Un giorno ancora

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Sembrerebbe una giornata come tutte le altre per Alexander e il suo amico Ector quando, all'improvviso, accade qualcosa che cambierà drasticamente i loro destini. Sperduti ed impauriti nel tentativo di dare un senso ad una realtà sconvolgente si uniranno ad altri giovani compagni e con loro impareranno a lottare contro un nemico ambiguo e potente per difendere tutto ciò che hanno di più caro. Un romanzo ricco di colpi di scena, ambientazioni originali e personaggi mitici che sveleranno ai protagonisti verità dimenticate da secoli. Umorismo, suspence, romanticismo uniti ad uno stile giovane ed avvincente creano il cocktail ideale per unire lettori giovani e meno giovani che abbiano voglia di sognare.

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Raffaele Nucera

Un giorno ancora

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Copyright © 2013 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i PaesiCasa Editrice AntipodesVia Toscana, 290144 [email protected]

ISBN: 978-88-96926-19-2

Raffaele Nucera, Un giorno ancora, Antipodes, Palermo 2013

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A te, Lettore

e alla tua fantasia

che saprà volare oltre queste righe

per sognare, insieme, assurde storie di strani eroi.

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Prologo

«Alexander, giù dal letto! Sono le 11,00 e ancora vorresti dormire?»La voce della madre rimbombò nella penombra come un boato,

interrompendo un sonno così placido e sereno, come solo quellodella tarda mattinata sapeva essere per il ragazzo avviluppato trale lenzuola.

«Sto uscendo. Quando ti sarai degnato di alzarti, vai a prendereil pane.»

Un mugugno fece intendere che il messaggio era stato recepitoe il portone che sbatteva segnò la conclusione di quello che erastato, alla fin fine, il consueto tran tran di ogni mattina.

Alexander era un ventunenne come tanti che, dopo la fine delliceo, non aveva ingranato la marcia giusta per affrontare conserietà la vita universitaria. Mille stimoli e mille divertimenti,distraevano la mente del giovane da quelli che avrebbero dovutoessere i suoi veri obiettivi. Cresciuto a pane e cartoni animati, film,fumetti, supereroi e storie fantastiche, era rimasto un eterno ado-lescente, affatto soddisfatto della sua realtà e coltivando nel cuoreil sogno di avventure, di imprese eroiche, di un futuro diverso.E per quanto lui stesso considerasse stupida e infantile questa suasperanza, ci si crogiolava, mal adattandosi alla costruzione di unfuturo solido, ma terribilmente ordinario.

Nulla di strano, quindi, che l’insoddisfatta madre usasse tantadelicatezza per svegliarlo dal suo immeritatissimo sonno, diormai giorno inoltrato. Con una certa efficienza tra l’altro.

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Ad Alexander non era rimasto altro da fare che intraprendereuna battaglia con il sole prorompente dietro le finestre e cercarepoi di snebbiare la mente, con calma, davanti al computer. Lo statosemicomatoso che ne era disceso fu interrotto solo qualche minutopiù tardi dallo squillo del cellulare.

«Ti sei svegliato ora!»La voce di Ector aveva lo stesso tono, e soprattutto lo stesso

volume di sua madre. Amico d'infanzia, tanto fraterno quanto dipersonalità opposta, pratico e senza grilli per la testa, era il primoa rimproverare Alexander per la sua scarsa applicazione negli studio nella ricerca della sua strada nel mondo del lavoro e nella vita.

«Ti prego per oggi evitiamo l'ennesimo confronto con te che tisei svegliato alle 7,30 in punto e hai già finito uno o due capitolidi tal materia …»

«A dire il vero i capitoli sono tre …»«Ecco appunto. Tagliamo corto e andiamo a far colazione!»

concluse Alexander.«Colazione? A mezzogiorno? – gli rispose fintamente allibito. –

Comunque per me una pausa ci sta! Al solito posto tra mezz’ora!»Pochi minuti per vestirsi e ancor meno per scendere quattro piani

di scale, Alexander si sentì di colpo come assorbito da un’energiaintensa, quasi palpabile. Era in forma, anzi pieno di vita e in forzecome non si ricordava di essere mai stato, come se una scarica dipura adrenalina si fosse riversata nelle sue vene senza alcun motivoapparente; una sensazione superba e sublime, di protezione e di si-curezza. Si fermò addirittura qualche secondo ad assaporarla conun sorriso di beato compiacimento, ma durò un solo istante e iniziòa scemare ben presto, scomparendo del tutto nel giro di pochi mi-nuti. Alexander se ne curò così ben poco, e saltato in sella alla suascassatissima moto si lanciò in strada. A breve avrebbe raggiuntol'amico e un giorno ancora, come tutti gli altri, sarebbe iniziato.

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Parte primaSilenzio

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Il sole splendeva alto nel cielo e sferzava, con i suoi raggiaccecanti, gli occhi di Alexander, anche attraverso la visierascura del casco. Ma lui non ne era per nulla infastidito e

correva anzi veloce, lungo strade che ben conosceva. La sensa-zione di vivida energia di poco prima, per quanto di effimera du-rata, lo aveva reso ancor più di buon umore, tanto che canticchiavatra sé e sé, senza dare molta importanza a quello che gli scorrevaaccanto.

Poi, svoltando un angolo, all’improvviso, fu riportato brutal-mente alla lucidità. Inchiodare la moto senza perdere l’equilibrioe rovinare in terra fu tutt’altro che semplice. Lo scenario impre-visto che gli si era parato davanti, a uno sguardo superficiale,non aveva molto di incredibile: un semplice incidente stradale.Forse un’auto aveva sbandato e si era schiantata su un altromezzo, parcheggiato lì accanto. Nulla di straordinario. Se non sifosse perso nei suoi pensieri, non avrebbe neppure rischiato nulla.

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Alexander, rimproverandoselo, saltò giù dalla moto e si avvicinòall’auto ancora accesa, quasi scivolando sui liquidi che perdeva.

«Se la lasciano in moto, fonderà nel giro di pochi minuti»pensò, cercando di ripulire le scarpe sul marciapiede.

Solo in quel momento si accorse di un dettaglio fondamentaleche sino a quel momento gli era sfuggito, e lo stupore che lo colse,lo lasciò per un attimo sconcertato. Sconcertato dal non esserseneaccorto prima.

Non c’era nessuno.Non c’erano i proprietari delle auto a disperarsi per il danno,

non c’erano litiganti, non c’erano curiosi. Niente. Alexander si guardò intorno confuso, scorrendo incredulo con

gli occhi la lunga strada che gli si apriva davanti, gettando losguardo dentro le vetrine dei negozi, fin dove poteva, ma perquanto cercasse, non trovò anima viva. Si allontanò dalla motoe dall’incidente, ed entrò nella farmacia accanto. Tutto taceva,nessuna fila alla cassa, nessuno dietro il bancone.

«Scusate…?» si annunciò a gran voce, cercando di attirare l’at-tenzione di qualcuno, magari nel deposito attiguo o nelle stanzeprivate, ma non ottenne alcuna risposta. Attese qualche secondo,sempre più disorientato. Poi si gettò di nuovo in strada e dentroun altro negozio, e via via negli altri locali vicini.

Ogni volta chiamava a gran voce, rompendo per un attimo iltetro silenzio che lo circondava. Ma il suo grido rimbombava nellestanze, spegnendosi subito nella quiete innaturale di quella traversa.

Frastornato, la mente persa in un vortice di pensieri, nellosforzo di trovare una spiegazione plausibile a quella totale assenzadi persone. E nel tentativo di ricostruirne il quadro, aggiungeva idettagli che, man mano, focalizzava: altre auto in mezzo allastrada, alcune con il motore acceso, borse e sacchetti della spesaabbandonati in terra, come anche mazzi di chiavi e cellulari, tuttii negozi aperti ma deserti.

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Entrò, infine, in un bar, anch’esso deserto: sul bancone piattinie tazzine ancora piene e in terra, addirittura alcuni dolci mezzimangiucchiati. Era talmente sovrappensiero che lo squillo del suocellulare, amplificato in quella calma irreale, quasi gli fece pren-dere un colpo. Dal display lesse il nome di Ector e solo allorarealizzò che erano trascorsi parecchi minuti e di essere quindi inritardo al suo appuntamento.

«Dove sei? - nella voce dell’amico nulla mascherava la suapreoccupazione. - Sono in giro da un pezzo e la città è tutta uncasino, ma soprattutto ancora non ho incontrato nessuno, tu dovediamine sei?»

«Non è colpa mia» rispose Alexander. Un silenzio di tomba in risposta.Lui scherzava. Scherzava sempre, in qualsiasi occasione, in

qualsiasi circostanza, soprattutto se era un momento serio, el’amico si innervosiva ogni volta. Tra loro era sempre stato così.Eppure Ector non immaginava potesse arrivare a fare dell’umori-smo persino in quel surreale frangente. Rimase qualche secondosenza parole, sorpreso; poi gli rispose ringhiando.

«Tu sei un idiota! Non so cosa stia succedendo, ma deve esserequalcosa di serio … e tu fai battute cretine?!»

«Credevo mi stessi rimproverando.» «Non c’è nulla da scherzare! - gli urlò ancor più furioso Ector. -

Come sempre, prendi tutto alla leggera, ma questo … questo sembramolto serio!»

«Inutile parlarne al telefono, vediamoci alla stazione centralee …»

«E …» ripeté Ector.«E vedi di non sparire anche tu » concluse Alexander sempre

ironico.«Confermo: sei un idiota!» sbottò Ector, interrompendo brusco

la comunicazione.

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Intascato il cellulare, Alexander notò come un fruscio proveniredall’impianto acustico del bar. Cosa significasse fu per lui pur-troppo subito chiaro: la radio era accesa, ma non stava trasmet-tendo nulla e questo voleva dire molto. Voleva dire che qualsiasicosa stesse succedendo non era limitato solo alla sua città.

Si diresse quindi alla moto e, senza indugiare oltre, verso lastazione. Le strade che attraversava non mostravano un quadrodiverso, ma quando imboccò viali di norma ben più trafficati, lasituazione gli apparve anche più assurda. Le auto che sbandandoerano andate a impattare su altre, erano molte di più e addiritturaparecchie erano persino ribaltate.

Nonostante fosse in moto faticò non poco a raggiungere illuogo dell’appuntamento e anche lì la situazione appariva lastessa. Si aggiungevano solo una marea di borse e valigie abban-donate qua e là.

Smontò, inserì il bloccasterzo e infilandosi le chiavi in tasca,si allontanò. Per un attimo sorrise divertito al pensiero di comequelle azioni, per quanto automatiche, fossero ora risibili. Magariqualcuno avesse tentato di rubargli la moto.

Ector non era ancora arrivato, ma era facile immaginare chestesse incontrando ben maggiori difficoltà a muoversi in auto inquello sfacelo.

Colpito da un’improvvisa illuminazione e rimproverandosi dinon averci pensato prima, riprese il cellulare e iniziò a comporreil numero del padre. Il telefono squillò a lungo, ma senza alcunarisposta. Provò allora con quello della madre e poi alcuni amici,e poi ancora a caso dai numeri della rubrica, purtroppo sempresenza migliore fortuna.

A batteria ormai scarica, il ragazzo rinunciò a insistere oltre ealzando gli occhi, vide sopraggiungere Ector, madido di sudoree nervoso, che aspirava la sua sigaretta quasi con rabbia. Era unragazzo non molto alto e robusto, con i capelli scuri cortissimi,

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