San Fermo Una Comunità - Per scambiare idee e riflessioni ... · Il cammino di quest’anno della...

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San Fermo Una Comunità GESU’ DI NAZARETH: camminando con Lui sperimentiamo la vita “da chi andremo noi? Solo Tu hai parole di vita” (Gio. 6,68) IL FOGLIO DI SAN FERMO - informazioni e riflessioni della Comunità di San Fermo in Bergamo tel. 035 220487 - e.mail: [email protected] - fotocopiato in proprio - anno VIII n° 31 – DICEMBRE 2013

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San Fermo Una Comunità

GESU’ DI NAZARETH: camminando con Lui sperimentiamo la vita

“da chi andremo noi? Solo Tu hai parole di vita” (Gio. 6,68)

IL FOGLIO DI SAN FERMO - informazioni e riflessioni della Comunità di San Fermo in Bergamo tel. 035 220487 - e.mail: [email protected] - fotocopiato in proprio - anno VIII

n° 31 – DICEMBRE 2013

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In copertina: Francesco Botticini “ Tre arcangeli e Tobiolo” particolare, Firenze Galleria degli Uffizi, 1446-1497

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Di Aldo Riboni

Il cammino di quest’anno della nostra comunità, cominciando dalla giornata che abbiamo fatto a settembre presso il Seminario del Paradiso e poi continuando nella giornata vissuta insieme presso la Casa dei Monfortani di Redona domenica 17 di novembre, si sta fortemente caratterizzando come un impegno di ricerca sul modo con cui viviamo la nostra fede e a quali condizioni il nostro credere può far crescere e nutrire la nostra vita. Abbiamo anzitutto riconosciuto che una rilevanza particolare ha il “fare memoria”. Noi infatti siamo inseriti in una storia nella quale fin da principio Dio ha fatto sentire la sua voce. Egli ha parlato con la voce di uomini e donne, ha parlato con gli stessi eventi della storia che poi ci ha aiutato a leggere attraverso la voce dei profeti e il suo messaggio ha potuto arrivare fino a noi nella memoria delle successive generazioni. Noi possiamo perciò accogliere il suo messaggio solo se di questa memoria ci mettiamo in ascolto. La celebrazione dell’Eucarestia attorno a cui ci ritroviamo settimanalmente è carica di questa memoria. E nel nostro incontro di settembre siamo stati aiutati appunto a cogliere la ricchezza del gesto che compiamo ogni volta che la celebriamo. Abbiamo visto che quel gesto del ritrovarsi insieme a mensa, Gesù l’ha legato alla Pasqua. E della Pasqua, che noi abbiamo ereditato dalla tradizione di Israele, siamo stati aiutati a coglierne tutta la ricchezza di significato, tutta la sua carica simbolica. Quando celebriamo l’Eucarestia, noi celebriamo il nostro passaggio dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita, dalla ricerca di noi stessi al dono. E questo avviene proprio perché nell’antico rito si innesta il gesto di Gesù che in quella sera coi suoi amici si accingeva ad affrontare la morte fidandosi che il Padre non lo avrebbe abbandonato. Quando noi ripetiamo quel gesto, sono le sue parole “fate questo in memoria di me” che ce ne ricordano tutto il senso e la ricchezza. Ci viene proposta una visione della vita capace di orientarci verso un vivere nella logica di una totale fiducia in un Dio che ci ama e non ci abbandona, a cui a nostra volta possiamo rispondere, come ha fatto Gesù, con scelte di amore, di condivisione, di servizio. E’ proprio questa dimensione di apertura e di servizio che ci ha condotto a riconoscere che il nostro credere trova senso nell’aprirsi all’altro: “la nostra fede ha bisogno degli altri”. Su questo tema è stata centrata la nostra riflessione della domenica 17 novembre presso i padri Monfortani. L’ascolto di alcune interviste, viva testimonianza del credere di alcune persone significative, è stato il prologo a che, a nostra volta in gruppi più piccoli, confrontassimo le nostre testimonianze. Degli stimoli e della ricchezza di suggestioni che abbiamo portato con noi da quella giornata, noi siamo chiamati a vivere nel nostro quotidiano. Anche noi, come i discepoli di Gesù, colpiti dall’averlo incontrato, ci siamo messi a camminare con lui. E come è avvenuto ai discepoli ci imbattiamo nei momenti di insicurezza e di dubbio; e lui in quei momenti ci chiede, come ha chiesto ai discepoli: “volete andarvene anche voi?” L’incontro con Gesù nel mistero del Natale, il mistero che ci ricorda che nella nostra storia Dio stesso si è fatto nostro compagno di viaggio, Lui che non abbandona la sua creazione, Lui che non si stanca di riaccoglierci, ci aiuta a mettere sulla nostra bocca la stessa risposta di Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole che danno la vita”.

Aldo

A PROPOSITO DI QUESTO NUMERO

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Di Silvio Pacati "...In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro". (Mt 18,19-20)

Tante volte mi è capitato di leggere questa frase del vangelo di Matteo senza farci troppo caso, ora però, collegandola al tema che ci è stato proposto, mi viene spontaneo fare alcune riflessioni. "Se due...due o tre..." - Due, è davvero il contrario di uno, due è confronto, anche scontro, ma è scambio, è dono, è relazione. Sono idee che circolano, progetti che si interrogano. Due sono emozioni, sentimenti, amore messo in circolo, è il contrario dell'isolamento, dell'autosufficienza, del narcisismo, dell'insofferenza, della prevaricazione. Due o tre persone con Gesù in mezzo possono ottenere ogni dono dal cielo. "Tutto posso in colui che mi dà la forza." (Fil 4,13) "sopra la terra" – Su tutto il pianeta, nei cinque continenti, non nei luoghi di preghiera o nei conventi, ma ovunque sulla terra, nella foresta amazzonica e nelle grandi città, nelle strade più malfamate e nei salotti buoni, nei grandi palazzi del potere e nelle "favelas", nelle strade e nei luoghi che frequentiamo ogni giorno, ovunque senza preferenze, senza distinzione, senza esclusioni. "nel mio nome" - Nome non è un suono, è rendere presente, vivo, il fare memoria attiva, il rendere concreti gli esempi e gli insegnamenti. "Nel mio nome", nel desiderio di quell'intensa unità di amore e di comunione che dovrebbe scaldare il nostro vivere con gli altri, quello stesso amore che ha animato e guidato la vita di Gesù e che Lui ci ha indicato come via verso la gioia piena. Beati noi se crediamo possibile la conversione dei rapporti, la buona novella si manifesta là dove le piaghe sono curate, gli ammalati vengono coinvolti in un sorriso, i depressi riacquistano fiducia, i disperati ricevono attenzione, i diversi trovano accoglienza. "io sono in mezzo a loro" - Mettere Gesù nel mezzo ci obbliga ad uscire dal guscio dell'individualismo per aprirci ai fratelli, a portare l'unità nella vita quotidiana, a costruire una vera società che vuol dire compagnia di più persone, unione, alleanza, comunità caratterizzata, come la prima comunità cristiana da un cuor solo e da un'anima sola, dove nessuno pativa la fame. Cosa succede quando Gesù è messo in condizioni di operare? lo dice Lui stesso ai discepoli di Giovanni:"... «Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, ...»." (Mt 11,4-5) : ecco i frutti visibili di Gesù in mezzo a noi. Quello che a noi da soli è impossibile, con Lui in mezzo diventa possibile, le vie impervie possono appianarsi e i deserti più aridi possono rifiorire. Se i ciechi vedono, i sordi odono, gli storpi camminano, i lebbrosi guariscono, allora non si può dubitare che lì c’è qualcuno capace di trasformare il male in bene. Allora dobbiamo smettere di considerarci impotenti e inutili di fronte al male e alla divisione. E' vero, siamo impotenti, ma con Gesù nel mezzo disponiamo di una forza divina di cui bisogna avvalersi per debellare l'ingiustizia e la divisione; se vogliamo fare tutto da soli non arriviamo da nessuna parte, ma anche Dio, senza il nostro sì, fatica a portare avanti il suo Regno. Attraverso una mano tesa, se Gesù è in mezzo a noi, il miracolo è possibile ogni giorno:

…GESU’ IN MEZZO…

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“Un giorno Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio. Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita e lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta "Bella" a chiedere l'elemosina a coloro che entravano nel tempio. Questi, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, domandò loro l'elemosina. Allora Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse: "Guarda verso di noi". Ed egli si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualche cosa. Ma Pietro gli disse: "Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!". E, presolo per la mano destra, lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e balzato in piedi camminava; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio.” Atti (3,1-8) Se annunciamo pace e speranza nel nome di Gesù, lui è con noi e se i ciechi vedono, se i lebbrosi sono accolti e curati, se i muti cantano, se gli zoppi ballano Cristo è presente, Dio fa festa con noi e un mondo nuovo è possibile.

Silvio

Jesùs Rafael Soto, Paris 1967

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Di Don Aldo e Don Biagio

Dopo un anno “sabbatico” in cui don Omar ha scorrazzato in lungo e in largo per l’Italia a incontrare esperienze cristiane interessanti (comunità di base, centri di accoglienza, esperienze di gruppi che hanno fatto particolari scelte di impegno cristiano, preti, suore e laici) ha chiesto di unirsi a noi per continuare con noi il cammino ormai più che quarantennale della nostra Comunità. E noi siamo stati felici di accoglierlo. Don Omar, ordinato prete nel 2001, ha esercitato fino al giugno del 2012 il suo ministero presso l’Oratorio della Parrocchia di S. Paolo d’Argon. Poi ha pensato di rivolgere il suo impegno pastorale verso qualcosa di diverso; ha chiesto di poter avere un periodo di riflessione e alla fine ha fatto la sua scelta. Naturalmente la sua domanda egli l’ha rivolta al Vescovo e la cosa che ci ha fatto molto piacere è che il Vescovo accettandola, ha riconosciuto che

l’esperienza che sta portando avanti la nostra Comunità merita di poter continuare, grazie anche ad una presenza “più giovane”. Noi non siamo una parrocchia, non siamo (almeno fino ad oggi) niente di ufficialmente riconosciuto, ma ciò che abbiamo voluto essere fin dal principio, è di sentirci parte della Chiesa di Bergamo. Questo noi, ormai da vari anni, lo esprimiamo con un gesto: non chiediamo più che il Vescovo o un suo rappresentante venga da noi a fare le cresime, come facevamo i primi anni, ma andiamo a celebrarle in Duomo, la chiesa madre della diocesi. E’ un piccolo segno, ma significativo. E in occasione della domanda di don Omar il nostro Vescovo ci ha dato la gioia di riconoscerlo. Ora don Omar è tra noi. Già si è molto ben inserito soprattutto con i ragazzi della catechesi e ha già accompagnato ad Assisi un gruppo di loro. Sta partecipando in pieno alla nostra vita di comunità. E la sua presenza sta diventando molto propositiva. Non ci resta allora che rinnovargli il nostro benvenuto e soprattutto l’augurio che il suo generoso impegno sia ricco di frutti per lui e per tutta la Comunità.

Aldo e Biagio

BENVENUTO DON OMAR

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Di Don Omar Valsecchi

Domenica 22 settembre 2013 durante la celebrazione della tradizionale GIORNATA DELLA COMUNITÀ di inizio anno abbiamo dato il nostro saluto di benvenuto a DON OMAR che inizia con noi il cammino di quest’anno. Qui di seguito: - Una riflessione di Don Omar in proposito - Una raccolta di pensieri che sono stati formulati da molti di noi sul tema del “pastore”. - Le parole di Carmen che accompagnavano i piccoli e simbolici doni offerti .

Nella nostra singola storia personale e nelle relazioni che la abitano, ci sono giorni che assumono i tratti della unicità e simbolicamente rappresentano l’incarnarsi di attese, svolte, cambiamenti. Per me e credo anche per tutta la (ormai sento di poter davvero affermare: nostra) comunità di San Fermo, Domenica 22 settembre è stata sicuramente una di queste tappe singolari e cariche di senso. Oltre ad avere vissuto la giornata della comunità che ha visto le presenze e i preziosi contributi (sui quali non mi dilungo, non essendo l’oggetto di questo articolo) di Elena Bartolini e don Giacomo Facchinetti attorno alla tematica “fate questo in memoria di me”; nel pomeriggio - a compimento di quelle ore trascorse insieme – mi avete consegnato l’abbraccio caldo e umanamente avvolgente della vostra accoglienza. Sappiamo che la nostra vita ha bisogno di segni capaci di rimandarci all’orizzonte di senso che essa custodisce e di cui spesso fatichiamo a prendere consapevolezza. Quel pomeriggio rappresenta un segno evidente, luminoso ed efficace del cammino che da due mesi sto intraprendendo con voi. Vorrei anzitutto comunicarvi, senza alcuna patina di retorica o convenzionalità, la mia gratitudine sincera per la semplicità e la cura con cui avete preparato quel momento e per l’intensità con cui l’abbiamo vissuto. Ricordo le note musicali dei ragazzi che hanno trasmesso tenerezza , armonia e amicizia; la consegna di alcuni libretti sintetici della vita di preghiera, di ricerca e di fede della comunità; i simboli del cesto, della bandiera della pace, del grembiule, della pianta di melograno e della lampada. Ma soprattutto ricordo (nel significato letterale e autentico di questa azione interiore, ovvero: riporto al cuore) con intima gioia i vostri volti, le vostre carezze, i vostri sorrisi e abbracci: tangibili segni di una umanità bella da custodire, coltivare e amare! E in mezzo a tutto ciò c’è stato il regalo impegnativo di molte parole attorno al volto che secondo voi è chiamato a incarnare la presenza del pastore in una comunità cristiana. Ho scritto: “regalo impegnativo”, proprio così, perché queste parole sono sicuramente un dono in quanto gratuite e inaspettate ma rappresentano anche un impegno deciso, una responsabilità diretta e non facile da sostenere! Le attese nei confronti della mia piccola persona sono sinceramente tante e grandi (avrete modo anche voi di constatarlo tra poco…), confido quindi anzitutto nella presenza consolatrice e rigenerante dello Spirito, oltre che nella vostra necessaria pazienza e nella misericordia che siamo chiamati a donarci reciprocamente nei confronti delle nostre debolezze e inadeguatezze. E siccome il senso del dono sta proprio nella sua possibilità di essere condiviso, ecco che queste parole riportate su tanti fogli fissati su un grande cartellone ho pensato di riportarle qui. Dando in questo modo la possibilità a tutti di leggerle, di meditarle e conservarle. Ho cercato di rimanere il più fedele possibile a quanto avete scritto, spero che l’elenco non risulti troppo monotono nella fase di lettura complessiva, se ci sono delle ripetizioni…sono volute in quanto parecchi tratti (simili, affini ma mai identici) di questo volto del pastore tornano frequentemente nelle vostre narrazioni: segno di una visone condivisa e comune di questa presenza nella e per la comunità. Prima di lasciare lo spazio della scrittura e della lettura a questi testi, desidero esprimere un particolare ringraziamento ad Aldo e Biagio perché quello che emerge dalle righe che ora leggerete è senza dubbio

IL VOLTO DEL PASTORE NELLA COMUNITA’ CRISTIANA

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frutto della autenticità e della fedeltà con cui essi stanno accompagnando questa comunità da più di quarant’anni! L’immagine del pastore che voi offrite è senza dubbio frutto di un ideale, di un sogno che nutrite ma non sarebbe stato possibile pensarla in questi termini, con queste aspirazioni tanto alte, senza la storia umana concreta di chi queste dimensioni ha saputo già incarnarle nel tempo con dedizione, costanza e passione. Ed ora, finalmente, spazio ai vostri respiri scritti… Il pastore di una comunità cristiana per me è:Una finestra sul regno di Dio. Custode del gregge; insegna le cose di Dio; nutre i sogni; ascolta la storia delle donne e degli uomini. Mi aiuta a meditare; conosce il mio nome; sa ascoltare e condividere; generoso nelle parole; è umano, umile, modesto, intelligente, saggio, sensibile, attento, mai fanatico. Ama la vita, aiuta a capire la morte. Parla apertamente aprendo il cuore alla Parola. Mi aiuta a trovare il Signore e stare sempre più nella storia delle donne e degli uomini del nostro tempo. Crea un tessuto di relazioni e aiuto reciproco. Ha pazienza. Colui che indica il sentiero ma segue anche quello indicato dal gregge. Un credente credibile e un fratello maggiore nella fede in momenti di gioia e di dolore. Sa camminare con… e sa far camminare la comunità nella fede e nella speranza, attraverso la preghiera comune, l’eucaristia condivisa e la condivisone di stili di vita secondo la parola buona del Vangelo. Conduce il gregge con l’aiuto responsabile delle pecore. Lascia le 99 per cercare la pecora smarrita e lavora per una comunità feconda e non sterile. Unisce cielo e terra, crede anzitutto nell’uomo, nelle sue risorse e non smette di lottare per migliorare questo mondo. Persegue a lottare con le armi della parola, della poesia, della coerenza, della pace contro un sistema che produce violenza, sfruttamento e che ostenta volgarità ed ignoranza. “Nella chiesa non si tratta di religione ma dell’immagine di Gesù Cristo che deve prendere forma in una moltitudine di uomini” (Bonhoeffer). Uomo che porge la mano e che tutti possono afferrare per camminare liberi e salvarsi. Punto di riferimento delle persone nella comunità, le conosce una ad una, le accompagna ed è presente: esse sanno che possono sempre contare su di lui. Averlo incontrato cambia le loro vite. Con la sua comunità cristiana cerca di seguire Gesù testimoniando il suo vangelo. In un contesto odierno segnato dalla crisi del sacro, delle grandi narrazioni della modernità e segnato dalla rimozione diffusa degli interrogativi di senso, occorre liberarsi dagli schemi preconciliari che esaltavano la figura del prete-pastore (ovvero funzionale ad una pastorale quasi esclusivamente sacramentale, fatta di convergenze emotive ed affettive con il leader, il culto dei morti, etc…) e cercare di mettere al centro l’evangelizzazione nelle periferie e ripensare la fede nel dialogo con la contemporaneità. È colui che c’è anche se sei lontano, un sorriso che accoglie anche quando te ne stai sulla soglia. Sta sulla porta e accoglie tutti. Accoglie, perdona esorta, consola.

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Dimostra con la propria vita la praticabilità del messaggio di Gesù. Aiuta a trasformare in realtà una visione. Sa accogliere anche coloro che hanno sbagliato. Uomo tra uomini e donne; fratello tra fratelli; consigliere e non giudice; semplice e discreto compagno di viaggio; combattivo contro ogni ingiustizia; amico dei più deboli; discepolo di Gesù. Persona che riconosce le proprie debolezze e perciò sa accogliere quelle delle altre e degli altri; persona che cuce i fili, i legami della comunità e li riannoda quando si sfilacciano; il ‘portinaio’ che c’è anche quando il palazzo è poco abitato, anche quando gli abitanti si allontanano o si fermano sulla soglia; sa tenere accedo il lume, come la vergine saggia; una persona che cerca e ricerca, ha dubbi come tutte e tutti, ma sa ascoltare anche il silenzio di Dio. Un fratello che mi apre la porta, che mi invita ad entrare nella casa del Padre e mi accoglie con una carezza. Sa ascoltare le molte voci della comunità e sa dare voce a chi non ha parole; sa parlare le diverse lingue che permettono di entrare nel cuore di ognuno per accompagnarlo nel giardino di Dio. Dona ricchezza, creatività e continuità, appassionando ogni donna e ogni uomo al Vangelo. Sa richiamare anche chi da molto tempo non si vede; riesce a dare speranza anche quando non la si vede più; conforta incoraggia ma sa anche – con fermezza – richiamare alla coerenza di vita. Fa percepire la presenza di un Dio che tanto spesso non sentiamo più. Accetta tutti ponendo individualmente ciascuno davanti alle proprie responsabilità. Lento all’ira e grande nella misericordia Apre le sue braccia per accogliere, riferimento per tutti, è la forza che ti manca quando non sai che fare…è la gioia più bella del mondo. Insegna la fede in Gesù annunciando la Parola a fedeli e non fedeli facendone scoprire il reale significato; amministra i sacramenti; conforta, esorta e illumina le coscienze. Conosce i fedeli, sa ascoltare e capire i bisogni, coinvolge, cerca i lontani avendo cura dei vicini. Punto di riferimento per la comunità e le singole famiglie. Indica di volta in volta i valori a cui ispirarsi quotidianamente, è di conforto, di ispirazione e di correzione, quando serve. È… un sorriso. Sempre!

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Come saluto augurale Carmen ha rivolto a Don Omar queste parole:

Per don Omar

Ti doniamo questi piccoli segni perché gli oggetti parlino per noi e scusaci il modo un po’ goffo … è la prima volta che accogliamo un nuovo pastore. Un cesto: il cesto accoglie e raccoglie; però, a differenza di una scatola con coperchio, resta sempre aperto, lascia entrare e uscire, non chiude. E’ come le mani di Dio che raccolgono chi è disperso ma ci lascia liberi/e; le mani di Dio si aprono e raccolgono anche quando le nostre mani non ce la fanno. Con l’augurio che sempre aperta e accogliente sia anche la nostra comunità. La bandiera della pace: porta tra noi il mondo e noi nel mondo. Un mondo che vorremmo liberato dalla violenza, dalle ingiustizie, dall’egoismo, dal rancore. Un mondo che vorremmo giusto e pacificato. La bandiera è il segno della nostra speranza, che è attesa ma anche impegno, quotidiano e tenace. I libretti di San Fermo: i libri sono solo un piccolo segno della storia della nostra comunità; piccolo perché la storia di una comunità si intreccia alla storia comune dell’umanità e perché è fatta di corpi, racconti, sguardi, parole e silenzi, presenze e assenze, vuoti e pieni e della benevolenza di Dio. Sono le nostre radici, quelle che ci permettono di essere ciò che siamo, nel bene e nel male. Abbiamo una memoria da conservare che ti doniamo e di cui ti chiediamo di far parte. Ma sono radici che non devono frenare il nostro cammino … per questo si accompagnano a questo albero, che ha radici ma deve ancora crescere. Stanno insieme, il passato e il presente; una terra da cui le radici traggono nutrimento per continuare a germogliare, a dare foglie, fiori, frutti e poi semi per nuovi alberi. Che la Parola di Dio, la presenza del suo Spirito e l’umanità di Gesù ci accompagnino sempre nel nostro cammino insieme.

La Comunità di San Fermo

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TUTTI IN CERCHIO A Rota Imagna Il gruppo di 1°media e 5° elementare

Come di consuetudine, anche questo nuovo anno catechistico ha preso il “via” con il ritiro a Rota Imagna per i gruppi dalla 4^ elementare agli adolescenti, nelle giornate di sabato 19 e domenica 20 ottobre. Il tema di riflessione che lo ha caratterizzato e che ci accompagnerà durante i prossimi mesi è:”la mia fede ha bisogno degli altri?”; partendo dal presupposto che la fede non è qualcosa di scontato, bensì una ricerca, una sorta di “viaggio”, questa volta abbiamo raggiunto la Stella Mattutina a piedi, camminando nel bosco, da Sant’Omobono Imagna, lungo un sentiero a tratti pianeggiante, ma spesso in salita. Ciò ci ha permesso non solo di ammirare il paesaggio in tutti i suoi colori, ma anche di stare insieme chiacchierando, lamentandoci per la fatica e, soprattutto, di vivere un’esperienza nuova. Una volta raggiunta la destinazione e occupate le stanze, ci siamo ritrovati insieme per celebrare la Messa; prima, però, i catechisti ci hanno chiesto di formare un grande cerchio e ci hanno spiegato che proprio questa figura geometrica è stata scelta come spunto di riflessione per i due giorni a Rota, perché permette a tutte le persone di sentirsi sullo stesso piano, guardandosi negli occhi e, pur dando l’idea di essere un qualcosa di chiuso, in realtà è infinito, sempre aperto all’inserimento di elementi nuovi. Abbiamo letto tre brani, ma quello che più ci ha colpiti, è stata sicuramente la storia del “cerchio perfetto di Giotto” che ci ha insegnato come, spesso, le cose semplici e lineari siano quelle meglio riuscite ed apprezzate; Davide, poi, ci ha accompagnato con la chitarra nel canto “metti in circolo il tuo amore” di Ligabue. La sera, dopo cena, abbiamo assistito alla proiezione di alcune diapositive, con tema il cerchio nelle sue diverse tipologie, come figura geometrica, come idea di infinito, con la forma delle “Torri del Silenzio” (queste portate da Don Omar), tutto spiegato nei dettagli da Luisa; ognuno di noi poi è stato invitato a tracciare un cerchio il più perfetto possibile su un foglio bianco, con pennarelli di vario colore, liberi di sbizzarrirci nei contenuti. Prima di salutarci per andare a dormire, stando sempre in cerchio e prendendoci per mano, abbiamo danzato in cortile, intorno ad un falò, grazie anche alla temperatura mite che ci ha permesso di divertirci all’aperto.

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Nonostante la nottata trascorsa tra chiacchiere, risate, corse e ore in bianco, domenica mattina eravamo di nuovo in pista, pronti per la colazione e gli impegni della giornata. Ci siamo riuniti in salone, disposti dietro i nostri disegni appoggiati in terra e Marina ci ha illustrato come il grande cerchio della Comunità, in realtà, racchiuda alcuni cerchi più piccoli, ugualmente importanti (il banchetto della solidarietà, il gruppo biblico, la preghiera silenziosa….), di cui molti non conoscevano neppure l’esistenza e come vi sia la possibilità, per le nuove leve, di crearne altri, in futuro, per allargare ulteriormente il cerchio di San Fermo. Dopodiché ci siamo divisi in gruppo e a ciascuno di noi è stato consegnato un cerchio di stoffa su cui esprimere liberamente i propri pensieri, emozioni, riflessioni scrivendo, disegnando o, semplicemente, colorando. Il risultato di questo lavoro, assemblato, ha dato vita ad un significativo e bellissimo scacciapensieri che, ora, si trova appeso in Chiesa. Ancora una volta l’esperienza di Rota Imagna, oltre che farci sentire gruppo tra noi e con gli altri, ci ha arricchito e dato spunti su cui poter continuare a riflettere nei prossimi mesi.

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Tra i tanti interventi fatti a Messa che sono reperibili sul sito della Comunità, vogliamo offrire ai lettori del Giornalino questo intervento del giugno scorso fatto da Francesca Benvenuto.

Gesù prende i pochi pani e i pochi pesci e sfama tutta quella gente, lì venuta ad ascoltarlo. Gente che in quel momento è sotto l’urgenza di un bisogno primario, quello di nutrirsi. E la risposta di Gesù è condivisione. La prima interpretazione non letterale di questo brano l’ho avuta da ragazzina, leggendo il romanzo ‘La tunica’ di Douglass, lettura che spiega razionalmente il miracolo come miracolo di condivisione, appunto. E ho vissuto allora, e per molto tempo la contrapposizione tra miracolo quasi (forse senza quasi) atto magico e il gesto umano spiegato razionalmente. Nel primo gruppo entravano i gesti di Gesù che non riuscivo a spiegare alla luce della ragione, la resurrezione di Lazzaro, ad esempio, e nel secondo gruppo i gesti spiegabili con la ragione, come la moltiplicazione dei pani ed dei pesci appunto, come due gruppi contrapposti. Con il passare degli anni mi son resa conto che le cose erano più complicate, ma il discorso ‘miracolo’ non era per me uno di quelli centrali, non me lo ponevo neanche come problema, lo staccavo dal resto. E sicuramente pensavo che non potesse riguardare la mia vita. La mia esperienza di vita di quest’ultimo anno, soprattutto quella dell’estate scorsa, esperienza che mi segna ancora oggi, ha cambiato la mia visione delle cose: mi sembra di aver capito di più il significato della parola condivisione e del perché la si può accostare alla parola miracolo. Per lo meno è quello che io ho vissuto ed è quello di cui ho chiesto di potervi parlare stamani. Riassumo brevemente la mia vicenda: mi son trovata, nel giro di pochi giorni da donna, non più giovane ma completamente autosufficiente, partita felice in vacanza con auto e tenda, a donna in pericolo di vita e in uno stato di dipendenza assoluta, di cui non avevo memoria; nella dipendenza assoluta, per intenderci, che si ha nel primo anno di vita. Ero bisognosa degli altri per la soddisfazione di ogni bisogno primario, tra cui quello di nutrirsi è il meno imbarazzante. Quasi improvvisamente quindi mi sono trovata catapultata da uno stato di autosufficienza fisica e psicologica caparbiamente perseguita e orgogliosamente conquistata ad un letto d’ospedale da cui non mi sono alzata per quasi un mese, e anche allora per passare su una sedia a rotelle. Fin dal primo momento, già in Corsica, ma ancor di più dopo l’attacco più grave, mi sono sentita animata da una forza – che non sapevo di avere, che non so tuttora se avevo nascosta dentro di me o se mi è arrivata – che mi ha spinto a lottare per la mia vita. Ecco, preciso che non voglio essere drammatica, tanto meno melodrammatica, ma non voglio neanche banalizzare la situazione, non per me, ma perché non voglio togliere significato a quanto di bello mi è successo e che non è dipeso da me. Quindi, ho lottato da subito per la mia vita e per la mia riabilitazione, prima ancora di capire il significato pieno di questa parola. In questa lotta, che a tutt’oggi non ha mai avuto un arresto, io ho trovato un’energia che mi spingeva alla vita, che mi faceva accettare, quasi sempre con tranquillità d’animo, una situazione che avrei ritenuto fino a pochi giorni prima intollerabile e umiliante, un’energia che mi spingeva, nonostante le difficoltà in cui mi trovavo, a vedere con lucidità, d’istinto, quello che era meglio per la mia vita.

IL MIRACOLO DELLA CONDIVISIONE

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Vita che in quel momento percepivo, come poche volte mi era successo, come un tutt’uno tra corpo e mente e cuore e pancia e anima, se vogliamo usare questo termine: non c’era più distinzione. E quest’energia vitale, quest’energia che sentivo fisicamente come fosse una cosa concreta, quest’energia che mi ha permesso di sopportare e di agire in un modo che - vi garantisco - era decisamente al di sopra delle mie capacità, di quello che io ero, quest’energia da dove è scaturita? Non lo so, o meglio lo so se uso il termine sapere non nel senso di conoscere razionalmente (come si sa la storia della grande guerra) ma nel senso di essere cosciente, di essere consapevole con tutta me stessa che quest’energia è venuta da tutti coloro che subito, dagli amici in Corsica, da tutti gli altri poi - e non ne faccio il nome perché sono troppi- che si sono precipitati da me, a portare il loro conforto, a portare il loro aiuto, concreto, nell’immediato concreto, perché di concretezza avevo necessità, di camicie da notte pulite,di acqua minerale, di chi mi preparasse il letto per la notte, di chi m’imboccasse … Di pane e di pesce avevo bisogno, ma questo pane e questo pesce, che mi sono stati portati, non mi hanno solo dato la risposta al bisogno materiale – fondamentale, prioritario – ma sono stati il canale, il gesto, da cui è passata l’energia che mi ha dato forza. E quest’energia, la coglievo giorno dopo giorno, in quel letto d’ospedale, all’inizio d’istinto, poi sempre più consapevolmente, la coglievo sicuramente nelle cure materiali, ma la coglievo, l’assorbivo in tutti coloro che sono riusciti a farsi sentire vicini, anche con un messaggio. Era come se io ricevessi questa linfa vitale da tutti coloro che in qualunque modo, occupandosi di me, anche solo mandandomi a salutare, manifestavano il loro affetto. Uno forse può pensare – io un anno fa avrei pensato- che questo affetto fosse un conforto morale, psicologico. No. E’ stato ben di più. Questo affetto, questa condivisione della mia sofferenza che era totale, dell’anima e del corpo, sono stati per me veicolo di salvezza totale, fisica, psicologica. Non posso pensare - se penso al letto in cui sono stata immobile un mese - alla salute fisica separata da quella non fisica, non posso fare distinzione tra benessere fisico e spirituale. E questo è stato il miracolo che io ho vissuto. Gli amici, i parenti, i fratelli che si son fatti carico del dolore mio, e di quello di mio figlio, sono stati quelli che hanno diviso con me, con noi due, il pane e il pesce. Ma miracolo non è solo questa condivisione, miracolo è anche qualcosa d’altro. E questo che dico ora ho impiegato di più a capirlo. E anche a questo non sono arrivata da sola ma parlando con chi mi era vicino. Io non ho ricevuto passivamente questo amore, non sono stata solo oggetto di amore, ma sono entrata in relazione con chi me lo dava. In uno scambio reciproco. Io l’ho accolto questo amore, grata, gratissima, ma senza sentirmi in debito. Mai. Perché era così grande il dono che mi veniva fatto che uscivo dall’ottica del bilancio dare/avere e entravo in una dimensione più grande. E anche questo non era da me. E allora credo che anche questa capacità di rapportarmi agli altri pur dipendendo, la capacità di chiedere aiuto, di ricevere, sia stato un dono che mi è arrivato, attraverso coloro che mi hanno dato pane e pesce.

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Concludo con un’etimologia, miracolo deriva da mirari, meravigliarsi, a sua volta da smirari, guardare con meraviglia, con la radice del sanscrito smay, sorriso. A me, in quella stanza d’ospedale, mi è stato portato, oltre all’acqua minerale, alle camicie pulite, alle cure materiali, mi è stato portato il sorriso.

Francesca Benvenuto

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Abbiamo ricevuto dal Centro Mater Misericordiae che Colette ha fondato nella regione della Repubblica Democratica del Congo più vicina al Ruanda e quindi più tormentato dalla guerriglia, questa lettera di ringraziamento. In essa veniamo invitati a condividere la gioia di vedere come alcuni dei ragazzi da lei accolti siano arrivati a terminare con successo i loro studi conseguendo la laurea.

Il Centro Mater Misericordiae ha una grande gioia da condividere con tutti voi fratelli suoi che l’avete aiutato a realizzare questo miracolo tramite la sua Coordinatrice, Colette. Quest’anno il Centro Mater Misericordiae ha ottenuto già 4 lauree

e la quinta arriverà fra poco perché Mupenge Mukamba Christian ha già finito tutti gli esami e sta facendo il tirocinio. Stiamo crescendo perché 5 dei nostri ragazzi sono arrivati alla laurea grazie ai vostri sacrifici. Grazie tante !!! Con gioia immensa, vi presentiamo i nostri auguri di Buon Natale e Buon Anno Nuovo 2014.

Il Centro Mater Misericordiae e Colette

RINGRAZIAMENTO DI COLETTE

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Presso i Padri Monfortani di Redona Luisa e Davide

Domenica 17 novembre 2013 si è tenuta la giornata della Comunità di San Fermo di Bergamo. E’ stata una giornata piena di relazioni, attività ed incontri di mondi, anche molto diversi, all’insegna però della comune ricerca di una fraterna condivisione dell’umana esperienza. L’incontro si è tenuto presso la sede dei padri Monfortani di Redona a Bergamo. Alle ore 10.00 circa, gli adulti, insieme agli adolescenti e al gruppo di terza media, hanno assistito alla proiezione di un filmato, incentrato su quattro testimonianze (interviste) raccolte da Don Omar sul tema della comunità di quest’anno: “La mia fede ha bisogno dell’altro?” Dopo la visione i partecipanti si sono divisi in gruppi di lavoro per elaborare riflessioni e discutere sul tema. I ragazzi della comunità, invece, hanno potuto ascoltare due testimonianze legate all’esperienza dei “Condomini solidali”: una di S.Paolo d’Argon volta ad aiutare persone disabili e l’altra di Torre Boldone indirizzata ad alcune famiglie in difficoltà. Il momento del pranzo comunitario è stata un’ulteriore occasione di condivisione di idee, riflessioni e naturalmente incontro di sensibilità attorno ad un tavolo imbandito con buone pietanze portate da ognuno.

GIORNATA DELLA COMUNITA’

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I bambini e i ragazzi hanno avuto nel dopo pranzo l’occasione, molto gradita, di condividere momenti di gioco e di relazione, sicuramente molto apprezzati anche dagli adulti che non hanno molte occasioni di incontrarsi e di condividere esperienze di vita comune. La giornata si è conclusa con la messa celebrata insieme dalle tre guide spirituali della comunità di San Fermo: Don Aldo, Don Biagio e Don Omar davanti ad un buon numero di partecipanti di tutte le età: la memoria storica, il presente ed il futuro della Comunità cristiana di San Fermo che insieme, attraverso l’Eucarestia, hanno rinnovato il loro impegno e disponibilità all’incontro e alla condivisione dell’esperienza di fede cristiana. La giornata della Comunità è stata anche l’occasione per invitare tutti gli interessati all’incontro previsto per il giorno 5 dicembre: “L’umanità del Vangelo dentro la vita” . Tale proposta sarà l’occasione per ri-pensarsi e ri-mettersi in gioco come Comunità aperta al territorio per affrontare le nuove sfide del futuro…

Luisa e Davide

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NATALE NEL 2013..

Come sarebbero andate le cose se Gesù fosse nato nell’Italia 2013 Favola amara di un Giudice Istruttore

25 dicembre 2013: “Trovato neonato in una stalla. La polizia e i servizi sociali indagano. Arrestati un falegname e una minorenne”. L’allarme è scattato nelle prime ore del mattino grazie alla segnalazione di un comune cittadino (obbediente all’invito del ministro degli Interni): aveva scoperto una famiglia accampata in una stalla. Al loro arrivo gli agenti di polizia, accompagnati da assistenti sociali, si sono trovati di fronte ad un neonato avvolto in uno scialle e depositato in una mangiatoia dalla madre extracomunitaria, tale Maria H. di Nazareth, appena quattordicenne. Al tentativo della polizia e degli operatori sociali di far salire la madre e il bambino sui mezzi delle forze dell’ordine, un uomo, successivamente identificato come Giuseppe H di Nazareth, ha opposto resistenza spalleggiato da alcuni pastori e da tre stranieri presenti sul posto. Sia Giuseppe H. che i tre stranieri, risultati sprovvisti di documenti di identificazione e permesso di soggiorno, sono stati tratti in arresto. L’Ufficio Stranieri della Questura e la Guardia di Finanza stanno indagando per scoprire il paese di provenienza dei tre clandestini. Secondo fonti di polizia i tre potrebbero essere spacciatori internazionali, dato che sono stati trovati in possesso di un ingente quantitativo di oro e di sostanze presumibilmente illecite. Nel corso del primo interrogatorio gli arrestati hanno riferito di agire in nome di Dio per cui non si escludono legami con Al Qaeda. Le sostanze chimiche rinvenute sono state inviate al laboratorio per le analisi. La polizia mantiene uno stretto riserbo sul luogo in cui è stato portato il neonato. Si prevedono indagini lunghe e difficili. Un breve comunicato stampa dei servizi sociali, diffuso in mattinata, si limita a rilevare che il padre del bambino è un adulto di mezza età, mentre la madre è ancora adolescente. Gli operatori si sono messi in contatto con le autorità di Nazareth per scoprire quale sia il rapporto tra i due e se la loro lontananza dal luogo di residenza abituale possa nascondere rapimento o plagio. Nel frattempo Maria H. è stata ricoverata all’ospedale e sottoposta a visite cliniche e psichiatriche. Sul suo capo pende l’accusa di maltrattamento e tentativo di abbandono di minore. Gli inquirenti nutrono dubbi sullo stato di salute mentale della donna la quale afferma di essere ancora vergine e di aver partorito il figlio di Dio. Il primario del reparto di Igiene Mentale ha dichiarato oggi in conferenza stampa: “Non sta certo a me dire alla gente a cosa deve credere, ma se le convinzioni di una persona mettono a repentaglio – come in questo caso – la vita di un neonato, allora la persona in questione rappresenta un rischio sociale. Il fatto che sul posto siano state rinvenute sostanze stupefacenti non ancora consuete al nostro mercato clandestino, non migliora il quadro. Sono comunque certo che, se sottoposte ad adeguata terapia per uno due o tre anni – solo i progressi determineranno la durata della cura – le persone coinvolte, compresi i tre trafficanti di droga, potranno essere reinseriti a pieno titolo nella società. Le autorità competenti decideranno se espellerli con foglio di via obbligatorio o accettare la loro eventuale richiesta di permesso di soggiorno. Ma questo esula da ogni mia responsabilità professionale”. Pochi minuti fa si è sparsa la voce che anche i contadini presenti nella stalla vengono sospettati di essere consumatori abituali di sostanze stupefacenti. Il loro alibi non ha retto ai primi controlli. Sostengono di essere stati costretti a recarsi nella stalla da una persona di alta statura con addosso una lunga veste bianca e due ali sulla schiena (?). Avrebbe loro imposto di festeggiare il neonato. Il portavoce della sezione antidroga della questura ha così commentato: “Gli effetti di certe sostanze a volte sono imprevedibili, ma si tratta della scusa più assurda mai messa a verbale negli interrogatori di tossicodipendenti”.

(Anonimo Lombardo)

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GRUPPI BIBLICI

denominazione tema luogo frequenza e

giorno Referente

BERESHIT

Qoelet Chiesa di S. Fermo Sacrestia

Quindicinale Lunedì ore 21.00

Cesarina 035 245473

del MARTEDI’

Commento alla letture della Messa domenicale o

festiva Chiesa di S. Fermo

Sacrestia Settimanale

Martedì ore 21.15 Antonio

035 234786

del MERCOLEDI’ Letture in sequenza delle 5 “meghilla” a partire dal

Cantico dei Cantici Casa dei preti Quindicinale

Mercoledì ore 21.00 Antonella 035 347 633

del GIOVEDI’ Testi vari sul tema della resurrezione

Via Torni 1 – BG presso Carla Zilocchi

Quindicinale Giovedì ore 21.00

Carla 035 257954

Gruppo biblico del SABATO

(“Caro Teofilo”)

Lettura del Libro “Gli atti degli apostoli”

Scuola media Codussi Quindicinale,

il sabato, ore 16.30

Gian Gabriele Vertova 035 237129

[email protected]

GRUPPI CON VARI TIPI DI ATTIVITA’

gruppo tema luogo frequenza e

giorno referente

GIORNALINO Redazione

Sacrestia Chiesa San Fermo

Mercoledì/frequenza da concordare

Silvio 035 460155

INSIEME E’ MEGLIO Attività

ricreative e culturali della Terza Età

Via S. Fermo, 7 da concordare Adriana 035 218603

CATECHISTI La fede dei ragazzi e dei giovani Via San Fermo, 7 In relazione agli eventi

liturgici Renata Bettini

035237114

PREGHIERA SILENZIOSA

In silenzio davanti al Signore Chiesa di San Fermo Il venerdì ore 20,45 Roberto

035 246001

GRUPPO TAIZE’ Incontro di preghiera Chiesa di S. Fermo Terzo venerdì del mese ore 21.00

Donatella 035 360865

INFORMAZIONI PER L’AFFIDO

Affido di bambini e giovani a famiglie da concordare da concordare Elisa e Alberto

035 261230

CORO Canti per la liturgia Chiesa di S. Fermo Quindicinale Lunedì ore 21.00

Maurizio 035 226086

GRUPPO PROGETTI DI SOLIDARIETÀ’

Sostegno a progetti di solidarietà

Luogo da concordare Si decide su convocazione Giacinta Marani

035 4236888

Messe a San Fermo

Mercoledì ore 17

Sabato ore 18

Domenica ore 8.30 e 10.30