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99 settembre 2004 a cura di Cristina Molinari e Daniela Dodero STAR BENE IN AZIENDA UN OS T A C OLO D A ABB A TTERE SULL A VIA DEL SUCCESSO Q uando avevo 8 anni il mio problema era che avevo paura di tuffarmi dal trampolino di cinque metri di testa: ogni volta salivo fino in cima, guardavo giù, vedevo la pi- scina piccola piccola e, nonostante fossi un’ottima tuffatrice, finivo con il buttarmi “a soldatino”, con un senso di profonda umiliazione e con la certezza che il giorno dopo il trampolino sarebbe stato ancora lì. Come sempre, quando il pro- blema era insolubile, mi rivolsi a mio padre che godeva in famiglia fama di uomo di coraggio e che, come molti uomini della sua ge- nerazione, aveva avuto occasioni di mettersi alla prova in contesti Detta legge in molti ambienti. Condiziona le azioni e brucia tesori di energie. In molti casi si manifesta in riti aziendali che usano punire chi sbaglia ma non premiare chi merita. Le reazioni? Sottomissione al capo e fuga dalle responsabilità meno piacevoli delle piscine come le guerre, campi di concentramen- to e altri orrori simili. Fu così che gli feci la fatidica domanda: «Papà, come si fa ad avere corag- gio?». Non riferirò subito la rispo- sta di mio padre, ma a distanza di molti anni devo dire che il tema del coraggio e della paura ha sem- pre esercitato un grande fascino su di me e nella mia professione di consulente aziendale è stato spes- so una chiave di comprensione e di soluzione dei problemi. PAURA, ARGOMENTO TABU Quasi nessuno in azienda parla della paura perché essa viene per- cepita come un fatto vergognoso, che è opportuno negare. Le azien- Guida al coraggio: la prova-trampolino SPRECHI DI TALENTI V iviamo troppe ore della nostra vita lavorando, per poterci permettere di stare male sul luogo di lavoro. D’altra parte il malessere di un’alta percentuale del personale nelle aziende si traduce in comportamenti distruttivi e in uno spreco imperdonabile di talenti. Imparare a stare bene nel proprio lavoro significa saper rendere coerente e armonico il proprio sviluppo personale con il proprio percorso professionale ed è una sfida individuale complessa, per la quale non esistono ricette magiche. Questo spazio, che inauguriamo da questo mese su Riza, vuole quindi, attraverso il racconto di esperienze, di spunti e strumenti pratici, stimolare la riflessione del lettore e il suo percorso personale di armonizzazione del mondo interiore con il mondo professionale. Continua a pag. 100 Paura sul lavoro guardala in faccia! Illustrazioni di Giovanni Rabuffetti

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99settembre 2004

LE RELAZIONI a cura di Cristina Molinari e Daniela DoderoSTAR BENE IN AZIENDA

UN OSTACOLO DA ABBATTERE SULLA VIA DEL SUCCESSO

Quando avevo 8 anni il mioproblema era che avevopaura di tuffarmi dal

trampolino di cinque metri ditesta: ogni volta salivo fino incima, guardavo giù, vedevo la pi-scina piccola piccola e, nonostantefossi un’ottima tuffatrice, finivocon il buttarmi “a soldatino”, conun senso di profonda umiliazionee con la certezza che il giornodopo il trampolino sarebbe statoancora lì.

Come sempre, quando il pro-blema era insolubile, mi rivolsi amio padre che godeva in famigliafama di uomo di coraggio e che,come molti uomini della sua ge-nerazione, aveva avuto occasionidi mettersi alla prova in contesti

Detta legge in molti ambienti. Condiziona le azioni e bruciatesori di energie. In molti casi si manifesta in riti aziendali che usano punire chi sbaglia ma non premiare chi merita. Le reazioni? Sottomissione al capo e fuga dalle responsabilità

meno piacevoli delle piscine comele guerre, campi di concentramen-to e altri orrori simili. Fu così chegl i fec i la fat idica domanda:«Papà, come si fa ad avere corag-gio?». Non riferirò subito la rispo-sta di mio padre, ma a distanza dimolti anni devo dire che il temadel coraggio e della paura ha sem-pre esercitato un grande fascino sudi me e nella mia professione diconsulente aziendale è stato spes-so una chiave di comprensione edi soluzione dei problemi.

PAURA, ARGOMENTO TABUQuasi nessuno in azienda parla

della paura perché essa viene per-cepita come un fatto vergognoso,che è opportuno negare. Le azien-

Guida al coraggio:la prova-trampolino

SPRECHI DI TALENTI

Viviamo troppe ore dellanostra vita lavorando, per

poterci permettere di stare malesul luogo di lavoro. D’altraparte il malessere di un’altapercentuale del personale nelleaziende si traduce incomportamenti distruttivi e inuno spreco imperdonabile ditalenti. Imparare a stare benenel proprio lavoro significasaper rendere coerente earmonico il proprio sviluppopersonale con il propriopercorso professionale ed è unasfida individuale complessa, perla quale non esistono ricettemagiche. Questo spazio, cheinauguriamo da questo mese suRiza, vuole quindi, attraverso ilracconto di esperienze, dispunti e strumenti pratici,stimolare la riflessione dellettore e il suo percorsopersonale di armonizzazionedel mondo interiore con ilmondo professionale.

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Paurasul lavoroguardala in faccia!

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consente di fare. Le seconde ten-dono a premiare chi raggiunge gliobiettivi, non sono severe con glierrori (se non quelli che derivanoda malafede o infrangono fonda-mentali valori etici), descrivono iruoli professionali in modo sinte-tico, ma elencano chiaramente ciòche è al di fuori della delega pre-vista. La conseguenza è ovvia:nelle aziende del primo tipo ilcomportamento incoraggiato è il“non fare”, perché è l’unico chegarantisca dall’errore . In più nonè chiaro cosa non si è autorizzati afare e ciò non fa che aumentarel’incertezza e la paura di esserecolti in errore, in pratica solo gli

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bale del sistema. Ora, tutti posso-no avere paura in certe occasioni eci sono persone più inclini al timo-re che altre, ma la presenza dellapaura non è uguale in tutte leaziende: ce ne sono alcune in cui lapaura è molto diffusa e altre in cuisi incontra solo sporadicamente.

PREMI E PUNIZIONILe aziende del primo gruppo,

nella mia esperienza professionaletendono generalmente a punirechi sbaglia e non necessariamentea premiare chi supera gli obiettivi;spesso inoltre definiscono i ruoliaziendali attraverso una puntualeelencazione di ciò che la posizione

100 RIZA psicosomatica

LE RELAZIONISTAR BENE IN AZIENDA

de ancora oggi sono in larga misu-ra ambienti maschili e per un ma-schio la paura è disonorevole. So-prattutto se si parla di manager, lapaura sembra una caratteristica inaperta contraddizione con la lea-dership e un’accusa infamante. Inrealtà la paura vive e si sviluppanelle aziende con grande vigore.In alcune è addirittura una presen-za costante e negarla è come pro-gettare un grattacielo sulle sabbiemobili. Ovviamente, come nelcaso del trampolino, queste paurenon spariscono magicamente, marestano e ogni giorno rimettonol’individuo nel dilemma ango-scioso di superarle o di tenerseledentro con tutto il malessere checiò comporta. Ci sono molte altrepaure con le più varie sfumature,ma tutte consumano energie per-sonali e aziendali e influenzano ilcomportamento e l’efficacia glo-

La paura vive e si sviluppa nelleaziende. In alcune di esse èaddirittura una presenza costante

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1 PAURA DI NON FARCELAÈ la paura che gran parte delle persone provanoquando si profila un cambiamento, quando leloro responsabilità cambiano o le modalitàoperative vengono rivoluzionate. Essa tende a trasformarsi in resistenza passiva.L’infausto presagio “non ce la farò” avrà un’altaprobabilità di realizzarsi: infatti la persona faràdi tutto per osteggiare il cambiamento, con ilrischio di essere individuato e neutralizzato.

2 PAURA CHE IL CAPO LA PENSI DIVERSAMENTEQuesto fenomeno dà luogo ad autentichecommedie degli equivoci. Infatti si basa suinterpretazioni di fatti non espliciti. In questo caso va ricordato l’effetto nefasto degliesegeti del manager, cioè di coloro che vantanouna profonda conoscenza del manager inquestione e si arrogano il ruolo di interpreti delsuo pensiero. In realtà i collaboratori avrebbero il dovere diinformare il loro capo delle alternative o deipossibili rischi connessi a una decisione, specie sesospettano che possa essere sbagliata.

LE PAURE - NOI, IL CAPO E GLI ALTRI

Le frenate che ci mandano fuori strada

audaci di natura riescono a opera-re con una certa efficacia. Nelle se-conde ci si sente autorizzati a fare,all’interno di limiti chiari, che pos-sono essere invocati a difesa incaso di rimprovero ed è evidenteche qui anche le persone prudentioperano con tranquillità.

IL TUFFO IMPOSSIBILELe aziende dovrebbero quindi

domandarsi seriamente se la lorocultura interna alimenta la paura oil coraggio e nel primo caso correreai ripari. Ma cosa deve fare l’indi-viduo, indipendentemente dallacondotta dell’azienda, per supera-re le sue paure e riuscire quindi a

GLI EFFETTI DELLE PAURE IN AZIENDA

Fuga continua in cerca di rifugin Chi in azienda ha sempre paura di prendere decisioni,

tenderà a far esporre qualcun altro al suo posto.n Chi dissente dal capo ma non si esprime per timore

di contraddirlo, tenderà ad accumulare frustrazione e rancore, salvo poi esprimersi all’improvviso senza preparazione: tipica la sfuriata emotiva al capo, che resta in genere allibito.

n Chi ha paura di essere fatto fuori tenderà a limitare il potere di azione dei collaboratori e sottoposti, stigmatizzando la tendenza a esprimere opinioni e a prendere iniziative, precipitando il suo team nell’immobilismo.

n Chi ha paura di non essere considerato finirà col proclamarsi abile in molte questioni che non gli competono, pretendendo che gli altri debbano avere il via libera proprio da lui, che però evita di agire personalmente.

101settembre 2004

3 PAURA CHE GLI ALTRI TI FACCIANO FUORI

Chi ne è soggetto in genere commette errori gravi e spessofinisce con l’essere fatto fuori: non seleziona i collaboratorimigliori per la paura di esserne superato e finisce con l’avereun team debole; non si confronta e non collabora con i parigrado enfatizzando i conflitti invece di risolverli. Quasisempre chi ha paura di essere fatto fuori cova un’ambizionesfrenata e un’aggressività repressa e proietta quindi altridelle intenzioni che sono sue.

4 PAURA DI PRENDERSI RESPONSABILITÀ

Nelle aziende si incontrano persone, spesso a discreti livelli,che non hanno mai “firmato” nulla. Sono i cosiddettigalleggiatori, i quali hanno costruito in decenni la capacitàdi rimandare a qualcun altro qualunque decisione venga lororichiesta”. Sembrano fedeli, ma in realtà addossano tutte ledecisioni al loro capo nella sola speranza di sopravvivergli.

5 PAURA DI NON ESSERE CONSIDERATO

Chi ne è vittima tende a voler essere interpellato perqualunque cosa. È l’interlocutore preferito di chi non vuoleprendersi responsabilità, che continuerà a chiedergliverifiche e controfirme, che verranno apposte inutilmente,ma con sussiego, dopo un adeguato dispendio di energie.

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102 RIZA psicosomatica

LE RELAZIONISTAR BENE IN AZIENDA

vivere un po’ meglio nell’ambientedel lavoro? In poche parole: comesi fa ad avere coraggio?

Tornando al mio ricordo deltrampolino, mio padre, che aveval’abitudine di non prendere affattosottogamba le domande dei bam-bini, mi rispose così: «Il coraggionon consiste nel non avere paura,perché se una situazione è rischio-sa solo gli stupidi non hannopaura. Il coraggio consiste nel con-trollare la paura, e ammetto chepuò sembrare difficile. In praticaperò, se tu ti comporti come secontrollassi la paura, funziona be-nissimo». Con la fede incrollabileche i bambini spesso ripongononel loro papà, il giorno dopo risaliisul mio trampolino e fui immedia-

tamente attanagliata da una fifatremenda. Il primo pensiero con-fortante fu però che era normaleavere paura perchè la situazioneera rischiosa e istintivamente elen-cai i rischi (non per tuffarmi, masolo per capire se era giustificatoaver paura): l’acqua era più dura,se mi fossi scomposta avrei soffer-to qualche bruciore alle gambe,etc. Già questo elenco mi riportò auna fifa meno totalizzante: avevopaura “solo” di scompormi, cade-re storta e magari prendere loschiaffo dell’acqua sulle gambe.Subito dopo, mi chiesi cosa avreb-be fatto una bambina in grado dicontrollare la fifa (non io, poiché ioero “autorizzata” ad avere paura eperfino a non controllarla). Dove-

vo solo comportarmi “come se” lacontrollassi. Bene, una bambinamolto più brava di me si sarebbetuffata, ma con maggiore concen-trazione e maggiore tensione suimuscoli in modo da non scompor-si nell’impatto e avrebbe avutosolo paura di un po’ di male, infondo già provato mille altre volte.Io imitai quella bambina, tenendo-mi la paura, e mi tuffai. Di testa.

L’operazione mentale fatta fu inrealtà piuttosto complessa, e svi-luppata in due passi. Il primo: unapresa di distanza dal rischio. Il se-condo: una presa di distanza dalla

Tende a punire chi sbaglia e nonnecessariamente a premiare chisupera gli obiettivi; spessoinoltre definisce i ruoli aziendaliattraverso una puntualeelencazione di ciò che laposizione consente di fare.

Il comportamentoincoraggiato è il “non fare”perché è l’unico chegarantisca dall’errore. Non èchiaro cosa non si èautorizzati a fare e ciòaumenta incertezza e paura.

Tende a premiare chi raggiungegli obiettivi, non è severo congli errori, descrive i ruoliprofessionali in modo sintetico,ma elenca ciò che è al di fuoridella delega prevista.

Ci si sente autorizzati a fare,all’interno di limiti chiari, chepossono essere invocati adifesa in caso di rimprovero.Anche le persone prudentioperano con tranquillità.

Due riconoscibili tipi di aziendeL’AZIENDA “PAUROSA”

L’AZIENDA “CORAGGIOSA” Le conseguenze

Le conseguenze

UN ESEMPIO ISTRUTTIVO

Durante un corso diformazione, due persone

vengono mandate fuori dellaclasse, fatte rientrareseparatamente dopo che gli altrihanno nascosto due oggetti edentrambe devono ritrovarne uno.La prima però deve rintracciare ilsuo oggetto sapendo che ognivolta che si dirige verso ladirezione giusta suona uncampanellino; la seconda inveceviene percossa leggermente conun finto bastone di carta ognivolta che si dirige nella direzionesbagliata. I manager dal pugnodi ferro dovrebbero sapere chela prima persona, grazieall’incoraggiante campanellino,trova il suo oggetto in pochissimitentativi; la seconda al primoerrore si paralizza anche se la“percossa” è assolutamenteirrilevante.

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Chi è avvolto in una nube di paura aziendale, noncapisce che ammetterla è la solo via per superarla

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propria paura che ha consentito diprogrammare l’azione, come sel’azione fosse di un altro (l’altrabambina, quella coraggiosa).

CHI LA NEGA, LA SUBISCEOgni volta che in una situazione

aziendale avverto la presenza dellapaura in me, in uno o più dei mieiinterlocutori, cerco di attivarequello che chiamo “il passaggiodel trampolino”. Questo percorsoè molto diverso da quello che com-piono coloro che sono avvolti inuna nube di paura aziendale. Essiinfatti hanno paura di dissentire

103settembre 2004

LO SGUARDO DIVERSOLe proprie paure si possono affrontare così:1. ammissione della paura;2. elenco dei motivi per cui “è giusto” avere paura;3. fantasia di “cosa farebbe” una persona in grado

di compiere il passo che non riusciamo a fare;4. imitazione del comportamento

di quella persona “coraggiosa”.LE AUTRICICristina MolinariPresidente di AccentureTechnology Solutions.Nella sua carriera inAccenture, società leadernel settore della consulenza aziendale, ha gestito progetti di cambiamento divaste dimensioni che hanno coinvoltopersone, sistemi informatici, processiaziendali di varie aree industriali pressograndi aziende italiane ed estere.

Daniela DoderoPartner Associato diAccenture nell’areaRisorse Umane. Hagestito in grandi gruppiindustriali progetti disviluppo organizzativoe manageriale applicando metodologielinguistiche e di analisi contestuale.

dal capo o cambiare competenza oruolo o di prendere decisioni (equesti sono i loro “trampolini”),ma invece di percorrere i passi cheli condurranno a superare la loropaura (a tuffarsi), operano dellemanipolazioni che avranno comeconclusione delle alternative pocorisolutive. Tornando a casa, si rac-conteranno che hanno dominato lasituazione, ma una piccola vocecontinuerà a ricordar loro che nonè vero. E il giorno dopo il lorotrampolino sarà ancora lì, forzan-doli a tuffarsi o a cercare di aggira-re senza successo il problema. n

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