Un mondo scoperto e vissuto in diretta - danieleoppi.com · Dani, che la carta la taja!” (Attento...

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primi trent’anni della vita li ho passati nel mondo della poligrafi- ca e successivamen- te nel mondo creativo grafico. Un giorno scriverò dei miei amici coetanei, apprendisti di mac- china piana litografica, del mio cuore esultante incontrando la Sandra e l’Ambrogina, le operaie che mi insegnavano a mettere da parte gli scarti, a controllare il fuori registro. Quando ho cominciato dovevo ancora entrare in prima elementa- re. Comodo, ero il figlio del titolare della fabbrica di decalcomanie. Ho visto le operaie e gli operai e io mi sentivo parte della loro comunità senza sapere che erano “gli ope- rai”. Davanti alla grande taglierina offi- ciava, come un parroco alla messa grande, il Della Porta, con un enor- me grembiale rigido. Infilava la risma di carta nell’antro rettilineo d’acciaio e a colpi sordi la allineava a mano in fondo alla squadra, finché il profilo dei fogli offriva la vista di una muraglia bian- ca compatta. Girando la manovella, il Della Porta faceva avanzare il blocco di fogli fino a vederne tre centimetri di bordo, poi con gesto sicuro, abbas- sava il “fermo”, afferrava con la mano destra il lungo manico di legno di una ruota a volano e avviava il largo movimento dal basso in alto. Acquistata velocità, silenziosa, la ruota comandava alla lama tagliente, fin’ora nascosta, ed essa, in diagonale, scendendo inesorabile, perpendicola- re alla risma di carta, ne tagliava il bordo di tre centimetri. Era il mio momento: le strisce distese sul piano d’acciaio, la mano del mio vecchio amico che le trascinava verso la mia attesa entusiasta. Ora le tenevo in pugno, Della Porta sorrideva: “varda Dani, che la carta la taja!” (Attento Dani che la carta taglia) L’Amleto, che mi sembrava un autorevole e silenzioso professore, poco più in là, preparava le matrici sulla pietra ben levigata di macchi- na. Sovrintendeva agli impianti, ed egli stesso, con uno stilo fornito di punta tonda, batteva preciso secco e delicato, per fissare la carta umida sulla superficie da stampa- re. L’incantevole magia del lavoro... Ogni tanto, ora che ho passato i settanta, penso che grande e importante scuola si può vivere da bambino, e poi da ragazzino, a tu per tu con i tuoi simili adulti che fanno e che lavorano davanti ai tuoi occhi; e non vedi l’ora di fare, di imparare; e lo fai e lo impari, il mestiere. Il Beltramini, giovanissimo, carica- va la pietra con il “rullò” imbevuto d’inchiostro denso e lieve. Si tratta- va di un cilindro del diametro di circa 20 centimetri e lungo 50 con due manopole. Il gesto era sapien- te e al suo passaggio apparivano sulla pietra le sagome grafiche, i caratteri, che sarebbero stati impressi dalla macchina piana, quando avrebbe accolto la grande “tavola” di pietra. L’imponente macchina era una Johannesberg formato francese, superficie di stampa cm. 80x110, la I giovani tipografi impressori all’Umanitaria osservano la tecnica di utilizzo del rullo. 1955-56 165 Profilo di torchio litografico a stella, lo strumento base per le prove di tiratura, prima della stampa in macchina. primi del ‘900 164 Un mondo scoperto e vissuto in diretta di Daniele Oppi 164 165 La Scuola del Libro non l’ha frequentata. E nemmeno ci ha insegnato. Ma, da ragazzo di bottega prima (nell’azienda paterna), e da professionista creativo del mondo della comunicazione poi, l’Autore sa raccontare “da vicino di casa” nessi e connessi di quel mondo delle arti grafiche che, a Milano, la Scuola del Libro incarnava, nella tradizione laica e rifor- mista dell’Umanitaria. In questo intervento – da intellettuale coinvolto e partecipe – ci svela sia l’abc di una formazione professionale rigorosa, che tra gli anni ‘40 e ‘50 doveva subire una specie di “rivoluzione copernicana”, sia gli intrecci e le relazioni di quell’ambiente industriale, editoriale e pubblicitario che per la Scuola del Libro era motivo di stimolo e di confronto continuo. 105

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primi trent’anni dellavita li ho passati nelmondo della poligrafi-ca e successivamen-te nel mondo creativo

grafico. Un giorno scriverò dei mieiamici coetanei, apprendisti di mac-china piana litografica, del mio

cuore esultante incontrando laSandra e l’Ambrogina, le operaieche mi insegnavano a mettere daparte gli scarti, a controllare il fuoriregistro.Quando ho cominciato dovevoancora entrare in prima elementa-re. Comodo, ero il figlio del titolaredella fabbrica di decalcomanie. Hovisto le operaie e gli operai e io misentivo parte della loro comunitàsenza sapere che erano “gli ope-rai”.Davanti alla grande taglierina offi-ciava, come un parroco alla messagrande, il Della Porta, con un enor-me grembiale rigido.Infilava la risma di carta nell’antrorettilineo d’acciaio e a colpi sordi laallineava a mano in fondo allasquadra, finché il profilo dei foglioffriva la vista di una muraglia bian-ca compatta.Girando la manovella, il Della Portafaceva avanzare il blocco di foglifino a vederne tre centimetri dibordo, poi con gesto sicuro, abbas-

sava il “fermo”, afferrava con lamano destra il lungo manico dilegno di una ruota a volano eavviava il largo movimento dalbasso in alto. Acquistata velocità,silenziosa, la ruota comandava allalama tagliente, fin’ora nascosta, ed

essa, in diagonale, scendendoinesorabile, perpendicola-

re alla risma di carta, netagliava il bordo di trecentimetri.Era il mio momento: lestrisce distese sul pianod’acciaio, la mano delmio vecchio amico chele trascinava verso la

mia attesa entusiasta.Ora le tenevo in pugno,

Della Porta sorrideva: “vardaDani, che la carta la taja!” (AttentoDani che la carta taglia)L’Amleto, che mi sembrava unautorevole e silenzioso professore,poco più in là, preparava le matricisulla pietra ben levigata di macchi-na. Sovrintendeva agli impianti, edegli stesso, con uno stilo fornito dipunta tonda, batteva preciso seccoe delicato, per fissare la cartaumida sulla superficie da stampa-re. L’incantevole magia del lavoro...Ogni tanto, ora che ho passato isettanta, penso che grande eimportante scuola si può vivere da

bambino, e poi da ragazzino, a tuper tu con i tuoi simili adulti chefanno e che lavorano davanti aituoi occhi; e non vedi l’ora di fare,di imparare; e lo fai e lo impari, ilmestiere.Il Beltramini, giovanissimo, carica-va la pietra con il “rullò” imbevutod’inchiostro denso e lieve. Si tratta-va di un cilindro del diametro dicirca 20 centimetri e lungo 50 condue manopole. Il gesto era sapien-te e al suo passaggio apparivanosulla pietra le sagome grafiche, icaratteri, che sarebbero statiimpressi dalla macchina piana,quando avrebbe accolto la grande“tavola” di pietra.

L’imponente macchina era unaJohannesberg formato francese,superficie di stampa cm. 80x110, la

I giovani tipografi impressoriall’Umanitaria osservano la tecnica di utilizzo del rullo .

1955-56

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Profilo di torchio litografico a stella, lo strumento base per le prove di tiratura, prima della stampa in macchina.

primi del ‘900

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Un mondo scoperto e vissuto in direttadi Daniele Oppi

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La Scuola del Libro non l’ha frequentata. E nemmeno ci ha insegnato. Ma, da ragazzo di bottega prima (nell’aziendapaterna), e da professionista creativo del mondo della comunicazione poi, l’Autore sa raccontare “da vicino di casa” nessie connessi di quel mondo delle arti grafiche che, a Milano, la Scuola del Libro incarnava, nella tradizione laica e rifor-mista dell’Umanitaria. In questo intervento – da intellettuale coinvolto e partecipe – ci svela sia l’abc di una formazioneprofessionale rigorosa, che tra gli anni ‘40 e ‘50 doveva subire una specie di “rivoluzione copernicana”, sia gli intreccie le relazioni di quell’ambiente industriale, editoriale e pubblicitario che per la Scuola del Libro era motivo di stimolo edi confronto continuo.

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stessa misura del torchio a stellache, favoloso timone stellato dilegno lucido, ornava il fianco deltorchio tiraprove.Arnoldo Mondadori (nel dopoguer-ra consigliere del Consorzio dellaScuola del Libro), disse un giorno amio padre: “Peppino, ti do iola macchina giusta, una dellemie Johannesberg, me lapagherai mano a mano che lei sipagherà da sola con il lavoro. Nonpreoccuparti, vai avanti che seibravo”.

Il “capitano” della Johannesberg,fin dal 1930, era il signor Grasso. Ilsergente era il mettifoglio, ed io,soldato, ero il levafoglio.Ma l’emozione più intensa fu quan-do potei immergere la spugnanaturale nel secchio d’acqua appe-so a un gancio, strizzarla fino a chenon sgocciolasse, e protendermisulla pietra che se ne usciva disotto il cilindro, per inumidirla infretta e con precisione: senza que-sti interventi che rendevano nitidele parti inchiostrate si sarebberoformati gli “scarti”, fogli sbavati percolpa della “sucia” (secchezza).Il capitano Grasso era il più severo,mentre Egidio, della macchina afianco, era più svagato e allegro. Amezzogiorno andavo a raccoglierela “schiscetta” riscaldata su un for-nello e la portavo al capitano. Ilpiano di legno sotto al mettifoglio,

che aveva caricato fino a duemilafogli pronti da stampare, diventavala tavola da pranzo. Molto appetito,buon vino, e a undici anni unsostanzioso panino preparato dallamamma.Facevo la doppia vita, e quella chepreferivo era questa, a contatto conil lavoro e con chi il lavoro sapevafare, piuttosto che l’altra tra i banchi

di scuola. Uno dei momenti più belliera quando cominciava l’”avvia-mento” e i fogli entravano, accoltidal cilindro ricoperto di caucciù ederano gli “sfogliacci”, rudi fogliassorbenti che mettevano a regimela pressione ottimale per il passag-

gio del colore e facevanoda guida per il registro

dei fogli.Ero contento di esserelitografo e non tipo-grafo, perché noi ci

dicevamo di essere piùavanti, più poeti, con i tanti

colori che dovevano susseguir-si, sovrapporsi, velare con sfu-

mature le nostre stampe. E non sicreda che bastassero la tricromia ela quadricromia: un arancio squil-lante, un lilla pulito, un viola liturgi-co, un fucsia acceso, si stampava-no in più dopo averli preparati sullapiccola pietra/tavolozza a colpi dispatola, dopo aver aperto una bellatolla della Lorilleux o della Cometa,o della Etelia di Firenze; oppureprelevando una crema giallo diNapoli Degussa che veniva daLipsia, dove i colori si chiamanofarben.Ma, forse, questo senso di supre-mazia della lito veniva da un picco-lo complesso di inferiorità rispetto

Marchio di Carlo Dradi ,alla Scuola docente di Estetica grafica, per il gruppo alberghiero Jolly Hotel.

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Due lavori a china di allievi del corso di disegno.

anni ‘60

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L’ araldo graficodove si parla della vittoria diAntonio Crespi, ex allievo e docente allaScuola del Libro, al Concorso Milano-Liegi:“Crespi rappresenta il tipico lavoratore ambrosiano, tutto lavoro e speranza di lavoro”.

1954

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al classico e primigenio mondo deltipografo, il mondo rigoroso dellaparola scritta, piombata e antimo-niata nella concentrata scultura delcarattere da stampa, che marcavail foglio violentandone delicatamen-te la fibra.

Nelle retrovie dell’officina arrivava-no molti bozzetti. Li portavanoLeonardo Nolli e il giovane ErbertoCarboni dai capelli neri ben petti-nati, già importante per le sueprove di grafica. Io avevo ormaisedici-diciassette anni, e pocotempo dopo mi iscrivevo al trienniodiurno della Scuola Italiana diPubblicità promossa dall’ENALC eMinistero del Lavoro, che tagliavacorto con le specializzazioni stret-tamente grafiche e si prefiggeva ilcompito di preparare gli strateghidella comunicazione attraverso unampio spettro di nozioni e di speri-mentazioni (dalla psicologia allasociologia, dalla statistica all’analisidei mass media, dalla strutturazio-ne di un organismo gestionale finoad indicare le metodologie grafi-che, poligrafiche e la loro storia).Senza la Scuola del Libro non sipuò immaginare come sarebbepotuta nascere questa esperienzadidattica, anche perché alcunidocenti venivano dall’Umanitaria.Infatti nella Scuola dell’Enalc vierano alcuni docenti della Scuoladel Libro, come Enrico Gianni,Antonio Boggeri, Davor BandBrunetti ed altri.Già dal primissimo dopoguerra sipoteva registrare un grande fervoredi attività e di sviluppo nell’industria

poligrafica e nella creatività graficae riprendeva vigore, quindi, la pro-duzione pubblicitaria. Man manoche ci si avvicinava agli anni ‘50 ilcontributo dei grafici diventavasempre più rilevante.In quel momento la Scuola delLibro diventava un luogo dialetticodi sperimentazione, molto peculia-re e libero, dei nuovi modi espres-sivi della grafica, grazie alla pre-senza di docenti che, di fatto, eranoi protagonisti di primo livello deivigorosi mutamenti formali che sta-

vano investendo, in modo rivoluzio-nario, gli stili della comunicazione.Si formava dunque in Milano unvivaio insostituibile e incisivo diuomini e idee, che, in forma osmo-tica, interagiva con le attività con-cettuali e pratiche che, partendodalla Scuola del Libro di più anticadata (e dalle altre sorte di recente),invadevano stamperie, uffici didesign e grafica e agenzie di pub-blicità. Le prime storiche agenzie pubblici-tarie come Dal Monte, Anton Gino

Manifesto dello Studio Stile(Lelo Cremonesi - Gian Rossetti), la prima agenzia pubblicitaria multinazionale italiana.

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Bozza con correzioni a margine di una locandina informativasui corsi della Scuola.

1963

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Domeneghini con la sua IMA (Idea-Metodo-Arte) e tante altre, riceve-vano il prezioso flusso dei nuovigrafici preparati alla Scuola delLibro. Si aprivano in quel periodo lostudio Cremonesi Rossetti, lo stu-dio Boggeri, quello di La Manna, laCPV, affermavano la loro attività ilcolto e sagace Mario Allemandioltre a “liberi pensatori” di arte gra-fica come Aliverti, Iliprandi,Bianconi, Dradi, Pintori, Vernice,Provinciali solo per citarne alcuni,In quel fermento, all’Umanitariacrescevano professionalmenteanche gli attori più affermati nelloscenario della strategia pubblicita-ria. Io stesso fondavo nel 1954 laDany Pubblicità e ebbi modo, daquel momento, di incontrare moltigrandi creativi all’opera: come adesempio Max Huber, alle prese convere e proprie scenografie checreava personalmente nelle ampievetrine della “rinata” Rinascente inpiazza Duomo; il vivacissimo BobNoorda, impegnato notte e giornocon la Pirelli; Albe Steiner, chesapeva trasmettere anche l’impe-gno militante negli ideali di cambia-mento sociale e i principî di giusti-zia; Pinter, incontrato per strada,appena fuggito dall’Ungheria conuna grande cartella di illustrazionimeravigliose; e poi, ArmandoTesta, di tredici anni più vecchio dime, anche lui sempre a cavallo trala passione per la pittura e quellaper la genialità creativa applicata aiprodotti: che sia stato il suo “Punt eMes” o la mia “Lambretta”, fa lostesso. In quel momento, a Milano,si trattava di confrontarsi con l’in-sieme umano di una grande fucinaespressiva di comunicazione, chevedeva animatori d’eccezione, tracui anche Dino Villani, MarioBellavista e Piero Capitini.Sul fronte poi delle aziende poligra-fiche, il fermento fu vivissimo,dovuto a personaggi che ebbero illoro battesimo contaminante alla

Scuola del Libro (si veda, tra que-ste pagine, gli appunti sulla vita diAmilcare Pizzi), nella fotolitograficaspiccavano le capacità professio-nali dei Rovescalli, dei Lucini, diScarioni e tanti altri di eccelsa qua-lità. Tra i poligrafici di matrice operaiaspicca la figura di Giulio Stucchi,catturato dai repubblichini e tradot-to a Mauthausen, fu portato via chepesava 90 chili e quando ritornò

scampato a quell’eccidio era ridot-to sì e no a quarantatre chili, straor-dinario uomo dalla biografia esem-plare, classe 1877, egli stesso netraccia a ottant’anni una storia vivae commovente nel 1957: a soliundici anni era già nello stabilimen-to Sonzogno e, adolescente, siavvalse con profitto degli insegna-menti dell’Umanitaria fino a diven-tare braccio destro del Romussidirettore de Il Secolo. Fu il primo

Pagina pubblicitaria di Fortunato Depero, tra i più grandi e operosi creativi italiani del ‘900.

1936

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Un simbolico cammino della grafica pubblicitaria europea.Dall’alto a sinistra, opere di: Kandinsky, El Lissitskij, Dudovich, Magritte, Testa, Oppi, Grignani, Sambonet, Pintori insieme a una serigrafia della Scuola del Libro su Charlot, da un disegno di Fernand Legér ripreso da Wladimir Majakovskij.

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presidente dell’Unione Poligraficidopo la Liberazione con mio padrevicepresidente.Ancora, tra i miei ricordi, laLegatoria Torriani, dall’importanteruolo culturale e artistico, il tipogra-fo d’arte Luigi Maestri, Alfieri &Lacroix, Corbellini, Matarelli...A mio giudizio, l’ascendente dellaScuola del Libro (allora forte delsuo primo mezzo secolo di vita)accese nel cuore dell’intraprenden-te Angelo Rizzoli, ex martinitt, lascintilla per proseguire, con larghimezzi, il glorioso cammino origina-rio: quello che avvenne dopo è sto-ria.Nel secondo dopoguerra, molteofficine grafiche e stabilimenti dirilievo erano stati bombardati,

distrutti o semidistrutti, e qui siinserisce il dinamismo di PieroCapitini che importa in Italia unamacchina tedesca agile e di granderesa, modernissima per quei tempi:si trattava della Heidelberg, chenon solo contribuì a rinnovare imacchinari delle grandi aziende(Capitini con Paolazzi importòanche le macchine Roland), masoprattutto affascinò piccoli artigia-ni, anche provenienti dal mondo

operaio, che comprando la piccolamacchina da stampa, presero ilcoraggio di investire nell’aperturadi piccole tipografie. L’intuizione diCapitini (Piero era mio padrino dicresima, e mi regalò una penna d’ar-gento con piccoli cursori a scatto chepermettevano di scrivere in quattrocolori diversi...profezia della quadri-cromia) fu determinante nell’unire ilmondo della produzione poligraficaal mondo artistico e culturale deigrafici emergenti. Giampiero Gianilo assecondò nella creazione diAraldo grafico e del “Circolodell’Araldo”, con le sue riunioni, sìun po’ elitarie e finalizzate alle rela-zioni esterne, ma certamente cen-tro di incontri e scambi proficui per

l’evoluzione dell’arte grafica. Bisogna segnalare il significativoruolo che hanno avuto AdrianoOlivetti, con le sue pubblicazioni dicarattere culturale come Ottagonoe Archi per l’accoglienza data allenuove forme di ricerca grafica, eriviste come Marcatre e l’antesi-gnana Domus di Gio Ponti (oltreall’avanguardistico Campo grafi-co). Il nuovo stile di grafica e didesign coltivato all’Umanitaria sidirama non solo su riviste di setto-re, come Linea grafica, ma anchesu Il Politecnico, Il Milione, L’erbavoglio, Human design, ecc.All’origine dell’impulso di rinnova-mento dell’arte grafica applicata almondo della stampa e della comu-

Opuscolo pubblicitario delle macchineHeidelberg, di cui Piero Capitini, direttore dell’araldo grafico, era concessionario per l’Italia.

1958

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Lo stabilimento grafico di GiulioStucchi (membro del consiglio delConsorzio Pro Scuola del Libro).

anni ‘50-60

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Gli edifici della Bauhausa Dessau in una fotografia di Walter Gropius.

1925

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nicazione vi è la ricerca delle artiplastiche che si erano liberate lar-gamente e decisamente degliaspetti figurativo-descrittivi finalmeno dagli anni ‘20, con artistiitaliani del calibro di FortunatoDepero, Alberto Magnelli, EnricoPrampolini, Osvaldo Licini, EmilioPettoruti, Atanasio Soldati, ManlioRho, Mauro Reggiani, LuigiVeronesi, Mario Radice, FaustoMelotti, Lucio Fontana, BrunoMunari, gettando le fondamentaespressive dalle quali attinsero eattingono Albe Steiner, ArnaldoPomodoro, Emilio Tadini, PaoloBaratella e molti altri. Le radici del cambiamento dal puroannuncio al messaggio sublimina-le; dalla decorazione del libro alprogetto grafico del medesimo,sono ancora più profonde se si vaun po’ più indietro nel tempo osse-vando Mondrian, Klee, El Lissitskij,

Van Doesburg, Marcel Duchamp,Kandinsky, Nicholson, Huszar, laBauhaus, Moholy-Nagi, Albers,Baumeister, Malevitch e alle rivisteDe Stijl, L’equipe, Cercle et Carré,Mécano (per restare in Europa).Dal seme della Scuola del Libro sipossono constatare tutti i passaggiche permettono di leggere la sinto-nia dell’Umanitaria con l’evoluzionesocio culturale che ha ritmato ilpasso delle arti grafiche, poligrafi-che e progettuali negli ultimi centoanni.

Infatti, dalla vocazione iniziale dellaScuola (fino al 1940 circa), deputa-ta sopratutto alla formazione di gio-vani apprendisti “di primo pelo”, alfine di preparare l’operaio via viasempre più specializzato, messo difronte ai meccanismi proceduralidella macchina, si passa, nonappena l’avanzamento della tecno-logia consentì la preparazione anuove attitudini professionali, alcampo della capacità (o megliodella padronanza) dell’impaginare,il decoratore del libro diventa unprogettista del libro. In quegli anni,gli studenti della Scuola del Librofanno nascere la loro rivista.

Del resto la stessa Bauhaus ha tro-vato il suo fondamento nel confron-to inevitabile tra l’uomo e la mac-china, e così, come aveva presta-tuito la Scuola del Libro quindicianni prima, anch’essa codificòattraverso il pensiero fondativo diWalter Gropius l’importanza basila-re dell’idea (il testimone emblema-tico è Léger).L’idea della scuola come officina(quasi bottega rinascimentale) enon come accademia; come pale-stra etica ed estetica, e non come

L’edificio della Scuola del Librocon una composizione grafica a colori di Albe Steiner tratta da un annuncio pubblicitario.

fine anni ‘50

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Manifesto di Massimo Vignelliper il Piccolo Teatro di Milano.

1958

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produttrice di diplomi e diplomati.L’ultimo direttore della BauhausMies van der Rohe, dirà nel 1953:"La Bauhaus fu un’idea, e io credoche le cause dell’enorme influenzache essa esercitò su tutte le scuoleprogressiste nel mondo debbanoessere ricercate appunto nel fattoche essa fu un’idea. Una tale riso-nanza non può essere conseguitacon l’organizzazione nè con la pro-paganda. Solo un’idea ha la forzadi diffondersi così ampiamente”.Il cantiere Umanitaria mantieneinevitabilmente questa linea gene-rale, fin dalla sua fondazione e sipuò leggere tra le “righe” delle suemolteplici attività fino ad oggi. Perdirla con le parole di RiccardoBauer: “L'Umanitaria deve e vuoleessere la sperimentatrice di quelleiniziative che i lavoratori stessiinvocano ma non possono attuare,che gli studiosi additano, ma che glienti pubblici non possono sempre e

sollecitamente prendere”. Il luogo, dunque, del possibile, del-l'attuabile, del provabile. L’isolaspesso felice, per contribuire allo

sviluppo di un mondo migliore.L’apertura vera e propria dellaseconda fase avviene, in modovistoso, a partire dagli anni delsecondo dopoguerra. Alla fine deglianni ’50, determinante fu l’apportodi Albe Steiner sia nell’impostazio-ne della struttura didattica al passocon i tempi, e molto spesso antici-pandoli, sia nella tensione civile dalui promossa. Riporto qui una suasintomatica considerazione: “Inuna scuola come questa, non sitratta di seguire con presuntuosapigrizia una esperienza od un’altra(da un lato è d’esempio la Bauhause dall’altro la Scuola di Chicago)ma di trarre dalle nostre stesseradici economiche, politiche, socia-li, storiche, culturali, ecc. tutti glielementi tipicamente caratteristicidel nostro modo di vivere, di pen-sare e di operare, che possonorealmente dare un concreto stilealla grafica ed all’editoria nel nostro

Un’esposizione delle specializzazioni della Scuola del Libro, tesa a dare alla stampa e all’editoria italiana contenuti e organizzazione al passo col progresso tecnologico.A margine delle mostre si organizzavano anche incontri; nel 1962 a discutere di didattica, cultura e comunicazione ci sono anche Carboni, Boggeri, Lucini, Ricas, i fratelli Castiglioni, Boeri, Spinella e Guarnaschelli.

1971-72

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Manifesto del corso di progettazione grafica per una rassegna del Cinema d’essaidell’Umanitaria.

anni ‘70

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Paese e a sviluppare originalmentela personalità dell’allievo (…). La scuola deve preparare gli allieviad affrontare la pratica professio-nale nel suo aspetto generale enon può dedicare tempo e pro-grammi alla preparazione settorialerichiesta da un mercato mutevole eprovvisorio. Invece, sono le basiculturali e tecnologiche fondamen-tali che devono dare a tutti possibi-lità di partenze sufficentementesicure per affrontare le varie attivitàche essi esplicheranno nella lorovita professionale”.Ecco l’inconfondibile concreto stiledi Albe Steiner, nella sua preoccu-pazione di impegno civile umanisti-co che ebbi modo di vederecoerentemente svilupparsi qualcheanno più tardi durante i nostriincontri scaturiti dal reciproco inte-ragire nella comunicazione sociale.Anche grazie al contributo di uomi-ni come questi i passaggi che

caratterizzano le azioni, i fatti intra-presi ed espressi dall’Umanitariaassomigliano pur sempre a “viaggidi scoperta”, navigazioni avventu-rose verso incognite nuove terre,da cui gli instancabili equipaggiriprendono il mare verso altre metelontane incontrando nuovi pericoli,navigando come Giasone e i suoialla ricerca del Vello d’oro.Mi si passi questa retorica che tut-tavia io stesso assolvo spesso con-taminato dalla visionarietà con cuiconvivo.L’Umanitaria ha reagito e reagisce

sempre a domande cruciali, quellegenerate dalle temperie epocali,attraverso risposte necessitatedagli eventi, attrezzando pronta-mente il naviglio, armandolo e sol-cando i marosi, accettando le sfidequasi che si trattasse di un senso-re costruito come un detector diprecisione.

Il viaggio della Scuola del Libropercorre la sua prima esplorazione(partita con il primo anno di scuola,conclusosi nel 1905, e infrantasisui terribili scogli del bombarda-mento del 1943) assecondando efortificando gli uomini chiamati, sol-lecitamente e adeguatamente, apadroneggiare le innovazioni tec-nologiche incalzanti delle arti poli-grafiche; questa peculiare defini-zione tutt’oggi conservata di “arte”contraddistingue un’attività oggiormai prevalentemente industriale,ma dove la presenza dell’homofaber si mantiene fortemente signi-ficativa. Fu una navigazione glorio-sa e a un tempo travagliata in cui ilvento della tipografia e quellogagliardamente temerario dellalitografia davano un continuoimpulso alle vele spiegate, consen-tendo rare bonacce.

Copertina di Bruno Munariper il volume “L’altra grafica”dell’Almanacco Bombiani.

1973

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I vari settori del Museo della Scienza e della Tecnica sintetizzati da singoli marchi, per un manifesto frutto di un lavoro intersettoriale, con la supervisione di Antonio Tubaro.

1979

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Un’avventura affascinante, dalcompositore a mano al linotipista,dal clichés-scultura alla pietra-foglio, dal torchio impressore alcilindro rotante. Visioni della miastessa infanzia: il lisciapietre, ilpuntatore, il mettifoglio, il levafo-glio, il tiraprove, il cromista, il tac-cheggio, la carta umida, la progres-siva, il flano, la lastra, il crocino, ilregistro, il retino, il tratto.Come delfini ubbidienti, le macchi-ne e i procedimenti in evoluzioneseguivano solidali il processo dicapacità e guida degli equipaggi,maestri e allievi della Scuola delLibro, fino all’ultimo dei mozzi (e fraquesti, il primo, quel miticoAmilcare Pizzi diplomato nel 1905).

Se si pensa che inassoluto il primoprodotto “fabbrica-to in serie” dellamoderna civiltà èstato il libro a parti-re da oltre 500 anni

fa, e che questa è l’unica serialitàche disvela un apporto costante ediffusivo dello spirito creativo dell’u-manità mentre comunica infiniteproposte di conoscenza e di arric-chimento formativo, si comprendeancor meglio la definizione cosìappropriata di “arte grafica”.Lungo la prima rotta, già si percepi-vano le prime avvisaglie dellaseconda esplorazione: infatti giànegli anni ‘30 naviganti coraggiosipreparavano le mappe per laseconda avventura.I nuovi procedimenti grafici preten-devano risposte, l’arte dell’impagi-nazione avanzò così accompagna-ta e sospinta dalla ricerca creativadegli artisti e già in vista dell’appro-do si potè scorgere quel “campografico”, vera e propria terra pro-messa. Dopo la catastrofe dell’uraganodell’ultima guerra, ecco il velieroarmarsi imperturbabile per laseconda esplorazione, e qui le vele

bianche assunsero dimensionideterminanti, propositive, pronte afar tesoro di tutte le conquiste tec-nologiche ormai acquisite, capacidi dare sicurezza a chi poteva adesse accostarsi potendo così espri-mere il sopravvento della creatività.Lo stupore e l’inseguimento checaratterizzò la prima esplorazione,quando gli uomini si sforzavano dicapire e di padroneggiare i nuovistrumenti, viene sostituito da un’ul-teriore consapevolezza, favoritadalla crescita delle tecnologie hard,cosicché l’esploratore potè riflette-re sulla vela-foglio bianco ed espri-mere tensioni espressive nuove,divenendo egli stesso motore dievoluzione e di crescita, nonnecessariamente usando in primapersona lo strumento macchinaormai domato e che accoglierà ilrisultato del proprio lavoro.Ricordando la mia prima giovinez-za: la mente è governata dallasezione aurea, piccoli e leggeristrumenti assecondano: lapis. flo-master, schoeller, adesivi, squadra,

china, pennino, compos, lucido,foto, retini pronti, pellicola, negati-vo-positivo, patinate, areografo...La Scuola del Libro della nuovaesplorazione (il secondo dopoguer-ra) tempra maestri e allievi in ununico sodalizio accomunato dallaricerca formale ed estetica; inpoche parole si tratta di un nuovo

Franco Grignani e i suoi colleghi creativi Giancarlo Iliprandi, Bruno Munari, Ilio Negri, Luigi Oriani e Pino Tovaglia (già docenti alla Scuola del Libro) cercano la seduzione della poesiaattraverso la Forma contornata Nebiolo.Da Linea graficadel gennaio-febbraio 1972.

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Schema concettuale di Enzo Mari per un progetto di marchio ed etichetta studiato alla Scuola del Libro.

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Aloys Senefelderscopre i principi della stampa litografica.

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umanesimo in cui il carattere dastampa, le sue mitologie, i pesi e lemisure degli spazi, la linea, il colo-re assumono significati interpretati-vi così interdisciplinari da permette-re l’approdo in un vero e proprio

Eden, in cui convivono armoniosa-mente i tre Regni con quello, sor-prendente e nuovo, dellaComunicazione. Rigore, ricerca della forma in asso-luto, filosofia dello spazio indispen-sabile. Esercitazione incessantealla scoperta rinnovata del libro edei misteriosi “oggetti” che lo cir-condano.Sbarcano dal naviglio con i lorobagagli molti giovani che saranno inuovi designers, grafici della pub-blicità, raffinati stampatori artigiani,inventori di forme grafiche impagi-native, di linee editoriali, comunica-tori; fotografi e inventori, figli idealidi quei tenaci e straordinari operaiche segnarono il loro stesso avve-nire, cimentandosi coraggiosamen-te con la sfida tecnologica delmondo poligrafico.Nella Milano di un tempo e in quel-la di oggi, senza l’Umanitaria non siriesce a immaginare il senso cosìprofondamente umano del naviga-re verso nuovi approdi.Per questa ragione mi piacerebbeveder salpare la terza esplorazionenello stile Umanitaria, affinché sipossano prendere al volo le nuovesintonie da correlare all’attuale“stato dell’arte”.

Irrompe, infatti, la conseguenzaepocale dell’avvento del computer.Il destino del libro non è segnatoma va costruito, arditamente.

Pagine interne e copertina dell’opuscolo “Una lezione di storia 1922-1945”,lavoro interdisciplinare con gli allievi e gli insegnanti dei corsi diurni e serali con la supervisione di Mario De Micheli e Albe Steiner, che così spiegava:“Il corpo ed i tipi di carattere, la giustezza della riga, la lunghezza della colonna, i margini bianchi, sono studiati per faciltare le esigenze del lettore”.

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