umanisti_in_italia

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Lamberto Aliberti Nicolò Gardina Martino Iniziato Matteo Villa Diventare ingegneri umanisti per entrare in azienda. Gli umanisti in Italia. Contiamoli. I dati dell’Istat non sono troppo recenti. Dal 2006 però le dinamiche sembrano così stabilizzate, che sarebbe sorprendente trovare prossimamente numeri diversi da questi: Con la laurea in tasca ne escono circa 70mila l’anno; Hanno raggiunto la punta massima nel 2006; Dopodiché hanno cominciato a scendere; In accordo col totale dei laureati in Italia, ma in modo decisamente meno accentuato; Peccato che non si possano valutare gli effetti della Riforma Gelmini – è del 2009; Pari a poco meno di un terzo di quanti escono dall’Università col benedetto pezzo di carta in tasca; Fonte: Dreamstime.com Fonte: Dreamstime.com

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Lamberto Aliberti Nicolò Gardina

Martino Iniziato Matteo Villa

Diventare ingegneri –

umanisti per entrare in

azienda.

Gli umanisti in Italia.

Contiamoli.

I dati dell’Istat non sono troppo recenti. Dal 2006 però le dinamiche sembrano così stabilizzate, che sarebbe sorprendente trovare prossimamente numeri diversi da questi:

• Con la laurea in tasca ne escono circa 70mila l’anno;

• Hanno raggiunto la punta massima nel 2006;

• Dopodiché hanno cominciato a scendere;

• In accordo col totale dei laureati in Italia, ma in modo decisamente meno accentuato;

• Peccato che non si possano valutare gli effetti della Riforma Gelmini – è del 2009;

• Pari a poco meno di un terzo di quanti escono dall’Università col benedetto pezzo di carta in tasca;

Fonte: Dreamstime.comFonte: Dreamstime.com

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Quanto pesano.

In università dovrebbero certamente pesare molto. Si stanno, infatti, avvicinando al terzo dei laureati, dopo una pausa, improvvisa e accentuata, fra il 1999 e il 2003. Che è successo? Siamo entrati nell’euro. Erano gli anni spensierati della bolla digitale, con la scoperta di Internet e le start-ups della Silicon Valley a prendere il volo in borsa, frutto di un nuovo modo di lavorare, più creativo, meno abbrutente. Il 25 maggio 1998 veniva siglata a Parigi la Dichiarazione della Sorbona, nella quale si sottolineava il ruolo centrale dell'Università per la costruzione e lo sviluppo di una "Europa della Conoscenza", considerata fattore decisivo per la crescita sociale e civile del nuovo continente europeo. Quest’ultima circostanza è bene ricordarla, perché ha fatto partire facili illusorie speranze di una palingenesi nel rapporto dell’uomo col lavoro, che nel nostro paese hanno sedimentato sul fondo atavico dello studio come otium o come facile entratura in una classe dirigente pigra e inefficace, fino a produrre il catafascio attuale. Comunque ne conseguì una delle tante riforme, senza capo né coda, di questo nuovo millennio, coi crediti, la laurea breve e quant’altro. Lasciamo agli storici capire perché nell’immediatezza a soffrire furono gli studi umanistici. Composizione.

C’è parecchio di arbitrario in ogni classificazione, ma non possiamo esimercene, sia allo scopo di consentire un più facile riconoscimento per chi vorrà seguirci in questa impresa, quanto di agevolare confronti internazionali,

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ovviamente non impedendo a nessuno di riconoscersi nella categoria, anche se

esce da altri studi. Ciò premesso, scopriamo: • La netta attuale prevalenza del gruppo politico-sociale, la cui incidenza

cresce di oltre un terzo nel biennio 2004-2005, per poi stabilizzarsi; • In posizione privilegiata ma ferma, il gruppo letterario; • Simile, ma più in basso, quello linguistico; • L’insegnamento si espande e si riduce, ma sempre su posizioni basse; • Il gruppo psicologico più che raddoppia la propria incidenza tra il 2003 e

il 2006, per poi stabilizzarsi. Il peso dei laureati nella storia italiana.

Non vogliamo risparmiarvi nulla. Ma abituarsi ai numeri è un must nella rincorsa al posto di lavoro. È soprattutto indispensabile farsi la mano al bene che ne deriva, ma anche alla fallacia, che vi è sovente implicita. È questo il caso nei dati che seguiranno. La fonte è il Ministero della Pubblica Istruzione. È ovvio che la sua definizione di umanisti non coincide completamente con quella Istat, anzi ne dà un quadro decisamente gonfiato o forse potrebbe essere anche più esatto. Non mancano le tipiche sgrammaticature della fonte pubblica: percentuali che non fanno 100, come totale, arrotondamenti a casaccio. Ci cambia qualcosa? No, come vedrete. Conclusione: i numeri sono da prendere con le pinze, ma ci insegnano sempre qualcosa, molto più delle parole. Per l’obiettivo ambizioso posto: gli umanisti nella cultura, scegliamo una serie storica lunga: 1929-2009, poco meno di un secolo, osservando innanzitutto come cambiano gli italiani negli studi, quanti escono annualmente laureati.

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Ecco il totale dei laureati, nel periodo compreso tra il 1929 e il 2009. I valori:

• Da 8 A 12mila circa, fino alla II Guerra Mondiale;

• Quindi ci si posiziona intorno ai 20mila, fino all’inizio degli anni Sessanta;

• Di qui comincia la prima crescita significativa e rapida, che porta i laureati a superare i 100mila nel ’94;

• Continuando con un ritmo ancora più sostenuto dal ‘95 in poi, arrivando a sfiorare i 300mila;

• Per fermarsi con l’inizio della Crisi Mondiale nel 2008. Nel complesso si tratta di numeri alti o bassi? E gli incrementi recenti sono da considerare importanti? Per rispondere almeno in parte s’impone un confronto con le dinamiche della popolazione. Limitandoci al Dopoguerra, calcoliamo l’incidenza dei laureati all’anno su mille abitanti. Osserviamo:

• Solo dal ’70 si supera l’1 per mille;

• Crescita contenuta in mezzo punto fino all’inizio degli anni ’90;

• Quindi un ritmo più sostenuto che ci porta a superare il 5 per mille, con pausa finale.

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La distribuzione dei laureati nella storia italiana.

Abbiamo scelto una prospettiva ampia, tanto sul piano storico che su quello disciplinare, perché ci premeva mettere in evidenza il divenire dei gusti, per così dire, nella scelta del corso di laurea, e poi di inquadrare le culture direttamente concorrenti sul piano della ricerca del posto di lavoro.

Cosa possiamo concludere?

• Che il gruppo umanistico presenti alti e bassi, ma si mantiene sempre preminente;

• Che il primo dei diretti concorrenti, il giuridico, tende decisamente a perdere peso;

• In compenso, l’economico-statistico prende il secondo posto, senza però mostrare inequivocabili segnali di crescita, anzi, appare, da un ventennio circa in diminuzione;

• Il gruppo scientifico, nonostante azioni pubblicitarie significative, da parecchi anni, tende a perdere posizioni;

• E tutto sommato stabile è l’ingegneria. Insomma la grande corsa è tra umanisti. Lamberto Aliberti, 7 maggio 2012