UNA FAVOLA CI SALVERÀ - Il portale del Volontariato del ... · Io ho comprato tutte le cose che il...

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salutano tutti in italiano, io li guardo, li vedo crescere e li rimpiango, e li immagino un giorno grandi, chissà dove, lontano lon- tano… È “La filastrocca del pediatra” e la trovate nel libro “Ci sarà una volta”. Il pediatra in questione è Andrea Satta, è medico, scrittore e cantante (il suo gruppo sono i Tetes De Bois), ed esercita in un ambulatorio a Val- montone, periferia di Roma, con tanta pas- sione. Da quattro anni il suo colorato ambulatorio (l’Ambu, come lo chiama lui) è diventato il luogo d’incontro di genitori ita- E cco i romeni a frotte, preoccu- pati e con le facce bambolotte, e gli arabi col viso magro da mille e una notte. I moldavi, i russi, i polacchi e gli ucraini giganti coi loro nani, e lo sguardo dei paesi lontani. Ecco i cileni con l’aria india e sorridenti, i brasiliani silenziosi, gli africani col passo degli altipiani, i deferenti pakistani colorati e strani e i cinesi ancora pochi dalle mie parti, come i neozelandesi, i norvegesi, i finlandesi alti e forti. C’ho pure due belgi, due spagnoli e un francese, due messicani, un israeliano e un portoghese. Alla fine mi Leggere, ascoltare, navigare di Maurizio Ermisino UNA FAVOLA CI SALVERÀ Andrea Satta, scrittore e cantante, ma soprattutto pediatra, ha raccolto, dalle mamme dei suoi pazienti, narrazioni provenienti da tutto il mondo. “Ci sarà una volta” è un libro e anche una bella storia di integrazione

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salutano tutti in italiano, io li guardo, li vedocrescere e li rimpiango, e li immagino ungiorno grandi, chissà dove, lontano lon-tano…

È “La filastrocca del pediatra” e la trovatenel libro “Ci sarà una volta”. Il pediatra inquestione è Andrea Satta, è medico, scrittoree cantante (il suo gruppo sono i Tetes DeBois), ed esercita in un ambulatorio a Val-montone, periferia di Roma, con tanta pas-sione. Da quattro anni il suo coloratoambulatorio (l’Ambu, come lo chiama lui) èdiventato il luogo d’incontro di genitori ita-

Ecco i romeni a frotte, preoccu-pati e con le facce bambolotte, egli arabi col viso magro da mille

e una notte. I moldavi, i russi, i polacchi e gliucraini giganti coi loro nani, e lo sguardo deipaesi lontani. Ecco i cileni con l’aria india esorridenti, i brasiliani silenziosi, gli africanicol passo degli altipiani, i deferenti pakistanicolorati e strani e i cinesi ancora pochi dallemie parti, come i neozelandesi, i norvegesi,i finlandesi alti e forti. C’ho pure due belgi,due spagnoli e un francese, due messicani,un israeliano e un portoghese. Alla fine mi

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di MMaauurriizziioo EErrmmiissiinnoo

UUNNAA FFAAVVOOLLAA CCII SSAALLVVEERRÀÀ

AAnnddrreeaa SSaattttaa,, ssccrriittttoorree ee ccaannttaannttee,, mmaa ssoopprraattttuuttttoo ppeeddiiaattrraa,, hhaa rraaccccoollttoo,,ddaallllee mmaammmmee ddeeii ssuuooii ppaazziieennttii,, nnaarrrraazziioonnii pprroovveenniieennttii ddaa ttuuttttoo iill mmoonnddoo.. ““CCii ssaarràà uunnaa vvoollttaa”” èè uunn lliibbrroo ee aanncchhee uunnaa bbeellllaa ssttoorriiaa ddii iinntteeggrraazziioonnee

liani e stranieri, provenienti dai più disparatipaesi del mondo, il focolare attorno al qualepersone molto diverse si scambiano i lororacconti della buonanotte.

Quella di Andrea Satta e dei genitori deisuoi piccoli pazienti è una storia molto par-ticolare, una piccola grande idea che, come

tutte le cose più belle, ènata quasi per caso.

Dal pediatra per so-cializzare

«Faccio da 15 anni il pe-diatra in una periferia ro-mana, dove per motivieconomici si riesce a pren-dere case in affitto a prezzimigliori di altre parti» ciracconta Satta.

«Una mamma del Ma-rocco un giorno mi disseche in otto anni qui nonera riuscita a farsi un’amicanuova, e le uniche personeche aveva conosciutoerano quelle con cui par-lava quando aspettava ilsuo turno in ambulatorio.Sono rimasto colpito e tor-nando verso casa, sotto la pioggia, mi è venutaun’idea semplice: perchénon far venire mammestraniere e italiane e farraccontare loro le favolecon cui si addormenta-vano, nella loro lingua enell’italiano che cono-scono?». L’idea semplice è

diventata presto realtà. «Con un po’ di timi-dezza le mamme hanno cominciato a venire.Io ho comprato tutte le cose che il pediatranon compra, dalla Coca Cola alla Fanta aibiscotti più Ogm del mondo. E poi ho co-minciato a vedere che loro portavano i bi-scotti palestinesi, il cous cous, le schiacciate

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Da quattro anni Satta organizza incontri in cui le mamme raccontano favole

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alla cipolla romene. E ho capito che avevanoragione. Da allora da quattro anni, una voltaal mese, al lunedì, le mamme italiane e stra-niere raccontano le favole. Le raccontanonella loro lingua: ho piacere che le mammeascoltino il suono dell’arabo, dello swahili,dello spagnolo, del bulgaro. Tra i miei pa-zienti il quaranta per cento ha un genitore

straniero, ho bambini chevengono da 35 paesi delmondo». Le favole del lu-nedì sono poi diventate unlibro, “Ci sarà una volta”,con le illustrazioni di Ser-gio Staino, edito da Infi-nito Edizioni, giunto allaterza edizione, i cui pro-venti sostengono un ospe-dale di Emergency inSudan.

Tutto nasce da un biso-gno, quello di socializza-zione, di compagnia, diamicizia. Oggi si cercanocon fatica soluzioni aun’integrazione che non èfacile, eppure può acca-dere naturalmente, nellostudio di un pediatra. «Ov-viamente socializzare èmolto difficile», ragionaSatta. «Oggi l’ambulatoriodel pediatra è uno degli ul-timi presìdi di incontro edi socialità. Il pediatra haun suo carisma, rassicura.Non è un partito politico,non è una parrocchia.Entra nelle case, nelle di-

namiche familiari. Viene accolto in casedove per altri sarebbe difficile entrare. In unpaese dove tirano le banane al ministro per-ché ha un colore diverso, è un lavoro che noipossiamo provare a fare. È un dovere moltopiù che un merito». «Così se al supermercatoti cade qualcosa», continua, «non ti preoc-cupi se te lo raccoglie una persona con il

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Il libro è illustrato da Sergio Staino

volto che non assomiglia a quello di tua so-rella, perché magari assomiglia a una dellepersone che hai conosciuto in ambulatorio,e ti fa meno paura».

“Ci sarà una volta” raccoglie racconti davarie regioni d’Italia, dalla Romania, dal Bel-gio, dalla Norvegia, dal Marocco, dall’Egitto,dalla Nigeria, dal Brasile, dalla Palestina e dalPakistan. Storie di mondi lontani, molto di-versi tra loro, che però spesso finiscono persomigliarsi. «La favola è universale, pescanelle radici culturali dei luoghi» spiega l’au-tore. «Così, quasi inconsapevolmente, di-venti testimone di una cultura che ha radiciantiche. Le favole finiscono per assomi-gliarsi. Un papà del Brasile è venuto con lemarionette e ha mimato le favole dei caprettiche dicono al lupo di mangiare il caprettosuccessivo, perché è più grasso: una mammadella Norvegia l’ha raccontata, ma con untroll al posto del lupo. Nella favola di caprae cavoli raccontata da una mamma della Ni-geria c’erano il casco di banane e la gazzella,e il leone al posto del lupo. Ma la favola è lastessa».

Il racconto è partecipazioneNoi non sappiamo più raccontare, scrive

Moni Ovadia nell’introduzione del libro. Mase con l’aiuto della fantasia dei nostri bam-bini riafferriamo il bandolo del filo della nar-razione forse possiamo salvare la nostracomunità umana dai devastanti pericoli cheincombono su di essa. Ma davvero si è persal’arte del racconto, e con questo l’immagi-nazione? «È così», risponde Andrea Satta.«Noi abbiamo creato un sistema in cui l’im-magine schiaccia qualsiasi costruzione chepossiamo mettere in piedi con il potere della

parola. È chiaro che tutto questo azzera lafantasia. Tecnologicamente il racconto èqualcosa che fa compagnia alla radio, in cuipuoi fantasticare il campo di calcio, o l’ar-rivo di un ciclista. Quel cielo azzurro lo co-lori un po’ come ti pare a te. Si parla cosìtanto di interattività: l’interattività intesacome partecipazione è il racconto, e ce lostiamo facendo scippare. Il racconto è qual-cosa che l’uomo modifica a suo piacimento,ognuno racconta la favola non com’è, macome se la ricorda».

Il racconto, la favola, l’immaginazione.Tutte cose che servono a un bambino percrescere, per essere sereno, felice. Che cosamanca a un bambino oggi per essere felice,si chiede Satta alla fine del libro? Forse iltempo libero. Chiediamoci se i nostri bam-bini giocano ancora, giocano davvero, in-ventandosi i loro giochi, o fanno solo sport.È un rischio che il gioco vada perduto?«Credo che sia un rischio, anzi è già un fatto»riflette Satta. «I bambini fanno molto piùsport rispetto a prima, ed è giusto, perchél’obesità è uno dei problemi da combattere.Ma il gioco, la creatività, la trasformazionedelle cose, la vacanza della mente è qualcosache il bambino ha solo nell’infanzia. I bam-bini hanno il diritto di vivere questa condi-zione. Oggi i bambini che giocano sonopochissimi: escono da scuola, fanno sport esono subito spinti alla competizione, c’è untutor che li disciplina. Manca l’autoorganiz-zazione, quella che nelle partite di calcio tifaceva decidere che ogni tre angoli è rigoreo dov’era la traversa. La disciplina ti mettein competizione: vai a vincere, o a perdere.Non ti vai a divertire». ■

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