Fiat.
Nel 2008, la Fiat acquistò uno spazio pubblicitario, su un’edizione speciale
di Automotive News, per farle gli auguri per i suoi primi cent’anni di vita.
http://it.wikiquote.org/wiki/Famigliahttp://it.wikiquote.org/wiki/Infelicit%C3%A0
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UI Torino pag. 9 di 33 24/10/2011
Gli auguri glieli fece anche la Chrysler, alla quale mancavano ancora un po’
di anni per arrivarci.
Meno di dodici mesi dopo, sia la General Motors sia la Chrysler erano
fallite.
Ma il processo di ristrutturazione dell’industria americana, culminato con
la bancarotta di due grandi costruttori nazionali, era già partito all’inizio
della scorsa decade.
Da 1.250.000 addetti all’industria automotive nel 2001, si son persi 550.000
posti di lavoro.
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Soltanto nelle 3 grandi di Detroit - General Motors, Ford e Chrysler - il
numero di iscritti alla United Auto Workers, che, a differenza dell’Italia, è
l’unico sindacato presente in fabbrica e rappresenta tutti i colletti blu, è
sceso, tra il 2005 e il 2011, di circa il 50%: da oltre 225.000 a 113.000.
Ci sono senza dubbio mercati emergenti, come l’Asia e l’America Latina,
che hanno vissuto e continuano a vivere periodi di crescita, ma sia il Nord
America sia l’Europa sono mercati maturi e saturi.
E sono, infatti, il principale problema di un’industria che è caratterizzata da
una sovracapacità strutturale.
La capacità produttiva installata nel mondo è di oltre 95 milioni di veicoli,
che si trascina una sovracapacità dai 20 ai 25 milioni di unità. Una gran
parte di questo eccesso è in Europa.
L’America ha avuto il coraggio di forzare, sotto la guida del Presidente
Obama, un processo di ristrutturazione dell’industria, assicurando così che
ciò che sarebbe emerso dalla bancarotta di due grandi costruttori
americani sarebbe stata la base su cui fondare un nuovo processo di
crescita e di sviluppo.
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Gli Europei hanno fatto esattamente l’opposto.
Intorno a noi abbiamo visto piovere miliardi di euro sui nostri concorrenti.
Un po’ tutti in Europa hanno beneficiato di questi aiuti, diretti e indiretti,
che hanno evitato la chiusura di molti stabilimenti.
Noi no.
Abbiamo voluto fare da soli.
Abbiamo varato una severa azione di contenimento dei costi.
Abbiamo ripensato i nostri piani alla luce di una situazione d’emergenza.
E siamo riusciti, anche in questo periodo, a stare al passo con i nostri
migliori concorrenti. Tanto che, nel 2009, abbiamo registrato in
percentuale il margine della gestione ordinaria più alto del settore.
Quello che non ha aiutato e non aiuta, specialmente in questi momenti, è
la situazione del mercato italiano.
Venuto a mancare uno schema di incentivi, che per anni ha snaturato la
domanda reale per i veicoli, ora si sta assestando intorno ad un numero
leggermente superiore a 1.700.000 vetture nel 2011, perdendo così più di
15 anni di crescita.
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UI Torino pag. 12 di 33 24/10/2011
Per la Fiat, in particolare, questo dato assume una rilevanza straordinaria,
perché in Italia ha il 30% del mercato.
Anche il resto del sistema industriale italiano è stato duramente colpito.
Penso, ad esempio, ai veicoli industriali e alle macchine per le costruzioni,
che hanno visto quasi dimezzare la domanda globale nel biennio 2008-
2009. E ci vorranno anni per ritornare ai volumi pre-crisi.
* * *
Tutte le scelte che abbiamo fatto, sia nella crisi interna del 2004 sia in
quella esterna del 2008, avevano lo stesso obiettivo: quello di garantire alla
Fiat di restare al passo con la realtà e con il mercato.
Quello di garantire la sua sopravvivenza.
Primo Levi, nel descrivere la sua tragica esperienza nel campo di
concentramento di Auschwitz, ci ha lasciato una grande lezione su come
gestire la vita, la morte e la dignità; su come essere uomini.
“…siamo schiavi, privi di ogni diritto, esposti a ogni offesa,
votati a morte quasi certa, ma … una facoltà ci è rimasta, e
dobbiamo difenderla con ogni vigore, perché è l’ultima: la
facoltà di negare il nostro consenso.
Dobbiamo quindi, certamente, lavarci la faccia senza
sapone, nell’acqua sporca, e asciugarci nella giacca.
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UI Torino pag. 13 di 33 24/10/2011
Dobbiamo dare il nero alle scarpe, non perché così
prescrive il regolamento, ma per dignità e per proprietà.
Dobbiamo camminare diritti, senza trascinare gli zoccoli,
non già in omaggio alla disciplina prussiana, ma per restare
vivi, per non cominciare a morire”.
Le esperienze atroci, disumane di Levi e di molti altri non sono
assolutamente paragonabili alle realtà industriali, ma hanno un punto
fondamentale in comune: la decisione, strenua e risoluta, di resistere. Di
resistere al declino, di rifiutare la morte.
Noi tutti abbiamo l’obbligo di non acconsentire al degrado e al disimpegno
dalla competizione, di non essere complici della trascuratezza e degli
sprechi.
Perché, alla fine, acconsentire a queste cose significa venire meno al
dovere che abbiamo di affermare la nostra stessa esistenza affinché si
possa proteggere il benessere delle nostre persone.
* * *
I metodi con cui la Fiat ha gestito le crisi del 2004 e del 2008 avevano
molto in comune: lo stesso sforzo di trovare un giusto punto di equilibrio
tra logiche industriali e responsabilità sociale, la stessa convinzione di
rendere l’azienda più competitiva e contemporaneamente proteggere i
lavoratori.
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UI Torino pag. 14 di 33 24/10/2011
Di fronte a queste situazioni drammatiche, abbiamo fatto tutto ciò che era
in nostro potere per limitare al massimo le conseguenze sulle persone.
Abbiamo usato tutti gli ammortizzatori sociali possibili.
Neppure nel pieno della crisi del 2008 abbiamo denunciato eccedenze
strutturali.
Non le abbiamo denunciate e non abbiano nemmeno usato l’arma di
possibili licenziamenti per ottenere qualcos’altro in cambio, cosa che
invece abbiamo visto succedere intorno a noi.
Pur di evitare i licenziamenti, nel 2009 abbiamo fatto ricorso a 30 milioni
di ore di cassa integrazione.
Anche nelle situazioni più critiche, abbiamo rifiutato scelte radicali e ci
siamo impegnati a ricollocare le risorse.
E’ un esempio quasi unico se guardiamo cosa hanno fatto i nostri
concorrenti.
* * *
Ci sono tre casi particolari, che sono ben noti, per cui, dopo aver valutato
ogni alternativa, non era più possibile proseguire l’attività industriale.
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UI Torino pag. 15 di 33 24/10/2011
Anche in questi casi non siamo mai sfuggiti alle nostre responsabilità.
Abbiamo avviato un processo chiaro e trasparente, con largo anticipo,
offrendo la massima collaborazione, anche in modo proattivo.
Per quanto riguarda lo stabilimento di Termini Imerese, sapete bene che
per anni abbiamo gestito questo impianto in perdita, fino ad un punto in
cui non era più sostenibile.
Qualsiasi ipotesi di investimento in quel sito, anche quelle disegnate per
aumentare il volume di attività e favorire la presenza di un indotto adatto
a sostenere ritmi più alti, avrebbero semplicemente ampliato le perdite.
Abbiamo annunciato la decisione di smettere di costruire automobili con
trenta mesi di anticipo, in un incontro istituzionale a Palazzo Chigi, nel
giugno del 2009, proprio per lasciare un ampio margine di tempo al
necessario processo di riconversione.
Siamo sempre stati disponibili a favorire la creazione di un progetto
alternativo, serio e credibile, che desse prospettive occupazionali durature
a tutte le persone dell’impianto.
Ci siamo anche detti pronti a mettere a disposizione lo stabilimento,
anche ad un concorrente, e senza chiedere nessun corrispettivo in cambio,
cosa che nessun altro costruttore mi risulta abbia mai fatto.
Per molto tempo non è successo nulla, poi è stata individuata una possibile
soluzione.
L’unica condizione che abbiamo chiesto e continuiamo a chiedere è la
garanzia che tutti i nostri lavoratori ricevano una lettera di assunzione
dalla futura proprietà.
* * *
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UI Torino pag. 16 di 33 24/10/2011
Quanto invece all’Irisbus di Avellino, legato alle commesse pubbliche degli
autobus, da molti anni soffre a causa della forte contrazione della
domanda, condizionata dalla scarsità di fondi pubblici.
L’azienda ha subito duramente gli effetti della grave crisi che ha colpito il
mercato degli autobus urbani in Italia, le cui immatricolazioni si sono
drammaticamente ridotte.
Questo ha causato una progressiva e costante contrazione dei volumi
produttivi dello stabilimento, che sono passati dai 717 veicoli del 2006 - un
numero già insufficiente a garantire il pareggio operativo - ai soli 145
autobus dei primi sei mesi del 2011.
Anche nel picco di attività del 2006, l’utilizzo dello stabilimento era pari al
51% della sua capacità produttiva. E nel 2011 è sceso a meno del 21%. Le
prospettive per queste attività sono pessime, considerando tutti i piani di
austerità che sono stati varati per il salvataggio dei Paesi europei.
Ci siamo fatti carico di individuare una soluzione alternativa, che avrebbe
permesso l’avvio di una nuova iniziativa industriale per assicurare
continuità produttiva al sito, ma non è stata accettata dai lavoratori.
Di fronte a ciò non abbiamo potuto far altro che avviare le procedure
consentite dalla legge per cessare le attività dello stabilimento.
* * *
La terza situazione critica era quella della CNH di Imola.
La grave crisi che ha colpito il comparto delle macchine per le costruzioni,
che era quasi scomparso nel periodo 2008-09, aveva determinato una
fermata pressoché totale di tutti e tre i nostri stabilimenti italiani: oltre a
quello di Imola, anche a Lecce e San Mauro.
Basti, su tutti, il dato di Imola: l’impianto, a fronte di una capacità installata
per 20.000 mezzi, era arrivato a malapena a 450 unità l’anno.
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UI Torino pag. 17 di 33 24/10/2011
Malgrado un contesto disastroso, ci siamo impegnati a mantenere in Italia
la produzione di macchine movimento terra, dirottando i mezzi prodotti a
Imola negli altri due impianti di Lecce e San Mauro.
Allo stesso tempo, ci siamo fatti carico di trovare una ricollocazione a tutti
i nostri lavoratori di Imola.
* * *
In altre occasioni, invece, quando logiche industriali ed esigenze di tutela
sociale lo hanno permesso, la Fiat è intervenuta a supporto di molte
aziende dell’indotto in difficoltà, anche di dimensioni rilevanti.
In alcuni casi si è trattato di un sostegno finanziario.
In altri, ancora più critici, abbiamo deciso di acquisire la società e portarla
all’interno del gruppo.
Questo è successo – solo per citarne alcuni – con la Ergom, la Itca, la
Teksid Alluminio e la Imam.
Non è stato un impegno da poco, anche sotto il profilo finanziario.
Parliamo di oltre 1 miliardo di euro, spesi in maggior parte prima del 2007,
in momenti particolarmente difficili per il gruppo.
Questi interventi hanno permesso di recuperare aziende strutturalmente
deboli, ma soprattutto hanno consentito di salvare oltre 10.000 posti di
lavoro, il cui futuro era seriamente compromesso.
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UI Torino pag. 18 di 33 24/10/2011
Lo stesso discorso vale per l’ex stabilimento Bertone di Grugliasco, che
arrivava da anni di cassa integrazione straordinaria. L’ultima vettura
prodotta in quello stabilimento risale al 2006.
L’operazione che abbiamo fatto ha permesso di avviare un piano di rilancio
del sito e di ripresa dell’attività industriale e di dare un futuro lavorativo a
più di mille persone.
Abbiamo già avviato gli investimenti per produrre una nuova Maserati del
segmento E, destinata alla commercializzazione nei mercati internazionali.
Portare a Grugliasco questa vettura vuol dire garantire all’impianto la
possibilità di produrre fino a 50.000 vetture l’anno, assicurando
progressivamente a tutti di rientrare finalmente al lavoro, e possibilmente
di assumerne altri.
* * *
L’altro effetto della crisi del 2008 è che ci ha costretti ad accelerare il
ripensamento del nostro modello di business.
La Fiat era troppo piccola, troppo legata alle vetture dei segmenti bassi e
troppo dipendente dal mercato europeo per avere qualche possibilità di
sopravvivere.
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UI Torino pag. 19 di 33 24/10/2011
L’imperativo era quello di trovare nuove strade per condividere i costi e
allargare la sua gamma di prodotti, di trovare nuovi sbocchi e accedere a
nuovi mercati.
* * *
In quel momento abbiamo colto un’opportunità probabilmente mai
ripetibile, quella di un’alleanza con Chrysler.
Nel 2008, l’industria dell’auto americana si trovava devastata dallo tsunami
finanziario e da una leadership che aveva mal gestito la necessità del
cambiamento.
Sono queste condizioni che hanno permesso alla Fiat di farsi riconoscere
per il proprio livello tecnologico, per l’impegno verso una mobilità
sostenibile, per la capacità di portare, anche negli Stati Uniti, architetture e
motori a bassi consumi e per la sua esperienza nel gestire un turnaround in
questo settore.
Quell’alleanza ci ha permesso di raggiungere un duplice obiettivo.
Da un lato, partecipare al processo di rifondazione dell’auto americana,
sollecitato e voluto dal presidente Obama, salvando un’azienda come la
Chrysler che stava perdendo agli inizi del 2009 quasi un miliardo di dollari
al mese.
Dall’altro, dare alla Fiat la possibilità di accedere al mercato
nordamericano e allargare la sua offerta a vetture di segmento medio-alto,
che storicamente era sempre stata una delle sue più grandi lacune.
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UI Torino pag. 20 di 33 24/10/2011
Quella partnership, tra due aziende perfettamente complementari, è stata
la salvezza di entrambe.
Insieme venderemo quest’anno circa 4,2 milioni di vetture, diventando
così il quinto più grande costruttore di auto del mondo. Questo numero è
destinato a salire a 5,9 milioni di unità nel 2014.
Forse è troppo presto per cogliere il pieno potenziale di questa alleanza, al
di là del valore strategico che ci offre nel forzare la convergenza di
architetture e componenti e nel darci la possibilità di accedere al mercato
NAFTA.
Vi dò soltanto un dato che parla da sé.
Poco fa vi ho detto che nel 2008 la Fiat, che allora includeva sia Fiat sia Fiat
Industrial, aveva generato il più alto risultato operativo nei suoi allora 109
anni di storia.
Si tratta di un record che, sulla base della guidance, che confidiamo verrà
rispettata, verrà superato quest’anno dall’insieme di Fiat e Fiat Industrial.
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UI Torino pag. 21 di 33 24/10/2011
Accadrà nonostante i risultati della Chrysler saranno consolidati solo per
7 mesi su 12 e nonostante i mercati europei dell’auto siano estremamente
competitivi e indirizzati verso segmenti che, per il momento, non sono il
forte della Fiat.
Per sopravvivere alla crisi, Fiat si è mossa, in modo non lineare ed
imprevedibile per i concorrenti, con il chiaro obiettivo di cambiare
drasticamente la fisionomia del gruppo. Ha rischiato la sua reputazione, ma
non le sue finanze. Invece di richiudersi su se stessa, ha deciso di
rafforzarsi, mentre gli altri giocavano in difesa.
* * *
Questa alleanza avrà anche un impatto positivo sui nostri stabilimenti in
Italia.
Considerando la debolezza del mercato nazionale, la sovracapacità
produttiva in Europa e la concorrenza estrema nei mercati, questi
stabilimenti da anni presentano indici di produttività troppo bassi per
essere competitivi.
Investimenti fatti dalla Fiat da sola in questo sistema avrebbero
comportato rischi enormi: altissimi esborsi non condivisi con altri, volumi
insufficienti e costi unitari elevati.
Con questa alleanza, la Fiat europea ha la grande occasione di rientrare in
un disegno globale, beneficiando della possibilità di esportare in mercati
extra-europei e condividendo il costo di sviluppo di architetture che
avranno un’applicazione parallela in America.
Quando si è trattato di decidere come utilizzare nel modo migliore la
capacità produttiva di entrambe le organizzazioni, non abbiamo mai
trascurato gli impianti italiani.
L’alleanza ci ha fornito la base su cui lanciare, nel 2010, il progetto
Fabbrica Italia, un indirizzo strategico che voleva dimostrare l’impegno di
Fiat verso questo Paese.
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UI Torino pag. 22 di 33 24/10/2011
Il progetto Fabbrica Italia non è nato come un piano finanziario.
E’ stato lanciato ed incluso in un piano pluriennale, che è stato presentato
alla comunità finanziaria nell’aprile 2010.
Era e continua ad essere semplicemente un indirizzo che Fiat intende
seguire ed ha il significato e lo scopo di esprimere l’impegno a risolvere le
problematiche che interessano i nostri siti produttivi italiani e contribuire
allo sviluppo delle potenzialità industriali del Paese.
Fiat ha sempre indicato con estrema chiarezza che il raggiungimento di tale
risultato è condizionato dal concorso di tutte le componenti sociali
nell’assicurare la governabilità dei siti produttivi e l’attuazione degli accordi
raggiunti con le parti sindacali, al fine di garantire un’adeguata flessibilità
operativa.
Inoltre, Fiat, come ogni concorrente, riesamina continuamente i propri
piani di prodotto e finanziari ed ha la necessità di poterli adeguare alle
condizioni del mercato, al comportamento degli altri costruttori ed ai più
vari fattori che possono incidere sul loro successo.
E’ quindi impossibile precisare sin d’ora i dettagli degli investimenti, sito
per sito, che avverranno tra adesso e il 2014. Non è qualcosa che viene
fatto dai nostri concorrenti e non può essere richiesto a Fiat in modo
ossessivo per ogni sito industriale.
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UI Torino pag. 23 di 33 24/10/2011
Lo abbiamo già fatto per Pomigliano d’Arco, per Grugliasco e per
Mirafiori, perché abbiamo definito chiaramente la gamma di prodotti per i
tre siti. E il ciclo di investimenti è già iniziato, con Pomigliano che già
produce pre-serie per un lancio commerciale previsto per la fine di
quest’anno. Grugliasco sarà in queste condizioni nella seconda metà del
2012, e Mirafiori seguirà.
Gli altri siti italiani continueranno le loro missioni produttive, con Melfi
concentrato sulla piattaforma small e Cassino sulla piattaforma compact.
La declinazione di quest’ultima verrà anche dettata dalla velocità di
sviluppo del marchio Alfa Romeo nei mercati extra-europei.
Infine, alla Sevel di Val di Sangro – la joint venture paritetica tra Fiat e PSA
– è confermata la piattaforma per la costruzione dei veicoli commerciali
leggeri.
Fabbrica Italia altro non era che una dichiarazione di intenti, lanciata di
nostra iniziativa e non dovuta, a dimostrazione dell’impegno della Fiat
verso il Paese. E proprio mentre il Gruppo si apriva ulteriormente ad una
dimensione globale.
Sfortunatamente continua ad essere intenzionalmente mal compresa e mal
interpretata.
Da una parte, ci sono alcuni sindacati che mettono in dubbio la bontà
dell’iniziativa e che cercano continuamente indizi di malafede.
E dall’altra, siamo rimasti sorpresi dal fatto che una richiesta della Consob,
di natura limitata alle parti - con cui l’autorità di tutela dei mercati
finanziari ha ritenuto rientrare nella sua sfera di competenza l’acquisizione
di ulteriori dettagli produttivi sul piano industriale - abbia trovato ampia
copertura nei media.
Siamo sempre stati della massima trasparenza con i mercati, le istituzioni e
le parti sociali.
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UI Torino pag. 24 di 33 24/10/2011
Non ci pare quindi logico che la Fiat debba fornire dettagli di previsioni
pluriennali quando la maggior parte dei Paesi europei sta cercando
disperatamente di condividere soluzioni che i mercati finanziari
internazionali richiedono per domani.
* * *
Nonostante tutto ciò, due cose rimangono immutate.
La prima è che, nei limiti del possibile, intendiamo mantenere i posti di
lavoro che abbiamo in Italia.
Non abbiamo ridotto la nostra forza lavoro nel momento peggiore della
crisi.
Non intendiamo certo farlo ora che stiamo lavorando alla realizzazione
delle condizioni per crescere in futuro.
La seconda è che continueremo a gestire la situazione di mercati depressi
facendo ricorso agli ammortizzatori sociali, tra i quali la mobilità di
accompagnamento alla pensione, e saremo pronti a sfruttare la ripresa là
dove si presenterà, sia in Europa ma specialmente sugli altri mercati
mondiali.
Per fare tutto ciò, abbiamo dovuto allineare il nostro sistema produttivo
italiano agli standard richiesti dalle regole della concorrenza internazionale
e di dotarlo degli strumenti per competere coi migliori.
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UI Torino pag. 25 di 33 24/10/2011
Abbiamo fatto e stiamo facendo tutto ciò che è necessario per diventare
più efficienti e per liberarci da vincoli che in un’economia di mercato non
sono che inutili freni.
In questa chiave va letta la nostra decisione di uscire da Confindustria.
Non voglio entrare nel merito della discussione che si è aperta dopo
l’annuncio della nostra uscita.
E’ una scelta che abbiamo valutato con grande serietà e che non ha nulla a
che vedere con ragioni politiche.
La Fiat è impegnata nella costruzione di un grande gruppo internazionale e
grazie agli accordi raggiunti con i sindacati e la maggioranza dei nostri
lavoratori, insieme all’Articolo 8 approvato dal Parlamento su spinta della
BCE, possiamo ora operare in un quadro di certezze e condizioni simili a
quelle che esistono in tutto il resto del mondo.
Quello che stiamo facendo ha l’unico obiettivo di rendere la nostra
azienda più efficiente, per garantire prospettive solide e durature e per
creare benessere nel territorio in cui operiamo.
Per questo le accuse di anti-italianità che ho spesso sentito sono
semplicemente assurde.
Anti-italiano semmai è chi abbandona il Paese, chi decide di non investire.
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UI Torino pag. 26 di 33 24/10/2011
Anti-italiano è chi non vuole prendere atto del mondo che ci circonda e
preferisce restare isolato nel proprio passato.
Anti-italiano è chi perde tempo a discutere e rinviare i problemi, chi non si
assume la responsabilità di cambiare le cose, di guardare avanti e di agire.
Anti-italiano è chi adotta comportamenti illegittimi, chi non rispetta le
regole, chi lede i diritti dei cittadini e delle imprese.
La Fiat, come tutte le aziende industriali del mondo, ha la necessità di
contare su condizioni minime di competitività, che sono quelle su cui
dobbiamo misurarci con i nostri concorrenti.
Gli accordi che abbiamo sottoscritto con la maggior parte dei sindacati e
dei lavoratori servono a garantire queste condizioni.
Servono solo a far funzionare meglio la fabbrica, senza intaccare nessun
diritto.
Il problema vero è che fin dall’inizio - fin da quando abbiamo iniziato a
trattare una nuova organizzazione su 18 turni, a discutere di lavoro
straordinario, del sistema della pause e di condivisione di responsabilità
con i sindacati per quanto riguarda il rispetto delle regole - ci siamo
sempre trovati di fronte ad una parte sindacale che non è mai entrata nel
merito delle questioni sul tavolo.
La posizione della Fiom è sempre stata preconcetta, anacronistica,
alimentata da un antagonismo a priori, e più preoccupata di tutelare il
proprio potere che gli interessi collettivi.
E’ sempre stata molto più politica che sindacale.
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UI Torino pag. 27 di 33 24/10/2011
Anche quando gli accordi che abbiamo raggiunto con le altre
organizzazioni sindacali sono stati votati e approvati direttamente dalla
maggioranza dei lavoratori, non solo non c’è stato il rispetto – sacrosanto
– della volontà liberamente espressa, ma ci siamo visti intentare una causa
legale.
La cosa veramente offensiva in tutto questo è che stiamo vivendo un
periodo di tirannia della minoranza.
Mascherato con un’espressione democratica di dissenso, questo
atteggiamento, se non disciplinato, andrebbe a minacciare l’integrità del
processo produttivo; un prerequisito che è sempre esistito, ma che è
diventato ancora più importante in un’azienda che si sta giocando il futuro
su una politica di espansione in mercati extra-europei.
La realtà è che un sindacato al quale sono iscritti circa il 12% dei nostri
lavoratori, poco più di uno su dieci, continua a rifiutarsi di accettare la
volontà della maggioranza e ad attaccare in maniera indiscriminata la Fiat, il
suo operato e i suoi prodotti.
Non esistono paralleli nel mondo Fiat al di fuori dell’Italia.
Storicamente, in Italia, per accontentare tutti, abbiamo sempre accettato
compromessi e mediazioni, e abbiamo esaltato forme di attività
corporative che hanno minimizzato il cambiamento.
E’ questo atteggiamento che ha frenato l’Italia nel diventare un Paese
competitivo.
E’ questo atteggiamento che rende gli investimenti stranieri in Italia scarsi
e rari.
E’ questo atteggiamento che, perlomeno in parte, continua a tenere l’Italia
in posizione difensiva e imbarazzata verso il resto dell’Europa, come
abbiamo visto in maniera eclatante ieri.
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UI Torino pag. 28 di 33 24/10/2011
Non vorrei fare paragoni impropri, ma arriviamo da una lunga trattativa
con la UAW, il sindacato americano, per il rinnovo del contratto in
Chrysler.
Abbiamo raggiunto l’accordo un paio di settimane fa, il 12 ottobre.
Non vi nascondo che è stato difficile, né che il risultato delle votazioni è
già scontato.
Ma durante tutte le negoziazioni, il tono è sempre stato duro e leale.
Tutti quelli seduti al tavolo comprendevano perfettamente che non
potevamo più ripetere gli errori del passato, quelli che avevano portato
l’azienda al fallimento.
Tutti abbiamo sempre lavorato allo stesso obiettivo: quello di creare un
percorso che premiasse i lavoratori per il successo dell’azienda e
garantisse, allo stesso tempo, a Chrysler di rimanere competitiva.
Qualcuno dirà senz’altro che sono il solito filo-americano, ma non è così.
Con quest’esempio volevo semplicemente segnalare che negli Stati Uniti la
necessità del cambiamento in Chrysler è stato capito e affrontato
seriamente, arrivando ad una soluzione condivisa.
Credevo fosse stato capito anche in Italia.
Ma mi sono sbagliato.
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UI Torino pag. 29 di 33 24/10/2011
Vorrei farvi rivedere lo spot pubblicitario che abbiamo usato per il lancio
della 500 nel 2007.
[Spot 500 “Manifesto” - 90 secondi]
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Ho poco da aggiungere a quello che abbiamo appena visto.
Dice tutto della Fiat che conosco, quella Fiat che stiamo cercando di
preservare e far progredire.
Purtroppo, in Italia, molti – a cominciare da una parte della politica, del
sindacato e della stampa – non hanno capito, o meglio, non hanno voluto
capire la portata del cambiamento che è avvenuto in Fiat e il senso della
nostra esperienza.
Un cambiamento che ci porta ad affrontare le sfide in modo diverso dal
passato.
Purtroppo, sono ancora in molti a guardare la nostra azienda alla luce di
un vecchio modello, che oggi non esiste più.
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UI Torino pag. 30 di 33 24/10/2011
Fiat e Chrysler provengono da due storie diverse, che però hanno un
elemento forte in comune.
Entrambe sono andate e tornate dall’inferno.
Entrambe hanno vissuto l’esperienza di chi è già condannato a morte:
dall’opinione pubblica, dalla stampa, dal mondo finanziario.
Fiat l’ha passato nel 2004 e Chrysler due anni e mezzo fa.
Entrambe hanno trovato la forza e il coraggio di lottare contro quel
destino e di cambiarlo.
Chi passa attraverso una prova del genere, chi sopravvive, non sarà mai
più come prima.
I sopravvissuti sono persone diverse, sono persone speciali, che hanno
imparato a guardare al futuro in un modo diverso da chiunque altro.
Tutti noi, in Fiat e in Chrysler, siamo oggi in grado di apprezzare ogni
singolo momento di questa nuova vita che ci è stata concessa.
Sappiamo fare tesoro, giorno dopo giorno, dell’esperienza che abbiamo
vissuto e che ci ha cambiato per sempre.
Vorrei condividere con voi un altro spot pubblicitario, quello usato dalla
Chrysler per il lancio della nuova Jeep Grand Cherokee nell’estate del
2010, appena 12 mesi dopo l’uscita ufficiale dalla bancarotta.
[Spot Jeep Grand Cherokee “Manifesto” - 90 secondi]
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UI Torino pag. 31 di 33 24/10/2011
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Le cose che costruiamo ci rendono ciò che siamo.
Sono parole semplici e dirette, che contengono l’unica verità su cui si è
basata la rinascita di Chrysler.
Una riaffermazione del semplice concetto che bisogna ritornare a fare le
cose, e farle bene. Perché è questo che ci definisce, che ci fa diventare
unici.
Sono concetti semplici, veri, lontani dalla politica e dall’ideologia.
E sono gli unici concetti, a mio parere, in grado di guidare l’Italia verso una
fase di industrializzazione e di crescita.
Perché questa è l’Italia che piace.
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Vorrei concludere con una nota di ottimismo.
Si dice che gli esseri umani possono vivere 40 giorni senza cibo, 4 giorni
senza acqua e 4 minuti senz’aria. Ma nessuno di noi può vivere 4 secondi
senza speranza.
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UI Torino pag. 32 di 33 24/10/2011
Noi tutti abbiamo il dovere di ricordarci quali sono le cose importanti e
qual è il futuro che vogliamo lasciare ai nostri figli.
Tra queste cose, c’è un Paese reale che deve riscoprire i valori su cui è
stato fondato; che, pur tra le mille difficoltà di oggi, deve dimostrare
solidarietà e sostegno verso chi ha più bisogno e che guarda al futuro con
l’ottimismo di chi non aspetta che le cose accadano, ma si assume la
responsabilità di renderle concrete.
Il momento che stiamo attraversando è una specie di prova per l’Italia e
per tutti noi.
Richiede coraggio e lucidità; richiede di prendere coscienza che la strada
sarà faticosa e lunga, ma non impossibile.
Come spesso accade nella vita, sono i momenti più difficili che ti
costringono a tirare fuori il meglio di te stesso.
Ma l’epoca in cui viviamo non ci sta solo mettendo alla prova, ci sta anche
offrendo una grande occasione.
Quella di dimostrare che cosa questo Paese sa fare, quali energie e
capacità è in grado di mettere in moto, quali traguardi sa raggiungere.
Sappiamo che il mondo ci sta guardando, e spesso non gli piace quello che
vede.
Non possiamo più permetterci di perdere tempo a rinviare i problemi o a
discutere.
Non lo meritiamo noi né il nostro passato.
Dobbiamo guardare avanti e iniziare ad agire, il più presto possibile.
Se siamo in grado di immaginare un futuro migliore, allora abbiamo anche
la responsabilità di costruirlo.
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UI Torino pag. 33 di 33 24/10/2011
Adesso è il momento di dimostrare che siamo all’altezza della situazione e
che siamo degni della storia che abbiamo alle spalle.
Quello che mi dà oggi speranza è sapere che la Fiat ha una strada chiara
davanti.
Sappiamo che la partita non sarà facile ma noi, grazie all’accordo con
Chrysler, abbiamo la possibilità di costruire un sistema che è in grado di
vincerla. Abbiamo tutte le carte in regola per dimostrare che siamo
all’altezza della situazione.
La nostra alleanza è una base solida per creare il mosaico della futura
azienda.
Un mosaico in cui ogni parte deriva la propria forza dal comprendere il
contributo che può offrire all’insieme e dal riconoscere il valore del
contributo delle altre parti.
L’Italia può essere un pezzo fondamentale di questo mosaico.
La mia speranza è che la volontà di dare al nostro Paese questa
opportunità sia più forte di qualunque altra ragione.
Questa è l’Italia che ci piace e che piace al mondo.
Grazie ancora per avermi invitato.
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