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NIETZSCHE Il concetto di solitudine filosofica in La gaia scienza (“Dio è morto”) e Così parlò Zarathustra (opera intera, a partire dal Proemio) SCHOPENHAUER L’ascesi come liberazione SENECA De otio, De tranquillitate animi e Epistulae morales ad Lucilium. Vita attiva e vita contemplativa: il raggiungimento della serenità e della pace interiore a disposizione del bene pubblico Si possono fare scoperte matematiche importanti in solitudine? Quanto sono solitari i numeri primi? LETTERATURA ITALIANA ARTE SCIENZE UMANE LETTERATURA FRANCESE LETTERATURA TEDESCA LETTERATURA SPAGNOLA LETTERATURA INGLESE LETTERATURA LATINA FILOSOFIA MATEMATICA RELIGIONE UMBERTO SABA Trieste GUY DE MAUPASSANT Solitude MARY SHELLEY Frankenstein RUBÉN DARÍO Sonatina Aspetti della solitudine nell’arte contemporanea: le opere di 8 artisti ci accompagnano attraverso diverse sfaccettature della solitudine La solitudine dell’uomo e di Gesù LA SOLITUDINE DELL’INDIVIDUO nella società liquida per il sociologo Zygmunt Bauman FRANZ KAFKA Die Verwandlung LA SOLITUDINE

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NIETZSCHE Il concetto di solitudine filosofica in La gaia scienza (“Dio è morto”) e Così parlò Zarathustra (opera intera, a partire dal Proemio)

SCHOPENHAUERL’ascesi come liberazione

SENECA De otio, De tranquillitate animi e Epistulae morales ad Lucilium. Vita attiva e vita contemplativa: il raggiungimento della serenità e della pace interiore a disposizione del bene pubblico

Si possono fare scoperte matematiche importanti in solitudine? Quanto sono solitari i numeri primi?

LETTERATURA ITALIANA

ARTE

SCIENZE UMANE

LETTERATURA FRANCESE

LETTERATURA TEDESCA

LETTERATURA SPAGNOLA

LETTERATURA INGLESE

LETTERATURA LATINAFILOSOFIA

MATEMATICA

RELIGIONE

UMBERTO SABA Trieste

GUY DE MAUPASSANTSolitude

MARY SHELLEY Frankenstein

RUBÉN DARÍO Sonatina

Aspetti dellasolitudine nell’artecontemporanea: le opere di 8 artisti ci accompagnano attraverso diverse sfaccettature della solitudine

La solitudinedell’uomo e di Gesù

LA SOLITUDINE DELL’INDIVIDUO nella società liquida per il sociologo Zygmunt Bauman

FRANZ KAFKADie Verwandlung

LA SOLITUDINE

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LETTERATURA ITALIANA

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«La solitudine è la prima conquista di un uomo», scriveva Umberto Saba. Fin dai primi libri, Saba indaga se stesso senza sconti, non trovando nella sua vocazione artistica alcun segno di elezione e di superiorità (ma nemmeno di inferiorità, più o meno reale, come capitò ai poeti crepuscolari): la solitudine e il contrasto con la società – che l’autore soffre o asseconda nei diversi momenti della sua vita e della sua opera – nascono piuttosto da eventi remoti che hanno reso ipersensibile la sua psiche. E anche la storia ha infierito sulla sua emotività: due guerre mondiali, il fascismo, l’antisemitismo.

Già a partire dal titolo di una delle sue raccolte più importanti e famose, Trieste e una donna (1912), Saba ha messo al centro della sua poesia, insieme alla figura della donna amata, quella della città in cui è cresciuto. E proprio il fatto che egli associ la città (Trieste) a una persona (una donna) indica che Trieste non retrocede mai al ruolo di semplice scenario, ma diventa un personaggio vero e proprio, un organismo vivo, del quale è possibile cogliere la fisionomia e i dati caratteriali.

Due poesie della raccolta, Trieste e Città vecchia, mostrano due diverse declinazioni del rapporto dell’autore con la sua città. In Trieste Saba raggiunge il massimo di adesione sentimentale nel momento stesso in cui sottolinea il suo isolamento, il suo bisogno di separazione. Trieste diventa un mondo intero, il mondo degli “altri”, che il poeta osserva con la coscienza della sua separatezza, quasi rivendicando la propria solitudine consapevole, ma con uno slancio di autentica simpatia; nonostante i momenti di ripiegamento e il pessimismo di fondo, infatti, Saba rimane un poeta che celebra l’esistenza, con un’invincibile passione per la realtà, per le sue più elementari meraviglie e per le sue zone inaccessibili alla ragione.

Ho attraversato tutta la città. Poi ho salita un’erta1, popolosa in principio, in là deserta, chiusa da un muricciolo: un cantuccio in cui solo siedo; e mi pare che dove esso termina termini la città.

Trieste ha una scontrosa grazia. Se piace, è come un ragazzaccio aspro e vorace, con gli occhi azzurri e mani troppo grandi per regalare un fiore;come un amore con gelosia.

Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via scopro, se mena all’ingombrata spiaggia2, o alla collina cui3, sulla sassosacima, una casa, l’ultima, s’aggrappa.Intornocircola ad ogni cosaun’aria strana, un’aria tormentosa,l’aria natia.

La mia città che in ogni parte è viva, ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita pensosa e schiva4.

UMBERTO SABA Trieste

1. erta: strada in salita.2. mena … spiaggia: conduce verso il mare. In

questo caso il termine spiaggia può essere intesoin senso lato come “costa”: sulla costa di Trieste, al porto e nelle vicinanze, fervono le attività (naviche arrivano e che partono, il carico e lo scaricodelle merci…); perciò si dice che la spiaggia èingombrata.

3. cui: alla quale. 4. alla mia … schiva: è un chiaro rimando alla

poesia di tradizione, soprattutto petrarchesca. Vediil famoso sonetto di Petrarca Solo e pensoso, inparticolare la prima quartina: «Solo e pensoso ipiù deserti campi / vo mesurando a passi tardi elenti, / e gli occhi porto per fuggire intenti / ovevestigio uman la rena stampi».

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Analisi del testoIl «cantuccio» in posizione umile ma privilegiataOgnuno di noi ha un luogo preferito nella città o nel paese in cui abita. Rivelarlo significa esprimere qualcosa o molto della propria indole, significa dichiarare con l’evidenza di una predilezione un intero modo di vivere, oquantomeno di vivere la città o il paese.Saba predilige una strada che sale dalla città fino alla collina. Il «cantuccio» (v. 5) dove siede si trova più inalto delle strade affollate del centro e del porto. La sua collocazione, umile perché non situata in un contestolussuoso (come potrebbe essere una terrazza, un belvedere ecc.), è allo stesso tempo privilegiata: osservarela città dall’alto non significa solo distinguerne in maniera nitida il profilo, ma anche, e soprattutto, riuscire acoltivare nella solitudine il raccoglimento necessario a interpretare, a “vedere” davvero quello stesso profilo.

Il legame tra gli edifici e chi li abitaLa disposizione degli edifici e delle vie allora rivela la natura intima degli uomini che la abitano. Emergono così, dopo l’ossimoro «scontrosa / grazia» (vv. 8-9), che di per sé richiama una condizione di giovinezza, le due bellissime similitudini che paragonano Trieste prima a un «ragazzaccio aspro e vorace» (v. 10), cioè pieno di vita, che ispira tenerezza per la goffaggine infantile che non gli permette l’eleganza del gesto, e poi a un amore spinoso, forse litigioso: «un amore / con gelosia» (vv. 13-14).

Una città dall’aria «strana»A Trieste – a quel tempo uno dei maggiori porti d’Europa – circola «un’aria strana, un’aria tormentosa» (v. 21), una vitalità varia e incessante che il poeta riconosce come la cifra distintiva della sua città. Come nella prima strofa Saba mette in scena l’attraversamento della città verso uno spazio di solitudine, così negli ultimi tre versi è condensato un tema fondamentale di Saba, vale a dire il contrasto tra due sentimenti di segno opposto: da una parte il desiderio di solitudine, ben radicato nel poeta, nell’artista; e dall’altro la volontà di «essere come tutti» (come dirà nella poesia Il borgo).

La forma: ossimori e stile aulicoTrieste è un sentimento, non si trovano particolari realistici, se non alcuni accenni che ne segnano i termini e i confini: un muricciolo, la spiaggia, le alture. Saba la attraversa, la descrive, riflette: è lui il protagonista, insieme a una sorta di assimilazione tra sé e la città, tra appartenenza ed estraneità, in primo luogo a se stesso. Questo rapporto ambivalente si regge soprattutto sugli ossimori: «Trieste ha una scontrosa / grazia» (vv. 8-9). La vicinanza e l’incontro di opposti è espresso con le figure etimologiche, le ripetizioni termina / termini (vv. 6-7), viva / vita (vv. 23, 24). La Trieste di Saba è moderna e vivace, ma è anche una città piuttosto arretrata nell’orizzonte italiano ed europeo. Si parlava poco l’italiano, era diffuso il dialetto: per Saba l’italiano è quello della letteratura, e la distanza della lingua “poetica” da quella dell’uso si manifesta anche nelle scelte auliche e alte. La poesia di Saba è fatta anche di questo “scarto”. Non tanto precise scelte lessicali ma una serie di opzioni sintattiche: inversioni («in cui solo / siedo», vv. 5-6), prolessi degli aggettivi («ingombrata spiaggia», v. 16), dislocazioni dei verbi («collina cui, sulla sassosa / cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa», vv. 17-18). C’è anche una memoria leopardiana: la prima e l’ultima strofa sembrano risolversi in una riedizione del sentimento idillico, con la ricerca e il desiderio di un «cantuccio» solitario; l’inizio e la fine della poesia ricordano inoltre le situazioni corrispondenti dell’Infinito. Altri forti “memorie poetiche” riguardano la poesia di Petrarca: l’io poetico che vaga e trova espressione nel paesaggio, l’ideale della vita solitaria, il richiamo ad amori tormentati e al contrasto interiore.

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LaboratorioCOMPRENDERE 1. Quali sentimenti mostra di avere il poeta nei confronti della sua città?2. Quali sono i due caratteri contrastanti della città che emergono nella descrizione di Trieste?ANALIZZARE 3. Individua gli enjambements e gli ossimori. Quale funzione espressiva hanno all’interno del testo?4. Nell’ultima strofa c’è una ripetizione dell’aggettivo possessivo: come mai?CONTESTUALIZZARE E INTERPRETARE 5. Il muricciolo (v. 4) della prima strofa ricorda la siepe leopardiana dell’Infinito. Confronta le due immagini e

indica le analogie e le differenze.6. Stare da soli: è una cosa che ti affascina o che ti fa paura? Spiega oralmente le ragioni della tua risposta.7. Nel mondo di Facebook e delle amicizie virtuali, ti sembra che le persone siano più o meno sole rispetto

alle persone che vivevano all’epoca di Saba?

[tratto da Claudio Giunta, Cuori intelligenti, ed Rossa, vol 3B, Garzanti Scuola, pp. 137-139]

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SCIENZE UMANE

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Il sociologo polacco Zygmunt Bauman (1925-2017) ha affrontato il tema della solitudine nel contesto di una riflessione più ampia sulla società contemporanea, interpretando la solitudine dei nostri giorni come risultato delle profonde trasformazioni che caratterizzano il passaggio dalla società moderna alla società “postmoderna”.

Link a video “Zygmunt Bauman e la modernità liquida”

Secondo Bauman queste trasformazioni sono espresse al meglio dalla metafora della liquidità.Ciò che diventa “liquido”, oggi, sono i “corpi sociali” di riferimento della società moderna, industriale e “pesante”, come i partiti e i sindacati, le istituzioni, come la famiglia, i luoghi tradizionali del lavoro, come le grandi fabbriche e le cornici fondative di valori certi cui riferirsi nel decidere come agire.Nel mondo contemporaneo, per tanti aspetti privo di coerenza e di direzione, i singoli individui hanno perciò la responsabilità di scegliere da soli che direzione dare alla loro vita e di costruirsi identità significative (laddove prima, in un certo senso, la società sceglieva per loro).

La solitudine dell’individuo nella società liquida

Poiché il vecchio ordine, facendosi liquido, scompare e non se ne vede uno nuovo, la società contemporanea può essere vista come il regno dell’incertezza.Incertezza sociale, prima di tutto, ma anche degli individui. In diverse opere Bauman applica la metafora della liquidità a tutti gli aspetti più importanti della nostra vita: alle istituzioni e alle relazioni sociali, ai rapporti d’amore, all’ansia generata da questa precarietà diffusa.Nelle “società liquide” prevale la perdita della stabilità lavorativa, le relazioni d’amore durano fin che durano, secondo il modello usa e getta, cresce l’indifferenza verso la politica, di cui si avverte l’incapacità di risolvere i grandi problemi e di trovare risposte ai malesseri sociali; il cittadino è ridotto a mero consumatore e lo spazio pubblico sempre più insignificante.

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Proprio il consumo è lo strumento attraverso il quale l’individuo “liquido” cerca di costruire la propria identità. Uomini e donne vivono la loro vita attraverso gli oggetti che acquistano e consumano, lo shopping è un “rito di esorcismo” nei confronti delle paure e delle incertezze: comprare oggetti che sono simboli significa comprare “identità”. Quindi, il “capitalismo consumista” di oggi, che offre a tutti (o quasi) la felicità universale, promuove una particolare forma di esclusione: le “vite superflue o di scarto” di coloro che scelgono di non consumare o di non lavorare, o che non possono farlo.La misura del consumo – di beni, di esperienze, di relazioni – diventa la misura dell’identità ma anche dell’inclusione e dell’esclusione sociale. Quanto più si consuma, tanto più si è “dentro” la società; meno si consuma, più se ne viene esclusi.

L’indebolimento delle reti di protezione socialeLe vecchie reti di protezione sociale, tessute e tutelate con mezzi propri, le “trincee di seconda linea” un tempo messe a disposizione dalle relazioni di vicinato o dai rapporti familiari, dove si poteva trovare rifugio e curare le ferite procurate nelle dure battaglie della vita esterna, se non sono ancora del tutto smantellate hanno comunque subìto un considerevole indebolimento. Parte della responsabilità è da attribuire alle nuove (ma sempre mutevoli) pragmatiche delle relazioni interpersonali, pervase ora dallo spirito dominante del consumismo che identifica nell’altro un potenziale mezzo per ottenere gradevoli esperienze. Qualsiasi cosa siano in grado di fare, le nuove pragmatiche non possono generare legami duraturi. Il tipo di legami che esse producono in abbondanza, incorpora clausole “a scadenza” e “a libera ricontrattazione”, e non promettono né l’attribuzione né il conseguimento di diritti o di obbligazioni.

(Testo adattato da Z. Bauman, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna 1999, 61-65 passim)

Guida alla comprensioneRispondi alle domande1. Quali sono i compiti dell’individuo nella società liquida? Perché sono diversi rispetto al passato?2. Quali sono le caratteristiche della società liquida?3. Qual è il ruolo del consumo per l’individuo contemporaneo?4. Che cosa intende Bauman quando parla di indebolimento delle vecchie reti di protezione sociale?

Solitudine e social media A conclusione di un’ampia ricerca etnografica sui social media, l’antropologo Daniel Miller pone una domanda interessante: i social media ci rendono più felici? La risposta, apparentemente semplice, in effetti è complessa.Il dibattito sulla relazione fra social media e felicità (o infelicità) degli utenti è apertissimo. Negli ultimi anni, importanti testate giornalistiche nazionali e internazionali hanno riportato studi psicologici che indicano che i social media possono far aumentare la depressione, l’insoddisfazione, la gelosia, l’immagine negativa del proprio corpo e il senso di solitudine. Questi studi attribuiscono le sensazioni negative a una varietà di motivi. A volte

gli utenti possono pensare di essere ignorati dai loro contatti sui social media. In diversi studi gli utenti comparano la propria vita alle immagini della vita dei loro conoscenti pubblicate online, ricavandone un senso di frustrazione e insoddisfazione verso se stessi. In altri casi ancora, le persone si sentono depresse perché considerano il loro tempo su Facebook improduttivo.Altri studi, però, criticano e contraddicono questi risultati. Alcuni ritengono, per esempio, che usare i social network per chattare o fare programmi aumenti il senso di appagamento, la sensazione di essere parte di una community più ampia e, di conseguenza, una migliore consapevolezza di sé. Il fatto che alcuni studi evidenzino conseguenze emotive negative dei social media mentre altri ne vedano il potenziale positivo è di per sé interessante, e mostra quanto il dibattito su questo tema sia ancora aperto.

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https://www.youtube.com/watch?v=xcqsXbWEVJA

Guida alla comprensioneRispondi alle domande1. Quali sono, secondo alcuni, gli effetti emotivi negativi legati all’uso dei social network?2. Quali sono, invece, secondo altri, gli effetti positivi?

Spunti di riflessioneCon l’aiuto delle domande stimolo rifletti sui uno o più temi indicati ed esponi le tue considerazioni in un’esposizione che duri tra i 3 e i 5 minuti. 1. Secondo Zygmunt Bauman esclusione e povertà, appartenenza alla sottoclasse, riduzione delle reti di

protezione familiare e sociale, costituiscono le paure diffuse nella società liquida e le principali “fonti” disolitudine dell’individuo contemporaneo. Ritieni che queste affermazioni siano fondate o che esprimano uneccessivo pessimismo? Argomenta la tua risposta.

2. Durante il confinamento sociale dovuto alla pandemia di COVID-19, qual è stato, secondo te, il ruolo deisocial media? Gli effetti sono stati più positivi o più negativi? Argomenta le tue affermazioni.

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ARTE

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La solitudine dell’angoscia: L’urlo, Edvard Munch Munch, rievocando l’origine di questo famosissimo dipinto, scriverà questo appunto: «Una sera passeggiavo per un sentiero, da una parte stava la cittàe sotto di me il fiordo [...] Mi fermai e guardai al di là del fiordo, il sole stava tramontando, le nuvole erano tinte di rosso sangue. Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo. Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando. Questo è diventato L’urlo». In una seconda redazione di questo ricordo l’artista preciserà: «Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura... E sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura». Chi è dunque la persona raffigurata in primo piano? Non sappiamo se l’artista abbia voluto rappresentare in maniera simbolica se stesso, o se piuttosto l’immagine ideale d’ognuno di noi. È comunque raffigurato un grido d’aiuto, ciò che potremmo definire un urlo interiore. Munch possiede quella stessa coscienza tragica dell’esistenza che è alla base del pensiero del filosofo danese Søren Kierkegaard (1813–1855), da lui attentamente studiato (tra i suoi libri fondamentali, Il concetto dell’angoscia, che è del 1844, mentre La malattia mortale è del 1849), secondo il qualela condizione costante dell’uomo è lo stato di disperazione, essendo

sempre e inutilmente alla ricerca di un io che sia certo e non mutevole a causa di quella malattia mortale che è il continuo peccare verso le cose e gli uomini. Un’altra fonte culturale cui può farsi risalire il significato più profondo dell’opera è il lavoro Gli spettri (del 1881) del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen (1828-1906), il cui protagonista soffre d’una incurabile depressione. Dal punto di vista cromatico il dipinto gioca sull’associazione di colori complementari (rosso-verde, azzurro-arancio), ma la predominanza è data dal colore rosso, che vuole simboleggiare contemporaneamente più idee: il sangue, la tinta del cielo al tramonto, la violenza d’un sentimento a fatica represso e che ora sta esplodendo. Dal punto di vista formale colpisce la filiforme deformità della figura del protagonista, che, stringendosi il capo tra le mani, lancia verso di noi il suo grido, mentre le figure di due persone, sullo sfondo, sembrano spettatori casuali della scena. Dal punto di vista compositivo è interessante osservare come l’opera si ponga come un ponte tra il linearismo decorativo (qui evidentemente più drammatico che ornamentale) dell’Art Nouveau e l’incompiutezza della pennellata corsiva e violenta dei primi pittori espressionisti.

Aspetti della solitudine nell’arte contemporanea

Edvard Munch, L’urlo, 1893. Tempera e pastello su cartoncino, 91 x 73,5 cm. Oslo, Nasjonalmuseet.

L’ArtistaEdvard MunchEdvard Munch (Løten, 1863 – Oslo, 1944) si forma nell’ambito del realismo d’Ottocento, ma l’esperienza della morte lo segna già da bambino e si riflette nella sua pittura: la scomparsa della madre e della sorella contribuiscono al suo pessimismo e determinano fortemente la scelta dei soggetti delle sue opere. A Parigi nel 1885 e nel 1889 scopre l’Impressionismo e le tendenze simboliste, ampliando così le sue conoscenze pittoriche e lasciandosi influenzare dall’idea di rappresentare temi e sentimenti ampi e universali tramite visioni e immagini enigmatiche.

La correntePre-espressionismo

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La solitudine della povertà: Il venditore di fiammiferi, Otto DixLa Prima guerra mondiale ha lasciato segni indelebili nei corpi e nei cuori degli uomini e questo quadro di Dix è un preciso atto d’accusa. Al centro della scena vediamo un reduce, abbandonato dallo Stato e trasformato in un relitto umano; è senza braccia e gambe, cieco e senza denti; sulle sue cosce è posata una cassetta piena di scatole di fiammiferi; dalla bocca escono, come in un fumetto moderno, le parole disegnate in gessetto bianco: «Fiammiferi, originali fiammiferi svedesi!». Nessuno lo ascolta; le persone (i borghesi) s’allontanano frettolosamente e in direzioni opposte. Non ne vediamo i volti, ma, quasi per una legge del contrappasso, solo le gambe e l’eleganza dei vestiti e delle scarpe. Dix non li ritiene degni d’essere ritratti. Non solo gli uomini, ma neppure la natura dimostra pietà nei riguardi del sopravvissuto; un cane fa i suoi bisogni sul pover’uomo, considerato da tutti non di più d’un oggetto abbandonato su un marciapiede della città. Questo essere, che rappresenta

simbolicamente i disastri della guerra e la crudeltà di quel capitalismo che l’ha generata, è una “pietra d’inciampo” e la nera porta che si profila alle sue spalle sembra quella che immette nell’inferno di una storia che ciclicamente tende a ripetersi.

Otto Dix, Il venditore di fiammiferi, 1920. Olio su tela, 141 x 166 cm. Stoccarda, Staatsgalerie.

L’ArtistaOtto DixOtto Dix (Gera, 1891 – Singen, 1969) è il principale esponente della Neue Sachlichkeit (“Nuova Oggettività”) corrente che si sviluppa, in seno all’Espressionismo, negli anni Venti del Novecento in Germania. Motivato da profonde ragioni politiche di stampo antimilitarista e anti-capitalista, nelle sue opere affronta il tema della malvagità e dell’immoralità della classe governativa. Sono gli argomenti che nello stesso tempo il poeta Bertold Brecht sta affrontando nelle sue Ballate.

La correnteNeue Sachlichkeit

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La solitudine nella città: I nottambuli, Edward HopperUno dei capolavori di Hopper, I nottambuli, ci mostra un angolo di strada costituito dalla vetrina circolare di un ristorante notturno. A livello stradale si snodano dei negozi con le luci spente. Possiamo vederli attraverso la parete trasparente del locale, all’interno della quale sono presenti quattro personaggi, una coppia, una figura singola di avventore e il barista, intento ad armeggiare dietro al banco. Le figure sono immobili e l’artista fa comprendere che non c’è alcuno scambio di parole tra i presenti. I tre avventori sono entrati nel locale nel pieno della nottein un’atmosfera da film poliziesco. Ognuno di essi porta con sé la sua storia misteriosa e incomunicabile.

L’interno del ristorante è illuminato da una luce molto forte, che acuisce il tono giallo ocra delle pareti e del soffitto, in contrasto con il marrone del banco e il verde industriale della struttura esterna dell’ambiente, un

Edward Hopper, I nottambuli (Nighthawks), 1942. Olio su tela, 84,1 x 152,4 cm. Chicago, Art Institute.

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colore che si estende, in tonalità più chiara, anche sulla strada. Un’insegna sovrasta la vetrina e indica, accanto all’immagine d’un sigaro, il nome del locale. Il titolo originale del quadro è Nighthawks: si traduce “nottambuli”, ma il gioco di parole è singolare, poiché letteralmente significherebbe “falchi notturni” (Hawk vuol dire falco): la ragione nasce dal fatto che l’avventore accanto alla donna, con una sigaretta tra le dita, ha un profilo particolare, dal naso a becco, come quello di un uccello rapace. La compagna, se è tale, dalla camicetta rossa e con i capelli castano rossi sta mangiando qualcosa in maniera distratta. Un dato sconcertante, inoltre, è che i due personaggi raffigurati non sono che due autoritratti dell’artista, e quello della donna è il ritratto della stessa moglie. Il velo di profonda malinconia è una caratteristica che permea tutta l’opera di Hopper

L’ArtistaEdward HopperEdward Hopper (1882-1967) è il maggiore rappresentante del realismo americano. Nasce a Nyack, nello stato di New York. Pittore della realtà quotidiana, nelle sue inquietanti solitudini ed enigmatiche situazioni, Hopper sceglie il mondo americano quale luogo ideale di ricerca e di espressione artistica. Le sue opere infatti mostrano spesso individui solitari, in abitazioni private o locali pubblici della metropoli – i bar, i caffè, i teatri – in posizioni pensose e melanconiche, in un’atmosfera notturna, tagliata dalle luci fredde al neon, o in momenti crepuscolari e sospesi, che trasmettono un senso di attesa. Un’altra componente ricorrente è la figura femminile: donne assorte in pensieri imperscrutabili, con lo sguardo perso nel vuoto o fisso nella lettura, colpite da un raggio di sole o dalla luce al neon di un locale che sta chiudendo. Con struggente malinconia, Hopper si fa così cantore della solitudine femminile nella società contemporanea, frenetica e disattenta ai sentimenti più intimi. Vi è infine un aspetto “cinematografico” della sua pittura, anch’esso tipicamente americano.

La correnteRealismo americano

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La solitudine dell’abbandono: Autoritratto con collana di spine, Frida KahloNel drammatico Autoritratto con collana di spine e colibrì, realizzato nel 1940, l’artista racconta sia le sue sofferenze fisiche, sia quelle a causa della fine dell’amore con Diego Rivera, paragonandosi nel dolore a Gesù Cristo. A questo il titolo stesso allude, nonché la simbologia degli elementi del dipinto: il riferimento a Rivera e alla separazione è nel colibrì morto che pende dalla collana e che formalmente riprende la forma delle sopracciglia di Frida stessa; le spine si appuntano come una collana, appunto, sul collo e sul petto, ferendolo; gli altri due animali, la scimmia e il gatto nero alle sue spalle, alludono simbolicamente al demonio e alla malasorte. Dietro, una fitta vegetazione rimanda a un mondo selvaggio e intricato, soffocante.

Frida Kahlo, Autoritratto con collana di spine, 1940. Olio su tela, 61,25 x 47 cm. Austin, Texas, Harry Ransom Center.

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L’ArtistaFrida Kahlo

La più nota al grande pubblico, tra tutti gli artisti messicani (Coyoacán, 1907-1954). La sua vita, drammaticamente segnata da un grave incidente che la costrinse all’immobilità e la spinse, autodidatta, a dipingere, è interamente descritta dalla sua opera, nella quale si fondono tratti legati alla sua cultura d’appartenenza, elementi surrealisti e onirici fortemente inquietanti e introspettivi, atmosfere naïf. Stretta in una relazione tormentata con Diego Rivera, che sposa nel 1929, Kahlo è in contatto con il gruppo dei surrealisti e particolarmente con Breton, come dimostra la sua pittura che si esprime nel tempo in autoritratti sempre più violentemente disperati, dove la condizione femminile emerge nelle sue lacerazioni e contraddizioni. Il suo nome è diventato un vero e proprio mito e la sua opera una testimonianza, drammatica e appassionante, della capacità di una giovane artista di farsi strada nel mondo maschilista dell’arte, sostenendo la rivoluzione popolare della sua terra e riuscendo a ritagliarsi uno spazio di assoluta centralità nella vita artistica del suo tempo. Fino a oggi, Frida Kahlo non ha mai smesso di rappresentare un esempio indomito di resistenza e ricerca, poesia e passione, energia e verità: la sua opera dichiara tali valori, durissima nelle immagini, appassionata nelle storie che rappresenta e cui allude spesso in modo simbolico. A partire dalla fine degli anni Trenta, quando è già acclamata a livello internazionale, si collocano le opere più mature di Frida Kahlo.

La correnteNon ha aderito a nessuna corrente. Influenze surrealiste, naÏf e della cultura precolombiana.Indica alcune parole chiave che inquadrano il surrealismo:................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

• Suggerisci almeno un’opera che indaga un soggetto analogo ................................................................................................................

La solitudine del rimpianto: Donna con cane, DuaneHansonUna signora legge delle lettere, alcune delle quali riposano sul suo grembo. È seduta in modo leggermente scomposto, è rilassata e immersa nella lettura. Ha trovato il tempo, tra una pulizia e l’altra, di aprire la posta che stava attendendo. Un tappetino delimita la scena. Il cane, un barboncino bianco, sta riposando ai suoi piedi. Il risultato è scioccante. Gli spettatori sono quasi tutti ingannati dall’incredibile verosimiglianza della scena. Da essa ci si allontana con un senso di forte disagio, come se effettivamente avessimo turbato la privacy d’una persona. Se l’ar te di ogni tempo, e quella moderna in particolare, sono servite per liberarci della realtà e per poter godere di altre dimensioni, di tipo immaginario, simbolico o irreale, opere come questa di Hanson stanno invece a significare qualcosa di ben più doloroso e tragico, vale a dire che, forse, non c’è più speranza di poter sfuggire a questa realtà che ci circonda e che ci coinvolge tutti.

Duane Hanson, Donna con cane, 1977. Polimero sintetico e olio su calco polivinilico con vestiti, capelli, occhiali, orologio, scarpe, sedia in legno, cane in ceramica con collare e tappeto, dimensioni totali 116,2 x 128,3 x 121,9 cm. New York, Whitney Museum of Art.

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L’ArtistaDuane HansonEsponente dell’iperrealismo, dalla fine degli anni Sessanta, Duane Hanson (Alexandria, Minnesota, 1925 – Boca Raton, 1996) inizia a realizzare sculture antropomorfi a grandezza naturale, caratterizzate da un realismo portato all’eccesso, utilizzando come materie costruttive la resina di vetro (fiberglass), il poliestere, e veri capelli, abiti, accessori.

La correnteIperrealismo

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La solitudine della morte: The Morgue (Knifed to Death – II), Andres SerranoIn questa fotografia del braccio d’un suicida, ogni dettaglio è perfettamente e crudelmente inciso, ma l’impressione che produce non è quella d’una macabra profanazione di un corpo estinto, quanto di un’esaltazione di ciò che vi è di più enigmatico nella morte. L’artista pone l’accento su un particolare concettuale: la persona si è uccisa, tagliandosi le vene, ma il motivo che l’ha spinto a quest’estrema azione, che è sempre quello di gridare la propria presenza, che altri hanno dimenticato o tradito, è stato inutile: la polizia ha preso le impronte delle sue dita per risalire alla sua identità ancora sconosciuta.

Andres Serrano, The Morgue (Knifed to Death – II) 1992

L’ArtistaAndres SerranoAndres Serrano (New York, 1950) è un artista che si occupa, tra l’altro, di temi legati alla morte. Le sue immagini sono stampate a colori, in grandi dimensioni. Come ogni artista che utilizza la fotografia Serrano vuole affrontare e comunicare la realtà per quella che è, senza ricorrere più ad alcuna mediazione. Ne risultano spesso delle immagini forti, che è difficile sopportare emotivamente.

La correnteFotografia

Indica alcune parole chiave che inquadrano la “corrente”:................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

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La solitudine dell’artista: Art must be Beautiful, Artist must be Beautiful), Marina AbramovićArt Must be Beautiful, Artist Must be Beautiful è una delle più intense video performance della Abramović. L’ar tista, dapprima sussurrando e infine urlando, dapprima spazzolandosi ed infine colpendosi i lunghi capelli con una spazzola dalle setole di ferro, si domanda, anzi ci domanda, perché l’ar te e l’ar tista debbano ancora rispondere a questa tragica, mortale, richiesta di bellezza. Dal punto di vista compositivo la ripresa inizia con un primo piano sfumato, seguito da un lento arretramento della macchina fino ad inquadrare dapprima la testa ed infine tutto il corpo, nudo, della performer, mettendosi gradatamente sempre più a fuoco.

Marina Abramović, Art Must be Beautiful, Artist Must be Beautiful, 1975. Still da video. 12

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La solitudine del ricordo: Il Cretto, Alberto BurriI Cretti sono una serie di opere iniziate da Burri negli anni Settanta, impastando vinavil, acqua e terre sintetiche o caolino con pigmenti sul cellotex e sottoponendo questi impasti al calore vivo d’una fiamma. Il termine “cretto” deriva da latino crepitare, “spaccare aprendosi in crepe”: il rimando geologico è alle nostre più povere terre bruciate e fessurate dal sole. Burri intende dimostrare come sia possibile scoprire persino nelle infinite e imprevedibili ferite della materia un ordine di estrema bellezza, un puro ritmo di linee caotiche che solo l’ar te può interpretare e trasformare in poesia.Partendo da questo principio, Burri interviene su dodici ettari di macerie a Gibellina, paese siciliano colpito da un devastante terremoto nel 1968, su invito del sindaco Ludovico Corrao. L’opera di Burri, una volta realizzata, appare come una gigantesca colata di cemento, un cretto in scala smisurata. Le fessure sono in questo caso strade, vicoli, slarghi, piazze: tutto ciò che era vuoto rimane vuoto; il cemento ricopre solo ciò che è il ricordo degli edifici, assumendo la forme stesse delle piante architettoniche ma limitandosi, pur seguitando i dislivelli naturali, a un’altezza di soli 150 centimetri. Il risultato ottenuto da Burri è strepitoso; pressoché unica testimonianza italiana di Land Art.Il Grande Cretto di Gibellina viene attraversato dai visitatori, che si aggirano tra le spire caotiche di queste fessure, vedendosi l’un l’altro solo dalle spalle in su, busti vaganti sopra un cimitero diventato opera d’ar te totale.

L’ArtistaMarina AbramovićLa produzione artistica di Marina Abramović (nata a Belgrado nel 1946) per la sua complessità e la sua ricca varietà stilistica, può essere catalogata nell’Arte Concettuale, soprattutto di tipo installativo, come nella Performance o nella Body Art. Contrariamente a molti artisti contemporanei che utilizzano come lei strumenti elettronici, come per esempio il video, Marina Abramović non ama la tecnologia, ritenendo che essa stia disumanizzando l’individuo. Per questa ragione quasi tutte le sue performance hanno il corpo come elemento centrale dell’azione. Al centro, infatti, delle sue opere c’è sempre lei stessa, il suo corpo, talvolta ferito e sofferente.

La correnteArte concettuale

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• Suggerisci almeno un’opera che indaga un soggetto analogo ................................................................................................................

Alberto Burri, Grande Cretto, 1984-89, completato nel 2015. Cemento. Gibellina.

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L’ArtistaAlberto BurriLa produzione artistica di Alberto Burri (1915-1995) è complessa ed eterogenea, comprendendo anche la scultura e persino grandi installazioni ambientali. A partire dagli anni Quaranta crea i Catrami, che inaugurano una serie di opere composte con materiali che danno il titolo a cicli specifici: le Muffe, i Sacchi, i Legni, i Ferri, le Plastiche, i Cellotex: le tecniche utilizzate vanno dal collage, con notevoli interventi manipolativi, alle combustioni, ottenute mediante il ricorso a una fiamma ossidrica (questa tecnica darà titolo a un altro gruppo cospicuo di opere) al ricorso di gessi, sabbie, sugheri, carte e tessuti grezzi. Notevole importanza avrà anche la produzione di grandi sculture di ferro verniciato. Ma l’opera, che, forse, maggiormente lo pone al di sopra dei sia pur notevoli risultati formali fin allora conseguiti è il gigantesco Cretto di Gibellina, il paese devastato dal terribile sisma del 1968. In quest’opera Burri realizza il suo ideale di arte, quello di far rinascere la vita sulle macerie e sulla morte.

La correnteArte informale

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• Suggerisci almeno un’opera che indaga un soggetto analogo ................................................................................................................

LaboratorioCOMPRENDERE E ANALIZZARECompleta la tabella.

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L’urlo, Edvard Munch

Il venditore di fiammiferi, Otto Dix

I nottambuli, Edward Hopper

Autoritratto con collana di spine, Frida Kahlo

Donna con cane, Duane Hanson

The Morgue, Andres Serrano

Art must be Beautiful, Artist must be Beautiful, M. Abramović

Il Cretto,Alberto Burri

Qual è il soggetto dell’opera.

A quale tipologia/genere appartiene l’opera?

Precisa la tecnica: che funzione ha nell’esprimere il tema?Ci sono simboli espliciti che parlano della solitudine?Di quali altri mezzi espressivi si avvale l’artista per esprime il tema?Elementi compositivi significativi

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RELIGIONE

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Nei giorni in cui il mondo intero è in quarantena, l’esperienza della solitudine non è prerogativa di una parte della popolazione terrestre, possiamo dire che lo è di tutti. Nessuna epoca storica precedente a questa ha mai potuto sperimentare una diffusione così massiva della solitudine. Non sto parlando di solitudine mentale, e neppure della solitudine cronicizzata dagli stili di vita fatui imposti dalla contemporaneità. Intendo una solitudine comprovata e fisica, com’è quella a cui siamo costretti per sfuggire al contagio.

Andrea Pomella, illibraio.it, 04/04/2020

La solitudine dell’uomo e di Gesù

La solitudine è un tema ricorrente nella vita dell’uomo ed è tipico della nostra società. È l’isolamento dagli altri che ci priva del sostegno fisico, psicologico e spirituale ed è una condizione inadatta all’uomo che genera sofferenza. Anche Gesù ha provato la solitudine, soprattutto nei momenti più drammatici della sua esistenza umana.

La solitudine di Gesù nel giardino dei GetsemaniNel Getsemani, Gesù è solo. I discepoli, ai quali ha chiesto di vegliare con lui, si addormentano e non partecipano alle sue pene. È una solitudine che crescerà mettendo Gesù di fronte all’ingiustizia di chi viene condannato senza motivo, ma anche di fronte a un totale senso di abbandono: dagli uomini, dagli amici e, a un certo punto, sembrerebbe, perfino da Dio.

Giovanni Battista Caracciolo, Cristo sul Monte degli Ulivi, 1615 circa, Vienna, Kunsthistorisches Museum.

Il Vangelo di Matteo Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsemani, e disse ai discepoli: “Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare”. E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. E disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me”. Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: “Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!”. Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: “Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”.

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Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: “Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà”. Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti. Li lasciò, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: “Dormite pure e riposatevi! Ecco, l’ora è vicina e il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino”.

Mt 26, 36-46

Le parole di Papa FrancescoQuando entriamo nei nostri Getsemani – ognuno di noi ha, ha avuto o avrà i propri Getsemani – ricordiamoci di pregare così: “Padre”. È l’invito del Papa, che nella catechesi dell’udienza di oggi ha spiegato che “nella prova Gesù ci insegna ad abbracciare il Padre, perché nella preghiera a lui c’è la forza di andare avanti nel dolore”. “Mentre i discepoli non riescono a stare svegli e Giuda sta arrivando coi soldati, Gesù comincia a sentire paura e angoscia”, questo è il racconto di Francesco della preghiera di Gesù nel giardino del Getsemani, dopo l’Ultima Cena. “Prova tutta l’angoscia per ciò che lo attende: tradimento, disprezzo, sofferenza, fallimento. È ‘triste’ e lì, nell’abisso della desolazione, rivolge al Padre la parola più tenera e dolce: ‘Abbà’, cioè papà”. “Nella fatica la preghiera è sollievo, affidamento, conforto”, ha osservato il Papa: “Nell’abbandono di tutti, nella desolazione interiore Gesù non è solo, sta col Padre”. “Noi, invece, nei nostri Getsemani spesso scegliamo di rimanere soli anziché dire ‘Padre’ e affidarci a lui, come Gesù, affidarci alla sua volontà, che è il nostro vero bene”. Il monito: “Ma quando nella prova restiamo chiusi in noi stessi ci scaviamo un tunnel dentro, un doloroso percorso introverso che ha un’unica direzione: sempre più a fondo in noi stessi”. “Il problema più grande non è il dolore, ma come lo si affronta”, la tesi di Francesco: “La solitudine non offre vie di uscita; la preghiera sì, perché è relazione, affidamento. Gesù tutto affida e tutto si affida al Padre, portandogli quello che sente, appoggiandosi a lui nella lotta”.

Papa Francesco, agensir.it, 17/04/2019

Spunti di riflessione Partendo dai testi proposti e dopo aver letto l’udienza generale di Benedetto XVI del 1° febbraio 2012 sulla preghiera di Gesù al Getsemani e la recente testimonianza del teologo Maurizio Chiodi, riflettete e argomentate scegliendo uno o più dei seguenti spunti. Tenete presente che avrete a disposizione tra i 3 e i 5 minuti al massimo.• Qual è il rapporto tra preghiera e solitudine?• L’ambivalenza della solitudine: che può essere positiva quando la si riceve come un dono ed è necessaria

per portare l’individuo alla maturità; che può essere negativa quando fa cadere l’uomo in uno stato di apatia.• La solitudine come momento di preparazione, perché ogni scelta importante richiede una profonda

riflessione per comprendere bene la strada da percorrere, e quindi necessita di uno spazio adatto. È il caso,per esempio, del tempo vissuto da Gesù nel deserto (Mt 4, 1-11; Mc 1, 12-13; Lc 4, 1-13).

A cura di A. Coppola

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MATEMATICA

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La storia della scienza insegna che l’isolamento può diventare una buona occasione per fare delle importanti scoperte. È accaduto almeno tre volte: a Renato Cartesio e Isaac Newton nel Seicento, e a Bertrand Russell nel Novecento.Nel 1618 scoppiò la Guerra dei Trent’anni. L’anno successivo Cartesio, che aveva 23 anni e stava girovagando per l’Europa, trascorse tutto l’inverno in casa, mentre fuori nevicava e imperversava la guerra. Cartesio scrive nel Discorso sul metodo:

Mi trovavo allora in Germania, richiamatovi dalle guerre che colà ancora si combattono, fui costretto dall’inverno incipiente ad acquartierarmi in una località dove, non essendo distratto da alcuna conversazione e non essendo turbato, per fortuna, né da preoccupazioni né da passioni, trascorrevo tutto il giorno da solo chiuso in una stanza ben riscaldata da una stufa, dove avevo tutto l’agio di intrattenermi con i miei pensieri.

Da solo, confortato dal calore amichevole di una stufa, Cartesio poté studiare e riflettere, e gettò le basi del suo pensiero scientifico e filosofico.

Si possono fare scoperte matematiche importanti in solitudine?

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Nel 1665, a causa di un’epidemia di peste scoppiata a Londra, l’allora ventiquattrenne Isaac Newton si mise per due anni in “quarantena volontaria” nella sua casa di campagna, dove elaborò le sue teorie rivoluzionarie di matematica e di fisica. È lui stesso a raccontarcelo, negli ultimi anni della sua vita:Trovai il metodo delle approssimazioni delle serie e la regola per ridurre un qualunque esponente di un binomio qualsiasi a tali serie [NdR: il binomio di Newton]. Lo stesso anno trovai il metodo delle tangenti e il metodo diretto delle flussioni, e l’anno dopo il metodo inverso delle flussioni [NdR: il calcolo delle derivate e degli integrali]. Formulai la teoria dei colori. Cominciai a pensare alla gravità che si estende all’orbita della Luna e dedussi che le forze che trattengono i pianeti nelle loro orbite devono essere reciprocamente come i quadrati delle loro distanze dai centri intorno a cui ruotano [NdR: la gravitazione universale]. Perché a quei tempi ero nel pieno della mia età e pensavo alla matematica e alla filosofia più che in qualsiasi altro momento.

Fu proprio in questo periodo di isolamento forzato che Newton formulò le teorie che lo resero uno degli scienziati più importanti della storia.

Nel 1918 Bertrand Russell scontò in una prigione inglese una condanna a sei mesi di reclusione per aver partecipato a un movimento pacifista durante la prima guerra mondiale. Non si trattava di Auschwitz o Guantanamo: in una lettera dal carcere Russell paragonò l’esperienza a una crociera su un transatlantico, in cui ci si trova intrappolati assieme a tante persone mediocri e si può cercar rifugio solo nella propria cabina. La prigione, dunque, «aveva dei lati positivi, addirittura piacevoli: nessun impegno, né decisioni da prendere, né visite inaspettate, né interruzioni mentre si lavora». Il risultato fu l’Introduzione alla filosofia matematica, un’opera sui fondamenti della matematica.In definitiva, si può fare matematica anche in solitudine. Come diceva George Pólya: «La matematica è la scienza più a buon mercato. A differenza della fisica o della chimica non richiede nessun equipaggiamento costoso: tutto ciò di cui ha bisogno è carta e matita».

Quanto sono “solitari” i numeri primi?Un numero primo è un numero naturale maggiore di 1 che ha solo due divisori interi positivi (1 e sé stesso). Da millenni i numeri primi stuzzicano la curiosità di matematici e appassionati. Nel III secolo a.C. Euclide provò che sono infiniti, mentre nel 1798 Carl Friedrich Gauss dimostrò il teorema fondamentale dell’aritmetica: ogni numero naturale maggiore di 1 si scompone come prodotto di numeri primi in un unico modo. Molti problemi sui numeri primi sono facili da enunciare ma molto difficili da risolvere: basta pensare alle famose congetture tuttora irrisolte di Goldbach (ogni numero pari maggiore di due è la somma di due primi) e dei primi gemelli (ci sono infinite coppie di primi che differiscono tra loro di due).

Figura 1 La distribuzione dei numeri primi fino a 400.

I numeri primi non sono distribuiti uniformemente (Fig. 1): ce ne sono quattro fra i primi dieci numeri, 25 tra i primi cento, 168 fino a mille, 1229 fino a diecimila, e così via. L’intervallo tra due numeri primi consecutivi è

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molto variabile: ci sono numeri primi consecutivi separati da un solo numero (i primi gemelli) e numeri primi consecutivi “solitari”, separati da veri e propri “deserti” formati da moltissimi numeri non primi. Lo scrittore Paolo Giordano, nel suo romanzo La solitudine dei numeri primi, descrive la situazione con un tocco letterario: «I numeri primi sono numeri sospettosi e solitari e per questo meravigliosi».Nessuno sa di preciso come sono distribuiti i numeri primi. Il teorema dei numeri primi descrive approssimativamente la loro distribuzione asintotica. Per ogni numero reale positivo , definiamo innanzitutto la funzione:

numero di primi minori o uguali a Il teorema dei numeri primi afferma che

dove è il logaritmo naturale di . Ciò significa che il quoziente delle funzioni per che tende all’infinito. La tabella 1 e la figura 2 confrontano le due funzioni.

Tabella 1 Distribuzione dei numeri primi: confronto tra le funzioni

Figura 2 Confronto tra le funzioni (in blu) e (in rosso)

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Il teorema dei numeri primi fu enunciato per la prima volta da Adrien-Marie Legendre nel 1798 e fu riproposto pochi anni dopo da Carl Friedrich Gauss. Nel 1859 Bernhard Riemann collegò la dimostrazione del teorema a una funzione di una variabile complessa, nota come funzione zeta di Riemann. Anche se Riemann non riuscì a provare il teorema, le sue idee sono state fondamentali. Nel 1896, Jacques Hadamard e Charles Jean de la Vallée-Poussin, indipendentemente, dimostrarono il teorema. Entrambe le dimostrazioni si basano sulla zeta di Riemann.La funzione zeta di Riemann è legata alla congettura di Riemann, che riguarda la distribuzione degli zeri della funzione zeta, a sua volta collegata alla distribuzione dei numeri primi. Sembra un problema destinato a rimanere confinato nel mondo dell’alta speculazione matematica. Invece riguarda tutti noi, perché dai numeri primi dipende la sicurezza delle comunicazioni informatiche, fra cui le email, i messaggi WhatsApp e gli acquisti su Internet. Se ne svelassimo tutti i segreti, nessuna crittografia usata attualmente sarebbe più sicura.

Ora tocca a te• Consideriamo la funzione

Qual è il suo dominio? Dove incontra gli assi coordinati? Qual è il suo segno? Quali sono i suoi limiti nei punti di frontiera del dominio? La funzione ha massimi? Ha minimi? Ha flessi?

• Un’approssimazione della funzione migliore della funzione è data dalla funzione logaritmo integrale:

Studia la funzione precedente, determinandone le intersezioni con gli assi, il segno, i massimi, i minimi e i flessi. A tal fine, ricordiamo il seguente teorema fondamentale del calcolo integrale. Se è una funzione integrabile, la funzione integrale di è la funzione tale che:

Il teorema fondamentale del calcolo integrale stabilisce che se è continua, allora è derivabile e si ha:

cioè è una primitiva di .

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LETTERATURA INGLESE

The scientist Victor Frankenstein devotes himself to scientific studies. What intrigues him most is the mystery of the origin of life, and finally he does discover ‘the cause of generation and life’. He ‘builds’ a creature, assembling various parts that he takes from the bodies of dead people, and then manages to instil the spark of life into it. To his amazement, the creature begins to breathe and opens his eyes, but he looks so hideous that Frankenstein is filled with horror and disgust.

The loneliness of the monster (from Chapter 16)

The poor monster feels utter desolation and is condemned to loneliness. After being abandoned by Frankenstein, he wanders about the country; at first, he is full of curiosity and benevolence, but soon he is disappointed and wounded by the horror and hostility with which people react at the sight of him. He lives in total solitude and, simply by observing a family who live in a small cottage, learns to speak and then to read. But again, his horrible aspect frustrates his attempts at making friends, as is described in this passage.

I continued to wind among the paths of the wood, until I came to its boundary which was skirted by a deep and rapid river, into which many of the trees bent their branches, now budding with the fresh spring. Here I paused, not exactly knowing what path to pursue, when I heard the sound of voices, that induced me to conceal myself under the shade of a cypress. I was scarcely hid when a young girl came running towards the spot where I was concealed, laughing, as if she ran from someone in sport. She continued her course along the precipitous sides of the river, when suddenly her foot slipped, and she fell into the rapid stream. I rushed from my hiding-place and with extreme labour from the force of the current, saved her and dragged her to shore. She was senseless, and I endeavoured by every means in my power to restore animation, when I was suddenly interrupted by the approach of a rustic, who was probably the person from whom she had playfully fled. On seeing me, he darted towards me, and tearing the girl from my arms, hastened towards the deeper parts of the wood. I followed speedily, I hardly knew why; but when the man saw me draw near, he aimed a gun, which he carried, at my body, and fired. I sank to the ground, and my injurer, with increased swiftness, escaped into the wood. This was then the reward of my benevolence! I had saved a human being from destruction, and as a recompense I now writhed under the miserable pain of a wound which shattered the flesh and bone. The feelings of kindness and gentleness which I had entertained but a few moments before gave place to hellish rage and gnashing of teeth. Inflamed by pain, I vowed eternal hatred and vengeance to all mankind. But the agony of my wound overcame me; my pulses paused, and I fainted.

Other suggestions:• The overwhelming loneliness: Emily Dickinson, The Loneliness One dare not Sound (1862),

from Emily Dickinson’s Complete Poems• The female loneliness: Virginia Woolf, Mrs Dalloway (1925), Chapter 1• The loneliness of adolescence: J.D. Salinger, The Catcher in the Rye (1951), Chapter 15• Loneliness as solitude: Ernest Hemingway, The Old Man and the Sea (1952), Chapter 1• Loneliness as abandonment: Philip Larkin, Home is so sad (1958)• Loneliness as reclusion: Jane Rhys, Wide Sargasso Sea (1966), Part III• Loneliness as memory: Margaret Atwood, The Blind Assassin (2000), Part I, The Bridge

MARY SHELLEY Frankenstein (1818)

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LETTERATURA SPAGNOLA

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En el poema se narra el deseo de libertad y de amor de una princesa que vive en completa soledad en su lujoso palacio. El autor, a través de la tristeza de la princesa, expresa su propia alienación en la sociedad moderna. También hace alusión a sus ganas de libertad, de alejarse del palacio y marcharse a países lejanos, ya que este se ha convertido en una cárcel para ella.

La princesa está triste... ¿Qué tendrá la princesa?Los suspiros se escapan de su boca de fresa,que ha perdido la risa, que ha perdido el color.La princesa está pálida en su silla de oro,está mudo el teclado de su clave sonoro,y en un vaso, olvidada, se desmaya una flor.

El jardín puebla el triunfo de los pavos reales.Parlanchina, la dueña dice cosas banales,y vestido de rojo piruetea el bufón.La princesa no ríe, la princesa no siente;la princesa persigue por el cielo de Orientela libélula vaga de una vaga ilusión.

¿Piensa, acaso, en el príncipe de Golconda o de China,o en el que ha detenido su carroza argentinapara ver de sus ojos la dulzura de luz?¿O en el rey de las islas de las rosas fragantes,o en el que es soberano de los claros diamantes,o en el dueño orgulloso de las perlas de Ormuz?

¡Ay!, la pobre princesa de la boca de rosaquiere ser golondrina, quiere ser mariposa,tener alas ligeras, bajo el cielo volar;ir al sol por la escala luminosa de un rayo,saludar a los lirios con los versos de mayoo perderse en el viento sobre el trueno del mar.

RUBÉN DARÍO Sonatina (Prosas profanas y otros poemas, 1896)

En la primera estrofa la soledad es expresada a través de un suspiro nostálgico que añora una felicidad perdida o futura. De hecho, el color rojo de los labios, señalde una vida que fluye, junto con el sabor a fresa, hadesaparecido de su boca.Otro símbolo que indica soledad es la palidez del rostrode la princesa, en claro contraste con la silla de oro,símbolo a la vez de poder y de riqueza material.La soledad es dada también por la ausencia de música,ya que nadie toca el piano, al igual que una flor solitariasin vigor en un vaso.También en la segunda estrofa queda evidente el sentido de soledad: a pesar de estar rodeada por todo tipo de diversión y entretenimiento, la princesa no ríe y no siente nada.La única solución en que puede pensar para romper el aislamiento es la fuga hacia un destino desconocido identificado con el Oriente, donde la princesa espera encontrar el amor mediante la unión con un príncipe o un rey de aquellas tierra lejanas.

En esta estrofa se retoma y se profundiza el tema de la fuga hacia un destino desconocido tratado en la estrofa anterior. La fuga le permitirá a la princesa salir del aislamiento en le que se encuentra.

La jaula representada por su castillo y que la condena a la soledad solo puede desaparecer por medio de un vuelo que la pueda llevar a un destino diferente y liberar del cautiverio al que está sometida.

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Ya no quiere el palacio, ni la rueca de plata,ni el halcón encantado, ni el bufón escarlata,ni los cisnes unánimes en el lago de azur.Y están tristes las flores por la flor de la corte,los jazmines de Oriente, los nelumbos del Norte,de Occidente las dalias y las rosas del Sur.

¡Pobrecita princesa de los ojos azules!Está presa en sus oros, está presa en sus tules,en la jaula de mármol del palacio real;el palacio soberbio que vigilan los guardas,que custodian cien negros con sus cien alabardas,un lebrel que no duerme y un dragón colosal.

¡Oh, quién fuera Hipsipila que dejó la crisálida!(La princesa está triste. La princesa está pálida.)¡Oh visión adorada de oro, rosa y marfil!¡Quién volara a la tierra donde un príncipe existe(La princesa está pálida. La princesa está triste)más brillante que el alba, más hermoso que abril!

¡Calla, calla, princesa – dice el hada madrina – ;en caballo, con alas, hacia acá se encamina,en el cinto la espada y en la mano el azor,el feliz caballero que te adora sin verte,y que llega de lejos, vencedor de la Muerte,a encenderte los labios con un beso de amor!

(De: En un lugar de la literatura, De Agostini Scuola, p. 261)

Otras sugerencias:• La Regenta (1885) – Leopoldo Alas “Clarín” (De: En un lugar de la literatura, De Agostini Scuola, p. 234)• Romancero gitano (1928) – Federico García Lorca (De: En un lugar de la literatura, De Agostini Scuola, p. 328)

El vuelo puede darse solo con una trasformación, de gusano a mariposa. Solo esta metamorfosis puede permitir el encuentro regenerador con un príncipe más hermoso que la primavera y más luminoso que el amanecer.

Sin embargo, el hada madrina al final del poema anuncia a la princesa que la soledad de la que es víctima solo puede desvanecer gracias a la intervención de un príncipe, que volverá a dar el color a sus labios con un beso de amor.

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LETTERATURA TEDESCA

Die hoffnungslose Einsamkeit steht im Mittelpunkt der Erzählung Die Verwandlung, einer der bekanntesten Werke von Kafka. Der Protagonist Gregor Samsa entdeckt eines Morgens, dass er ein Käfer geworden ist.Die Geschichte beginnt mit einem lapidaren Satz: „Als Gregor Samsa eines Morgens aus unruhigen Träumenerwachte, fand er sich in seinem Bett zu einem ungeheueren Ungeziefer verwandelt. “ Von Anfang an verstehen wir, dass die Verwandlung Gregors in ein gigantisches Ungeziefer kein Traum ist: „Es war kein Traum.“ Zur Zeit der Abfassung dieser Erzählung fühlte sich Kafka isoliert und verbrachte viel Zeit allein in seinem Zimmer. An seinen Freund Max Brod schrieb er, er sei verzweifelt und habe an Selbstmord gedacht. Kafka fühlte sich, nicht zuletzt wegen des schwierigen Verhältnisses zu seinem Vater, sowohl in der Familie als auch in der Gesellschaft wie ein schmutziger Schmarotzer.

Ein ungewöhnlicher MorgenAls Gregor Samsa eines Morgens aus unruhigen Träumen erwachte, fand er sich in seinem Bett zu einem ungeheueren1 Ungeziefer2 verwandelt. Er lag auf seinem panzerartig3 harten Rücken und sah, wenn er den Kopf ein wenig hob, seinen gewölbten, braunen, von bogenförmigen Versteifungen geteilten Bauch4, [...] seine vielen, im Vergleich zu seinem sonstigen Umfang kläglich5 dünnen Beine flimmerten6 ihm hilflos vor den Augen.„Was ist mit mir geschehen?“, dachte er. Es war kein Traum. Sein Zimmer, ein richtiges, nur etwas zu kleines Menschenzimmer, lag ruhig zwischen den vier wohlbekannten Wänden. Über dem Tisch, auf dem eine auseinandergepackte Musterkollektion von Tuchwaren7 ausgebreitet8 war – Samsa war Reisender –, hing das Bild, das er vor kurzem aus einer illustrierten Zeitschrift ausgeschnitten und in einem hübschen, vergoldeten Rahmen9 untergebracht hatte. [...]„Ach Gott,“ dachte er, „was für einen anstrengenden Beruf habe ich gewählt! Tag aus, Tag ein auf der Reise. Die geschäftlichen Aufregungen10 sind viel größer, als im eigentlichen Geschäft zu Hause, und außerdem ist mir noch diese Plage des Reisens auferlegt [...] Nun, die Hoffnung ist noch nicht gänzlich aufgegeben; habe ich einmal das Geld beisammen11, um die Schuld der Eltern an ihn abzuzahlen12 – es dürfte noch fünf bis sechs Jahre dauern –, mache ich die Sache unbedingt. Dann wird der große Schnitt gemacht.“ [...]Als er dies alles in größter Eile überlegte, ohne sich entschließen zu können, das Bett zu verlassen – gerade schlug der Wecker dreiviertel sieben – klopfte es vorsichtig an die Tür am Kopfende seines Bettes. „Gregor,“ rief es – es war die Mutter – „es ist dreiviertel sieben. Wolltest du nicht wegfahren?“ Die sanfte Stimme! Gregor erschrak, als er seine antwortende Stimme hörte, die wohl unverkennbar seine frühere war, in die sich aber, wie von unten her, ein nicht zu unterdrückendes, schmerzliches Piepsen13 mischte [...]Gregor hatte ausführlich antworten und alles erklären wollen, beschränkte sich aber bei diesen Umständen darauf, zu sagen: „Ja, ja, danke Mutter, ich stehe schon auf.“ Infolge der Holztür war die Veränderung in Gregors Stimme draußen wohl nicht zu merken, denn die Mutter beruhigte sich mit dieser Erklärung und schlürfte14 davon. Aber durch das kleine Gespräch waren die anderen Familienmitglieder darauf aufmerksam geworden, daß Gregor wider Erwarten noch zu Hause war [...] Gregor aber dachte gar nicht daran aufzumachen, sondern lobte die vom Reisen her übernommene Vorsicht15, auch zu Hause alle Türen während der Nacht zu versperren16.

(Focus KonTexte Neu, Cideb, S. 241-243)

FRANZ KAFKA Die Einsamkeit von Gregor (Die Verwandlung, 1915)

7. e Musterkollektion vonTuchwaren: campionario di stoffe

8. ausgebreitet sein: essere esposto9. r Rahmen, -: cornice

10. e Aufregung, -en: inquietudine11. das Geld beisammen haben: aver

messo insieme i soldi12. eine Schuld abzahlen: saldare un

debito

13. nicht zu unterdrückendes,schmerzliches Piepsen: un pigolioirrefrenabile, doloroso

14. schlürfen: andarsene strascicando ipiedi (con ciabatte)

15. e Vorsicht: prudenza16. versperren: chiudere a chiave

1. ungeheuer: mostruoso2. s Ungeziefer, -: insetto parassita3. panzerartig: come una corazza4. gewölbter, brauner, von bogenförmigen Versteifungen geteilter Bauch: ventre bruno, convesso, solcato da nervature arcate5. kläglich: miseramente6. fl immern: sfarfallare

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Focus: EinsamkeitGregor Samsa führt eine unbedeutende Existenz im Schoße einer kleinbürgerlichen Familie. Vor seiner Verwandlung in einen riesigen Käfer übte er den verhassten Beruf des Handlungsreisenden.Die Geschichte ist schrecklich, sie grenzt ans Groteske, denn Samsa ist ein Ungeziefer geworden, aber gleichzeitig bleibt er doch ein Mensch, ein Sohn und ein Handlungsreisender, auf jeden Fall aber ein einsamer Mensch.Das Zimmer erscheint hier nicht als ein Zuhause, sondern als Gefängnis. Das frühere Zimmer verwandelt sich allmählich zu einer Zelle, wo Gregor zweimal Gefangener ist: eingeschlossen in den Körper dieses ekelhaften Insekts und in diesem Raum. Gregors psychische Situation in der Familie und seine totale Einsamkeit in der Menschenwelt werden durch die konkrete Situation des Zimmers ausgedrückt. Er ist ein Gefangener in seiner Familie. Die verschlossene Tür ist ein deutlicher Hinweis auf seine Isolation.Auch in der Prager Gesellschaft voller spannungsvollen Wechselbeziehungen ist Kafka ein Einsamer: Dort herrschen die verdeckten Rivalitäten zwischen Tschechen und Deutschen, die vielfältigen oft widersprüchlichen kulturellen Traditionen der Metropole, das Nebeneinander von kleinbürgerlich- nationalistischen und bohemienhaft-kosmopolitischen Tendenzen, von jüdischer Identität und militantem Antisemitismus. In dieser Umwelt ist Kafka in seinen einsamen Figuren, deren Tagträumen und Ängsten verschlüsselt. Dieser Tatbestand erscheint deutlich auch in seinen Briefen und Tagebüchern. Eines Tages entsteht in Gregor das Bedürfnis nach Kommunikation und Kontakt mit den anderen, das Verlangen, von der Familie akzeptiert zu werden. Unter akrobatischen Anstrengungen gelingt es ihm, die Tür seines Zimmers aufzuschließen, aber er ist zu abstoßend und sein Vater bewirft ihn mit Äpfeln.Gregor versteht allmählich, dass seine Existenz unmöglich ist, und daher lässt er sich sterben: Er isst nicht mehr und stirbt nach einigen Tagen allein in seinem Zimmer.

Tipps: • Einsamkeit in der Romantik (Aus dem Leben eines Taugenichts von J. Eichendorff)• Einsamkeit einer Frau (Effi Briest von T. Fontane)• Einsamkeit des Künstlers in der Dekadenz (Der Tod in Venedig von T. Mann)• Einsamkeit des Menschen in der Nachkriegszeit (Draußen vor der Tür von W. Borchert)• Einsamkeit des Außenseiters (Ansichten eines Clowns von H. Böll)

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L’œuvre de Maupassant est en général connue pour sa force réaliste, la présence du fantastique, son pessimisme et la maîtrise stylistique. La nouvelle Solitude a été publiée le 31 mars 1884 dans « Le Gaulois » (quotidien littéraire et politique français),puis reprise en 1885 dans le recueil Monsieur Parent.

LETTERATURA FRANCESE GUY DE MAUPASSANTSolitude (1885)

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SolitudeC’était après un dîner d’hommes. On avait été fort gai. Un

d’eux, un vieil ami, me dit :— Veux-tu remonter à pied l’avenue des Champs-Élysées ?Et nous voilà partis, suivant à pas lents la longue promenade,

sous les arbres à peine vêtus de feuilles encore. Aucun bruit, que cette rumeur confuse et continue que fait Paris. Un vent frais nous passait sur le visage, et la légion des étoiles semait sur le ciel noir une poudre d’or.

Mon compagnon me dit : - Je ne sais pourquoi, je respire mieux ici, la nuit, que partoutailleurs. Il me semble que ma pensée s’y élargit. J’ai, par moments,ces espèces de lueurs dans l’esprit qui font croire, pendant uneseconde, qu’on va découvrir le divin secret des choses. Puis lafenêtre se referme. C’est fini.- De temps en temps, nous voyions glisser deux ombres le long desmassifs ; nous passions devant un banc où deux êtres, assis côte à côte, ne faisaient qu’une tache noire.Mon voisin murmura :

Pauvres gens ! Ce n’est pas du dégoût qu’ils m’inspirent, mais une immense pitié. Parmi tous les mystères de la vie humaine, il en est un que j’ai pénétré : notre grand tourment dans l’existence vient de ce que nous sommes éternellement seuls, et tous nos efforts, tous nos actes ne tendent qu’à fuir cette solitude. Ceux-là, ces amoureux des bancs en plein air, cherchent, comme nous, comme toutes les créatures, à faire cesser leur isolement, rien que pendant une minute au moins ; mais ils demeurent, ils demeureront toujours seuls ; et nous aussi.

On s’en aperçoit plus ou moins, voilà tout.Depuis quelque temps j’endure cet abominable supplice d’avoir

compris, d’avoir découvert l’affreuse solitude où je vis, et je sais que rien ne peut la faire cesser, rien, entends-tu ! Quoi que nous tentions, quoi que nous fassions, quels que soient l’élan de nos cœurs, l’appel de nos lèvres et l’étreinte de nos bras, nous sommes toujours seuls.

Je t’ai entraîné ce soir, à cette promenade, pour ne pas rentrer chez moi, parce que je souffre horriblement, maintenant, de la solitude de mon logement. À quoi cela me servira-t-il ? Je te parle, tu m’écoutes, et nous sommes seuls tous deux, côte à côte, mais seuls. Me comprends-tu ?

Bienheureux les simples d’esprit, dit l’Écriture. Ils ont l’illusion du bonheur. Ils ne sentent pas, ceux-là, notre misère solitaire, ils n’errent pas, comme moi, dans la vie, sans autre contact que celui des coudes, sans autre joie que l’égoïste satisfaction de comprendre, de voir, de deviner et de souffrir sans fin de la connaissance de notre éternel isolement.

La vue de deux amoureux assis sur un banc déclenche une longue réflexion de la part de l’ami sur la solitude.

L’ami constate que quoi qu’on fasse pour ne pas l’être, on est seuls. Même l’amour n’est rien d’autre qu’une tentative échouée de combattre la solitude.

Le même reproche est fait à l’égard du sentiment de l’amitié, d’ailleurs également défaillant. On reste toujours seuls, parce qu’on ne peut pas arriver à se connaître à fond. L’ami demande au narrateur s’il le comprend. Il le fera plusieurs fois, tout au long du texte, en mettant en scène en première personne la tragédie de la solitude humaine. Il explique qu’on est seuls car on n’est pas compris par les autres et il parle de son angoisse, demandant la compréhension du narrateur, qui ne peut pas arriver. Ce qui crée un cercle vicieux.

Le narrateur et un vieil ami rentrent à pied après un dîner entre hommes.

Seulement les simples d’esprit sont heureux, parce qu’ils gardent l’illusion du bonheur.

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Tu me trouves un peu fou, n’est-ce pas ?Écoute-moi. Depuis que j’ai senti la solitude de mon être, il

me semble que je m’enfonce, chaque jour davantage, dans un souterrain sombre, dont je ne trouve pas les bords, dont je ne connais pas la fin, et qui n’a point de bout, peut-être ! J’y vais sans personne avec moi, sans personne autour de moi, sans personne de vivant faisant cette même route ténébreuse. Ce souterrain, c’est la vie. Parfois j’entends des bruits, des voix, des cris... je m’avance à tâtons vers ces rumeurs confuses. Mais je ne sais jamais au juste d’où elles partent ; je ne rencontre jamais personne, je ne trouve jamais une autre main dans ce noir qui m’entoure. Me comprends-tu ?

Quelques hommes ont parfois deviné cette souffrance atroce.Musset s’est écrié :

Qui vient ? Qui m’appelle ? Personne.Je suis seul. — C’est l’heure qui sonne.Ô solitude ! — Ô pauvreté !

Mais, chez lui, ce n’était là qu’un doute passager, et non pas une certitude définitive, comme chez moi. Il était poète ; il peuplait la vie de fantômes, de rêves. Il n’était jamais vraiment seul. — Moi, je suis seul !

Gustave Flaubert, un des grands malheureux de ce monde, parce qu’il était un des grands lucides, n’écrivit-il pas à une amie cette phrase désespérante : « Nous sommes tous dans un désert. Personne ne comprend personne. »

Non, personne ne comprend personne, quoi qu’on pense, quoi qu’on dise, quoi qu’on tente. La terre sait-elle ce qui se passe dans ces étoiles que voilà, jetées comme une graine de feu à travers l’espace, si loin que nous apercevons seulement la clarté de quelques-unes, alors que l’innombrable armée des autres est perdue dans l’infini, si proches qu’elles forment peut-être un tout, comme les molécules d’un corps ?

Eh bien, l’homme ne sait pas davantage ce qui se passe dans un autre homme. Nous sommes plus loin l’un de l’autre que ces astres, plus isolés surtout, parce que la pensée est insondable.

Sais-tu quelque chose de plus affreux que ce constant frôlement des êtres que nous ne pouvons pénétrer ! Nous nous aimons les uns les autres comme si nous étions enchaînés, tout près, les bras tendus, sans parvenir à nous joindre. Un torturant besoin d’union nous travaille, mais tous nos efforts restent stériles, nos abandons inutiles, nos confidences infructueuses, nos étreintes impuissantes, nos caresses vaines. Quand nous voulons nous mêler, nos élans de l’un vers l’autre ne font que nous heurter l’un à l’autre.

Je ne me sens jamais plus seul que lorsque je livre mon cœur à quelque ami, parce que je comprends mieux alors l’infranchissable obstacle. Il est là, cet homme ; je vois ses yeux clairs sur moi ! mais son âme, derrière eux, je ne la connais point. Il m’écoute. Que pense-t-il ? Oui, que pense-t-il ? Tu ne comprends pas ce tourment ? Il me hait peut-être ? ou me méprise ? ou se moque de moi ? Il réfléchit à ce que je dis, il me juge, il me raille, il me condamne, m’estime médiocre ou sot. Comment savoir ce qu’il pense ? Comment savoir s’il m’aime comme je l’aime ? et ce qui s’agite dans cette petite tête ronde ? Quel mystère que la pensée inconnue d’un être, la pensée cachée et libre, que nous ne pouvons ni connaître, ni conduire, ni dominer, ni vaincre !

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Puis il compare la vie à un souterrain sombre où il ne voit rien et dont il essaie de déchiffrer les bords et les bruits. Il s’y promène seul, avançant à tâtons vers les voix qu’il entend, tout comme dans la vie on avance, inutilement, vers quelqu’un d’autre qui nous semble pouvoir combler notre solitude.

Il cherche des complices. Il cite Musset. Mais lui, étant poète, il réduit sa solitude en la peuplant de fantômes.

Flaubert, par contre, reconnu comme un maître par Maupassant et défini « un grand lucide », constate lui aussi qu’il est impossible de comprendre ce qui se passe dans la tête d’une autre personne.

Il reprend le thème du début : l’amour ne peut pas préserver de la solitude. On ressent un « torturant besoin d’union » qui n’arrive jamais à être satisfait.

L’amitié non plus ne peut pas aider à se sentir moins seul, parce que, comme déjà dit avant, on ne peut pas comprendre complètement une autre personne, ni savoir ce qu’elle pense vraiment.

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Et moi, j’ai beau vouloir me donner tout entier, ouvrir toutes les portes de mon âme, je ne parviens point à me livrer. Je garde au fond, tout au fond, ce lieu secret du Moi où personne ne pénètre. Personne ne peut le découvrir, y entrer, parce que personne ne me ressemble, parce que personne ne comprend personne.

Me comprends-tu, au moins, en ce moment, toi ? Non, tu me juges fou ! tu m’examines, tu te gardes de moi ! Tu te demandes : « Qu’est-ce qu’il a, ce soir ? » Mais si tu parviens à saisir un jour, à bien deviner mon horrible et subtile souffrance, viens-t’en me dire seulement : Je t’ai compris ! et tu me rendras heureux, une seconde, peut-être.

Ce sont les femmes qui me font encore le mieux apercevoir ma solitude.

Misère ! misère ! Comme j’ai souffert par elles, parce qu’elles m’ont donné souvent, plus que les hommes, l’illusion de n’être pas seul !

Quand on entre dans l’Amour, il semble qu’on s’élargit. Une félicité surhumaine vous envahit ! Sais-tu pourquoi ? Sais-tu d’où vient cette sensation d’immense bonheur ? C’est uniquement parce qu’on s’imagine n’être plus seul. L’isolement, l’abandon de l’être humain paraît cesser. Quelle erreur !

Plus tourmentée encore que nous par cet éternel besoin d’amour qui ronge notre cœur solitaire, la femme est le grand mensonge du Rêve.

Tu connais ces heures délicieuses passées face à face avec cet être à longs cheveux, aux traits charmeurs et dont le regard nous affole. Quel délire égare notre esprit ! Quelle illusion nous emporte !

Elle et moi, nous n’allons plus faire qu’un, tout à l’heure, semble-t-il ? Mais ce tout à l’heure n’arrive jamais, et, après des semaines d’attente, d’espérance et de joie trompeuse, je me retrouve tout à coup, un jour, plus seul que je ne l’avais encore été.

Après chaque baiser, après chaque étreinte, l’isolement s’agrandit. Et comme il est navrant, épouvantable !

Un poète, M. Sully Prudhomme, n’a-t-il pas écrit :Les caresses ne sont que d’inquiets transports,Infructueux essais du pauvre amour qui tenteL’impossible union des âmes par les corps...

Et puis, adieu. C’est fini. C’est à peine si on reconnaît cette femme qui a été tout pour nous pendant un moment de la vie, et dont nous n’avons jamais connu la pensée intime et banale sans doute !

Aux heures mêmes où il semblait que, dans un accord mystérieux des êtres, dans un complet emmêlement des désirs et de toutes les aspirations, on était descendu jusqu’au profond de son âme, un mot, un seul mot, parfois, nous révélait notre erreur, nous montrait, comme un éclair dans la nuit, le trou noir entre nous.

Et pourtant, ce qu’il y a encore de meilleur au monde, c’est de passer un soir auprès d’une femme qu’on aime, sans parler, heureux presque complètement par la seule sensation de sa présence. Ne demandons pas plus, car jamais deux êtres ne se mêlent.

Quant à moi, maintenant, j’ai fermé mon âme. Je ne dis plus à personne ce que je crois, ce que je pense et ce que j’aime. Me sachant condamné à l’horrible solitude, je regarde les choses,

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Être compris c’est son plus grand désir, le seul moyen d’échapper à la solitude. C’est ce qu’il souhaite, ce qu’il n’arrête pas de demander au narrateur, mais qu’il n’obtient pas.

Encore, mais raconté d’un point de vue personnel, l’amour, la femme comme tentatives inutiles de remplir le vide de la solitude, tentatives qui au contraire deviennent révélatrices de l’impossibilité de le combler.

Il développe le thème en rendant hommage à Sully Prudhomme, poète de son époque, qui sera plus tard le premier lauréat du Prix Nobel de littérature en 1901.

L’impossibilité d’être vraiment compris et de comprendre est définitivement constatée, alors le protagoniste se rend et décide de fermer son âme, de se désintéresser de tout.

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D'autres suggestions :• La solitude de la femme : Germaine de Staël, De la philosophie, dans « De l'influence des passions sur le

bonheur des individus et des nations », Section III, Chapitre II (1796)• La solitude chez les Romantiques : François-René de Chateaubriand, René, (1802)• La solitude comme repli sur soi-même : Alphonse de Lamartine, L'isolement,

dans « Méditations poétiques » (1820)• La solitude du prisonnier : Victor Hugo, Le dernier jour d'un condamné, chapitre I, VI, VII (1829)• La solitude de celui qui est différent : Charles Baudelaire, L'Albatros, dans « Les fleurs du mal » (1859)• La solitude après une rupture : Guillaume Apollinaire, Le pont Mirabeau, dans « Alcools » (1913)• La solitude comme isolement de la société : Jean-Paul Sartre, La Nausée, (1938)• La solitude et ses multiples nuances : Antoine de Saint-Exupéry, Le Petit Prince, Chapitres I/XVII (1943)• La solitude créative : Jean Giono, L'homme qui plantait des arbres (1953)• La solitude : Paul Eluard, L'Univers solitude (2017)

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sans jamais émettre mon avis. Que m’importent les opinions, les querelles, les plaisirs, les croyances ! Ne pouvant rien partager avec personne, je me suis désintéressé de tout. Ma pensée, invisible, demeure inexplorée. J’ai des phrases banales pour répondre aux interrogations de chaque jour, et un sourire qui dit : « oui », quand je ne veux même pas prendre la peine de parler.Me comprends-tu ?

Nous avions remonté la longue avenue jusqu’à l’Arc de triomphe de l’Étoile, puis nous étions redescendus jusqu’à la place de la Concorde, car il avait énoncé tout cela lentement, en ajoutant encore beaucoup d’autres choses dont je ne me souviens plus.

Il s’arrêta et, brusquement, tendant le bras vers le haut obélisque de granit, debout sur le pavé de Paris et qui perdait, au milieu des étoiles, son long profil égyptien, monument exilé, portant au flanc l’histoire de son pays écrite en signes étranges, mon ami s’écria :

— Tiens, nous sommes tous comme cette pierre.Puis il me quitta sans ajouter un mot.Était-il gris ? Était-il fou ? Était-il sage ? Je ne le sais encore.

Parfois il me semble qu’il avait raison ; parfois il me semble qu’il avait perdu l’esprit.

31 mars 1884

La promenade finit sur la place de la Concorde dont l’obélisque qui se dresse tout seul sur le pavé est vu comme un symbole de la condition humaine, de la solitude de chaque être humain.