UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

35
UNA comUNità iN cAmmiNo PARRoCCHiA sACRo CUoRe Di Gesù lissone 1961/2011

description

UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

Transcript of UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

Page 1: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

UNA comUNità iN cAmmiNo

PARRoCCHiA sACRo CUoRe Di Gesù

lissone 1961/2011

Page 2: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

È l'occhio della fedee la fiducia nella Provvidenzache ci fa vederee giudicare altrimentile cose di Lissone,nonostante le loro difficoltà.Un po' di pazienza ancora,poi passerannoe tutto si aggiusterà.Peròla Provvidenza di Diosi serve di voi,come suoi strumentiper agire,al momento giusto;e raggiungere lo scopodella miglior riuscitadelle opere parrocchialidel Sacro Cuore.

Padre Giuseppe Airoldi,fondatore

50°AnniveRsARio

DellA PARRoCCHiAsACRo CUoRe

Di Gesùin lissone

Page 3: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

4

Vurèves ben. «Vogliatevi bene». C’è stato untempo in cui un’esortazione del genere mi sem-brava un po’ troppo generica, facile, diciamo«buonista»: come se bastassero un abbraccio,una carezza, un sorriso, una pacca sulle spallea sistemare le incomprensioni che spesso ciamareggiano la convivenza, a risolvere i pro-blemi inevitabili della vita... Oggi non la pensopiù così, perché «volersi bene» davvero ri-chiede uno sforzo assolutamente non banale emette in una disposizione d’animo che favori-sce poi sul serio il superamento delle difficoltàconcrete.Vurèves ben. «Vogliatevi bene». Era il messag-gio che tante, tante volte il fondatore padre Giu-seppe Airoldi ha trasmesso alla «sua»parrocchia, dal pulpito e no, usando quel dia-letto che fa ancor più «famiglia». E oggi - cin-quant’anni dopo – persino io (che padrePeppino lo schivavo volentieri, perché a mebambino appariva un po’ burbero e mettevapiuttosto soggezione...) riconosco quanto fosse

«vURèves ben!». RiCettA semPliCe Di UnA

comUNitàdi RobeRto beRettA

fondamentale quell’invito; quante volte ne ab-biamo goduto i frutti e quante altre invece l’ab-biamo sottovalutato nel faticoso nostrocostituirci come comunità, e comunità evange-lica.Padre Airoldi non era certo uno scrittore, manegli scampoli che di lui ci sono rimasti su cartasi legge più volte la preoccupazione a fare delSacro Cuore una vera fraternità. «Ci troviamoin una parrocchia decretata da un autorevoledocumento - scriveva nel suo consueto articolosul bollettino parrocchiale del settembre 1967– segnata con confini ideali sul terreno, formatada tante famiglie e tante anime, ma forse è an-cora senza i vincoli saldi di conoscenza e di af-fetto che costituiscono il clima della famigliaspirituale». E nell’ottobre 1965: «Vorrei chetutti i miei figli considerassero la chiesa delSacro Cuore come la loro casa; che la chiesaSacro Cuore diventasse l’assemblea di tutti imiei carissimi figli che credono le stesse verità,che parlano lo stesso linguaggio, che si nutrono

dello stesso cibo, che cantano gli stessi inni, cherespirano lo stesso clima». Mentre nel caldis-simo (socialmente parlando) giugno 1968: «Lanostra parrocchia deve diventare una scuolad’amore, una scuola di disarmo totale dell’odionell’Amore».Vurèves ben. «Vogliatevi bene». Per padreGiuseppe il Sacro Cuore era proprio questo:non solo una devozione antica e amata, mal’immagine di un Dio pronto ad abbracciarcicon tutte le nostre debolezze e nonostante glierrori, anzi proprio in quei momenti; non soloil bel titolo da dare a una nuova chiesa in ce-mento, bensì l’ideale per un modo di vita di-verso, fiducioso nel futuro, fraterno.E sui quaderni che raccolgono i verbali - purscarni e sintetici – delle riunioni comunitariedei betarramiti in servizio a Lissone, questo spi-rito filtra da subito. Il primissimo atto per esem-pio, il 18 marzo 1956, è un atto di caritàfraterna: pur essendo molto poveri, i religiosilocali offrono una somma per il seminario che

Incredibile? Eppure la parrocchia ospita anche una scuola di ballo...

Page 4: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

6

si sta aprendo ad Albavilla, sopra Erba; atto ri-petuto il mese successivo. E il secondo gesto,il 2 giugno 1956, è di preghiera: l’acquisto diun altare per la cappellina domestica. Così nelgiugno 1962, durante la periodica visita cano-nica, il superiore generale Joseph Mirande«constata senza troppo stupore che i miracolicontinuano a Lissone, che la nuova canonicacresce rapidamente senza che per questo sismetta di abbellire la chiesa... Spero che i mi-racoli di grazia si compiano anche tra i parroc-chiani e che vadano aumentando, perché ladedizione dei Padri aumenterà ancora, cosìcome la loro fedeltà allo spirito del SacroCuore». Lo corregge parzialmente il succes-sore, padre Giuseppe Trameri, in visita nel set-tembre 1971: «Si è parlato di miracoli continuiin questa realizzazione di Lissone: è vero, peròpreferirei parlare di sacrificio continuo, di im-pegno continuo, di vero lavoro sacerdotale. Imiracoli esistono, ma si hanno dove e quandosi meritano».È una comunità dove anzitutto si respira spiritodi famiglia. Bella un’annotazione del segretariodell’assemblea comunitaria, padre FrancescoRadaelli, il 6 dicembre 1969: è il primo consi-glio «rinnovato» secondo le indicazioni delConcilio e i poveri padri... devono fare pratica;annota infatti il verbalizzante: «Siamo arrivatifino a tredici votazioni!!! Che ridere!». Sei mesipiù tardi, sarà il superiore provinciale padre Ce-lestino Gusmeroli a lasciare scritto: «È stato unvero piacere e anche una consolazione prenderecontatto con questa comunità... Ho sentito direche la parrocchia Sacro Cuore è la parrocchia-pilota dei dintorni! Questo vuol dire, lasciandocadere l’enfasi e l’esagerazione, che l’attivitàpastorale è impostata nel senso giusto». E lostesso, ormai diventato anche parroco del Sacro

Cuore, nell’aprile 1972: «Ai fini di una efficaceazione pastorale occorre volerci bene ad ognicosto con cordialità, sincerità, serietà. Il popoloci veda amici. Tra noi ci sia apertura e collabo-razione».Padre Giuseppe è morto da appena tre mesi, mala sua eredità è ben viva: Vurèves ben. «Voglia-tevi bene». Non a caso, in un momento di crisi(esistono anche quelli, in una famiglia) a metàdegli anni Ottanta e poco prima di trasferirsi aMilano, il parroco «storico» padre AngeloPajno segnala sul quaderno comune quello chea suo parere è il sintomo più chiaro delle diffi-coltà correnti: «Anche le riunioni comunitarienon andavano bene, finivano per essere delle'litigatÈe se ne usciva esasperati... Nessun dia-logo, nemmano a tavola si è insieme. Non hoaltro da aggiungere se non di augurarvi unanuova vita religiosa, aperta, condivisa, compa-tita, di famiglia. Quel dirsi tutto, quel chiedere,quel dipendere è povertà, è castità, è obbe-dienza». E infatti la visita del superiore gene-rale padre Terence Sheridan, nel novembre1991, registra ben altro clima: «Ho trovato unacomunità dove c'è veramente la gioia. Mi sem-bra che siete contenti di vivere insieme e dipassare momenti in comunità per pregare in-sieme e per prendere i pasti insieme, scam-biando le vostre opinioni in modo fraterno. Honotato che date tutto quello che guadagnate allacomunità e vivete in modo modesto... Vi inco-raggio nel continuare a costruire una buona co-munità».Insomma, ancora vurèves ben, «vogliatevibene»: la ricetta per fare comunità non è passatadi moda in questo mezzo secolo. Anzi, abbiamotutti più che mai bisogno di vederla in atto, dimetterla in pratica, di sentircela dire: «Vurèvesben», ora e sempre «vogliatevi bene».

CinqUe sfiDe PeR ContinUARe

il cAmmiNodi GRAziAno sAlA*

Celebrare un anniversario così importante, qualequello della fondazione di una parrocchia, portacon sé un carico di ricordi e di volti. Sono i ri-cordi di quanti hanno, con passione, costruitouna struttura e che, attorno ad essa, hanno pro-fuso energie perché un insieme di persone diven-tasse «comunità». Ma sono anche un insieme divolti che sono passati e che, con la loro vita e laloro testimonianza, hanno lasciato un’eredità daraccogliere e da rilanciare.Come interpretare questo anniversario? La ten-tazione di farne un ricordo nostalgico può esseregrande. In fondo rifugiarsi nel passato a volte ègratificante. Ci toglie dalle responsabilità delpresente e ci offre una via d’uscita alle respon-sabilità che abitano il nostro oggi e che ci impe-gnano per il futuro. La fedeltà al passato devesempre coniugarsi con la capacità interpretativadel presente per costruire il futuro. Allora il ri-cordo si traduce in scommessa per una nuova pa-gina che deve essere ancora scritta. Qualipossono essere le nuove sfide per il futuro di unacomunità parrocchiale?1. La sfida della testimonianza. In un tempo discristianizzazione la comunità parrocchiale èchiamata ad essere segno di testimonianza cre-

dibile del Vangelo. In questa prospettiva i cri-stiani si giocano tutto quello che sono e tuttoquello che fanno. Non siamo e non saremo giu-dicati per la dinamicità o meno delle iniziativeche sapremo intraprendere, ma dalla genuinità etrasparenza del nostro credere nel Signore Gesù:«Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori,pronti sempre a rispondere a chiunque vi do-mandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt3,15). Una comunità cristiana deve mantenerefisso questo obiettivo davanti a sé, per evitaredue rischi: la dispersione e la confusione.2. La sfida della comunione. Non siamo una so-cietà per azioni, anche se per un buon fine... Nésiamo cristiani sciolti, una specie di freelance,indipendenti da tutti e da tutto. Essere cristianici pone in un insieme, in un corpo del qualeognuno di noi è una parte importante e nel qualeciascuno ha una missione specifica per il bene ditutti. La sfida della comunione è oggi più chemai importante, perché il nostro tempo è attra-versato da rigurgiti di particolarismi che possonocondurre anche i cristiani a non avere chiara que-sta missione.Ma... se la comunità cristiana non sa creare spazidi comunione neanche al suo interno, come potrà

Page 5: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

8

porsi come segno visibile di unità e punto di ri-ferimento per una società dilaniata da divisionie conflittualità? Noi religiosi di Bétharram che,con tanti laici, siamo stati promotori e formatoridi questa comunità, abbiamo oggi più che maiuna grande responsabilità: per scelta abbiamo ilcompito e il dovere di essere segni di comu-nione. Lo stile della nostra vita comune deve di-ventare anche per noi una sfida e una riscoperta.Più che essere una specie di manager del sacrodobbiamo ritornare ad essere testimoni dell’As-soluto. Solo così potremo essere, nell’insieme diuna comunità, lievito e sale.3. La sfida dell’educazione. I vescovi italiani ciricordano che questo decennio sarà interamentededicato non solo alla riflessione del tema del-l’educazione, ma soprattutto a rinnovare unapassione educativa. Se, da una parte, tutti avver-tono il bisogno di educare le nuove generazioni,d’altra parte a volte il mondo degli adulti dimen-tica che deve vivere in un continuo stato di for-mazione. Anche in tale contesto la comunitàcristiana crea uno stile di educazione favorendospazi di comunione con il territorio. Gli spazi chegli adolescenti e i giovani abitano nella città nonpossono essere visti come pericolo. Sono unapossibilità, solo se la comunità saprà, con l’aiutodi educatori appassionati, creare alleanze educa-tive. Dove le giovani generazioni possano sen-tirsi accolte. Dove la comunità cristiana sappiaessere presente e attenta compagna di viaggio.4. Una sfida per i laici. Nonostante il concilioVaticano II abbia specificato il ruolo ed il com-

pito dei credenti laici nella Chiesa e nella so-cietà, dobbiamo riconoscere che occorre percor-rere ancora tanta strada. La scarsaconsapevolezza vocazionale della nostra vita ciimpedisce di riscoprire la nostra missione nelmondo e nella Chiesa. Siamo dei viandanti di-stratti in questo nostro tempo, pensando che ciòche siamo e che viviamo sia una forma inelut-tabile di conseguenza più o meno logica discelte che sono da attribuire alla sfera del «pri-vato» e del «personale». Invece ogni battezzatoha una specifica vocazione che va vissuta, con idoni che a ciascuno sono dati, in una dimen-sione di comunione, mettendola a servizio gliuni degli altri.5. La sfida dell’apertura dei confini. Per tantotempo, giustamente, abbiamo vissuto con l’im-magine che papa Giovanni XXIII aveva trac-ciato della parrocchia: essa è la fontana delvillaggio alla quale ciascuno si avvicina per dis-setarsi. Ora questa immagine aveva senso in unperiodo in cui in nessuna casa c’era la possibilitàdi avere acqua a disposizione in ogni momento.La mobilità, la fragilità dei confini, rendono dif-ficile immaginare una parrocchia isolata in uncontesto sociale in cui i confini sono molto de-boli e, spesso, sono vissuti come ostacolo piùche come risorsa. Per questo la comunità pasto-rale è una realtà che ha in sé importanti risvoltie prospettive per il prossimo futuro.Auguri, dunque, per questo importante anniver-sario. Ma è solo una tappa di un cammino...

*superiore regionale dei betarramiti

CAmbiAno i temPi, mA RestA

lA fededi Pino CAimi*

Anche se la mia presenza nelle vicendedella comunità parrocchiale del SacroCuore in Lissone è ridotta nel tempo enegli impegni, ho però potuto seguire ilcammino di questa comunità cristiana lis-sonese per tutto il tempo del mio mini-stero pastorale come prevosto della cittàe come responsabile della Comunità pa-storale «Santa Teresa Benedetta dellaCroce», da pochi anni costituita per deci-sione del nostro a srcivescovo, il cardinaleDionigi Tettamanzi.

Riordino qualche personale ricordo per poter te-stimoniare un’esperienza di Chiesa certamente«caratteristica» in Lissone, che ha introdottonell’humus cristiano cittadino alcuni valori le-gati al ministero di coloro che l’hanno servita, ipadri della congregazione di Bétharram. Questabellissima chiesa è stata il luogo privilegiato incui gli abitanti del quartiere, che di anno in annostava crescendo, hanno attinto e alimentato la

vita spirituale attraverso i sacramenti. Questa èla «misteriosa realtà» della comunità cristiana,che è difficile cogliere se non si possiede unafede limpida e matura.La comunità del Sacro Cuore di Gesù, che famemoria dei primi 50 anni della sua storia, havissuto fin dal principio in questa prospettiva.Ha visto succedersi nel ministero pastorale reli-giosi dalla fede profonda, ricchi di una spiritua-lità vissuta, fecondata dall’insegnamento e dallatestimonianza del loro padre fondatore san Mi-chele Garicoits... Il loro «esserci» in comunitàè ancor oggi avvertito come un prezioso donoche non può venire meno, anche se nell’evol-versi delle situazioni storiche la Chiesa ambro-siana sta elaborando nuove modalità. Anzi il«carisma» dei Padri, proprio per questa intui-zione pastorale che richiede tempo e generosa eintelligente disponibilità, finirà per penetrare nelvissuto di tutta la Comunità pastorale.Poiché da pochi mesi, da quando cioè la parroc-chia del Sacro Cuore è stata inserita nella Co-munità pastorale, ho potuto avvicinare personeed esperienze pastorali, confesso che ho cercatodi amare questa Chiesa, riconoscendo la sua ca-ratteristica identità anche se - come ogni altra

Il cardinale Giovanni Battista Montini (poi Paolo VI) il giorno della posa della prima pietra

Page 6: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

parrocchia della Comunità pastorale - ha le sueimperfezioni, bisognosa continuamente di puri-ficarsi da ogni «macchia o ruga o alcunché di si-mile». Sono i limiti umani, ma la fede parla pursempre e con ragione di una presenza e diun’azione dello Spirito che ha portato e portaconsolazione e salvezza. È bello celebrare 50 anni di vita parrocchiale perrendere grazie a Dio per le opere da lui com-piute, ma soprattutto per ravvivare in noi l’im-pegno ad essere generosi strumenti nelle suemani. Che questa gioia sia condivisa da tutti, in

particolare da coloro che hanno vissuto per de-cenni la vicenda della parrocchia del SacroCuore. Lo sia anche dalle comunità «sorelle»nella realtà di un paese che attende (perché neha bisogno) la limpida testimonianza di unaChiesa unita, saggia, generosa, aperta al futuro,fiduciosa nei misteriosi e imperscrutabili disegnidi Dio.Felice anniversario, cara comunità del SacroCuore!

*parroco della Comunità pastorale «Santa Teresa Benedetta della Croce», Lissone

meZZo SecoloGioie e DoloRi Di UnA ComUnità

di RobeRto beRettA

Forse non sapremo mai esattamente perché padreGiuseppe Airoldi decise di fondare la parrocchiaSacro Cuore di Lissone. A quasi quarant'anni dietà, dal 1947 il sacerdote era fondatore, superiore,economo e professore della comunità betarramitadi Albiate, lo studentato che ospitava i seminaristi«maggiori» - alunni di filosofia e teologia -, dun-que le promesse della nascente provincia italianadei Preti del Sacro Cuore.Padre Giuseppe ne era un membro di punta, percapacità e responsabilità, come dimostrano gli in-carichi affidatigli: vocazione adulta (da giovaneaveva lavorato prima in officina, poi in un emporiodi tessuti a Milano), aveva studiato negli anniTrenta in Palestina e poi durante la seconda guerramondiale era stato una pedina fondamentale nelseminario betarramita di Colico, sul lago di Como:quando doveva correre da una parte all'altra pertrovare da mangiare ai suoi ragazzi e magari anchea qualche partigiano. Era un predicatore apprez-zato per le sue doti di umanità e un professoreforse non profondissimo, ma di solido impianto.Perché dunque, con tutti questi impegni già sullesue spalle, padre Peppino decide di aprire il suoapostolato a Lissone, fino a trasferirsi nella citta-

dina del milanese – da solo, inizialmente ospite delprevosto – la sera del sabato 28 marzo 1953, vigi-lia delle Palme? Le ragioni vere non le sappiamo.Certo, i padri di Albiate – anche per concrete ne-cessità di sopravvivenza finanziaria – fin da subitoavevano allargato il loro apostolato alle parrocchievicine, e Lissone è a mezz'ora di bicicletta: è pro-babile che anche padre Giuseppe sia venuto a con-tatto in questo modo con il ministero nellacittadina del mobile, che contava allora 22.000abitanti ed era in rapida espansione, sia demogra-fica sia economica.In un documento autografo però padre Airoldi dicequalcosa in più: scrive che «la famiglia CagnolaMollificio amica di padre Giuseppe sin dal 1948regalò il terreno per la chiesa e oratorio maschile»;ma il 1948 è la data d'inizio dell'amicizia o quelladella promessa del terreno?Con la valigia di cartone Fatto sta che il sacerdote betarramita inizialmentearriva a Lissone non per costituire una parrocchia,bensì una scuola: probabilmente un istituto supe-riore, di cui la città era totalmente sprovvista. Lo-gico, del resto: i betarramiti in Italia (e non solo)si erano distinti in due attività, la predicazione iti-

Una delle primissime “prime comunioni”...

Page 7: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

12

nerante e l'insegnamento, i collegi.Piano piano, però, nella mente di padre Giuseppel'orientamento muta: forse perché in quell'epoca ilprevosto di Lissone sta appunto suddividendo ilterritorio per venire incontro ai bisogni della cre-scente popolazione (alla fine sorgeranno ben 5nuove chiese), forse perché al prete viene donatoun appezzamento di terra in un quartiere perifericosì, ma ben delimitato e perfetto per costituirci unaparrocchia; forse anche perché – però – in padreGiuseppe si risveglia la vocazione per il ministerodiretto, il senso della paternità spirituale chel'aveva attirato al sacerdozio nella sua parrocchiaambrosiana di Arese. Non si tratta però di unascelta indolore. I betarramiti non hanno mai gestito parrocchie(un'eccezione c'era solo in Inghilterra), «non sonofatti» per quello... E poi l'Italia è una zona in cuisi stanno espandendo proprio allora, ci sono moltigiovani seminaristi da far crescere, si acquistanocase e si fanno debiti; perché accollarsi un'impresacosì costosa come la costruzione di una chiesa(che poi, per di più, dovrà essere lasciata alla dio-cesi e non resterà alla congregazione)?Insomma, la decisione di padre Airoldi di diven-tare parroco non dev'essere stata accolta in modopacifico dai confratelli. Solo oggi – che le parroc-chie sono praticamente il campo prevalente dei be-tarramiti italiani – si può dire che egli ha tracciatouna via nuova. Ma all'epoca non dev'essere statoaffatto così.Tuttavia padre Giuseppe va avanti, insieme apadre Gioacchino Spini che nel frattempo l'ha rag-giunto. Alcuni benefattori gli offrono una primacasa, dove nel settembre 1953 si aggiungono allacomunità i giovani padri Marco Soroldoni e Gia-como Ghislanzoni; a Natale del 1955 ci si trasfe-risce in una villetta più indipendente e il 15febbraio 1956 nasce ufficialmente la prima comu-

nità betarramita lissonese: è composta da 4 sacer-doti (il superiore padre Airoldi, padre Spini e i gio-vani Arnaldo Guerra e Ireneo Simonetti), checollaborano validamente alla pastorale della par-rocchia principale del paese ma ormai comincianoa pensare molto concretamente alla nuova fonda-zione.La cui prima pietra viene posta il 28 aprile 1957.A furia di debiti e cambiali I soldi! Se un bilancio può mai essere commo-vente, sicuramente lo sono le liste del «dare eavere» compilate da padre Giuseppe e ora conser-vate negli archivi. Un estratto conto timbrato 30settembre 1961 (siamo poco dopo l'inaugurazionedella chiesa), per esempio, indica una spesa diquasi 50 milioni, di cui una ventina ancora da sal-dare.Un'altra nota, relativa alla casa parrocchiale, tota-lizza una trentina di milioni. Un ulteriore «spec-chietto» manoscritto allinea cifre fino araggiungere un «totale pagato» di 92.431.545; espiega: «Il denaro provenne dalle entrate dellachiesa e specialmente quasi tutto a mezzo Provvi-

PoveRi mA ContentiUn betarramita della prima ora, venuto a Lissone prima ancora che esistesse la par-rocchia, così raccontava l'età d'oro degli inizi.Ricordi lontani, molto lontani perché son passati tanti anni da quando il signor Camna-sio, sindaco, e il prevosto monsignor Angelo Gaffuri chiamarono i betarramiti in queldi Lissone per fondarvi una scuola secondaria, come si era fatto già a Colico. Poi adun tratto, come al solito, la Provvidenza cambia rotta e cosi a padre Giuseppe Airoldi(detto semplicemente il buon padre Peppino), arrivato lì nel 1953, fu proposto di pen-sare ad un'eventuale nuova Parrocchia al di là della ferrovia. Solo nel 1957 venivaconfermata questa fondazione.Subito si diede inizio ai lavori secondo il progetto dei due fratelli architetto e ingegnerBernasconi. Non si spendeva, si risparmiava su tutto, si viveva di beneficenza da partedella buona gente, tutto doveva scorrere nella cassa per la erigenda chiesa! Allora nonesisteva per noi il fondo per la costruzione di nuove chiese... Quanti risparmi e quantepreghiere! Specialmente le coroncine al Sacro Cuore: «Cuor di Gesù, confido in Te»che noi - con grave scandalo di padre Peppino - trasformavamo in: «Confido in tre»!Quante crisi succedevano a Padre Peppino, per diversi contrattempi ed anche perchénon sapeva starci agli scherzi e noi avevamo sempre voglia di scherzare. Ricordo comeil buon padre ci soffriva quando padre Ireneo gli diceva il proverbio: «Chi pianta datteri,non mangia datteri» o quando - leggendo l'augurio che il cardinal Schuster gli avevascritto sotto una sua fotografia, «Dominus custodiat introitum tuum» («Il Signore custodi-sca il tuo ingresso...») - gli si diceva: ma la Bibbia aggiunge anche: «...et exitum tuum»(«e la tua uscita»!).Ci si doveva accontentare di quello che ci davano, senza spendere niente, nemmenoper i libri necessari... Per fortuna che i Maestri cattolici, di cui ero assistente, mi riforni-vano di riviste e di libri. Poi fui eletto economo della casa, con amministrazione diversada quella per la chiesa. A dire il vero amministravo circa tremila lire (diconsi tremila!).Eppure eravamo felici e concordi. Quando si è nella povertà, nelle difficoltà, al cortodi mezzi si è più vicini alla gente, si condivide più con loro e si è più amati e stimati...Tutto marcia più bene. Tutto era più semplice e genuino!Voi vi chiederete: a che serve tutto quello che racconti? È per mostrarvi su quali fonda-menta è sorta la nuova parrocchia: la fede, il coraggio, la fatica, la generosità... Perchéne abbiate a trarne la conseguenze anche oggi, perché la parrocchia abbia una storiae la continui sempre secondo i tempi. Ricordate le vostre origini, le vostre radici, il cam-mino, i trionfi e le sconfitte, le difficoltà, le crisi, le recessioni, le riprese, le promesse ele attese!

Arnaldo Guerra, betarramita (1926-1991), a Lissone dal 1955 al 1959

La posa della prima pietra della chiesa

Page 8: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

14

denza del Sacro Cuore. Nei conti dovrei sempredire: a mezzo Divina Provvidenza».Tutti i testimoni concordano sulla preoccupazionecontinua di padre Peppino per i (molti) debiti dasaldare e sul suo tribolare da una porta all'altra achiedere aiuti; con molta fiducia nella «DivinaProvvidenza», certo, ma pure con un grandissimoimpegno per onorare le cambiali... In un altro do-cumento padre Airoldi specifica: «La chiesa fu so-stenuta con prestiti della Congregazione dei Padridel Sacro Cuore di Gesù di Bétharram, casa gene-ralizia, provincia italiana ed alcuni superiori localidi altre nostre province estere, nonché dal contri-buto di lire 5 milioni + 1 milione del reverendis-simo monsignor Allievi prevosto di Lissone, ed'altre offerte fatte da amici del parroco e del re-verendissimo padre provinciale in diocesi e fuoridiocesi e dal concorso del popolo di Lissone SacroCuore».Su quest'ultimo punto il sacerdote è puntigliosofino a trascrivere su un foglio intestato le sommeprecise - oltre 42 milioni - che anno per anno dal1957 in poi «la Comunità di Lissone, fino algiorno 10 giugno 1961 (data dell'apertura dellachiesa al pubblico, ndr), ha dato per la costru-zione». Non è un dettaglio da poco: evidentementeil nuovo parroco intendeva lasciare testimonianzaufficiale, anche ai suoi confratelli, che il nuovotempio era stato costruito coi soldi della gente enon quelli della congregazione. Padre Peppino non

aveva certo dimenticato quella lettera con cui ilsuperiore generale, avuta notizia dei debiti con-tratti per la chiesa, gli aveva intimato di «prepararela valigia» per andarsene da Lissone, perché i be-tarramiti non intendevano certo restare invischiatiin un possibile «buco»...Un'umiliazione terribile per il padre, che indiret-tamente veniva accusato di mettere in pericolo lefinanze del suo istituto per aver voluto inseguireun suo sogno.Per fortuna poi intervenne il solito «miracolo»:padre Giuseppe, che era solito nascondere le of-ferte ricevute tra la biancheria dell'armadio e poimagari se ne dimenticava, ritrovò tra le camicieuna certa somma per pagare i debiti più urgenti...Una comunità povera, ma dinamica nel darsi dafare. Una comunità in continuo affanno econo-mico ed emergenza di spazi e di mezzi, ma entu-siasta e allegra. Una comunità dove si litigava(memorabili gli scontri tra padre Giuseppe e padreMarco Gandolfi, altra personalità forte e beneme-rita per il Sacro Cuore, all'epoca superiore provin-ciale e giunto a Lissone nel 1959, probabilmenteproprio per «sorvegliare» più da vicino l'anda-mento finanziario della nuova opera) e si scher-zava. Insomma, una comunità viva: perché lepersone non avevano timore di mostrarsi nella loroumanità – difetti compresi - e comunque eranounite intorno a un grande progetto di bene. Eccoil segreto che assicura il successo alla neonata par-

tAntissimA feDe. e tAnte CAmbiAli...Mille lire e un lenzuolo. Tutte le settimane, ogni sabato mattina, padre Giuseppe era lìpuntuale alla filatura Mariani di Sovico a stendere la mano per i suoi seminaristi. D’al-tronde, era l’economo della nuova fondazione betarramita della vicina Albiate, e nonmancava mai l’appuntamento con i generosi benefattori...Era il 1947 quando l’attivo sacerdote conobbe Rodolfo Santamaria: un lissonese di ven-t’anni che «morosava» la figlia del titolare della fabbrica. Lui, che oggi di anni ne ha 84,è ancora affezionatissimo a quel prete di cui dice: «E’ stato mio padre!», e narra volentierila storia dei primi betarramiti nella nostra città.«L’amministratore della filatura era Fausto Meroni, all’epoca sindaco di Lissone, cattolicis-simo. Un sabato padre Giuseppe lo incontra e alla fine Meroni sentenzia: “Voi padri me-ritereste proprio di venire a Lissone”; del resto padre Airoldi aveva un modo di fare cheavrebbe convinto anche un ateo! Detto fatto, si avviano i contatti. Tra l’altro la città all’epocaaveva un gran bisogno di assistenza spirituale, il prevosto don Angelo Gaffuri era giàmolto malato e accettò subito la proposta d’aiuto».«Io, che avevo la macchina, ho accompagnato padre Giuseppe nelle sue consultazioni,perché lui voleva il consenso di tutti prima di invadere il campo pastorale dei diocesani...Gli ho fatto conoscere don Umberto Pellegrino, che all’epoca era coadiutore a Lissone elo ha confermato nella sua idea. Poi l’ho condotto a Gorgonzola, dov’era parroco il lisso-nese Anacleto Cazzaniga, in seguito divenuto vescovo di Urbino. Quindi siamo stati aPontelambro a trovare un'altra vecchia conoscenza dei lissonesi, il prete dell’oratorio donFrancesco Lanzani; quest’ultimo non solo ha appoggiato padre Airoldi, ma gli ha fatto co-noscere chi avrebbe potuto aiutarlo a ottenere una casa: il commendator Angelo Cagnola.In ultimo ho accompagnato anche i superiori francesi dei betarramiti, venuti a sondare dipersona le possibilità di una fondazione».Rodolfo Santamaria è uomo pratico: «Ricordo quando l’impresa edile si è presentata alsaldo: ci volevano ancora 30 milioni. “Rodolfo, cosa facciamo adesso?”, mi dice padrePeppino. Cosa dobbiamo fare, padre: 30 cambiali da un milione al mese, e in un modoo nell’altro si pagherà! Infatti è successo così; e quando alla scadenza mancava qualchecentinaio di mille lire, il povero padre mandava qualcuno dalla signora Piera, dei Marianie Borgonovo, che ci metteva il resto».Oppure, come è successo una volta, usava metodi più spirituali: «Una notte che non riuscivaa dormire perché mancavano i soldi, bussa alla camera di padre Francesco Radaelli;erano le 4 di mattina: “Alzati, mi devi portare ad Assisi”. Ma padre... Non si può discutere:prendono la 500 e vanno diretti, andata e ritorno in giornata, sosta solo per pregare! Equando il giovane confratello chiede se deve fermarsi a mangiare, padre Giuseppe ri-sponde: “Oggi si fa digiuno”...».Tante avventure. «Eh sì. Anche l’asilo, se padre Peppino fosse vissuto un po’ più a lungo,la parrocchia ce l’avrebbe di sicuro; il terreno era stato già contrattato, 3000 lire al mq...Invece i successori si sono spaventati e non hanno concluso l’acquisto. Del resto, le speseerano state tante. Ma vi dico una cosa: l’assistenza religiosa che i betarramiti hanno offertoai lissonesi, soprattutto ai giovani, non gliel’ha data nessuno!». Beh, forse il signor Santa-maria esagera un po’; però accogliamo volentieri l’elogio, e lo giriamo a chi se lo merita.

Ancora l’arcivescovo Montini

consacra l’altare il 10 giugno 1961

Page 9: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

16

rocchia, e che anzi le fornisce un'anima e un ca-rattere capaci di distinguerla dalle altre di Lissonee di renderla attrattiva per molti, anche al di fuoridei confini territoriali suoi propri.45 religiosi in 50 anniIn effetti la parrocchia vive anni di grazia, meritoanche dei numerosi preti giovani che vengono adanimarla. Anche troppi, secondo qualcuno: un re-cente calcolo ha infatti permesso di stabilire cheben 45 religiosi betarramiti (circa la metà del totaleitaliano...) sono passati per qualche tempo a Lis-sone. Ma, a parte un turn over senza dubbio ec-cessivo di sacerdoti che si fermano solo uno o dueanni, sono tanti i religiosi - per non far torto a nes-suno, ricordiamo soltanto quelli che proprio a Lis-sone sono defunti: padre Renato Antonini (1967),padre Paolo Negroni (1985), padre Lino Illini(1997) padre Marco Gandolfi (2004) - che dannoil meglio di se stessi proprio al Sacro Cuore, co-stituendo comunità davvero memorabili.Quale altra parrocchia del resto può contare su ungruppo di ben 4 o 5 sacerdoti, in gran parte giovanie dinamici, oltre all'onnipresente fratel Luigi Gior-getti, per una popolazione che raggiungerà neglianni Settanta i 3000 o 3500 abitanti?I betarramiti investono in effetti molte forze suLissone, anche e forse soprattutto dopo la morteimprovvisa del fondatore padre Airoldi, avvenutail 19 gennaio 1972. In quel frangente doloroso,dopo un breve periodo in cui il superiore provin-

ciale - padre Celestino Gusmeroli -, forse temendouno sbandamento, prende personalmente le redinidella parrocchia, il gruppo di religiosi cresciutocon padre Giuseppe (da ricordare almeno padreFranco Cesana, padre Francesco Radaelli, padreGiovanni Orlandi, padre Giordano Sala) e guidatodal nuovo parroco padre Angelo Pajno si dimostrain grado di continuarne l'eredità sui medesimi bi-nari di umanità, apertura, attenzione ai giovani. Èindubbiamente un periodo felice, in cui il rischioè semmai di stimarsi «più avanti» o «migliori»degli altri: nessun'altra parrocchia, per esempio,promuove un campeggio misto di ragazzi e ra-gazze; poche appaiono così culturalmente vivaci;diversi padri dimostrano il loro carisma sia comepredicatori, sia come direttori di coscienze, siacome organizzatori dei giovani.Il pericolo (nel quale talvolta si è pur caduti) èdunque ritenersi autosufficienti e isolarsi dal con-testo circostante, sia sociale che ecclesiale.Pure nella congregazione – peraltro – le azioni delSacro Cuore sembrano in netto rialzo, tanto che laprovincia italiana nel 1979 decide di trasferire aLissone la sua sede di noviziato, anche per man-tenere i futuri religiosi a contatto con la realtà pa-storale nella quale in futuro dovrannopresumibilmente lavorare.Bisogna qui ricordare le vocazioni sacerdotali natenella parrocchia, sia per i betarramiti (i padri En-rico Mariani, Mario Giussani e il medico missio-

«siAte Un foColAio Di bontà»Così il superiore generale dell'epoca (dopo le tante perplessità sull'impresa e suisuoi costi) salutava nel 1961 la nuova chiesa dalla prima pagina della rivista ufficialedella congregazione. Indicando a tutti i betarramiti il senso del loro impegno in par-rocchia.Una nuova chiesa dedicata al Sacro Cuore, una nuova parrocchia sotto il termine delSacro Cuore, l'una e l'altra affidate ai Preti del Sacro Cuore, non è una cosa banale!Non parliamo di scommessa, nemmeno fortunata. Non scorgiamoci soltanto un gestodi benevolenza, sempre premurosa, dell'autorità diocesana verso di noi. Non vediamocineppure, per prima cosa, il desiderio di una protezione speciale del Sacro Cuore perla nuova parrocchia e i suoi ministri... C'è ben altro: un ideale, un programma. La chiesae la parrocchia, come la comunità dei padri, sono consacrati al Sacro Cuore. Esse de-vono portarne il marchio, spandere il raro profumo delle sue virtù; esse soprattutto de-vono conquistargli i cuori. Non si tratta di creare soltanto un centro di devozione alSacro Cuore, grazie a pratiche specifiche, ma un vero focolare di intenso fervore cheirradia ed attira. Guardate la chiesa, la sua ampia facciata, i cui grandi bracci sem-brano aprirsi in un gesto di invito insistente: «Venite a me voi tutti»...Osservate, nell'interno, quell'altare massiccio che s'impone irresistibilmente agli sguardie li concentra sull'unica presenza e sull'unico sacrificio: «Venite a me voi tutti»... Nellostesso modo bisogna che la parrocchia, che sta radunandosi e prendendo coscienzadi se stessa, si faccia attrattiva, conquistatrice.È questo che stabilisce agli operatori del gruppo parrocchiale sia i fini, sia i metodi.Insieme parroci e missionari, essi dovranno – senza mai trascurare le anime che si af-follano intorno a loro – prendersi cura di quelle che i pregiudizi, l'ignoranza o l'abitu-dine tengono lontane; e, a questo scopo, avranno come armi soltanto quelle del SacroCuore: dedizione a tutta prova, bontà instancabile, pazienza e dolcezza inalterabili,rispetto delle coscienze, delicatezza nel procedere...Come lui, essi cominceranno a fare, prima di insegnare.Non hanno formule nuove da mettere in campo. Apostoli dell'Amore, strumenti del SacroCuore, come potrebbero scegliere la loro tattica? L'hanno imparata dal loro padre, sanMichele, che l'ha copiata dal Sacro Cuore. Si sforzeranno di essere buoni senza debo-lezza, ardenti e modesti, appassionati ma obbedienti, senza paura ma senza pretese,sensibili alla compassione, attenti a non provocare inutilmente, e saranno persuasi chele buone maniere non sono passate di moda ma restano sempre molto efficaci.L'ideale dei nostri è dunque tracciato. Il mio augurio, la mia preghiera, è che sianofedeli e che in questo modo possano fondare a Lissone un focolare luminoso che rivelia un gran numero d'anime le ricchezze insondabili del cuore del nostro Dio.

Joseph Mirande, superiore generale betarramita all'epoca dell'inaugurazione della chiesa del Sacro Cuore

La visita pastorale dell’arcivescovo Giovanni Colombo (1966)

Page 10: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

18

Cemento e lUCe, nel seGno Del ConCilio

La chiesa del Sacro Cuore di Gesù a Lissone rappresenta, sotto vari aspetti, i tempie i luoghi di «passaggio» nei quali è nata. Anzitutto per la posizione: il fondatorepadre Giuseppe Airoldi era ben consapevole dell’ambiente «di frontiera» nel qualealla fine degli anni Cinquanta si collocava il nuovo tempio.Periferico nei confronti della città di Lissone, che proprio in quegli anni si divideva invarie parrocchie per accogliere una crescita demografica dovuta anche al boom eco-nomico, il quartiere «da là dal punt» prometteva di essere la porta commerciale delmobile, grazie alla nuova superstrada Valassina e alla linea ferroviaria. Un quartiere però «tagliato fuori», di fatto e socialmente, dalla vita della città, pocoservito e poco ambìto.La frontiera era poi anche quella della Chiesa. Non per niente il Sacro Cuore vieneedificato a cavallo del Concilio Vaticano II, un periodo ricco di entusiasmi e speranzema anche con le inevitabili incertezze proprie di ogni cambiamento.La chiesa del Sacro Cuore è un modello di tali frontiere. La ricerca di una strada maipercorsa prima, che mescolasse armoniosamente il cemento armato a vista e le mo-derne forme squadrate con elementi della tradizione, quali le vetrate.Il 10 giugno 1961 l’arcivescovo Giovanni Battista Montini (poi divenuto Paolo VI)apre al culto la nuova chiesa commentando: «Stupenda, stupenda!». L’idea essenzialeè la tensione di ogni elemento verso l’altare, con le arcate digradanti verso il presbi-terio e una lunga spina di cemento armato che le attraversa. Colonne e travi – insiemealle vetrate - sono il segno architettonico e simbolico «forte» della chiesa, in un’alter-nanza di pieni e vuoti, di luce e ombra, di materia e di spirito.I progettisti furano i fratelli milanesi ingegner Antonio e architetto Angelo Bernasconi.Nella presentazione tecnica essi annotavano: «Anzitutto si è voluto dare a tutto l’or-ganismo un punto focale evidentemente da identificarsi con il presbiterio, facendoviconvergere il volume tutto, oltre che le superfici e le linee orizzontali. Di qui è nata laforma della chiesa.

Tutte le linee convergono idealmente verso l’alto, tanto nella facciata quanto nel fianco enell’interno e questo contribuirà a dare un notevole senso di spiritualità e di leggerezza.La facciata, di per sé semplicissima, è aperta come a un invito per chi si trovi di fuori, al-leggerita da una grande vetrata centrale e sottolineata dalla croce superiore».Ma il nuovo tempio si presenta anche come un abbraccio allargato verso la piazza,l’esterno. Si trattava di una soluzione interessante e innovativa, avveniristica, tanto cheil progetto della chiesa fu esposto in una mostra a Bruxelles e una rivista d’arte sacracosì ne parlò: «Dal punto di vista architettonico la nuova chiesa parrocchiale di Lissonerappresenterà un singolare episodio nel difficile campo dell’architettura sacra».«Un successo dell’arte moderna – scrive un altro testimone -. L’insieme architetturale èuna meravigliosa espressione plastica, grazie alla felicissima armonia del mattone edel cemento. Dolcezza del mattone dalle tinte così calde. Umiltà totale del cemento chesi offre con la sua povertà evangelica come con la sua purezza di linea, l’arditezza delsuo slancio, la fermezza del suo aspetto. Il cemento ha permesso di riempire lo spazioimmenso di luce e di colore. Niente rompe l’offerta di gioia e di pace. Niente distrae.Raccoglimento, intimità!».Le vetrate sono poi un elemento importantissimo della chiesa lissonese, perché creanouna vibrazione imponderabile e vellutata sulle ruvide increspature del cemento. Dirà uncritico: «Quando l’abside si illumina di luce improvvisa, la chiesa del Sacro Cuore diGesù è veramente un organo, è veramente un “cuore”». Anche solo considerandol’aspetto materiale, le vetrate del Sacro Cuore sono manufatti di grande pregio e valore,grazie alla qualità dei materiali e alle tecniche usate. Il loro complesso consiste in 120metri quadri di vetro prezioso, soffiato e lavorato secondo una tecnica antica e sapientegià usata per le vetrate delle cattedrali gotiche francesi. Il vetro è infatti coperto conuno strato di grisaille (piombo liquido), che poi viene pazientemente graffiato via conpennelli o con le dita stesse dall’artista lavorando in negativo, così da ottenere sfumaturecon effetti di chiaroscuro, fino a far affiorare le immagini dei personaggi.A sfumatura finita, i vari pezzi vengono cotti a gran fuoco e fissati per sempre con effettodi forte luminosità. Segue la legatura a piombo, che unisce le schegge di diversa colo-razione permettendo la composizione dei pannelli.Questa tecnica è resistentissima al tempo e mantiene inalterata la brillantezza dei colori.Ogni fase della lavorazione è stata personalmente seguita dall’artista, che l’ha curatasino al completamento dell’opera, durata anni.

Page 11: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

20

nario Tiziano Pozzi) sia per altri istituti religiosi(fratel Roberto Villa), così come la laica Arcan-gela Mariani, missionaria per 30 anni in Brasile:ricchezze di cui andare evangelicamente fieri.Ma sarebbe ingiusto non menzionare anche i tantilaici che, in questi 50 anni, hanno contribuito a farcrescere la parrocchia, regalandole davvero tantotempo e tante energie. Solo per ricordare alcunigià defunti: il grandissimo Giuseppe Meani, fac-totum della prima ora, capace di saltare dalla pro-mozione dell'Azione cattolica all'animazionedurante le messe, dalla cura della sacrestia all'apo-stolato tra gli uomini, sempre col sorriso sulle lab-bra. Tra le donne: la mitica «Pinin» GiuseppinaRecalcati o Marcella Cesana, la giovane signoraPiera Fossati Olivieri, fino alla giovane Cinzia Ga-limberti... Quanti laici meriterebbero un postonella storia di questi 50 anni! Anzi, paradossal-mente sarà proprio negli anni di «vacche magre»- cioè quando, dagli anni Novanta, l'équipe pasto-rale si assottiglierà per carenza di vocazioni e peralcuni problemi interni alla comunità – che i laicidel Sacro Cuore mostreranno la loro tempra, as-sumendo responsabilità e talvolta compiti di sup-plenza nei settori che rimangono più sguarniti diclero: dall'oratorio alla catechesi, dalla liturgia aigruppi giovanili.Gli anni della «Crisi» Perché una certa «crisi» - senza attribuire al ter-mine alcuna valenza moralmente negativa - arriva,resa fors'anche più pesante dal confronto con glianni «gloriosi» degli inizi. Dalla metà degli anniOttanta, il secondo venticinquennio della parroc-chia presenta infatti caratteristiche diverse dalprimo: non foss'altro per il fatto che il «gruppofondatore» viene completamente rinnovato e si av-vicendano due nuovi parroci – padre Celeste Per-lini e padre Davide Villa – che provengono dalunghe esperienze soprattutto nell'insegnamento e

con grande buona volontà devono «reinventarsi»nella pastorale territoriale. Non si tratta peraltrosoltanto di uno svantaggio: la parrocchia infatti in-camera così utili spunti che derivano da settori di-versi e gli stessi sacerdoti mostrano il loromomento migliore quando si mettono molto umil-mente a «imparare il mestiere» al fianco dei laicistessi.Tuttavia viene alla luce un punto debole nella pre-parazione e forse nel carisma stesso dei betarra-miti: essendo stati concepiti fin dalle origini come«ausiliari» (il famoso «campo volante pronto adaccorrere dove il vescovo chiama»), i religiosi delSacro Cuore uniscono un'indubbia disponibilità auna formazione ad ampio spettro, che però è menospecifica di quella dei sacerdoti diocesani nel set-tore della parrocchia e dell'oratorio. Forse è dovutoanche (ma certo non solo) a questo motivo l'avvi-cendarsi a volte fin troppo rapido di giovani pretial Sacro Cuore, spesso «bruciati» in pochi mesi dauna parrocchia esigente che in certi momenti devepur interrogarsi sui motivi di tante «crisi» (alcunedelle quali, per motivi diversi, sfociano nell'uscitadal sacerdozio).Possono sembrare notazioni impietose, ma appar-tengono alla storia; e del resto abbiamo deciso findall'inizio di non sposare un taglio trionfalistico (ein fondo poco utile) nella commemorazione delmezzo secolo della parrocchia. Per contro – com-plice la diminuzione delle vocazioni – è anche ilperiodo in cui a Lissone si susseguono alcuni sa-cerdoti anziani in funzione di collaboratori per leconfessioni, la visita ai malati, i gruppi terza età...Alludiamo per esempio a padre Paolo Negroni,allo stesso padre Gandolfi, a padre Ernesto Colli epadre Antonio Canavesi: presenze utilissime (oltreche dal punto di vista pratico) anche come equili-bratrici di un'ansia pastorale efficientista, moltobrianzola e molto ambrosiana.

Come un ritorno allo spirito delle origini va letta,nel settembre 2002, la traslazione della salma delfondatore padre Airoldi nella «sua» chiesa: ungesto molto significativo, soprattutto in un conte-sto – locale e nazionale, sociale ed ecclesiale – chesta velocemente cambiando. Il quartiere, per esem-pio, dopo un periodo di stasi alla fine degli anniOttanta, sotto il nuovo parroco padre Maurizio Vi-smara ricomincia a crescere tumultuosamente:nuove costruzioni e giovani famiglie, non tutte ita-liane (gli stranieri oggi sono oltre 400) e non tuttecattoliche praticanti, portano la popolazione aquasi 5000 abitanti: più o meno il doppio di quellapresente alla nascita della parrocchia.Nella Comunità pastorale È un periodo di incertezza, nel quale si iscrive ilpassaggio della parrocchia nella Comunità pasto-rale cittadina Santa Teresa Benedetta della Croce:obbedendo a una direttiva comune a tutta la dio-cesi milanese, anche a Lissone le parrocchie con-fluiscono in un'unica realtà, invertendo in un certosenso il movimento di decentramento degli anni

Sessanta. Pure il Sacro Cuore - che del resto findal 2003 ha già messo un religioso, padre AntonioRiva, a disposizione della pastorale d'insieme - nelsettembre 2010 entra in tale logica, con tutte le dif-ficoltà consuete in simili frangenti e in aggiunta lanecessità di integrare le esigenze di una comunitàcome quella betarramita (che per di più si è allar-gata a comprendere anche la casa di Albiate) conla normale attività diocesana; contemporanea-mente, inoltre, cambia anche il sacerdote referente(il parroco infatti d'ora in poi sarà solo quello«centrale» della città), che dal 2010 diventa padreAlessandro Locatelli. Siamo dunque in una fase diassestamento che non si è ancora conclusa ma chein un certo senso corona il 50° di presenza dei pretidel Sacro Cuore a Lissone.Da qui in poi si chiude un'epoca e se ne apre un'al-tra, in cui sia i religiosi sia i laici dovranno elabo-rare strumenti nuovi per rispondere a nuoviproblemi. E proprio per questo è particolarmenteprezioso fare il punto sulle proprie origini, sulleradici dalle quali si è nati.

Anche quest’anno è arrivata la domenica delle Palme...

Page 12: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

22

Come il fonDAtoRe RACContA

lA SUA chieSADa un appunto inedito, destinato alla Curia di Milano

Veneranda Segreteria di sua eminenza il Cardinale arcivescovo di MilanoLissone 14 giugno 1966

Rispondo sollecitamente ai dati richiesti da questa spettabile Segreteria circa la documenta-zione della chiesa parrocchiale del Sacro Cuore di Lissone, affidata ai Padri del Sacro Cuore di Bé-tharram, per l'archivio di sua eminenza il cardinale arcivescovo.

1. Progettista: l'architetto Bernasconi Angelo via Fioravanti 33 Milano2. Direttore: ingegnere Vincenzo Bernasconi via Fioravanti 33 Milano. Attualmente: archi-

tetto Giacomo Mariani via G. Matteotti Lissone3. Impresa costruttrice al rustico: impresa di Lodovico e De Giorgi via Mercalli 36 Milano.

Lavori di finitura: impresa edile Villa Carlo e Sergio via Palestrina Lissone.4. La prima pietra fu benedetta da sua eminenza il cardinale Giovanni Battista Montini il 28

aprile 1957 domenica in Albis5. Inizio dei lavori: fine di ottobre 1958.6. Sua eminenza il cardinale Montini, ora papa Paolo VI, inaugurava la nuova parrocchia,

consacrava l'altare maggiore al Sacro Cuore di Gesù il 10 giugno 1961 e consigliava la Madonnadel Bel Ramo come compatrona. La parrocchia è quindi dedicata al Sacro Cuore di Gesù. Le reliquieposte dal cardinale Montini nel sepolcreto dell'altare maggiore sono: san Vincenzo martire, san Paolo(martire?) e san Michele Garicoits. L'altare, consacrato con la chiesa da sua eminenza il cardinaleGiovanni Colombo, è quello laterale della Madonna del Bel Ramo, compatrona della parrocchia, econtiene le reliquie dei santi martiri Felice e Nabore, dei santi vescovi Ambrogio e Carlo e san Mi-chele Garicoits, confessore e fondatore dei padri del Sacro Cuore di Gesù di Bétharram.

7. La popolazione servita attualmente è di 2988 anime. Le parrocchie confinanti sono: anord Prepositurale dei santi apostoli Pietro e Paolo, Lissone; a est Desio Prepositurale; a sud par-rocchia santi apostoli Pietro e Paolo Muggiò, parrocchia san Carlo Muggiò; a ovest parrocchia sanBiagio di Monza.

8. Stato dei lavori il 12 giugno 1966, giorno della consacrazione della chiesa. Interno dellachiesa finito. I lavori compiuti sono: raccordo dei due matronei laterali, vetrate, coro, organo, mar-tellinatura delle colonne, rivestimento in marmo pareti altari laterali e zoccolo di tutta la chiesa, ri-vestimento in legno pareti di fondo dei quattro confessionali delle donne, pavimenti in marmo chiesae presbiterio, balaustre, amboni, battistero, illuminazione. I lavori mancanti sono: impianti di microfoni, non essendo più sufficiente il vecchio impianto mi-crofoni e dischi campane; centrale controllo luce elettrica e microfoni in sagrestia; vetrate in bassointerno chiesa; rifinitura penitenzieria uomini e sagrestia col suo arredamento, perché l'esistente con-siste in armadi d'occasione; campanile con campane.Opere da attuarsi: oratorio maschile, servendosi ora di qualche locale della casa religiosa; oratoriofemminile con asilo con terreno da procurarsi in parte a spese della parrocchia ed in parte dato dalComune.

9. La chiesa racchiude architettonicamente la seguente idea, consigliata dal parroco e attuatadall'architetto: il tiburio come centro focaio da cui s'irradia l'amore del Cuore di Gesù paziente e mi-sericordioso va allargandosi rastremando verso il fondo, ove sfocia colla facciata simbolica di unabbraccio del Cuore di Gesù sul mondo. Infatti nel cuore e centro del tiburio si compie il misteroeucaristico visibile a tutta l'assemblea parrocchiale, che lo può vedere, ammirare ed adorare da qual-siasi punto della stessa chiesa. Stile moderno tendente alla forma ventaglio, com'è desiderio del Con-cilio Vaticano II espresso parecchie volte da sua eminenza il cardinale Lercaro.La superficie della chiesa e di mq. 900,70. La larghezza massima è di m. 29,50. La sua lunghezza èdi m. 40. La sua capienza è di 1200 comodi. La navate dei fedeli è completamente libera e disimpe-gnata dalle colonne, dalle cappelle laterali e dal battistero e dalle cappelle dei confessionali per ledonne.

10. 11. Vedi n.612. La data annuale della festa della dedicazione è il 12 giugno (per il popolo la II domenica

di giugno assieme alla patronale)13. La famiglia Cagnola Mollificio amica di padre Giuseppe sin dal 1948 regalò il terreno

per la chiesa e oratorio maschile. La chiesa fu sostenuta con prestiti della Congregazione dei Padridel Sacro Cuore di Gesù di Bétharram, casa generalizia, provincia italiana ed alcuni superiori localidi altre nostre province estere, nonché dal contributo di lire 5 milioni + 1 milione del reverendissimomonsignor Allievi prevosto di Lissone, e d'altre offerte fatte da amici del parroco e del reverendis-simo padre provinciale in diocesi e fuori diocesi e dal concorso del popolo di Lissone Sacro Cuore.

Affezionatissimo e umilissimo figlio nel Sacro Cuorepadre Giuseppe Airoldi

Page 13: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

24

il PARRoCo DAl GRAnDe CUoReSembrava un buon curato di campagna e nulla più: semplice, pio, sempre con laveste nera e anche piuttosto tornito nelle forme. Un prete col cuore in mano sen-z'altro ma anche dall'oratoria «a braccio» e un po' alla buona, un uomo - in-somma - di poche pretese. E invece era stato cappellano dei partigiani in guerrae protettore degli sfollati; aveva fondato ed era stato superiore di diverse casereligiose nei tempi senzasoldi del dopoguerra; una volta aveva persino attraver-sato la cortina di ferro in abiti civili per raggiungere in incognito il santuario diCzestochowa in Polonia ed era stato amico personale di due arcivescovi comeSchuster e Montini.Padre Giuseppe Airoldi è morto il 19 gennaio 1972. Aveva 64 anni e da pochissimoaveva coronato l'impresa della sua vita, la costruzione della parrocchia del Sacro Cuoredi Gesù nella periferia «da là dal punt» della Lissone che ferocemente si stava espan-dendo. Padre Giuseppe quella chiesa l'aveva pagata lira su lira, sacrifici su sacrifici, enon c'è da stupirsi se ancora oggi qualcuno lo ricorda come il prete della sua vita, sicommuove ripensandolo e ne tiene l'immagine ben in vista a casa sua.La figura davvero maiuscola di padre Giuseppe risalta senza bisogno di alcuna agio-grafia. Per cominciare era una «vocazione adulta», in tempi nei quali quasi tutti i pretierano andati in seminario da piccoli: il futuro sacerdote, originario di Arese, aveva in-vece cominciato a lavorare fin da ragazzo, subito dopo la morte della madre avvenutaquando lui aveva 13 anni. Era stato garzone come molti coetanei, di un muratore prima,poi di un bronzista e infine di un sarto. E la circostanza contò parecchio nella sua vita,non solo perché - già prete - si vantava di riconoscere al tatto la qualità dei tessuti, masoprattutto in quanto non scansò mai la fatica ed ebbe sempre una speciale attenzioneper i lavoratori.Il giovane Airoldi, si potrebbe dire, la vocazione se l'è «guadagnata». A 17 anni bussaal seminario diocesano di Venegono, poi si trasferisce nella struttura che i betharramiti- giovane congregazione d'origine francese che proprio allora cominciava a diffondersinell'alta Italia - hanno appena aperto a Colico. Nel 1930 il novizio finisce appunto astudiare in Francia e subito dopo, per ben 6 anni, in Terrasanta; proprio a Betlemme ilnovello sacerdote celebra la prima Messa nel luglio 1937.Poi è la vita, quella dura di un giovane e appassionato prete durante la guerra. Nomi-nato al seminario di Colico, batte in treno e sotto i bombardamenti tutta la Lombardia,per racimolare un po' di viveri a quei bagai (per padre Giuseppe la lingua degli affettifu sempre il dialetto), a quei por fioeu che davvero facevano la fame. Intanto, però, na-sconde in solaio ebrei e sfollati - in cima al lago, Colico era un punto cruciale per l'espa-trio clandestino - e tiene collegamenti con i partigiani sui monti vicini.

Per due volte il nome del sacerdote finisce sulle liste dei condannati a morte: prima suquella dei fascisti, poi su quella dei «rossi». Perché, infatti, a guerra finita padre Airoldidiventa benefattore dei prigionieri tedeschi nel campo di raccolta di Sondrio, ancheper esplicito incarico del cardinale Schuster.Nel 1947 un'altra «avventura»: con 10mila lire in tasca parte a fondare un seminario ad Albiate.Sono anni di vera miseria; i chierici si mantengono con le offerte delle partecipazioniai funerali in tutta la Brianza e padre Giuseppe fa la conoscenza con la sua maggiore«amica»: la Provvidenza, cui faceva continuo, assolutamente fiducioso ricorso e che ineffetti l'ha assistito quasi miracolosamente persino di fronte ai debiti più pesanti e allecambiali più rotonde.Ma contemporanemente padre Giuseppe è professore, economo, confessore, predica-tore. A dispetto della sua figura «alla mano», infatti, il sacerdote possiede una solidacultura e aggiornata: non per nulla, quando all'oratorio maschile di Lissone si fonderà ilcircolo giovanile Oriens, sarà proprio lui a tenere il discorso di apertura e poi ad essereincaricato dei giovani. La sua fede tradizionale e quasi spontanea non contrasta conuna mentalità decisamente aperta per i tempi. Ciò che gli conquista le simpatie giovanilie persino quelle di molti non praticanti, i quali parteciperanno numerosi al suo funerale.

Padre Giuseppe Airoldi legge il saluto

all’arcivescovo alla posa della prima pietra

Page 14: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

26

l'eroiSmoAlleGRo DeGli inizi

di lUiGi fARinA*

Ho vissuto intensamente i primi anni dellaparrocchia Sacro Cuore, in particolare dal1956 al 1975. I miei ricordi inizianoprima della costruzione della chiesa,quando i padri abitavano in una villettain via Marconi, vicino all'asilo Cagnola.

Conobbi padre Giuseppe Airoldi in occasionedelle missioni del 1958, perché predicava pressol'oratorio maschile San Luigi e mio papà miportò per sentir parlare un sacerdote semplice eschietto, le cui parole arrivavano direttamenteal cuore. La sua caratteristica in tutte le sue pre-diche, di tutta la sua vita, erano i finali: avevasempre impresso nella mente la sua prima messacelebrata sul luogo della nascita di Gesù e perlui parlarne era motivo di grande emozione,tanto che difficilmente trovava il modo di chiu-dere diversamente.Una domenica dopo la messa si parlava dell'ori-gine dei Betarramiti e mi invitò a casa per aiu-tarlo ad inserire nel Segno, la rivista diocesana,un foglietto specifico su Bétharram. Ebbi mododi conoscere gli altri padri: Giacomo Ghislan-

zoni, Marco Soroldoni, Luigi Spini e Ireneo Si-monetti, il quale mi prese subito a cuore e miaiutò anche con alcune ripetizioni di materiescolastiche.Padre Ireneo in un campetto vicino alla futurachiesa organizzava alcuni giochi, soprattutto ilcalcio, e prima ci faceva catechismo tutti sedutisu un terrapieno. Molti padri passarono per Lis-sone anche perché era la base adatta per poterfrequentare l'università a Milano. Ricordo conaffetto Angelo Bianchi, Albino De Giobbi, Giu-lio Forloni, Giuseppe Lietti, Domenico Can-ciani, fratel Luigi Giorgetti e molti altri (sonocirca 50) di cui conservo un caro ricordo. Infondo - chi più, chi meno - hanno determinatola mia formazione.Intanto si concretizzava il progetto della nuovachiesa, da edificare su un terreno che il cavalierCagnola mise a disposizione.Padre Giovanni Duca, appassionato proprietariodi bellissime motociclette, portava spesso padreGiuseppe sul luogo dove sarebbe sorta la chiesa:era un campo di granoturco che da via Palestrinaarrivava fino a via Carducci, interrotto solo dallacascina «Baia del Re». Elaborato il progetto de-finitivo si cominciò a cantierare l'area e si diede

il via allo scavo in corrispondenza dell'attualealtare. Il 28 aprile 1957 venne il cardinale Mon-tini e posò la prima pietra; poi subito iniziaronoi lavori.Padre Giuseppe era spesso in cantiere e già pre-vedeva, emozionato, il primo giorno in cuiavrebbe preso possesso della chiesa. Indicava anoi ragazzi il luogo dove sarebbe sorto l'altare,la facciata, le pareti laterali, il battistero, ecce-tera, e cantavamo assieme le lodi a Dio Padre ea san Michele Garicoits, fondatore della congre-gazione.Era appena stata completata la chiesa che ungiorno venne l'architetto Bernasconi, progettistae direttore dei lavori, con i conteggi dell'impresada lui controllati. Padre Giuseppe ci volle pre-senti per farci capire quanti soldi ci volesseroancora. Alla fine, dopo alcuni convenevoli, sol-lecitò fratel Luigi ad offrire un goccio di rosolio«speciale » che il padre aveva portato da Lour-des. L'architetto sorseggiava e padre Giuseppecommentava, indicandoci l'uomo capace di sop-portare questo forte liquore. Ma in effetti il ro-solio «speciale» l'avevamo bevuto noi ragazzicon la complicità di fratel Luigi, che poi l'avevasostituito con una mistura di gazzosa, liquirizia,rabarbaro e amaro: un intruglio imbevibile!I lavori terminarono e arrivò prima il giorno del-l'apertura al culto con il cardinale Montini, poiquello della consacrazione della chiesa con ilcardinale Colombo. Padre Ireneo prima e padreAngelo Pajno poi ci prepararono al cerimonialee alla messa. Padre Giuseppe era schivo ad ap-parire, ma si lusingava di avere dei bravi chieri-chetti: «Mi raccomando, Pajno con la i lunga,trattami bene i ragazzi!».Noi chierichetti eravamo stati dotati di nuove di-vise, io fui incaricato di portare il contenitoredell'acqua santa. Fu una cerimonia emozionante,

articolata dal maestro Pajno, e padre Giuseppeera entusiasta. Fu quel giorno che affibbiò apadre Angelo il nomignolo di «frinfrunari», chegli rimase affibbiato per sempre: in dialetto in-dica colui che «frinfrona», cioè emette suoni...Ricordo quando, alla messa di mezzanotte delprimo Natale con l'organo nuovo, padre Pajnosi stava lasciando coinvolgere dalla musica; epadre Giuseppe: «Vai dal frinfrunari e digli cheabbiamo incominciato alla vigilia di Natale, manon dobbiamo finire per forza all'Epifania!».Però nonostante tutto gongolava e si stimavaquando gli facevano i complimenti per il suo«frinfrunari»...Per raccontare la vita e le vicende della parroc-chia ci vorrebbe un volume, mi limiterò a qual-che aneddoto magari colorito ma che benidentifica la figura schietta e sincera di padreGiuseppe e la grande umanità che si respiravain quei primi anni. Ricordo per esempio la NotteSanta del 1964: avevamo preparato la rappre-sentazione vivente della natività, con san Giu-seppe e Maria in cerca di un alloggio dove farnascere il figlio. I due hanno già visitato diversialloggi ma nessuno ha dato loro ospitalità; ve-dono l'ultimo albergo, si avvicinano e bussanoalla porta (la porta era quella della sacrestia). Madall'altra parte colui che impersona l'oste, con-vinto che in chiesa non si sentisse abbastanza,amplifica il rumore con un martello! Padre Giu-seppe, incurante del microfono acceso vicino alui, mi ordina di intervenire e far smettere losciagurato che «gli stava distruggendo la chiesache non aveva ancora finito di pagare». Risatein tutta la chiesa, ma nel grande rispetto che tuttiavevano del padre e del suo carisma.Più tardi, una stella doveva guidare i pastori allacapanna. Era stato teso un cavo d'acciaio dallacapanna al matroneo, sul lato opposto. Il padre

Page 15: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

28“frinfrunari” aveva il compito di tagliare il na-stro che tratteneva la cometa e lo fece con ungrande gesto teatrale, come solo lui sa fare.Parte la stella, prende velocità e va a sbatterecontro la grotta: l'urto è deciso e la stella rim-balza indietro per una decina di metri, poi ri-prende la rincorsa, ribatte e la scena si ripete peraltre 4 volte finché - esaurita la rincorsa - rimaneappoggiata alla grotta. Partono i pastori e l'ap-plauso generale.Nuovo commento del parroco: «Dumàn saremsu tutti i giurnài e i francès ma mandaran via,vedrete» (padre Giuseppe temeva sempre i su-periori «francesi»). Però alla fine era così entu-siasta che abbracciò padre Pajno e offrì una fettadi panettone a tutti: chierichetti, figuranti e coro.Per la notte di Pasqua 1965 invece PeppinoMeani prepara un grande falò sul sagrato, com-plice il solito Pajno. Padre Giuseppe conduce laprocessione liturgica al buio, ma appena giuntosull'altare (e come sempre col microfono aperto)mi fa: «Luìs, va dal Pepìn e fagh smurzà il foch,se no ma ciapan per una del vial Zara!». («Luigi,

vai a spegnere il fuoco altrimenti ci scambianocon quelle del viale Zara»: e si riferiva alle pro-stitute che al tempo accendevano fuochi sullastrada vicina per attirare clienti...).Poi la prima messa in italiano, sempre nel 1965:il solito padre Pajno ha organizzato tutto, ha pre-parato anche i padri compreso padre Giuseppe,il quale volle che i chierichetti e in particolare ilettori fossero preparati in modo specifico. Iocon Walterina Ligarotti, Renato Maffeis e An-tonio Rampinelli frequentammo addirittura inCuria a Milano dei corsi appositi, con l'inter-vento di sacerdoti e tecnici fonici. Ma arriva ilgiorno fatidico: ultime raccomandazioni dipadre Pajno e via. Tutto fila liscio finché padreGiuseppe urta il leggio e tutto finisce a terra: ilmessale era tutto farcito di fogli provvisori ag-giunti, per cui si prefigura un disastro! Subito ilgiovane Pajno accorre e contemporaneamenteci chiniamo per raccogliere i fogli; ma la traiet-toria è comune e le nostri fronti si scontrano...Commento del parroco fu: «Tant ghè denternient» («Tanto sono vuote»)...

Un CAmPo Di GRAno CHe HA DAto

molti frUttiUn campo di grano con alberi da frutta e un cascinotto : me lo ricordo così il terreno doveora sorge la chiesa del Sacro Cuore.

Ero un ragazzetto delle elementari e da poco mi ero trasferito in un condominio lì vicino: il quartiereoltre la ferrovia, «da là dal punt» come lo chiamavano i lissonesi, cominciava a svilupparsi: qua e làspuntavano come funghi case, condomini, esposizioni di mobili.«Sai, pare che proprio lì costruiranno una nuova chiesa – si diceva – e verranno i Padri». «I Padri» aLissone erano i betarramiti, che da qualche anno abitavano in una villetta di via Marconi e svolgevanoil servizio pastorale nella parrocchia centrale. I primi che ho conosciuto sono stati padre GiuseppeAiroldi, padre Marco Gandolfi, padre Giovanni Duca, padre Ireneo Simonetti. Li vedevo in chiesa ein paese, qualche volta venivano nel nostro quartiere, magari per la festa della Madonna nel cortiledelle Case Fanfani, dove c’era una grande grotta di Lourdes.La chiesa la vedevamo crescere (troppo lentamente per noi), ne aspettavamo con impazienza l’aper-tura: «Quasi ci siamo - ci dicevano i Padri -; vedrete, sarà una chiesa diversa dalle altre, una chiesamoderna». Finalmente, dopo quattro anni di attesa, il 10 giugno 1961 il cardinale Montini la inaugura:inizia la vita della parrocchia del Sacro Cuore. È un momento di gioia e di entusiasmo per tutto ilquartiere, proprio com’era il clima di quegli anni Sessanta, gli anni del boom economico, e per laChiesa gli anni del Concilio Vaticano II ormai vicino.Dopo l’estate arriva in parrocchia padre Angelo Pajno, giovane sacerdote, e subito organizza il gruppodei chierichetti e soprattutto la Schola Cantorum divisa in due parti: i Pueri Cantores con tanto ditunica bianca e le Ceciliane, col velo bianco in testa: chi mai aveva sentito questi nomi? Il Concilio èvicino e vicina è la riforma liturgica; tira aria di novità anche in questo coro. Abituati ai canti tradi-zionali («T’adoriam Ostia Divina», «Noi vogliam Dio» e «Sacro Cuor d’amor ferito»…), padre An-gelo ci insegna i Salmi di Gelineau e i canti semplici di Damilano (chi non ricorda «La nostrainnocenza circonda l’altar» o «Ti Saluto o Croce santa»?) Ricordo ancora la prima messa cantata perNatale (ancora in latino), la messa di Caudana.Da allora nella parrocchia Sacro Cuore la liturgia avrà sempre una cura speciale. La chiesa era ancoraallo stato grezzo; mancava il pavimento e tante altre cose. I Padri stessi dormivano in sacristia, in undormitorio di fortuna, ma c’era tanto entusiasmo, tanta voglia di fare. Il quartiere «da là dal punt»aveva ormai il suo punto di riferimento, il suo centro, ed era la parrocchia del Sacro Cuore.Dal quel lontano 1961 quanta acqua è passata sotto i ponti! Il quartiere è cresciuto; è stata costruitala casa dei Padri, l’oratorio per le attività parrocchiali. Quanti Padri sono passati in questa parrocchia(impossibile ricordarli tutti). La vita di questi sacerdoti, quasi tutti giovani che vivevano in comunità,con molta semplicità ha attirato la simpatia della gente del quartiere: per noi i Padri erano dei sacerdotiun po’ differenti dagli altri, persone alla mano, amici, gente quasi di famiglia. Sarà forse per questoche qualche ragazzo del quartiere ha deciso di entrare nello loro comunità e di lavorare per la Chiesasecondo il loro stile. Io sono uno di questi.

Mario Giussani, betarramita lissonese

La corale parrocchiale “Perosi” in trasferta

a San Pietro nei primi anni Settanta

Page 16: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

30

Un'oPeRA fiGliA DellA PRovviDenzA

Posso dire di aver assistito alla nascita di questa chiesa che mi sta sempre «acuore». Non per vanto, ma partecipai a tutti gli eventi principali di questa amatachiesa ove presi stabile dimora nell'ottobre 1961 per la sagra di Lissone sino alsettembre 1986, gli ultimi 13 anni come parroco.Padre Giuseppe mi chiamò per la liturgia e per il canto sacro (mi mandò anche perdue anni a frequentare un corso di aggiornamento a Milano, eravamo all'epoca delConcilio e della prima messa in italiano) e così - sotto l'egida di un manico di scopacome bacchetta - diedi inizio a un piccolo coretto di sette ragazzi che accompagnaronola messa solenne delle 10: il primo canto fu «La nostra innocenza circonda l'altar». Daquel giorno pian piano il gruppetto si ingrandì, divenne coretto S. Cecilia («Ceciliane»furono dette le coriste che ottennero di entrare). Poi divenne la «gloriosa » corale LorenzoPerosi, che continua anche oggi il suo ministero sacro col canto liturgico.Padre Giuseppe, il parroco, voleva che noi – allora giovani sacerdoti – lavorassimosodo nel ministero, perché altrimenti «stasira ve volti el piatt!» («Vi lascio senza cena»).Quando venni a Lissone, mi disse subito: «Tu, padre Angelo, andrai a trovare i malati,a benedire le case, seguirai le cerimonie in chiesa e porterai nelle case il bollettino par-rocchiale con la cassettina per le offerte. Intanto io vado a cercare la Provvidenza». Laquale – lo testimonio di persona – non è mai mancata, tanto che posso dire: la chiesadi Lissone è un miracolo della Provvidenza.Ricordo quando padre Marco Gandolfi ideò di dotare la chiesa delle artistiche vetrateche corrono lungo il matroneo; si voleva procedere alla consacrazione della chiesa epadre Marco voleva che fosse completa e finita con arte. Ci furono momenti di scontro- per così dire - tra lui e padre Giuseppe. Padre Peppino a tavola alzava la voce in dia-letto: «Sculta, gh'è temp per faà i vedrad e tuti i ropp che te voret fa, ma prima gh'è idebit de pagaà!» («Ascolta, per fare le vetrate e tutto il restoche vuoi, c'è tempo; prima bisogna pagare i debiti»). Padre Marco non cedeva, rispon-deva che la Provvidenza ci avrebbe pensato e andò avanti imperterrito. Anch'io fui chiamato a dare la la mia piccola collaborazione a quella Biblia pauperum.Padre Marco mi chiamò e mi disse di cercare nella Bibbia 12 episodi dal Primo Testa-mento e 12 dal Nuovo Testamento per illustrare l'Amore infinito del Cuore di Gesù... Illavoro mi costò una settimana di ricerca, corredata poi dai passi biblici che avrebberoillustrato le vetrate. Gli episodi piacquero a padre Marco e una volta in opera le vetratecon i commenti biblici furono pubblicati sul settimanale locale. A opera finita, padre Ai-roldi fu anche lui contentoPoco più tardi, come animatore liturgico e musicale, tentai anch'io di giocare la cartadell'organo nuovo per il giorno della consacrazione e con timore chiesi udienza a padreGiuseppe: «Anca ti adès te se metet col padre Marco? Se te voret l'orghen, questa l'èla porta: fa' cumé mi, tirà su la bursa e va in gir a cercà i danée, anca dai to parent!»

(«Adesso ti ci metti pure tu? Se vuoi l'organo, fai come me: prendi la borsa e mettiti ecercare i soldi, compresi i tuoi parenti!»). Riuscii a racimolare la metà del costo - eragià qualcosa - e padre Peppino non volle deludermi: l'organo Balbiani infatti arrivò e ilnostro confratello padre Mario Soroldoni, diplomato in organo, poté tenere il concertod'inaugurazione la sera della consacrazione della chiesa il 12 giugno1966. Quellasera padre Giuseppe mi disse di tenere aperta fino a tardi la chiesa per i numerosi vi-sitatori e mi consigliò di sonorizzare la visita con brani di organo; mi ricordo che hosuonato per ben tre ore, ho fatto onore al mio maestro padre Mario di cui fui alunnoautodidatta.Sta ormai per scoccare il 50° della chiesa e vorrei terminare contemplando il crocifisso.Mi ricordo che mio padre Nicola, vedendo il Crocifisso di Lissone con quel volto e so-speso a quell'altezza sopra l'altare, aveva commentato: «Quel Signor lì l'è el Bernardùnde Sourich, sono le facce dei lavoratori di una volta, che portano il segno dell' offertadi se stessi per gli altri». Né posso dimenticare un fatto che si raccorda al mosaico col-locato nel presbiterio e al tabernacolo; in quell'epoca andavo ogni sera a portare unsecchiello di minestra calda al mio amico Luigi Casiraghi, di là del viale Zara, e unavolta gli presentai anche il progetto di padre Francesco Radaelli. «P. Angelo, speta. Alriva prest el moment, quant el cousta?» . Io gli dissi la cifra. «Ven chi tra vott dì». E dopootto giorni il mosaico era possibile e così il tabernacolo. Organo, mosaico, tabernacolo: musica sacra, parola di Dio, eucaristia.

Angelo Pajno betarramita, già parroco al Sacro Cuore (1973-1986)

Il maestro padre Angelo Pajno

dirige la “sua” corale

Page 17: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

32

Padre Giuseppe aveva un pensiero fisso: i suoigiovani. Appena sentiva voci di malumore tranoi, faceva il possibile per organizzare una riu-nione per sentire i motivi e intervenire nel mi-gliore dei modi. La sua grande generosità e lafiducia nei giovani si identifica nei fatti concreticome l'oratorio comune e non diviso fra maschie femmine; ed erano appena finiti gli anni in cuial cinema dell'oratorio e in chiesa una tenda lon-gitudinale divideva i maschi dalla femmine! In-vece - dopo vari incontri, chiarimenti e promesse- padre Giuseppe diede il suo permesso per or-ganizzare una gita sulla neve in comune.L'importante era comportarsi con dignità e par-tecipare alla messa, che fu celebrata alle 5 delmattino prima della partenza. Il fatto fu moltodiscusso in paese e credo che padre Giuseppeebbe qualche problema, ma tutto andò bene. Cidiceva spesso: «Io non sono un'agenzia matri-moniale, ma se dovesse essere è meglio che viconosciate in oratorio che non in altri luoghi».Molti di noi hanno fatto la morosa e si sono poisposati e tuttora vivono nella parrocchia e ricor-dano sicuramente quei momenti così felici trascorsi assieme nell'ambiente betarramita.Padre Giuseppe nella sua semplicità tradizio-nale fu un precursore del Concilio. Ad esempiochiamò un adulto e due o tre giovani a parteci-

pare alle riunioni economiche della parrocchia.Diceva sempre: «Spero di farcela perché il su-periore generale mi ha detto: “Padre Giuseppe,non si avventuri in spese che non riesce poi aonorare, perché in tal caso dovrà fare le valigiee andar via da Lissone”; ma io ho la Provvi-denza dalla mia parte!». La sua generosità nonaveva limite, uomo di fede profonda e profon-damente sicuro nell'aiuto della Provvidenza ciraccoglieva spesso in preghiera rivolgendocialla Madonna di Lourdes, a san Michele, alSacro Cuore e alla Divina Provvidenza.Mi diceva: «Bisogna aver fede e tutto si si-stema. Ti sei mai chiesto perché noi preti por-tiamo vesti lunghe fino ai piedi? Pernascondere le tasche interne». E, affondandole mani in una di esse, tolse un salamino che cioffrì, pregandoci però di non farci vedere dapadre Marco Gandolfi, ché altrimenti sarebbestata una tragedia.La sua semplicità e generosità, così come lafede nel Sacro Cuore e nella Provvidenza, nehanno fatto un grande uomo, degno di essere ri-cordato nel migliore dei modi, soprattutto oggiche riposa nella chiesa che con tanti sacrifici hafatto sorgere. Così bella, intima e nostra qual èla parrocchia Sacro Cuore di Gesù.

*laico betarramita

i solDi Del

mirAcolo nAsCosti nelle CAlze...

di fRAnCesCo RADAelli*

Non trovo difficoltà e imbarazzo a scri-vere queste brevi memorie perché le horicevute, in varie circostanze, dallo stessopadre Giuseppe Airoldi, su come equando un «sogno» si è realizzato: la na-scita della parrocchia Sacro Cuore.Sogno, ho detto, realizzato da padre Giu-seppe. Sofferenze e difficoltà hanno ac-compagnato tutto l’iter del progettotanto voluto ed amato: come recuperarei fondi necessari, l'iniziale poca fiduciada parte dei superiori della congrega-zione, poi tanto felici e riconoscenti versoil fondatore dell’opera... Ma come luistesso, grande uomo di fede, soleva ri-petere: non nasce e avviene nulla senzala croce!

Ne era certo di quello che diceva: era fruttodell’esperienza personale vissuta, prima con laforza di volontà e il duro lavoro di aiuto car-rettiere di materiale edilizio, a guadagnarsi isoldi per studiare e conseguentemente farsi re-ligioso e sacerdote dei padri del Sacro Cuore,poi dalle enormi fatiche, durante la guerra, perprocurare e portare ai seminaristi cibo e vestia-rio. Non si perdeva mai d’animo padre Pep-pino, la sua forza stava nella piena fiducia enell'abbandono alla Divina Provvidenza. Fidu-cia che ha comunicato a tutti, seminaristi epadri della famiglia italiana, con l’invito a re-citare tutti i giorni «Provvidenza divina prov-vedeteci voi» con costanza ed impegno.E la Divina Provvidenza gli ha permesso di al-leggerire e poi superare le difficoltà nel recu-perare i fondi necessari per l'opera lissonese.Quante famiglie, mamme e giovani che - co-noscendo e apprezzando la sua umanità e laforza dello Spirito che possedeva - gli sono ve-nute incontro con piccoli oboli ma anchesomme importanti, che sono continuate fino adopera compiuta. Persona di umanità non co-mune, unita a una semplicità disarmante e al

Prima comunione anni Sessanta vista dall’alto

Page 18: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

34

senso pratico, si rendeva aperto e disponibileverso tutti indistintamente, partecipe a gioie edolori di chi ricorreva a lui e per questo amatoe accolto con simpatia.Pur nelle difficoltà economiche che lui stessoaveva, non rifiutava mai di donare a chi si ri-volgeva a lui per bisogno. Ricordo in modoparticolare i giovani in difficoltà, soggiogatidalla droga, apparsa proprio in quel tempo edilagante anche a Lissone; padre Giuseppe nonallontanava mai nessuno a mani vuote perchésoleva dire che «è dando che si riceve sempreil doppio di quello di quello che si dà». Si ca-pisce allora il motivo profondo che conducevaun uomo così fatto ad avere quasi connaturalel’apertura all’altro, il senso dell’accoglienza edella disponibilità, del fare del Cuore di Gesùla forza portante del suo intero vissuto, dellasua missione di religioso, sacerdote e pastore.Ai padri che lo coadiuvavano nel ministeroparrocchiale suggeriva con insistenza di ope-rare col «cuore in mano», non facendo diffe-renze con nessuno perché ogni persona era unacreatura da amare e aiutare. Aveva lui stessoun cuore grande e sempre aperto alla vita! Nona caso ha voluto dedicare la parrocchia al SacroCuore, anima e centro della vita di ogni fedele,volendo pure che la stessa struttura architetto-nica esprimesse le caratteristiche del Cuore diCristo: accoglienza, disponibilità, tenerezza…All’entrata della chiesa, ci fossero come «duebraccia aperte» e l’aula fosse ampia e spaziosa,invitante verso la sontuosa area del presbiterio,in segno di accoglienza e di apertura alla vita,esprimendo il detto evangelico: «Venite a mevoi tutti che siete affaticati e oppressi, io vi ri-storerò» (Mt 11, 28).Ai suoi superiori, dubbiosi su quanto volevarealizzare, ha risposto con i fatti, dimostrando

che quanto pensava di iniziare era semplice-mente non la sua volontà ma un progetto diDio espresso dalla Provvidenza. La consola-zione grande della sua fede incrollabile l’ha ri-cevuta dallo stesso superiore generale dellacongregazione, padre Mirande, il giorno del-l'inaugurazione: «Questa magnifica chiesa èdovuta alla grande generosità della popola-zione laboriosa e cristiana di Lissone ed ancheagli sforzi sovrumani, ai sacrifici e alla fiduciaostinata di qualcuno che non nomino, perchémi sentirebbe, ma che d’altronde qui tutti co-noscete».Lo stesso arcivescovo cardinal Montini nellastessa occasione, all’omelia, esprimeva la pro-pria riconoscenza: «A padre Giuseppe Airoldi,che credo sia l’operatore che più ha faticato percondurre a termine quest’opera bellissima,dico grazie, grazie».Padre Giuseppe voleva che il Cuore di Gesù siesprimesse ed operasse la sua misericordia nelcuore stesso della Brianza laboriosa, dive-nendo l’attrattiva dei fedeli lissonesi; sicura-mente forse nessuno sa che il suo desiderio,confidatomi più volte, era di erigere un vero eproprio santuario dedicato al Sacro Cuore, egrande è stata la sua delusione quando la Curiadi Milano si è rifiutata di assecondarlo.L’attenzione soprattutto ai ragazzi e ai giovanidella parrocchia era grande, per questo egli vo-leva che ci fosse un padre che si dedicasse atempo pieno all’oratorio, avvicinando cosìanche i genitori. Nel grande terreno antistantel’abitazione della comunità dei padri aveva dis-seminato centinaia di medagliette con l’effigiedella Madonna Miracolosa, della quale eramolto devoto, perché compisse il miracolo dipoter realizzare l’asilo per i bambini, andandoincontro ai bisogni delle mamme lavoratrici

nelle numerose industrie del mobile che sta-vano sorgendo.Ricordo a questo proposito un particolare chemi aveva tanto colpito: dopo il bagno settima-nale che lo aiutavo a compiere, conducendominella sua camera, alla richiesta di aprire i trecassetti dell’armadio, mi sono trovato di frontea diverse paia di calze di lana tutte arrotolate.Srotolatele ho constatato con meraviglia la pre-senza di parecchi bigliettoni da mille lire benoccultati nelle calze… Lui con semplicità,unita a tanta soddisfazione, accompagnata dauna bella risata, mi ha confessato che erano i

soldi messi da parte in previsione della costru-zione dell’asilo, da dedicare alla Madonna Mi-racolosa!Purtroppo la morte non gli ha permesso di rea-lizzare anche questo sogno. È rimasto a noi co-munque l’esempio di un uomo, religioso,sacerdote e pastore che insegna anche oggi adogni uomo che abbandonandosi con fiducia,costanza e speranza a Dio, Creatore e Padre,che può tutto, un’immensa forza può dareanche a noi capacità di realizzare ciò che sem-bra impossibile.

*betarramita, a Lissone dal 1968 al 1985

lA lUnGA stoRiA Di Un Asilo «mAnCAto»

L'asilo! Se ci fu un cruccio nell'ultima parte della vita di padre Giuseppe Airoldi, ful'impossibilità di costruire un asilo parrocchiale, lasciando così – a suo parere – in-completa l'opera lissonese. I parrocchiani più antichi sanno benissimo quante volteil padre Peppino (ma anche padre Angelo Pajno), dicendo talvolta il rosario o il bre-viario passeggiando avanti e indietro presso il prato dietro la casa canonica, ci but-tavano dentro qualche medaglietta della Madonna o del Sacro Cuore, perchépropiziassero finalmente l'acquisto di quel campo!Oggi il terreno è un giardinetto comunale e probabilmente è meglio così, visto la ca-renza di spazi pubblici di relax nel quartiere. Ma all'epoca padre Giuseppe ci tenevaproprio; aveva concepito infatti la sua parrocchia come quelle brianzole dell'epoca,completa di tutto, con preti e suore (per l'asilo e la gioventù femminile), spazi per i ra-gazzi e altri per le ragazze. Solo che... quegli spazi non c'erano! A tutt'oggi, del resto,il Sacro Cuore è la parrocchia lissonese più penalizzata da questo punto di vista.I documenti ci attestano degli sforzi di padre Peppino per venire in possesso di quel-l'appezzamento di terreno. Alcuni suoi appunti autografi senza data testimoniano delle

Page 19: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

36

insistenze scritte presso il Comune per ricevere in dono quello spazio: «La posizionereale della parrocchia Sacro Cuore in Lissone è questa: monsignor Maini, avvocato diCuria, mi promise il terreno per l'asilo e per il centro sportivo femminile. Venne la suamorte e non se ne fece nulla, tanto a Milano, quanto a Lissone. Allora mi rivolsi al signorSindaco ed ebbi una lusinghiera risposta in favore. Indi mi fu detto di sì per il terrenodell'asilo - ed il resto a pagamento. Sarei lieto che loro patrocinassero questa soluzionecol terreno dell'asilo, ed in più la permuta del terreno, regalato per la piazza dal Centrodel Mobile e dal signor Arosio Orlando».Padre Giuseppe era un uomo pratico e si preoccupava anche di suggerire ai politici lo-cali alcune soluzioni, prevedendo anche l'«opposizione della minoranza»: per esempio,la parrocchia aveva ceduto al Comune la porzione del sagrato e della strada, quindisi sarebbe potuto scambiarla con un pezzo per l'asilo... «Esempio San Giuseppe arti-giano: piazza permutata. Lo stesso sarebbe per il Sacro Cuore... (Il Comune di) Lissoneha debiti, è vero, ma non sarà questo sforzo che la manderà in rovina. Sua Eminenzainvita, parlando delle nuove chiese e opere parrocchiali, i Comuni ad aiutarle, perchéè come una scuola di formazione, morale e culturale, eccetera».E ancora, in un altro promemoria: «Sostituire la piazza con un altro pezzetto di terreno,per rendere effettiva la prima donazione in favore della gioventù, verso la quale un po-vero parroco, circondato dal viale Zara coi suoi scandali, si dibatte per sottrarla almale. Il mio intento di adoprarmi per la prima infanzia della mia gioventù è privo dimezzi che mi sarei anche giustamente aspettato in Lissone, e che non vennero. Mi sonoe mi rivolgo ancora al Comune, tramite la sua insigne persona signor sindaco, per poteressere compreso e sentirmi sostenuto in questa ardua missione, per risolvere questo do-loroso problema che deve ridondare a vantaggio dell'infanzia e prima gioventù delquartiere più tremendamente esposto al male. Faccio appello alla loro coscienza di cri-stiani, di superiori e di reggitori della cosa pubblica, perché – nonostante le difficoltàdei debiti del Comune, vogliano venirmi in aiuto coll'assegnarmi i duemila metri perl'asilo più un compenso – non preteso, ma utilissimo – per la piazza, e dare spazio digiochi a questi bambini in 3500 mq, pensando che una buona parte verrà utilizzata astrada, specie per quella larga 16 metri»...In effetti, nell'aprile 1966 le cose sembravano a buon punto: il quaderno della comunitàbetarramita annota il verbale di una riunione in cui si comunica che «il Comune di Lis-sone dà 2000 metri quadrati di terreno, il resto va da noi acquistato per 19 milioni dilire»; già si progetta di chiedere un mutuo alla banca e si ottengono i necessari permessidai superiori. Ma a settembre un'altra nota avverte: «Il terreno dell'asilo non è ancoraa posto», poi l'argomento non compare più. Niente da fare, insomma: alla fine il terrenonon è arrivato e l'asilo nemmeno.

fRUtto Dell’ARte e Dello

Spiritodi viRGiniA fRisoni*

Devo fare una premessa, necessaria percapire l’importanza dell’incontro di una ra-gazza impegnata negli studi di arte, reli-gione e psicologia, con un padrebetarramita filosofo e teologo, con la caricadi superiore provinciale della sua congre-gazione in Italia. Sto parlando di me e dipadre Mario Gandolfi e siamo negli anniSessanta.

L’incontro con padre Marco, uomo paziente emite all’apparenza ma vulcanico e ricco di progettiche sapeva portare a termine con grande costanzae rigore, ha segnato l’inizio di una collaborazioneintensa, durata 5 anni, per la realizzazione dellaparte artistica della chiesa del Sacro Cuore di Lis-sone. Progetto ambizioso e nello stesso tempo au-dace perché implicava uno studio approfonditodell’animo umano, sempre alla ricerca di Dio.I padri betarramiti, sull’esempio di quel grande

personaggio che è stato san Michele Garicoits,hanno fondato una comunità di aiuto al prossimocon alla base una piccola parola: «Eccomi!».L’«ebed», il «fiat» della Vergine; l’«ecce adsum»(«Presente!») di Abramo. Il fondatore dell’istituto,contadino rude e pio, radicato nella vita e nellaterra ma attratto dal cielo, per certi versi mi ricor-dava padre Gandolfi: anche lui montanaro (era diBormio) e ascetico nel profondo, all’apparenzaumile sempre ma alla ricerca e all’approfondi-mento costante del suo Dio.Per realizzare il suo progetto artistico l’ho visto lot-tare ogni giorno contro i problemi economici cheassillavano la comunità, le esigenze di affrontaregli ingenti costi della costruzione e la difficoltà perdiffondere e far accettare la nuova fondazione inuna periferia lissonese. Inoltre, all’interno della co-munità religiosa, incontrava difficoltà a far accet-tare il disegno dell’insieme dei programmiesecutivi, del sottoporre agli altri membri un’operagrandiosa nel suo complesso e la necessità di nonfrazionare le rappresentazioni sacre cercando unasemplificazione, che sarebbe stata nociva all’in-

Il terreno su cui sarebbe dovuto

sorgere l’asilo parrocchiale

Page 20: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

38

sieme del discorso biblico ed evangelico.Tutti questi ostacoli, difficili da quantificare oggi,avrebbero potuto togliere o sminuire l’entusiasmodell’idea primaria, da realizzare nella sua interezzaper rendere lo spazio sacro, contornato dallo spi-rito del Cristo e dalla saggezza degli antichi sa-pienti. Secondo padre Marco, lo spazio – costruitoad arte – doveva infatti indicare un percorso ini-ziatico e spirituale per il fedele, attraverso la vi-sione figurativa delle vetrate e della meditazionea cui avrebbero richiamato. Il fedele, entrando dalportale centrale e camminando verso l’altare, do-vrebbe sentirsi avvolto da un flusso crescente,come un’onda, che lo accompagna verso il grandeCristo sofferente e offerente in rame sbalzato,posto in alto sopra l’altare e al centro focale deltamburo in vetrate della chiesa stessa.La periferia di Lissone all’epoca era abitata da ar-tigiani, uomini pronti al lavoro, immersi costante-mente e faticosamente nelle loro attività; ibetarramiti si proponevano, con fede profonda esemplice, di accostarsi a loro e di guidarli spiri-tualmente. Non dev’essere stato facile per padreMarco e per la piccola comunità affrontare queifedeli, allora poco istruiti e dediti alle proprieopere artigianali come ad una «religione» le cuicostanti erano molte ore di fatica e poco tempo peralzare la testa dal banco di lavoro.Forse per questo motivo mi venne proposto di rea-lizzare un complesso artistico che nascondesseuna didattica religiosa, una sorta d’illustrazioneper chiarire alcuni concetti cristiani come si rea-lizzavano le «bibbie dei poveri» nel Medioevo ogli affreschi nelle chiese del Rinascimento. Nellostesso tempo, però, risultò vincente la scelta diusare nel ciclo iconografico i volti di persone vere,lavoratori ed esattamente contadini abruzzesi.Avevo infatti appena trascorso un anno come in-segnante di educazione artistica nelle scuole di

Celano, nella piana del Fucino, e lì avevo fattopratica disegnando dal vero le persone che incon-travo: il parroco e il pastore, il contadino e la vec-chia... Ero poi tornata a Lissone con una valigia didisegni, che mi sono tornati preziosi nel lavoro alSacro Cuore: la copia «dal vero», infatti, ha il po-tere di agganciare le realtà dello spirito alle imma-gini della storia. Si tratta anche di uno dei dettamiprincipali del Concilio, che allora era appena con-cluso: l’unione tra il messaggio sempre uguale delVangelo e il mondo moderno, così come si pre-senta oggi ai cristiani.Quando padre Marco venne nel mio studio, una«bottega d’arte» nella piazza di Lissone, attiratodal dipinto di una Sacra Famiglia che avevo espo-sto in vetrina, e mi propose la realizzazione di uncomplesso artistico tanto vasto e impegnativo(120 metri quadri di vetro prezioso, soffiato e aci-dato in alcune composizioni, legato a piombodopo essere stato coperto di piombo liquido percreare le sfumature), non dormii per parecchienotti, pensando alle difficoltà e ai tempi di realiz-zazione. Ero infatti una giovane diplomata, ap-pena uscita dall’accademia di Brera, e non avevomai realizzato vetrate...Lo guardai come un folle, conscia dell’enormeproblema che mi poneva, e mi vennero moltidubbi. Alla fine però mi convinsi che insieme,unendo le nostre due «follie», avremmo potutotentare. E iniziammo l’impresa con una sonora ri-sata (quelle in cui padre Gandolfi era un maestro)e – subito dopo – con una profonda preghiera.Ora, a distanza di mezzo secolo, penso che padreMarco sia stato un personaggio profetico per il suoazzardo, carismatico e propulsore di nuove idee:per me, per la chiesa del Sacro Cuore e per tuttala sua congregazione.

*artista, realizzatrice delle vetrate della chiesa del Sacro Cuore a Lissone

PADRe mARCo: il viAGGiAtoRe

Delle AnimeScherzando, si diceva che sarebbestato capace di trovare un santuariodella Madonna persino al Polo Nord,pur di avere il pretesto per andarci...Padre Marco Gandolfi era in effettiun gran viaggiatore: ancora a 80anni organizzava e guidava apprez-zate spedizioni a Lourdes, a Gerusa-lemme o da padre Pio. Un'aperturaal mondo che non corrisponde certoall'immagine classica del «monta-naro» (era nato a Bormio nel 1919)un po' chiuso che siamo abituati araffigurarci.

In effetti padre Marco Gandolfi si faceva apprezzare proprio per il contrario: il risoschietto, la parola calda, la fiducia sempre aperta, unite a spiccate doti spirituali eumane, ottimamente espresse soprattutto quando fu l’animatore dell’iniziale «Gruppoconiugi» della parrocchia Sacro Cuore. «Padre Marco sapeva esprimere l’entusiasmoper la vita», ha testimoniato il confratello Giulio Forloni: e davvero la sua attività di sa-cerdote robusto e dalla salute «scandalosa» - come lui stesso annotava negli ultimi tempi– è stata notevolissima. «Padre Marco sembrava aver fatto voto di non perdere nem-meno un minuto», ha detto nell’omelia dei funerali il successore padre Davide Villa. Dagli anni dello studio, passati in seminario a Colico e poi in Francia e Palestina (rice-vette l'ordinazione sacerdotale a Betlemme nel 1944) con il conseguimento di due lau-ree, in teologia a Roma e in filosofia alla Cattolica, ai tempi duri del lancio deibetarramiti in tutto il Nord Italia e all'insegnamento nel seminario teologico di Albiate,alla fondazione della chiesa del Sacro Cuore di cui fu uno dei protagonisti: padre Gan-dolfi è stato un personaggio centrale nella storia della sua piccola congregazione, unmanager efficiente che ne ha promosso l’espansione soprattutto negli anni Cinquantae Sessanta, quando ne fu per ben 18 anni il superiore italiano, prima di diventare daglianni Settanta anche assistente generale a Roma per altri 12.

Page 21: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

40

Carattere forte, abituato a decidere e dunque anche a qualche scontro, forse la veraumana grandezza di padre Marco si è vista però nei momenti in cui non occupava leposizioni di prestigio che spesso il dovere gli aveva richiesto. Per esempio negli annitrascorsi alla sua diletta Caravina, dove tramutò quello che poteva sembrare un «esilio» in un angolo appartato del lago di Lugano in occasione per rilanciare le attività del lo-cale santuario mariano: costruì infatti la nuova casa parrocchiale, organizzò – mancoa dirlo - un folto giro di pellegrinaggi, accrebbe la sua attività di predicatore, di orga-nizzatore di viaggi culturali e spirituali. Così pure nella terza età seppe tornare semplicemente e senza frustrazioni «nei ranghi»,adattandosi in posizione di servizio nella stessa parrocchia di Lissone che l’aveva vistotra i primi responsabili, «riciclandosi» con intelligenza e con discrezione, senza farombra a nessuno, in utilissimi e preziosi impegni: da visitatore assiduo dei malati a ca-techista degli anziani; da cappellano del gruppo del Rinnovamento nello Spirito a con-fessore indefesso. In effetti, oltreché tonante e appassionato dal pulpito (famose le sue colorite omelie delsabato o della domenica sera), il Sacro Cuore lo ricorda soprattutto in due immagini,così frequenti di lui: seduto in confessionale ad attendere con larghezza di misericordiai penitenti, oppure rivestito di una tunica bianca in fondo alla chiesa a esercitare il «ser-vizio della cordialità» col salutare personalmente e stringere la mano ai molti fedeli allafine delle messe, ogni domenica.Sorridente: perché anche questa fu una caratteristica costante di padre Marco; nono-stante l’intensa attività (che avrebbe potuto anche sfociare in attivismo) e le responsabilitàgravi rivestite, padre Gandolfi era un sorridente, godeva delle compagnie numerose eallegre, ma nello stesso tempo sapeva stringere e coltivare amicizie che lasciavano unsegno nello spirito. «Sono un sacerdote felice», disse dal pulpito il giorno in cui lo fe-steggiavano per il 55° di ordinazione: «Ho un solo timore: che, arrivando al redde ra-tionem dell’aldilà, qualcuno mi dica che ho già ricevuto in terra la mia ricompensa»…

Quanti laici e quanti preti hanno “pedalato”

felici per la parrocchia in 50 anni!

Anno Battesimi Cresime Matrimoni Defunti1961 27 - 7 51962 47 54 23 151963 57 56 25 111964 63 51 27 251965 75 49 16 261966 59 58 19 171967 56 52 32 191968 63 58 22 261969 67 58 20 291970 63 55 27 351971 84 47 23 231972 69 55 27 181973 61 60 20 261974 60 70 30 171975 50 57 29 271976 62 55 18 261977 38 60 18 301978 39 65 25 311979 34 62 17 301980 26 67 18 211981 35 75 12 261982 13 63 11 151983 19 56 10 371984 28 35 14 171985 9 45 16 241986 25 46 12 201987 20 30 19 271988 17 50 15 231989 21 39 17 241990 39 24 20 201991 36 32 17 241992 32 28 12 211993 20 30 13 241994 48 25 10 251995 42 25 12 191996 29 33 12 261997 37 26 6 181998 34 32 7 241999 36 26 8 232000 27 24 10 262001 38 25 2 182002 36 51 10 322003 41 37 11 302004 42 44 5 302005 41 32 8 222006 36 47 8 202007 48 36 5 312008 48 46 8 292009 38 49 9 232010 48 36 4 29TOTALE 2083 2236 617 1066

i n

Um

eR

i D

i U

n P

oP

olo

Page 22: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

42

Al sACRo CUoRe il mosAiCo DellA

fede di tinUCCiA nAvA GeRosA

Il primo approccio con la comunità dei padri delSacro Cuore a Lissone è stato l’inizio del cate-chismo di nostra figlia: non si poteva chiedere alei di partecipare alla messa senza da parte no-stra dare l’esempio. E così, con discrezione. co-minciavano i nostri primi passi in parrocchia.Siamo stati avvicinati dal mitico signor Meani,il quale alla fine di una celebrazione ci disse:«Vi vedo sempre nelle prime file con le vostrebambine, siete una bella famiglia, ma perchénon fate più parte attiva in parrocchia?». Belladomanda. Cosa rispondere a un invito così dolcema perentorio? Cosa rispondere quando unapensava che chi era vicino alla chiesa dovevaavere un certo livello culturale oppure unabuona posizione patrimoniale?La cosa comunque cominciava ad incuriosirmi.Che male avrebbe potuto venirmi? In definitivafacevo sempre in tempo ad allontanarmi comeera già successo altre volte. Poi è giunto l’invitodi partecipare al cineforum che veniva tenutonel salone del cinema e, poiché a me i film piac-ciono, ho colto l’occasione al volo. E da questomomento inizia il mio cammino nella fede. Ilprimo tassello del mosaico. Importante in questascelta è stato anche entrare, da parte di mio ma-rito e delle bambine nella Corale Perosi, (la sot-

toscritta invece non l’hanno voluta!). Il secondotassello del mosaico.Ricevo dai padri le prime nozioni della fede:«Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio nonpuò far frutto da se stesso se non rimane nellavite, così anche voi se non rimanete in me: Iosono la vite e voi i tralci». «Cancella il pensieroerrato e inizia il tuo cammino con fiducia: vivibene la tua vocazione battesimale»... Il terzo tas-sello del mosaico.Non passa molto tempo che mi giunge un’altrarichiesta: perché non diventare catechista? Io ca-techista?!? Una che non sa neanche come tro-vare i versetti nella Bibbia? Ero proprio digiunadi tutto. Però mi piacciono le cose nuove e dabuona incosciente inizio gli incontri settimanalidi preparazione. Per paura che qualcosa misfugga negli insegnamenti, riscopro la stenogra-fia e con i ragazzi riporto esattamente le paroleche mi venivano dette; avevo nel cuore la pauradi dire il mio di Vangelo e non quello vero. «Serimanete in me e le mie parole rimangono in voi,chiedete quel che volete e vi sarà dato. Se os-serverete i miei comandamenti, rimarrete nelmio amore».Seguono 34 anni di cammino come catechista.Osservare la sua parola non lo sentivo più come

obbligo, un peso, ma il modo migliore per vi-vere la mia vita in famiglia e nella comunità.Voglio esprimere la gioia che provo quandovengo salutata da quei ragazzi che ora sonoadulti e di cui il più delle volte non riconosco ilvolto, sono troppo cambiati, sono uomini edonne; ma il nome no, quello non lo dimentico. Non posso tralasciare l’esperienza dei cam-peggi, vissuti in seconda persona ma piena-mente condivisi; l’oratorio feriale e quellodomenicale, tanti problemi ma anche tante sod-disfazioni; l’esperienza di Taizé, un momentoche ha lasciato il suo segno indelebile; il gruppomissionario, importantissimo. Altro momentodi crescita sono stati i gruppi famiglia: ti rendiconto di avere tanti amici con i quali condivi-dere la vita di fede ma anche la vita pratica conle gioie e le tristezze di una famiglia. Quarto tas-sello del mosaico.E adesso voglio scrivere il mio ringraziamento

a tutti i sacerdoti che in questi anni mi hannoaiutato a crescere, anche per la loro vicinanzanei momenti di smarrimento, nei momenti deldolore ma soprattutto per le cose piccole, nor-mali e quotidiane. Per concludere vorrei am-pliare lo sguardo al di là del mio ambitopersonale, vorrei dire che l’insegnamento co-stante che ci viene dai padri e le nostre risposteci portano ad attuare il progetto che Dio ha suciascuno di noi. Proviamo a fidarci di lui, delsuo progetto perchè:ci rende capaci di percorrere le sue vie,ci rende capaci di essere amici tra di noi,ci rende consapevoli dei nostri errorici sostiene nel nostro impegno,ci apre il cuore alla preghiera, al dialogo, all’im-pegno di dare alla nostra vita un alto significatosempre, a qualunque età e in qualunque situa-zione. Il quinto tassello del mosaico. Quello chesto vivendo.

Mamme catechiste cercano di tenere a bada la truppa

Page 23: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

44

Un Posto PRonto AD

Accoglierti A bRACCiA APeRte

di silvAno e GiUsy GAtti

Il contatto diretto con la parrocchia del SacroCuore lo abbiamo avuto a nove anni dalla suaistituzione, quando nel 1970 – dopo esserci spo-sati – siamo venuti ad abitare nel quartiere doveha sede la chiesa stessa.Prima di tale data (parlo a titolo personale per-ché la moglie, non essendo di Lissone, non po-teva averne conoscenza) ho avuto modo diconoscere i padri betarramiti che officiavano –in attesa di assumere la responsabilità diretta diuna parrocchia – presso la chiesa preposituralee quindi anche presso l’oratorio maschile. Edu-cato a una spiritualità diocesana e quindi benstrutturata nelle varie manifestazioni pastorali,l’incontro con i padri è stato piacevolmente po-sitivo perché – pur inseriti nella comunità eccle-siale – erano portatori di una ventata nuova e diuno spirito che si poneva al di sopra di alcunischematismi tradizionali.Tale spirito nuovo si è poi confermato anchequando i betarramiti hanno costituito la parroc-chia del Sacro Cuore di Gesù; infatti erano di-ventati precisi punti di riferimento spirituale pernon pochi gruppi (adulti, giovani, ragazzi) che

si erano aggregati in funzione delle rispettiveesigenze e l’azione dei padri ha consentito difar fiorire una comunità nuova. Si può affer-mare che la popolazione del nuovo quartiere«da là dal punt» - che via via si andava inse-diando - è cresciuta con la parrocchia ed ha spe-rimentato la freschezza del nuovo approcciopastorale, favorito anche dalla presenza di unanutrita comunità di betarramiti.All’indomani del nostro matrimonio, ci siamotrovati territorialmente inseriti nella nuova par-rocchia e quindi non si poteva non assorbire lospirito e le caratteristiche del nuovo modo diessere Chiesa. Negli anni ’70 il nostro quartiereaveva solo due luoghi di aggregazione: lascuola elementare e la parrocchia. Ricordiamocon gratitudine la presenza dei padri nella vitadi tutti i giorni: trovarli per strada e scambiaredue parole con loro tranquillamente permettevadi avere un rapporto di tipo familiare senzaalcun pregiudizio. Disponibili ad ascoltare leconfidenze e a condividere i nostri bisogni, po-tevano anche con naturalezza e semplicità ac-cettare l’invito spontaneo dei bambini a

fermarsi a cena (cene improvvisate, ma serene).La prima comunità parrocchiale ha avuto poila fortuna di avere come parroco padre Giu-seppe le cui qualità religiose, pastorali, di ser-vizio ed umane sono state unanimemente datutti riconosciute e non hanno mancato di dareun tocco di amabile “paternità” nei confrontidei fedeli che si riunivano attorno a lui e allanuova parrocchia. Il forte legame del quartierecon i padri ha permesso agli abitanti di cono-scersi, di costruire amicizie, di creare una retedi solidarietà che si è accresciuta in quaran-t’anni di condivisione.È un fenomeno abbastanza comune che i geni-tori vengano coinvolti nelle attività della parroc-chia attraverso i propri figli. Così quandoMarco, ancora piccolo, è entrato a far parte dellacorale «Perosi», è stato naturale essere chiamatoa far parte dello stesso coro e cominciare cosìuna lunga militanza nel medesimo sodalizio.Non è stato un caso che per animare le celebra-zioni sia sotto il profilo musicale che sottoquello più strettamente liturgico sia stato datoincarico a padre Angelo Pajno che, con il suo

travolgente entusiasmo e la competenza speci-fica in materia, ha saputo aggregare e coinvol-gere un nutrito gruppo di adulti e soprattutto diragazzi e ragazze, dando un tocco di ineguaglia-bile solennità ai vari momenti della vita liturgicadurante le festività più significative dell’anno.Una corale parrocchiale è un patrimonio che bi-sognava conservare – data l’importanza che ri-veste nelle varie ricorrenze liturgiche – e cosìquando padre Angelo, per gli avvicendamentidisposti dalla congregazione, ha dovuto lasciareLissone, non rimaneva altro che continuare lasua attività per mantenere la presenza della co-rale in parrocchia. Ai tempi fulgidi e partico-larmente partecipati della «gloriosa Perosi»sono subentrati periodi meno intensi e ultima-mente di una certa difficoltà, ma per il momentol’«avamposto» è saldamente presidiato e la vo-lontà di continuare non è venuta meno.Che dire, infine? Pensando alla parrocchia delSacro Cuore ce la raffiguriamo come una per-sona dalle braccia aperte che, senza chiederti chisei o come la pensi, è sempre pronta ad acco-glierti. Auguri per questi primi cinquant’anni!

Page 24: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

46

lA PARRoCCHiA, UnA sCUolA Di

vitAdi mARiA GRAziA bAllAbio

Giugno 1961: sono nata con la parrocchiaSacro Cuore, più o meno negli stessi giorni,ma non nella parrocchia Sacro Cuore. L'etàdell'inconsapevolezza, fino ai 7 anni, l'hotrascorsa infatti in pieno centro di Lissone,all'ombra del campanile della centralis-sima Prepositurale.

L'incontro con i betarramiti? Certamente per lacatechesi della mia prima comunione... Ma i ri-cordi sono sbiaditi. Ancora nitido, invece, è illegame che univa la scuola elementare Tassoche allora frequentavo e la chiesa: ogni dome-nica c'era ad aspettarmi sulle panche la mia mae-stra, Arcangela Mariani, la stessa persona cheavrei ritrovato il lunedì sui banchi di scuola. Enon mi aspettava solo per la messa; il bello ve-niva dopo: ci fermavamo nei saloni della cano-nica per ridere degli strafalcioni di uno strambopersonaggio che venivano pubblicati settimanal-mente da «Il Giornalino».Anche oggi, ogni domenica, vedo catechisteaspettare i loro bimbi sulle panche e sono sem-pre più convinta che il messaggio cristiano passaattraverso le persone; attraverso la loro umanità,

attraverso il tempo speso apparentemente a faraltro prima che dalle loro parole del catechismo.Anche oggi Arcangela è a Lissone, dopo esserestata attiva come missionaria in America Latina.Forse ci potrebbe aiutare la sua esperienza pervivere una unità pastorale dove i preti sonopochi e i laici tanti!E poi... Poi c'è stata la corale! Quando padre An-gelo Pajno, mio insegnante di religione, proprioa scuola mi reclutò tra le file dei cantori - «Vienianche tu sabato alle prove, con tuo fratello e tuocugino» -. Avevo 10 anni e finalmente si apri-vano anche per me le porte di un'esperienza,quella di cantore, che era stata riservata solo aimiei parenti maschi!Ho imparato a cantare, certo! Ma ho imparato lapreghiera dei salmi: mi capita ancora, mentresono sola in macchina, di intonare il ritornellodi un salmo, poi le strofe riaffiorano una dietrol'altra come i grani di un rosario. Forse è lostesso, oggi, per quei bambini e quegli adole-scenti che frequentano il «coretto»; forse ancheloro durante la settimana «ritornano» sui cantidella domenica e pregano così.Luogo di incontro, la corale; luogo dove sonodiventata grande. Esperienza anche di impegno,esperienza per mettersi alla prova: ci voleva del

io Con voi: soDDisfAzionie DUbbi Di Un PARRoCo

Nel settembre 1988 divenni parroco del Sacro Cuore, mentre mi trovavo a dirigerela nostra casa per pellegrini a Nazaret, dopo una vita di insegnante nel seminariobetarramita di Albavilla per 21 anni.Poi, col superiore provinciale del tempo, padre Francesco Radaelli, avevo maturato l'ideadi provare a pensare a un rientro in Italia, appunto come parroco del Sacro Cuore a Lis-sone. Fu per me una sorpresa, in quanto sapevo che la parrocchia era ambita da qualchemio confratello brianzolo o milanese, più adatto di me a quel compito. Tuttavia mi sentivonell'animo il desiderio di provare a fare il pastore d'anime, dopo un servizio ventennalenella parrocchia di Caslino d'Erba, ove avevo provato la gioia del ministero come aiu-tante del parroco.Feci la mia entrata in parrocchia accompagnato da 60 compaesani di Paniga (So), tuttiparenti, tra cui i miei fratelli e sorelle, e una folla di parrocchiani in festa. Io ero su unamacchina scoperta, come un governatore del Sudamerica, accompagnato dalla banda,dai gruppi sportivi e da tanti parrocchiani in processione. La cerimonia della consegnadelle chiavi fu per me una vera sorpresa, perché non avevo mai presenziato a cerimoniedel genere per altri sacerdoti. In quei momenti mi passò per la mente l'entrata di Gesùin Gerusalemme e il dubbio che la mia esperienza potesse seguire il cammino di Gesù.Invece i 5 anni come parroco risultarono per me assai tranquilli e operosi. Avevo nelcuore un dubbio grave per la responsabilità delle 3000 persone della parrocchia, chemi erano affidate dal vescovo e dai miei superiori. Avevo chiesto a Gesù un aiuto specialeper essere guidato da lui ad adempiere nel migliore dei modi il mio dovere di parroco.Il primo impegno gravoso fu la preparazione dell'ultima Missione parrocchiale della cittàdi Lissone, che coinvolse a fondo la nostra parrocchia ma che ebbe un discreto successospirituale. Io nella predicazione mi sentivo in difficoltà alle messe principali della dome-nica, perché vedevo tra i fedeli numerosi medici, architetti e insegnanti che seguivanoquel che dicevo e ciò era per me un'esperienza mai avuta nel passato: in effetti per tren-t'anni avevo celebrato quasi sempre nei conventi o in piccole parrocchie.Per la parte materiale, ricordo la preoccupazione per la ricopertura esterna dei mattonipoveri con cui era stata costruita la chiesa, copertura fatta con piastrelle doppie in cottosuggerite dal direttore artistico della Curia di Milano. Fu una spesa enorme per la par-rocchia, pagata in due anni con prestiti e offerte sontuose dei parrocchiani. Mi dava fa-stidio il commento dell'autista del carro funebre che alla fine dei funerali, appena salivosul furgone per accompagnare il defunto al cimitero, mi diceva che quei mattoni bianca-stri sembravano quelli raccolti a Milano dopo i bombardamenti!...Purtroppo la mia presenza in parrocchia durò solo 5 anni: infatti al cambio del superioreprovinciale, nel 1993, mi fu richiesta la disponibilità di nuovo per la Palestina, dovesono restato per 9 anni a Betlemme. Ringrazio tutti i parrocchiani che hanno collaboratocon me in quegli anni e in modo particolare i tanti anziani e ammalati che mi hannodato esempi di fede nei dialoghi affettuosi che riguardavano il futuro, nella vita eterna.

padre Celeste Perlini, betarramita, parroco al Sacro Cuore (1988-1993)

Page 25: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

48 tempo e della costanza per imparare i canti e perazzeccare certe note che non erano quasi maiimmediate per me. Ho smesso di cantare nellacorale da sposata, alla nascita del mio primo fi-glio. Indubbiamente in molti devono molto allaCorale Perosi, le sue note hanno permesso a cia-scuno di riconoscersi come bambino e adole-scente prima e come adulto poi.Sempre nella corale ho capito qualcosa di litur-gia. La cura dei particolari: luci, canti, suoni,gesti... non fine a se stessi, ma per capire meglio.La Veglia di Pasqua: il fuoco sul sagrato (unvero fuoco), l'accensione delle luci in progres-sione, il canto «O Dio, tu sei la mia luce!» chesquarciava il silenzio e le tenebre. Ritengo chesulla liturgia ci sia da lavorare. Non so, la buttolì: sarebbe bello poter recuperare ogni anno il si-gnificato di un gesto, di una parola, di un canto,di un segno liturgico e valorizzarlo all'internodella celebrazione, e spiegarlo, e farlo ricono-scere, e farlo amare.Grazie a padre Angelo Pajno e a padre FrancoCesana ho conosciuto anche i parrocchiani, la

gente. Ragazzina, ero tra le incaricate dellabuona stampa e della distribuzione de «IlSegno», cui era allegato il bollettino parroc-chiale. Lo consegnavo percorrendo in biciclettale vie della mia zona: conoscevo benissimo chiabitava le case; magari non i nomi, ma i volti ecerte pieghe del carattere che si rivelavano a me,che suonavo il campanello. Avrei potuto, allora,stilare la mappa degli abitanti della mia zona!Portare il bollettino significava poter dare unosguardo alla gente, poter far arrivare la parroc-chia nelle case anche di quelli che non frequen-tavano.Da tempo il bollettino non è più consegnatonelle case, né quello della parrocchia né quellodell'unità pastorale... Forse è un'occasione persa.Forse si potrebbe far circolare una newsletter suInternet...L'oratorio: in oratorio mi sono temprata. Vi hoconosciuto la pallavolo. Quattro squadre di ra-gazzine per cominciare, dirette da suor Eufemia,si sfidavano la domenica... E poi le «Azzurre»con tanto di allenamenti, divisa, campionato. Il

nostro primo allenatore, il giovane Marco Aro-sio, spendeva tempo, impegno, entusiasmo e...benzina (viaggiavamo in otto più i palloni suuna 126 Fiat di ritorno dagli allenamenti) perfarci giocare. Beh, l'amore per il volley non miè più passato! Da qualche anno il gruppo «Az-zurri» vanta il ripristino delle squadre femminilie una mista di pallavolo. Continuo a credere nelruolo dello sport in oratorio e so che i dirigentinon smettono di interrogarsi sull’impegno edu-cativo; vorrei non si stancassero di coinvolgerenuova gente, per quanto riconosco sia faticoso.E l'oratorio è stato ancora i corsi di chitarra: ionegata, ma altri hanno veramente imparato e poihanno continuato a suonare in chiesa e fuori. Mirisulta che nell'unità pastorale ci siano corsi si-mili o che di simili potrebbero crearsi Ai giovanicontinua a piacere suonare insieme... Per loro,per chi ascolta, e per chi potrebbe ascoltarli.Oratorio è stato il gruppo giovani. Si studiavanola Bibbia, le encicliche, le indicazioni in materiadi morale cristiana. Quante volte ho poi discussoa scuola o sul treno con compagni ed amici sugli

stessi argomenti! Padre Francesco Radaelli ciscaldava il cuore: lasciava cadere delle proposte:«C'è una bambina handicappata che ha necessitàdi fare ginnastica... Potremmo andare in monta-gna... La casa di riposo ha bisogno per imboc-care o far compagnia ai degenti... C'è dachiamare altri giovani alla missione cittadina...».E noi si andava.Sto riscoprendo oggi, grazie all'unità pastoralee al corso biblico, il valore della conoscenzadella Bibbia, ma constato con rammarico che aquesto corso non ci sono giovani.Io vedo che il cuore dei nostri giovani è in at-tesa; lo vedo nei miei figli, nei loro amici, neimiei allievi: sono lì ad aspettare che si dica loro:«Vai! C'è bisogno! Puoi fare grandi cose!», maprima devi conquistarglielo, il cuore. Forse èquesto il nuovo sogno: una parrocchia che conl'unità pastorale usi le forze proprio per conqui-stare i giovani... Non so se per riportarli in ora-torio o no, ma sicuramente per entusiasmarli alVangelo! Come? Parliamone!

Due epoche del Gruppo sportivo oratoriano “Azzurri”:

la conclusione di una fiaccolata negli anni Ottanta e gli attuali “pulcini” del calcio

Page 26: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

50

qUei PomeRiGGi

«AZZUrri»PAssAti All'oRAtoRio

Un prete «ch’al me cura i bagai». Un sa-cerdote che si occupi dei giovani. Eccocom’è nato l’oratorio del Sacro Cuore,praticamente insieme alle mura dellanuova chiesa di via del Concilio a Lissone.Il fondatore e primo parroco padre GiuseppeAiroldi, infatti, ha sempre avuto la massimacura per l’educazione dei bambini e dei ragazzi(non per nulla nel 1953 era stato tra i fondatoridel Circolo Giovanile cattolico di Lissone; enon a caso nel 1981 la lapide che ricorda la suafigura è stata posta proprio nel cortile dell’ora-torio del Sacro Cuore) e da subito aveva chiestoai suoi superiori per la neonata parrocchia ungiovane collaboratore che si occupasse appuntodei «bagai». Non solo: aveva voluto anche lapresenza delle suore, affinché si prendesserocura della gioventù femminile.L’oratorio del Sacro Cuore è nato così nelmodo più classico di tante altre simili strutture:una tonaca, un pallone, molto entusiasmo e iprati incolti intorno alla chiesa che stava sor-gendo proprio allora. Spazi che purtroppo oggi

ci appaiono limitati; eppure fu un bel segno dipreveggenza che i Padri Betarramiti, pur con lescarse risorse in cassa all’epoca, abbiano decisofin dal dicembre 1956 di acquistare almeno quelristretto terreno (accanto al fondo loro donatoper la chiesa) da adibire per l’oratorio, ripro-mettendosi di pagarlo poi «secondo le possibi-lità».Di fatto, però, non si attende che i lavori sianoultimati (l’attuale recinzione dell’oratorio, peresempio, e gli spogliatoi del campo di calcioverranno costruiti solo nel 1963) per comin-ciare le attività: ragazzi e ragazze si ritrovanoinfatti nei locali del seminterrato della casa par-rocchiale. Nel 1964 viene acquistata la mac-china da proiezione, e il cinema (organizzatoda padre Franco Cesana) diventa da subito unpunto di riferimento obbligato per i pomeriggidomenicali dei bambini di allora, insieme aidolci e alle gazose del bar, regno incontrastatodi padre Giovanni Orlandi. Nello stesso annoparte anche il primo oratorio feriale.Quante volonterose energie di preti, suore elaici in quegli esordi... Vanno ricordate almeno,tra le religiose, suor Angela, suor Eufemia (la

PietRe viveLa mia vita nella comunità parrocchiale del Sacro Cuore inizia il 24 settembre1988. Dopo poco più di due mesi dal dono della vita, mi viene fatto un granderegalo dai miei genitori e da questa comunità: vengo battezzato!E oggi, qualche anno dopo, ci ritroviamo già a festeggiare cinquant’anni! Mezzo secolo.Credo non sia paragonabile ai cinquant’anni di un uomo… però è una buona età periniziare, anzi continuare, a ricordare. Sì, ricordare tante gioie che abbiamo vissuto, tra-guardi raggiunti, sconfitte ribaltate in vittorie e novità. Non sono io a voler o dover farebilanci, anche perché non ho vissuto tutti questi cinquant’anni, ma è in me forte il ricordodi alcuni momenti, di persone passate, di amicizie nate.I primi anni lontani nella memoria sono le domeniche a messa con mamma e papà e poicon mio fratello. Il primo ricordo più intenso, sicuramente, è il catechismo! Come scordarei sabati pomeriggio passati in quell’auletta nel punto più basso della struttura, piena ditrofei (degli Azzurri!) con la paziente Tinuccia e la giovane Rossana, con la Bibbia nellamano destra ed il catechismo nella sinistra.Oppure come non ricordare le prove per diventare ministrante, terminate con la gioiagrande del servizio all’altare? Ogni venerdì per più di un mese, ci ritrovavamo per impa-rare a conoscere quel mistero che è la liturgia, fatta di parole, gesti, luoghi ed oggetti,che dovrebbe essere la base della vita parrocchiale e personale; il pozzo a cui tutti igruppi che ruotano nel frenetico vortice delle attività parrocchiali devono attingere peravere e trovare gusto nelle azioni che svolgono. O ancora la gioiosa esperienza dell’ora-torio estivo. Tappe fondamentali nella mia vita, per la crescita umana, prima che cristiana.La parrocchia è una palestra per la vita! Così mi piace definirla… perché così è stato perme, e sono sicuro anche per i miei coetanei, amici, che sono rimasti o si sono allonta-nati… I tanti oratori feriali, come bimbo desideroso di svagarsi i primi anni e come ani-matore poi, mi hanno portato ad allargare gli orizzonti, ad aprirmi agli altri, a collaborare.Tra i tanti ricordi di queste esperienze porto nel cuore i visi degli animatori che sono pas-sati, e le grandi amicizie sorte nel collaborare per far divertire e crescere i bambini checi venivano affidati, forse non eravamo totalmente coscienti del grande incarico, ma sicu-ramente ci impegnavamo!E poi le belle testimonianze che ci hanno donato le tante persone passate, in particolarei sacerdoti che hanno servito queste «pietre vive», almeno a quelli che ho conosciuto: imiei ricordi vanno ai padri Davide, Marco, Gianluca, Pierpaolo, Alessandro (Paniga),Simone (allora ancora «chierico»…), Maurizio, e naturalmente ai padri Antonio, Ernestoe Alessandro. Testimoni di una vita donata, del servizio, dell’amore verso tutti.Non posso considerare la mia vita staccata dalla parrocchia. Posso dire che sono tre gliambienti fondamentali che hanno costruito la mia vita: famiglia, scuola e parrocchia. Equesta realtà, tra alti e bassi, gioie e incomprensioni, avvicinamenti e momenti di lonta-nanza, è stata, ed è, molto importante. Dovrebbe diventare la nostra seconda casa.Spesso l’ho considerata come il luogo dove andare a «fare» delle cose, a svolgere deicompiti, invece credo che dovrebbe diventare il luogo dello «stare». Stare per la gioia dicondividere! Stare per il piacere della compagnia! Stare per crescere col Signore!

Michele, seminarista betarramita lissonese, Bitonto (Ba)

Page 27: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

52

prima a fondare una squadra di pallavolo fem-minile), suor Giovanna, oggi missionaria inCosta d’Avorio. E, tra i sacerdoti, indubbia-mente padre Francesco Radaelli e padre Gior-dano Sala: una coppia di capaci educatori cheha lasciato grandi ricordi in una generazione diex giovani.Ci fu un tempo infatti, gli anni Sessanta-Set-tanta, in cui l’oratorio del Sacro Cuore apparivaaddirittura all’avanguardia nel panorama della

pastorale giovanile locale; erano ben due gli ag-guerriti «gruppi giovani» che si ritrovavano al-meno due sere la settimana nei locali dellaparrocchia: una per la catechesi (mirabile unciclo sulla sessualità a partire dalle prediche delPapa) e un’altra per la preghiera. Da quel con-testo inoltre nascevano una serie di iniziative:dal volontariato alla casa di riposo di Lissonealle scuole di chitarra per ragazzi, dal laborato-rio di fotografia alla preparazione di spettacolie recital musicali a sfondo religioso (mitico, inparticolare, il «Gruppo Risposta», che si facevabandiera di una canzone di Bob Dylan).Molto successo, anche per la sua capacità edu-cativa, conquista il campeggio estivo, svoltosi alungo a Isolaccia (So) e quindi - per un periodopiù breve negli anni Ottanta – a Ceresole Realesul versante piemontese del parco del Gran Pa-radiso. Incoraggiato da padre Airoldi (al qualefu poi intitolato, dopo la sua morte nel 1972),era tra i pochi campeggi «misti» dell’epoca epiano piano si era dotato anche di strutture lo-gistiche ragguardevoli. L’esperienza è stata inun certo senso proseguita dai campi estivi pergiovani organizzati di volta in volta a Teggiate,Caspoggio (So), Albavilla (Co) e altrove.Intanto un grande fiocco azzurro era sbocciatonel quartiere «Da là dal punt»: nel 1972 na-sceva il Gruppo Sportivo Oratoriano «Azzurri»,tuttora fiore all’occhiello dell’attività per i gio-vani. Già da tempo, infatti, le squadre di calciodel Sacro Cuore – indossando una bella magliaazzurra con scollo a V - facevano sport e parte-cipavano ai tornei locali (il primo risale al 1962,anche se le porte del campo di calcio risultanoacquistate solo nel 1966); però è negli anni Set-tanta che le attività sportive (calcio, basket, pal-lavolo, addirittura nuoto!) vengono organizzatein un Gruppo sportivo autonomo.

Intanto anche le strutture oratoriane si eranocompletate, fino a determinare la fisionomia at-tuale: del 1967 tocca al grande salone del ci-nema, nel 1976 viene inaugurata la palestra esi rinnova (per la prima di varie altre volte...)il campo di calcio, nel settembre 2009 il cardi-nale Dionigi Tettamanzi ha tagliato il nastro diuna ristrutturazione quasi completa. Come as-sistenti ai giovani si sono susseguiti negli annidiverse figure di giovani sacerdoti: padreMario Sala, padre Carlo Sosio, padre EmilioManzolini, padre Gianluca Limonta, padrePierpaolo Nava, padre Alessandro Paniga,

padre Maurizio Vismara.E siamo ai nostri giorni. Oggi l’oratorio vedesempre più la partecipazione attiva dei laiciadulti e delle famiglie (dalla gestione del bar al-l’organizzazione delle periodiche feste, dalcarro di Carnevale all'oratorio feriale d'estate,eccetera), come è giusto, ed anche grazie a que-sta caratteristica ha tenuto ben spalancate leporte della parrocchia alla crescita, al con-fronto, in una parola: al futuro. Ha cinquan-t’anni, anche l’oratorio del Sacro Cuore; eppurenon si vergogna di continuare a sgambettarecome un ragazzo, in mezzo ai ragazzi.

Ri-CoR-DAReSe è vero, come scrive il cardinaleGianfranco Ravasi in un commento allibro di Isaia, che nella sua etimologiail verbo «ricordare» non vuol dire solo«non dimenticare» ma significa anche«ri-andare al cuore», allora è così chericordo la comunità parrocchiale delSacro Cuore di Gesù in Lissone.Non ho nulla da dimenticare, ma hotutta una storia, fatta di momenti edi persone, da «ri-COR-dare». Oltre imomenti, sono le persone che innan-zitutto vanno al cuore. E lì riman-gono. Grazie a Dio.

padre Davide Villa,parroco al Sacro Cuore (1993-2004)

Siamo pronti per la trasferta?

Page 28: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

54

ArcANgelA30 Anni Di feDeltà

Al bRAsile Dei PoveRi

Porta al dito un cerchio scuro, lucido. A chi le chiede perché, risponde che è un anello inlegno di tucum e indica la fedeltà alla causa degli indios. Arcangela Mariani lo tiene al-l’anulare da quasi trent'anni ormai: segno del suo fecondo e felice legame con la missionee con il Brasile, dove è giunta per la prima volta nel 1982: un anno - il primo – trascorsonella foresta amazzonica di Rio Branco; poi 15 filati nell’importante città di Goiania, nontroppo lontano dalla capitale Brasilia; quindi un altro periodo a Porto Alegre do Norte, unacittadina tra le meno sviluppate del già sottosviluppato Mato Grosso. Fino ai guai di salutee al rientro forzato nel 2009.Arcangela è un frutto bellissimo della parrocchia Sacro Cuore: giovanissima maestra allescuole Tasso, catechista agli albori della nostra chiesa, animatrice instancabile, è partitacome missionaria ben consapevole della sua vocazione laica, che ha esercitato non solocollaborando a progetti di sviluppo sociali a favore dei poveri e delle donne, ma soprattuttoin impegni strettamente pastorali: scuole di Bibbia, animazione liturgica (si è diplomata inun corso estivo di liturgia a San Paolo, discutendo una tesi sul “mistero pasquale nelle ese-quie”), accompagnamento delle comunità di base, catechesi, guida delle celebrazioni senzapreti, e via dicendo. Quando era a Porto Alegre, in équipe con un prete brasiliano, unasuora americana e una coppia di laici, è stata responsabile di ben 32 comunità cristiane eviaggiava di continuo per visitare, incontrare, ascoltare. Oggi fa un bilancio spirituale dellasua esperienza.

È stato per mettermi alla sequela di Gesù che,ancora adolescente, pensai di farmi missionaria,pur restando laica. Non pensai di partire imme-diatamente per le terre d'oltreoceano ma cercaidi essere missionaria già qui, nella Chiesa lo-cale, nella professione, perché di fatto ogni cri-stiano è inviato ad annunciare l’amore delPadre e una comunità si può chiamare così seha porte e finestre aperte sul mondo, sapendoche, insieme a tutte le altre, formiamo l’unicasola famiglia di Dio.A un certo punto sentii l’esigenza di una condivi-sione radicale, quindi chiesi di partire per l’Ame-rica Latina, che avevo incontrato e accompagnatocon molto interesse ed entusiasmo nella Confe-renza dei vescovi di Medellin (1968) e di Puebla(1979). Era una Chiesa povera ma coraggiosa,ricca in comunione e partecipazione. Mi fu pro-posto come destinazione il Brasile, dove ho tra-scorso 25 anni della mia vita, in nome dellaChiesa ambrosiana e del Movimento Laici perl’America Latina (Mlal), con uno scambio diretto,vivo e stimolante nonostante i limiti oggettivi epersonali, che non mi hanno fatto dare priorità auna comunicazione più intensa. D’altro canto, inmissione le emergenze non si contano e sono in-sufficienti le 24 ore ma – penso – ha supplito laqualità dello scambio, che si realizzava soprattuttonel periodo delle vacanze con incontri comunitariin parrocchia e nella diocesi, anche con la pre-senza dei nostri pastori. Mi ricordo ancora l’atten-zione con cui il cardinal Martini seguiva lerelazioni di noi rientrati e ci presentava, in ante-prima, la bozza del piano pastorale della diocesi.Dobbiamo riconoscere che la Chiesa latino-ame-ricana è stata sempre di più centrata sulla Bibbiaed affidata, nella sua grande maggioranza, ai laici.Devo dirvi che ho imparato da loro a gustare laParola di Dio, che accompagna ogni momento del

quotidiano, vissuto come un progressivo Esodo.Sono convinti che Dio ascolta il grido degli «in-curvati»: come dice un loro canto, non hannoniente se non la polvere della strada ma sono ric-chi della grazia e della speranza di Dio e questobasta. Riconoscono che spesso barcollano, spessoè difficile credere nell’Amore ma piangono, chie-dono perdono e ricominciano di nuovo. Sannoche Dio è vita per sempre e li aspetta al roveto ar-dente per dare forza e coraggio e additare il cam-mino di salvezza e di liberazione. Cantano le suelodi, proclamano le sue meraviglie, fanno festaperché hanno capito che Dio sta con loro e non sifermano. Sì, la Parola trasforma, dà senso allavita, orienta il cammino! Dalla Parola sono nati i diversi ministeri o servizidentro la Chiesa: l’ascolto, l’accoglienza, la visi-tazione, la solidarietà… Si scopre una Chiesa tuttaministeriale, che, alla sequela di Gesù, assume estimola ogni suo membro a vivere il suo sacerdo-zio battesimale. È stato per tutta la Chiesa un pe-riodo di molta grazia e mai finirò di ringraziare ilSignore! Ma quante omissioni e come leggereoggi la volontà del Padre, il progetto che lui hapreparato per me ora? Problemi di salute mi hanno costretto a rientrarein Italia e non si può immaginare che cosa signi-fichi aver cambiato vita di 360 gradi: vivevo 24ore al giorno con la gente in un contesto comu-nitario, costruendo relazioni vitali, semplici,spontanee ma intense. Ora, invece, mi scontroogni giorno con la solitudine mia e degli altri,che sono vicini ma che hanno i loro ritmi e nonsanno - forse - che cosa dirti o che cosa fare…Signore, aiutami a capire che cosa vuoi oggi dame e fammi credere che niente va perduto anchedella nostra sofferenza, perché tu cammini sem-pre con noi!

Arcangela Mariani, missionaria laica

i NoStri miSSioNAri

Page 29: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

56

La nostra bella parrocchia é arrivata a 50 anni. Devo dire che siamo cresciuti insieme. Adesso mi ven-gono in mente numerosissimi volti di persone e non posso proprio nominarle tutte, la lista sarebbetroppo lunga (una preghiera particolare per tutti quelli che il Signore ha chiamato in Paradiso). Nonvoglio fare torto a nessuno perché ho voluto e voglio bene a tutti. Persone che mi hanno accompagnatoe che mi accompagnano ancora anche se – ormai - sono quasi vent’anni che vivo in Africa.Quelli che seguono sono dei pensieri in libertà. Ho dei ricordi bellissimi. Mi ricordo dei primi anniquando facevo il chierichetto alla messa delle 5 e mezzo del mattino. La Corale Perosi: è incredibiletutto quello che abbiamo fatto insieme. Ne abbiamo fatte di tutti colori. Bellissimo. Abbiamo persinocantato diverse volte a San Pietro, anche in occasione della prima messa da papa di Giovanni Paolo II.E poi l’oratorio e gli «Azzurri». Nel 1973, quando c’era il blocco del traffico per l’«austerità» e si an-dava in trasferta in bicicletta, nemmeno la neve ci fermava. Noi eravamo gli Azzurri B perché c’eranodei giovincelli del 1960 che pensavano di essere più forti di noi. Naturalmente si sbagliavano clamo-rosamente...Il campeggio a Isolaccia e a Ceresole Reale. Tante volte si partiva prima per andare a montare il cam-peggio a bordo di uno scassatissimo pulmino blu che partiva solo a spinta. Qualche anno dopo ne é ar-rivato uno verde, ma il modo di avviamento era sempre lo stesso! Non per vantarmi, ma con alcunimiei amici nel 1977 siamo andati a Isolaccia a piedi.E poi il gruppo giovanile col quale sono davvero diventato grande. Ormai sono tutti intorno ai 50 anni,quasi tutti hanno i capelli che tendono al bianco se non addirittuta a sparire (la parte femminile nonconta perché loro se li pitturano!), abbiamo girato tutte le pizzerie della Brianza e anche diverse chiesee santuari ovviamente! All’inizio la benzina costava solo 500 lire… Tra poco qualcuno di loro diventerànonno… Ancora adesso, quando torno per un po' di riposo riusciamo sempre a ritrovarci.Devo anche confessarvi, cari parrocchiani, che quando torno a casa e celebro la messa con voi sonosempre un po' emozionato. Permettetemi un pensiero particolare per tutti coloro che vivono momentidi difficoltà e di sofferenza. Sono passati 50 anni e proprio in questo periodo la parrocchia sta cambiandovolto, soprattutto a livello organizzativo. Tra parentesi, questo vale anche per noi padri betharramiti.Certo l’inizio é faticoso, nascono legittime domande e dubbi. Si pensa che niente sarà come prima.Qualcuno sarà tentato di lasciare perdere il suo impegno parrocchiale. Se però amiamo davvero lanostra parrocchia, e i parrocchiani naturalmente, se davvero il nostro impegno é vissuto come un ser-vizio disinteressato, gratuito e gioioso, allora le difficoltà si appianeranno, troveremo tutti nuovi stimoli. Davvero mi piacerebbe essere presente durante i festeggiamenti soprattutto per poter abbracciare tuttivoi. Non so se sarà possibile e allora vi auguro buona festa e vi accompagno con il mio sorriso, il mioincoraggiamento, la mia amicizia e la mia preghiera.

padre Tiziano Pozzi, betarramita medico e missionario

PADRe tiziAno

titti PRete meDiCo in CentRAfRiCA

Fratel Roberto Villa è una personalità che s'impone. Non solo per la figura possente e un po’ gordita– come scherza lui – cioè tondeggiante, che mette subito simpatia, ma per l'umanità che irradia conil largo sorriso e la sua sincera cordialità.Non è un betarramita, però anche lui è a pieno titolo uno dei «nostri» missionari, che la parrocchiaha sostenuto nel tempo secondo le possibilità. 52 anni, figlio di un salumiere a suo tempo moltonoto del quartiere «Da là dal punt», dal 1985 fratel Roberto è sacerdote nella congregazione deiFratelli di Nostra Signora della Misericordia (fondata nel 1839 da un sacerdote belga per accom-pagnare i carcerati, assistere ammalati e anziani, educare la gioventù più bisognosa) e da quasi tren-t'anni lavora a Santiago del Estero, nel nord-ovest dell’Argentina, a circa 1200 km. e 13 ore diautobus da Buenos Aires.Non volergli bene dopo averlo conosciuto è quasi impossibile, anche per la bellezza del lavoro checompie. Ne ha viste e ne vede tante, fratel Roberto, nel quartiere povero e periferico dove opera;eppure ha sempre spazio e consolazione per le pene e le preoccupazioni di tutti, anche dei moltiamici italiani. Se poi lo si sente parlare - o predicare, magari – si comprende subito che il contattoumano e la concreta vicinanza alla gente per lui non sono soltanto doni di natura, ma uno stile mis-sionario.A Santiago del Estero ormai fratel Roberto è un’istituzione, sia per il suo Istituto (che dal 1931 vigestisce un collegio, un asilo e due scuole elementari), sia per la città tutta. La sua parrocchia ha40 km di diametro, comprende una quarantina di cappelle e tre scuole con tremila alunni. Dall’iniziodegli anni Novanta, inoltre, fratel Villa ha rivolto il suo apostolato soprattutto ai quartieri marginali,in particolare a «La Católica», una zona che si è sviluppata nelle vicinanze dell’Università Católica,occupando terreni «strappati» al fiume Río Dulce dopo averne cambiato il corso.Fratel Roberto vi ha cominciato l’attivitá missionaria secondo il suo stile, con visite alle famiglie,incontri comunitari, corsi di catechesi, doposcuola. Nel 2000 come risposta al bisogno degli abitantiè nato l’asilo «Padre Víctor»; i piú piccoli avevano infatti necessità di accedere a un’educazioneiniziale che permettesse loro di formare abilitá, conoscenze e valori nella prima tappa della lorocrescita personale. Oggi l'asilo serve oltre 100 alunni e nelle sue aule e in un salone vicino si offronoanche, fuori dall’orario scolastico, corsi di catechesi, di informatica, d’inglese e di musica per pic-coli, giovani e adulti. Poi è stata costruita la scuola elementare «San Vicente», affinché i bambinipotessero continuare a studiare sul posto senza doversi trasferire. L'opera è completata da una mensapreziosissima per i bambini in deficit alimentare, una sala di pronto soccorso per il quartiere, abitatoda gente molto povera che lavora alla giornata, e una piccola cappella per le celebrazioni della co-munità. Un'opera dal grande cuore, come quello di fratel Roberto.

fRAtel

roberto Un GRAnDe CUoRe PeR l'ARGentinA

Page 30: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

58

veRso i PRossimi

50 ANNi...Non solo il mezzo secolo di fondazione,ma anche l’ingresso nella comunità pasto-rale con le altre parrocchie e il cambio disacerdoti indica che a Lissone siamo a untornante della storia. Con nuove difficoltàe «crisi», ma anche sfide interessanti. Cheimpegneranno sempre di più i laici.

E oggi? Tra gli effetti benefici del cinquante-simo di fondazione, c’è anche quello di metterela parrocchia Sacro Cuore nella condizione mi-gliore per tentare un bilancio provvisorio, ancheperché altri fattori più o meno «casuali» si ag-giungono ad individuare questo periodo comeun tornante nella sua storia. Stiamo pensandoall'ingresso nel settembre 2010 nella comunitàpastorale insieme alle altre parrocchie (dioce-sane) di Lissone e al cambio del parroco – cheperaltro non è più ufficialmente tale, avendo orasoltanto il titolo di vicario incaricato della par-rocchia stessa. Una svolta, una svolta decisa cheindubbiamente determinerà il futuro del SacroCuore e in genere dei betarramiti a Lissone.Anzitutto, dunque, l'ingresso nella comunità pa-storale intitolata a Santa Teresa Benedetta dellaCroce - la filosofa ebrea Edith Stein, convertitae divenuta suora, quindi morta nei lager nazisti-, comunità che a Lissone esisteva già da unadecina d'anni coinvolgendo 4 (su 5) parrocchie

cittadine. Si tratta di una decisione fortementevoluta dall'arcivescovo Tettamanzi per tutta ladiocesi, e non solo per motivi di progressiva ca-renza di vocazioni bensì con l'idea di promuo-vere una pastorale davvero più unitaria, anzicomunitaria. La chiesa del Sacro Cuore finoraera rimasta fuori dal giro solo in quanto retta dauna congregazione religiosa: una realtà che an-cora non si sa bene come «maneggiare», nem-meno da parte del clero diocesano...Ma ci si poteva sottrarre ancora a lungo alle mo-tivate direttive del vescovo? E – soprattutto –potevano «far finta di niente» proprio i betarra-miti, nati diocesani e quali «ausiliari del ve-scovo», pronti ad «accorrere dove lui vorrà, alprimo cenno della sua volontà»? Se si vuol es-sere seri con il proprio carisma, è chiaro che no.Lo ha ribadito con decisione il superiore regio-nale padre Graziano Sala, più volte intervenutoagli incontri e alle assemblee parrocchiali con-vocate a Lissone durante questo delicato anno«di passaggio»: non si può ignorare che le co-munità pastorali sono la nuova modalità di arti-colazione locale scelta dalla diocesi, anzi per laparrocchia di Lissone già da tempo i betarramitisi erano posti il problema di quale presenza eser-citare come religiosi nella comunità pastoraleesistente. E la risposta si trova scritta nella loroRegola di Vita: esprimere la fedeltà alla Chiesacon la più totale disponibilità al suo servizio; «Inquanto religiosi del Sacro Cuore – ha detto

padre Graziano - non si può trovare altra via».D'accordo. Tutto sta però a vedere come... Èvero infatti che il Sacro Cuore di Lissone – perl'ennesima volta nella sua storia - funge da apri-pista: non sono molte, anche nella diocesi am-brosiana, le parrocchie rette da religiosi chesono già entrate nelle comunità pastorali e dun-que è tutt'altro che chiaro quale debba essere ilmodello da applicare - si era anche pensato, peresempio, di costituirsi in santuario del SacroCuore, così da conservare una certa extraterri-torialità... Il cambiamento infatti provoca (o solofa emergere?) problemi evidenti: da un lato, ireligiosi sono abituati a godere di una discretaautonomia rispetto all'ordinamento diocesano (ene sono ben gelosi, in quanto ciò permette lorovarie «uscite di sicurezza» rispetto a certe pa-stoie locali...); dall'altro, i diocesani sono portatia trattare i confratelli che lavorano in parrocchia«alla pari», ovvero senza tener conto delle esi-genze diverse – persino di orario – oggettiva-mente richieste dalla vita religiosa. Un esempioche sembra banale, ma che pure si è verificato aLissone: la comunità betarramita del SacroCuore da qualche anno fa tutt’uno con quella diAlbiate, ha lo stesso superiore e i membri sonoin teoria interscambiabili; eppure la comunitàpastorale di Lissone ha problemi (anche econo-mici) a valutare una collaborazione dei padri diAlbiate, dal momento che è autonoma e contagià sul suo personale...

D’altra parte i parrocchiani ci hanno tenuto afar presente in una lettera agli altri cattolici lis-sonesi che «la nostra caratteristica è data dallapresenza fin dalle origini della comunità reli-giosa dei padri betarramiti. Si pensava che en-trare nella comunità pastorale avrebbesignificato un arricchimento per tutti grazie allaspiritualità del Sacro Cuore, non una perditadella propria identità. Invece registriamo uncerto appiattimento di iniziative pastorali, pereffetto dell’inevitabile concentrazione di fun-zioni presso la chiesa madre o altre parrocchie».In parole povere e un po' politiche: «centrali-smo» anziché «federalismo».Possono sembrare cosucce clericali, e fors'anchelo sono. Però affrontarle aiuta se non altro aprendere coscienza di uno stato comune a tuttala Chiesa italiana e che – dopo secoli di storia -si presenta talmente incancrenito nel suo tessutoda faticare persino a rendercene conto. Vieneanche qui al nocciolo, infatti, il frutto di almenomezzo millennio di strutture ecclesiastiche chesi sono dimostrate senz'altro efficaci nell'evan-gelizzazione capillare del territorio, ma che oradenunciano tutti i difetti del loro impianto cle-ricale. Non per niente uno dei problemi delle co-munità pastorali tra più parrocchie è proprio laritrosia dei preti stessi a lavorare insieme, il lorodesiderio di non perdere l'indipendenza perso-nale, la tendenza a gestire ognuno da sé la pro-pria chiesa.

Page 31: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

60

D'altra parte pure i fedeli hanno maturato leloro abitudini, e cambiarle non è certo agevole.Così nell'ambito milanese, in generale, molticristiani tendono a rivolgersi alla parrocchiacome a un qualsiasi ente che eroga servizi: ilcatechismo e i sacramenti «obbligatori» per ifigli, l'oratorio che li occupa durante il periodoestivo, il gruppo sportivo che ne fa sfogare leenergie, eccetera eccetera; insomma, una sortadi associazione di volontariato che tanto più ègradita, quanto più il suo meccanismo è effi-ciente e gratuito (grazie al lavoro di tanti altricattolici). Al Sacro Cuore inoltre si poteva go-dere su un numero di sacerdoti nettamente su-periore a quello delle altre parrocchie con glistessi abitanti; anche per questo a livello popo-lare viene ancora talvolta messa in discussionela «strana» scelta dei betarramiti di «distac-care» ormai da anni un religioso residente aLissone per il ministero nelle altre parrocchieche hanno meno clero a disposizione; una de-cisione che invece – in un’ottica davvero co-munitaria, missionaria, evangelica - dev’essere

considerata lungimirante.È evidente però che, per tutte queste ed altre ra-gioni, bisogna prevedere un lungo e complessocambiamento di mentalità, nei sacerdoti e neireligiosi così come tra i laici. Una delle recri-minazioni più sentite in parrocchia, all'atto dientrare nella comunità pastorale cittadina, èstata proprio la scarsa o nulla preparazione: ilaici da una parte non hanno capito il motivodella scelta, dall’altra sono stati informati sol-tanto a decisioni già prese, senza alcuna condi-visione e nemmeno ascolto; la fastidiosaimpressione finale è stata quella di venire cata-pultati in una realtà nuova, senza essere statimai realmente interpellati in merito. Si tratta diun difetto evidente in tante strutture ecclesiasti-che che – proprio perché si prefiggono di essere«efficienti» - si dimostrano anche dirigiste epoco democratiche, non volendo «perderetempo» nel discutere e accettare obiezioni. Ep-pure poi chiedono di essere comunità fraterne...Insomma, come si vede, dalle piccole storie lo-cali si finisce per risalire all'identità (e agli ine-

lA fontAnellA Del qUARtieRe«DA là DAl PUnt»

Giovanni XXIII paragonava la parrocchia alla fontana del villaggio: è un’immagineideale efficacissima nella sua semplicità. È’ bello e giusto considerare la parrocchia lafontana alla quale si è attinta e alimentata la vita spirituale attraverso i sacramenti.Quanti in 50 anni al Sacro Cuore nell’acqua del battesimo sono stati inseriti comemembra vive nel corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Quanti in parrocchia si sononutriti del suo corpo e del suo sangue. Quanti in Cristo hanno esercitato il loro ufficiosacerdotale offrendo con lui al Padre la loro vita e la lode di tutto il creato.La parrocchia è stato il luogo privilegiato in cui siamo stati accolti fra le braccia delPadre nel sacramento della riconciliazione e abbiamo proclamato, con l’aiuto dello Spi-rito Santo, il nostro impegno di essere testimoni credibili dell’amore di Dio. In parrocchia,ancora molti rendono sacro e via alla santità e alla salvezza l’amore coniugale. Moltiancora desiderano che la propria esistenza terrena come quella dei propri cari si con-cluda con l’offerta della passione, morte e resurrezione del Figlio di Dio, fondamentodella nostra fede e alimento della nostra speranza... È in parrocchia che abbiamo rice-vuto i primi rudimenti della fede .Non frequentandola, rischiamo di costruire una fede,una religiosità e persino una morale che certo ci vanno bene, ma che possono essereanche molto distanti dal Vangelo.In parrocchia tanti ragazzi,giovani,adolescenti hanno vissuto e vivono l’esperienza dellostare insieme, divertirsi insieme, progettare la vita insieme. Quanti nell’oratorio dellaparrocchia del Sacro Cuore sono cresciuti, hanno dato energia e vita perché fosse ilcuore giovane della vita parrocchiale. Da 50 anni nel quartiere «da là dal punt» c’èuna fontanella. È bello celebrare 50 anni di vita parrocchiale per rendere grazie a Dioper le opere da lui compiute, ma soprattutto per ravvivare in noi l’impegno ad esseregenerosi strumenti nelle sue mani.

Maurizio Vismarabetarramita, parroco al Sacro Cuore (2004-2010)

Piccoli marinai a bordo del carro di carnevale targato “oratorio Sacro Cuore”

Il cardinale Dionigi Tettamanzi inaugura il nuovo oratorio (2009)

Page 32: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

62vitabili difetti) della Chiesa tutta, o almeno diquella italiana. Un altro caso: a Lissone c’è unlaicato senza dubbio affezionato alla parroc-chia, capace, maturo, che negli anni ha ancheassunto precise responsabilità e supplenze incaso di carenze del clero. Di fronte alla recente“crisi” si è radunata un'assemblea che - forseper la prima volta dopo molti anni - ha visto lapartecipazione interessata e persino preoccu-pata di quasi cento parrocchiani. Eppure non èancora stata superata quella comoda timidezza,quel complesso di inferiorità e d’imprepara-zione nei confronti del clero, che alla fine im-pedisce ai semplici fedeli di assumere nellaChiesa responsabilità allo stesso modo adulto eautonomo nel quale si prendono in famiglia, nellavoro, in politica, nelle associazioni, e così via. Viene dunque alla luce anche qui il doppioaspetto di tanto laicato cattolico e praticante ita-liano: da una parte rivendica la sua peculiare di-gnità e il suo ruolo ecclesiale specifico, sullalinea di quanto avviene nella società civile pertutte le categorie; e dall’altra si autolimita in

compiti gregari e puramente esecutivi nellaChiesa, sotto il pretesto di un’ascetica della sot-tomissione e dell’obbedienza che piace moltoalla maggioranza dei preti (i quali in questomodo non sentono intaccato il loro «potere»...).Ma non si può costituire una vera comunità suquesti presupposti: né religiosa, né parroc-chiale, nemmeno civile. Il futuro richiede perforza un cambiamento, forse addirittura una«rifondazione». Se non altro, al quesito se lacomunità betarramita intenda continuare ad es-sere presente a Lissone per un periodo signifi-cativo, la risposta del superiore regionale èstata decisamente affermativa: a differenza dialtre parrocchie per le quali si è ritenuto di noncontinuare la collaborazione, qui la sfida pro-segue e anzi l’ingresso nella comunità pasto-rale vuol rappresentare un investimento e nonun ripiego. I betarramiti sono dunque pronti amettersi in gioco, ma lo devono fare anche ilaici, perché non tutte le risposte potranno ve-nire dai religiosi. A 50 anni, potrebbe esserel’ora giusta.

lA testimoniAnzA Dei «PADRi»:Un lUnGo Dono D'AmoRe

La storia è fatta soprattutto dalle persone e, in tempi diversi, la presenza di 45 be-tarramiti nella comunità religiosa betarramita a Lissone, sette dei quali con l’incaricodi parroci, la dice lunga a proposito dell’incidenza della congregazione del SacroCuore di Gesù nel contesto religioso e sociale di Lissone.La presenza betarramita è certamente legata alle opere strutturali che hanno svolto econtinuano a svolgere la loro funzione logistica e fungono da supporto alle attività pa-storali. E’ a tutti visibile la rilevanza degli interventi voluti dai «Padri» (semplicementecosì vengono chiamati a Lissone) e realizzati col contributo generoso della popolazione:dalla originale struttura architettonica della chiesa agli ultimi interventi a favore dellestrutture per l’attività sportiva. Ma il segno più forte della presenza betarramita è data dalle testimonianze dirette deiparrocchiani, che sono concordi nel descrivere i tratti caratteristici dei religiosi che sisono succeduti nella comunità betarramita. Semplicità, dedizione, disponibilità, entu-siasmo: sono le qualità che spontaneamente emergono dal racconto della gente cheha conosciuto e con la quale sono vissuti i religiosi betarramiti. Anche la giovialità con-trassegnava la presenza dei Padri, soprattutto nel rapporto coi giovani.E’ da notare che la presenza dei betarramiti non è stata facilitata dall’ambiente nelquale sono venuti ad operare: si trattava di un quartiere periferico, tagliato fuori di fattoe socialmente dalla vera vita della città di Lissone. Ma la presenza dei padri del SacroCuore nel territorio di Lissone, e in particolare nella parrocchia, non ha tradito le sueprerogative carismatiche. San Michele, il loro fondatore, aveva compreso l’urgenza ela necessità della formazione delle coscienze, in primo luogo delle persone. La sua spi-ritualità è fondata sul programma e sulle virtù del Sacro Cuore (le riassume l’«Eccomi»della sua offerta al Padre) e sulla figura di Maria (che si affianca al Figlio dicendo «Eccola serva del Signore» ): una spiritualità che dice attenzione alla storia, offerta di sépronta ed intelligente, presenza preziosa, consapevole e discreta. Ed ecco infatti anchea Lissone l’attenzione al mondo giovanile, alla famiglia, alla catechesi... Tutti settori chei Padri, sull’esempio dell'iniziatore, hanno curato nei cinquant’anni di vita parrocchiale,secondo le modalità e gli strumenti che il tempo storico richiedeva. Sì, in un momentostorico difficile, in una situazione non favorevole, i Padri hanno saputo gettare il semedella spiritualità dell’Incarnazione: un Dio che abita tra gli uomini.

padre Ernesto Colli, betarramita, a Lissone dal 2008

Page 33: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

64

le tAPPe Di Un lUnGo CAmmino28 marzo 1953: padre Giuseppe Airoldi si trasferisce, da solo, a Lissone per colla-borare nel ministero parrocchiale e giovanile.15 febbraio 1956: si costituisce canonicamente la comunità betarramita di Lissonein Villa Sant'Angelo, presos l'asilo infantile Cagnola.28 aprile 1957: il cardinale Giovanni Battista Montini pone la prima pietra dellanuova chiesa nel quartiere di «oltre il ponte».10 giugno 1961: ore 19: l’arcivescovo Montini apre al culto la chiesa. Il giorno se-guente il superiore generale celebra la vestizione di due giovani betarramiti italiani.1 luglio 1961: solenne ingresso di padre Airoldi come primo parroco11 ottobre 1962: la giovane parrocchia partecipa all'apertura del Concilio VaticanoII con una speciale novena e una messa notturna. Anche il primo presepio della chiesasi ispira al Concilio.Marzo 1963: trasferimento della comunità betarramita nella nuova casa canonica17 marzo 1963: giungono anche le prime due suore Figlie della Croce, che costitui-ranno fino a metà degli anni Settanta una comunità nella parrocchia, soprattutto in pre-visione della costruzione di un asilo infantile (poi non realizzato).12 giugno 1966: il cardinale Giovanni Colombo consacra la chiesa e l’altare dellaMadonna. Inaugurazione dell’organo e delle vetrate, opera di Virginia Frisoni.17 settembre 1967: inaugurazione della sala bar e dei saloni superiori dell'oratorioGiugno 1969: celebra la sua prima messa il primo novello sacerdote della parroc-chia, padre Enrico Mariani.19 gennaio 1972: muore il fondatore e primo parroco padre Giuseppe Airoldi. Pergestire la difficile successione.il 23 aprile subentra in modo provvisorio il superiore provinciale dei betarramiti, padreCelestino Gusmeroli.Giugno 1973: si apre il primo campeggio giovanile estivo a Isolaccia (So).25 novembre 1973: diventa parroco padre Angelo Pajno, «veterano» della primaora al Sacro Cuore.Giugno 1976: per il XV della parrocchia viene inaugurato il grande mosaico absidalein chiesa e si apre la nuova palestra dell’oratorio.1981: sistemazione dell’altare, con la posa del monumentale tabernacolo «a vela».3 aprile 1982: nella chiesa lissonese il cardinale Carlo Maria Martini ordina sacer-dote padre Maurizio Vismara e benedice il mosaico della Vergine del Bel Ramo, chesostituisce la precedente immagine distrutta da un incendio.

9 marzo 1986: si costituisce il primo Consiglio pastorale della parrocchia.1 settembre 1986: diventa amministratore parrocchiale padre Marco Gandolfi.18 settembre 1988 : entra il nuovo parroco padre Celeste Perlini.28 novembre 1993: entra come parroco padre Davide Villa.22 settembre 2002: traslazione della salma di padre Giuseppe Airoldi nella chiesada lui fondata.19 settembre 2004: entrata di padre Maurizio Vismara come nuovo parroco.Ottobre 2004: la comunità betarramita di Lissone si fonde «ad experimentum» conquella di Albiate.12 settembre 2009: il cardinale Dionigi Tettamanzi inaugura l’oratorio completa-mente ristrutturato.1 ottobre 2010: la parrocchia entra nell’unità pastorale di Lissone. Padre AlessandroLocatelli assume l'incarico di vicario parrocchiale.

Padre Alessandro Locatelli benedice la sua e nostra parrocchia

Page 34: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO

SOMMARIO

«VURÈVES BEN!». RICETTA SEMPLICE DI UNA COMUNITÀ 4

CINQUE SFIDE PER CONTINUARE IL CAMMINO 7

CAMBIANO I TEMPI, MA RESTA LA FEDE 9

MEZZO SECOLO GIOIE E DOLORI DI UNA COMUNITÀ 11

POVERI MA CONTENTI 12

TANTISSIMA FEDE. E TANTE CAMBIALI... 14

«SIATE UN FOCOLAIO DI BONTÀ» 16

CEMENTO E LUCE, NEL SEGNO DEL CONCILIO 18

COME IL FONDATORE RACCONTA LA SUA CHIESA 22

IL PARROCO DAL GRANDE CUORE 24

L'EROISMO ALLEGRO DEGLI INIZI 26

UN CAMPO DI GRANO CHE HA DATO MOLTI FRUTTI 28

UN'OPERA FIGLIA DELLA PROVVIDENZA 30

I SOLDI DEL “MIRACOLO” NASCOSTI NELLE CALZE... 33

LA LUNGA STORIA DI UN ASILO «MANCATO» 35

FRUTTO DELL’ARTE E DELLO SPIRITO 37

PADRE MARCO: IL VIAGGIATORE DELLE ANIME 39

I NUMERI DI UN POPOLO 41

AL SACRO CUORE IL MOSAICO DELLA FEDE 42

UN POSTO PRONTO AD ACCOGLIERTI A BRACCIA APERTE 44

IO CON VOI: SODDISFAZIONI E DUBBI DI UN PARROCO 46

LA PARROCCHIA, UNA SCUOLA DI VITA 47

PIETRE VIVE 50

QUEI POMERIGGI «AZZURRI» PASSATI ALL'ORATORIO 51

RI-COR-DARE 52

ARCANGELA 30 ANNI DI FEDELTÀ AL BRASILE DEI POVERI 54

PADRE TIZIANO TITTI PRETE MEDICO IN CENTRAFRICA 56

FRATEL ROBERTO UN GRANDE CUORE PER L'ARGENTINA 57

VERSO I PROSSIMI 50 ANNI... 58

LA FONTANELLA DEL QUARTIERE «DA LÀ DAL PUNT» 60

LA TESTIMONIANZA DEI «PADRI»: UN LUNGO DONO D'AMORE 62

LE TAPPE DI UN LUNGO CAMMINO 64

Impaginazione e Grafica: www.grfstudio.com

Stampa: Pubblicità & Stampa - www.pubblicitaestampa.it

Consulenza artistica: Ercole Ceriani

Per le foto di questo numero unico si ringraziano Marco e Venerio Arosio, Stefania Sangalli Crespi,

Gabriele Dassi, Giampaolo Dassi, Luigi Farina, Martine Capdevielle, Giorgio Beretta, Massimo Pirola,

Luciana Villa, Gianmario Besana.

Page 35: UNA COMUNITÀ IN CAMMINO