Costituzione a rischio. Il referendum la salverà · (conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma...

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Dalle primarie al partito democratico di Giovanni Bianchi CRISTIANO SOCIALI NEWS - QUINDICINALE DEL MOVIMENTO DEI CRISTIANO-SOCIALI - Poste italiane spa - spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma editoriali di pag. 2 Costituzione a rischio. Il referendum la salverà di Vannino Chiti L a destra ha varato il suo provvedimento per cambiare la Costituzione. Non mi sento di chiamarlo riforma: evitiamo tutti di farlo. È uno sfregio alla Costituzione. Quello che ne esce è un mostro istituzionale, una soluzione avven- turista e confusa. Se approvato snaturerebbe la nostra democra- zia, la renderebbe incapace di funzionare, romperebbe la coesione sociale e istituzionale del paese. L’unica via d’uscita è bocciarlo al referendum. Il referendum deve rappresentare per i cittadini l’occasione di riappropriarsi della Costituzione, di liberarla dal vassallaggio nel quale la destra l’ha imprigionata, ancora una volta a suo uso e consumo. Ma non sarà facile. Inonderanno i cittadini di bugie. Cercheranno di convincere che cambiare è bello, che dopo sessant’anni era necessario e la destra – solo lei – ci è riuscita. Diffonderanno il leit-motiv che “chi si oppone, conservatore è”. Cercheranno di evitare le valutazioni di merito sul provvedimento. Noi proprio su di esse, con semplicità, dovremo inchiodarli. Cominciamo dal metodo: la destra ha voluto costruire da sola lo stravolgimento di 53 articoli della Costituzione. Non solo votarli (segue a pag. 16) Coordinatore Segreteria Ds 14 dicembre 2005 Anno IX - Numero 18 - 2 14 dicembre 2005 Anno IX - Numero 18 - 2 Sulla legga 194 un confronto sgombro da preconcetti Giorgio Tonini pag. 3 Reinterpretare i consultori. Luoghi di socialità Donata Lenzi pag. 7 Bloccare il mutuo soccorso tra clericali e anticlericali Domenico Rosati pag. 9 primo piano Mezzogiorno. Lavoro e legalità oltre l’emergenza Camillo Monti pag. 11 attualità Il contributo dei credenti per una buona politica laica di Mimmo Lucà La redazione augura a tutti i suoi lettori un Buon Natale e un felice Anno Nuovo

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Dalle primarieal partito democratico

di Giovanni Bianchi

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editoriali di pag. 2

Costituzione a rischio.Il referendum la salverà

di Vannino Chiti L a destra ha varato il suo provvedimento per cambiare laCostituzione. Non mi sento di chiamarlo riforma: evitiamo tutti

di farlo. È uno sfregio alla Costituzione.Quello che ne esce è un mostro istituzionale, una soluzione avven-turista e confusa. Se approvato snaturerebbe la nostra democra-zia, la renderebbe incapace di funzionare, romperebbe lacoesione sociale e istituzionale del paese.L’unica via d’uscita è bocciarlo al referendum. Il referendum deverappresentare per i cittadini l’occasione di riappropriarsi dellaCostituzione, di liberarla dal vassallaggio nel quale la destra l’haimprigionata, ancora una volta a suo uso e consumo. Ma non sarà facile. Inonderanno i cittadini di bugie. Cercherannodi convincere che cambiare è bello, che dopo sessant’anni eranecessario e la destra – solo lei – ci è riuscita. Diffonderanno illeit-motiv che “chi si oppone, conservatore è”. Cercheranno dievitare le valutazioni di merito sul provvedimento. Noi proprio sudi esse, con semplicità, dovremo inchiodarli.Cominciamo dal metodo: la destra ha voluto costruire da sola lostravolgimento di 53 articoli della Costituzione. Non solo votarli

▼ (segue a pag. 16)

Coordinatore Segreteria Ds

14 dicembre 2005 Anno IX - Numero 18 - € 214 dicembre 2005Anno IX - Numero 18 - € 2

Sulla legga 194un confrontosgombro da preconcetti

Giorgio Toninipag. 3

Reinterpretare i consultori.Luoghi di socialità

Donata Lenzi

pag. 7

Bloccare il mutuo soccorsotra clericali e anticlericali

Domenico Rosati

pag. 9

primo piano

Mezzogiorno. Lavoro e legalità oltre l’emergenza

Camillo Montipag. 11

attualità

Il contributo dei credentiper una buona politica laica

di Mimmo Lucà

La redazione augura a tutti i suoi lettori un Buon Natale

e un felice Anno Nuovo

I l nostro contributo al profilo programmatico del-l’Ulivo e dell’Unione deve dare un rilievo centrale e

innovativo al rapporto tra laicità ed etica pubblica.Io penso che la laicità sia e resti una qualità neces-saria della democrazia.Ma questo, oggi, non significa escludere le reli-gioni dalla dimensione pubblica.Significa invece riconoscere il contributo importan-te che esse possono dare, significa comprendereche non si ricostruiscono fondamenti di senso, lega-mi e coesione sociale senza far leva anche sullerisorse simboliche e morali che le grandi fedi reli-giose portano con se; significa essere consapevoli,oltretutto, che se non si predispone seriamente undialogo autentico delle fedi religiose tra loro e conle istituzioni, ci si condanna a veder esplodere le ten-sioni che il nuovo pluralismo religioso porta con se.Il conflitto tra credenti e non credenti, o se volete tralaici e cattolici, che ha segnato per molto tempo la

storia italiana e le vicende della politica nazionale, rischia di imporsi oggicon modalità e toni che si pensava consegnati agli archivi della memoria.Una delle ragioni più importanti sta forse nella crescente propensione delleChiese a forzare i confini tradizionali della sfera religiosa per intervenire eprendere posizione su argomenti importanti della sfera pubblica, sul rap-porto tra etica e diritto, sul futuro della scienza, sulle prospettive dello svi-luppo, sui conflitti, sulla famiglia, sulla vita, sullo stesso destino dell’umanità.Ciò avviene non solo perché le religioni tendono a difendere il proprio ter-ritorio, ma perché intendono, giustamente, partecipare al processo dicostruzione del mondo moderno, ritenendo di possedere risorse adegua-te per dare il proprio contributo alla sfida più rilevante che l’umanità haoggi di fronte: ridefinire le regole della convivenza, in una società globa-le caratterizzata in molti campi da nuovi scenari e nuovi poteri.Caro Bersani, hai ragione quando sostieni che le risposte alle domandenuove che non si trovano più nella scienza, non è detto che si trovino perciò stesso nella religione o nella fede.E tuttavia occorre prendere coscienza del riemergere del fattore religiosocome elemento importante nella storia delle persone e nel vissuto dellecomunità, e riconsiderare, quindi, il rapporto tra religione e politica in ma-niera più approfondita.Nella dimensione religiosa si fondano e vivono valori, culture e orienta-

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L e elezioni primarieper la leadership del

centrosinistra presentavano diverse singolaritàe zone d’ombra che portavano molti osservato-ri, non necessariamente prevenuti nei confrontidell’Unione, a giudicarle qualcosa a metà stra-da fra una formalità ed un rischio.Una formalità perché in effetti non sembravache alcuno dei contendenti presentatisi potesseseriamente insidiare la vittoria di Romano Prodi,che da oltre un anno parlava ed agiva come lea-der del centrosinistra, e che le primarie le avevavolute come “scambio” con i vertici dei partitidopo la decisione dell’Assemblea federale dellaMargherita nel maggio scorso di non ripropor-re la lista dell’Ulivo anche alle elezioni politiche.In questo senso, tenuto conto che nessuno deglialtri concorrenti (Bertinotti, Mastella, Di Pietro,Pecoraro Scanio e gli indipendenti Scalfarotto ePanzino) aveva seriamente la possibilità di insi-diare il Professore sostenuto da Ds, Margherita,Sdi e Comunisti italiani, ci si domandava chelogica avesse richiedere una larga mobilitazio-ne elettorale, e si coltivava il dubbio che in effet-ti, alla fine, tale mobilitazione non sarebbe statacosì larga.Ma molti denunciavano anche la possibilità chealla fine queste primarie fossero anche unboomerang, nel senso che molti inconvenientiavrebbero potuto trasformare la prevista vitto-ria di Prodi in un fattore di debolezza, vuoi perla scarsa partecipazione al voto, vuoi soprattut-to per lo score finale che, in assenza di una can-didatura esplicitamente marcata Ds, potevavedere un risultato di Bertinotti troppo elevatorispetto al reale peso politico di Rifondazione

editorialeeditoriale

di Giovanni Bianchi

Il contributo dei credentiper una buona politica laica

Dalle primarieal partito democratico

▼ (segue a pag. 14)

di Mimmo Lucà

▼ (segue a pag. 13)

L’intervento delCoordinatorenazionale dei CristianoSociali allaConferenzanazionale Dsper il programma,tenutasi a Firenze il 1-2-3 dicembrescorso

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H a ragione Piero Fassino quando invoca, sulle questioni cosiddette“eticamente sensibili” – quelle che hanno a che fare con la vita e la

morte, la famiglia e la procreazione – la ricerca in Parlamento di “solu-zioni il più possibile condivise”, che guardino oltre ai confini delle mag-gioranze politiche. Questo sacrosanto principio, l’unico che può evitare albipolarismo politico di rovesciarsi in “bipolarismo etico”, andrebbe appli-cato subito all’infuocato dibattito che si è riaperto sulla legge 194. Un di-battito nel quale, se si dispone della molta buona volontà necessaria a dis-perdere il fumo denso e acre della polemica spesso preconcetta, si vannorivelando inedite possibilità di convergenza, che sarebbe un grave errore,in particolare per il centrosinistra, non cogliere e non valorizzare.Il primo elemento di convergenza, tanto vistoso quanto ignorato, è la verae propria svolta maturata nella Chiesa italiana, con la rinuncia non soloall’abrogazione, ma perfino alla revisione della legge 194. Potremmo direche il cardinale Ruini, col sostegno del Papa, ha fatto propria, dopo quasiventicinque anni, la linea tradizionalmente sostenuta ed auspicata dai set-tori più liberali del mondo cattolico italiano: una linea che da sempre chie-de di battersi per l’applicazione integrale della 194, a cominciare dallanegletta normativa che incoraggia la prevenzione dell’aborto, anzichéattardarsi nel contrastare una legge che è impossibile riformare, non soloper la mancanza di numeri in Parlamento e nel Paese, ma anche e soprat-tutto per la carenza di buone idee alternative, che non siano il ritorno alproibizionismo e all’aborto clandestino. Come è nella sua secolare abitudine, anche stavolta la Chiesa ha svoltatodando l’impressione di tirare dritto. E così, con il tono perentorio di chi nonha detto altro dal 1978 ad oggi, l’Osservatore romano si è messo adenunciare la cattiva applicazione della 194 e a chiederne la piena attua-zione, con particolare riferimento alle misure di prevenzione, non riduci-bili alla sola propaganda anticoncezionale. Più precisamente, il giornalevaticano si è dichiarato perplesso per le polemiche suscitate dall’auspica-ta presenza nei consultori di volontari del Movimento per la vita: “Un’ipo-tesi prevista dalla legge 194, che indica l’esigenza profonda del collega-mento organico tra strutture pubbliche demandate alla rimozione dellecause di aborto e quel volontariato che, in povertà di mezzi, ha dimostra-to in questi trent’anni di attività di svolgere un servizio di altissimo valoresociale”.

Sulla legge 194 un confrontosgombro da preconcetti

di Giorgio Tonini

Ricercare intese ampie e soluzioni condivise: è sicuramente questo il primo obiettivo da porsi quando nel Paese si ragiona di questioni eticamentesensibili. Sulla legge 194 come sui consultori è necessario trovarefecondi terreni di incontro tra laici e cattolici

Anche questa, è bene saperlo, è una svolta.Solo pochi anni fa era stato il presidente dellaConferenza episcopale tedesca, il progressistacardinale Lehmann, a chiedere al Papa di auto-rizzare i consultori cattolici al rilascio del certifi-cato di avvenuta consulenza, necessario per lalegge tedesca ad effettuare in una struttura sani-taria l’aborto depenalizzato. In tal modo, soste-neva Lehmann, confortato dalla maggioranzadei vescovi tedeschi, i consultori cattolici non sisarebbero chiamati fuori dalla gestione delladelicata fase preliminare all’aborto e si sarebbeevitato alle donne in difficoltà, intenzionate adinterrompere la gravidanza, di doversi rivolge-re esclusivamente a centri non cattolici. Gio-vanni Paolo II aveva negato il suo consenso, rite-nendo che questa prassi avrebbe reso menonetta l’opposizione cattolica all’aborto. Ma idubbi di Lehmann sull’efficacia di una lineaaventiniana devono aver scavato in profondità,se a proposito del caso italiano siamo arrivati aleggere quella pagina dell’Osservatore romano.

La sinistra italiana, che ha avuto il merito didare all’Italia la 194 e di difenderla con suc-cesso non da uno, ma da due referendum spe-culari, quello del Movimento per la vita da unaparte e quello radicale dall’altra, dovrebbeplaudire alla svolta vaticana e non ritrarsi sde-gnata. A quasi trent’anni dalla sua approva-zione parlamentare, la 194 ha conquistatol’avversario più fiero e irriducibile, perché,come attestano i dati sul calo continuo delleinterruzioni volontarie di gravidanza, ha dimo-strato di essere l’unica via ragionevole per ilgoverno responsabile del triste fenomeno del-l’aborto.Nessuno più della sinistra italiana avrebberagione di rallegrarsi di questo successo. Manessuno più di lei avrebbe torto se respingessel’inedita opportunità di fare della 194 un terre-no di incontro e di collaborazione, oltre gli“storici steccati”, tra laici e cattolici. Ai volon-tari dei Centri di aiuto alla vita, che chiedonodi collaborare alle attività di prevenzione dei

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consultori pubblici, si deve rispondere non“vade retro!”, ma “era ora!”. Piuttosto, si deveaprire subito un confronto serio e aperto sul“come” organizzare questa presenza. Chedeve garantire una migliore attuazione deldiritto della donna a “non abortire” - se l’a-borto per lei è il risultato tragico di una condi-zione di bisogno, di solitudine, di disagio,rimuovibili con l’aiuto pubblico e privato-socia-le - senza in alcun modo violare l’altro sacrodiritto della donna stessa, quello a vedere nonsolo garantita la sua decisione finale, qualun-que essa sia, ma anche rispettato il suo mododi arrivarci, senza subire pressioni invasive oricatti morali. La presenza del volontariato diaiuto alla vita dovrebbe quindi assumere carat-teristiche di discrezione e di rispetto da codifi-care in un preciso e rigoroso codice di com-portamento.Così, a mio modo di vedere, dovrebbe rispon-dere una sinistra aperta al dialogo e alla col-laborazione, proprio perché sicura della forzadelle proprie buone ragioni. Così dovrebberispondere un centrosinistra che nutra l’ambi-zione, più volte proclamata da Romano Prodi,di porsi come luogo di incontro storico tra laicie cattolici. Su questa linea, del resto, alla vigi-lia delle elezioni del 2001, si era attestato nonil centrosinistra, ma un gruppo di dirigentidell’Ulivo, laici e cattolici (Giovanni Berlinguer,Rosi Bindi, Franca Chiaromonte, FrancoMonaco e il sottoscritto), che su incarico del-l’allora segretario dei Ds, Walter Veltroni, e delcandidato premier Francesco Rutelli, in unanota per il programma in materia di bioetica,si era espresso nel modo seguente: “La ridu-zione del numero degli aborti, avvenuta negliultimi venti anni, non ha cancellato né il dram-ma personale, né la problematica morale cor-relata a questo problema. La soluzione varicercata soprattutto nella sua prevenzione, giàriconosciuta dalla legge, che all’articolo 1 pre-

vede le iniziative ‘necessarie per evitare chel’aborto sia usato ai fini della limitazione dellenascite’ e all’articolo 3 impegna all’informa-zione della donna sui diritti essenziali a leispettanti, all’attuazione di speciali interventi, acontribuire ‘a far superare le cause che potreb-bero indurre la donna all’interruzione di gravi-danza’, senza ovviamente coartare la suadecisione”. Ricordo che Giovanni Berlinguercosì riassumeva il punto: insieme al diritto delladonna di abortire, nei casi stabiliti dalla legge,è necessario tutelare il suo diritto di non abor-tire, qualora l’aborto sia la tragica conseguen-za di condizioni superabili con l’aiuto dellacollettività, ovvero applicando in modo piùconvinto e sistematico le norme della 194 cheriguardano la prevenzione.Ora, l’auspicata “mediazione alta”, basata sulno alla revisione della legge e su un sì altret-tanto convinto alla piena applicazione del suoapparato preventivo (anche coinvolgendo inquest’opera, nelle forme e nei modi opportuni,il volontariato) sembra farsi possibile. La sinistradeve mettersi alla testa di questo mutamento discenario e non dare neppure la sensazione disubirlo. Una risposta difensiva e risentita pro-durrebbe infatti il risultato paradossale di “re-galare” la 194 a chi ieri ne chiedeva l’abroga-zione e oggi ne domanda la piena attuazione,schiacciando la sinistra sulla posizione del refe-rendum radicale del 1981. Non si vive di ren-dita, neppure in politica: la 194 sconfisse i duereferendum perché seppe proporsi al Paesecome la soluzione ragionevole e moderna aduna tragedia antica, contro il vecchio proibizio-nismo da una parte, ma anche, dall’altra, con-tro la fuga privatistica dalla responsabilitàsociale che la maternità e la paternità compor-tano. Guai se la sinistra abbandonasse questaposizione centrale nel Paese.Del resto, la “mediazione” della 194 serve og-gi anche per valorizzare un’altra opportunità

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nuova, quella rappresentata dalla pillola abor-tiva Ru486. Un’opportunità, a mio modo dive-dere, etico-politica e non solo sanitaria. Sulpiano sanitario, evidente è la preferibilità, ovepraticabile, dell’aborto farmacologico rispettoa quello chirurgico. Ma non meno importanteè l’innovazione che essa comporta rispetto aldelicato problema etico del rapporto tra ladonna che decide di abortire e lo Stato che lepresta assistenza attraverso il personale delServizio sanitario nazionale. Mentre nel casodell’aborto chirurgico, questa collaborazione èattiva, nel caso dell’aborto farmacologico, essascivola sullo sfondo, limitandosi a svolgere unruolo di assistenza. In questo modo, finisce perattenuarsi sensibilmente la caratteristica della194 come provvedimento di “legalizzazione”dell’aborto e non di mera depenalizzazione,come ad esempio nel caso della legislazionetedesca. Una differenza che a suo tempo avevamotivato l’adesione critica di molti cattolicidemocratici (a cominciare da Pietro Scoppola,fino al sottoscritto) al referendum del Mo-

vimento per la vita. Depenalizzare, come inGermania, è giusto e necessario (si diceva allo-ra), legalizzare no, perché la legalizzazionecomporta la compromissione dello Stato nelpraticare l’aborto. L’introduzione della Ru486rappresenta, sotto questo profilo, una innova-zione importante, sulla quale il mondo cattoli-co farebbe bene a riflettere: la distinzione diresponsabilità tende a farsi più netta e la fun-zione dello Stato attenua le sue caratteristichedi compartecipazione attiva, in favore di unruolo di mera assistenza ad un atto che resta,ove ella decida di compierlo, di esclusivaresponsabilità della donna e semmai della cop-pia. Se a ciò si aggiunge il potenziamento del-l’opera di prevenzione, è evidente come il ruo-lo dello Stato ne venga in via di fatto modifica-to: per un verso in senso più liberale (graziealla legalizzazione della Ru486), ma per altroverso in senso meno neutrale, più schierato afavore della vita umana, con e non contro ladonna e la coppia. Ciò non significa che si debba ignorare oanche sottovalutare l’obiezione che si avanza,da parte del mondo cattolico, alla pillolaabortiva, quella di un rischio di privatizzazio-ne dell’aborto. Ma la risposta a questa fonda-ta obiezione è ancora una volta la legge 194,che prescrive l’aborto in ospedale, non in far-macia, o a casa propria. E allora forse non èun caso se il disarmo cattolico nei riguardidella 194 sia avvenuto proprio in coincidenzacon la forte spinta in atto ad aprire le nostrefrontiere alla Ru486: si è capito che quellalegge del 1978 è un baluardo non solo control’aborto clandestino, non solo – se adeguata-mente attuata nella sua parte preventiva –contro l’aborto tout-court, ma anche contro laprivatizzazione dell’aborto, quale potrebbescaturire dall’inevitabile diffusione della pillo-la abortiva.

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I consultori compiono trent’anni. La legge istitu-tiva è, infatti, del 1975.

Chiedersi quale sia il loro ruolo oggi, cosa cam-biare e cosa tenere dovrebbe essere normale.Con questo spirito a Bologna la settima commis-sione consigliare del comune, ha avviato dalmarzo scorso, un analisi attenta della realtà deiconsultori bolognesi attraverso visite ed incontricon gli operatori.Sembra però che non si riesca a parlare di con-sultori senza finire dentro un dibattito tutto teori-co, basato non sulla realtà dei consultori e suibisogni delle famiglie ma sull’idea che ciascunaparte ha di cosa fanno e di come dovrebberoessere. E che se ne parli solo in relazione alla194, che pure è una legge successiva alla nasci-ta dei consultori (che quindi non sono nati pro ocontro l’aborto).Eppure l’attività di certificazione dell’Ivg tocca,nella nostra città, solo 1,2 % dell’attività consul-toriale, e oltre il 51 % (oltre il 70% nel restod’Italia) delle donne che la chiedono, non si rivol-gono ai consultori, ma al medico di fiducia o al

ginecologo (mai sentito qualcuno chiedersi subase di quali valutazioni e con quali supportiquesti professionisti decidano). Proviamo aripartire dalla domanda iniziale: serve ancora ilconsultorio oggi ? L’art 1 della legge 405 del 1975, legge breve echiara, recita: “il servizio di assistenza alla fami-glia e alla maternità ha come scopi: a) l’assi-stenza psicologica e sociale per la preparazio-ne alla maternità ed alla paternità responsabilee per i problemi della coppia e della famiglia,anche in ordine alla problematica minorile; b) lasomministrazione dei mezzi necessari per con-seguire le finalità liberamente scelte dalla cop-pia e dal singolo in ordine alla procreazioneresponsabile nel rispetto delle convinzioni etichee dell’integrità fisica degli utenti; c) la tutela dellasalute della donna e del prodotto del concepi-mento”. È un servizio che presuppone l’integrazione trasanitario e sociale senza la quale non c’è possi-bilità di reale supporto alle famiglie e che nasceda una visione unitaria e completa della saluteriproduttiva della donna. Un luogo dove gliobiettivi sono salute ed integrità fisica nel rispet-to delle diverse convinzioni etiche e della libertàdi scelta della coppia e del singolo. Che di un servizio così ce ne sia bisogno mi sem-bra evidente. Famiglie più piccole e più sole, piùdonne immigrate che rappresentano già ora il 10% di utenti dei consultori, il 30% delle donne chericorrono all’Ivg, spesso sole, con poche infor-mazioni. Tanti ragazzi in difficile relazione con ilproprio corpo, sommersi da troppi stimoli. Che i consultori attuali siano in grado di rispon-dere ai nuovi bisogni sembra invece più diffici-

Reinterpretare i consultori. Luoghi di socialità

di Donata Lenzi

Consigliere nazionale Cristiano Sociali Consigliere Comune di Bologna

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le, non per la capacità degli operatori che fannoil loro lavoro tra mille difficoltà, quanto piuttostoper l’aggravarsi dei problemi di risorse (l’ultimostanziamento nazionale destinato risale al 1998al ministro Bindi), e per l’effetto conseguente ascelte che hanno portato frammentazione e divi-sione dove più c’era bisogno di integrazione,Penso alla frattura tra sociale (di competenzacomunale) e sanitario. Non ci sono più assisten-ti sociali nei nostri consultori. Qualsiasi inter-vento sociale è allora rimandato alle buone rela-zioni tra operatori al di fuori di un quadro chia-ro di responsabilità. Penso alla incidenza del pagamento a presta-zione. Ogni azione frantumata in prestazione(tot visite in tot minuti) e se la multidisciplinarie-tà non è un valore le visite ginecologiche e gliscreening si fanno in ospedale, la contraccezio-ne la fa il medico di famiglia, magari dell’allat-tamento si occupi il pediatra, e se la signora èdepressa diamogli una pillola. Difendere i consultori allora non basta, occorrereinterpretarne la mission originaria guardandoagli utenti di oggi (meno donne in cerca di eman-cipazione ma tante con problemi di salute e di

solitudine). Vederli non solo come erogatori diservizi ma come spazi, (così sono gli spazimamma, gli spazi giovani, i gruppi di autoaiuto..) luoghi dove si può costruire socialità. In questo quadro anche l’intervento di certifica-zione della Ivg ha un altro senso, e la scelta è libe-ra se tutte le alternative sono state non solo illu-strate ma rese concrete da una rete sociale diintervento per la casa, per il lavoro.Personalmente continuo a pensare che in primisquesta sia responsabilità dei servizi sociali. Maè bene riconoscere che in questi anni il volonta-riato è stato spesso più disponibile a farsi caricodei problemi e che le relazioni tra operatori evolontariato in realtà ci sono. Queste esperienzeora vanno riconosciute e valorizzate. In realtà nela legge ne l’esperienza orientano verso una pre-senza di associazioni di volontariato di dissua-sione dentro i consultori. Dico l’esperienza per-ché in questa città quando abbiamo provato,abbiamo verificato che le donne semplicementesmettono di venire e vanno altrove. Accordi loca-li con le associazioni che coinvolgano i comuniinsieme alle Asl e che mettano insieme compe-tenze e risorse e la ripresa delle attività di pre-venzione contraccettiva aiuterebbero di più aridurre il ricorso all’aborto che indagini parla-mentari e la denigrazione dei consultori.I consultori sono nati sulla consapevolezza chedi fronte alle grande scelte di maternità e pater-nità donne e uomini per poter scegliere doves-sero essere adeguatamente informati e sostenu-ti. Ugualmente informati, togliendo così la donnadalla condizione di inferiorità per la quale, inmolte culture e in molti paesi, compreso il nostro,il suo comportamento è soggetto a maggior con-trollo sociale ed è dipendente dalle scelte di altri,familiari e non. Il dubbio che rimane è che que-sto consultorio sia oggi volutamente rimesso indiscussione e che le donne che lo vollero non neabbiano più bisogno, mentre quelle a cui servi-rebbe non hanno voce.

primo pianoprimo piano

L’ inserimento dei Patti Lateranensi nella Co-stituzione della Repubblica ebbe senz’altro

una motivazione laica di opportunità in quellaparte della sinistra (Togliatti) che la sostenne. Maanche i politici cattolici che la propugnarono nonfecero ricorso, nel 1947, ad argomenti di carat-tere clericale. Per Tupini l’inclusione dei patti late-ranensi si giustificava “con l’appartenenza cat-tolica della grande maggioranza degli italiani”.Dossetti adottò le categorie del diritto internazio-nale per asserire che, in presenza della “origi-narietà rispettiva dei due ordinamenti” non c’erapericolo di sovrapposizioni ma era utile definirecon un atto bilaterale “una zona in cui i rapportiche hanno valenza per la Chiesa abbiano ad untempo rilevanza per lo stato e viceversa”. Dal canto suo Sturzo, appena rientrato dall’esi-lio americano, polemizzò contro quanti temeva-no un soprassalto di confessionalismo. Lo statoconfessionale – precisò – nasce come segno di…intolleranza religiosa perché obbliga i sudditi “aseguire la religione del principe ovvero perderei diritti civili”: il contesto che generò la religionedi stato. D’altra parte – e qui Sturzo introdusseuna nota di realismo politico – “uno stato laiconon esiste; esiste una concezione giuridica dellostato nei rapporti con la chiesa, rapporti semprereali, sia in regime separato sia in regime con-cordatario, sia in amicizia sia in conflitto; per-ché la chiesa esiste e nessun parlamento, nessungoverno, nessuna organizzazione statale potràmai ignorarlo”. Di questo il fondatore del PartitoPopolare poteva dare puntuale testimonianzaavendo direttamente sperimentato i riflessi di tali“rapporti reali”, sia in regime di separazione (adesempio il “Patto Gentiloni” che convogliò ilmondo cattolico al voto moderato) sa in regimedi convergenza concordataria con il governofascista, che egli vide da lontano ma con soffer-ta partecipazione. Evocare un antefatto così remoto non è una vanaesibizione di memoria ma presenta un caratteredi utilità pratica per il presente almeno in due

direzioni. La prima riguarda quell’ondata di…analfabetismo (politico) di ritorno che si manife-sta nel rilancio postumo degli assalti di quelmondo radicale (e para radicale) che pretendedi insegnare a tutti la religione della libertà mamostra di non sapersi liberare da certi culti ido-latrici, più che confessionali, ogni volta che la“realtà dei rapporti reali” tra stato e chiesa pro-duce qualche attrito e interpella le responsabili-tà della politica. Il secondo ambito di utilità con-cerne invece alcuni atteggiamenti “cattolici” inpresenza di questioni controverse, quando silascia prevalere la tendenza a blindare il con-fronto spostandolo sul terreno di principi anchequando sarebbe preferibile ricorrere alla ricer-ca concreta delle soluzioni buone o “riducibili albene”, lasciando semmai ai laici cristiani il mar-gine di errore fisiologico nelle cose del mondo.. Il metodo delle “intese” in uno spirito di collabo-razione, che ha soppiantato, negli accordi del1984, la logica del contratto da potenza apotenza, potrebbe viceversa rendere più age-vole l’esplorazione del terreno ed anche la presain carico di problemi non prevedibili al momen-to della stipula dei patti, con una flessibilitàprima sconosciuta e con pieno diritto di paroladi tutti i soggetti coinvolti. Quando a metà degli anni Ottanta si arrivò allarevisione del Concordato del 1929, giustamentesi mise l’accento sui due eventi storici intervenutida quella data: l’avvento in Italia di una repub-blica democratica garante di tutte le libertà, inclu-sa quella religiosa e, sul versante della chiesa, ilConcilio Ecumenico Vaticano II che, oltre a rico-noscere la libertà religiosa, accentuava – ed è ilpassaggio cruciale – il carattere della Chiesacome mistero e sacramento e come popolo di Dioin esodo, rispetto alla dottrina consolidata che neesaltava il carattere di societas terrena a discapi-to della sua dimensione trascendente.Ora non è il caso di indagare sul punto se equanto di tale mutamento ecclesiologico si siariversato nelle trattative neoconcordatarie,

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Bloccare il mutuo soccorsotra clericali e anticlericaliattualitàattualità

di Domenico Rosati

È auspicabileuna iniziativacattolica cherimetta in motosia la dinamicaconcordatariasia la dinamicaconciliare, per giungere a nuovi e piùavanzati livellidi libertà

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ovviamente governate da un timone di mutuafiducia nella reciprocità delle convenienze. E’piuttosto il caso di verificare se e quanto nellapratica si sia inverato lo spirito di quella visioneconciliare. Alla luce della quale, come rilevavaa suo tempo un teologo dello spessore di LuigiSartori, “il concordato rimane una possibilitàcontingente”, con il fine di “superare il maniche-simo residuo che vizia così spesso i rapporti reli-gione-politica, chiesa stato e di procurare…situazioni in cui sia possibile la libertà religiosasenza bisogno di concordati, tantomeno di pri-vilegi”. (Luigi Sartori, in “Concordato: revisioneo superamento?” Morcelliana 1974).Che la chiesa non ambisca a privilegi ma sol-tanto al riconoscimento dei suoi diritti – a parti-

re, naturalmente da quello di parola – è scrittonel testo del 1984 ed è stato anche ultimanenteribadito da Benedetto XVI. E tuttavia la profeziadel Concilio, a cinquant’anni dalla conclusione,andrebbe rivisitata nell’aspetto dinamico checoinvolge la Chiesa nella sua storicità. Che sap-pia – scriveva ancora Sartori – “arrivare perprima a rinunziare effettivamente a qualcosa diinutile o di dannoso senza attendere la fortunadella persecuzione che rapisce e dà poi la gioiadi passare per vittime”. E lo faccia contestando“effettivamente con esempi concreti l’idolatriadella forza, del denaro, del privilegio, del pote-re esercitato in senso privatistico”. Sotto questo profilo le clausole concordatarie,che pure vanno preservate dagli assalti oppor-tunistici, dovrebbero mantenere bensì il caratte-re di una cintura difensiva, ma a protezione diun lavoro che al suo interno si compia per rifor-mare i modi di interazione tra dimensione reli-giosa e vita delle comunità civili. La pista delle“intese” per materie singole, inserita negli accor-di in vigore, è la più adatta agli adeguamenti che

la realtà suggerisce, sempre in un clima dicooperazione e non di contrasto.Vi sono materie per le quali c’è una competenzadello stato da sollecitare e da attivare, come lalegge sulla libertà religiosa, giunta più volte allavigilia del varo e destinata, per l’opposizionedella Lega (soltanto?), a transitare alla prossimalegislatura. Se si pensa che con essa viene adessere eliminata la nozione di “culti ammessi”che nel vecchio regime qualificava le religionidiverse da quella “di Stato”, si comprende qualesignificato avrebbe la definizione della piena cit-tadinanza di tutte le fedi, soprattutto in un con-testo sempre più multiculturale.Tra i molti problemi insorgenti sui quali potreb-be esercitarsi una ricerca costruttiva, c’è senzadubbio quello dell’insegnamento scolastico dellareligione. I ragazzi che frequentano le scuoleparlano ormai lingue diverse e pregano, quan-do lo fanno, in modo differente. Quanto puòessere mantenuta l’idea che basti offrire ad essi,sia pure in modo facoltativo, un solo insegna-mento religioso? A suo tempo, proprio dopo ilConcilio, fu avanzata in campo cattolico la pro-posta di introdurre tra le materie obbligatorieuna presentazione della religione in forma stori-co-teoretica, affiancandola con iniziative liberedi illustrazione delle varie proposte confessiona-li, con il coinvolgimento delle famiglie e dellestesse comunità religiose (Luciano Pazzaglia in“Concordato: revisione o superamento?”).Quell’idea, ripresa anche da sinistra, non trovòinterlocutori. Ma torna oggettivamente attuale inpresenza del mutamento della composizionescolastica. Sicuramente, operando sempre all’interno del mec-canismo delle “intese” vi sono aspetti da aggiorna-re sia per quanto concerne le questioni matrimonialisia per quanto riguarda gli aspetti patrimoniali. Maqui non è il caso di esaminarle. È importante inve-ce sottolineare l’intenzione finale di queste note:l’auspicio cioè di una iniziativa cattolica (nel casodegli organismi istituzionali abilitati ad assumerla)che rimetta in moto sia la dinamica concordatariasia, se possibile e soprattutto, la dinamica concilia-re, per giungere a nuovi e più avanzati livelli dilibertà. Ed anche – effetto collaterale ma non secon-dario – per arginare la riproduzione di quel feno-meno di interdipendenza tra clericalismo e anticle-ricalismo del quale, come ha più volte notato PietroScoppola, si è sempre alimentata la causa dellaconservazione sociale nel paese.

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Mezzogiorno. Lavoro elegalità oltre l’emergenzaattualitàattualità

di Camillo Monti

Dalla iniziativadi ReggioCalabria cinque proposte delle Acli peruna efficace politica di sviluppo del nostro sud

L o scorso 3 dicembre le Acli hanno presenta-to a Reggio Calabria una riflessione e una

serie di proposte sul nostro Mezzogiorno. In par-ticolare, a partire da una “Agenda del lavoro perl’Italia” pubblicata la scorsa primavera, hannointeso sollecitare il confronto tra le forze socialidel Paese sugli aspetti specifici che rivestono alSud i problemi del lavoro e dello sviluppo.Il riscontro dei fatti attesta una perdurante diffi-coltà del nostro Mezzogiorno a ridurre il ritardodi sviluppo rispetto alle altre aree del Paese. Aciò si aggiunga che quando il Sud arriva aglionori della cronaca ci arriva quasi sempre per-ché si segnalano “emergenze”: povertà, disoc-cupazione, economia sommersa, carenza diinfrastrutture e soprattutto illegalità e criminalitàorganizzata.Pur senza negare i fatti, è però possibile assu-mere un punto di partenza diverso: mettere inevidenza, attraverso analisi ed approfondimen-ti più mirati, le dinamiche positive già presenti ele opportunità che il Sud può rappresentare perla crescita complessiva del Paese. Questo approccio ai problemi del Mezzogiornonon può che essere collocato politicamenteall’interno del giudizio che si deve formularesulla fase di politica meridionalistica che si stachiudendo. Avviata dal governo di centro sini-stra, essa ha certamente prodotto alcuni risulta-ti positivi (chiusura dell’intervento straordinario,responsabilizzazione dei governi e delle ammi-nistrazioni locali, valorizzazione dei soggettieconomici e sociali…) ma non ha segnato il“punto di svolta” che era atteso nello sviluppo delSud. Questo risultato insoddisfacente dipendecerto da fattori del contesto esterno (primo fratutti una fase economica decisamente sfavore-vole), ma è da ricondurre principalmente alridotto impegno per il Mezzogiorno della mag-gioranza di centro destra, che non ha saputo

definire e sostenere una strategia adeguata affi-dandosi piuttosto all’annuncio a prevalente usomediatico di una improbabile banca del Sud odel ponte sullo stretto, che non si possono certoritenere priorità decisive.Alcune scelte politiche nazionali sono inveceindispensabili per candidare il Sud – e tutto ilPaese per suo tramite – ad un ruolo strategicoall’interno dei flussi di merci, tecnologia e capi-tale umano nell’area del Mediterraneo e neiBalcani e per sviluppare coerenti programmi diinfrastrutture a rete. Sono inoltre necessari inter-venti efficaci a tutela e promozione del lavoro, diqualificazione dei processi formativi, di soste-gno alla famiglia, di contrasto alla povertà e aforme vecchie e nuove di marginalità e di esclu-sione sociale. Concrete strategie politiche di que-sto genere sono indispensabili per tutto il Paesema hanno una particolare urgenza per il Mez-zogiorno, dove i problemi sono maggiormenteconcentrati e dove assumono i caratteri di unamaggior emergenza sociale. La coalizione dicentro sinistra che si candida alla guida delPaese non può non prevedere nel proprio pro-gramma un quadro coerente di questi indirizzi,in assenza del quale iniziative pur interessanti epositive sono destinate a restare frammentarie eprive della necessaria efficacia complessiva.All’interno del contesto sopra delineato, si pos-sono avanzare alcune proposte che, senza lapretesa di essere esaustive, segnalano problemiimportanti e si prestano a suscitare e canalizza-re energie e risorse sociali significative.La prima proposta riguarda un più deciso emirato investimento sulle risorse umane, permonitorare e migliorare qualità ed efficaciadella formazione di base e per invertire la ten-denza alla “fuga” di risorse di media e alta qua-lificazione. La seconda proposta è mirata a sostenere il lavo-

Vice presidente nazionale Acli

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ro contro la precarie-tà. È essenziale tene-re uniti sia i processidi riforma delle poli-tiche attive del lavorosia la revisione deglistrumenti di welfare.Questo è particolar-mente vero in un con-testo come quello delMezzogiorno dovesono evidenti le bar-riere all’ingresso nelmondo del lavoro e

piuttosto labile la separazione tra lavoro forma-le e lavoro informale.La terza proposta mira a sostenere la creazionedi impresa, l’autoimprenditorialità e la lotta alsommerso. Per anni il lavoro al Sud è stato vistocome il miraggio del “posto fisso”; oggi la realtàsoggettiva e oggettiva è molto più diversificata, lamentalità sta cambiando. Per sostenere e conso-lidare questi nuovi atteggiamenti è necessarioanzitutto razionalizzare le politiche di sostegnoalla creazione di impresa e per il consolidamen-to delle imprese piccole e medie; le banche sonoattese ad una maggior flessibilità circa le garan-zie richieste a fronte dei finanziamenti, comeanche a finanziare interventi di microcredito;vanno infine decisamente intensificate le azionidi contrasto dell’economia sommersa, superan-do la costante sottovalutazione di quanto questofenomeno risulti destrutturante rispetto alla credi-bilità delle politiche di sviluppo del Sud.La quarta proposta è orientata a rafforzare i cir-cuiti di tutela e di rappresentanza.Accompagnare lo sviluppo del Sud significaanche il pieno inserimento nella cittadinanza didiversi gruppi di soggetti ‘deboli’ (soprattuttoimmigrati ma anche disabili, anziani…). Perquanto riguarda invece i soggetti sociali che pos-sono contribuire consapevolmente allo sviluppodi percorsi di cittadinanza attiva (associazioni-smo, volontariato, cooperazione sociale…), c’èda segnalare una maggiore difficoltà al Sud,rispetto ad altre aree del Paese, a coordinare ini-ziative ed esperienze e a farne crescere la sog-gettività politica autonoma. Questa constatazio-ne è alla base del recente accordo stipulato tra ilForum Permanente del Terzo Settore e le Fon-dazioni di origine bancaria per il varo di un“piano di infrastrutture sociali per il Sud”. Una

particolare attenzione va riservata infine al temadel servizio civile volontario: la costante crescitadi adesione dimostra che molti giovani, anche alSud, lo considerano una valida esperienza dicrescita personale oltre che di impegno concre-to in attività sociali.La quinta proposta riguarda la diffusione di unnuovo “senso comune” della legalità. Senza lacrescita di esso dall’interno delle comunità delSud, molti degli interventi per dare sicurezza eper contrastare la presenza della criminalità sulpiano dell’ordine pubblico e dell’azione giudi-ziaria sono depotenziati in partenza.Durante la veglia di preghiera che le Acli hannovoluto realizzare a Locri per portare a questacomunità, profondamente ferita dall’omicidiodell’on. Fortugno, la propria solidarietà e parte-cipazione, il vescovo mons. Bregantini ha usatoun’espressione dell’antico profeta Isaia per in-terpretare il modo con cui lui e la sua comunitàvivono la difficile situazione attuale: “sentinella,quanto resta della notte?”. L’espressione aiuta acomprendere che la ‘notte’ dell’illegalità in alcu-ne aree del Mezzogiorno è ancora piena; sonoancora necessarie ‘sentinelle’ che non si lascinotravolgere né dal sonno né dalla paura, in atte-sa di un’alba che, per quanto non ancora visibi-le, non può non arrivare.Questa attesa vigile e operosa richiama tutti alleproprie responsabilità, in primo luogo il gover-no, chiamato ad assicurare una presenza effi-cace dello Stato.Nello stesso tempo però non si può non registrarei segni che annunciano che un’alba di sicurezza èquanto meno possibile, se non vicina. è necessa-rio per questo essere grati ai giovani di Locri e diNapoli, come a quelli di Palermo, per aver resovisibile un movimento di contrasto alla cultura cri-minale. Bisogna poi sostenere l’azione e la propo-sta di “Libera” per salvare e rendere più efficace lalegge 109 approvato nel 1996 sull’utilizzo a finisociali dei beni confiscati alla mafia. Bisogna infi-ne registrare positivamente la partecipazione e ilrisultato delle elezioni primarie in Sicilia, chehanno scelto nella sorella del giudice Borsellino ilcandidato alla guida del governo regionale, espri-mendo con ciò una chiara e forte indicazione didiscontinuità rispetto al passato. Tutti questi segniindicano che ci sono importanti risorse politiche emorali sulle quali investire per segnare una svoltanella vicenda politica del nostro Mezzogiorno.

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menti che hannoriflessi importantinon solo sullescelte individuali,ma anche suquelle della poli-tica, e non solonelle materie eti-

camente sensibili.La politica ha bisogno come nonmai di riferimenti etici in gradodi consentirle di affrontare leconseguenze del fatto che, perla prima volta nella storia, ilpotere dell’uomo è in grado diminacciare il destino dello stes-so genere umano.È importante che la sinistrademocratica colga nel modogiusto questo nuovo respiroantropologico della questionereligiosa. Questo non significa chiederealla sinistra di assumere comeproprio il fondamento religiosodell’umanesimo cristiano.

Significa pe-rò superaredavvero nel-la nostra cul-tura politica,la margina-

lizzazione della dimensione re-ligiosa.E significa porre mano, con im-pegno, – anche in vista della pro-spettiva di un soggetto politicocapace di unificare tutti i riformi-sti – ad una fondazione umani-stica di tale cultura. Anche a par-tire dall’umanesimo cristiano.Non abbiamo forse già inseri-to nel nostro statuto, tra le cul-ture cui i Ds si ispirano, il per-sonalismo comunitario che di

quell’umanesimo è una sintesitra le più avanzate?Andare oltre una pura registra-zione delle diverse correnti cul-turali che ci attraversano, vuoldire cercare una nuova sintesicondivisa, andare oltre il dialo-go tra un noi “laici” e un “loro”cattolici.Nel nostro elettorato, tra inostri iscritti, nei nostri gruppidirigenti il “noi” e il “loro”sono già una medesima real-tà. In cammino magari, ma inuna direzione di forte integra-zione culturale e politica.Siamo certamente un partitolaico, ma siamo anche il parti-to nel quale si riconoscono tanticredenti, anche a partire daivalori che vivono in una dimen-sione religiosa!La politica non può rinunciarealle proprie prerogative certo,e deve riprendersi le proprieresponsabilità, ma in un dialo-go fecondo e cordiale con lefedi e le culture religiose, con lediverse comunità scientifiche,con il pluralismo etico e cultu-rale diffuso.Ben venga, dunque, il confron-to, anche politico, sulle questio-ni concrete da affrontare e sullesoluzioni da promuovere, in unalogica orientata al bene comunee al progresso della società.Ma senza forzature e senzasuperare gli argini delle re-sponsabilità di ciascuno.Le intimazioni morali, ad esem-pio, che non tengono contodella realtà faticosa e difficiledella vita delle persone in par-ticolare delle donne, e le guer-re di religione non portano danessuna parte.L’insegnamento della Chiesanon solleva i credenti, tantomeno i non credenti, dalla re-sponsabilità delle loro scelteautonome.

Io non condivido le ragioni dichi contesta la legittimità dellaChiesa di dire la sua sulla socie-tà italiana e i suoi limiti.Il problema, semmai, si ponesui contenuti degli interventiepiscopali e sulle modalità del-la comunicazione, e quindisulla propensione della Chiesaa farsi attore politico e a sotto-valutare o mortificare, così, leprerogative della politica, ilruolo dei cristiani laici, l’origi-nalità e l’autonomia della lororesponsabilità.I pronunciamenti dovrebberoevitare di dare l’impressione chela Chiesa voglia “letteralmente”“dettare legge” allo Stato o pre-giudicare la sua laicità.Quindi, nella dimensione dellapolitica, il rispetto della laicitàesige che il credente non tenti diimporre per legge agli altri laluce che gli viene dalla fede reli-giosa, ma si impegni a propor-la ricorrendo alle mediazioniragionevoli, accettabili da tutti,d’altro lato quella stessa laicitàesige che i non credenti sianougualmente disponibili al dialo-go e al confronto, prendendoatto che la ispirazione religiosaè portatrice di istanze e motiva-zioni profonde per un agire poli-tico coraggioso ed efficace nellastessa dimensione pubblica.La politica, in altre parole, nonpuò rinunciare alla propriaautonomia, non può arretraredi fronte alle proprie responsa-bilità.“La politica è laica, laici sono ivalori a cui essa si ispira, laichele finalità a cui tende”.Il modo migliore che la Chiesaha per vedere accolte e comun-que seriamente considerate leproprie posizioni, non è quellodi farsi partito e di scenderenell’agorà della politica, sal-tando ogni mediazione.

Il contributo dei credentiper una buona politica laica

segue da pag. 2

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comunista, ridando fiato alla pole-mica della destra contro un Prodisuccube e prigioniero dell’estremasinistra. La destra, poi, avrebbepotuto, in considerazione di un

regolamento elettorale alquanto liberale, tenta-re di operare a favore di Bertinotti lo stesso ten-tativo di inquinamento operato alle primariepugliesi del dicembre scorso fra l’ulivista Bocciaed il comunista Vendola, facendo vincere perpoco quest’ultimo (il quale poi, ma gli astuti stra-teghi della destra non potevano prevederlo,avrebbe effettivamente vinto le elezioni regiona-li come leader dell’Unione).La risposta a queste incertezze è arrivata chiarauna volta chiuse le urne il 16 ottobre: quattromilioni e trecentomila partecipanti al voto (Prodiaveva detto che nelle migliori previsioni nebastava uno) , oltre il 74% per il Professore bolo-gnese, mentre Bertinotti, che stime precedentialla consultazione davano intorno al 20%, arri-vava a stento al 15. Al di là dei tentativi dellamaggioranza di minimizzare il risultato eletto-rale complessivo e delle polemiche (poi rientra-te) del leader dell’Udeur Mastella, il dato di fattoera che un numero di cittadini pari a ben più deltriplo della somma dei militanti dei partitidell’Unione (calcolata intorno alle 700 mila

unità) era andata a votare, sot-toponendosi alle formalitàprescritte (firma della “Cartad’intenti” dell’Unione, esibi-zione di un documento di iden-tità e della tessera elettorale,versamento di almeno 1 europer le spese complessive…) edincolonnandosi in lunghe filefuori dai seggi improvvisati.Questo fatto nuovo ha a sua

volta prodotto una ricaduta in termini politici,giacché Prodi, riconfermato leader del centrosi-nistra, ha potuto con maggior forza rivendicarela validità del suo progetto politico di sempre,ossia la progressiva convergenza delle tradizio-nali culture politiche della socialdemocrazia,della democrazia laica e del cattolicesimo demo-cratico in un soggetto politico unitario, chepotrebbe essere quel partito democratico e rifor-mista che in Italia non è mai esistito e di cui siparla almeno dai tempi della crisi terminale dellacosiddetta Prima Repubblica.Il primo a rilanciare sul tema del partito demo-cratico è stato Francesco Rutelli, e non a caso,perché la nuova legittimazione di Prodi di fattorimetteva in movimento la situazione rispettoalle tensioni interne alla Margherita della pri-mavera – estate scorsa: al fine di evitare ulte-riori scossoni interni, con grande senso tattico,Rutelli rilanciava l’ipotesi della lista dell’Ulivoalla Camera e andava oltre, vaticinando lanascita del partito democratico a condizioneche fossero superate le antiche appartenenzeed in particolare i Ds uscissero dall’Interna-zionale socialista e dal Pse. Ovviamente le reazioni da parte diessina eranodiverse: favorevoli alla lista unitaria ma contrariead abbandonare la “casa” socialista . Tuttavia –per quanto poi Rutelli ridimensionasse nell’imme-diato le sue proposte togliendo loro il caratterevagamente ultimativo che avevano in prima istan-za - si aveva la sensazione che qualcosa fosse inmovimento, oltre gli inevitabili giochi fra le diver-se forze politiche, e che veramente, sia pure in uncontesto di ritorno alla proporzionale (ma la sto-ria politica italiana non è nuova a simili parados-si) , fosse possibile ipotizzare l’approdo ad unsoggetto politico inedito. Inedito, particolarmen-te, perché in altri Paesi d’Europa, esistesse o meno

Ma è quello di contribuire a pro-muovere l’esercizio di una mag-giore responsabilità politica daparte dei cittadini, delle orga-nizzazioni sociali, dei partiti.E qui, da credente, lasciatemidire alla mia Chiesa, che laici-tà democratica non vuol dire iltanto temuto relativismo e,meno ancora, la rinuncia a

proporre la propria identità.Laicità vuol dire che le nostreverità, anche quelle più tra-scendenti e per noi costitutive,non possono essere semplice-mente affermate.Ci è richiesto di comunicarle eargomentarle in forme e secon-do una razionalità ed una ra-gionevolezza che siano condi-

visibili dagli altri protagonistidella sfera pubblica.Ci è richiesto un atteggiamen-to sinceramente dialogico,cioè disponibile all’ascolto e alriconoscimento delle ragionidegli altri ed anche delle veri-tà delle quali possono essereportatori.

Mimmo Lucà

Dalle primarieal partito democratico

segue da pag. 2

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un soggetto politico di matrice democraticocristiana, i credenti orientati in

senso progressista erano datempo approdati alla spon-

da socialdemocraticasenza particolari pa-temi d’animo, ed assu-mendo anzi funzionidi leadership politicao morale come nelcaso di Jacques De-

lors in Francia, di Fer-nando Guterres (ora

Presidente dell’Interna-zionale socialista) in Porto-

gallo o di Wolfgang Thierse inGermania.

La storia italiana è stata diversa, giocata sulla dia-lettica fra un partito democristiano in cui, diversa-mente dal resto d’Europa, le posizioni progressi-ste e riformatrici erano spiccate ed avevano spes-so assunto funzioni direttive nel partito stesso, edun partito comunista che occupava di fatto lo spa-zio della socialdemocrazia rifiutandosi però diidentificarsi con essa e mantenendo aperto pertroppo tempo il problema del rapporto con le dit-tature del blocco sovietico.Il problema che nasce, in sostanza, al di là deidiscutibili vagheggiamenti di chi vorrebbevedere l’immediata nascita di un Blair italiano(posto che sia questo il modello migliore a cuiispirarsi), è quello del ruolo che le diverse tra-dizioni culturali dovrebbero avere in questosoggetto politico, delle modalità con cui do-vrebbe compiersi questo complesso amalga-ma, a meno che non si riduca semplicementenell’assorbimento di una struttura debole daparte di una più forte e complessa.A me pare evidente che dalle primarie emerge ilfatto che l’immagine – alla fine - non mangia ilterritorio, che quindi esiste ancora sul livello ter-ritoriale la presenza di persone in carne ed ossadisposte a mobilitarsi per un’idea e ad essere –essi sì – il vero fatto costitutivo di un nuovo sog-getto politico che altro non è che una soggettivi-tà plurale che va declinandosi fra mille difficoltàalmeno da dieci anni.In questa nuova soggettività deve essere consen-tito quel sano pluralismo che soltanto una praticalaica della politica è in grado di garantire. C’è nell’idea del partito democratico una visio-ne coerente che pone il problema complessivo

del rapporto fra culture plurali e nuova formapartito. Oltre cioè i “partiti chiese” – come lichiamava Alberini - il cui mastice era la fedeideologica.Il nostro destino – piaccia o meno al sen. Pera –è il meticciato, che deve essere gestito anche intermini di rapporti fra pluralismo delle culturepolitiche e forma organizzativa. Dove il proble-ma non è ridurre il pluralismo a misura dell’or-ganizzazione che abbiamo, ma inventare un’or-ganizzazione all’altezza di un pluralismo ingrado di svilupparsi per componenti collabora-tive e convergenti. A sentirsi sfidata è soprattutto la componentecattolico democratica, la quale nel corso di undecennio si è trovata a vivere l’avventuraoggettivamente spiazzante di passare dalruolo di forza egemone di un sistema politicoimmobile a forza politica di minoranza (alme-no per coloro che rimasero nel Ppi) per poientrare in un contenitore più ampio, quellodella Margherita, e ora in prospettiva conflui-re in uno più ampio ancora..E’ chiaro che se la prospettiva della costruzionedel partito democratico – dell’Ulivo in senso pro-prio - viene affrontata come se fosse il “secondotempo” della politica di unità nazionale interrot-ta dalla tragica morte di Aldo Moro sarebbe benpoca cosa e non sarebbe in grado di intercetta-re la nuova domanda di politica che viene dallasocietà.Al contrario, ciò che la cultura del cattolicesimodemocratico potrebbe portare a questo nuovoprogetto è molto importante, e per certi versi deci-sivo: in primo luogo l’affermazione della centra-lità della persona umana, ottimo vaccino controogni forma di totalitarismo, compresi quelli delmercato e dello scientismo. Secondariamente, laconcezione del ruolo specifico dei corpi socialiintermedi all’interno della dimensione più pro-priamente politica ed istituzionale, per un com-plessivo ridisegno della forma stessa della parte-cipazione democratica. Infine, una più viva attenzione alle problema-tiche sociali, alle nuove povertà, al compitodella democrazia moderna di creare nuoveforme di integrazione per coloro che la logicadella globalizzazione esclude gradualmentema inesorabilmente dalla piena cittadinanza edai suoi diritti.Una sfida ardua, ma vale la pena di affrontarla.

Giovanni Bianchi

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da sola, ma definirli da sola. Nonvi sono precedenti per un talemodo di procedere. Nella passa-ta legislatura il centrosinistra fucostretto ad approvare da solo lariforma del Titolo V e l’inserimen-to in Costituzione del federalismo.Si può discutere della giustezza diuna tale scelta: è probabile chenon lo fosse. Ma guai a fare con-fusione. La proposta di federali-smo venne costruita insieme,maggioranza e opposizione, nel-la commissione bicamerale; fucondivisa dalla Conferenza delleRegioni e dalle Associazioni deiComuni e delle Provincie. Unitariamente presidenti di Re-gione, di provincia, sindaci di de-stra e di centrosinistra intervenne-ro sui gruppi parlamentari perchéla riforma venisse approvata. Suquella impostazione espresseroun loro consenso sindacati, Con-findustria, associazioni di im-presa, del mondo della cultura edel volontariato.All’ultimo momento i gruppi par-lamentari della destra si tiraronoindietro: ma fu per il diktat dellaLega, non per un dissenso nelmerito delle scelte.Anche la riforma del Titolo Vapprovata dal centrosinistra ave-va dei limiti e delle parzialità.Mancava in primo luogo il Senato

federale, indispensabilein un ordinamento chesposta verso le Regioni egli enti locali maggiori

poteri legislativi e amministrativi,pena il venir meno di una sede isti-tuzionale di costruzione respon-sabile e solidale dell’unità delpaese.Il decreto del 2000, concordatocon le Regioni, per l’avvio delfederalismo fiscale, doveva tra-dursi in una legge organica. Ladefinizione delle materie di com-petenza tra Stato centrale eRegioni presentava alcuni aspettidi manchevolezza e di eccessivaframmentazione, rendendo ne-cessario, anche sulla base dell’e-sperienza concreta, una più ra-zionale riorganizzazione.La destra si è mossa in senso con-trario, ampliando ed esasperan-do le contraddizioni, producendoun mix di federalismo al limitedella secessione e di centralismoal limite dell’autoritarismo.Non è propaganda. Si veda ilnuovo articolo 117. In esso la sa-lute, l’istruzione sono a un tempodefiniti materie di competenzaesclusiva dello Stato centrale, ma-terie concorrenti e materie esclu-sive delle Regioni. L’esito non po-trebbe che essere l’esplodere diconflitti tra istituzioni. Il federalismo fiscale viene rinvia-to di tre anni. Il Senato sarebbefederale perché vi sono invitati,senza diritto di voto, i presidenti diRegione e alcuni rappresentantidegli enti locali.Il processo legislativo nazionaletocca vertici di farraginosità finoa risultare bloccato in una dialet-tica inconcludente e indefinita trauna Camera che dà la fiducia algoverno e un Senato non più tito-lare di quella fiducia, ma sostan-zialmente dotato delle stesse com-petenze.Sminuito e politicizzato il ruolodel Presidente della Repubblica,che potrà salvare il governo dalveto del Senato, se “alleato” delPresidente del Consiglio. Viene dinuovo introdotto il riferimento

all’interesse nazionale ma impo-stato in termini negativi, di sfidu-cia verso le Regioni e antagoni-smo nei loro confronti: un gover-no nazionale potrà bloccare leggidei Consigli Regionali e addirittu-ra bocciarle con il voto del Par-lamento in seduta congiunta.A rischio di forte politicizzazionela stessa Corte Costituzionale.Ne viene così fuori un modello isti-tuzionale sconosciuto sulla terra:una sfida alla convivenza demo-cratica e all’intelligenza.La proposta della destra non è inalcun modo emendabile. Bisognacancellarla con il referendum.Per poi riprendere con pazienzae serietà un cammino di aggior-namento di alcune parti dellaCostituzione. Si tratterà di porta-re a compimento il rapporto traStato centrale, Regioni e auto-nomie locali; di riformare il siste-ma parlamentare, trasformandorealmente il Senato in Camerafederale; di assicurare la stabilitàdi legislatura alle maggioranzescelte dai cittadini al momento delvoto; di garantire ovunque loStatuto delle opposizioni.La Costituzione non si cambia acolpi di maggioranza, ma co-struendo convergenze unitarie. Eci impegneremo perché anchesulle materie eticamente sensibilisi proceda con intese ampie, benal di là dei confini delle semplicimaggioranze.Noi vogliamo dare vita a riformeserie: non siamo né saremo con-servatori. I processi di globalizza-zione esigono un rinnovamentodella democrazia: una sua capa-cità di realizzarsi ai livelli sovra-nazionali e di irrobustirsi a livellolocale, come risposta a domandeinedite, anche di identità, dei cit-tadini, di necessaria promozionedelle potenzialità dei territori nellacompetizione mondiale.Si, vi è bisogno, in Italia e altrove,di riforme serie. Le porteremoavanti noi, sconfiggendo intantoquesto mostro istituzionale evoca-to dalla destra.

Vannino Chiti

Costituzione a rischio.Il referendum la salverà

segue da pag. 1

CRISTIANO SOCIALI NEWS QUINDICINALE DEL MOVIMENTO DEI CRISTIANO SOCIALI

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Editore: Il Bianco e Il Rosso scarl editoreRedazione: Piazza Adriana, 5 - RomaDirettore Responsabile: Vittorio SammarcoDirettore Editoriale: Domenico LucàAutorizzazione: Tribunale di Roma, n.00424-97 del 4/7/97Progetto grafico e impaginazione: Daniela Mattioli - Aesse ComunicazioneStampa:

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