Una passeggiata a Levanzo 2

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Una passeggiata a Levanzo

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• La StoriaLa Storia•Il nome Levanzo•Le origini•Dal mito omerico ai Florio •Ieri ed oggi

•Il territorioIl territorio•Una passeggiata sull’isola•Flora e fauna locale

•Cultura e tradizioniCultura e tradizioni•Feste e riti religiosi•Piatti tipici•A Levanzo (anonimo levanzaro)

•Le voci dell’isolaLe voci dell’isola•Filmato

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Nota agli antichi come Buccina, Phorbantia e presso i geografi arabi come Gazirat ‘al Yàbisah (“l’arida”), Levanzo deve il suo attuale nome, secondo la memoria storica degli anziani del luogo, al secolare pozzo sito nel lato sinistro (ponente) della spiaggia di Cala Dogana, dove si affaccia il paese e dal quale gli abitanti usavano attingere l’acqua per uso potabile, domestico e per abbeverare gli animali. Nel 1901 per opera dell’Amministrazione Florio, padroni enfiteuti dell’isola, venne scavato e costruito a pochi metri di distanza, un altro pozzo su cui venne posta una leva per attingere l’acqua. Proprio da questo sistema di LEVA IN SU, deriva probabilmente il nome dell’isola.

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Come è risaputo, l’arcipelago delle Egadi è formato da isole di Favignana, Marettimo, Levanzo e dagli isolotti di Formica e Maraone.

La storia antica di queste isole è per lo più sconosciuta, anche se qualche fossile ritrovato ha fatto pensare con un certo margine di sicurezza che le isole Egadi si siano formate circa 600.000 anni fa, quando queste ancora erano saldate alla Sicilia e questa, a sua volta, era unita alla Calabria. La formazione dell’arcipelago avvenne in seguito a movimenti di abbassamento e innalzamento delle acque dei quali resta traccia nelle rocce sedimentarie e nei fossili rinvenuti nelle isole.

Nel Paleolitico Levanzo e Favignana erano unite da uno stretto ponte di terra tra l’attuale Cala Dogana e San Nicola a Favignana ed entrambe erano congiunte alla terraferma. Dopo gli uomini preistorici (la cui presenza è testimoniata dai graffiti della Grotta del Genovese), c’è un vuoto di conoscenze circa ciò che avvenne nell’isola, si sa solo che intorno al 6000 a.C., il mare riprese la sua crescita e Levanzo e Favignana divennero due isole. Poiché gli uomini che vi abitavano non conoscevano l’arte della navigazione si estinsero e per circa 3000 anni le uniche voci restarono quelle del vento, del mare, degli uccelli e di qualche piccolo mammifero.

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Si ritorna a parlare delle Isole Egadi nel libro XI dell’Odissea, in cui Omero fa approdare Ulisse nell’Isola delle Capre (Aegades o Aegusa) e per i Romani Capraria.

Successivamente vennero alla ribalta della storia soprattutto quando le loro acque furono teatro di epiche battaglie della I (264-241 a.C) e della II Guerra Punica (218-201 a.C), momento a partire dal quale ebbe inizio l’espansione imperiale di Roma. Della dominazione romana c’è qualche traccia anche a Levanzo, nelle vasche di Garum in contrada Cala Minnola.

Caduto l’impero romano le Egadi passarono nelle mani dei Vandali, dei Bizantini, dei Saraceni (di cui rimangono i ruderi di una torre), dei Normanni, degli Angionini e degli Aragonesi, quindi nel 1416 andarono sotto il governo dei viceré spagnoli. Nel 1590 vennero assegnate a Filippo II che le destinò a varie famiglie nobili finché nel 1640 vennero vendute a Camillo Pallavicino di Genova, il quale impiantò il primo vigneto a Levanzo.

Nel 1735 nel Regno delle due Sicilie si insediarono i Borboni e nel 1874 vennero vendute al grande imprenditore Ignazio Florio: da quel ha inizio la storia moderna di Levanzo e delle Egadi, la cui economia conobbe una svolta. Allora le tonnare di Favignana e di Formica erano infatti le più produttive del Mediterraneo.

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Questa isola molto arida, riesce in ogni caso a mantenere una vegetazione folta e rigogliosa di macchia mediterranea, dai densi ciuffi di euforbia che si alternano all’erica multiflora, alla svettante agave, alla gariga, alla mandragora dai fiori bianco-violacei, accanto ai fichidindia e ai teneri arbusti di capperi.Alcune piante, poche, sono endemiche, come l’allium aethusanum, allium ampeloprasum, anthemis maritima, ecc…,con un’infinità anche di piante medicinali.La maggioranza del patrimonio ornitico delle Egadi è dovuta alle molteplici presenze migratorie (cavaliere d’Italia, Gabbiano del mediterraneo, cormorani bianchi, l’airone ecc…) tramite le rotte migratorie da o per il Nord Africa con il “ponte naturale” proprio delle Egadi.

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Cala Dogana: il paesinoLevanzo dista da Trapani circa 15 km. Uno scoglio granitico di massiccia formazione calcarea di circa 5 km. di lunghezza (nord-sud) e di circa 2 km di larghezza (est-ovest), altezza massima nel Pizzo del Monaco mt 278. Nell’insenatura di Cala Dogana si trova il piccolo villaggio di case, adagiato sulla costa meridionale e sull’unico piccolo porto per poche barche e scalo per aliscafi e traghetti. Le prime case cominciarono ad essere costruite a partire dal 1700, in quanto prima gli abitanti stavano nelle grotte di cui questa caletta era ben provvista. Pian piano sono state affiancate e poi sostituite da stanze costruite con tufi “cantuna” importati dalla vicina Favignana o anche in pietra locale.

Ancora nel 1700 non esisteva una chiesa a Levanzo e solo nel 1844 il re Ferdinando II a proprie spese destinò a Levanzo un Cappellano ed il barone Pallavicino cedette uno dei suoi magazzini nella pianura di Levanzo, accanto alla sua casa baronale. Al centro dell’abitato del paese in continuità con le poche case allora esistenti, nel 1908 in Sig. Gaspare Bulgarella di Trapani, venne a costruirvi una bellissima villa in posizione molto arieggiata che venne ad abitare con la propria famiglia nel 1911 e a passare la villeggiatura ogni anno. Era molto affezionato all’isola, tanto che ci volle anche morire all’età di 83 anni e fu seppellito nel piccolo cimitero che egli stesso aveva fatto costruire per la popolazione locale.

Levanzo è un piccolo villaggio a ridosso di un altopiano, c'è chi ci abita da sempre e chi è capitato per caso o per curiosità turistica, e ha finito per divenire cittadino dell'isola, lasciandosi alle spalle il frastuono delle città, lo smog, gli affari e le preoccupazioni. I “locali” sono ospitali, curiosi, aperti e lontani nello stesso tempo, cordiali con chi mostra di amare l’isola e chiusi con chi nonne rispetta l’ambiente e le consuetudini. Certo il progresso è arrivato anche qui ma ancora tra questi scogli si sente in modo tangibile quello spirito di solidarietà che anima le piccole comunità.

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Cala FreddaLasciando il paesino e procedendo dal lato di Levante incontriamo Cala Fredda, una caletta con piccola spiaggia di ciottoli riparata dai venti del nord e punto di ancoraggio per piccole imbarcazioni di passaggio.

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Villa FlorioSalendo per pochi metri sull’altopiano troviamo la Villa Florio, costruita nel 1890, un agglomerato di case coloniche e stanze rifugio per gli animali domestici con la posizione dominante di un ricco palazzotto con annessi servizi, sede degli occasionali soggiorni della famiglia Florio che dell’isola erano i padroni enfiteutici e sostenevano una fiorente attività agricola con vigneti, masserie, stalle, animali e perfino una cantina per il vino prodotto in loco. Oggi, purtroppo, questa proprietà è abbandonata.

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Torre SaracenaSulla collina esistono, in modesto stato di conservazione, i resti di una secolare torre, la Torre Saracena, che serviva da avvistamento per le varie incursioni dei nemici che provenivano dal mare.

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Cala MinnolaSotto la Torre Saracena, scendendo verso il mare, si trova Cala Minnola, con una bellissima pineta molto curata ed una spiaggetta ideale per fare il bagno perché riparata dal vento.

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Vasche di Garum A poca distanza da Cala Minnola, si trovano circa 8 vasche di cui si fa menzione nella

memoria storica degli abitanti anziani di Levanzo che nel 1948/49 ne scoprirono l’esistenza ma senza aver colto quale fosse la loro funzione. Queste vasche di 2 m per 2 m, sono state costruite con mattoni pesti e con una miscela di carbonella e sono ancora discretamente conservate. Negli anni ’70 qualche turista si accorse di esse e, spinto da curiosità, approfondì la questione: si scoprì così che risalgono sicuramente al periodo romano (200 a.C.) e servivano per fare il garum, una salsa dal sapore molto simile alla salsa di acciughe. Alimento prelibato per i Pompeiani, il garum secondo Plinio aveva il colore del miele ed era talmente buono che lo si poteva anche bere in bicchierini. In queste vasche venivano messe erbe aromatiche (timo, finocchio, salvia, menta piperita, origano, sale) e pesci vari (acciughe, sardine pezzi di tonno, ecc…), il tutto veniva coperto con un coperchio di legno o di sughero ed ogni tanto mescolato. Dopo circa 2 mesi era pronto, poi occorreva pigiarlo e raccoglierlo in recipienti per condire le pietanze.

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Cala CalcaraA Cala Calcara non ci sono spiagge ma scogli più o meno levigati dal mare e bellissimi fondali. Dalla Cala c’è un sentiero che conduce all’altopiano ed una strada sterrata percorribile in fuoristrada lungo la quale poter fare una bella passeggiata ecologica verso nord. Lungo il percorso si incontrano alcune case coloniche ristrutturate e riadattate a piccoli insediamenti abitativi stagionali e, dopo un paio di km, si raggiunge l’estrema punta dell’isola dove si trova un piccolo agglomerato di case che fanno da cornice al Faro.

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Il Faro di Capo GrossoCostruito nel 1858, il faro di Capo Grosso, sebbene non sia stato danneggiato da eventi bellici, è stato sottoposto negli anni a ristrutturazione. Per l’illuminazione delle coste furono utilizzati prima olio vegetale, poi olio minerale, paraffina (derivato del petrolio), petrolio e l’energia elettrica. Oggi si usano le lampade alogene. Gli antichi apparati sono stati sostituiti da impianti automatizzati, cosa che ha determinato l’allontanamento della caratteristica figura professionale del “guardiano del Faro”.

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Cala TramontanaCala Tramontana è la più vasta insenatura dell’isola, aperta ai venti del quadrante nord, bellissima, accessibile da un piccolo sentiero che conduce al mare dove troviamo una piccola spiaggia di ciottoli. Gli scogli sul mare e la montagna intorno con diverse grotte offrono uno spettacolo incantevole.

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La Grotta del Genovese Sull’altopiano, superata la Punta dei Sorci

incontriamo la Cala del Genovese. Il nome deriva dal fatto che nel 1283, col pretesto di far guerra ai Pisani, due navi di pirati genovesi nascosero il loro bottino nelle Egadi, proprio in questa cala poi detta appunto “del Genovese”. Anche successivamente le isole Egadi si trovarono lungo la rotta percorsa dalle navi genovesi che navigavano verso il Medio Oriente ed il Nord-Africa, offrendo un ideale punto d’appoggio e di riposo. In questa cala si trova la famosa “Grotta del Genovese” che prende il nome a sua volta dall’omonima Cala. La grotta fu scoperta per caso da una pittrice di Firenze nel 1949 e poi sottoposta a scavi e ricerche che si sono protratti fino al 1952-53.

La grotta è molto ampia e presenta due camere, una esterna, illuminata dalla luce del sole, ed una interna, alla quale si accede attraverso uno stretto cunicolo di pochi metri. Al suo interno troviamo un primo ciclo di incisioni di età paleolitica con 34 figure incise sulla roccia (cervi, cerbiatti, felini, tori, vacche, asini selvatici, ecc…), ed un secondo ciclo di età neolitica che comprende circa 81 figure dipinte in nero ed una sola in rosso, raffiguranti animali, idoli, figure umane, armi ed altro.

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Il FaraglioneIl Faraglione è un grosso scoglio staccato

dall’isola da un istmo di pochi metri con una profondità che in alcuni punti non supera i 2 m e con una piccola spiaggia di ciottoli bianchi . Nei pressi incontriamo la “Grotta Grande” e proseguendo oltre raggiungiamo Cala Dogana che ospita il piccolo porto ed il Paesino dell’Isola.

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Feste e ritiTra le feste celebrate nelle Egadi la più importante è certamente quella si S. Giuseppe, il 19 Marzo, legata alla tradizione dei “pani”. La tradizione vuole che nel giorno della festa si inviti a pranzo una famiglia povera composta da tre persone che rappresentano la Sacra Famiglia. Il pasto avviene all’aperto, ma ogni famiglia allestisce un altare simile all’interno della propria casa. I preparativi sono laboriosi: si costruisce “la cappella” che si copre di alloro, mirto, arance e limoni. L’interno contiene l’altare con 3 o 5 gradini. Tutto viene ornato da piccoli pani dalle forme più fantasiose (frutti, fiori, uccelli, angioletti, ecc…). Sul gradino più basso dell’altare vengono poggiati 3 grossi pani simboleggianti Gesù, Maria e Giuseppe; sul medio 3 pani più piccoli che rappresentano i devoti a san Giuseppe; sul gradino più alto si mette un pane a forma di ostensorio, simbolo dell’Eucarestia (Gesù che si fa nostro cibo) con attorno tanti altri pani. Non mancano lumini, fiori, lenticchie, ceci e grano.Condividere il pane, alimento fondamentale per l’uomo, è segno di fratellanza. L’altare è una mensa imbandita che rende fratelli perché tutti mangiano dello stesso pane.

A Levanzo la festa si protrae per 3 giorni in cui fervono le attività, tra devozione e folklore: la Vampata (falò notturno), gli altari, la funzione religiosa , la processione del Santo e i giochi per piccoli e grandi.

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Piatti tipiciLa gastronomia di Levanzo è basata soprattutto sul pesce. Infatti uno dei piatti più apprezzati è il cous cous di pesce. Per cucinare questa pietanza occorre osservare di persona la sua preparazione da mani sapienti, soprattutto la fase dell’ “incocciata”, cioè la trasformazione, mediante la lavorazione a mano, della semola di grano duro in piccoli grumi rotondi.A Levanzo si possono gustare poi tutti i piatti a base di pesce: pasta con i ricci, con le patelle o con l’aragosta, sarde a beccafico, e tutte le ricette a base di tonno: le polpette di tonno, gli “spaghetti con la bottarga”, la “tunnina” in agrodolce, “lattume” fritto o conservato sotto sale.Tra i dolci più diffusi vi sono le cassatelle di ricotta e scaglie di cioccolato e, tipiche del periodo natalizio, le sfince, ciambelline fritte e guarnite di zucchero e cannella.

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A LevanzoCosì scriveva, presumibilmente negli anni ’50 un anonimo levanzaro sulla sua amata isola… A Levanzo                                                 Quannu  lu  granni  Iddiu  avia  finutu      di  fabbricari  tuttu  l’Universu,      ci  arristaru  tri  petri  inta  li  manu          nun  vulennuli  squagghiari  ‘nta  lu  nenti,     doppu  aviri  tantu  travagghiatu,                     fici  ‘na  pinsata  e,  cull’urtima  ‘mpastata        li  sistimò  a  stiddaru  di  Trapani  farcata ‘n’ta  chisti  tri,  chidda  ca  è  chiu’ nica             Levanzu  si  chiama  e  supradidda  sunnu            li  genti  chiù  boni  di  lu  munnu-                   chi  campanu  felici  e  senza  udiari                  ‘n’mezzu  a  na  natura  di  culura  chiari        ‘ n’mezzu  all’erbi  udurusi  e  a  li  zabbari.      Quattru  casuzzi  bianchi                                  cu  l’occhi  di  finestri  aperti  o  suli                     e  la  vuccuzza  di  li  purticeddi                              all’aria  di  lu  mari.                                                 

 

 Puliti  i  vicchiareddi  e  primurusi                

  dunanu  a  manciari            

                            a  tutti  li  atti  du  paisi

                                      ca’nsemmula  a  li  cani,  cacciatura, 

caminanu pi  strati  e  stannu  comu  amici

D’intra  all’abbrazzu  d’una  cala  nica          

dormunu  beatiquattru  varcuzzi  accummigghiati

                    e,  all’atru  latu,  a  grutta  o’   Ginuvisi

         tistimonia  quant’è  antica  chista  genti!

            U  faragghiuni,  chi  sempri  riri  o’  suli,è  un  ghiritu  puntatu  versu  u

 celu                   e  docu  stà  pi  ricurdari  e  furasteri Ca st’isula,  vuluta  du  Signuri, sulu  addumanna  rispettu  e  amuri

                  picchì  rispettu  e  amuri  sapi  rari 

                    e  lu  gran  mari 

                                                chi  vasa  sta  petra

 nicaredda                             ripeti  sempri  e  senza  mai  lintari:

“Levanzu,  si  bedda”!                                       

   

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Le voci dell’Isola

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Realizzato Realizzato daLaura Marino Laura Marino

e e Giuseppe Campo Giuseppe Campo del CPE di Levanzodel CPE di Levanzo

A.S. 2010/2011A.S. 2010/2011

Con la collaborazione dei prof.Con la collaborazione dei prof.Daniela Sturiano, Giovanni Catania ed Elisa ConteDaniela Sturiano, Giovanni Catania ed Elisa Conte