Underdog

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impegnato nella nautica, che non ha trovato spazio per le sue idee e si è messo a fare l’ingegnere. Trenta anni con mille ruoli, sulle barche, in cantiere, in studio, muto. Nella nautica posso però dire che ci sono anche io . Nel mezzo di una delle crisi più disastrose che si ricordi, apro il giornale (Yacht Design) e trovo un inno alla libertà di pensiero, alla cultura “materiale”. Bene intoniamo il “te deum”. Finalmente, dopo venti anni di Finalmente, dopo venti anni di pensiero unico, nella nautica si muove qualcosa. pensiero unico, nella nautica si muove qualcosa. Bisogna apprezzare la leggerezza dei toni,dico quelli dell’editoriale, che è un valore in sé, ma non bisogna nasconderci che negli anni passati ci sono state quanto meno delle imperdonabili sviste. I designer non hanno mediato tra produzione e uso, non hanno mediato tra tecnica e forma, quel ruolo autonomo, tanto avocato, è stato una chimera: la più parte dei designer sono stati “mosche cocchiere”. L’industria ha dettato, attraverso il marketing e la pubblicità quali erano i contenuti da veicolare, le funzioni da assolvere, le parti della società da solleticare. Al diktat i designer si sono piegati: subordinazione totale, non una voce, non un singulto. Certo il danaro unge le ruote della società e placa lo stridore ma adesso, a “bocce ferme”, sarebbe logica una riflessione.

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Underdog .Il mio punto di vista è quello di un architetto, impegnato nella nautica, che non ha trovato spazio per le sue idee e si è messo a fare l’ingegnere. Trenta anni con mille ruoli, sulle barche, in cantiere, in studio, muto.Nella nautica posso però dire che ci sono anche io.Nel mezzo di una delle crisi più disastrose che si ricordi, apro il giornale (Yacht Design) e trovo un inno alla libertà di pensiero, alla cultura “materiale”. Bene intoniamo il “te deum”. Finalmente, dopo venti anni di pensiero unico, Finalmente, dopo venti anni di pensiero unico, nella nautica si muove qualcosa.nella nautica si muove qualcosa.Bisogna apprezzare la leggerezza dei toni,dico quelli dell’editoriale, che è un valore in sé, ma non bisogna nasconderci che negli anni passati ci sono state quanto meno delle imperdonabili sviste.I designer non hanno mediato tra produzione e uso, non hanno mediato tra tecnica e forma, quel ruolo autonomo, tanto avocato, è stato una chimera: la più parte dei designer sono stati “mosche cocchiere”.L’industria ha dettato, attraverso il marketing e la pubblicità quali erano i contenuti da veicolare, le funzioni da assolvere, le parti della società da solleticare. Al diktat i designer si sono piegati: subordinazione totale, non una voce, non un singulto. Certo il danaro unge le ruote della società e placa lo stridore ma adesso, a “bocce ferme”, sarebbe logica una riflessione.

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Posso dire la mia personale opinione? •La barca non può e non deve essere come i cappellini delle signore,e seguire le mode di stagione in stagione, ci vuole un ideale materiale più alto: come un rolex la barca deve durare tutta la vita. *•La barca, se la vogliamo oggetto industriale, non può essere a solo appannaggio della “leisure class” altrimenti i mercati si satureranno troppo in fretta.*•Il marketig deve essere pregustazione del soddisfacimento di un bisogno, non può essere né auto referenziale nè falso.

In questo scenario allora il designer, invece di agghindare cappellini, potrebbe tornare ad avere un ruolo: quello di scovare le migliaia di nicchie in cui il mercato potrebbe esplodere (se ripartirà) trovando forme che, economicamente, all interno di un processo produttivo estremamente flessibile *, possano dare soddisfazione alla utenza.

La barca giocattolo

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Detto questo, per non fare di ogni erba un fascio, voglio aggiungere che, pur nel panorama piatto del recente passato, molti progettisti di barche a vela, pur succubi di miti futuristi quali la velocità e la macchina, hanno continuato a mediare tra forma e tecnica facendo quindi del design.Diversi ingegneri, preoccupati delle prestazioni e non delle forme,spesso in settori diversi dallo yachting, hanno fatto design (vedi axe bow ). Nel campo dei grandi yacht parecchi designer, sprezzanti dei costi ed ignari delle tecniche produttive industriali, hanno fatto dell’ottima arte applicata. In conclusione se lo yacht smette di essere giocattolo e diventa (diventerà?) parte della odierna cultura materiale fatta di persone e di cose e ancora di persone attraverso le cose allora dobbiamo ( noi yacht designer) diventare più adulti e incominciare a distinguere il bene dal male, anche aiutati da personalità che, in campi diversi, abbiano acquistato capacità critica e spessore.

Michele Ansaloni.

Nota1:era, in campo automobilistico, l’ideale del signor Ford che,come molti sanno, aborriva lo styling al punto da non prevedere carrozzerie colorate.

Nota 2 :ancora una similitudine con gli anni ’30: quando una egemonia culturale si salda ad una egemonia economica la concorrenza muore e, poco dopo, i mercati crollano.

Nota 3 :Vogliamo riconoscere che la vetroresina è stato un boomerang e che sarebbe ora di liberarcene o di rivederla radicalmente?