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Eine Welt Un seul monde Un solo mondo N. 2/ GIUGNO 2017 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE www.dsc.admin.ch Energia Non c’è sviluppo senza elettricità Palestina A Ramallah fioriscono le start up Libero scambio Un male o un bene per i Paesi del Sud?

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N. 2/ GIUGNO 2017LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONEwww.dsc.admin.ch

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2 Un solo mondo n.2 / Giugno 2017

Sommario

3 Editoriale4 Periscopio

26 Dietro le quinte della DSC33 Servizio 35 Nota d’autore con Noëlle Revaz35 Impressum

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenziadello sviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri(DFAE), è l’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è unapubblicazione ufficiale in senso stretto; presenta, infatti, unapluralità di opinioni. Gli articoli pertanto non esprimono sempre il punto di vista della DSC e delle autorità federali.

D S C

F O R U M

O R I Z Z O N T I

C U L T U R A

D O S S I E R ENERGIA6 Energia, un’arma vincente contro la povertà

Lo sviluppo dipende anche dall’accesso all’energia. Eppure per il momento la comunità internazionale dedica poca attenzione alla lotta contro la povertà energetica

12 Fonti rinnovabili, chiave per uno sviluppo sostenibileIntervista a Boaventura Cuamba, professore di sistemi energetici ecologicamente sostenibili presso l’Università di Eduardo Mondlane a Maputo, in Mozambico

14 Produzione di mattoni ecologica e redditiziaUn progetto della DSC perfeziona la fabbricazione di mattoni nell’America latina, migliorando nel contempo la qualità dell’aria e di vita delle comunità locali

15 Pannelli solari per un futuro più radiosoPiccoli impianti solari portano la corrente elettrica nelle case della gente delle regioni rurali dell’Africa e dell’Asia meridionale

17 Fatti e cifre

18 Start up alla conquista del ciberspazio araboNonostante il conflitto arabo-israeliano, a Ramallah, in Palestina, fioriscono le nuove aziende attive nel settore delle nuove tecnologie

21 Sul campo con...Véronique Hulmann, capomissione della cooperazione svizzera in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza

22 Gerusalemme: un amore dolce e amaroZeina Ayyad ci parla della sua quotidianità di giovane donna in una città divisa

27 Libero scambio: un male o un bene?Le opinioni sono contrastanti: da una parte c’è chi sostiene che il commercio internazionale ostacoli lo sviluppo dei Paesi poveri, dall’altra chi afferma che lo promuova

30 Il post-colonialismo ufficiale del MaroccoCarta bianca: Driss Ksikes ci descrive l’offensiva diplomatica di re Mohammed VI

31 «La letteratura ci insegna chi siamo»Due case editrici, una in Benin e l’altra in Svizzera, pubblicano libri per bambini e giovani affinché possano allargare i loro orizzonti

23 Ricerca e formazione sul tetto del mondoUn progetto della DSC promuove la raccolta di dati scientifici nella regione dell’Himalaya per lottare efficacemente contro il cambiamento climatico

24 «Perché è il loro progetto»Grazie al sostegno della Svizzera, due province del Vietnam sono diventate le pioniere locali della democrazia e della partecipazione dei cittadini

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Editoriale

Si narra che durante il periodo della Guerra fredda,l’allora primo ministro del Regno Unito, MargaretThatcher, abbia rivolto a Leonid Brežnev, segretariogenerale del Partito comunista dell’URSS, la seguentedomanda: «Signor segretario generale, in una parola:come sta l’economia sovietica?». Brežnev rispose:«Bene!». Non contenta della risposta, Thatcher ribatté:«Signor segretario generale, magari in due parole?».E Brežnev: «Non bene!».

Questo dialogo mi è tornato in mente durante l’ultimaconferenza annuale della DSC, quando diversi gior-nalisti mi hanno chiesto se le nostre risorse finanzia-rie fossero sotto pressione. In modo conciso avrei po-tuto rispondere che lo scorso anno il Parlamentoaveva approvato a larga maggioranza tutti i creditiquadro del Messaggio concernente la cooperazioneinternazionale della Svizzera e che il bilancio 2017della DSC non aveva subito ulteriori tagli. Ciò sta a indicare che, tutto sommato, il Parlamento appoggiale attività della cooperazione allo sviluppo; un soste-gno che, stando ai sondaggi, godiamo anche fra l’opinione pubblica.

Tuttavia con questa risposta non avrei informato inmaniera esaustiva e completa i giornalisti. Infatti,prima di passare al vaglio del Parlamento, i citati cre-diti quadro erano già stati ridotti di 587 milioni di fran-chi a causa del programma di stabilizzazione 2017-2019. Una cifra pari al 25 per cento del programma dirisparmio a livello federale, quando la quota della cooperazione internazionale corrisponde ad appena il 3-4 per cento del bilancio nazionale. E nel momentoin cui leggerete questo editoriale, sapremo anche aquanto ammonteranno gli ulteriori tagli alla coopera-zione internazionale nell’ambito del pacchetto di sta-bilizzazione 2018-2020.

Al di là delle mere cifre e delle ripercussioni sui pro-grammi della DSC, una questione di fondo mi preoc-cupa: le eccessive misure di risparmio nella coopera-zione internazionale sono solamente un’espressione

degli interessi finanziari correnti o piuttosto uno spo-stamento, peraltro già evidente in altri Paesi ricchi,dalla solidarietà internazionale ai particolarismi nazio-nali? In questo contesto si sentono spesso i seguentislogan: «La generosità inizia in casa propria» o «Aiutial commercio» (Aid for Trade).

Ovviamente è legittimo per un Paese perseguire i pro-pri interessi, ma questi non possono concentrarsi uni-camente sul reddito pro capite e sui bilanci commer-ciali positivi. Essi abbracciano anche la pace e unadistribuzione equa del benessere globale. Come sappiamo, le tensioni economiche e sociali e i conflittiarmati, che coinvolgono regioni lontane, possono trasformarsi rapidamente in sfide globali.

Il mandato centrale della cooperazione internazionaledella Svizzera è la lotta alla povertà e ad altre causedi conflitti e migrazioni forzate nei nostri Paesi part-ner. È un impegno che tutela direttamente gli interessidel nostro Paese.

Per me è altrettanto importante il messaggio che tra-smettiamo con il nostro impegno per i poveri e i biso-gnosi di tutto il mondo: noi svizzeri siamo orgogliosidelle nostre conquiste e grati per la nostra prosperità,ma non dimentichiamo coloro che possiedono moltomeno. La nostra solidarietà è dunque parte della no-stra identità. Una caratteristica di cui dobbiamo averecura, anche nel nostro interesse.

Manuel SagerDirettore della DSC

(Traduzione dal tedesco)

La solidarietà è parte della nostra identità D

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Periscopio

Orti galleggianti per contadini senza terra(zs) In Bangladesh, i cambiamenti climatici e l’aumentatorischio di inondazioni stanno dando nuovo slancio agliorti galleggianti, una pratica agricola che risale alla nottedei tempi. Su un’isola costituita da giacinti d’acqua vienedisposto un fitto intreccio di canne di bambù che vienericoperto di compost. Questa specie di zattera consenteai piccoli contadini, anche a quelli più poveri e senzaterra, di coltivare molte varietà di ortaggi. In questo modole famiglie possono nutrirsi anche nei periodi di piena eottenere un piccolo reddito vendendo le eccedenze almercato locale. Gli orti galleggianti offrono una produtti-vità fino a dieci volte superiore agli orti in pieno campo. E sono pure ecologici: grazie all’abbondante presenza diazoto, potassio e fosforo non devono essere concimati.Questa coltura sostenibile fa parte dei «Sistemi ingegnosidel patrimonio agricolo mondiale», un’iniziativadell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimenta-zione e l’agricoltura.

Storie vere per lottare controle false promesse(lb) «Il viaggio dal Sudan allaLibia è stato difficile. Abbiamotrascorso 15 giorni nel deserto,senza quasi nulla da bere. Seipersone sono morte». È la testi-monianza di Ahmed, giovaneeritreo partito dal suo Paese nel2014. La sua storia è stata pub-

blicata sulla piattaforma onlineTelling the Real Story dell’Altocommissariato dei rifugiati delleNazioni Unite UNHCR.Come tanti altri giovani eritreie somali, Ahmed sapeva che ilviaggio era pericoloso. Prima dipartire non poteva però imma-ginare a quali rischi stava an-dando incontro e quali difficoltàlo attendevano in Europa. Conquesta iniziativa, l’UNHCR in-tende raccogliere le storie veredi rifugiati e richiedenti l’asiloaffinché le condividano con iloro connazionali. «Vogliamocombattere le false promesse e lapropaganda dei passatori diffusesui media sociali; sono infattiquasi l’unica fonte di informa-

zione per chi vuole raggiungerel’Europa», spiega Melita Sunjic,portavoce dell’UNHCR.Lanciata l’anno scorso, la piatta-forma raccoglie già un buon numero di drammatiche storiedi profughi e richiedenti l’asilo.www.tellingtherealstory.org

Dati affidabili per lo sviluppo(cz) Servono statistiche affidabilirelative ai successi e ai fallimentidelle misure di cooperazioneallo sviluppo, per esempio permonitorare gli Obiettivi di sviluppo del millennio o gliObiettivi di sviluppo sostenibiledell’Agenda 2030. Nei Paesi piùpoveri, le statistiche sono peròancora lacunose. Per migliorarequesta situazione, a inizio annoa Città del Capo, in Sudafrica, si è svolto il primo forum mon-diale delle Nazioni Unite suidati (World Data Forum), a cuihanno partecipato oltre 1400persone provenienti da più di100 Paesi. Durante il forum èstato presentato un piano d’a-zione globale che mette l’ac-cento sull’importanza della rac-colta dei dati per controllare losviluppo sostenibile. Entro il2030 si dovranno registrare pro-gressi concreti in sei ambiti spe-cifici, per esempio, sarà necessa-rio modernizzare i sistemistatistici nazionali, migliorare ladiffusione di informazioni sullosviluppo sostenibile o creare deipartenariati. La Svizzera ha for-nito il proprio contributo allosviluppo di questo piano d’a-zione, adottato ufficialmentedalla Commissione di statisticadell’ONU nel marzo 2017.www.undataforum.org

Le metropoli inghiottono terreni agricoli(cz) Entro il 2030, nelle città ditutto il mondo vivranno cinquemiliardi di persone, quasi il dop-pio rispetto all’inizio del millen-nio. Queste cifre sono state calcolate da alcuni ricercatori

dell’Istituto per l’ecologia so-ciale dell’Università di Klagen-furt. Nel loro studio indicanoche nei prossimi tredici anni lasuperficie urbanizzata aumenteràdi tre volte, sottraendo all’agri-coltura terreni altamente pro-duttivi. «Oltre il 60 per centodel suolo coltivabile si trova nei pressi delle città», affermaHelmut Haberl, coautore dellaricerca. La perdita di produzionepotrebbe essere compensata a li-vello globale, ma per i Paesi di-rettamente interessati, peraltrogià svantaggiati, si tratta di un’e-voluzione rischiosa. L’80 percento di questi terreni agricoli sitrova in Asia ed Africa. In que-st’ultimo continente, l’Egitto, laNigeria e la regione attorno allago Victoria sono particolar-mente a rischio. In Asia ri-schiano di essere coperte dal cemento soprattutto le valli flu-viali e le zone costiere nei pressidi aree che ospitano megalopoli,come lo spazio economico delgolfo di Bohai, il delta del fiumeAzzurro, in Cina, o l’isola diGiava, in Indonesia.

Sconfiggere la povertà: in pochi ci credono( jlh) Sono in pochi a sapere chedal 1990 ad oggi il numero dipersone che vivono nella po-vertà estrema si è dimezzato.Infatti, l’87 per cento delle persone crede che negli ultimidecenni la povertà estrema siaaumentata o sia rimasta inva-riata. Sono i risultati a cuigiunge lo studio internazionale«Glocalities – Towards 2030Without Poverty», che ha

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coinvolto 26000 persone in 24 Paesi. Questo pessimismo,dovuto a una scorsa informa-zione, si riflette in un altro dato: il 66 per cento degli interrogatiritiene da molto ad abbastanzaimprobabile sradicare la povertàin tutte le sue forme entro il2030, obiettivo fissato nell’Agenda 2030 per uno svilupposostenibile. Il 21 per cento è indeciso e solo il 13 per centocrede che ciò sia possibile.Quasi la metà degli intervistatiritiene di non poter contribuirepersonalmente a sconfiggere la povertà estrema. Secondo i responsabili dello studio, i risultati indicano che occorrononuovi strumenti per informare e coinvolgere meglio l’opinionepubblica.www.glocalities.com

Nessuno sviluppo senza ingegneri ( jlh) In Africa mancano oltrequattro milioni di ingegneri ne-gli ambiti della nutrizione, del-l’acqua e dello smaltimento deirifiuti. È la conclusione allaquale giunge un rapportodell’African Capacity BuildingFoundation. Le ragioni risiede-rebbero nella pessima immaginee nei bassi stipendi di scienziati eingegneri. In futuro sarà dunquenecessario aumentare il numerodi studenti di matematica, informatica, scienze naturali e tecnica. L’importanza delle professioni tecniche è messa inrilievo dallo studio «Engineeringand economic growth: a globalview», svolto dalla RoyalAcademy of Engineering, inGran Bretagna. Secondo la

ricerca vi è una relazione direttatra il numero di ingegneri di unPaese e il suo sviluppo econo-mico. Lo studio prevede unforte aumento del numero diingegneri in India e Vietnam.

Per quanto riguarda le donne, lapercentuale più alta di ingegneresi trova in Tunisia, Myanmar eHonduras.

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Energia, un’arma vincentecontro la povertà Nessun allacciamento alla corrente elettrica e per cucinare unfocolare fumante: è questa la realtà quotidiana di miliardi di persone. Per il momento, la cooperazione allo sviluppo non dedica sufficiente attenzione alla lotta contro la povertà ener-getica. Con l’Agenda 2030, la comunità internazionale intendecorreggere il tiro. Di Jens Lundsgaard-Hansen.

Basta girare un interruttore o premere un pulsan-te per riscaldare o illuminare un locale. È questa la realtà in Svizzera e le conseguenze a livello di consumo energetico sono note: il nostro consumoè quasi aumentato di dieci volte rispetto a cento anni fa. Oltre il 60 per cento della nostra energiaproviene da fonti fossili. A livello mondiale, più

dell’80 per cento deriva da carbone, petrolio e gas,le cui emissioni di CO2 sono molto probabilmen-te la causa principale dei cambiamenti climatici cuiassistiamo attualmente. Circa il 66 per cento diqueste emissioni è prodotto dai Paesi dell’OCSEe dalla Cina, mentre solo il tre per cento provienedall’Africa.

I mercanti ambulanti di Miesso, in Etiopia, cucinano a cielo aperto, così come altri 2,7 miliardi di persone al mondo. Il fumo che inalano è nocivo.

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Energia

Si è più poveri senza energiaIn Africa e in molte altre regioni del mondo nonesistono interruttori e pulsanti. L’energia è mercerara e per questo motivo si dice che questi Statisoffrono di una condizione di povertà energetica.Il termine designa soprattutto la mancanza di accesso all’elettricità e a fonti pulite per cucinare.Circa 1,3 miliardi di persone non di-spongono dielettricità o possono contare solo su un approvvi-gionamento elettrico inaffidabile. Circa 2,7 mi-liardi di persone cucinano con biomassa, ovvero

Due bambine africane ritornano dal bosco con la legna per cucinare. Spesso manca loro il tempo per frequentare lascuola.

con legna, carbone o sterco essiccato, di solito di-rettamente sul fuoco o con forni fumanti. Il fumoche producono è tossico ed è la causa di oltre 4milioni di morti all’anno; una cifra che supera levittime di AIDS e malaria nel mondo. La povertà energetica tocca miliardi di persone.Quasi tutte vivono nell’Asia meridionale e nell’Africa subsahariana, ossia nelle regioni in cui tro-viamo la maggior parte della gente che vive nellapovertà più estrema. Per questo motivo è lecitogiungere alla conclusione che la povertà ha anchea che fare con la carenza di energia.Chi non ha accesso all’elettricità è penalizzato:niente luce la sera, niente frigorifero per gli ali-menti e per i medicinali, niente apparecchi elet-trici per una produzione efficiente, niente infor-mazioni da internet. Inoltre cucinare sul fuoco acielo aperto comporta gravi conseguenze, nonsolo per i boschi e l’ambiente, ma anche e soprat-

tutto per le bambine e le donne che ogni giornopassano ore e ore a cercare legna da ardere, tem-po che manca loro per andare a scuola o per de-dicarsi a un lavoro remunerato.Ecco spiegato perché chi dispone di energia ha piùopportunità. «È l’energia che fa funzionare il no-stro mondo moderno», ricorda Julia Steinberger,professoressa di scienze dell’ambiente presso l’ Uni-versità di Leeds, in Inghilterra. «Mettere più ener-gia a disposizione di più persone è un imperativocategorico», sostiene dal canto suo Helen Clark,

capo del Programma delle Nazioni Unite per losviluppo (UNDP).È un obiettivo che la comunità internazionale in-tende perseguire. Nell’Agenda 2030 per uno svi-luppo sostenibile, l’obiettivo numero 7 recita: «As-sicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia eco-nomici, affidabili, sostenibili e moderni». Per JuliaSteinberger, l’energia dovrebbe avere la priorità as-soluta in ambito di politica dello sviluppo. Difat-ti, i Paesi con un consumo di energia molto bassoaccusano importanti ritardi nello sviluppo.

Poca attenzione per la povertà energeticaL’approvvigionamento energetico diventerà dun-que un fattore centrale della politica per lo svilup-po? Non si direbbe, almeno non per la Svizzera.Di solito, la questione è affrontata nell’ambito del-la politica climatica, che è l’argomento a cui si de-dica maggior attenzione. Nella nuova strategia

Accesso all’energia Si parla di «mancanza diaccesso all’energia» se lepersone non dispongonodi cucine ecologiche o dielettricità. Circa il 95 percento di queste personevive nell’Asia del Sud enell’Africa subsahariana,eccezion fatta per ilSudafrica. L’80 per centosi trova nelle zone rurali.Anche nelle città, centinaiadi milioni di persone nonhanno accesso all’elettri-cità, perché non possonopermettersela o perché larete di distribuzione e laproduzione sono inaffida-bili. Le popolazioninell’Africa subsaharianasono quelle più penalizzatein assoluto. Il loro con-sumo di energia pro capiteè di quasi 20 volte inferiorealla media mondiale.

Servono investimenti Secondo l’Agenzia interna-zionale dell’energia (IEA) ela Banca mondiale, percreare servizi energeticimoderni per tutti entro il2030 servono circa 50 mi-liardi di dollari all’anno. Nel2013 sono stati investitiquasi 14 miliardi. Un po’più della metà dei finanzia-menti è stato versato dalsettore privato e daglistessi Paesi in via di svi-luppo, il resto dall’aiuto bi-laterale e multilaterale(ONU, Banca mondialeecc.). Per favorire gli inve-stimenti da parte del set-tore privato servono pro-getti attrattivi. Anche ilFondo verde per il clima(Green Climate Fund), chein futuro dovrebbe disporredi oltre 100 miliardi di dol-lari all’anno, dovrà contri-buire a finanziare progettivolti al raggiungimento del-l’obiettivo n. 7 dell’Agenda2030 per uno sviluppo so-stenibile.

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2017-2022 di Sacrificio Quaresimale, Organizza-zione di cooperazione internazionale dei cattolicidella Svizzera, l’accesso all’energia gode di una cer-ta considerazione ma, come spiega Stefan Salz-mann, al momento ci si trova in un’iniziale fase disviluppo delle attività di progetto nei singoli Pae-si. Per Caritas Svizzera, la questione figura fra gliobiettivi strategici: in Tagikistan e ad Haiti ven-gono promossi solo progetti che favoriscono l’im-piego di tecnologie pulite e a buon mercato nellarealizzazione di cucine. In generale, i progetti di lotta alla povertà energe-tica sono molto meno importanti e diffusi rispet-to a quelli volti a migliorare l’alimentazione, l’i-struzione o la salute. La cooperazione allo svilup-po della Confederazione si impegna in vari ambiti.«Finora – constata Reto Thönen, esperto in ma-teria di energia presso la DSC – la Svizzera uffi-ciale ha però sempre trascurato questo problema».

Favorire lo sviluppo senza energie fossiliDa una parte si vuole migliorare l’accesso all’e-nergia nei Paesi del Sud, dall’altra si intende lotta-re contro le emissioni di CO2, principali colpevo-li del cambiamento climatico a livello mondiale.Sulle ricette per far convivere questi due obiettivicontrastanti vi è un ampio consenso, perlomenoin teoria: meno carbone, petrolio e gas e più ener-gie rinnovabili quali sole, vento, biomassa o geo-termia. Nel contempo si tratta di impiegare ogni

Asia del Sud e Africa Nell’Asia del Sud, circa500 milioni di persone, ovvero il 14 per cento dellapopolazione, non hannoaccesso all’energia e quasi1,9 miliardi di persone nondispongono di fonti puliteper cucinare. Nell’Africasubsahariana, il 65 percento della popolazione(630 milioni di persone)non ha accesso all’elettri-cità, mentre oltre l’80 percento (800 milioni) cucinacon combustibili non eco-logici. In Africa, i progressifatti finora sono modesti.Per questo motivo, laBanca mondiale indica checi si dovrà concentrare so-prattutto su questo conti-nente per raggiungere l’obiettivo n. 7 dell’Agenda2030 per uno sviluppo sostenibile.

forma di energia con la massima efficienza. Ma èun obiettivo tutt’altro che facile da realizzare. Car-bone, petrolio e gas sono i vettori del benessere,diffusi in tutto il mondo, e il loro abbandono rap-presenta una sfida enorme per i Paesi industrializ-zati ed emergenti, soprattutto per quelli asiatici. Ed è un’impresa altrettanto difficile per i Paesi delSud, a cui si chiede di promuovere lo sviluppo evi-tando di ricorrere, su ampia scala, all’energia fos-sile. E così, il progetto comune presentato alla finedel 2016 da 48 Paesi poveri di Africa, Asia meri-dionale e America centrale ha suscitato grande interesse. La coalizione di Paesi particolarmente toccati dai cambiamenti climatici (Climate Vulne-rable Forum) si è posta l’obiettivo di superare lapovertà energetica, ma utilizzando al più prestosolo fonti pulite. «L’idea di dare accesso all’energia pulita a tutti gliabitanti dei Paesi del Sud è realizzabile», sostieneBoaventura Cuamba, professore e studioso di si-stemi energetici in Mozambico. Infatti, il poten-ziale legato alle energie rinnovabili nella maggiorparte dei Paesi del Sud è enorme.

Meglio uniti che da soliVi sono varie strategie per perseguire l’obiettivoenergetico dell’Agenda 2030. Sono approcci vale-voli sia per l’Asia meridionale, sia per l’Africa sub-sahariana, nonostante le condizioni nei singoli Pae-si siano molto diverse. Varie organizzazioni attive

Questa bambina in Bangladesh fa i compiti al chiarore di una lampada LED, alimentata da una batteria collegata a unpannello solare.

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L’accesso all’energia ha un ruolo decisivo nella lotta contro la povertà: corsi di alfabetizzazione per adulti in Mali (a sinistra), possibilità di lavorare anche quando fuori è buio in Kenya.

a livello globale, Stati e organizzazioni non go-vernative hanno lanciato tutta una serie di inizia-tive globali, fra cui i programmi «Energia sosteni-bile per tutti», «Lighting Africa» e «Global Alliancefor Clean Cookstoves» che offrono il vantaggio di unire i mezzi finanziari, elaborare strategie comuni e diffondere buone pratiche. La Svizzera prende parte a queste iniziative, in ma-niera diretta o indiretta. La Segreteria di Stato del-l’economia (SECO), per esempio, è rappresenta-ta negli organismi direttivi della Banca mondialeed è fra i dieci donatori più importanti dell’Agen-zia internazionale per lo sviluppo (IDA) della Ban-ca mondiale, che concentra i suoi sforzi in parti-colare sui Paesi più poveri. «Creare un accesso all’energia significa spesso coinvolgere interi Pae-si e creare condizioni quadro adeguate. Per que-sto motivo, le organizzazioni multilaterali posso-no avere un impatto maggiore rispetto a piccoli esingoli progetti», afferma Guy Bonvin, responsa-bile del finanziamento di infrastrutture nella co-operazione allo sviluppo per la SECO. Negli ul-timi anni, gli investimenti della Banca mondialenella produzione, nella trasmissione e nella ripar-tizione della corrente elettrica hanno garantitol’approvvigionamento a oltre 40 milioni di perso-ne. La Svizzera sostiene inoltre il programma in-ternazionale per il miglioramento dell’accesso al-l’energia «Energizing Development» (vedi testo amargine).

Pannelli solari e cucine ecologiche La DSC promuove un progetto volto a favorire laproduzione locale ed ecologica di mattoni in Ame-rica latina (vedi articolo a pag. 14). Questa inizia-tiva a livello regionale dovrebbe produrre degli ef-fetti ad ampio raggio nell’ambito della Coalizioneinternazionale per il clima e l’aria pulita (CCAC).«I programmi internazionali sono validi soltanto sesoddisfano alcune condizioni essenziali», ricordaReto Thönen della DSC. «Devono, per esempio,promuovere dei progetti solidi ed efficaci». Un al-tro fattore fondamentale per assicurare il successodelle iniziative globali è la sostenibilità. «A un cer-to punto, i programmi si concludono e con lorosi esaurisce anche il sostegno finanziario ai proget-ti», dice Reto Thönen. «Entro questa scadenza èimportante creare un modello aziendale sostenibi-le e concorrenziale sul mercato. Altrimenti l’effet-to auspicato svanisce subito».Per produrre energia nei villaggi africani non ba-sta, infatti, finanziare pannelli solari. Serve un si-stema funzionante, come quello messo a punto daMobisol, società che oggi garantisce l’approvvi-gionamento elettrico a circa 330000 persone nel-l’Africa orientale (vedi articolo a pag. 15). E in ef-fetti, l’energia solare decentrata nelle zone ruralidell’Africa ha un potenziale di sviluppo enorme,anche perché i costi sono decisamente diminuitiin tutto il mondo. Oltre ad avere accesso all’elettricità, la popolazio-

Energia per 19 milioni di personeIl Programma internazio-nale per l’accesso all’ener-gia (Energizing Develop-ment), a cui partecipaanche la DSC, si concludenel 2019. Nei Paesi menosviluppati promuove lacreazione di mercati perservizi energetici moderni.L’accento è posto sulleenergie rinnovabili (eolica,idrica e biogas) e su un’e-levata efficienza energe-tica. Alla fine del 2016, piùdi 18 000 istituzioni sociali(scuole, sanità), 37 000piccole imprese e 15,8 mi-lioni di persone avevanoaccesso all’elettricità e amigliori tecnologie per cu-cinare. Entro il 2019 que-sto numero dovrà salire a19 milioni.

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ne deve disporre di cucine ecologiche. Questa èuna sfida altrettanto impegnativa poiché, anche infuturo, la gente cuocerà il suo cibo con la legna oaltri materiali organici e non con l’elettricità. «Spes-so l’approvvigionamento di energia elettrica è in-sufficiente. Altre volte, invece, il suo costo è trop-po elevato», spiega Reto Thönen. «Ci si devedunque concentrare su cucine e su combustibili piùefficienti e più puliti».

Ragnatela di cavi a Dacca, capitale del Bangladesh. In molte aree urbane, la popolazione ha accesso alla rete elettrica,tuttavia l’infrastruttura è piuttosto inaffidabile.

Ed è proprio su questo elemento che fa leva la«Global Alliance for Clean Cookstoves» (Alleanzaglobale per cucine pulite). L’organizzazione nongovernativa intende puntare sulle cucine pulite,ecologiche e proporre dei modelli concorrenzialisul mercato. Un’alternativa alla legna è il gas. Neiprossimi tre anni, l’India vuole fornire gas per cucinare a 50 milioni di case, un combustibile chea differenza della legna non inquina, come hanno

Nei Paesi in via di sviluppo, ad aggiudicarsi le gare di appalto pubbliche sono spesso l’eolico e il solare e non il petrolioo il carbone.

Tanto carbone in AsiaIl carbone costa poco, èdisponibile in grandi quan-tità ed è dunque particolar-mente attrattivo per i Paesiin via di sviluppo ed emer-genti. Ma il carbone causaemissioni di CO2 molto piùelevate rispetto al petrolioe al gas. Senza una forteriduzione del consumo dicarbone, non sarà possi-bile vincere la lotta contro i cambiamenti climatici.L’Asia è responsabile di oltre il 70 per cento delconsumo globale, di cui il50 per cento spetta allaCina e il 10 per centoall’India. Entrambi i Paesiregistrano una forte cre-scita economica e puntanosempre più sulle energierinnovabili. I risultati si ve-dono soprattutto in Cina.In America del Sud e inAfrica, eccezion fatta per il Sudafrica, il consumo dicarbone è molto basso.

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evidenziato le analisi di Shonali Pachauri, ricerca-trice presso l’Istituto internazionale di analisi siste-mica applicata in Austria. La biomassa ha una cat-tiva combustione e quindi il consumo di energiaper cucinare è maggiore. In altre parole: il gas èpiù efficiente.

Sole e vento battono petrolio e carbone Per avere successo nella lotta contro la povertàenergetica è necessario sviluppare normative e regolamentazioni efficaci ed adeguate, affermanogli esperti della DSC e della SECO. Il Cile e l’Uruguay, per esempio, hanno indetto gare di appal-to pubbliche nell’ambito dei programmi della Banca mondiale. In questo modo hanno potutoscegliere le migliori offerte per il loro approvvi-gionamento di energia. A vincere non sono stati ilpetrolio o il carbone, come si potrebbe supporre,bensì l’eolico e il solare.Anche i prezzi dell’energia per il consumatoresono aspetti molto importanti. «Il prezzo dell’elet-tricità deve essere accessibile a tutti. Nel contem-po solo una produzione redditizia è sostenibile sullungo periodo», spiega Guy Bonvin della SECO.

Le tariffe devono coprire i costi di produzione. Ciònon esclude però la possibilità di concedere ai poveri delle agevolazioni, per esempio, tramite sussidi diretti o la vendita a buon mercato di unaprima quota di elettricità. Sono formule tariffarieche le persone povere riescono a gestire moltobene poiché sanno dove fissare le loro priorità inmateria di consumo di energia elettrica.La comunità internazionale si è posta un ambizio-so obiettivo: assicurare a tutti l’accesso a sistemi dienergia economici, affidabili, sostenibili e moder-ni entro il 2030. Le probabilità di conseguire questo traguardo sonomigliori in Asia del Sud che in Africa, almeno perquanto riguarda le cucine ecologiche. «I progettipuntuali non bastano per raggiungere questo obiet-tivo», conclude Guy Bonvin. Servono programmisu larga scala, sforzi e investimenti maggiori rispettoa quelli registrati finora. ■

(Traduzione dal tedesco)

Sovvenzioni per l’energia fossile Complessivamente, a livello mondiale l’energiafossile può contare su sovvenzioni che oscillanotra i 400 e i 700 milioni didollari all’anno, per esem-pio attraverso la riduzionedel costo della benzina aldistributore. Il programmadella Banca mondialeESMAP (Energy SectorManagement AssistanceProgram), a cui partecipaanche la SECO, si adoperaaffinché questo sistema difinanziamento sia ripensatoo abolito. Infatti, questesovvenzioni favorisconol’energia fossile, riducendonel contempo la competiti-vità delle energie rinnova-bili. L’ESMAP fornisce an-che assistenza tecnica aiPaesi in via di sviluppo nelsettore delle energie rinno-vabili e dell’efficienza ener-getica.

Comunicazione via radio e impianto di produzione di biogas in Kenya (a destra), pannelli solari in India. I Paesi del Sudvogliono superare la povertà energetica utilizzando al più presto solo fonti pulite.

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Boaventura Cuamba èprofessore di sistemi ener-getici ecologicamente so-stenibili presso l’UniversitàEduardo Mondlane aMaputo, la capitale delMozambico. Ha studiatoall’Università di Jena, inGermania, e all’UniversitàNorthumbria di Newcastle,in Inghilterra. BoaventuraCuamba ha collaboratocon numerosi programmiinternazionali di formazionee ricerca. Gli argomentiprincipali della sua attivitàsono l’energia, il progressotecnologico, la gover-nance, i gas a effetto serrae la protezione del clima.

In Mozambico, la stragrande maggioranzadella gente vive senza corrente elettrica.Quale importanza ha l’accesso all’elettrici-tà nella lotta contro la povertà? Boaventura Cuamba: L’energia ha un ruolofondamentale nella lotta contro la povertà, anchein Mozambico. Basti pensare che la maggior par-te dei bisogni fondamentali, quali l’accesso all’ac-qua, all’illuminazione, alla comunicazione, ai tra-sporti, alla coltivazione del suolo, ha a che fare conl’energia. Senza un accesso adeguato all’elettrici-tà, le possibilità di affrancarsi dalla povertà si ri-ducono notevolmente.

Quali ostacoli vanno superati per offrire unmiglior accesso all’energia al maggior nu-mero di persone possibile?Vi è una moltitudine di sfide e ostacoli. Prima ditutto, il Mozambico è un Paese molto vasto e poco

popoloso. 25 milioni di persone vivono su una su-perficie di 800000 chilometri quadrati (circa ven-ti volte la superficie della Svizzera, ndr). Nellezone rurali, la gente vive dispersa in piccole co-munità, le infrastrutture sono poche e i redditi, ri-spetto alle città, molto bassi. In secondo luogo, inpassato l’energia sostenibile non interessava né iPaesi in via di sviluppo, né le organizzazioni in-ternazionali. Siamo quindi agli inizi. Ma non visono solo sfide e difficoltà, vi è anche un grandepotenziale.

A quale potenziale si riferisce?Grazie alla loro posizione geografica, la maggiorparte dei Paesi in via di sviluppo dispone di enor-mi potenzialità a livello di fonti di energia rinno-vabile, soprattutto di energia solare. Ma oltre alsole vi sono il vento, gli oceani e la geotermia.Sfruttando queste risorse, i Paesi non dovrebbero

Fonti rinnovabili, chiave per uno sviluppo sostenibilePer promuovere il loro sviluppo, i Paesi del Sud non devono ricorrere ai combustibili fossili. A loro basterebbe sfruttare meglio le fonti rinnovabili. È quanto sostiene BoaventuraCuamba, professore di sistemi energetici ecologicamente sostenibili, nell’intervista con Jens Lundsgaard-Hansen.

Vento, onde marine e tanto sole in Mozambico: nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo le fonti di energia rinno-vabile non mancano.

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In Mozambico, molta gente vive in piccole comunità sparse nelle zone rurali. Nonsarà per nulla facile assicurare loro l’accesso all’energia.

Progetti energetici giganteschi Solo una piccola partedella popolazione delMozambico ha accesso al-l’energia. A seconda dellestatistiche, la quota oscillafra il 25 e il 40 per cento.Secondo BoaventuraCuamba, il potenziale delleenergie rinnovabili è dicirca 27 GW. A titolo diparagone, la centrale nu-cleare di Leibstadt, inSwizzera, produce circa 1 GW. In Africa sarebbepossibile generare circa 18 GW sfruttando la forzaidrica. Attualmente, la pro-duzione si attesta a circa2,3 GW, produzione desti-nata ad aumentare vistoche si stanno progettandonumerose dighe. Nel 2017è previsto l’inizio dei lavoriper la prima grande cen-trale a energia solare. Al fi-nanziamento partecipanoanche l’agenzia statale delMozambico per l’elettricità(EDM), alcune istituzioninorvegesi, la Banca mon-diale (IFC) e il Fondo del-l’infrastruttura per l’Africaemergente.

più ricorrere ai combustibili fossili per permetterea tutti di accedere all’energia. Naturalmente è dif-ficile procurarsi il capitale o il know-how tecni-co necessario. Una buona collaborazione fra iPaesi industrializzati e i Paesi in via di sviluppo puòcontribuire al superamento di questi ostacoli. Neè un buon esempio il programma delle NazioniUnite «Sviluppo sostenibile per tutti».

Ma come può la gente che vive nelle regio-ni più povere dell’Africa e dell’Asia meri-dionale accedere a queste fonti pulite?Ogni Paese è confrontato con sfide specifiche, do-vute alle diverse condizioni socio-economiche oculturali, di cui bisogna tener conto. Ma in lineagenerale si può dire che le energie rinnovabili do-vrebbero essere diffuse attraverso le attività del set-tore privato. In queste regioni rurali povere, tut-tavia i prezzi dei vari prodotti sono troppo alti.Ecco perché i vari attori dovrebbero intensifica-re la loro collaborazione. A essere chiamati in cau-sa sono il settore privato, i governi e le organiz-zazioni non governative. Queste ultime potreb-bero promuovere la diffusione nelle regioni ruralidi prodotti del settore privato a un prezzo acces-sibile a tutti.

L’accesso all’energia richiede importanti in-vestimenti. Chi dovrebbe fornirli? Il finanziamento ha effettivamente un ruolo cen-trale. Non esiste un modello unico. Per esempio,i principali programmi di credito per le reti elet-triche locali sono la soluzione giusta laddove la popolazione dispone di redditi sufficienti per far-vi capo. I microcrediti sono ideali per progetti vol-ti a creare delle «soluzioni isolate», non integratee indipendenti dalla rete elettrica. I fondi per il cli-ma, a loro volta, sono importanti perché la pro-mozione delle energie rinnovabili può mitigare i cambiamenti climatici. Altrettanto importantisono i fondi per gli investimenti nell’energia. L’ac-cesso all’energia è infatti un obiettivo a sé stante.Oltre a fornire un contributo per la protezione delclima, l’energia verde è fondamentale anche perlo sviluppo e la riduzione della povertà.

Quale ruolo affidare invece ai governi nel-la lotta contro la povertà energetica?I governi dovrebbero creare le condizioni quadroideali affinché il settore privato e le organizzazio-ni non governative investano maggiormente nel-lo sviluppo energetico. Per la promozione delleenergie rinnovabili è importante creare gli incen-tivi giusti. Per ora queste misure di politica eco-nomica sono poco diffuse in Mozambico. Traqueste ricordo, per esempio, gli incentivi fiscali.

Basterebbe ridurre o addirittura abolire i dazi do-ganali sull’importazione o l’imposta sul valore ag-giunto per permettere ai poveri di accedere alleenergie rinnovabili. Nel caso del Mozambico, losfruttamento delle energie rinnovabili potrebbe ri-durre anche le importazioni di combustibili fos-sili. È un approccio che va sostenuto.

Oltre ai finanziamenti, quali impulsi sononecessari?Fra gli incentivi non fiscali ricordo, per esempio,la diffusione tra la popolazione e le imprese di co-noscenze in materia di tecnologie legate alle ener-gie rinnovabili. Si tratta, tra l’altro, di divulgareinformazioni relative al mercato delle fonti rin-novabili, di trasmettere know-how affinché leimprese sfruttino queste energie o di facilitare lacostituzione di società. Per quanto riguarda que-ste attività, in Mozambico siamo ancora agli ini-zi. E temo che negli altri Paesi la situazione nonsia molto diversa. Il potenziale di miglioramentoè immenso. ■

(Traduzione dall’inglese)

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( jlh) In America latina, mezzo milione di personelavora nel settore della produzione di mattoni.Quasi la metà delle fabbriche di mattoni è costi-tuita da piccole aziende a conduzione familiare.Utilizzano legno, carbone, rifiuti, vecchi pneuma-tici e qualsiasi altro materiale combustibile per ali-mentare le fornaci. Le conseguenze sono dramma-tiche: fumo e velenose particelle di fuliggine checompromettono la salute delle famiglie e che im-pestano l’aria di tutta la zona. La produzione e l’im-piego energetico sono inefficienti, i redditi bassi eil lavoro minorile è molto diffuso. È un settore eco-nomico con ampi margini di miglioramento.

Dalla costruzione di forni al finanziamento Dal 2010, la DSC promuove in sette Stati latino-americani un progetto volto a favorire una miglioreefficienza energetica nelle piccole fabbriche di mat-toni. «Gli elementi chiave sono una procedura dicombustione ottimizzata e una migliore circola-zione dell’aria durante la fase di cottura. In molticasi basta un semplice ventilatore a buon mercato»,spiega Patrick Sieber, responsabile di progetto pres-so la DSC. Basterebbe questo accorgimento per ridurre il consumo di energia fino al 30 per cento.Ottimizzando anche la costruzione del forno, mu-nendolo di camino ed evitando le fughe di calore,è possibile dimezzare l’impiego di combustibile.Sono alcuni accorgimenti che riducono i costi, au-

Grazie a un progetto della DSC, la produzione di mattoni in sette Stati dell’America latina è più ecologica, efficace e redditizia per le famiglie.

Produzione di mattoni ecologicae redditiziaColonne di fumo nero e un odore pungente, molte spese e poche entrate. In sintesi sono queste le caratteristiche dellaproduzione di mattoni nell’America latina. Un progetto dellaDSC ha ridotto le emissioni di CO2 e ha migliorato l’efficienzaenergetica, il reddito e le condizioni di salute delle famiglie.

Dal Messico all’India Il progetto della DSC, rea-lizzato a livello locale daSwisscontact, è già statosperimentato in Argentina,Bolivia, Brasile, Colombia,Ecuador, Messico e Perù.Grazie a un esteso scam-bio di esperienze e ad am-pie possibilità di forma-zione, l’iniziativa ha avutoun impatto su vasta scalaall’interno dello stesso pro-getto, ma anche fra i variPaesi. Il progetto è diven-tato un modello anche nell’ambito di un’iniziativadi Climate & Clean AirCoalition, alla quale parte-cipa anche la DSC.L’obiettivo è di continuarea ridurre le emissioni di gasa effetto serra generatedalla produzione di mattonia livello globale. Progettianaloghi sono stati realiz-zati anche in Sudafrica,in Nepal e in India.

mentano la qualità dei mattoni e incrementano leentrate. «Quest’ultimo è il fattore più importanteper le famiglie, per lo più povere», spiega PatrickSieber. Inoltre, meno energia significa anche menoemissioni di sostanze nocive, con un conseguentemiglioramento della qualità dell’aria e di vita dellecomunità locali.Il progetto si basa su un modello sostenibile poichéi mattoni hanno un prezzo concorrenziale sul mer-cato. È un sistema che integra anche il finanzia-mento dei ventilatori e dei forni più moderni. Vi-sto che le famiglie spesso non hanno accesso ai cre-diti, il progetto coinvolge anche gli investitorilocali, come le cooperative di credito. Un ventila-tore è ammortizzato in pochi mesi, un forno piùmoderno in due o tre anni. L’investimento è quin-di interessante sia per le famiglie sia per le banche.Il progetto si è concluso alla fine del 2016. Oggi,migliaia di fabbriche di mattoni sono dotate di pro-cessi di produzione più efficienti, le famiglie gua-dagnano ogni anno circa dieci milioni di dollari inpiù e hanno ridotto le emissioni annuali di CO2 di900000 tonnellate. In futuro è previsto il lancio diun nuovo programma che si concentrerà sulla pro-duzione di altri materiali edili e migliorerà ulte-riormente gli standard sociali e ambientali in que-sto settore dell’economia informale. ■

(Traduzione dal tedesco)

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La società Mobisol installa gli impianti solari per famiglie e aziende – a sinistra una proprietaria di un negozio in Ruanda –e propone dei corsi di formazione.

(jlh) L’iniziativa della società Mobisol non illuminasoltanto i locali delle case dei Paesi del Sud, ben-sì rischiara anche il futuro di chi ci abita. I picco-li impianti solari per singoli edifici sono delle centrali elettriche in miniatura indipendenti e non allacciate alla rete. Grazie alla corrente che generano, le famiglie possono dedicarsi alla lettu-ra quando fuori è già scesa la notte, documentar-si e informarsi accedendo a internet o accenden-do la radio e la televisione oppure conservare alfresco i generi alimentari o i medicinali deperibi-li. Alcuni semplici pannelli solari sul tetto hannoil potere di dare una svolta alla vita di adulti e bam-bini.

L’innovazione al servizio dei poveriL’idea di Mobisol ha avuto subito successo. Dallancio nel 2012 del primo progetto pilota in Ke-nya e Tanzania ha goduto del sostegno della piat-taforma svizzera Repic (vedi testo a margine a pag.16). Oggi questi impianti solari sono diffusi nellezone più povere di Kenya, Ruanda e Tanzania,

ossia in Paesi dove un gran numero di persone nonè collegata alla rete elettrica e deve quindi ricor-rere ad alternative che compromettono la loro salute, quali le lampade al cherosene, i generato-ri diesel e le batterie. Con il suo progetto, la società Mobisol si affidaalla tecnologia di punta e alla comunicazione elet-tronica. «Non siamo una ONG, ma un’aziendaprivata con una visione sociale», afferma ThomasGottschalk, direttore di Mobisol. «La chiave delnostro successo sono le soluzioni innovative concui affrontiamo le grandi sfide del mercato del-l’Africa orientale, ossia lo scarso potere d’acquistoe l’assenza di un servizio di manutenzione».Diversi elementi compongono questo interessantesistema energetico. • La tecnologia: pannelli solari robusti e moder-

ni producono una quantità di energia suffi-ciente per il fabbisogno di una famiglia o di una piccola impresa. L’istallazione dell’impianto è gratuita.

• Il microfinanziamento: i clienti pagano l’im-

Pannelli solari per un futuro più radiosoGli impianti solari di piccole dimensioni portano la correnteelettrica nelle abitazioni della gente delle regioni rurali deiPaesi in via di sviluppo. In Africa orientale, per esempio, unasocietà privata ha illuminato la notte di 350 000 persone, installando 70 000 sistemi solari sui tetti delle loro case.

Si punta sul solare e sull’eolico Per la prima volta nel 2015più della metà dell’incre-mento della produzioneera imputabile alle energierinnovabili. Inoltre, gli inve-stimenti negli impianti so-lari ed eolici nei Paesi in viadi sviluppo hanno superatoquelli nei Paesi industrializ-zati. Secondo il Program-ma delle Nazioni Unite perl’ambiente (UNEP), fra il2009 e il 2015 i prezzi dei pannelli solari si sonoridotti di circa il 60 percento e molto probabil-mente continueranno ascendere anche in futuro.

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pianto in 36 rate, ossia in tre anni sono pro-prietari dei pannelli. Il versamento è effettua-to tramite il cellulare.

• La manutenzione: il sistema comprende unahotline e la manutenzione gratuita per i primitre anni, facilitata dall’utilizzo di un modemche trasmette tutti i dati tecnici.

• Il servizio: finora è stata creata una rete di servizio con 50 punti vendita. Sono stati for-mati e certificati 1000 specialisti che garanti-scono il supporto in loco entro 48 ore.

I piccoli sistemi solari decentrati non sono adattisolo per le case private, ma anche per le strutturedi assistenza sanitaria, le piccole aziende o le scuo-le. Grazie all’impianto solare fornito recentemen-te da Mobisol, gli scolari e gli insegnanti di unascuola in Tanzania possono studiare e insegnarein aule illuminate dalla luce elettrica e collegarsi ainternet. Anche la parrucchiera o il proprietariodel caffè del villaggio possono diversificare l’offertae aumentare le entrate utilizzando gli apparecchielettrici. In media, un cliente di Mobisol su tre ge-nera un reddito addizionale grazie all’impiego deipannelli fotovoltaici.

Opportunità storica per l’Africa Mobisol non è certo la sola società a favorire ladiffusione della corrente elettrica nei Paesi del Sud.Da una parte ci sono piattaforme e programmi, peresempio «Lighting Africa», che promuovono pro-getti analoghi. Dall’altra parte, Mobisol collaborain Africa con partner nazionali e internazionali.Nell’ambito di un’iniziativa comune, il governo

Nell’ambito del progetto sono stati creati punti vendita esono stati formati specialisti per il servizio alla clientela.

del Ruanda, l’Unione europea e Mobisol voglio-no realizzare 50000 impianti solari, di cui 1000sono destinati alle scuole. A beneficiare di questoprogetto saranno 600000 persone che avranno fi-nalmente la corrente elettrica in casa o in aula. InRuanda solo circa il dieci per cento della popola-zione rurale dispone di elettricità. In Kenya, dove il numero di persone che hannoaccesso all’elettricità è altrettanto basso, Mobisolè uno dei partner del programma «Business Callto Action», sostenuto fra l’altro anche dal Pro-gramma delle Nazioni Unite per lo sviluppo(UNDP). In questo Paese dell’Africa orientale, en-tro il 2020 Mobisol intende collegare 800000persone e 50000 piccole imprese a piccoli impiantisolari decentrati. Grazie a questo progetto ver-ranno creati 150 nuovi posti di lavoro e le emis-sioni di CO2 saranno ridotte di 100000 tonnella-te all’anno. «Con l’energia solare – sostiene Tho-mas Gottschalk – le nazioni africane hannoun’opportunità storica: possono promuovere illoro sviluppo senza mettere a repentaglio l’am-biente e il clima globale, evitando così gli erroricommessi dai Paesi industrializzati».

La vana attesa dell’elettricità in casaMa non tutti i Paesi dell’Africa seguono modellidi produzione innovativi. Alcuni affidano il loroapprovvigionamento elettrico a grosse centrali.L’energia viene trasportata nelle singole case at-traverso una rete di diffusione ramificata. Si trat-ta di un sistema relativamente costoso, ma checomporta anche dei vantaggi, soprattutto per le re-gioni e le città densamente popolate, sempre chela produzione sia stabile e il prezzo dell’elettrici-tà abbordabile. Il quadro è completamente diverso nelle zone del-l’Africa a bassa densità di popolazione, dove di so-lito la gente aspetta invano l’allacciamento alla reteelettrica. «Le persone passano tutta la vita senzaavere accesso all’elettricità e senza conoscere i van-taggi che ciò comporta», indica l’UNDP nella suanuova strategia 2017-2021 sulle energie rinnova-bili. Per questo la produzione decentrata di ener-gia rinnovabile è un’opzione sempre più interes-sante. Anche l’Agenzia internazionale dell’ener-gia intende favorire questo approccio e prevedeche entro il 2030 piccole reti locali e soluzioni indipendenti dalla rete elettrica assumerannoun’importanza crescente nelle zone rurali. ■

(Traduzione dal tedesco)

Promozione delle energie rinnovabili Con la piattaforma interdi-partimentale Repic, laDSC, la Segreteria di Statodell’economia e gli Ufficifederali per l’energia (UFE)e l’ambiente (UFAM) con-tribuiscono al lancio di progetti internazionali innovativi nell’ambito delle energie rinnovabili e del-l’efficienza energetica. Lapiattaforma sostiene ini-ziative di organizzazioni svizzere. Nell’ambito delprogetto pilota di Mobisol,negli anni 2011-2012 sonostati installati 100 sistemisolari decentrati, che sisono rivelati molto interes-santi per i clienti e gli inve-stitori. È emerso infatti chegrazie alla luce elettrica ibambini dedicavano il dop-pio del tempo ai compitirispetto a prima. Sino allafine del 2015, Repic ha so-stenuto complessivamente108 progetti.www.repic.ch

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Fatti e cifre

Energia

senza elettricità

senza fonti pulite per cucinare

Link• Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo

(energia sostenibile, «Action4energy») www.undp.org e www.action4energy.org

• Banca mondiale, argomento «energia» (progetti, dati ecc.) www.worldbank.org

• Agenzia internazionale dell’energia (AIE)www.iea.org

• Programma «Sustainable Energy for all»www.se4all.org

• Programma «Lighting Africa»www.lightingafrica.org

• Programma «Global Alliance for Clean Cookstoves»www.cleancookstoves.org

L’AIE è pessimista L’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) calcola che entro il 2030 centinaia di milioni di persone in più rispetto ad oggi

avranno accesso all’elettricità. Stando alle previsioni, nel 2030quasi l’intera popolazione dell’Asia meridionale avrà la correnteelettrica in casa, mentre 600 milioni di persone in Africa la staràancora attendendo. A livello mondiale, molto probabilmente 2,5miliardi di persone non disporranno di fonti pulite per cucinare,di cui oltre 1,5 miliardi nell’Asia meridionale. Secondo Swissaid,la previsione dell’AIE è troppo pessimista, in quanto sottovalutail futuro ruolo delle energie rinnovabili.

Citazione

«L’energia sostenibile è il filo che collega la

crescita economica, l’equità sociale e i nostri

sforzi per lottare contro i cambiamenti climatici».

Ban Ki-moon, segretario generale dell’ONU,

18 gennaio 2016

Sudamerica (senza il Brasile) Africa subsahariana Cina

Pakistan IndonesiaIndia

Persone senza accesso all’energia (in % della popolazione)

Fonte: UNDP, Action for Energy

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Khaled Abu El Khair parla in fretta e ha un calen-dario fitto di impegni quando ci riceve negli ufficidella sua piccola impresa a Ramallah. Due anni fa,la sua start up, attiva nel settore delle nuove tecno-logie, ha preso forma con il lancio di Pinchpoint.Alcuni sviluppatori, designer e un responsabile della qualità – in tutto dieci dipendenti, fra cui quattro donne – si adoperano per trasformare l’a-zienda in un’attrice importante nel mondo dei giochi online.Nato a Gerusalemme, Khaled Abu El Khair ha stu-diato ingegneria elettronica all’Università di BirZeit, a Ramallah. In seguito è stato assunto da unasocietà statunitense di semiconduttori che gli ha per-messo di misurarsi con la concorrenza internazio-nale grazie a brevi soggiorni professionali negli Sta-ti Uniti, in Europa e in Corea. Alla fine ha creatola propria impresa in Palestina, dove le tecnologiedell’informazione sono ancora agli albori, ma dovenon mancano né gli imprenditori entusiasti e crea-tivi né i fondi d’investimento locali. Pinchpoint,Yamsafer, Mashviser sono solo alcuni nomi di azien-de locali che hanno avuto successo.

Nonostante le restrizioni dettate da Israele, a Ramallah c’è un vivace sviluppo di nuove imprese nel settore delle tecnologie di punta che attira molti giovani.

Ogni anno, 3500 giovani informatici si laureano nel-le sette università palestinesi. Diverse centinaia lan-ciano la propria start up. Alla fine solo pochi elettiriescono però a trasformare le loro idee in impreseredditizie. Ad attenderli nel mondo arabo un po-tenziale di 130 milioni di internauti e di 250 milio-ni di utenti di smartphone. Secondo il fondo di in-vestimento palestinese Ibtikar, l’arabo è la terza lin-gua utilizzata in internet a livello mondiale. Fra chiparla arabo in Medio Oriente, i palestinesi sono incompetizione con giordani e libanesi. Per contro, iPaesi del Golfo sono poco presenti nell’imprendi-torialità creativa.

Mobili, ma solo sul webI palestinesi devono tenere a freno il loro desideriodi avventurarsi nel business informatico a causa delle difficoltà di spostarsi. Inoltre, in Cisgiordaniaè difficile impiegare talenti stranieri poiché Israeleha il controllo sui visti e sulle frontiere con la Gior-dania. È soprattutto a Ramallah, sede dell’autoritàpalestinese, a pochi chilometri da Gerusalemme, chequesto sviluppo tecnologico è particolarmente vi-

Start up alla conquista del ciberspazio araboIn Palestina, i giovani creano nuove imprese e fondi di investi-mento nonostante l’interminabile conflitto arabo-israeliano. ARamallah si susseguono le iniziative per ridare slancio all’economia locale. Di Aude Marcovitch, Tel Aviv*.

Collaborazione difficile«Gli israeliani e i palestinesipotrebbero conquistare ilmondo dell’alta tecnologiase collaborassero. Gli unihanno accesso al mercatostatunitense ed europeo,gli altri a quello arabo». È la riflessione di ShadiAtshan, direttore diLeaders, società che stasviluppando il primo parcotecnologico in Palestina. È un’idea però quasi irrea-lizzabile visto che gli israe-liani e i palestinesi sonoseparati da un conflitto in-terminabile. Malgrado ledifficoltà, la società israe-liana di trasporti interna-zionali Freightos è riuscitaa sviluppare un modelloaziendale capace di supe-rare i confini politici. Leprenotazioni avvengonotramite internet e gli sviluppatori si trovano aRamallah, dove Freightosha trovato sia le compe-tenze sia una manodoperapiù a buon mercato che inIsraele, diventando così unimportante datore di la-voro nel settore dell’altatecnologia in Palestina.

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Palestina

vace. Per raggiungere Israele, i palestinesi devonoavere un permesso di lavoro o di soggiorno di bre-ve durata e possono lasciare il territorio soltantoprendendo un aereo all’aeroporto di Amman, inGiordania. Per i palestinesi di Gaza il regime è mol-to più severo poiché la loro area sottostà al controlloisraeliano ed egiziano. Possono recarsi soltanto in

La Palestina in sintesi

NomeStato di Palestina; comprende Gerusalemme-Est e i territori palestinesi(Cisgiordania e Striscia diGaza)

Regime politicoRepubblica semipresiden-ziale, ma il Parlamento nonsi riunisce dal 2007

CapitaleGerusalemme Est (rivendi-cata), Ramallah (de facto)

Superficie6520 km2

(Striscia di Gaza: 365 km2)

Popolazione4,93 milioni di abitanti(Gaza: 2 mio; Cisgiordania:2,93 mio); la metà hameno di 18 anni

Tasso di disoccupazione26,9% (Gaza: 42%)

ImportazioniPetrolio, energia elettrica,gas, prodotti agricoli eagroalimentari, fornitureelettriche e meccaniche,medicamenti, veicoli

EsportazioniFrutta e verdura, pietrepreziose

Tasso di povertà34,5%, secondo una stimadel 2014 del Programmadelle Nazioni Unite per losviluppo

Egitto e i permessi vengono concessi loro con il con-tagocce e in maniera irregolare.Per aiutare i talenti palestinesi a spiccare il volo sistanno moltiplicando incubatori e acceleratori perstart up, fine settimana per giovani imprese e fondid’investimento. George Khadder ha già partecipa-to all’organizzazione di dieci weekend per start upvolti a indentificare i talenti di Ramallah, Nablus,Betlemme, Gerusalemme, Nazareth e Tel Aviv.Khadder ha studiato negli Stati Uniti, poi ha lavo-rato per tredici anni nella Silicon Valley. Nel 2010ha fatto ritorno a Gerusalemme per maturare nuo-ve esperienze nell’ambito della tecnologia di punta.Cofondatore di Peeks, un’organizzazione comuni-taria creata per rafforzare lo spirito imprenditorialenel settore, è tra i giovani più in vista in Palestina.«Durante i weekend per giovani aziende, gli svi-luppatori, i designer e gli esperti di gestione azien-dale devono creare dei team che riuniscano questetre categorie professionali, sviluppare delle idee epresentarle a una giuria, che deciderà la fattibilità del-l’impresa», spiega George Khadder. Attualmente stalavorando a un progetto con cui unire la politica

Ogni anno, 3500 giovani informatici si laureano in una delle sette università in Palestina, sopra l’Università di Bir Zeit.

politiche che la spazzatura non è stata raccolta o cheuna strada è piena di buche.

Impatto socialeDurante un evento che riuniva giovani imprendi-tori e start up, Khaled Abu El Khair ha incontratoSaed Nashef, un vero precursore del settore. È sta-to il primo a intuire che in Palestina bisognava crea-re un fondo d’investimento privato per imprese in-novatrici attive nelle tecnologie di punta. Grazie alsuo sostegno finanziario, Khaled Abu El Khair e isuoi collaboratori hanno potuto realizzare il loro so-gno. «Eravamo un gruppo di amici che si diverti-vano a creare dei giochi online», spiega Khaled. «Lofacevamo nel nostro tempo libero. Poi, in occasio-ne di un programma di accelerazione per start up,siamo stati aiutati a strutturare meglio le nostre ideee a fondare la nostra impresa». All’inizio del 2015,il fondo di Saed Nashef, Sadara Ventures, ha con-cesso loro un primo credito di 50000 dollari. Il se-condo versamento di 500000 dollari ha permessoal team di creare nuovi giochi e di assicurarne l’ul-teriore sviluppo.

partecipativa alle nuove tecnologie. La sua start up «Circle out», a cui si può accedere mediante unapiattaforma internet oppure scaricando l’apposita applicazione, dà la possibilità ai membri di una comunità locale di rimanere in contatto con i lororappresentanti. In questo modo, gli abitanti di unquartiere possono segnalare alle rispettive autorità

Territori palestinesi

Israele

Mar Mediterraneo

Giordania

Siria

Egitto

Striscia di Gaza

Gerusalemme

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Start up nella Striscia di GazaAnche a Gaza, l’alta tec-nologia interessa ai giovaniimprenditori. In questopiccolo territorio incuneatotra Israele ed Egitto, l’ac-cesso al mondo virtuale èapprezzato. L’ONG ameri-cana Mercy Corps pro-pone il programma di accelerazione aziendaleSkygeeks e ha creato un polo tecnologico.Prossimamente lanceràun’accademia che formerànuovi ingegneri program-matori. La quota di parte-cipazione di donne ai pro-grammi di Skygeeks è del 50 per cento. Inoltre,l’ONG ha favorito il lanciodi 5QHQH e Mockapp. Laprima, il cui acronimo è ilsimbolo di una gran risata,è una piattaforma per lacondivisione di video di si-tuazioni divertenti. La se-conda mette in contattografic designer e potenzialiclienti. Baskalet è un’altraazienda di successo dellaStriscia di Gaza: offre gio-chi in voga in tutto il MedioOriente. Zumrod è inveceuna start up specializzatain cosmetici.

Durante i fine settimana per start up, i giovani imprenditori allacciano utili contatti con gli investitori o con possibili collaboratori.

Saed Nashef è nato a Gerusalemme. Dopo aver tra-scorso diciotto anni negli Stati Uniti, nel 2007 è ri-tornato in Palestina con l’intenzione di trascorrerviun solo anno. Ha cambiato però in fretta idea poi-ché a Ramallah ha incontrato tanti talenti e ha sco-perto una scena tecnologica in gran fermento. Hadeciso di rimanere e di investire qui le sue risorse.Nel 2011 ha lanciato Sadara Ventures, il suo fondodi investimento. L’ingegnere informatico ha matu-rato una solida esperienza professionale lavorandoper sei anni per la Microsoft e collaborando con unamoltitudine di giovani imprese americane. «Oltre aottenere un ritorno economico, il fondo vuole ave-re anche un impatto sociale grazie alla creazione diposti di lavoro. Voglio che l’economia palestinesecresca in modo sostenibile», spiega l’esperto. Per ilmomento, il fondo ha investito in sei aziende cheimpiegano complessivamente 220 persone.

Imprenditori dinamiciSe da una parte Saed Nashef riconosce l’importan-te serbatoio di talenti, dall’altra è consapevole deinumerosi ostacoli cui si è confrontati in Palestina.Benché numerosi, i laureati non dispongono distrumenti adatti a competere sul mercato mondia-le, poiché il livello dell’insegnamento è troppo basso. Un’altra difficoltà risiede nell’impossibilità di impiegare a Ramallah esperti provenienti dalmondo arabo visto che Israele non concede loro ilvisto d’entrata.Shadi Atshan giunge alle stesse conclusioni. Spiritovivace e look dinamico, questo giovane palestineseè il direttore dell’organizzazione Leaders, fondata nel2002 con lo scopo di sviluppare il primo parco tec-nologico della Palestina. Fra i partner annovera Sta-ti, istituzioni ed organizzazioni, tra cui l’Unione eu-ropea, gli Stati Uniti, la Francia, le Nazioni Unite

e l’International Youth Fundation. Leaders ha or-ganizzato il primo programma per accelerare lo svi-luppo di start up palestinesi. «Al corso, della duratadi quattro mesi, si iscrivono regolarmente 200 im-prese, rispetto alla ventina di quattro anni fa», spie-ga Shadi Atshan. «Per favorire il successo dell’a-zienda, ogni team deve includere sia sviluppatori siaesperti di marketing. Inoltre, l’idea deve essere fa-cile da implementare sul mercato mondiale e deveavere buone possibilità di diventare redditizia». Dal2013, l’acceleratore aziendale ha finanziato 18 im-prese, ma soltanto il 30-40 per cento è sopravvissu-ta e ha avuto successo.Ibtikar è un altro fondo d’investimento creato di re-cente. Sostiene giovani promesse palestinesi e col-labora con chi promuove i programmi di accelera-zione. «Sosteniamo economicamente le piccole im-prese nella fase iniziale, concedendo loro dei creditiche altrimenti avrebbero grande difficoltà ad otte-nere», spiega la vicedirettrice Ambar Amleh. La gio-vane donna precisa con orgoglio che Ibtikar viveprevalentemente di investimenti privati e non di do-nazioni. Che si tratti di uomini d’affari palestinesi,giordani o kuwaitiani, di istituzioni palestinesi, comela Compagnia di investimenti arabo-palestinese o laBanca della Palestina, o di imprese locali, «tutti vo-gliono vedere un ritorno sugli investimenti, perchécredono nello sviluppo dell’alta tecnologia in Pale-stina», conclude Ambar Amleh. ■

*Aude Marcovitch, giornalista a Tel Aviv, è corrispon-dente in Israele e in Palestina per la Radiotelevisione sviz-zera di lingua francese (RTS). È autrice di «Israël, lesblessures d’un destin» (ed. Nevicata).

(Traduzione dal francese)

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Sul campo con… Véronique Hulmann, capomissione della cooperazione svizzera inCisgiordania e nella Striscia di Gaza

Palestina

Diritti umani, buongo-verno e sviluppo agro-economicoLa DSC si impegna peruna pace giusta e dura-tura tra palestinesi e israe-liani, fondata su una solu-zione negoziata tra i dueStati. Assiste la popola-zione che subisce il pesodell’occupazione israelianae sostiene le organizza-zioni che si impegnano peri diritti umani. La coopera-zione svizzera promuove ilbuongoverno e lo Stato didiritto, incoraggia le comu-nità vulnerabili a parteci-pare maggiormente ai pro-cessi decisionali e sostie-ne le autorità locali affin-ché forniscano i servizi dibase. Nel settore agricoloaiuta i piccoli contadini amigliorare la loro produtti-vità. Nella Striscia di Gaza,alla luce del tasso di dis-occupazione record chesupera il 40%, la DSC of-fre ai giovani svantaggiatiuna formazione professio-nale e impieghi temporanei.

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Per raggiungere il mio ufficio a Gerusalemme Estattraverso ogni mattina numerosi quartieri affolla-ti. Incrocio gruppetti di ragazze e ragazzi che si re-cano a scuola. I venditori ambulanti di caffè si in-filano fra le automobili. I fornitori appendono ilpane appena sfornato all’ingresso dei negozi anco-ra chiusi. A parte queste poche scene di vita quo-tidiana, non so cosa sia la routine. Nei territori pa-lestinesi occupati, la monotonia non esiste.

In ufficio leggo per prima cosa i messaggi di postaelettronica e scopro i problemi da risolvere, benconsapevole che nel corso delle ore se ne aggiun-geranno parecchi altri. Dall’inizio del mio manda-to, iniziato oltre tre anni fa, non siamo mai riusci-ti a tenere una riunione con tutti i membri dellasquadra. Cisgiordania, Gerusalemme Est e Strisciadi Gaza sono circondate da barriere, muri e postidi blocco. Per oltrepassare questi ostacoli dobbia-mo continuamente chiedere nuovi permessi; è unautentico rompicapo. Gli spostamenti di lavorosono pure condizionati da atti di violenza, accol-tellamenti, manifestazioni di protesta e lanci di razzi. Gestire la sicurezza del personale è la miapriorità assoluta.

In questo difficile contesto, non dobbiamo perde-re di vista l’obiettivo né lasciarci abbattere. Perconciliare l’inconciliabile occorrono pazienza, re-sistenza ed empatia. La missione della cooperazio-ne svizzera è di sostenere la creazione di uno Sta-to palestinese vitale e democratico e di incoraggiaredinamiche di sviluppo sostenibili. Con la speran-za di vedere finalmente regnare la pace, ci battia-mo per far rispettare la dignità e i diritti umani.

A quasi tre anni dalla guerra del 2014 nella Strisciadi Gaza, molte famiglie vivono ancora in alloggidi fortuna. Di recente ne ho visitata una che vivein una minuscola roulotte. Le condizioni sonoestremamente difficili. In inverno fa freddo e le ab-bondanti piogge provocano infiltrazioni. In estateil sole arroventa le lamiere. Non c’è elettricità. Dinotte uno dei ragazzi è caduto e si è ferito, rac-contato disperata la madre. La struttura è in con-

«Per conciliare l’incon-ciliabile occorrono

pazienza, resistenza edempatia».

dizioni disastrose: il pavimento è pieno di buchi eil legno è fatiscente. Dopo interminabili lungaggi-ni burocratiche, il padre ha finalmente ottenuto leautorizzazioni necessarie per ricostruire la sua casa.Ora attende con impazienza il materiale per avviarei lavori, ma questo non arriva a causa delle restri-zioni all’importazione imposte da Israele e la man-canza di fondi internazionali per la ricostruzione.

La DSC allevia le sofferenze delle comunità in at-tesa che si trovino soluzioni a livello politico. Par-tecipa alla distribuzione degli aiuti internazionalidi cibo ai più indigenti e di tutto ciò che serve asoddisfare i bisogni primari. Migliora le infrastrut-ture municipali creando spazi pubblici, ripristi-nando strade, pozzi e pompe e costruendo reti perlo smaltimento delle acque reflue.

Per dare una possibilità alla pace dobbiamo porta-re un raggio di speranza e ridare dignità a questepopolazioni direttamente colpite dal conflitto.Questo sentimento di urgenza e la speranza di unfuturo migliore mi motivano ogni mattina ad al-zarmi. ■

(Testimonianza raccolta da Zélie Schaller; traduzionedal francese)

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Ogni domenica, mi sveglio con la consapevolezzadel dovere famigliare che mi aspetta: andare a pren-dere gli anziani zii di mia madre nella città vecchiadi Gerusalemme. Vivono nella parte più antica delquartiere musulmano. La loro casa sembra un mu-seo. La sala da pranzo è arredata con 10 sedie di le-gno che hanno più di cent’anni. Sono state costruitedal mio bisnonno, un falegname che alla fine del 19° secolo si era rifugiato in Brasile per ritornare poi nella sua amata città natale.Con il passare degli anni ho imparato atuffarmi nella storia e ad abbandonarmialle bellezze di questa città di un chilo-metro quadrato e stretta in un muro dicinta. Nel corso degli anni, la città mi èentrata nel cuore e ha conquistato tuttii miei sensi. I miei occhi brillano quan-do guardo la grandiosa scultura dellaPorta di Damasco, rimasta in piedi mal-grado tutte le guerre a cui ha assistito. Ilprofumo dello Za’tar, una miscela dispezie, e la vista del Kunafa di Ja’far, undolce arabo, sono irresistibili.Ogni tanto un amico mi prega di ac-cendere una candela nella chiesa del Sa-cro sepolcro per una persona ammalatao di dire una preghiera nella moschea diAl Aqsa. La religione non occupa un po-sto centrale nella vita della mia famigliae molti parenti hanno contratto matri-moni misti e vivono in quartieri resi-denziali misti. Il mio problema maggio-re è il soldato israeliano di guardia al-l’entrata della moschea che mi nega ildiritto di accesso. Una volta sulla sogliadella moschea di Al Aqsa un militare miha chiesto di recitare alcuni versi del Co-rano perché voleva assicurarsi che fossimusulmana. Essendo palestinese sonocresciuta con le preghiere e le tradizio-ni di entrambe le religioni. Israele di-mentica che il patriarca arabo Sofroniodi Gerusalemme consegnò le chiavi del-

Gerusalemme: un amore dolce e amaro la città al califfo Omar.Nel corso dei 50 anni di occupazione israeliana sonostate create nuove condizioni degradanti. Alle pre-ghiere del venerdì nella moschea di Al Aqsa sonoammessi solo uomini di oltre 50 anni. I giovani pre-gano nella zona attorno alla cittadella murata, men-tre i cristiani senza carta di identità di Gerusalem-me o senza permessi speciali sono banditi dai loroluoghi di preghiera. I matrimoni si celebrano nellechiese di Betlemme o di Ramallah, affinché anche

i parenti più lontani possano parteci-parvi. Anche se porto una gonna corta o i pan-taloni stretti, a Gerusalemme non hopaura di andare in giro senza coprirmi.Ho il privilegio di poter andare a tea-tro e di assistere ai festival di musica neicentri culturali palestinesi o di cenarecon gli amici nei ristoranti palestinesi.Gerusalemme ha una generazione gio-vane e cosmopolita che sfida le rigidetradizioni storiche, religiose e politichedella città. Ciononostante insieme aimiei amici ho deciso di non recarminella parte occidentale della città, tran-ne che per obblighi ufficiali. Di seraneanche i giovani israeliani si recanonella parte est di Gerusalemme per di-vertirsi. Vi è un’invisibile linea di de-marcazione che divide le due zone del-la cosiddetta «Città unita di Gerusa-lemme».Il mio timore è sempre quello di esse-re fermata da soldati israeliani e co-stretta a rispondere alle loro domandeo di essere importunata dagli abitanti ar-mati degli insediamenti ebrei. Questa èl’altra faccia della medaglia di una vitain una città divisa. È questo che uccidela vita sociale dei giovani palestinesi diGerusalemme. Dopo le otto di sera, lamia parte della città si svuota quasi com-pletamente. È l’instabilità politica che fadiventare matta mia madre e che con-

tinua ad assillarmi al telefono con le sue raccoman-dazioni di rientrare presto. «Mamma, sono appenale dieci, è il fine settimana e ho 24 anni. Per piace-re!». «Habibti, hanno appena sparato a una ragazzaal checkpoint Qalandia!». «Ma mamma è distante 10km e poi te l’ho già detto: si vive una volta sola evoglio godermela, la vita!». Sono i momenti in cuiil telefono resta muto e sento il gusto amaro dellavita a Gerusalemme. ■

(Traduzione dall’inglese)

Zeina Ayyad, 24 anni, ha

conseguito il bachelor in

diritto presso l’Università di

Bir Zeit, in Palestina.

Nell’ambito del suo impe-

gno per migliorare la situa-

zione dei diritti umani in

Palestina collabora come

volontaria per svariate

organizzazioni civili di

Gerusalemme. Nel 2015 ha

vinto il premio regionale

Media Law Moot Court

(concorsi di simulazione

processuale) al Cairo.

Convinta che il diritto inter-

nazionale sia uno stru-

mento per porre fine alle in-

giustizie sociali e politiche,

ha chiesto l’ammissione a

vari programmi europei di

studio di diritto.

Una voce dalla Palestina

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Rischio inondazioniLo scioglimento e il conse-guente ritiro dei ghiacciai haprodotto la formazione dinumerosi laghi glaciali nellaregione dell’Himalaya. Acausa della precarietà degliargini, formati da morene,c’è un elevato rischio diinondazioni e smottamenti.Nella valle di Parvati, nel di-stretto di Kullu, il consorziodi università indiane e sviz-zere ha proposto di monito-rare i laghi glaciali e di alle-stire un moderno sistema dipreallarme. Questo sistemapermetterà di avvisare edevacuare in tempo utile lapopolazione, circa150 milapersone. Inoltre, le comu-nità saranno istruite affinchésappiano come compor-tarsi e mettersi in salvo in caso di pericolo.www.ihcap.in

(lb) Migliaia di lingue di ghiaccio si staccano dal-le vette dell’Himalaya percorrendo sinuose le val-li sottostanti. Il loro fascino ha calamitato carova-ne di alpinisti nella regione. Altrettanto numerosisono gli scienziati che si sono innamorati del tet-to del mondo. Tuttavia i dati climatici sono anco-ra insufficienti. «Prima del 2012, solo una mancia-ta di ghiacciai era monitorata in maniera regolaredai ricercatori», ci spiega Markus Stoffel, profes-sore all’Università di Ginevra. Eppure la loro im-portanza è enorme: basti pensare che alimentanoi fiumi Gange, Indo e Brahmaputra, da cui dipen-de la vita di circa 1,5 miliardi di persone.

Aiutare le comunità montaneNel 2012 la DSC, in collaborazione con il Dipar-timento di scienza e tecnologia dell’India, ha lan-ciato un progetto volto a colmare questa lacuna.Nella prima fase (2012-2015), la ricerca si è con-centrata sul distretto di Kullu, nello Stato indianodell’Himachal Pradesh; nella seconda fase (2016-2019) coinvolge tutta la regione dell’Himalaya in-diano, considerata la riserva ecologica dell’India.L’obiettivo principale del progetto è di gettare lebasi scientifiche per proporre efficaci misure di lot-ta contro il cambiamento climatico. «Vogliamoaiutare le comunità montane e la popolazione a

valle in difficoltà a causa degli effetti del surriscal-damento terrestre», sottolinea Mirjam Macchi delProgramma globale Cambiamento climatico del-la DSC.Oltre alla stesura di un rapporto sulla vulnerabili-tà climatica, i pericoli e i rischi, elaborato da unconsorzio di università indiane ed elvetiche di cuifaceva parte Markus Stoffel. Il progetto pilota com-prendeva l’organizzazione di workshop per gior-nalisti con lo scopo di informarli sul cambiamen-to climatico e sulle sue conseguenze. Inoltre sonostati formati una cinquantina di giovani ricercato-ri indiani, tra cui 12 donne, in materia di glacio-logia e idrologia. «La formazione a livello accade-mico, affidata ora alle università di Delhi e delKashmir, e la creazione di momenti d’incontro trale autorità politiche dei vari Stati della regione del-l’Himalaya indiano sono due ulteriori elementicentrali del progetto», indica Mirjam Macchi.Sulla base dei dati della ricerca, il consorzio di uni-versità ha proposto alcune misure per ridurre glieffetti negativi del cambiamento climatico sulle attività umane nel distretto di Kullu, tra cui un sistema di preallarme nella valle di Parvati (vedi testo a margine). ■

Ricerca e formazione sul tetto del mondo

Come lottare contro il cambiamento climatico nella regione del-l’Himalaya indiano? Difficile rispondere a questa domanda sen-za una base scientifica. In collaborazione con il Dipartimentodi scienza e tecnologia dell’India, la DSC ha lanciato un pro-getto per colmare questa lacuna e per rafforzare la resilienzadelle comunità montane locali.

Il surriscaldamento terrestre mette tutti alla prova: la popolazione della regione dell’Himalaya e i ricercatori che devonoraccogliere i dati scientifici.

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(cz) Distretto di Tân Lac nella provincia di HòaBình, nel Nord-ovest del Vietnam. La telecame-ra mostra un piccolo gruppo di agricoltori impe-gnati nella costruzione di un canale d’irrigazionecon attrezzature rudimentali. «La gente ha dise-gnato i piani, acquistato autonomamente il mate-riale e ora realizza da sola l’opera», spiega la gior-nalista dell’emittente di Stato VTV1. «Le perditesono pari a zero. Perché è il loro progetto».La costruzione del canale è stata finanziata da unfondo di sviluppo comunale. Quest’ultimo fa par-te di un progetto della DSC che negli ultimi anniha rivoluzionato la politica locale delle provincedi Hòa Bình e Cao Bang. Nel Nord-ovest delVietnam, dove vivono molte minoranze etniche,nel 2008 la Svizzera ha lanciato il Service ProvisionImprovement Programme in Agriculture and Rural De-velopment (PSARD), un programma volto a pro-

muovere la partecipazione dei cittadini. Per setteanni, la Svizzera ha investito nella democrazia lo-cale vietnamita in collaborazione con Helvetas.Durante questo periodo, 800000 abitanti di vil-laggi hanno beneficiato di quasi 3500 progetti fi-nanziati dal fondo di sviluppo comunale. Grazie aun processo semplificato di pianificazione parteci-pativa, 780000 famiglie sono state coinvolte a livello locale nelle decisioni, che sono state preserispettando meglio le reali esigenze della gente.Inoltre, 105000 contadini hanno frequentato ol-tre 4400 corsi di agricoltura.

Pianificare dal basso«Il progetto ha pienamente raggiunto gli obietti-vi», constatano soddisfatti i responsabili. In tutti i409 comuni, le misure messe in atto sono ormaiconsolidate. Al di là delle cifre e dei risultati posi-

«Perché è il loro progetto»Con il sostegno della Svizzera, due province del Vietnam sonodiventate pioniere della democrazia locale e della partecipa-zione dei cittadini. Questo progetto dimostra che grazie al coinvolgimento delle autorità e a un processo di pianificazionepartecipativo è possibile ottenere risultati su ampia scala.

Un processo di pianificazione partecipativo coinvolge le persone direttamente interessate e rafforza così la democra-zia locale.

Sviluppo rapidissimo25 anni fa, il Vietnam erauno dei Paesi più poveri almondo. Poi lo Stato socia-lista ha deciso un rinnova-mento economico che hacambiato radicalmente lanazione. Attraverso unagraduale apertura dell’eco-nomia, il Vietnam si è tra-sformato in una regione abasso costo per investitoristranieri. L’economia è cresciuta rapidamente e lapovertà è diminuita. Se nel1996 il 53 per cento dellapopolazione viveva ancoraal di sotto della soglia dipovertà nazionale, nel 2010la quota era «solo» del 20per cento. Con un redditopro capite di circa 2000dollari, oggi il Vietnam faparte dei Paesi a medioreddito. Entro il 2020, ilPaese intende addiritturaraggiungere lo status di nazione industrializzata. Ma non tutti hanno benefi-ciato di questo sviluppoeconomico: gran partedella popolazione rurale,in particolare le minoranzeetniche, vive ancora in con-dizioni di povertà.

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Il coinvolgimento delle comunità ha rafforzato la fiduciadella gente nelle proprie capacità.

tivi, c’è un altro elemento che evidenzia la bontàdell’approccio adottato: i progetti hanno rafforza-to la fiducia della gente nelle proprie capacità e idecisori locali hanno riconosciuto i vantaggi delcoinvolgimento dei cittadini.Inizialmente, questo processo di pianificazionepartecipativa a livello comunale ha sollevato qual-che dubbio. In Vietnam si era infatti abituati a go-vernare secondo il classico sistema top-down, dal-l’alto verso il basso. «Una delle sfide maggiori è stata quella di convincere i responsabili politici del valore aggiunto del nostro approccio», spiegaSteven Geiger, che nel 2016 ha diretto il pro-gramma della DSC in Vietnam. Si è trattato di unprocesso lungo. Ma grazie ai successi iniziali è sta-to possibile guadagnare la fiducia delle autorità locali e aumentare progressivamente la loro parte-cipazione finanziaria. «Il fatto che un partner delprogetto sia materialmente coinvolto è un buon in-dicatore di successo», spiega Samuel Wälty, capodal 2011 al 2015 dell’Ufficio della cooperazione adHanoi. Nell’ultimo anno del programma, una del-le province ha versato al progetto molto più degliiniziatori svizzeri. Dopo la conclusione delloPSARD nel 2015, i governi provinciali hanno deciso di continuare ad autofinanziare questo consolidato approccio e di implementarlo nei loropiani quinquennali.

Impatto orizzontale anziché verticaleLo scopo primario era di convincere le autorità sul-la validità dell’approccio del programma affinchélo accettassero e lo replicassero. «Desideravamo svi-luppare assieme a loro procedure e strumenti chepotessero essere utili e portati avanti anche dopola conclusione del nostro impegno», ricorda Sa-muel Wälty. Per questo motivo, dovevano essereancorati a livello istituzionale, finanziabili per 200comuni e realizzabili con le risorse umane dispo-nibili. «L’obiettivo era di implementare progetti diqualità, non processi onerosi», prosegue l’ex col-laboratore della DSC. «La perfezione costava piùdi quanto le province potevano mettere a dispo-sizione e richiedeva più tempo di quanto le auto-rità e i cittadini fossero disposti a investire». Un donatore può sviluppare un progetto per dieci co-muni con una complessa procedura di partecipa-zione o dedicarsi a progetti infrastrutturali accom-pagnati da esperti. «La provincia non sarà mai in grado di estendere questo approccio a tutti i comuni», indica Wälty. L’alternativa è puntare suuno sviluppo orizzontale anziché verticale. LoPSARD ha dimostrato che il potenziale di succes-so e sostenibilità di un’implementazione capillarecon obiettivi realistici è maggiore rispetto a pro-getti che puntano alla perfezione e la cui portata

è limitata. Da questo punto di vista, spiegano i responsabili del programma, un cambiamento nelsistema deve avere la massima priorità.

Partecipazione anche in LaosDell’esperienza maturata in sette anni di PSARDpossono ora beneficiare anche altri progetti attua-ti nella regione del Mekong. In Laos, ad esempio,dal 2008 la DSC sostiene un fondo di lotta alla

povertà istituito dal governo, in collaborazione conla Banca mondiale. Per Serge Oumow, responsa-bile del programma Laos/Mekong della DSC, èchiaro che «la Svizzera offre un contributo signi-ficativo al rafforzamento dell’approccio partecipa-tivo». Inoltre, si è fatto in modo che ad approfit-tare dei progetti siano in primo luogo le regioni ele persone più povere del Paese. Recentemente la DSC ha esteso il suo sostegno alfondo per il periodo 2016-2020. L’obiettivo è dimigliorare la partecipazione dei cittadini, ridurrela povertà e permettere al Paese del Sud-est asia-tico di uscire dal gruppo dei Paesi più poveri. Leautorità hanno già confermato la loro partecipa-zione. Il Laos sostiene il fondo con sei milioni didollari. L’approccio della pianificazione partecipa-tiva è considerato uno dei principali strumenti dilotta alla povertà. ■

(Traduzione dal tedesco)

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le assicurazioni malattia. Incollaborazione con laGermania, la DSC sostiene losviluppo di un software gra-tuito che gli utenti potrannoscaricare, adattare e distri-buire.Durata del progetto: 2016-2019Budget: 1,81 milioni di CHF

Città cinesi un po’ più verdi (dey) Negli ultimi anni la Cinasta vivendo un’urbanizzazionerapida, ma non priva di con-traccolpi. Recentemente ilPaese ha deciso di non pun-tare solo sulle energie fossili,bensì di promuovere lo svi-luppo sostenibile. Il progettosvizzero-cinese «low carboncities» sostiene sei megalopolicinesi – Chengdu, Chongqing,Guangzhou, Shanghai,Kunming e Yantai – nei lorosforzi per ridurre le emissionidi gas ad effetto serra. LaSvizzera condivide la propriaesperienza nella gestione so-stenibile delle città e promuovetecnologie innovative per pro-teggere il clima. Incoraggiainoltre la collaborazione tra leautorità e gli attori locali.Durata del progetto: 2015-2018Budget: 6,93 milioni di CHF

Statistiche affidabili percombattere la povertà (bm) Per elaborare delle politi-che pubbliche efficaci, le auto-rità palestinesi hanno bisogno

In soccorso agli yemeniti(ung) Lo Yemen sta vivendouna grave crisi umanitaria.Oltre al conflitto che dal mesedi marzo del 2015 sta deva-stando il Paese, la popola-zione è confrontata con unacarestia. Quasi 19 milioni diyemeniti (su un totale di 27,4milioni di abitanti) hanno biso-gno di aiuto. Per oltre la metà,la situazione è critica. La DSCsostiene finanziariamente leoperazioni del Comitato inter-nazionale della Croce Rossa,delle agenzie delle NazioniUnite e delle ONG. I settoriprioritari della Svizzera sonol’accesso all’acqua e ai serviziigienico-sanitari, la distribu-zione di cibo e la protezionedei civili.Durata del progetto: 2017Budget: 9 milioni di CHF

Software open source per le assicurazioni malattia(dey) Ogni anno 100 milioni dipersone cadono nella povertàa causa delle spese mediche.Per evitare questo rischio occorre mettere in atto un sistema di protezione socialeche includa i più svantaggiati.Molti Paesi a reddito basso emedio stanno sviluppando unsimile modello di protezione,ma non sempre dispongonodelle capacità finanziarie e tec-niche per mantenere una piat-taforma IT in grado di gestire

di dati affidabili relativi alla situazione demografica edeconomica in tutti i territori occupati. A tal fine l’Ufficiocentrale di statistica realizzeràquest’anno un censimentodella popolazione e delle abi-tazioni. La DSC partecipa al finanziamento del progetto. I risultati e le analisi saranno a disposizione di tutti gli attoriimpegnati nella lotta alla po-vertà: responsabili politici, istituzioni pubbliche e private,ONG, agenzie di aiuto bilateralie internazionali. Partner dilunga data della cooperazionesvizzera, l’Ufficio centrale distatistica ha acquisito solidecompetenze nella raccolta didati conformi agli standard in-ternazionali.Durata del progetto: 2016-2018Budget: 1,25 milioni di CHF

Dati affidabili per dividersil’acqua(hel) La gestione delle acquetransfrontaliere è sempre fontedi tensioni in Asia centrale.Infatti, gli Stati devono accor-darsi sulla condivisione di que-sta preziosa risorsa naturale.Per facilitare la gestione con-giunta delle acque dei fiumiChu e Talas, il Kazakistan e ilKirghizistan hanno istituito unacommissione binazionale. Persvolgere bene il suo lavoro,quest’ultima ha bisogno di datiaffidabili e trasparenti. La DSCcontribuisce allo sviluppo di unsistema d’informazione checonsentirà di conoscere intempo reale l’acqua disponi-bile, affinché sia possibile ge-stirla in maniera efficace edequa, in particolare per l’irriga-zione. Migliaia di piccoli agri-coltori potranno così benefi-ciare di un accesso più sicuroall’acqua.Durata del progetto: 2016-2020Budget: 2,3 milioni di CHF

Integrazione sociale (hel) In Kosovo, la maggiorparte dei rom, degli ashkali edegli «egiziani» è vittima dimolteplici forme di discrimina-zione, soprattutto in materia diistruzione, occupazione e al-loggio. Queste popolazionisono perciò maggiormente arischio povertà. Per spezzarequesta spirale negativa, laDSC promuove l’integrazionesociale delle minoranze nelPaese balcanico. Visto che leloro prospettive economichedipendono molto dalla forma-zione, la cooperazione sviz-zera promuove e migliora l’accesso di questi gruppi minoritari ai vari servizi pub-blici di base, come l’istruzionee la sanità. Parallelamenteconduce un dialogo con le autorità politiche volto a far rispettare i loro diritti.Durata del progetto: 2017-2019Budget: 1,2 milioni di CHF

Aiutare Haiti a risollevarsi(bm) Il ciclone Matthew, che il 4 ottobre 2016 si è abbattutosulla punta sud-occidentale diHaiti, ha provocato centinaiadi vittime. Importanti anche i danni materiali: le abitazioni e gli edifici pubblici sono statidistrutti, le colture devastate,le vie di comunicazione e i punti di raccolta dell’acquagravemente danneggiati. Dopoessere intervenuta con l’aiutod’emergenza, la DSC sta oraaiutando il Paese a rimettere in piedi l’agricoltura familiare,fornendo sementi e piantine aiproduttori e bestiame minutoagli agricoltori. Inoltre la co-operazione svizzera analizzal’acqua affinché la gentepossa attingere a sorgenti sicure e ridurre così il rischio di diffusione del colera.Durata del progetto: 2017-2018Budget: 4 milioni di CHF

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Libero scambio: un male o un bene? Il libero scambio favorisce il benessere anche nei Paesi più poveri, affermano i sostenitori. L’eliminazione delle barrierecommerciali va a vantaggio soprattutto dei Paesi ricchi, repli-cano i critici. Per non minare i risultati della cooperazione allosviluppo, questi ultimi chiedono un ripensamento della politicaeconomica esterna della Svizzera. Di Christian Zeier.

Raramente il modello del libero scambio è statocosì sotto pressione. Lo scorso anno l’Unione eu-ropea è riuscita solo a fatica a negoziare il nuovoaccordo CETA con il Canada, i colloqui del-l’OMC marciano da anni sul posto e, con l’av-vento del nuovo presidente degli Stati Uniti, ilPartenariato transatlantico per il commercio e gliinvestimenti (TTIP) pare abbia i giorni contati elo stesso destino sembra spettare anche a quellotranspacifico (TTP). «Dal punto di vista dello svi-luppo potrebbe essere un’opportunità», affermaPierre-André Cordey della Divisione Analisi e po-litica della DSC. Pur non condividendo le ragio-ni di queste tendenze isolazioniste, Cerdey notache il nazionalismo latente ha come conseguenzala messa in discussione degli strumenti di liberoscambio che spesso danneggiano le fasce di popo-lazione più povere dei Paesi in via di sviluppo.

Liberismo sfrenatoPer comprendere questa impostazione occorrevolgere lo sguardo alla storia recente del liberoscambio. Dopo la Seconda guerra mondiale, la ri-definizione del commercio mondiale e la stipula-zione del primo accordo di libero scambio inter-nazionale – l’Accordo generale sulle tariffe e sulcommercio, meglio conosciuto come GATT –diedero inizio all’era del commercio globalizzato.Con la caduta del Muro di Berlino nel 1989, laliberalizzazione divenne il mantra dei dirigentid’impresa occidentali.Creata nel 1994, in sostituzione del GATT, l’Or-ganizzazione mondiale del commercio (OMC) incoraggiava l’abolizione degli ostacoli al com-mercio mondiale. Organizzazioni internazionali,come la Banca mondiale, spronavano i Paesi in viadi sviluppo a realizzare piani di adeguamento

Lo scorso autunno 80000 persone sono scese in piazza a Berlino per protestare contro gli accordi commerciali internazionali CETA e TTIP.

Aspirare a politiche coerentiI rapporti tra la Svizzera e i Paesi del Sud sono rego-lati da una serie di politi-che. Lo sforzo messo inatto per conciliare gli obiet-tivi di queste politiche sichiama «Coerenza dellepolitiche al servizio dellosviluppo». «Per promuo-vere lo sviluppo nei Paesipoveri, i Paesi dell’OCSEnon dovrebbero limitarsi a fornire assistenza», silegge in una nota dellaSECO, «ma anche garan-tire che le loro altre politi-che siano favorevoli allosviluppo di questi Paesi».In un rapporto del 2013,l’OCSE riconosce allaSvizzera processi favore-voli alla coerenza delle po-litiche, pur criticando lamancanza di un monito-raggio sistematico dellepolitiche che hanno un im-patto sui Paesi del Sud.

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strutturale che hanno favorito la liberalizzazionee sovente il collasso dei mercati locali. «Per de-cenni è stato impossibile intaccare o mettere in discussione idee come il libero scambio e la libe-ralizzazione economica», spiega Pierre-AndréCordey. Questo benché si facesse sempre piùpressante la domanda: il libero commercio inter-nazionale promuove lo sviluppo anche dei Paesipiù poveri o li danneggia?

Questione di credoLa questione resta controversa. Da una parte visono gli estimatori di David Ricardo e della teo-ria classica del libero scambio, secondo i quali ab-bassando le barriere si promuove il commercio, sicreano investimenti e in ultima analisi si genera-no crescita e prosperità anche nei Paesi più pove-ri. La riduzione della povertà in Stati come l’In-dia, l’Indonesia e il Cile ne sarebbe la prova.Sull’altro fronte troviamo i critici, come l’econo-mista sudcoreano e professore presso l’Universitàdi Cambridge Ha-Joon Chang che si è creato unareputazione come critico di dogmi economici.L’esperto fa notare la contraddizione della politi-ca economica esterna delle nazioni industrializza-te, Paesi che chiedono l’apertura dei mercati,quando per decenni hanno protetto le loro eco-nomie applicando dazi elevati: «Il libero com-mercio ha reso ricchi ben pochi Stati e in futuronon ne arricchirà di più». L’argomento principa-le: se i Paesi più poveri aprono i loro mercati pri-ma che l’industria nazionale sia competitiva a li-vello internazionale, quest’ultima viene annienta-ta dall’importazione di merci a basso costoprovenienti dai Paesi tecnologicamente avanzati.

«La politica di libero scambio, da sola, non portaprosperità», spiega Pierre-André Cordey dellaDSC. «Se promossa con le giuste condizioni puòperò contribuire allo sviluppo». Uno dei princi-pali rischi connessi all’abbattimento dei dazi èquello di mettere a repentaglio catene del valorelocali che erano state rafforzate anche attraversola cooperazione allo sviluppo. Per evitarlo, la po-litica dovrebbe adottare un approccio globale checonsideri i possibili rischi per il Paese partner.«Purtroppo gli attuali accordi economici non per-seguono gli stessi obiettivi della cooperazione in-ternazionale», continua Cordey. «Il rischio è quel-lo di originare incoerenze all’interno di una poli-tica esterna».Thomas Braunschweig, esperto di politica com-merciale presso l’Organizzazione non governati-va Public Eye (già Dichiarazione di Berna), con-divide questa critica. «Una simile politica esternaha poco senso anche da un punto di vista dell’e-conomia nazionale», spiega lo specialista avvalen-dosi di un esempio fittizio: incoraggiando il libe-ro scambio con la Colombia, le imprese svizzereinvestirebbero magari maggiormente nel settoreminerario locale, investimenti che potrebberoperò causare lo sfollamento della popolazione in-digena. «Qualche impresa svizzera ne approfitte-rebbe, aumentando le sue entrate, ma la coopera-zione allo sviluppo elvetica dovrebbe poi investi-re milioni per lottare contro le conseguenze»,spiega Braunschweig. Public Eye chiede pertan-to che la Svizzera svolga delle valutazioni d’im-patto sui diritti umani prima di firmare un accor-do di libero scambio. Inoltre, i negoziati dovreb-bero essere più trasparenti.

Ad armi pariI critici degli accordi bilate-rali di libero scambioavvertono che i Paesi piùpoveri tendono a esseresvantaggiati, poiché hannomeno potere ed esperi-enza contrattuale. LaSECO auspica parità ditrattamento attraverso normative internazionali. L’elevato numero di ac-cordi bilaterali è una con-seguenza della fase distallo dei negoziati multila-terali condotti nell’ambitodell’Organizzazione mon-diale del commercio (OMC).L’OMC sta cercando diabbattere le barriere com-merciali e di stabilire regoleper le misure commerciali.Le trattative più recenti (inegoziati di Doha) si sareb-bero dovute concluderenel 2005 con un accordo.Visto che è necessaria l’unanimità, i conflitti d’in-teresse tra gli Stati membrine hanno impedito la firma.I Paesi in via di sviluppochiedono, ad esempio,una riduzione delle barrierecommerciali nel settoreagricolo dei Paesi sviluppati.

I porti commerciali liberi di Shanghai (sinistra) e Dubai sono le due zone franche più grandi al mondo. Ogni giorno vitransitano migliaia di tonnellate di merce.

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In Vietnam (a destra) la riduzione delle barriere doganali ha favorito l’economia. In Uganda, invece, i prodotti locali hannosofferto a causa della concorrenza estera.

In favore della sostenibilità«Nel quadro di una politica coerente, la Svizzerasi adopera per raggiungere gli obiettivi di svilup-po sostenibile anche in ambito di politica econo-mica esterna», spiega Sébastien Martin, che pres-so la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) accompagna i negoziati sul commercio e sullo svi-luppo sostenibile negli accordi di libero scambio.Durante le trattative ci si impegna per promuo-vere disposizioni commerciali rispettose dell’am-biente e degli standard di lavoro e per garantire ilrispetto delle norme generali per quanto riguardai diritti umani. La tutela di standard internaziona-li assicura rapporti di scambio equi tra le parti. «Lenorme svizzere in materia di ambiente e lavoro»,prosegue Martin, «non vengono né imposte, néarmonizzate fra le parti». Sarebbe un atteggia-mento negoziale contradditorio rispetto all’ap-proccio cooperativo della Svizzera e fuori luogoanche soltanto dal profilo del potere contrattuale.Siamo una piccola nazione e quindi non possia-mo dettare le condizioni alle parti negoziali.Per Karin Büchel, responsabile del settore Accor-di di libero scambio/AELS della SECO, è chiaroche «un accordo di libero scambio deve in primoluogo agevolare le esportazioni della Svizzera». Èdifficile valutare quale ruolo abbia il libero com-mercio per lo sviluppo dei Paesi più poveri. In Sta-ti come il Vietnam o la Cina, la riduzione dellebarriere commerciali e l’apertura del mercato han-no certamente dato un forte impulso all’econo-mia. Con i Paesi meno sviluppati, la Svizzera nonfirma, per principio, alcun accordo di libero scam-bio, spiega Karin Büchel. Nella fase volta a chia-rire l’opportunità o meno di avviare dei negozia-

ti, la SECO si chiede sempre se l’accordo sia an-che compatibile con la politica esterna della Con-federazione. È una questione di coerenza.

Pressioni esterneSecondo Pierre-André Cordey della DSC, negliaccordi commerciali il concetto di sostenibilità èancora eccessivamente orientato all’economia.Spera che le cose cambino con l’ausilio di pres-sioni esterne: con l’Agenda 2030 per uno svilup-po sostenibile, le Nazioni Unite promuovono unasostenibilità basata su tre dimensioni, quella so-ciale, economica ed ecologica, evidenziando cosìl’importanza della coerenza. «La Svizzera ha as-sunto l’impegno di concretizzare l’Agenda 2030»,afferma Cordey. In collaborazione con l’Ufficiofederale dello sviluppo territoriale, la DSC coor-dina l’attuazione degli Obiettivi di sviluppo so-stenibile in Svizzera. Ciò crea ottime premesse af-finché in futuro sia possibile identificare e risol-vere eventuali contraddizioni tra politicaeconomica esterna e politica di sviluppo. «Siamoper un internazionalismo che non alimenti ini-quità», spiega Pierre-André Cordey. Occorresfruttare la situazione attuale per ridiscutere, inmaniera costruttiva, e riorganizzare gli strumentidel libero scambio. «Se sussiste il rischio di un crol-lo dell’attuale sistema di relazioni economiche, al-lora tutti dovrebbero essere disposti a promuove-re delle riforme». ■

(Traduzione dal tedesco)

Controversi accordi dipartenariatoDa anni l’UE e il Gruppodegli Stati dell’Africa, deiCaraibi e del Pacifico(gruppo dei Paesi ACP)cercano un’intesa su cin-que accordi di partenariatoeconomico (APE) che ga-rantirebbero un’aperturareciproca quasi completadei mercati. Dal 1971, 71 ex colonie possonoesportare quasi senza daziin Europa. Gli APE dovreb-bero sostituire questi privi-legi e portare il gruppo deiPaesi ACP ad aprire l’83per cento dei loro mercatiai prodotti europei. I criticisostengono che gli accordiavrebbero gravi conse-guenze per lo sviluppopoiché gli Stati del Sudsono fortemente dipen-denti dalle entrate doganalie inoltre gli APE mettereb-bero a repentaglio la pro-duzione agricola interna.Diversi Paesi africani si op-pongono a questi accordi.

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Il Marocco ha cambiato attitu-dine a livello diplomatico; èpassato all’offensiva. A riprovache non è più il docile allievomodello del passato, nel corsodegli ultimi cinque anni ha ini-ziato a mostrare i denti. Controle subdole forme di protezioni-smo dell’Unione europea inmateria di pesca e agricoltura.Contro la presunta parzialitàdelle Nazioni Unite in materiadi diritti umani. Contro l’inge-renza di ONG americane cheingigantiscono le supposte irre-golarità nel conteso territoriodel Sahara occidentale. Controgli alleati occidentali che noncontribuiscono in misura suffi-ciente allo sviluppo dei Paesidel Sud. Contro l’inefficienzadella Lega araba.

Da qualche anno, reMohammed VI ha moltiplicatole uscite eclatanti e ha riallac-ciato i contatti con le monar-chie del golfo Persico. Inoltre si sta dando da fare per riportareil suo Paese al centro del conti-nente africano attraverso inve-stimenti economici. Tutto questo orientamento verso il Sud farebbe credere che il Marocco ufficiale stia svilup-pando un atteggiamento post-coloniale che il defunto re

Hassan II, padre dell’attuale so-vrano, aveva messo da parte. È questa la favola più alla modamessa in risalto da molti analistie osservatori. Ma che cosa rac-conta, questa favola?

C’era una volta un sultano moltoamato, di nome Mohammed V,uno degli iniziatori a Casablancadell’Organizzazione dell’Unitàafricana (OAU). Mohammed Vseguiva i primi vagiti dell’indipen-denza economica e culturale delMarocco, con la complicità di unaélite modernista e qualche slanciosocialista ben orchestrato. Ma il sultano morì prematuramente.Ritenendosi un autocrate illuminatoe vedendo in questi attori terzo-mondisti una minaccia per la suapolitica patriarcale e filo-occidentale,il figlio Hassan II si fece paladinodi una politica piuttosto neocolo-niale, aggrappandosi più ai ramieuropei che alle radici africane, alpunto da abbandonare l’OAU nel1984. Volendo distinguersi dal pa-dre ed essere più vicino al nonno,Mohammed VI ormeggiò nuova-mente il Paese nelle profonditàdell’Africa. Dopo una capatina inMadagascar, dove era finito in esilioil suo amato avo, eccolo all’iniziodel 2017 dinanzi ai membridell’Unione africana (che nel frat-tempo ha sostituito l’OAU) an-

nunciare con gioia e solennità di«fare ritorno a casa».

Questa storia che cosa omettedi raccontarci in merito all’o-rientamento postcoloniale diMohammed VI? In primoluogo, a differenza del padre,che cercava di gestire lo Stato-nazione, l’attuale re aspira a unimpero. Ma non di stampo po-litico o territoriale, bensì eco-nomico. Nonostante le diffe-renze storiche e i cambiamentigeopolitici, questo ci ricorda ilcaso di Ahmad al-Mansur, il se-sto sultano della dinastia Sadiana in Marocco che alla fine delXVI secolo intraprese una cavalcata verso il fiume Niger e cercò di competere, sul fiancooccidentale, con l’Impero otto-mano.

Oggi il Marocco ufficiale, sem-pre più pragmatico e conquista-tore, dissocia le dispute territo-riali dagli interessi economici.Per fare affari ormai non disde-gna più di visitare Paesi che so-stengono il Fronte Polisario,movimento politico armato delSahara occidentale che si op-pone al Marocco per il con-trollo di questa regione. Puntasoprattutto sulla sua posizionestrategica per essere considerato

uno Stato alla pari degli altri.Infine, a differenza del padreche, in tempi di Guerra fredda,divenne un cinico alleato deiwahhabiti, Mohammed VI riaf-ferma il suo statuto di coman-dante dei fedeli al di là dellefrontiere e di fautore di unIslam pacifico, mistico e mode-rato.

Tutto sommato, il Maroccopropone un discorso postcolo-niale per giustificare meglio ipropri rigurgiti imperialisti. Il post-colonialismo ufficialefunge da matrice per una strate-gia geoeconomica. Servirà allosviluppo interno del Paese? Saràil futuro a dircelo. ■

(Traduzione dal francese)

Il post-colonialismo ufficiale del Marocco

Driss Ksikes, nato aCasablanca nel 1968, è giorna-lista e autore di diversi raccontie saggi. Già direttore della rivi-sta «TelQuel» (2001-2006), èattualmente professore pressol’Istituto di studi superiori di gestione a Rabat, dove dirige ilcentro di ricerca dell’istituto edè responsabile della rivista«Economia». In collaborazionecon diversi enti del Maghreb edel Mediterraneo, Driss Ksikesrealizza progetti nell’ambito deimass media e della cultura.Tiene inoltre laboratori di scrit-tura e collabora con diversepubblicazioni culturali.

Carta bianca

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Un solo mondo n.2 / Giugno 2017

«La letteratura ci insegna chi siamo»

I libri permettono ai bambini e ai giovani di conoscere culture diverse, di allar-gare i loro orizzonti, di formarsi una propria identità e di comprendere meglioil mondo. Una convinzione condivisa da due case editrici; l’una a Cotonou, inBenin, l’altra a Basilea. Di Fabian Urech.

La Librairie Notre Dame èun’oasi di tranquillità nel cuorefrenetico di Cotonou, la cittàpiù grande del Benin. Inserita in un anonimo edificio adibito a uffici sulla trafficata AvenueClozel, la libreria propone su trepiani un vasto assortimento diromanzi, libri per ragazzi e testiscolastici. Nonostante l’unicitàdell’offerta nella città portuale diquesto piccolo Stato dell’Africaoccidentale, gli affari vanno a ri-

lento. «La letteratura non inte-ressa a molti nella nostra so-cietà», spiega la commessa. «E chi sa leggere, spesso non hai soldi per acquistare dei libri».Secondo le statistiche delleNazioni Unite, solo il 40 percento degli abitanti del Benin saleggere e scrivere; è una percen-tuale molto bassa anche nel con-fronto con altri Stati africani.Nonostante il tasso di scolarizza-zione sia aumentato negli ultimi

anni, una parte dei giovani nonpossiede competenze di letturasufficientemente solide; unacondizione che impedisce lorodi avventurarsi nel mondo dellaletteratura.

Il coraggio di fondare unacasa editricePer Béatrice Lalinon Gbado le cose devono cambiare.Vent’anni fa, all’inizio della suacarriera di insegnante si era resaconto che in Benin gli studenticrescevano quasi esclusivamenteleggendo libri europei.«Raccontano storie inserite inambienti e contesti culturali di-versi», ricorda Gbado. Eppureproprio grazie alla letteratura, i bambini e i ragazzi hanno lapossibilità di conoscere le pro-prie radici e di sviluppare la propria identità.Dal momento che in Beninmancava un’offerta letteraria ca-pace di svolgere questa funzione

identitaria, nel 1998 BéatriceLalinon Gbado ha deciso, dipunto in bianco, di creare lapropria casa editrice. «All’inizionon è stato facile. Il mercato eramolto piccolo e le tipografiemal equipaggiate». Dopo le ini-ziali difficoltà, il coraggio della54enne è stato ripagato. Oggi,l’Editions Ruisseaux d’Afrique è una fra le più importanti caseeditrici di libri per bambini e ra-gazzi dell’Africa occidentale. Inquasi vent’anni ha pubblicatooltre 200 titoli di una trentina diautori; Lalinon Gbado ha scrittoquasi una cinquantina di opere.Al secondo piano della libreria, i volumi della casa editrice ric-camente illustrati sono in bellamostra su un tavolo. La maggiorparte racconta storie di vita quo-tidiana del Benin: la scuola, laricerca delle proprie radici, lachiassosa vita di città… Anchese i suoi libri vengono vendutinei Paesi limitrofi e in Francia,

Con la sua casa editrice, in quasi vent’anni Béatrice Lalinon Gbado ha pubblicato oltre 200 libri per bambini e ragazzi dell’Africa occidentale.

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Béatrice Lalinon Gbado non siaccontenta. «Per molto tempo,la letteratura non ha fatto partedella nostra cultura», afferma la direttrice editoriale. «Le cosestanno cambiando, ma moltolentamente». La donna considerala letteratura un importante fat-tore di crescita: «Grazie ad essaimpariamo a conoscere meglionoi stessi: una premessa fonda-mentale per il nostro sviluppo».

Punto di partenza diversoCambio di scena. A 4500 chilo-metri a nord di Cotonou, in unpiccolo locale del quartiere basi-lese di Gundeldingen c’è chicondivide questa convinzione. Ilpunto di partenza è però un al-tro: anche l’organizzazione non

profit Baobab Books promuovele voci della letteratura del Sudper l’infanzia e per i ragazzi, malo fa con l’occhio puntato sulpubblico occidentale. Neglianni Ottanta, quando a Basileafu creato il centro di letteraturainterculturale per l’infanzia e perl’adolescenza, era molto difficiletrovare libri in lingua tedescascritti da autori africani, asiaticio latinoamericani, spiega la di-rettrice Sonja Matheson. Nelnostro contesto multiculturale ein un mondo globalizzato, icambi di prospettiva, resi possi-bili dalla letteratura, sono moltoimportanti. «Questa apertura sunuovi orizzonti è un elementoessenziale della formazione diogni persona».

Baobab Books pubblica in tede-sco libri per bambini e per giovani scritti da autrici e autoriprovenienti da Africa, Americalatina, Asia e Medio Oriente.«Spesso sono opere provenientida aree geografiche in cui la let-teratura è poco diffusa», spiegaSonja Matheson, citando l’e-sempio del tanzaniano JohnKilaka, le cui storie non sonostate pubblicate nel suo Paesenatale. In Europa, i suoi libririccamente illustrati offronoscorci di un paesaggio scono-sciuto ai più e che può aiutare ibambini e i giovani a compren-dere un po’ meglio il mondo.Con la sua offerta, l’editore basilese ha avuto buon fiuto.Recentemente le vendite di libri

sono sensibilmente aumentate.Sonja Matheson è convinta cheil libro abbia ancora una grandeimportanza, anche in questitempi di metamorfosi digitale. «I libri esercitano sempre un incredibile fascino», conclude la direttrice. «Ci permettono diconoscere ciò che ci distinguedagli altri e di immergerci inmondi completamente diversi». ■

Siti web www.ruisseauxdafrique.comwww.baobabbooks.ch

(Traduzione dal tedesco)

I libri illustrati dall’autore tanzaniano John Kilaka (in alto a destra) non sono pubblicati nel suo Paese natale, bensì a Basilea per i bambini e i ragazzi svizzeri.

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Nuove prospettive(bf ) In questo momento, oltre250 milioni di persone vivonoal di fuori del proprio Paese natale, una cifra mai raggiuntaprima d’oggi. Il mondo è sem-pre più in movimento. Le per-sone migrano per motivi diversi,lungo percorsi diversi. La migra-zione ha sempre influenzato leabitudini, i valori, gli sviluppieconomici e politici degli Statid’accoglienza e di provenienza.L’esposizione «La migrazione»presso il Museo delle culture diBasilea presenta una panoramica

sul passato e sul presente dellamigrazione a livello mondiale enazionale e cerca di dare una ri-sposta al seguente interrogativo:«Perché le persone emigrano equali sono gli effetti di questofenomeno globale?». Per permettere al visitatore diguardare al tema da una nuova e insolita prospettiva, i curatorihanno deciso di dare vita a degli oggetti, trasformandoli in migranti.«La migrazione», fino al 21 gen-naio 2018 presso il Museo delleculture di Basilea

Viaggio musicale senza frontiere (er) Meravigliosamente limpidi,vigorosamente caldi, raffinata-mente vibranti, ombrosamentegutturali... Sono semplicementeammalianti, i timbri delle vocimaschili e femminili provenientida cinque diverse nazioni men-tre oscillando sfiorano le notepiù alte e più basse, gorgheg-giano o scivolano dal canto par-lato a quello difonico, in assolo,poi nuovamente in coro, a cap-pella o delicatamente accompa-gnate da campanelli, percussionio cetra a cinque corde. In que-sto insolito progetto belga del-l’ensemble «Voxtra» si fondonoarmoniosamente tradizioni po-polari: canto isopolifonico alba-nese, cantu a tenore sardo, bekoblues del Madagascar meridio-nale, melodie joik e runiche fin-landesi e il patrimonio belga-vallone del récit chanté. Questeperle vocali si uniscono in unacompilation meravigliosa daltocco unico e dove lo stile dellesingole voci è chiaramente di-stinguibile. Le 23 toccanti traccee le informazioni dettagliate dellibretto (in inglese, francese efiammingo) ci invitano a fare unviaggio musicale senza frontiere.Voxtra: «The Encounter of VocalHeritage» (Muziekpublique)

Altalena musicale tra il Sud e il Nord(er) La città di Nogales si trovaper metà in Messico (Sonora) e per metà negli Stati Uniti(Arizona). Ed è in questa cittàdivisa che è nato il polistrumen-tista Sergio Mendoza. Il 36enne

è conosciuto a livello interna-zionale come tastierista e chitar-rista della Tucson Desert rockband «Calexico». Mendoza haanche fondato la sua «Orkesta» econ molti musicisti esterni harecentemente registrato un se-condo suggestivo album, unamiscela esplosiva di Tex-Mex edi mariachi che volteggia tra in-die rock, polka, mambo, cum-bia, merengue e allegre note direggae e punk. Il momento cul-minante della compilation è unalanguida ballata al pianoforte,

All’ombra dei potenti(bf) Le foto di Dominic Nahr trovano spesso spazio sullepagine di giornali e riviste di tutto il mondo, portando illettore sui luoghi dove si combatte una guerra o dove lagente lotta giorno dopo giorno per sopravvivere. Ma è soprattutto nelle mostre che queste immagini riescono aesprimere la crudezza del loro messaggio. Il 34enne sviz-zero, fotoreporter e fotografo di guerra, trasmette senti-menti e stati d’animo impossibili da esprimere a parole.L’esposizione «Blind Spots» è dedicata a quattro Statidell’Africa che da anni si trovano sul bordo del baratro eche non riescono a garantire né sicurezza né servizi dibase alla loro gente; sono il Sudan del Sud, la Somalia, il Mali e la Repubblica Democratica del Congo. Molti deiloro problemi sono causati da fattori esterni. Questi Paesisono ancora vittime degli interessi e della smania di pro-fitto delle potenze straniere, che si tratti di materie primeo di retaggi politici. A soffrire sono sempre gli stessi; sonole persone che all’ombra dei potenti e lontani dai riflettoridei media e dell’opinione pubblica si arrabattano quoti-dianamente per sopravvivere.«Dominic Nahr – Blind Spots», fino all’8 ottobre 2017 aWinterthur, presso la Fondazione svizzera per la fotografia

struggentemente malinconica. Itesti dei dodici pezzi (per lo piùin spagnolo) parlano d’amore,ma anche della vita di tutti igiorni. Un riuscito CD che vaascoltato sorseggiando aguas fre-scas e godendosi questa specie dialtalena musicale sulla frontieratra il Sud e il Nord. E chi vorrà ascoltare l’«Orkesta»dal vivo potrà farlo seguendo il concerto che si terrà sabato 22 luglio durante il PaléoFestival di Nyon. Orkesta Mendoza: «Vamos aGuarachar!» (Glitterbeat/Irascible)

Insolita zona di confine (er) Con il suldae, un plettro dibambù, la musicista sudcoreanaYoon Jeong Heo pizzica virtuo-samente le sei corde di seta in-trecciata. Il suo geomungo, untipico strumento a corde co-reano della famiglia delle cetre,diffonde timbri intensi e gravi,ma anche toni morbidi e deli-cati. A questi suoni si aggiun-gono gli accenti ritmici dellepercussioni, come il janggu, un tamburo simile alla tabla.

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Il flauto di bambù daegeum, la chitarra elettrica, l’elettronicadiscreta e gli sporadici canti ma-schili creano altri seducenti con-trasti. Improvvisando e speri-mentando a piacere, il quartettodi Heo crea un universo sonoroinedito e non catalogabile, inun’insolita zona di confine tramusica gugak tradizionale e mo-derno sound, in particolare jazze talvolta rock. Suoni colmi dibellezza e vigore crescono e poisi smorzano in tutta la loro ar-caicità o contemporaneità, dina-micità o pacatezza. Traccia dopotraccia, seducenti tensioni dallemolteplici sfaccettature oscillanoe poi svaniscono in una quietequasi spirituale. Straordinaria-mente bello. Black String: «Mask Dance»(Act/Edel)

Railroad movie dalMozambico(bf ) Con il lungometraggio«Comboio de Sal e Açucar» diLicínio Azevedo, che ha debut-tato in Piazza Grande a Locarnonell’agosto 2016, il cinema on-line della Trigon Film proponeun viaggio in treno nell’Africameridionale. Alla fine degli anniOttanta, il Mozambico è unPaese distrutto dalla guerra civile. Il treno che collegaNampula al Malawi è l’unica

speranza per coloro che sonodisposti a rischiare la vita pur dibarattare qualche sacco di salecon dello zucchero. Tra questidisperati c’è anche Mariamu,una giovane donna che compieil tragitto insieme all’amicaRosa, un’infermiera in viaggioverso il suo nuovo ospedale.Sono protette da due militariche continuano a bisticciare tra di loro, Taiar, un tenenteche conosce solo la guerra, eSalomão, un soldato scontroso.Azevedo ha mantenuto voluta-mente la coreografia paesaggi-stica del lungometraggio we-stern. Immerse in ambientimozzafiato, le figure si muo-vono in un clima di continuaminaccia. In treno percorronooltre settecento chilometri; unviaggio interrotto da assalti, sabotaggi, attacchi suicidi, ma in cui ha posto anche l’amoretra donne impaurite e soldati,pieni di rabbia e rancore.«Comboio de Sal e Açucar» diLicínio Azevedo, visionabile onlinesu www.trigon-film.org

Senza cambiamento nullafunziona (dg) L’energia scalda le nostrecase, fa brillare le lampadine,funzionare i cellulari, volare gliaerei. E così un black out cause-rebbe il caos in Svizzera. Gestirequesta importante risorsa non èper nulla facile. Per garantire ilfuturo approvvigionamentoenergetico dobbiamo affrontareenormi sfide di tipo ambientale,economico e sociale. I film con-tenuti nel DVD «cambiamento»,edito da «Film per un solomondo» della Fondazione éduca-tion21, si occupano di questecomplesse tematiche. Grazie aglispunti didattici, i documentariincoraggiano i giovani a riflet-tere sull’impatto del loro stile divita e a interrogarsi sulla globa-lizzazione. Allo stesso tempopromuovono competenze tra-sversali, quali il cambiamento di

prospettiva o il pensiero siste-mico, e motivano a parteciparein modo costruttivo all’edifica-zione di un futuro migliore.«cambiamento – Energia, dirittiumani e clima», DVD-video eDVD-ROM, dai 14 anni; per informazioni: éducation21, tel. 091 785 00 21; www.education21.ch

Esperti venditori di strada(bf ) In Africa, le nostre vecchiescarpe rinascono a nuova vita.Molte persone sono convinteche gli indumenti smessi, infilatinegli appositi sacchi, venganodistribuiti gratuitamente ai biso-gnosi nei Paesi in via di svi-luppo. In realtà, il commerciodei vestiti usati è un business gi-gantesco. Da noi c’è chi si oc-cupa della raccolta, della scelta e del commercio dei vestiti, inAfrica ci sono invece migliaia di venditori ambulanti che sbar-cano il lunario grazie alla riven-

dita di scarpe e di capi di vestia-rio usati. Per sopravvivere de-vono però essere degli scaltrivenditori di strada: devono sa-pere quali calzature vanno dimoda in quel momento, cono-scere i clienti e lo stile che piaceloro, convincerli a provare laloro merce e riuscire a contrat-tare il prezzo migliore. Il libroillustrato «Making a living fromold shoes» (Ridare vita alle vec-chie scarpe, ndr) ci porta con ungruppo di venditori ambulantisulle strade pullulanti di vitadella metropoli tanzaniana Dares Salaam.«Making a living from old shoes» di Mareile Flitsch (ed.) e AlexisMalefakis; Benteli Verlag,Salenstein, 2016

Ricchezza poliedrica(bf ) Il libro illustrato «AfricaRising» presenta le opere di al-cuni designer e artisti africani dispicco. Le loro creazioni sonostrane e dalle mille sfaccettaturee sono l’espressione di una gio-vane scena creativa africana chesta suscitando molto interesse,soprattutto a livello di design,moda, fotografia e architettura.Da una parte i colori utilizzati, i modelli e le tecniche sonospesso profondamente radicatinelle culture del continente afri-cano, dall’altra lo stile moderno,spigoloso ed eccentrico, indica il desiderio di combinare tradi-zione e modernità. Dopo un ca-pitolo introduttivo, la pubblica-zione presenta i singoli artisti ele loro opere. Tra di loro, PeterMabeo e i suoi mobili creati conlegni locali, Nobukho Nqaba ele sue fotografie sulla migrazionee sull’alienazione, l’architettoKunlé Adeyemi e i suoi progettiper risolvere i problemi legatialla crescita demografica o la stilista Selly Raby Kane e le sueeleganti e sgargianti creazioni.«Africa Rising»; Die GestaltenVerlag, Berlino, 2016

Formazione professionale da esportazione(bf ) La formazione professionaleelvetica gode di un’eccellentereputazione in tutto il mondo,merito soprattutto del sistemaduale che combina la praticacon la teoria. È una carta vin-cente che la cooperazione allo

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35Un solo mondo n.2 / Giugno 2017

Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affariesteri (DFAE)

Comitato di redazione:Manuel Sager (responsabile)George Farago (coordinazione globale)Sylvie Dervey, Beat Felber, Barbara Hell, Marie-Noëlle Paccolat, Özgür Ünal

Redazione:Beat Felber (bf – produzione)Luca Beti (lb), Jens Lundsgaard-Hansen (jlh),Zélie Schaller (zs), Christian Zeier (cz)

Ernst Rieben (er)

Progetto grafico:Laurent Cocchi, Losanna

Litografia e Stampa:Stämpfli SA, Berna

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentita previaconsultazione della redazione e citazione dellafonte. Si prega di inviare una copia alla reda-zione.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente (solo in Svizzera) presso: DFAE, Servizio informazioni, Palazzo federale Ovest, 3003 Berna

E-mail: [email protected]. 058 462 44 12Fax 058 464 90 47www.dsc.admin.ch

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Stampato su carta sbiancata senza cloro per la protezione dell’ambiente

Tiratura totale: 47 400

Copertina: Cucinare direttamente sul fuocoin Kenya; Engelhorn/laif

ISSN 1661-1683

Nota d’autore

Una musica dolce e intensa

Con il romanzo «L’Infini livre», lascrittrice Noëlle Revaz ha ottenutonel 2015 il Premio svizzero di lette-ratura. «Hermine Blanche et autresnouvelles» è la sua ultima pubblica-zione.

Il recital al quale sono stata invitatain Egitto, in un villaggio tra Edfu eAssuan, rimane un ricordo vi-brante. Le canzoni erano in araboed erano accompagnate con l’oud,uno strumento a corde. Non com-prendevo nulla, ma improvvisa-mente ho distinto la parola«Svizzera», accompagnata dai sor-risi dei musicisti; mi stavano dandoil benvenuto. Eravamo seduti perterra, in una minuscola stanza. Unmomento semplice, amichevole eintenso. Al termine dell’esibizione,gli spettatori sono ritornati a casa,avvolti dall’oscurità e dal silenziodel deserto. Alcuni autori egizianimi avevano invitata con lo scrittoreEugène a scoprire i luoghi dellaloro infanzia. Abbiamo visitato iltempio di Edfu al sorgere del sole e il mercato nei frutteti del Nilo.Questo incontro con il Sud ha ri-evocato ricordi molto lontani e hoavuto la sensazione di fare ritornoalla mia infanzia e di ritrovare un si-lenzio perduto che ancora oggi miemoziona. Al di là delle note magi-che dell’oud, vi consiglio di leggereMisales dell’uruguaiana Marosa DiGiorgio: sono dei brevi raccontipoetici.

(Testimonianza raccolta da Zélie Schaller)

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sviluppo della Svizzera esportadagli anni Cinquanta nei Paesidel Sud e che oggi, vista la ga-loppante disoccupazione giova-nile, suscita sempre maggioreinteresse. Gli obiettivi delle po-litiche di sviluppo, le granditendenze internazionali e lamolteplicità dei programmipongono la formazione profes-sionale davanti a sfide enormi.Nel loro libro «ExportartikelBerufsbildung?», i tre autoriMatthias Jäger, Markus Maurer

e Martin Fässler – tutti esperti dilunga data in materia di istru-zione e sviluppo – illustrano lepotenzialità e le possibilità diimpiego della cooperazione allaformazione professionale in am-bito di lotta alla povertà e dipromozione allo sviluppo eco-nomico. Nelle oltre 200 paginepresentano alcuni progetti inter-nazionali, partendo dalla metàdel secolo scorso per giungere ai giorni nostri.«Exportartikel Berufsbildung?» diMatthias Jäger, Markus Maurer,Martin Fässler; hep verlag, Berna,2016

La storia, con la minuscola(lb) Ne «Il senso del taccuino»,Gianluca Grossi ci racconta lastoria, non quella con la S maiu-scola, ma quella di tutti i giornio quella terribile della guerra, acui lui va incontro. «Il senso del taccuino è il sesto senso delgiornalista. È un istinto, chefiuta la presenza di una storia dafarsi raccontare per poi raccon-tarla», scrive il reporter, camera-man e fotografo ticinese. Nellasua seconda opera, il giornalistaraccoglie le fotografie e gliscritti pubblicati sul quotidiano«La Regione» fra il 2012 e il2016. Forte del suo sesto senso,Grossi si ferma a osservare larealtà e, con curiosità, ne raschiala superficie per scoprire checosa si nasconde sotto. E così,con penna e macchina fotogra-fica, Grossi ci fa sedere con unanziano signore in un caffè alCairo, ci porta tra una banda dimocciosi «presi a pugni dallavita» o in un villaggio nel Norddell’Iraq in compagnia di unmatto con la radiolina.«Il senso del taccuino – Scritti scelti2012-2016» di Gianluca Grossi;SalvioniEdizioni, 2016

Cosa vuol dire migrare, racconto senza parole(lb) «L’approdo» dell’illustratoreaustraliano Shaun Tan tornanelle librerie italiane grazie all’e-ditore Tunué. In Italia, la primaedizione di questo capolavororisale al 2008. Il romanzo a fu-metti racconta, senza parole, lastoria di un uomo costretto a la-sciare la famiglia e il suo Paese.È un migrante, come ce ne sonotanti al giorno d’oggi, che parteper cercare fortuna altrove; unaltrove estraneo e popolato daoggetti, animali e vegetali im-maginari, buffi e misteriosi. Èun mondo surreale e fiabescoche permette al lettore non solodi capire il protagonista, ma diprovare le stesse sensazioni dispaesamento. Da un punto divista artistico, le illustrazionisono delle opere d’arte tratteg-

giate a matita e ispirate a foto edocumenti dell’epoca dellegrandi migrazioni dall’Europaagli Stati Uniti. «L’approdo» èun volume dal sapore antico distraordinaria bellezza da sfogliaree godersi più e più volte.«L’approdo» di Shaun Tan; ed.Tunué, 2016

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«Basti pensare che la maggior parte deibisogni fondamentali, quali l’accessoall’acqua, all’illuminazione, alla comu-nicazione, ai trasporti, alla coltivazionedel suolo, ha a che fare con l’energia».Boaventura Cuamba, pagina 12

«Gerusalemme ha una generazionegiovane e cosmopolita che sfida le rigide tradizioni storiche, religiose epolitiche della città». Zeina Ayyad, pagina 22

«Grazie alla letteratura impariamo a conoscere meglio noi stessi: unapremessa fondamentale per il nostrosviluppo».Béatrice Lalinon Gbado, pagina 32

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