Ultime lettere di Jacopo Ortis - liberliber.it · NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: DIRITTI D'AUTORE: no...

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Ugo FoscoloUltime lettere di Jacopo Ortis

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Ultime lettere di Jacopo OrtisAUTORE: Foscolo, UgoTRADUTTORE: CURATORE: Milanese, CesareNOTE:

CODICE ISBN E-BOOK:

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

TRATTO DA: Ultime lettere di Jacopo Ortis / Ugo Fo-scolo ; introduzione di Cesare Milanese. - Ed. inte-grale. - Roma : Tascabili Economici Newton, 1993. -97 p. ; 20 cm. - (Centopaginemillelire ; 108).

CODICE ISBN FONTE: 88-7983-314-6

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 14 giugno 19982a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 29 luglio 20133a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 19 luglio 2018

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DIRITTI D'AUTORE: no

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TRATTO DA: Ultime lettere di Jacopo Ortis / Ugo Fo-scolo ; introduzione di Cesare Milanese. - Ed. inte-grale. - Roma : Tascabili Economici Newton, 1993. -97 p. ; 20 cm. - (Centopaginemillelire ; 108).

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1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 14 giugno 19982a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 29 luglio 20133a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 19 luglio 2018

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INDICE DI AFFIDABILITA': 2 0: affidabilità bassa 1: affidabilità media 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima

DIGITALIZZAZIONE:Stefano D'Urso, [email protected]

REVISIONE:Stefano D'Urso, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Catia Righi, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

Informazioni sul "progetto Manuzio"Il "progetto Manuzio" è una iniziativa dell'associa-zione culturale Liber Liber. Aperto a chiunque vo-glia collaborare, si pone come scopo la pubblicazio-ne e la diffusione gratuita di opere letterarie informato elettronico. Ulteriori informazioni sono di-sponibili sul sito Internet:http://www.liberliber.it/

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Indice generale

PARTE PRIMA...............................................................6PARTE SECONDA....................................................116

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Ugo Foscolo

ULTIME LETTERE

DI JACOPO ORTIS

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Ugo Foscolo

ULTIME LETTERE

DI JACOPO ORTIS

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PARTE PRIMA

Al lettore

Pubblicando queste lettere, io tento di erigere un mo-numento alla virtù sconosciuta; e di consecrare alla me-moria del solo amico mio quelle lagrime, che ora mi sivieta di spargere su la sua sepoltura. E tu, o Lettore, seuno non sei di coloro che esigono dagli altri quell'eroi-smo di cui non sono eglino stessi capaci, darai, spero, latua compassione al giovine infelice dal quale potrai for-se trarre esempio e conforto.

Lorenzo Alderani

Libertà va cercando, ch'è sì cara,come sa chi per lei vita rifiuta.

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PARTE PRIMA

Al lettore

Pubblicando queste lettere, io tento di erigere un mo-numento alla virtù sconosciuta; e di consecrare alla me-moria del solo amico mio quelle lagrime, che ora mi sivieta di spargere su la sua sepoltura. E tu, o Lettore, seuno non sei di coloro che esigono dagli altri quell'eroi-smo di cui non sono eglino stessi capaci, darai, spero, latua compassione al giovine infelice dal quale potrai for-se trarre esempio e conforto.

Lorenzo Alderani

Libertà va cercando, ch'è sì cara,come sa chi per lei vita rifiuta.

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Da' colli Euganei, 11 Ottobre 1797

Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto èperduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci re-sterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra in-famia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so:ma vuoi tu ch'io per salvarmi da chi m'opprime mi com-metta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dal-le sue lagrime le ho obbedito, e ho lasciato Venezia perevitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovròio abbandonare anche questa mia solitudine antica,dove, senza perdere dagli occhi il mio sciagurato paese,posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fairaccapricciare, Lorenzo; quanti sono dunque gli sventu-rati? E noi, purtroppo, noi stessi italiani ci laviamo lemani nel sangue degl'italiani. Per me segua che può.Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspettotranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadaverealmeno non cadrà fra le braccia straniere; il mio nomesarà sommessamente compianto da' pochi uomini, com-pagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su laterra de' miei padri.

13 Ottobre

Ti scongiuro, Lorenzo; non ribattere più. Ho delibera-to di non allontanarmi da questi colli. È vero ch'io aveva

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Da' colli Euganei, 11 Ottobre 1797

Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto èperduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci re-sterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra in-famia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so:ma vuoi tu ch'io per salvarmi da chi m'opprime mi com-metta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dal-le sue lagrime le ho obbedito, e ho lasciato Venezia perevitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovròio abbandonare anche questa mia solitudine antica,dove, senza perdere dagli occhi il mio sciagurato paese,posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fairaccapricciare, Lorenzo; quanti sono dunque gli sventu-rati? E noi, purtroppo, noi stessi italiani ci laviamo lemani nel sangue degl'italiani. Per me segua che può.Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspettotranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadaverealmeno non cadrà fra le braccia straniere; il mio nomesarà sommessamente compianto da' pochi uomini, com-pagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su laterra de' miei padri.

13 Ottobre

Ti scongiuro, Lorenzo; non ribattere più. Ho delibera-to di non allontanarmi da questi colli. È vero ch'io aveva

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promesso a mia madre di rifuggirmi in qualche altropaese; ma non mi è bastato il cuore: e mi perdonerà,spero. Merita poi questa vita di essere conservata con laviltà, e con l'esilio? Oh quanti de' nostri concittadini ge-meranno pentiti, lontani dalle loro case! perché, e chepotremmo aspettarci noi se non se indigenza e disprez-zo; o al più, breve e sterile compassione, solo confortoche le nazioni incivilite offrono al profugo straniero?Ma dove cercherò asilo? in Italia? terra prostituita pre-mio sempre della vittoria. Potrò io vedermi dinanzi agliocchi coloro che ci hanno spogliati, derisi, venduti, enon piangere d'ira? Devastatori de' popoli, si servonodella libertà come i Papi si servivano delle crociate.Ahi! sovente disperando di vendicarmi mi caccerei uncoltello nel cuore per versare tutto il mio sangue fra leultime strida della mia patria.

E questi altri? – hanno comperato la nostra schiavitù,racquistando con l'oro quello che stolidamente e vilmen-te hanno perduto con le armi. – Davvero ch'io somiglioun di que' malavventurati che spacciati morti furono se-polti vivi, e che poi rinvenuti, si sono trovati nel sepol-cro fra le tenebre e gli scheletri, certi di vivere, ma di-sperati del dolce lume della vita, e costretti a morire frale bestemmie e la fame. E perché farci vedere e sentirela libertà, e poi ritorcerla per sempre? e infamemente!

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promesso a mia madre di rifuggirmi in qualche altropaese; ma non mi è bastato il cuore: e mi perdonerà,spero. Merita poi questa vita di essere conservata con laviltà, e con l'esilio? Oh quanti de' nostri concittadini ge-meranno pentiti, lontani dalle loro case! perché, e chepotremmo aspettarci noi se non se indigenza e disprez-zo; o al più, breve e sterile compassione, solo confortoche le nazioni incivilite offrono al profugo straniero?Ma dove cercherò asilo? in Italia? terra prostituita pre-mio sempre della vittoria. Potrò io vedermi dinanzi agliocchi coloro che ci hanno spogliati, derisi, venduti, enon piangere d'ira? Devastatori de' popoli, si servonodella libertà come i Papi si servivano delle crociate.Ahi! sovente disperando di vendicarmi mi caccerei uncoltello nel cuore per versare tutto il mio sangue fra leultime strida della mia patria.

E questi altri? – hanno comperato la nostra schiavitù,racquistando con l'oro quello che stolidamente e vilmen-te hanno perduto con le armi. – Davvero ch'io somiglioun di que' malavventurati che spacciati morti furono se-polti vivi, e che poi rinvenuti, si sono trovati nel sepol-cro fra le tenebre e gli scheletri, certi di vivere, ma di-sperati del dolce lume della vita, e costretti a morire frale bestemmie e la fame. E perché farci vedere e sentirela libertà, e poi ritorcerla per sempre? e infamemente!

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16 Ottobre

Or via, non se ne parli più: la burrasca pare abbonac-ciata; se tornerà il pericolo, rassicurati, tenterò ogni viadi scamparne. Del resto io vivo tranquillo; per quanto sipuò tranquillo. Non vedo persona del mondo: vo semprevagando per la campagna; ma a dirti il vero penso, e mirodo. Mandami qualche libro.

Che fa Lauretta? povera fanciulla! io l'ho lasciata fuo-ri di sé. Bella e giovine ancora, ha pur inferma la ragio-ne; e il cuore infelice infelicissimo. Io non l'ho amata;ma fosse compassione o riconoscenza per avere ellascelto me solo consolatore del suo stato, versandomi nelpetto tutta la sua anima e i suoi errori e i suoi martirj –davvero ch'io l'avrei fatta volentieri compagna di tutta lamia vita. La sorte non ha voluto; meglio così, forse. Ellaamava Eugenio, e l'è morto fra le braccia. Suo padre e isuoi fratelli hanno dovuto fuggire la loro patria, e quellapovera famiglia destituta di ogni umano soccorso è re-stata a vivere, chi sa come! di pianto. Eccoti, o Libertà,un'altra vittima. Sai ch'io ti scrivo, o Lorenzo, piangen-do come un ragazzo? – pur troppo! ho avuto sempre ache fare con de' tristi; e se alle volte ho incontrato unapersona dabbene ho dovuto sempre compiangerla. Ad-dio, addio.

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16 Ottobre

Or via, non se ne parli più: la burrasca pare abbonac-ciata; se tornerà il pericolo, rassicurati, tenterò ogni viadi scamparne. Del resto io vivo tranquillo; per quanto sipuò tranquillo. Non vedo persona del mondo: vo semprevagando per la campagna; ma a dirti il vero penso, e mirodo. Mandami qualche libro.

Che fa Lauretta? povera fanciulla! io l'ho lasciata fuo-ri di sé. Bella e giovine ancora, ha pur inferma la ragio-ne; e il cuore infelice infelicissimo. Io non l'ho amata;ma fosse compassione o riconoscenza per avere ellascelto me solo consolatore del suo stato, versandomi nelpetto tutta la sua anima e i suoi errori e i suoi martirj –davvero ch'io l'avrei fatta volentieri compagna di tutta lamia vita. La sorte non ha voluto; meglio così, forse. Ellaamava Eugenio, e l'è morto fra le braccia. Suo padre e isuoi fratelli hanno dovuto fuggire la loro patria, e quellapovera famiglia destituta di ogni umano soccorso è re-stata a vivere, chi sa come! di pianto. Eccoti, o Libertà,un'altra vittima. Sai ch'io ti scrivo, o Lorenzo, piangen-do come un ragazzo? – pur troppo! ho avuto sempre ache fare con de' tristi; e se alle volte ho incontrato unapersona dabbene ho dovuto sempre compiangerla. Ad-dio, addio.

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18 Ottobre

Michele mi ha recato il Plutarco, e te ne ringrazio. Midisse che con altra occasione m'invierai qualche altro li-bro; per ora basta. Col divino Plutarco potrò consolarmide' delitti e delle sciagure dell'umanità volgendo gli oc-chi ai pochi illustri che quasi primati dell'umano generesovrastano a tanti secoli e a tante genti. Temo per altroche spogliandoli della magnificenza storica e della rive-renza per l'antichità, non avrò assai da lodarmi né degliantichi, né de' moderni, né di me stesso – umana razza!

23 Ottobre

Se m'è dato lo sperare mai pace, l'ho trovata, o Loren-zo. Il parroco, il medico, e tutti gli oscuri mortali di que-sto cantuccio della terra mi conoscono sin da fanciullo emi amano. Quantunque io viva fuggiasco, mi vengonotutti d'intorno quasi volessero mansuefare una fiera ge-nerosa e selvatica. Per ora io lascio correre. Veramentenon ho avuto tanto bene dagli uomini da fidarmene cosìalle prime: ma quel menare la vita del tiranno che fremee trema d'essere scannato a ogni minuto mi pare un ago-nizzare in una morte lenta, obbrobriosa. Io seggo conessi a mezzodì sotto il platano della chiesa leggendoloro le vite di Licurgo e di Timoleone. Domenica mis'erano affollati intorno tutti i contadini, che, quantun-que non comprendessero affatto, stavano ascoltandomi abocca aperta. Credo che il desiderio di sapere e ridire la

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18 Ottobre

Michele mi ha recato il Plutarco, e te ne ringrazio. Midisse che con altra occasione m'invierai qualche altro li-bro; per ora basta. Col divino Plutarco potrò consolarmide' delitti e delle sciagure dell'umanità volgendo gli oc-chi ai pochi illustri che quasi primati dell'umano generesovrastano a tanti secoli e a tante genti. Temo per altroche spogliandoli della magnificenza storica e della rive-renza per l'antichità, non avrò assai da lodarmi né degliantichi, né de' moderni, né di me stesso – umana razza!

23 Ottobre

Se m'è dato lo sperare mai pace, l'ho trovata, o Loren-zo. Il parroco, il medico, e tutti gli oscuri mortali di que-sto cantuccio della terra mi conoscono sin da fanciullo emi amano. Quantunque io viva fuggiasco, mi vengonotutti d'intorno quasi volessero mansuefare una fiera ge-nerosa e selvatica. Per ora io lascio correre. Veramentenon ho avuto tanto bene dagli uomini da fidarmene cosìalle prime: ma quel menare la vita del tiranno che fremee trema d'essere scannato a ogni minuto mi pare un ago-nizzare in una morte lenta, obbrobriosa. Io seggo conessi a mezzodì sotto il platano della chiesa leggendoloro le vite di Licurgo e di Timoleone. Domenica mis'erano affollati intorno tutti i contadini, che, quantun-que non comprendessero affatto, stavano ascoltandomi abocca aperta. Credo che il desiderio di sapere e ridire la

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storia de' tempi andati sia figlio del nostro amor proprioche vorrebbe illudersi e prolungare la vita unendoci agliuomini ed alle cose che non sono più, e facendole, stoper dire, di nostra proprietà. Ama la immaginazione dispaziare fra i secoli e di possedere un altro universo.Con che passione un vecchio lavoratore mi narrava sta-mattina la vita de' parrochi della villa viventi nella suafanciullezza, e mi descriveva i danni della tempesta ditrentasett'anni addietro, e i tempi dell'abbondanza, equei della fame, rompendo il filo ogni tanto, ripigliando-lo, e scusandosi dell'infedeltà! Così mi riesce di dimen-ticarmi ch'io vivo.

È venuto a visitarmi il signore T*** che tu conoscestia Padova. Mi disse che spesso gli parlavi di me, e chejer l'altro glien'hai scritto. Anche egli s'è ridotto in cam-pagna per evitare i primi furori del volgo, quantunque adir vero non siasi molto ingerito ne' pubblici affari. Ion'aveva inteso parlare come d'uomo di colto ingegno edi somma onestà: doti temute in passato, ma adesso nonpossedute impunemente. Ha tratto cortese, fisonomia li-berale, e parla col cuore. V'era con lui un tale; credo, losposo promesso di sua figlia. Sarà forse un bravo e buo-no giovine; ma la sua faccia non dice nulla. Buona not-te.

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storia de' tempi andati sia figlio del nostro amor proprioche vorrebbe illudersi e prolungare la vita unendoci agliuomini ed alle cose che non sono più, e facendole, stoper dire, di nostra proprietà. Ama la immaginazione dispaziare fra i secoli e di possedere un altro universo.Con che passione un vecchio lavoratore mi narrava sta-mattina la vita de' parrochi della villa viventi nella suafanciullezza, e mi descriveva i danni della tempesta ditrentasett'anni addietro, e i tempi dell'abbondanza, equei della fame, rompendo il filo ogni tanto, ripigliando-lo, e scusandosi dell'infedeltà! Così mi riesce di dimen-ticarmi ch'io vivo.

È venuto a visitarmi il signore T*** che tu conoscestia Padova. Mi disse che spesso gli parlavi di me, e chejer l'altro glien'hai scritto. Anche egli s'è ridotto in cam-pagna per evitare i primi furori del volgo, quantunque adir vero non siasi molto ingerito ne' pubblici affari. Ion'aveva inteso parlare come d'uomo di colto ingegno edi somma onestà: doti temute in passato, ma adesso nonpossedute impunemente. Ha tratto cortese, fisonomia li-berale, e parla col cuore. V'era con lui un tale; credo, losposo promesso di sua figlia. Sarà forse un bravo e buo-no giovine; ma la sua faccia non dice nulla. Buona not-te.

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24 Ottobre

L'ho pur una volta afferrato nel collo quel ribaldocontadinello che dava il guasto al nostro orto, tagliandoe rompendo tutto quello che non poteva rubare. Egli erasopra un pesco, io sotto una pergola: scavezzava allegra-mente i rami ancora verdi perché di frutta non ve ne era-no più: appena l'ebbi fra le ugne, cominciò a gridare:Misericordia! Mi confessò che da più settimane faceaquello sciagurato mestiere perché il fratello dell'ortolanoaveva qualche mese addietro rubato un sacco di fave asuo padre. – E tuo padre t'insegna a rubare? – In fedemia, signor mio, fanno tutti così. – L'ho lasciato andare,e scavalcando una siepe io gridava: Ecco la società inminiatura; tutti così.

26 Ottobre

La ho veduta, o Lorenzo, la divina fanciulla; e te neringrazio. La trovai seduta miniando il proprio ritratto.Si rizzò salutandomi come s'ella mi conoscesse, e ordi-nò a un servitore che andasse a cercar di suo padre. Eglinon si sperava, mi diss'ella, che voi sareste venuto; saràper la campagna; né starà molto a tornare. Una ragazzi-na le corse fra le ginocchia dicendole non so cheall'orecchio. È un amico di Lorenzo, le rispose Teresa, èquello che il babbo andò a trovare l'altr'jeri. Tornò frat-tanto il signor T***: m'accoglieva famigliarmente, rin-graziandomi che io mi fossi sovvenuto di lui. Teresa in-

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24 Ottobre

L'ho pur una volta afferrato nel collo quel ribaldocontadinello che dava il guasto al nostro orto, tagliandoe rompendo tutto quello che non poteva rubare. Egli erasopra un pesco, io sotto una pergola: scavezzava allegra-mente i rami ancora verdi perché di frutta non ve ne era-no più: appena l'ebbi fra le ugne, cominciò a gridare:Misericordia! Mi confessò che da più settimane faceaquello sciagurato mestiere perché il fratello dell'ortolanoaveva qualche mese addietro rubato un sacco di fave asuo padre. – E tuo padre t'insegna a rubare? – In fedemia, signor mio, fanno tutti così. – L'ho lasciato andare,e scavalcando una siepe io gridava: Ecco la società inminiatura; tutti così.

26 Ottobre

La ho veduta, o Lorenzo, la divina fanciulla; e te neringrazio. La trovai seduta miniando il proprio ritratto.Si rizzò salutandomi come s'ella mi conoscesse, e ordi-nò a un servitore che andasse a cercar di suo padre. Eglinon si sperava, mi diss'ella, che voi sareste venuto; saràper la campagna; né starà molto a tornare. Una ragazzi-na le corse fra le ginocchia dicendole non so cheall'orecchio. È un amico di Lorenzo, le rispose Teresa, èquello che il babbo andò a trovare l'altr'jeri. Tornò frat-tanto il signor T***: m'accoglieva famigliarmente, rin-graziandomi che io mi fossi sovvenuto di lui. Teresa in-

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tanto, prendendo per mano la sua sorellina, partiva. Ve-dete, mi diss'egli, additandomi le sue figliuole che usci-vano dalla stanza; eccoci tutti. Proferì, parmi, queste pa-role come se volesse farmi sentire che gli mancava suamoglie. Non la nominò. Si ciarlò lunga pezza. Mentr'iostava per congedarmi, tornò Teresa: Non siamo tantolontani, mi disse; venite qualche sera a veglia con noi.

Io tornava a casa col cuore in festa. – Che? lo spetta-colo della bellezza basta forse ad addormentare in noitristi mortali tutti i dolori? vedi per me una sorgente divita: unica certo, e chi sa! fatale. Ma se io sono predesti-nato ad avere l'anima perpetuamente in tempesta, non ètutt'uno?

28 Ottobre

Taci, taci: – vi sono de' giorni ch'io non posso fidarmidi me: un demone mi arde, mi agita, mi divora. Forse iomi reputo molto; ma e' mi pare impossibile che la nostrapatria sia così conculcata mentre ci resta ancora unavita. Che facciam noi tutti i giorni vivendo e querelan-doci? insomma non parlarmene più, ti scongiuro. Nar-randomi le nostre tante miserie mi rinfacci tu forse per-ché io mi sto qui neghittoso? e non t'avvedi che tu mistrazi fra mille martirj? Oh! se il tiranno fosse uno solo,e i servi fossero meno stupidi, la mia mano basterebbe.Ma chi mi biasima or di viltà, m'accuserebbe allor di de-litto; e il savio stesso compiangerebbe in me, anziché il

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tanto, prendendo per mano la sua sorellina, partiva. Ve-dete, mi diss'egli, additandomi le sue figliuole che usci-vano dalla stanza; eccoci tutti. Proferì, parmi, queste pa-role come se volesse farmi sentire che gli mancava suamoglie. Non la nominò. Si ciarlò lunga pezza. Mentr'iostava per congedarmi, tornò Teresa: Non siamo tantolontani, mi disse; venite qualche sera a veglia con noi.

Io tornava a casa col cuore in festa. – Che? lo spetta-colo della bellezza basta forse ad addormentare in noitristi mortali tutti i dolori? vedi per me una sorgente divita: unica certo, e chi sa! fatale. Ma se io sono predesti-nato ad avere l'anima perpetuamente in tempesta, non ètutt'uno?

28 Ottobre

Taci, taci: – vi sono de' giorni ch'io non posso fidarmidi me: un demone mi arde, mi agita, mi divora. Forse iomi reputo molto; ma e' mi pare impossibile che la nostrapatria sia così conculcata mentre ci resta ancora unavita. Che facciam noi tutti i giorni vivendo e querelan-doci? insomma non parlarmene più, ti scongiuro. Nar-randomi le nostre tante miserie mi rinfacci tu forse per-ché io mi sto qui neghittoso? e non t'avvedi che tu mistrazi fra mille martirj? Oh! se il tiranno fosse uno solo,e i servi fossero meno stupidi, la mia mano basterebbe.Ma chi mi biasima or di viltà, m'accuserebbe allor di de-litto; e il savio stesso compiangerebbe in me, anziché il

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consiglio del forte, il furore del forsennato. Che vuoi tuimprendere fra due potenti nazioni che nemiche giurate,feroci, eterne, si collegano soltanto per incepparci? edove la loro forza non vale, gli uni c'ingannano conl'entusiasmo di libertà, gli altri col fanatismo di religio-ne: e noi tutti guasti dall'antico servaggio e dalla nuovalicenza, gemiamo vili schiavi, traditi, affamati, e nonprovocati mai né dal tradimento, né dalla fame. – Ahi,se potessi, seppellirei la mia casa, i miei più cari e mestesso per non lasciar nulla nulla che potesse inorgoglirecostoro della loro onnipotenza e della mia servitù! E' vifurono de' popoli che per non obbedire a' Romani ladro-ni del mondo, diedero all'incendio le loro case, le loromogli, i loro figli e sé medesimi, sotterrando fra le glo-riose ruine e le ceneri della loro patria la lor sacra indi-pendenza.

1 Novembre

Io sto bene, bene per ora come un infermo che dormee non sente i dolori; e mi passano gl'interi giorni in casadel signore T*** che mi ama come figliuolo: mi lascioilludere, e l'apparente felicità di quella famiglia mi sem-bra reale, e mi sembra anche mia. Se nondimeno non vifosse quello sposo, perché davvero – io non odio perso-na del mondo, ma vi sono cert'uomini ch'io ho bisognodi vedere soltanto da lontano. – Suo suocero me n'anda-va tessendo jer sera un lungo elogio in forma di com-

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consiglio del forte, il furore del forsennato. Che vuoi tuimprendere fra due potenti nazioni che nemiche giurate,feroci, eterne, si collegano soltanto per incepparci? edove la loro forza non vale, gli uni c'ingannano conl'entusiasmo di libertà, gli altri col fanatismo di religio-ne: e noi tutti guasti dall'antico servaggio e dalla nuovalicenza, gemiamo vili schiavi, traditi, affamati, e nonprovocati mai né dal tradimento, né dalla fame. – Ahi,se potessi, seppellirei la mia casa, i miei più cari e mestesso per non lasciar nulla nulla che potesse inorgoglirecostoro della loro onnipotenza e della mia servitù! E' vifurono de' popoli che per non obbedire a' Romani ladro-ni del mondo, diedero all'incendio le loro case, le loromogli, i loro figli e sé medesimi, sotterrando fra le glo-riose ruine e le ceneri della loro patria la lor sacra indi-pendenza.

1 Novembre

Io sto bene, bene per ora come un infermo che dormee non sente i dolori; e mi passano gl'interi giorni in casadel signore T*** che mi ama come figliuolo: mi lascioilludere, e l'apparente felicità di quella famiglia mi sem-bra reale, e mi sembra anche mia. Se nondimeno non vifosse quello sposo, perché davvero – io non odio perso-na del mondo, ma vi sono cert'uomini ch'io ho bisognodi vedere soltanto da lontano. – Suo suocero me n'anda-va tessendo jer sera un lungo elogio in forma di com-

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mendatizia: buono – esatto – paziente! e niente altro?possedesse queste doti con angelica perfezione, s'egliavrà il cuore sempre così morto, e quella faccia magi-strale non animata mai né dal sorriso dell'allegria, né daldolce silenzio della pietà, sarà per me un di que' rosajsenza fiori che mi fanno temere le spine. Cos'è l'uomose tu lo abbandoni alla sola ragione fredda, calcolatrice?scellerato, e scellerato bassamente. – Del resto, Odoardosa di musica; giuoca bene a scacchi; mangia, legge, dor-me, passeggia, e tutto con l'oriuolo alla mano; e non par-la con enfasi se non per magnificare tuttavia la sua riccae scelta biblioteca. Ma quando egli mi va ripetendo conquella sua voce cattedratica, ricca e scelta, io sto lì lìper dargli una solenne smentita. Se le umane frenesieche col nome di scienze e di dottrine si sono iscritte estampate in tutti i secoli, e da tutte le genti, si riducesse-ro a un migliajo di volumi al più, e' mi pare che la pre-sunzione de' mortali non avrebbe da lagnarsi – e viasempre con queste dissertazioni.

Frattanto ho preso a educare la sorellina di Teresa: leinsegno a leggere e a scrivere. Quand'io sto con lei, lamia fisonomia si va rasserenando, il mio cuore è piùgajo che mai, ed io fo mille ragazzate. Non so perché,tutti i fanciulli mi vogliono bene. E quella ragazzetta èpur cara! bionda e ricciuta, occhi azzurri, guance parialle rose, fresca, candida, paffutella, pare una Grazia diquattr'anni. Se tu la vedessi corrermi incontro, aggrap-parmisi alle ginocchia, fuggirmi perch'io la siegua, ne-garmi un bacio e poi improvvisamente attaccarmi que'

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mendatizia: buono – esatto – paziente! e niente altro?possedesse queste doti con angelica perfezione, s'egliavrà il cuore sempre così morto, e quella faccia magi-strale non animata mai né dal sorriso dell'allegria, né daldolce silenzio della pietà, sarà per me un di que' rosajsenza fiori che mi fanno temere le spine. Cos'è l'uomose tu lo abbandoni alla sola ragione fredda, calcolatrice?scellerato, e scellerato bassamente. – Del resto, Odoardosa di musica; giuoca bene a scacchi; mangia, legge, dor-me, passeggia, e tutto con l'oriuolo alla mano; e non par-la con enfasi se non per magnificare tuttavia la sua riccae scelta biblioteca. Ma quando egli mi va ripetendo conquella sua voce cattedratica, ricca e scelta, io sto lì lìper dargli una solenne smentita. Se le umane frenesieche col nome di scienze e di dottrine si sono iscritte estampate in tutti i secoli, e da tutte le genti, si riducesse-ro a un migliajo di volumi al più, e' mi pare che la pre-sunzione de' mortali non avrebbe da lagnarsi – e viasempre con queste dissertazioni.

Frattanto ho preso a educare la sorellina di Teresa: leinsegno a leggere e a scrivere. Quand'io sto con lei, lamia fisonomia si va rasserenando, il mio cuore è piùgajo che mai, ed io fo mille ragazzate. Non so perché,tutti i fanciulli mi vogliono bene. E quella ragazzetta èpur cara! bionda e ricciuta, occhi azzurri, guance parialle rose, fresca, candida, paffutella, pare una Grazia diquattr'anni. Se tu la vedessi corrermi incontro, aggrap-parmisi alle ginocchia, fuggirmi perch'io la siegua, ne-garmi un bacio e poi improvvisamente attaccarmi que'

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suoi labbruzzi alla bocca! Oggi io mi stava su la cima diun albero a cogliere le frutta: quella creaturina tendevale braccia, e balbettando pregavami che per carità noncascassi. Che bell'autunno! addio Plutarco! sta semprechiuso sotto il mio braccio. Sono tre giorni ch'io perdola mattina a colmare un canestro d'uva e di pesche, ch'iocopro di foglie, avviandomi poi lungo il fiumicello, egiunto alla villa, desto una famiglia cantando la canzo-netta della vendemmia.

12 Novembre

Jeri giorno di festa abbiamo con solennità trapiantatoi pini delle vicine collinette sul monte rimpetto la chie-sa. Mio padre pure tentava di fecondare quello sterilemonticello; ma i cipressi ch'esso vi pose non hanno maipotuto allignare, e i pini sono ancor giovinetti. Assistitoio da parecchi lavoratori ho coronato la vetta, onde ca-sca l'acqua, di cinque pioppi, ombreggiando la costaorientale di un folto boschetto che sarà il primo salutatodal Sole quando splendidamente comparirà dalle Cimede' monti. E jeri appunto il Sole più sereno del solito ri-scaldava l'aria irrigidita dalla nebbia del morente autun-no. Le villanelle vennero sul mezzodì co' loro grembiulidi festa intrecciando i giuochi e le danze di canzonette edi brindisi. Tale di esse era la sposa novella, tale la fi-gliuola, e tal altra la innamorata di alcuno de' lavoratori;e tu sai che i nostri contadini sogliono, allorché si tra-

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suoi labbruzzi alla bocca! Oggi io mi stava su la cima diun albero a cogliere le frutta: quella creaturina tendevale braccia, e balbettando pregavami che per carità noncascassi. Che bell'autunno! addio Plutarco! sta semprechiuso sotto il mio braccio. Sono tre giorni ch'io perdola mattina a colmare un canestro d'uva e di pesche, ch'iocopro di foglie, avviandomi poi lungo il fiumicello, egiunto alla villa, desto una famiglia cantando la canzo-netta della vendemmia.

12 Novembre

Jeri giorno di festa abbiamo con solennità trapiantatoi pini delle vicine collinette sul monte rimpetto la chie-sa. Mio padre pure tentava di fecondare quello sterilemonticello; ma i cipressi ch'esso vi pose non hanno maipotuto allignare, e i pini sono ancor giovinetti. Assistitoio da parecchi lavoratori ho coronato la vetta, onde ca-sca l'acqua, di cinque pioppi, ombreggiando la costaorientale di un folto boschetto che sarà il primo salutatodal Sole quando splendidamente comparirà dalle Cimede' monti. E jeri appunto il Sole più sereno del solito ri-scaldava l'aria irrigidita dalla nebbia del morente autun-no. Le villanelle vennero sul mezzodì co' loro grembiulidi festa intrecciando i giuochi e le danze di canzonette edi brindisi. Tale di esse era la sposa novella, tale la fi-gliuola, e tal altra la innamorata di alcuno de' lavoratori;e tu sai che i nostri contadini sogliono, allorché si tra-

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pianta, convertire la fatica in piacere, credendo per anti-ca tradizione de' loro avi e bisavi che senza il giolito de'bicchieri gli alberi non possano mettere salda radice nel-la terra straniera. – Frattanto io mi vagheggiava nel lon-tano avvenire un pari giorno di verno quando canuto mitrarrò passo passo sul mio bastoncello a confortarmi a'raggi del Sole, sì caro a' vecchi: salutando, mentre usci-ranno dalla chiesa, i curvi villani già miei compagni ne'dì che la gioventù rinvigoriva le nostre membra; e com-piacendomi delle frutta che, benché tarde, avranno pro-dotti gli alberi piantati dal padre mio. Conterò allora confioca voce le nostre umili storie a' miei e a' tuoi nepoti-ni, o a quei di Teresa che mi scherzeranno dattorno. Equando le ossa mie fredde dormiranno sotto quel bo-schetto alloramai ricco ed ombroso, forse nelle sered'estate al patetico susurrar delle fronde si uniranno i so-spiri degli antichi padri della villa, i quali al suono dellacampana de' morti1 pregheranno pace allo spiritodell'uomo dabbene e raccomanderanno la sua memoriaai lor figli. E se talvolta lo stanco mietitore verrà a risto-rarsi dall'arsura di giugno, esclamerà guardando la miafossa: Egli egli innalzò queste fresche ombre ospitali! –O illusioni! e chi non ha patria, come può dire lascieròqua o là le mie ceneri?

O fortunati! e ciascuno era certo

1 “Chiamata dai contadini la campana del De profundis, per-ché mentre suona, sogliono recitare questo salmo per le anime deitrapassati.”

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pianta, convertire la fatica in piacere, credendo per anti-ca tradizione de' loro avi e bisavi che senza il giolito de'bicchieri gli alberi non possano mettere salda radice nel-la terra straniera. – Frattanto io mi vagheggiava nel lon-tano avvenire un pari giorno di verno quando canuto mitrarrò passo passo sul mio bastoncello a confortarmi a'raggi del Sole, sì caro a' vecchi: salutando, mentre usci-ranno dalla chiesa, i curvi villani già miei compagni ne'dì che la gioventù rinvigoriva le nostre membra; e com-piacendomi delle frutta che, benché tarde, avranno pro-dotti gli alberi piantati dal padre mio. Conterò allora confioca voce le nostre umili storie a' miei e a' tuoi nepoti-ni, o a quei di Teresa che mi scherzeranno dattorno. Equando le ossa mie fredde dormiranno sotto quel bo-schetto alloramai ricco ed ombroso, forse nelle sered'estate al patetico susurrar delle fronde si uniranno i so-spiri degli antichi padri della villa, i quali al suono dellacampana de' morti1 pregheranno pace allo spiritodell'uomo dabbene e raccomanderanno la sua memoriaai lor figli. E se talvolta lo stanco mietitore verrà a risto-rarsi dall'arsura di giugno, esclamerà guardando la miafossa: Egli egli innalzò queste fresche ombre ospitali! –O illusioni! e chi non ha patria, come può dire lascieròqua o là le mie ceneri?

O fortunati! e ciascuno era certo

1 “Chiamata dai contadini la campana del De profundis, per-ché mentre suona, sogliono recitare questo salmo per le anime deitrapassati.”

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Della sua sepoltura; ed ancor nulloEra, per Francia, talamo deserto.

Dante, Paradiso, XV.

20 Novembre

Più volte incominciai questa lettera: ma la faccendaandava assai per le lunghe; e la bella giornata, la pro-messa di trovarmi alla villa per tempo, e la solitudine –ridi? – L'altr'jeri, e jeri mi svegliava proponendo di scri-verti; e senza accorgermi, mi trovava fuori di casa.

Piove, grandina, fulmina: penso di rassegnarmi allanecessità, e di giovarmi di questa giornata d'inferno,scrivendoti. – Sei o sette giorni addietro s'è iti in pelle-grinaggio. Io ho veduto la Natura più bella che mai. Te-resa, suo padre, Odoardo, la piccola Isabellina, ed io sia-mo andati a visitare la casa del Petrarca in Arquà. Arquàè discosto, come tu sai, quattro miglia dalla mia casa;ma per più accorciare il cammino prendemmo la viadell'erta. S'apriva appena il più bel giorno d'autunno. Pa-rea che Notte seguìta dalle tenebre e dalle stelle fuggissedal Sole, che uscia nel suo immenso splendore dallenubi d'oriente, quasi dominatore dell'universo; e l'uni-verso sorridea. Le nuvole dorate e dipinte a mille colorisalivano su la volta del cielo che tutto sereno mostravaquasi di schiudersi per diffondere sovra i mortali le curedella Divinità. Io salutava a ogni passo la famiglia de'fiori e dell'erbe che a poco a poco alzavano il capo chi-

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Della sua sepoltura; ed ancor nulloEra, per Francia, talamo deserto.

Dante, Paradiso, XV.

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Più volte incominciai questa lettera: ma la faccendaandava assai per le lunghe; e la bella giornata, la pro-messa di trovarmi alla villa per tempo, e la solitudine –ridi? – L'altr'jeri, e jeri mi svegliava proponendo di scri-verti; e senza accorgermi, mi trovava fuori di casa.

Piove, grandina, fulmina: penso di rassegnarmi allanecessità, e di giovarmi di questa giornata d'inferno,scrivendoti. – Sei o sette giorni addietro s'è iti in pelle-grinaggio. Io ho veduto la Natura più bella che mai. Te-resa, suo padre, Odoardo, la piccola Isabellina, ed io sia-mo andati a visitare la casa del Petrarca in Arquà. Arquàè discosto, come tu sai, quattro miglia dalla mia casa;ma per più accorciare il cammino prendemmo la viadell'erta. S'apriva appena il più bel giorno d'autunno. Pa-rea che Notte seguìta dalle tenebre e dalle stelle fuggissedal Sole, che uscia nel suo immenso splendore dallenubi d'oriente, quasi dominatore dell'universo; e l'uni-verso sorridea. Le nuvole dorate e dipinte a mille colorisalivano su la volta del cielo che tutto sereno mostravaquasi di schiudersi per diffondere sovra i mortali le curedella Divinità. Io salutava a ogni passo la famiglia de'fiori e dell'erbe che a poco a poco alzavano il capo chi-

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nato dalla brina. Gli alberi susurrando soavemente, fa-ceano tremolare contro la luce le gocce trasparenti dellarugiada; mentre i venti dell'aurora rasciugavano il sover-chio umore alle piante. Avresti udito una solenne armo-nia spandersi confusamente fra le selve, gli augelli, gliarmenti, i fiumi, e le fatiche degli uomini: e intanto spi-rava l'aria profumata delle esalazioni che la terra esul-tante di piacere mandava dalle valli e da' monti al Sole,ministro maggiore della Natura. – Io compiango lo scia-gurato che può destarsi muto, freddo e guardare tanti be-neficj senza sentirsi gli occhi bagnati dalle lagrime dellariconoscenza. Allora ho veduto Teresa nel più bell'appa-rato delle sue grazie. Il suo aspetto per lo più sparso diuna dolce malinconia, si andava animando di una giojaschietta, viva, che le usciva dal cuore; la sua voce erasoffocata; i suoi grandi occhi neri aperti prima nell'esta-si, si inumidivano poscia a poco a poco: tutte le sue po-tenze parevano invase dalla sacra beltà della campagna.In tanta piena di affetti le anime si schiudono per versar-li nell'altrui petto: ed ella si volgeva a Odoardo. EternoIddio! parea ch'egli andasse tentone fra le tenebre dellanotte, o ne' deserti abbandonati dalla benedizione dellaNatura. Lo lasciò tutto a un tratto, e s'appoggiò al miobraccio, dicendomi – ma, Lorenzo! per quanto mi studidi continuare, conviene pur ch'io mi taccia. Se potessidipingerti la sua pronunzia, i suoi gesti, la melodia dellasua voce, la sua celeste fisonomia, o ricopiar nonfoss'altro le sue parole senza cangiarne o traslocarne sil-laba, certo che tu mi sapresti grado; diversamente, rin-

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nato dalla brina. Gli alberi susurrando soavemente, fa-ceano tremolare contro la luce le gocce trasparenti dellarugiada; mentre i venti dell'aurora rasciugavano il sover-chio umore alle piante. Avresti udito una solenne armo-nia spandersi confusamente fra le selve, gli augelli, gliarmenti, i fiumi, e le fatiche degli uomini: e intanto spi-rava l'aria profumata delle esalazioni che la terra esul-tante di piacere mandava dalle valli e da' monti al Sole,ministro maggiore della Natura. – Io compiango lo scia-gurato che può destarsi muto, freddo e guardare tanti be-neficj senza sentirsi gli occhi bagnati dalle lagrime dellariconoscenza. Allora ho veduto Teresa nel più bell'appa-rato delle sue grazie. Il suo aspetto per lo più sparso diuna dolce malinconia, si andava animando di una giojaschietta, viva, che le usciva dal cuore; la sua voce erasoffocata; i suoi grandi occhi neri aperti prima nell'esta-si, si inumidivano poscia a poco a poco: tutte le sue po-tenze parevano invase dalla sacra beltà della campagna.In tanta piena di affetti le anime si schiudono per versar-li nell'altrui petto: ed ella si volgeva a Odoardo. EternoIddio! parea ch'egli andasse tentone fra le tenebre dellanotte, o ne' deserti abbandonati dalla benedizione dellaNatura. Lo lasciò tutto a un tratto, e s'appoggiò al miobraccio, dicendomi – ma, Lorenzo! per quanto mi studidi continuare, conviene pur ch'io mi taccia. Se potessidipingerti la sua pronunzia, i suoi gesti, la melodia dellasua voce, la sua celeste fisonomia, o ricopiar nonfoss'altro le sue parole senza cangiarne o traslocarne sil-laba, certo che tu mi sapresti grado; diversamente, rin-

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cresco persino a me stesso. Che giova copiare imperfet-tamente un inimitabile quadro, la cui fama soltanto la-scia più senso che la sua misera copia? E non ti parech'io somigli i poeti traduttori d'Omero? Giacché tu vedich'io non mi affatico, che per annacquare il sentimentoche m'infiamma e stemprarlo in un languido fraseggia-mento.

Lorenzo, ne sono stanco; il rimanente del mio raccon-to, domani: il vento imperversa; tuttavolta vo' tentare ilcammino; saluterò Teresa in tuo nome.

Per dio! e' m'è forza di proseguire la lettera: su l'usciodella casa ci è un pantano d'acqua che mi contrasta ilpasso: potrei varcarlo d'un salto; e poi? la pioggia noncessa: mezzogiorno è passato, e mancano poche ore allanotte che minaccia la fine del mondo. Per oggi, giornoperduto, o Teresa. –

Non sono felice! mi disse Teresa; e con questa parolami strappò il cuore. Io camminava al suo fianco in unprofondo silenzio. Odoardo raggiunse il padre di Teresa;e ci precedevano chiacchierando. La lsabellina ci teneadietro in braccio all'ortolano. Non sono felice! – io ave-va concepito tutto il terribile significato di queste paro-le, e gemeva dentro l'anima, veggendomi innanzi la vit-tima che doveva sacrificarsi a' pregiudizi ed all'interes-se. Teresa, avvedutasi della mia taciturnità, cambiòvoce, e tentò di sorridere: Qualche cara memoria, midiss'ella – ma chinò subito gli occhi – Io non m'attentaidi rispondere.

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cresco persino a me stesso. Che giova copiare imperfet-tamente un inimitabile quadro, la cui fama soltanto la-scia più senso che la sua misera copia? E non ti parech'io somigli i poeti traduttori d'Omero? Giacché tu vedich'io non mi affatico, che per annacquare il sentimentoche m'infiamma e stemprarlo in un languido fraseggia-mento.

Lorenzo, ne sono stanco; il rimanente del mio raccon-to, domani: il vento imperversa; tuttavolta vo' tentare ilcammino; saluterò Teresa in tuo nome.

Per dio! e' m'è forza di proseguire la lettera: su l'usciodella casa ci è un pantano d'acqua che mi contrasta ilpasso: potrei varcarlo d'un salto; e poi? la pioggia noncessa: mezzogiorno è passato, e mancano poche ore allanotte che minaccia la fine del mondo. Per oggi, giornoperduto, o Teresa. –

Non sono felice! mi disse Teresa; e con questa parolami strappò il cuore. Io camminava al suo fianco in unprofondo silenzio. Odoardo raggiunse il padre di Teresa;e ci precedevano chiacchierando. La lsabellina ci teneadietro in braccio all'ortolano. Non sono felice! – io ave-va concepito tutto il terribile significato di queste paro-le, e gemeva dentro l'anima, veggendomi innanzi la vit-tima che doveva sacrificarsi a' pregiudizi ed all'interes-se. Teresa, avvedutasi della mia taciturnità, cambiòvoce, e tentò di sorridere: Qualche cara memoria, midiss'ella – ma chinò subito gli occhi – Io non m'attentaidi rispondere.

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Eravamo già presso ad Arquà, e scendendo per l'erbo-so pendio, andavano sfumando e perdendosi all'occhio ipaeselli che dianzi si vedeano dispersi per le valli sog-gette. Ci siamo finalmente trovati a un viale cinto da unlato di pioppi che tremolando lasciavano cadere sul no-stro capo le foglie più giallicce, e adombrato dall'altraparte d'altissime querce, che con la loro opacità silenzio-sa faceano contrapposto a quell'ameno verde de' pioppi.Tratto tratto le due file d'alberi opposti erano congiunteda varij rami di vite selvatica, i quali incurvandosi for-mavano altrettanti festoni mollemente agitati dal ventodel mattino. Teresa allora soffermandosi e guardandod'intorno: Oh quante volte, proruppe, mi sono adagiatasu queste erbe e sotto l'ombra freschissima di questequerce! io ci veniva sovente la state passata con mia ma-dre. Tacque e si rivoltò addietro dicendo di volere aspet-tare la Isabellina che si era un po' dilungata da noi; maio sospettai ch'ella m'avesse lasciato per nascondere lelagrime che le innondavano gli occhi, e che forse nonpoteva più rattenere. Ma, e perché, le diss'io, perché mainon è qui vostra madre? – Da più settimane vive in Pa-dova con sua sorella; vive divisa da noi e forse per sem-pre! Mio padre l'amava: ma da ch'ei s'è pur ostinato avolermi dare un marito ch'io non posso amare, la con-cordia è sparita dalla nostra famiglia. La povera madremia dopo d'avere contraddetto invano a questo matrimo-nio, s'è allontanata per non aver parte alla mia necessa-ria infelicità. Io intanto sono abbandonata da tutti! hopromesso a mio padre, e non voglio disubbidirlo – ma e

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Eravamo già presso ad Arquà, e scendendo per l'erbo-so pendio, andavano sfumando e perdendosi all'occhio ipaeselli che dianzi si vedeano dispersi per le valli sog-gette. Ci siamo finalmente trovati a un viale cinto da unlato di pioppi che tremolando lasciavano cadere sul no-stro capo le foglie più giallicce, e adombrato dall'altraparte d'altissime querce, che con la loro opacità silenzio-sa faceano contrapposto a quell'ameno verde de' pioppi.Tratto tratto le due file d'alberi opposti erano congiunteda varij rami di vite selvatica, i quali incurvandosi for-mavano altrettanti festoni mollemente agitati dal ventodel mattino. Teresa allora soffermandosi e guardandod'intorno: Oh quante volte, proruppe, mi sono adagiatasu queste erbe e sotto l'ombra freschissima di questequerce! io ci veniva sovente la state passata con mia ma-dre. Tacque e si rivoltò addietro dicendo di volere aspet-tare la Isabellina che si era un po' dilungata da noi; maio sospettai ch'ella m'avesse lasciato per nascondere lelagrime che le innondavano gli occhi, e che forse nonpoteva più rattenere. Ma, e perché, le diss'io, perché mainon è qui vostra madre? – Da più settimane vive in Pa-dova con sua sorella; vive divisa da noi e forse per sem-pre! Mio padre l'amava: ma da ch'ei s'è pur ostinato avolermi dare un marito ch'io non posso amare, la con-cordia è sparita dalla nostra famiglia. La povera madremia dopo d'avere contraddetto invano a questo matrimo-nio, s'è allontanata per non aver parte alla mia necessa-ria infelicità. Io intanto sono abbandonata da tutti! hopromesso a mio padre, e non voglio disubbidirlo – ma e

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mi duole ancor più, che per mia cagione la nostra fami-glia sia così disunita – per me, pazienza! – E a questaparola, le lagrime le piovevano dagli occhi. Perdonate,soggiunse, io aveva bisogno di sfogare questo mio cuoreangosciato. Non posso né scrivere a mia madre né averesue lettere mai. Mio padre fiero e assoluto nelle sue ri-soluzioni non vuole sentirsela nominare; egli mi va tut-tavia replicando, che la è la sua e la mia peggiore nemi-ca. Pur sento che non amo, non amerò mai questo sposocol quale è già decretato – immagina, o Lorenzo, in quelmomento il mio stato. Io non sapeva né confortarla, nérisponderle, né consigliarla. Per carità, ripigliò, nonv'affliggete, ve ne scongiuro: io mi sono fidata di voi: ilbisogno di trovare chi sia capace di compiangermi – unasimpatia – non ho che voi solo. – O angelo! sì sì! potessiio piangere per sempre, e rasciugare così le tue lagrime!questa mia misera vita è tua, tutta: io te la consacro; e laconsacro alla tua felicità!

Quanti guai, mio Lorenzo, in una sola famiglia! Vediostinazione nel signore T*** che d'altronde è un ottimogalantuomo. Ama svisceratamente sua figlia; spesso laloda e la guarda con compiacenza; e intanto le tiene lamannaja sul collo. Teresa qualche giorno dopo mi rac-contò, com'ei dotato d'un'anima ardente visse sempreconsumato da passioni infelici; sbilanciato nella sua do-mestica economia per troppa magnificenza; perseguitatoda quegli uomini che nelle rivoluzioni piantano la pro-pria fortuna su l'altrui rovina, e tremante pe' suoi fi-gliuoli, crede di provvedere allo stato di casa sua impa-

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mi duole ancor più, che per mia cagione la nostra fami-glia sia così disunita – per me, pazienza! – E a questaparola, le lagrime le piovevano dagli occhi. Perdonate,soggiunse, io aveva bisogno di sfogare questo mio cuoreangosciato. Non posso né scrivere a mia madre né averesue lettere mai. Mio padre fiero e assoluto nelle sue ri-soluzioni non vuole sentirsela nominare; egli mi va tut-tavia replicando, che la è la sua e la mia peggiore nemi-ca. Pur sento che non amo, non amerò mai questo sposocol quale è già decretato – immagina, o Lorenzo, in quelmomento il mio stato. Io non sapeva né confortarla, nérisponderle, né consigliarla. Per carità, ripigliò, nonv'affliggete, ve ne scongiuro: io mi sono fidata di voi: ilbisogno di trovare chi sia capace di compiangermi – unasimpatia – non ho che voi solo. – O angelo! sì sì! potessiio piangere per sempre, e rasciugare così le tue lagrime!questa mia misera vita è tua, tutta: io te la consacro; e laconsacro alla tua felicità!

Quanti guai, mio Lorenzo, in una sola famiglia! Vediostinazione nel signore T*** che d'altronde è un ottimogalantuomo. Ama svisceratamente sua figlia; spesso laloda e la guarda con compiacenza; e intanto le tiene lamannaja sul collo. Teresa qualche giorno dopo mi rac-contò, com'ei dotato d'un'anima ardente visse sempreconsumato da passioni infelici; sbilanciato nella sua do-mestica economia per troppa magnificenza; perseguitatoda quegli uomini che nelle rivoluzioni piantano la pro-pria fortuna su l'altrui rovina, e tremante pe' suoi fi-gliuoli, crede di provvedere allo stato di casa sua impa-

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rentandosi a un uomo di senno, ricco, e in aspettativa diuna eredità ragguardevole – forse, o Lorenzo, anche percerto fumo; ed io vorrei scommettere cento contr'unoch'ei non lascierebbe in isposa la sua figliuola a chimancasse mezzo quarto di nobiltà: chi nasce patriziomuore patrizio. Tanto più che egli considera l'opposizio-ne di sua moglie come una lesione alla propria autorità,e questo sentimento tirannesco lo rende ancor più infles-sibile. E nondimeno è di ottimo cuore; e quella sua ariasincera, e quell'accarezzare sempre la sua figliuola e al-cuna volta compiangerla sommessamente, mostranoch'ei vede gemendo la dolorosa rassegnazione di quellapovera fanciulla, ma – E per questo quand'io veggocome gli uomini cercano per una certa fatalità le sciagu-re con la lanterna, e come vegliano, sudano, piangonoper fabbricarsele dolorosissime, eterne; io mi sparpa-glierei le cervella temendo che non mi si cacciasse percapo una simile tentazione.

Ti lascio, o Lorenzo; Michele mi chiama a desinare:tornerò a scriverti, s'altro non posso, a momenti.

Il mal tempo s'è diradato, e fa il più bel dopo pranzodel mondo. Il Sole squarcia finalmente le nubi, e conso-la la mesta Natura, diffondendo su la faccia di lei un suoraggio. Ti scrivo di rimpetto al balcone donde miro laeterna luce che si va a poco a poco perdendo nell'estre-mo orizzonte tutto raggiante di fuoco. L'aria torna tran-quilla; e la campagna, benché allagata, e coronata sol-tanto d'alberi già sfrondati e cospersa di piante atterrate

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rentandosi a un uomo di senno, ricco, e in aspettativa diuna eredità ragguardevole – forse, o Lorenzo, anche percerto fumo; ed io vorrei scommettere cento contr'unoch'ei non lascierebbe in isposa la sua figliuola a chimancasse mezzo quarto di nobiltà: chi nasce patriziomuore patrizio. Tanto più che egli considera l'opposizio-ne di sua moglie come una lesione alla propria autorità,e questo sentimento tirannesco lo rende ancor più infles-sibile. E nondimeno è di ottimo cuore; e quella sua ariasincera, e quell'accarezzare sempre la sua figliuola e al-cuna volta compiangerla sommessamente, mostranoch'ei vede gemendo la dolorosa rassegnazione di quellapovera fanciulla, ma – E per questo quand'io veggocome gli uomini cercano per una certa fatalità le sciagu-re con la lanterna, e come vegliano, sudano, piangonoper fabbricarsele dolorosissime, eterne; io mi sparpa-glierei le cervella temendo che non mi si cacciasse percapo una simile tentazione.

Ti lascio, o Lorenzo; Michele mi chiama a desinare:tornerò a scriverti, s'altro non posso, a momenti.

Il mal tempo s'è diradato, e fa il più bel dopo pranzodel mondo. Il Sole squarcia finalmente le nubi, e conso-la la mesta Natura, diffondendo su la faccia di lei un suoraggio. Ti scrivo di rimpetto al balcone donde miro laeterna luce che si va a poco a poco perdendo nell'estre-mo orizzonte tutto raggiante di fuoco. L'aria torna tran-quilla; e la campagna, benché allagata, e coronata sol-tanto d'alberi già sfrondati e cospersa di piante atterrate

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pare più allegra che la non era prima della tempesta.Così, o Lorenzo, lo sfortunato si scuote dalle funeste suecure al solo barlume della speranza, e inganna la sua tri-sta ventura, con que' piaceri a' quali era affatto insensi-bile in grembo alla cieca prosperità. – Frattanto il dìm'abbandona: odo la campana della sera; eccomi dun-que a dar fine una volta alla mia narrazione.

Noi proseguimmo il nostro breve pellegrinaggio finoa che ci apparve biancheggiar dalla lunga la casetta cheun tempo accoglieva

Quel Grande alla cui fama è angusto il mondo,Per cui Laura ebbe in terra onor celesti.

Io mi vi sono appressato come se andassi a prostrarmisu le sepolture de' miei padri, e come uno di que' sacer-doti che taciti e riverenti s'aggiravano per li boschi abi-tati dagl'Iddii. La sacra casa di quel sommo italiano stacrollando per la irreligione di chi possiede un tanto teso-ro. Il viaggiatore verrà invano di lontana terra a cercarecon meraviglia divota la stanza armoniosa ancora deicanti celesti del Petrarca. Piangerà invece sopra un muc-chio di ruine coperto di ortiche e di erbe selvatiche fra lequali la volpe solitaria avrà fatto il suo covile. Italia!placa l'ombre de' tuoi grandi. – Oh! io mi risovvengo colgemito nell'anima, delle estreme parole di Torquato Tas-so. Dopo d'essere vissuto quaranta sette anni in mezzo a'dileggi de' cortigiani, le noje de' saccenti, e l'orgoglio de'principi, or carcerato ed or vagabondo, e tuttavia melan-

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pare più allegra che la non era prima della tempesta.Così, o Lorenzo, lo sfortunato si scuote dalle funeste suecure al solo barlume della speranza, e inganna la sua tri-sta ventura, con que' piaceri a' quali era affatto insensi-bile in grembo alla cieca prosperità. – Frattanto il dìm'abbandona: odo la campana della sera; eccomi dun-que a dar fine una volta alla mia narrazione.

Noi proseguimmo il nostro breve pellegrinaggio finoa che ci apparve biancheggiar dalla lunga la casetta cheun tempo accoglieva

Quel Grande alla cui fama è angusto il mondo,Per cui Laura ebbe in terra onor celesti.

Io mi vi sono appressato come se andassi a prostrarmisu le sepolture de' miei padri, e come uno di que' sacer-doti che taciti e riverenti s'aggiravano per li boschi abi-tati dagl'Iddii. La sacra casa di quel sommo italiano stacrollando per la irreligione di chi possiede un tanto teso-ro. Il viaggiatore verrà invano di lontana terra a cercarecon meraviglia divota la stanza armoniosa ancora deicanti celesti del Petrarca. Piangerà invece sopra un muc-chio di ruine coperto di ortiche e di erbe selvatiche fra lequali la volpe solitaria avrà fatto il suo covile. Italia!placa l'ombre de' tuoi grandi. – Oh! io mi risovvengo colgemito nell'anima, delle estreme parole di Torquato Tas-so. Dopo d'essere vissuto quaranta sette anni in mezzo a'dileggi de' cortigiani, le noje de' saccenti, e l'orgoglio de'principi, or carcerato ed or vagabondo, e tuttavia melan-

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colico, infermo, indigente; giacque finalmente nel lettodella morte e scriveva esalando l'eterno sospiro: Io nonmi voglio dolere della malignità della fortuna, per nondire della ingratitudine degli uomini, la quale ha purvoluto aver la vittoria di condurmi alla sepoltura men-dico. O mio Lorenzo, mi suonano queste parole semprenel cuore! e' mi par di conoscere chi forse un giornomorrà ripetendole.

Frattanto io recitava sommessamente con l'anima tut-ta amore e armonia la canzone: Chiare, fresche, dolciacque; e l'altra: Di pensier in pensier, di monte in monte;e il sonetto: Stiamo, Amore, a veder la gloria nostra; equanti altri di que' sovrumani versi la mia memoria agi-tata seppe allora suggerire al mio cuore.

Teresa e suo padre se n'erano iti con Odoardo il qualeandava a rivedere i conti al fattore d'una tenuta ch'egliha in que' dintorni. Ho poi saputo ch'e' sta sulle mosseper Roma, stante la morte di un suo cugino; né si sbri-gherà così in fretta, perché essendosi gli altri parenti im-padroniti de' beni del morto, l'affare si ridurrà a' tribuna-li.

Come tornarono, quella famigliuola d'agricoltori ciallestì da colazione, dopo di che ci siamo avviati versocasa. Addio, addio. Avrei a narrarti delle altre cose; ma,a dirti il vero, ti scrivo svogliatamente. – Appunto: midimenticava di dirti che, ritornando, Odoardo accompa-gnò a passo a passo Teresa e le parlò lungamente quasiimportunandola e con un'aria di volto autorevole. Da al-cune poche parole che mi venne fatto d'intendere, so-

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colico, infermo, indigente; giacque finalmente nel lettodella morte e scriveva esalando l'eterno sospiro: Io nonmi voglio dolere della malignità della fortuna, per nondire della ingratitudine degli uomini, la quale ha purvoluto aver la vittoria di condurmi alla sepoltura men-dico. O mio Lorenzo, mi suonano queste parole semprenel cuore! e' mi par di conoscere chi forse un giornomorrà ripetendole.

Frattanto io recitava sommessamente con l'anima tut-ta amore e armonia la canzone: Chiare, fresche, dolciacque; e l'altra: Di pensier in pensier, di monte in monte;e il sonetto: Stiamo, Amore, a veder la gloria nostra; equanti altri di que' sovrumani versi la mia memoria agi-tata seppe allora suggerire al mio cuore.

Teresa e suo padre se n'erano iti con Odoardo il qualeandava a rivedere i conti al fattore d'una tenuta ch'egliha in que' dintorni. Ho poi saputo ch'e' sta sulle mosseper Roma, stante la morte di un suo cugino; né si sbri-gherà così in fretta, perché essendosi gli altri parenti im-padroniti de' beni del morto, l'affare si ridurrà a' tribuna-li.

Come tornarono, quella famigliuola d'agricoltori ciallestì da colazione, dopo di che ci siamo avviati versocasa. Addio, addio. Avrei a narrarti delle altre cose; ma,a dirti il vero, ti scrivo svogliatamente. – Appunto: midimenticava di dirti che, ritornando, Odoardo accompa-gnò a passo a passo Teresa e le parlò lungamente quasiimportunandola e con un'aria di volto autorevole. Da al-cune poche parole che mi venne fatto d'intendere, so-

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spetto ch'egli la torturasse per sapere a ogni patto di cheabbiamo parlato. Onde tu vedi ch'io devo diradar le mievisite – almeno finch'ei si parta.

Buona notte, Lorenzo. Serbati questa lettera: quandoOdoardo si porterà seco la felicità, ed io non vedrò piùTeresa, né più scherzerà su queste ginocchia la sua inge-nua sorellina, in que' giorni di noja ne' quali ci è caroperfino il dolore, rileggeremo queste memorie sdrajatisu l'erba che guarda la solitudine d'Arquà, nell'ora che ildì va mancando. La rimembranza che Teresa fu nostraamica rasciugherà il nostro pianto. Facciamo tesoro disentimenti cari e soavi i quali ci ridestino per tutti glianni, che ancora tristi e perseguitati ci avanzano, la me-moria che non siamo sempre vissuti nel dolore.

22 Novembre

Tre giorni, e Odoardo, a dir molto – non sarà qui. Ilpadre di Teresa lo accompagnerà sino a' confini. S'eralasciato intendere che m'avrebbe pregato di far secoquesta breve corsa; ma io ne l'ho ringraziato, perché vo-glio assolutamente partire: andrò a Padova. Non devoabusare dell'amicizia del signore T*** e della sua buonafede. – Tenete buona compagnia alle mie figliuole, midiceva egli questa mattina. A vedere, egli mi reputa So-crate – me? e con quell'angelica creatura nata per amare,e per essere amata? e così misera a un tempo! ed io sonosempre in perfetta armonia con gl'infelici, perché – dav-

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spetto ch'egli la torturasse per sapere a ogni patto di cheabbiamo parlato. Onde tu vedi ch'io devo diradar le mievisite – almeno finch'ei si parta.

Buona notte, Lorenzo. Serbati questa lettera: quandoOdoardo si porterà seco la felicità, ed io non vedrò piùTeresa, né più scherzerà su queste ginocchia la sua inge-nua sorellina, in que' giorni di noja ne' quali ci è caroperfino il dolore, rileggeremo queste memorie sdrajatisu l'erba che guarda la solitudine d'Arquà, nell'ora che ildì va mancando. La rimembranza che Teresa fu nostraamica rasciugherà il nostro pianto. Facciamo tesoro disentimenti cari e soavi i quali ci ridestino per tutti glianni, che ancora tristi e perseguitati ci avanzano, la me-moria che non siamo sempre vissuti nel dolore.

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Tre giorni, e Odoardo, a dir molto – non sarà qui. Ilpadre di Teresa lo accompagnerà sino a' confini. S'eralasciato intendere che m'avrebbe pregato di far secoquesta breve corsa; ma io ne l'ho ringraziato, perché vo-glio assolutamente partire: andrò a Padova. Non devoabusare dell'amicizia del signore T*** e della sua buonafede. – Tenete buona compagnia alle mie figliuole, midiceva egli questa mattina. A vedere, egli mi reputa So-crate – me? e con quell'angelica creatura nata per amare,e per essere amata? e così misera a un tempo! ed io sonosempre in perfetta armonia con gl'infelici, perché – dav-

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vero – io trovo un non so che di cattivo nell'uomo pro-spero.

Non so com'ei non s'avvegga ch'io parlando della suafiglia mi confondo e balbetto; cangio viso e sto come unladro davanti al giudice. In quel punto io m'immergo incerte meditazioni, e bestemmierei il cielo veggendo inquest'uomo tante doti eccellenti, guaste tutte da' suoipregiudizi e da una cieca predestinazione che lo farannopiangere amaramente. – Così intanto io divoro i mieigiorni, querelandomi e de' miei propri mali e degli al-trui.

Eppure me ne dispiace: – spesso rido di me, perchépropriamente questo mio cuore non può sofferire unmomento, un solo momento di calma. Purché io siasempre agitato, per lui non rileva se i venti gli spiranoavversi o propizj. Ove gli manchi il piacere, ricorre to-sto al dolore. Jeri è venuto Odoardo a restituirmi unoschioppetto da caccia ch'io gli aveva prestato, e a piglia-re il buon viaggio da me; non ho potuto vederlo partiresenza gettarmigli al collo tuttoché avessi dovuto vera-mente imitare la sua indifferenza. Non so mai di chenome voi altri saggi chiamate chi troppo presto ubbidi-sce al proprio cuore: perché di certo non è un eroe; ma èforse vile per questo? Coloro che trattano da deboli gliuomini appassionati somigliano quel medico che chia-mava pazzo un malato non per altro se non perch'eravinto dalla febbre. Così odo i ricchi tacciare di colpa lapovertà, per la sola ragione che non è ricca. A me peròsembra tutto apparenza; nulla di reale, nulla. Gli uomini

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vero – io trovo un non so che di cattivo nell'uomo pro-spero.

Non so com'ei non s'avvegga ch'io parlando della suafiglia mi confondo e balbetto; cangio viso e sto come unladro davanti al giudice. In quel punto io m'immergo incerte meditazioni, e bestemmierei il cielo veggendo inquest'uomo tante doti eccellenti, guaste tutte da' suoipregiudizi e da una cieca predestinazione che lo farannopiangere amaramente. – Così intanto io divoro i mieigiorni, querelandomi e de' miei propri mali e degli al-trui.

Eppure me ne dispiace: – spesso rido di me, perchépropriamente questo mio cuore non può sofferire unmomento, un solo momento di calma. Purché io siasempre agitato, per lui non rileva se i venti gli spiranoavversi o propizj. Ove gli manchi il piacere, ricorre to-sto al dolore. Jeri è venuto Odoardo a restituirmi unoschioppetto da caccia ch'io gli aveva prestato, e a piglia-re il buon viaggio da me; non ho potuto vederlo partiresenza gettarmigli al collo tuttoché avessi dovuto vera-mente imitare la sua indifferenza. Non so mai di chenome voi altri saggi chiamate chi troppo presto ubbidi-sce al proprio cuore: perché di certo non è un eroe; ma èforse vile per questo? Coloro che trattano da deboli gliuomini appassionati somigliano quel medico che chia-mava pazzo un malato non per altro se non perch'eravinto dalla febbre. Così odo i ricchi tacciare di colpa lapovertà, per la sola ragione che non è ricca. A me peròsembra tutto apparenza; nulla di reale, nulla. Gli uomini

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non potendo per se stessi acquistare la propria e l'altruistima, si studiano d'innalzarsi, paragonando que' difettiche per ventura non hanno, a quelli che ha il loro vicino.Ma chi non si ubbriaca perché naturalmente odia il vino,merita egli lode di sobrio?

O tu che disputi pacatamente su le passioni: se le tuefredde mani non trovassero freddo tutto quello che toc-cano; se quant'entra nel tuo cuore di ghiaccio non dive-nisse tosto gelato; credi tu che andresti così gloriosodella tua severa filosofia? or come puoi ragionare dicose che non conosci?

Per me, lascio che i saggi vantino una infeconda apa-tia. Ho letto già tempo, non so in che poeta, che la lorovirtù è una massa di ghiaccio che attrae tutto in se stessae irrigidisce chi le si accosta. Né Dio sta sempre nellasua maestosa tranquillità; ma si ravvolge fra gli aquilo-ni e passeggia con le procelle2.

27 Novembre

Odoardo è partito, ed io me n'andrò quando tornerà ilpadre di Teresa. Buon giorno.

2 “Questo è un verso della Bibbia, ma non ho saputo trovareper l'appunto donde fu tratto.”

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non potendo per se stessi acquistare la propria e l'altruistima, si studiano d'innalzarsi, paragonando que' difettiche per ventura non hanno, a quelli che ha il loro vicino.Ma chi non si ubbriaca perché naturalmente odia il vino,merita egli lode di sobrio?

O tu che disputi pacatamente su le passioni: se le tuefredde mani non trovassero freddo tutto quello che toc-cano; se quant'entra nel tuo cuore di ghiaccio non dive-nisse tosto gelato; credi tu che andresti così gloriosodella tua severa filosofia? or come puoi ragionare dicose che non conosci?

Per me, lascio che i saggi vantino una infeconda apa-tia. Ho letto già tempo, non so in che poeta, che la lorovirtù è una massa di ghiaccio che attrae tutto in se stessae irrigidisce chi le si accosta. Né Dio sta sempre nellasua maestosa tranquillità; ma si ravvolge fra gli aquilo-ni e passeggia con le procelle2.

27 Novembre

Odoardo è partito, ed io me n'andrò quando tornerà ilpadre di Teresa. Buon giorno.

2 “Questo è un verso della Bibbia, ma non ho saputo trovareper l'appunto donde fu tratto.”

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3 Dicembre

Stamattina io me n'andava un po' per tempo alla villa,ed era già presso alla casa T***, quando mi ha fermatoun lontano tintinnio d'arpa. O! io mi sento sorriderel'anima, e scorrere in tutto me quanta mai voluttà alloram'infondeva quel suono. Era Teresa – come poss'io im-maginarti, o celeste fanciulla, e chiamarti dinanzi a mein tutta la tua bellezza, senza la disperazione nel cuore!Pur troppo! tu cominci a gustare i primi sorsi dell'amarocalice della vita, ed io con questi occhi ti vedrò infelice,né potrò sollevarti se non piangendo! io; io stesso ti do-vrò per pietà consigliare a pacificarti con la tua sciagura.

Certo ch'io non potrei né asserire né negare a me stessoch'io l'amo; ma se mai, se mai! – in verità non d'altro chedi un amore incapace di un solo pensiero: Dio lo sa! –

Io mi fermava, lì lì, senza batter palpebra, con gli oc-chi, le orecchie, e i sensi tutti intenti per divinizzarmi inquel luogo dove l'altrui vista non mi avrebbe costrettoad arrossire de' miei rapimenti. Ora ponti nel mio cuore,quand'io udiva cantar da Teresa quelle strofette di Saffotradotte alla meglio da me con le altre due odi, uniciavanzi delle poesie di quella amorosa fanciulla, immor-tale quanto le Muse. Balzando d'un salto, ho trovato Te-resa nel suo gabinetto su quella sedia stessa ove io lavidi il primo giorno, quand'ella dipingeva il proprio ri-tratto. Era neglettamente vestita di bianco; il tesoro dellesue chiome biondissime diffuse su le spalle e sul petto, isuoi divini occhi nuotanti nel piacere, il suo viso sparso

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3 Dicembre

Stamattina io me n'andava un po' per tempo alla villa,ed era già presso alla casa T***, quando mi ha fermatoun lontano tintinnio d'arpa. O! io mi sento sorriderel'anima, e scorrere in tutto me quanta mai voluttà alloram'infondeva quel suono. Era Teresa – come poss'io im-maginarti, o celeste fanciulla, e chiamarti dinanzi a mein tutta la tua bellezza, senza la disperazione nel cuore!Pur troppo! tu cominci a gustare i primi sorsi dell'amarocalice della vita, ed io con questi occhi ti vedrò infelice,né potrò sollevarti se non piangendo! io; io stesso ti do-vrò per pietà consigliare a pacificarti con la tua sciagura.

Certo ch'io non potrei né asserire né negare a me stessoch'io l'amo; ma se mai, se mai! – in verità non d'altro chedi un amore incapace di un solo pensiero: Dio lo sa! –

Io mi fermava, lì lì, senza batter palpebra, con gli oc-chi, le orecchie, e i sensi tutti intenti per divinizzarmi inquel luogo dove l'altrui vista non mi avrebbe costrettoad arrossire de' miei rapimenti. Ora ponti nel mio cuore,quand'io udiva cantar da Teresa quelle strofette di Saffotradotte alla meglio da me con le altre due odi, uniciavanzi delle poesie di quella amorosa fanciulla, immor-tale quanto le Muse. Balzando d'un salto, ho trovato Te-resa nel suo gabinetto su quella sedia stessa ove io lavidi il primo giorno, quand'ella dipingeva il proprio ri-tratto. Era neglettamente vestita di bianco; il tesoro dellesue chiome biondissime diffuse su le spalle e sul petto, isuoi divini occhi nuotanti nel piacere, il suo viso sparso

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di un soave languore, il suo braccio di rose, il suo piede,le sue dita arpeggianti mollemente, tutto tutto era armo-nia: ed io sentiva una nuova delizia nel contemplarla.Bensì Teresa parea confusa, veggendosi d'improvvisoun uomo che la mirava così discinta, ed io stesso comin-ciava dentro di me a rimproverarmi d'importunità e divillania: essa tuttavia proseguiva ed io sbandivatutt'altro desiderio, tranne quello di adorarla, e di udirla.Io non so dirti, mio caro, in quale stato allora io mi fos-si: so bene ch'io non sentiva più il peso di questa vitamortale.

S'alzò sorridendo e mi lasciò solo. Allora io rinvenivaa poco a poco: mi sono appoggiato col capo suquell'arpa e il mio viso si andava bagnando di lagrime –oh! mi sono sentito un po' libero.

Padova, 7 Dicembre

Non lo vo' dire; pur temo assai non tu m'abbia piglia-to in parola e ti sia maneggiato a tutto potere per cac-ciarmi dal mio dolce romitorio. Jeri mi sopravvenne Mi-chele a darmi avviso da parte di mia madre ch'era già al-lestito l'alloggio in Padova dov'io aveva detto altra volta(davvero appena me ne sovviene) di volermi ridurre alriaprirsi della università. Vero è ch'io avea fatto sacra-mento di venirci; e te n'ho scritto; ma aspettava il signo-re T*** – non per anche tornato. Del resto, ho fattobene a cogliere il punto della mia vocazione, e ho ab-

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di un soave languore, il suo braccio di rose, il suo piede,le sue dita arpeggianti mollemente, tutto tutto era armo-nia: ed io sentiva una nuova delizia nel contemplarla.Bensì Teresa parea confusa, veggendosi d'improvvisoun uomo che la mirava così discinta, ed io stesso comin-ciava dentro di me a rimproverarmi d'importunità e divillania: essa tuttavia proseguiva ed io sbandivatutt'altro desiderio, tranne quello di adorarla, e di udirla.Io non so dirti, mio caro, in quale stato allora io mi fos-si: so bene ch'io non sentiva più il peso di questa vitamortale.

S'alzò sorridendo e mi lasciò solo. Allora io rinvenivaa poco a poco: mi sono appoggiato col capo suquell'arpa e il mio viso si andava bagnando di lagrime –oh! mi sono sentito un po' libero.

Padova, 7 Dicembre

Non lo vo' dire; pur temo assai non tu m'abbia piglia-to in parola e ti sia maneggiato a tutto potere per cac-ciarmi dal mio dolce romitorio. Jeri mi sopravvenne Mi-chele a darmi avviso da parte di mia madre ch'era già al-lestito l'alloggio in Padova dov'io aveva detto altra volta(davvero appena me ne sovviene) di volermi ridurre alriaprirsi della università. Vero è ch'io avea fatto sacra-mento di venirci; e te n'ho scritto; ma aspettava il signo-re T*** – non per anche tornato. Del resto, ho fattobene a cogliere il punto della mia vocazione, e ho ab-

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bandonato i miei colli senza dire addio ad anima viven-te. Diversamente, malgrado le tue prediche e i miei pro-ponimenti, non mi sarei partito mai più: e ti confessoch'io mi sento un certo che d'amaro nel cuore, e chespesso mi salta la tentazione di ritornarvi – or via insomma, vedimi in Padova: e presto a diventar sapiento-ne, acciocché tu non vada tuttavia predicando ch'io miperdo in pazzie. Per altro bada di non volermiti opporrequando mi verrà voglia d'andarmene; perché tu sai ch'iosono nato espressamente inetto a certe cose, massimequando si tratta di vivere con quel metodo di vita ch'esi-gono gli studj, a spese della mia pace e del mio liberogenio, o di' pure, ch'io tel perdono, del mio capriccio.Frattanto ringrazia mia madre, e per minorarle il dispia-cere, fa di pronosticarle, così come se la cosa venisse date, ch'io qui non troverò lunga stanza per più d'un mese,o poco più.

Padova, 11 Dicembre

Ho conosciuto la moglie del patrizio M*** che abbando-na i tumulti di Venezia e la casa del suo indolente marito pergodersi gran parte dell'anno in Padova. Peccato! la sua gio-vane bellezza ha già perduto quella vereconda ingenuità chesola diffonde le grazie e l'amore. Dotta assai nella donnescagalanteria, si studia di piacere non per altro che per conqui -stare; così almeno giudico. Tuttavolta, chi sa! Ella sta conme volentieri, e mormora meco sottovoce sovente, e sorridequando la lodo; tanto più ch'ella non si pasce come le altre di

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bandonato i miei colli senza dire addio ad anima viven-te. Diversamente, malgrado le tue prediche e i miei pro-ponimenti, non mi sarei partito mai più: e ti confessoch'io mi sento un certo che d'amaro nel cuore, e chespesso mi salta la tentazione di ritornarvi – or via insomma, vedimi in Padova: e presto a diventar sapiento-ne, acciocché tu non vada tuttavia predicando ch'io miperdo in pazzie. Per altro bada di non volermiti opporrequando mi verrà voglia d'andarmene; perché tu sai ch'iosono nato espressamente inetto a certe cose, massimequando si tratta di vivere con quel metodo di vita ch'esi-gono gli studj, a spese della mia pace e del mio liberogenio, o di' pure, ch'io tel perdono, del mio capriccio.Frattanto ringrazia mia madre, e per minorarle il dispia-cere, fa di pronosticarle, così come se la cosa venisse date, ch'io qui non troverò lunga stanza per più d'un mese,o poco più.

Padova, 11 Dicembre

Ho conosciuto la moglie del patrizio M*** che abbando-na i tumulti di Venezia e la casa del suo indolente marito pergodersi gran parte dell'anno in Padova. Peccato! la sua gio-vane bellezza ha già perduto quella vereconda ingenuità chesola diffonde le grazie e l'amore. Dotta assai nella donnescagalanteria, si studia di piacere non per altro che per conqui -stare; così almeno giudico. Tuttavolta, chi sa! Ella sta conme volentieri, e mormora meco sottovoce sovente, e sorridequando la lodo; tanto più ch'ella non si pasce come le altre di

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quell'ambrosia di freddure chiamate be' motti, e frizzi di spi-rito, indizj sempre d'animo nato maligno. Ora sappi che jersera accostando la sua sedia alla mia, mi parlò d'alcuni mieiversi, e innoltrando di mano in mano a ciarlare di sì fatteinezie, non so come, nominai certo libro di cui ella mi ri -chiese. Promisi di recarglielo io stamattina; addio – s'avvici-na l'ora.

Ore 2

Il paggio m'additò un gabinetto ove innoltratomi ap-pena, mi si fe' incontro una donna di forse trentacinqueanni leggiadramente vestita, e ch'io non avrei presa maiper cameriera se non mi si fosse appalesata ella stessa,dicendomi – La padrona è a letto ancora: a momentiuscirà. Un campanello la fe' correre nella stanza conti-gua ov'era il talamo della Dea, ed io rimasi a scaldarmial caminetto, considerando ora una Danae dipinta sulsoffitto, ora le stampe di cui le pareti erano tutte coperte,ed ora alcuni romanzi francesi gittati qua e là. In questale porte si schiusero, ed io sentiva l'aere d'improvvisoodorato di mille quintessenze, e vedeva madama tuttamolle e rugiadosa entrarsene presta presta e quasi inti-rizzita di freddo, e abbandonarsi sovra una sediad'appoggio che la cameriera le preparò presso al fuoco.Mi salutava più con le occhiate, che con la persona – emi chiedea sorridendo s'io m'era dimenticato della pro-messa. Io frattanto le porgeva il libro osservando conmeraviglia ch'ella non era vestita che di una lunga e rada

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quell'ambrosia di freddure chiamate be' motti, e frizzi di spi-rito, indizj sempre d'animo nato maligno. Ora sappi che jersera accostando la sua sedia alla mia, mi parlò d'alcuni mieiversi, e innoltrando di mano in mano a ciarlare di sì fatteinezie, non so come, nominai certo libro di cui ella mi ri -chiese. Promisi di recarglielo io stamattina; addio – s'avvici-na l'ora.

Ore 2

Il paggio m'additò un gabinetto ove innoltratomi ap-pena, mi si fe' incontro una donna di forse trentacinqueanni leggiadramente vestita, e ch'io non avrei presa maiper cameriera se non mi si fosse appalesata ella stessa,dicendomi – La padrona è a letto ancora: a momentiuscirà. Un campanello la fe' correre nella stanza conti-gua ov'era il talamo della Dea, ed io rimasi a scaldarmial caminetto, considerando ora una Danae dipinta sulsoffitto, ora le stampe di cui le pareti erano tutte coperte,ed ora alcuni romanzi francesi gittati qua e là. In questale porte si schiusero, ed io sentiva l'aere d'improvvisoodorato di mille quintessenze, e vedeva madama tuttamolle e rugiadosa entrarsene presta presta e quasi inti-rizzita di freddo, e abbandonarsi sovra una sediad'appoggio che la cameriera le preparò presso al fuoco.Mi salutava più con le occhiate, che con la persona – emi chiedea sorridendo s'io m'era dimenticato della pro-messa. Io frattanto le porgeva il libro osservando conmeraviglia ch'ella non era vestita che di una lunga e rada

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camicia la quale non essendo allacciata radeva quasi iltappeto, lasciando ignude le spalle e il petto ch'era peraltro voluttuosamente difeso da una candida pelle in cuiella stavasi involta. I suoi capelli benché imprigionati daun pettine, accusavano il sonno recente; perché alcuneciocche posavano i loro ricci or sul collo, or fin dentro ilseno, quasi che quelle picciole liste nerissime dovesseroservire agli occhi inesperti di guida; ed altre calando giùdalla fronte le ingombravano le pupille; essa frattantoalzava le dita per diradarle e talvolta per avvolgerle erassettarle meglio nel pettine, mostrando in questomodo, forse sopra pensiero, un braccio bianchissimo etondeggiante scoperto dalla camicia che nell'alzarsi del-la mano cascava fin'oltre il gomito. Posando sopra unpiccolo trono di guanciali si volgeva con compiacenzaal suo cagnuolino che le si accostava e fuggiva e correvatorcendo il dosso e scuotendo le orecchie e la coda. Iomi posi a sedere sopra una seggiola avvicinata dalla ca-meriera che si era già dileguata. Quell'adulatrice be-stiuola schiattiva, e mordendole e scompigliandole, qua-si avesse intenzione, con le zampine gli orli della cami-cia, lasciava apparire una gentile pianella di seta rosa-languida, e poco dopo un picciolo piede, o Lorenzo, si-mile a quello che l'Albano dipingerebbe a una Graziach'esce dal bagno. O! se tu avessi, com'io, veduto Teresanell'atteggiamento medesimo, presso un focolare,anch'ella appena balzata di letto, così discinta, così –chiamandomi a mente quel fortunato mattino mi ricordoche non avrei osato respirar l'aria che la circondava, e

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camicia la quale non essendo allacciata radeva quasi iltappeto, lasciando ignude le spalle e il petto ch'era peraltro voluttuosamente difeso da una candida pelle in cuiella stavasi involta. I suoi capelli benché imprigionati daun pettine, accusavano il sonno recente; perché alcuneciocche posavano i loro ricci or sul collo, or fin dentro ilseno, quasi che quelle picciole liste nerissime dovesseroservire agli occhi inesperti di guida; ed altre calando giùdalla fronte le ingombravano le pupille; essa frattantoalzava le dita per diradarle e talvolta per avvolgerle erassettarle meglio nel pettine, mostrando in questomodo, forse sopra pensiero, un braccio bianchissimo etondeggiante scoperto dalla camicia che nell'alzarsi del-la mano cascava fin'oltre il gomito. Posando sopra unpiccolo trono di guanciali si volgeva con compiacenzaal suo cagnuolino che le si accostava e fuggiva e correvatorcendo il dosso e scuotendo le orecchie e la coda. Iomi posi a sedere sopra una seggiola avvicinata dalla ca-meriera che si era già dileguata. Quell'adulatrice be-stiuola schiattiva, e mordendole e scompigliandole, qua-si avesse intenzione, con le zampine gli orli della cami-cia, lasciava apparire una gentile pianella di seta rosa-languida, e poco dopo un picciolo piede, o Lorenzo, si-mile a quello che l'Albano dipingerebbe a una Graziach'esce dal bagno. O! se tu avessi, com'io, veduto Teresanell'atteggiamento medesimo, presso un focolare,anch'ella appena balzata di letto, così discinta, così –chiamandomi a mente quel fortunato mattino mi ricordoche non avrei osato respirar l'aria che la circondava, e

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tutti tutti i miei pensieri si univano riverenti e paurosisoltanto per adorarla – e certo un genio benefico mi pre-sentò la immagine di Teresa; perch'io, non so come,ebbi l'arte di guardare con un rattenuto sorriso il ca-gnuolino, e la bella, poi il cagnuolino, e di bel nuovo iltappeto ove posava il bel piede; ma il bel piede era in-tanto sparito. M'alzai chiedendole perdono ch'io fossivenuto fuor d'ora; e la lasciai quasi pentita – certo; digaja e cortese si fe' un po' contegnosa – del resto non so.Quando fui solo, la mia ragione, che è in perpetua litecon questo mio cuore, mi andava dicendo: Infelice! temisoltanto di quella beltà che partecipa del celeste: prendidunque partito, e non ritrarre le labbra dal contravvelenoche la fortuna ti porge. Lodai la ragione; ma il cuoreaveva già fatto a suo modo. – T'accorgerai che questalettera la è ricopiata, perch'io ho voluto sfoggiare lo bel-lo stile.

O! la canzoncina di Saffo! io vado canticchiandolascrivendo, passeggiando, leggendo: né così io vaneggia-va, o Teresa, quando non mi era conteso di poterti vede-re e udire: pazienza! undici miglia ed eccomi a casa; epoi altre due; e poi? – Quante volte mi sarei fuggito daquesta terra se il timore di non essere dalle mie disav-venture strascinato troppo lontano da te, non mi tratte-nesse in tanto pericolo? qui siamo almeno sotto lo stessocielo.

P.S. Ricevo in questo momento tue lettere – e torna,Lorenzo! la è pure la quinta volta che tu mi tratti da in-namorato: innamorato sì, e che perciò? Ho veduto di

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tutti tutti i miei pensieri si univano riverenti e paurosisoltanto per adorarla – e certo un genio benefico mi pre-sentò la immagine di Teresa; perch'io, non so come,ebbi l'arte di guardare con un rattenuto sorriso il ca-gnuolino, e la bella, poi il cagnuolino, e di bel nuovo iltappeto ove posava il bel piede; ma il bel piede era in-tanto sparito. M'alzai chiedendole perdono ch'io fossivenuto fuor d'ora; e la lasciai quasi pentita – certo; digaja e cortese si fe' un po' contegnosa – del resto non so.Quando fui solo, la mia ragione, che è in perpetua litecon questo mio cuore, mi andava dicendo: Infelice! temisoltanto di quella beltà che partecipa del celeste: prendidunque partito, e non ritrarre le labbra dal contravvelenoche la fortuna ti porge. Lodai la ragione; ma il cuoreaveva già fatto a suo modo. – T'accorgerai che questalettera la è ricopiata, perch'io ho voluto sfoggiare lo bel-lo stile.

O! la canzoncina di Saffo! io vado canticchiandolascrivendo, passeggiando, leggendo: né così io vaneggia-va, o Teresa, quando non mi era conteso di poterti vede-re e udire: pazienza! undici miglia ed eccomi a casa; epoi altre due; e poi? – Quante volte mi sarei fuggito daquesta terra se il timore di non essere dalle mie disav-venture strascinato troppo lontano da te, non mi tratte-nesse in tanto pericolo? qui siamo almeno sotto lo stessocielo.

P.S. Ricevo in questo momento tue lettere – e torna,Lorenzo! la è pure la quinta volta che tu mi tratti da in-namorato: innamorato sì, e che perciò? Ho veduto di

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molti innamorarsi della Venere Medicea, della Psiche, eperfin della Luna o di qualche stella lor favorita. E tustesso non eri talmente entusiasta di Saffo, che pretende-vi ravvisarne il ritratto nella più bella donna che tu co-noscessi, trattando da maligni e ignoranti coloro che ladipingono piccola, bruna, e bruttina anzi che no?

Fuor di scherzo: conosco d'essere un cervello bizzar-ro, e stravagante fors'anche; ma dovrò perciò vergognar-mi? di che? – da più dì tu mi vuoi cacciar per la testa ilgrillo di arrossire: ma, salva la tua grazia, io non so, néposso, né devo arrossire di cosa alcuna rispetto a Teresa,né pentirmi, né dolermi. – E viviti lieto.

Padova

Di questa lettera si sono smarrite due carte dove Ja-copo narrava certo dispiacere a cui per la sua naturaveemente e pe' suoi modi assai schietti andò incontro.L'editore, propostosi di pubblicare religiosamentel'autografo, crede acconcio d'inserire ciò che di tutta lalettera gli rimane, tanto più che da questo si può quasidesumere quello che manca.

manca la prima carta....

... riconoscente de' beneficj, sono riconoscentissimoanche delle ingiurie; e nondimeno tu sai quante volte iole ho perdonate: ho beneficato chi mi ha offeso; e talora

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molti innamorarsi della Venere Medicea, della Psiche, eperfin della Luna o di qualche stella lor favorita. E tustesso non eri talmente entusiasta di Saffo, che pretende-vi ravvisarne il ritratto nella più bella donna che tu co-noscessi, trattando da maligni e ignoranti coloro che ladipingono piccola, bruna, e bruttina anzi che no?

Fuor di scherzo: conosco d'essere un cervello bizzar-ro, e stravagante fors'anche; ma dovrò perciò vergognar-mi? di che? – da più dì tu mi vuoi cacciar per la testa ilgrillo di arrossire: ma, salva la tua grazia, io non so, néposso, né devo arrossire di cosa alcuna rispetto a Teresa,né pentirmi, né dolermi. – E viviti lieto.

Padova

Di questa lettera si sono smarrite due carte dove Ja-copo narrava certo dispiacere a cui per la sua naturaveemente e pe' suoi modi assai schietti andò incontro.L'editore, propostosi di pubblicare religiosamentel'autografo, crede acconcio d'inserire ciò che di tutta lalettera gli rimane, tanto più che da questo si può quasidesumere quello che manca.

manca la prima carta....

... riconoscente de' beneficj, sono riconoscentissimoanche delle ingiurie; e nondimeno tu sai quante volte iole ho perdonate: ho beneficato chi mi ha offeso; e talora

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ho compianto chi mi ha tradito. Ma le piaghe fatte almio onore, Lorenzo! – doveano essere vendicate. Io nonso che ti abbiano scritto, né ho cura di saperlo. Maquando mi s'affacciò quello sciagurato, quantunque datre anni quasi io non lo rivedeva, m'intesi ardere tutte lemembra; eppur mi contenni. Ma doveva egli con nuovifrizzi inasprire l'antico mio sdegno? Io ruggiva quelgiorno come un leone, e mi pareva che l'avrei sbranato,anche se l'avessi trovato nel santuario.

Due giorni dopo, il codardo scansò le vie dell'onore,ch'io gli aveva esibite; e tutti gridavano la crociata con-tro di me, come s'io avessi dovuto tranguggiarmi pacifi-camente una ingiuria da colui, che ne' tempi addietro miaveva mangiato la metà del cuore. Questa galante genta-glia affetta generosità, perché non ha coraggio di vendi-carsi a visiera alzata; ma chi vedesse i notturni pugnali,e le calunnie, e le brighe! – E dall'altra parte io non l'hosoperchiato. Gli dissi: Voi avete braccia, e petto al paridi me, ed io sono mortale come voi. Ei pianse, e gridò;ed allora la ira, quella furia mia dominatrice, cominciòad ammansarsi, perché dall'avvilimento di lui mi accorsiche il coraggio non deve dare diritto per opprimere ildebole. Ma deve per questo il debole provocare chi satrarne vendetta? Credimi: ci vuole una stupida bassezzao una sovrumana filosofia per lasciarsi a beneplacitod'un nemico che ha faccia impudente, anima negra, emano tremante.

Frattanto l'occasione mi ha smascherato tutti que' si-gnorotti, che mi giuravano sviscerata amicizia; che ad

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ho compianto chi mi ha tradito. Ma le piaghe fatte almio onore, Lorenzo! – doveano essere vendicate. Io nonso che ti abbiano scritto, né ho cura di saperlo. Maquando mi s'affacciò quello sciagurato, quantunque datre anni quasi io non lo rivedeva, m'intesi ardere tutte lemembra; eppur mi contenni. Ma doveva egli con nuovifrizzi inasprire l'antico mio sdegno? Io ruggiva quelgiorno come un leone, e mi pareva che l'avrei sbranato,anche se l'avessi trovato nel santuario.

Due giorni dopo, il codardo scansò le vie dell'onore,ch'io gli aveva esibite; e tutti gridavano la crociata con-tro di me, come s'io avessi dovuto tranguggiarmi pacifi-camente una ingiuria da colui, che ne' tempi addietro miaveva mangiato la metà del cuore. Questa galante genta-glia affetta generosità, perché non ha coraggio di vendi-carsi a visiera alzata; ma chi vedesse i notturni pugnali,e le calunnie, e le brighe! – E dall'altra parte io non l'hosoperchiato. Gli dissi: Voi avete braccia, e petto al paridi me, ed io sono mortale come voi. Ei pianse, e gridò;ed allora la ira, quella furia mia dominatrice, cominciòad ammansarsi, perché dall'avvilimento di lui mi accorsiche il coraggio non deve dare diritto per opprimere ildebole. Ma deve per questo il debole provocare chi satrarne vendetta? Credimi: ci vuole una stupida bassezzao una sovrumana filosofia per lasciarsi a beneplacitod'un nemico che ha faccia impudente, anima negra, emano tremante.

Frattanto l'occasione mi ha smascherato tutti que' si-gnorotti, che mi giuravano sviscerata amicizia; che ad

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ogni mia parola faceano le meraviglie; e che ad ogni orami proferivano la loro borsa e il lor cuore. Sepolture!bei marmi, e pomposi epitaffi: ma schiudili, vi trovi ver-mi e fetore. Pare a te, mio Lorenzo, che se l'avversità ciriducesse a domandar del pane, vi sarebbe taluno me-more delle sue promesse? o nessuno, o qualche astutosoltanto, che co' suoi beneficj vorrebbe comperare il no-stro avvilimento. Amici da bonaccia, nelle burrasche tiannegano. Per costoro tutto è calcolo in fondo. Onde sev'ha taluno nelle cui viscere fremano le generose passio-ni, o le deve strozzare, o rifuggirsi come le aquile e lefiere magnanime ne' monti inaccessibili e nelle forestelungi dalla invidia e dalla vendetta degli uomini. Le su-blimi anime passeggiano sopra le teste della moltitudineche oltraggiata dalla loro grandezza tenta d'incatenarle odi deriderle, e chiama pazzie le azioni ch'essa immersanel fango non può, non che ammirare, conoscere. – Ionon parlo di me; ma quand'io ripenso agli ostacoli chefrappone la società al genio ed al cuore dell'uomo, ecome ne' governi licenziosi o tirannici tutto è briga, inte-resse e calunnia – io m'inginocchio a ringraziar la Natu-ra che dotandomi di questa indole, nemica di ogni servi-tù, mi ha fatto vincere la fortuna e mi ha insegnato ainnnalzarmi sopra la mia educazione. So che la prima,sola, vera scienza è questa dell'uomo la quale non si puòstudiare nella solitudine, e ne' libri: e so che ognuno deeprevalersi della propria fortuna, o dell'altrui per cammi-nare con qualche sostegno su i precipizj della vita. Sia:per me, pavento d'essere ingannato da chi saprebbe am-

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ogni mia parola faceano le meraviglie; e che ad ogni orami proferivano la loro borsa e il lor cuore. Sepolture!bei marmi, e pomposi epitaffi: ma schiudili, vi trovi ver-mi e fetore. Pare a te, mio Lorenzo, che se l'avversità ciriducesse a domandar del pane, vi sarebbe taluno me-more delle sue promesse? o nessuno, o qualche astutosoltanto, che co' suoi beneficj vorrebbe comperare il no-stro avvilimento. Amici da bonaccia, nelle burrasche tiannegano. Per costoro tutto è calcolo in fondo. Onde sev'ha taluno nelle cui viscere fremano le generose passio-ni, o le deve strozzare, o rifuggirsi come le aquile e lefiere magnanime ne' monti inaccessibili e nelle forestelungi dalla invidia e dalla vendetta degli uomini. Le su-blimi anime passeggiano sopra le teste della moltitudineche oltraggiata dalla loro grandezza tenta d'incatenarle odi deriderle, e chiama pazzie le azioni ch'essa immersanel fango non può, non che ammirare, conoscere. – Ionon parlo di me; ma quand'io ripenso agli ostacoli chefrappone la società al genio ed al cuore dell'uomo, ecome ne' governi licenziosi o tirannici tutto è briga, inte-resse e calunnia – io m'inginocchio a ringraziar la Natu-ra che dotandomi di questa indole, nemica di ogni servi-tù, mi ha fatto vincere la fortuna e mi ha insegnato ainnnalzarmi sopra la mia educazione. So che la prima,sola, vera scienza è questa dell'uomo la quale non si puòstudiare nella solitudine, e ne' libri: e so che ognuno deeprevalersi della propria fortuna, o dell'altrui per cammi-nare con qualche sostegno su i precipizj della vita. Sia:per me, pavento d'essere ingannato da chi saprebbe am-

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maestrarmi, precipitato da quella stessa fortuna che po-trebbe innalzarmi; e battuto dalla mano che avrebbe tan-to vigore da sostenermi...

manca un'altra carta....

... s'io fossi nuovo: ma ho sentito fieramente tutte lepassioni, né potrei vantarmi intatto da tutti i vizj. È vero,che nessun vizio mi ha vinto mai, e ch'io in questo terre-stre pellegrinaggio sono d'improvviso trapassato daigiardini ai deserti: ma insieme confesso che i miei rav-vedimenti nacquero da un certo sdegno orgoglioso, edalla disperazione di trovare la gloria e la felicità a cuida' primi anni io agognava. S'io avessi venduta la fede,rinnegata la verità, trafficato il mio ingegno, credi tuch'io non vivrei più onorato e tranquillo? Ma gli onori ela tranquillità del mio secolo guasto meritano forse diessere acquistati col sagrificio dell'anima? Forse più chel'amore della virtù, il timore della bassezza m'ha rattenu-to alle volte da quelle colpe, che sono rispettate ne' po-tenti, tollerate ne' più, ma che per non lasciare senza vit-time il simulacro della giustizia sono punite nei miseri.No; né umana forza, né prepotenza divina mi farannorecitare mai nel teatro del mondo la parte del piccolobriccone. Per vegliare le notti nel gabinetto delle bellepiù illustri, ben io mi so che conviene professare liberti-naggio, perché le vogliono mantenersi in riputazionedove sospettano ancora il pudore. E taluna m'addottrinò

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maestrarmi, precipitato da quella stessa fortuna che po-trebbe innalzarmi; e battuto dalla mano che avrebbe tan-to vigore da sostenermi...

manca un'altra carta....

... s'io fossi nuovo: ma ho sentito fieramente tutte lepassioni, né potrei vantarmi intatto da tutti i vizj. È vero,che nessun vizio mi ha vinto mai, e ch'io in questo terre-stre pellegrinaggio sono d'improvviso trapassato daigiardini ai deserti: ma insieme confesso che i miei rav-vedimenti nacquero da un certo sdegno orgoglioso, edalla disperazione di trovare la gloria e la felicità a cuida' primi anni io agognava. S'io avessi venduta la fede,rinnegata la verità, trafficato il mio ingegno, credi tuch'io non vivrei più onorato e tranquillo? Ma gli onori ela tranquillità del mio secolo guasto meritano forse diessere acquistati col sagrificio dell'anima? Forse più chel'amore della virtù, il timore della bassezza m'ha rattenu-to alle volte da quelle colpe, che sono rispettate ne' po-tenti, tollerate ne' più, ma che per non lasciare senza vit-time il simulacro della giustizia sono punite nei miseri.No; né umana forza, né prepotenza divina mi farannorecitare mai nel teatro del mondo la parte del piccolobriccone. Per vegliare le notti nel gabinetto delle bellepiù illustri, ben io mi so che conviene professare liberti-naggio, perché le vogliono mantenersi in riputazionedove sospettano ancora il pudore. E taluna m'addottrinò

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nelle arti della seduzione, e mi confortò al tradimento –e avrei forse tradito e sedotto; ma il piacere ch'io ne spe-rava scendeva amarissimo dentro il mio cuore, il qualenon ha saputo mai pacificarsi co' tempi, o far alleanzacon la ragione. E però tu mi udivi assai volte esclamareche tutto dipende dal cuore! – dal cuore che né gli uo-mini né il cielo, né i nostri medesimi interessi possonocangiar mai.

Nella Italia più culta, e in alcune città della Franciaho cercato ansiosamente il bel mondo ch'io sentiva ma-gnificare con tanta enfasi: ma dappertutto ho trovatovolgo di nobili, volgo di letterati, volgo di belle, e tuttisciocchi, bassi, maligni; tutti. Mi sono intanto sfuggitique' pochi che vivendo negletti fra il popolo o meditan-do nella solitudine serbano rilevati i caratteri della loroindole non ancora strofinata. Intanto io correva di qua,di là, di su, di giù come le anime de' scioperati cacciateda Dante alle porte dell'inferno, non reputandole degnedi starsi fra' perfetti dannati. In tutto un anno sai tu cheraccolsi? ciance, vituperj, e noja mortale. – E quidond'io guardava il passato tremando, e mi rassicurava,credendomi in porto, il demonio mi strascina a sì fattimalanni. – Or tu vedi ch'io debbo drizzar gli occhi mieial raggio di salute che il Cielo mi ha presentato. Ma tiscongiuro, lascia andare l'usata predica: Jacopo Jacopo!questa tua indocilità ti fa divenire misantropo. E' ti pareche se odiassi gli uomini, mi dorrei come fo' de' lorvizj? tuttavia poiché non so riderne, e temo di rovinare,io stimo migliore partito la ritirata. E chi mi affida

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nelle arti della seduzione, e mi confortò al tradimento –e avrei forse tradito e sedotto; ma il piacere ch'io ne spe-rava scendeva amarissimo dentro il mio cuore, il qualenon ha saputo mai pacificarsi co' tempi, o far alleanzacon la ragione. E però tu mi udivi assai volte esclamareche tutto dipende dal cuore! – dal cuore che né gli uo-mini né il cielo, né i nostri medesimi interessi possonocangiar mai.

Nella Italia più culta, e in alcune città della Franciaho cercato ansiosamente il bel mondo ch'io sentiva ma-gnificare con tanta enfasi: ma dappertutto ho trovatovolgo di nobili, volgo di letterati, volgo di belle, e tuttisciocchi, bassi, maligni; tutti. Mi sono intanto sfuggitique' pochi che vivendo negletti fra il popolo o meditan-do nella solitudine serbano rilevati i caratteri della loroindole non ancora strofinata. Intanto io correva di qua,di là, di su, di giù come le anime de' scioperati cacciateda Dante alle porte dell'inferno, non reputandole degnedi starsi fra' perfetti dannati. In tutto un anno sai tu cheraccolsi? ciance, vituperj, e noja mortale. – E quidond'io guardava il passato tremando, e mi rassicurava,credendomi in porto, il demonio mi strascina a sì fattimalanni. – Or tu vedi ch'io debbo drizzar gli occhi mieial raggio di salute che il Cielo mi ha presentato. Ma tiscongiuro, lascia andare l'usata predica: Jacopo Jacopo!questa tua indocilità ti fa divenire misantropo. E' ti pareche se odiassi gli uomini, mi dorrei come fo' de' lorvizj? tuttavia poiché non so riderne, e temo di rovinare,io stimo migliore partito la ritirata. E chi mi affida

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dall'odio di questa razza d'uomini tanto da me diversa?né giova disputare per iscoprire per chi stia la ragione:non lo so; né la pretendo tutta per me. Quello che im-porta, si è (e tu in ciò sei d'accordo) che questa indolemia altera, salda, leale; o piuttosto ineducata, caparbia,imprudente, e la religiosa etichetta che veste d'una stes-sa divisa tutti gli esterni costumi di costoro, non si con-fanno; e davvero io non mi sento in umore di mutar abi-to. Per me dunque è disperata perfino la tregua, anz'iosono in aperta guerra, e la sconfitta è imminente; poichénon so neppure combattere con la maschera della dissi-mulazione, virtù d'assai credito e di maggiore profitto.Ve' la gran presunzione! io mi reputo meno brutto deglialtri e sdegno perciò di contraffarmi; anzi buono o reoch'io mi sia, ho la generosità, o di' pure la sfrontatezza,di presentarmi nudo, e quasi quasi come sono uscito dal-le mani della Natura. Che se talvolta io dico fra me:Pensi tu che la verità in bocca tua sia men temeraria? ioda ciò ne desumo che sarei matto se avendo trovato nel-la mia solitudine la tranquillità de' Beati, i quali s'impa-radisano nella contemplazione del sommo bene, io pernon istare a rischio d'innamorarmi (ecco la tua solitaantifona) mi commettessi alla discrezione di questa ciur-ma cerimoniosa e maligna.

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dall'odio di questa razza d'uomini tanto da me diversa?né giova disputare per iscoprire per chi stia la ragione:non lo so; né la pretendo tutta per me. Quello che im-porta, si è (e tu in ciò sei d'accordo) che questa indolemia altera, salda, leale; o piuttosto ineducata, caparbia,imprudente, e la religiosa etichetta che veste d'una stes-sa divisa tutti gli esterni costumi di costoro, non si con-fanno; e davvero io non mi sento in umore di mutar abi-to. Per me dunque è disperata perfino la tregua, anz'iosono in aperta guerra, e la sconfitta è imminente; poichénon so neppure combattere con la maschera della dissi-mulazione, virtù d'assai credito e di maggiore profitto.Ve' la gran presunzione! io mi reputo meno brutto deglialtri e sdegno perciò di contraffarmi; anzi buono o reoch'io mi sia, ho la generosità, o di' pure la sfrontatezza,di presentarmi nudo, e quasi quasi come sono uscito dal-le mani della Natura. Che se talvolta io dico fra me:Pensi tu che la verità in bocca tua sia men temeraria? ioda ciò ne desumo che sarei matto se avendo trovato nel-la mia solitudine la tranquillità de' Beati, i quali s'impa-radisano nella contemplazione del sommo bene, io pernon istare a rischio d'innamorarmi (ecco la tua solitaantifona) mi commettessi alla discrezione di questa ciur-ma cerimoniosa e maligna.

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Padova, 23 Dicembre

Questo scomunicato paese m'addormenta l'anima, no-jata della vita: tu puoi garrirmi a tua posta, in Padovanon so che farmi: se tu vedessi con che faccia sguajatami sto qui scioperando e durando fatica a incominciartiquesta meschina lettera! – Il padre di Teresa è tornato a'colli e mi ha scritto; gli ho risposto dandogli avviso chefra non molto ci rivedremo; e mi pare mill'anni.

Questa università (come saranno, pur troppo, tutte leuniversità della terra!) è per lo più composta di profes-sori orgogliosi e nemici fra loro, e di scolari dissipatissi-mi. Sai tu perché fra la turba de' dotti gli uomini sommison così rari? Quello istinto ispirato dall'alto che costi-tuisce il GENIO non vive se non se nella indipendenza enella solitudine, quando i tempi vietandogli d'operare,non gli lasciano che lo scrivere. Nella società si leggemolto, non si medita, e si copia; parlando sempre, sisvapora quella bile generosa che fa sentire, pensare, escrivere fortemente: per balbettar molte lingue, si bal-betta anche la propria, ridicoli a un tempo agli stranierie a noi stessi: dipendenti dagl'interessi, dai pregiudizj, edai vizj degli uomini fra' quali si vive, e guidati da unacatena di doveri e di bisogni, si commette alla moltitudi-ne la nostra gloria, e la nostra felicità: si palpa la ric-chezza e la possanza, e si paventa perfino di esseregrandi perché la fama aizza i persecutori, e l'altezza dianimo fa sospettare i governi; e i principi vogliono gliuomini tali da non riescire né eroi, né incliti scellerati

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Padova, 23 Dicembre

Questo scomunicato paese m'addormenta l'anima, no-jata della vita: tu puoi garrirmi a tua posta, in Padovanon so che farmi: se tu vedessi con che faccia sguajatami sto qui scioperando e durando fatica a incominciartiquesta meschina lettera! – Il padre di Teresa è tornato a'colli e mi ha scritto; gli ho risposto dandogli avviso chefra non molto ci rivedremo; e mi pare mill'anni.

Questa università (come saranno, pur troppo, tutte leuniversità della terra!) è per lo più composta di profes-sori orgogliosi e nemici fra loro, e di scolari dissipatissi-mi. Sai tu perché fra la turba de' dotti gli uomini sommison così rari? Quello istinto ispirato dall'alto che costi-tuisce il GENIO non vive se non se nella indipendenza enella solitudine, quando i tempi vietandogli d'operare,non gli lasciano che lo scrivere. Nella società si leggemolto, non si medita, e si copia; parlando sempre, sisvapora quella bile generosa che fa sentire, pensare, escrivere fortemente: per balbettar molte lingue, si bal-betta anche la propria, ridicoli a un tempo agli stranierie a noi stessi: dipendenti dagl'interessi, dai pregiudizj, edai vizj degli uomini fra' quali si vive, e guidati da unacatena di doveri e di bisogni, si commette alla moltitudi-ne la nostra gloria, e la nostra felicità: si palpa la ric-chezza e la possanza, e si paventa perfino di esseregrandi perché la fama aizza i persecutori, e l'altezza dianimo fa sospettare i governi; e i principi vogliono gliuomini tali da non riescire né eroi, né incliti scellerati

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mai. E però chi in tempi schiavi è pagato per istruire,rado o non mai si sacrifica al vero e al suo sacrosantoistituto; quindi quell'apparato delle lezioni cattedratichele quali ti fanno difficile la ragione e sospetta la verità. –Se non ch'io d'altronde sospetto che gli uomini tutti sie-no altrettanti ciechi che viaggiano al bujo, alcuni de'quali si schiudano le palpebre a fatica immaginando didistinguere le tenebre fra le quali denno pur camminarbrancolando. Ma questo sia per non detto: e' ci sono cer-te opinioni che andrebbero disputate con que' pochi sol-tanto che guardano le scienze col sogghigno con cheOmero guardava le gagliardie delle rane e de' topi.

A questo proposito: vuoi tu darmi retta una volta? orche Dio mandò il compratore, vendi in corpo e in animatutti i miei libri. Che ho da fare di quattro migliaja e piùdi volumi ch'io non so né voglio leggere? Preservamique' pochissimi che tu vedrai ne' margini postillati dimia mano. O come un tempo io m'affannava profonden-do co' librai tutto il mio! ma questa pazzia la non se n'èita se non per cedere forse luogo ad un'altra. Il danarodàllo a mia madre. Cercando di rifarla di tante spese – ionon so come, ma, a dirtela, darei fondo a un tesoro –questo ripiego mi è sembrato il più spiccio. I tempi di-ventano sempre più calamitosi, e non è giusto che quellapovera donna meni per me disagiata la poca vita che an-cora le avanza. Addio.

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mai. E però chi in tempi schiavi è pagato per istruire,rado o non mai si sacrifica al vero e al suo sacrosantoistituto; quindi quell'apparato delle lezioni cattedratichele quali ti fanno difficile la ragione e sospetta la verità. –Se non ch'io d'altronde sospetto che gli uomini tutti sie-no altrettanti ciechi che viaggiano al bujo, alcuni de'quali si schiudano le palpebre a fatica immaginando didistinguere le tenebre fra le quali denno pur camminarbrancolando. Ma questo sia per non detto: e' ci sono cer-te opinioni che andrebbero disputate con que' pochi sol-tanto che guardano le scienze col sogghigno con cheOmero guardava le gagliardie delle rane e de' topi.

A questo proposito: vuoi tu darmi retta una volta? orche Dio mandò il compratore, vendi in corpo e in animatutti i miei libri. Che ho da fare di quattro migliaja e piùdi volumi ch'io non so né voglio leggere? Preservamique' pochissimi che tu vedrai ne' margini postillati dimia mano. O come un tempo io m'affannava profonden-do co' librai tutto il mio! ma questa pazzia la non se n'èita se non per cedere forse luogo ad un'altra. Il danarodàllo a mia madre. Cercando di rifarla di tante spese – ionon so come, ma, a dirtela, darei fondo a un tesoro –questo ripiego mi è sembrato il più spiccio. I tempi di-ventano sempre più calamitosi, e non è giusto che quellapovera donna meni per me disagiata la poca vita che an-cora le avanza. Addio.

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Da' colli Euganei, 3 Gennajo 1798

Perdona; ti credeva più savio. – Il genere umano èquesto branco di ciechi che tu vedi urtarsi, spingersi,battersi, e incontrare o strascinarsi dietro la inesorabilefatalità. A che dunque seguire, o temere ciò che ti devesuccedere?

M'inganno? l'umana prudenza può rompere questa ca-tena invisibile di casi e d'infiniti minimi accidenti chenoi chiamiamo destino? sia: ma può ella per questo met-tere sicuro lo sguardo fra le ombre dell'avvenire? O! tunuovamente mi esorti a fuggire Teresa; e gli è come dir-mi: Abbandona ciò che ti fa cara la vita; trema del male,e t'imbatti nel peggio. Ma poniamo ch'io paventando ilpericolo da prudente, dovessi chiudere l'anima mia aogni barlume di felicità, tutta la mia vita non somiglie-rebbe forse le austere giornate di questa nebbiosa stagio-ne, le quali ci fanno desiderare di poter non esistere fintanto ch'esse rattristano la Natura? Di' il vero, Lorenzo;or non saria meglio che parte almeno del mattino fosseconfortata dal raggio del Sole anche a patti che la nottesi rapisse il dì innanzi sera? Che s'io dovessi far semprela guardia a questo mio cuore prepotente, sarei con mestesso in eterna guerra, e senza pro. Navigherò per per-duto, e vada come sa andare. – Intanto io

Sento l'aura mia antica, e i dolci colliVeggo apparir!3

3 Petrarca.

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Da' colli Euganei, 3 Gennajo 1798

Perdona; ti credeva più savio. – Il genere umano èquesto branco di ciechi che tu vedi urtarsi, spingersi,battersi, e incontrare o strascinarsi dietro la inesorabilefatalità. A che dunque seguire, o temere ciò che ti devesuccedere?

M'inganno? l'umana prudenza può rompere questa ca-tena invisibile di casi e d'infiniti minimi accidenti chenoi chiamiamo destino? sia: ma può ella per questo met-tere sicuro lo sguardo fra le ombre dell'avvenire? O! tunuovamente mi esorti a fuggire Teresa; e gli è come dir-mi: Abbandona ciò che ti fa cara la vita; trema del male,e t'imbatti nel peggio. Ma poniamo ch'io paventando ilpericolo da prudente, dovessi chiudere l'anima mia aogni barlume di felicità, tutta la mia vita non somiglie-rebbe forse le austere giornate di questa nebbiosa stagio-ne, le quali ci fanno desiderare di poter non esistere fintanto ch'esse rattristano la Natura? Di' il vero, Lorenzo;or non saria meglio che parte almeno del mattino fosseconfortata dal raggio del Sole anche a patti che la nottesi rapisse il dì innanzi sera? Che s'io dovessi far semprela guardia a questo mio cuore prepotente, sarei con mestesso in eterna guerra, e senza pro. Navigherò per per-duto, e vada come sa andare. – Intanto io

Sento l'aura mia antica, e i dolci colliVeggo apparir!3

3 Petrarca.

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10 Gennajo

Odoardo spera distrigato il suo affare tra un mese;così scrive: tornerà dunque, a dir tardi, a primavera. –Allora sì, verso ai primi d'Aprile, crederò ragionevole dipartirmi.

19 Gennajo

Umana vita? sogno; ingannevole sogno al quale noipur diam sì gran prezzo, siccome le donnicciuole ripon-gono la loro ventura nelle superstizioni e ne' presagj!Bada; ciò cui tu stendi avidamente la mano è un'ombraforse, che mentre è a te cara, a tal altro è nojosa. Stadunque tutta la mia felicità nella vota apparenza dellecose che ora m'attorniano; e s'io cerco alcun che di rea-le, o torno a ingannarmi, o spazio attonito e spaventatonel nulla! Io non lo so; ma, per me, temo che Natura ab-bia costituito la nostra specie quasi minimo anello passi-vo dell'incomprensibile suo sistema, dotandone di co-tanto amor proprio, perché il sommo timore e la sommasperanza creandoci nella immaginazione una infinita se-rie di mali e di beni, ci tenessero pur sempre affannati diquesta esistenza breve, dubbia, infelice. E mentre noiserviamo ciecamente al suo fine, essa ride del nostro or-goglio che ci fa reputare l'universo creato solo per noi, enoi soli degni e capaci di dar leggi al creato.

Andava dianzi perdendomi per le campagne, inferra-juolato sino agli occhi, considerando lo squallore della

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10 Gennajo

Odoardo spera distrigato il suo affare tra un mese;così scrive: tornerà dunque, a dir tardi, a primavera. –Allora sì, verso ai primi d'Aprile, crederò ragionevole dipartirmi.

19 Gennajo

Umana vita? sogno; ingannevole sogno al quale noipur diam sì gran prezzo, siccome le donnicciuole ripon-gono la loro ventura nelle superstizioni e ne' presagj!Bada; ciò cui tu stendi avidamente la mano è un'ombraforse, che mentre è a te cara, a tal altro è nojosa. Stadunque tutta la mia felicità nella vota apparenza dellecose che ora m'attorniano; e s'io cerco alcun che di rea-le, o torno a ingannarmi, o spazio attonito e spaventatonel nulla! Io non lo so; ma, per me, temo che Natura ab-bia costituito la nostra specie quasi minimo anello passi-vo dell'incomprensibile suo sistema, dotandone di co-tanto amor proprio, perché il sommo timore e la sommasperanza creandoci nella immaginazione una infinita se-rie di mali e di beni, ci tenessero pur sempre affannati diquesta esistenza breve, dubbia, infelice. E mentre noiserviamo ciecamente al suo fine, essa ride del nostro or-goglio che ci fa reputare l'universo creato solo per noi, enoi soli degni e capaci di dar leggi al creato.

Andava dianzi perdendomi per le campagne, inferra-juolato sino agli occhi, considerando lo squallore della

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terra tutta sepolta sotto le nevi, senza erba né fronda chemi attestasse le sue passate dovizie. Né potevano gli oc-chi miei lungamente fissarsi su le spalle de' monti, ilvertice de' quali era immerso in una negra nube di gelidanebbia che piombava ad accrescere il lutto dell'aerefreddo ed ottenebrato. E parevami vedere quelle nevi di-sciogliersi e precipitare a torrenti che innondavano ilpiano, trascinandosi impetuosamente piante, armenti,capanne, e sterminando in un giorno le fatiche di tantianni, e le speranze di tante famiglie. Trapelava di quan-do in quando un raggio di Sole, il quale quantunque re-stasse poi soverchiato dalla caligine, lasciava pur dive-dere che sua mercé soltanto il mondo non era dominatoda una perpetua notte profonda. Ed io rivolgendomi aquella parte di cielo che albeggiando manteneva ancorale tracce del suo splendore: – O Sole, diss'io, tutto can-gia quaggiù! E verrà giorno che Dio ritirerà il suo sguar-do da te, e tu pure sarai trasformato; né più allora lenubi corteggeranno i tuoi raggi cadenti; né più l'alba in-ghirlandata di celesti rose verrà cinta di un tuo raggio sul'oriente ad annunziar che tu sorgi. Godi intanto dellatua carriera, che sarà forse affannosa, e simile a questadell'uomo; tu 'l vedi; l'uomo non gode de' suoi giorni; ese talvolta gli è dato di passeggiare per li fiorenti pratid'Aprile, dee pur sempre temere l'infocato aere dell'esta-te, e il ghiaccio mortale del verno.

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terra tutta sepolta sotto le nevi, senza erba né fronda chemi attestasse le sue passate dovizie. Né potevano gli oc-chi miei lungamente fissarsi su le spalle de' monti, ilvertice de' quali era immerso in una negra nube di gelidanebbia che piombava ad accrescere il lutto dell'aerefreddo ed ottenebrato. E parevami vedere quelle nevi di-sciogliersi e precipitare a torrenti che innondavano ilpiano, trascinandosi impetuosamente piante, armenti,capanne, e sterminando in un giorno le fatiche di tantianni, e le speranze di tante famiglie. Trapelava di quan-do in quando un raggio di Sole, il quale quantunque re-stasse poi soverchiato dalla caligine, lasciava pur dive-dere che sua mercé soltanto il mondo non era dominatoda una perpetua notte profonda. Ed io rivolgendomi aquella parte di cielo che albeggiando manteneva ancorale tracce del suo splendore: – O Sole, diss'io, tutto can-gia quaggiù! E verrà giorno che Dio ritirerà il suo sguar-do da te, e tu pure sarai trasformato; né più allora lenubi corteggeranno i tuoi raggi cadenti; né più l'alba in-ghirlandata di celesti rose verrà cinta di un tuo raggio sul'oriente ad annunziar che tu sorgi. Godi intanto dellatua carriera, che sarà forse affannosa, e simile a questadell'uomo; tu 'l vedi; l'uomo non gode de' suoi giorni; ese talvolta gli è dato di passeggiare per li fiorenti pratid'Aprile, dee pur sempre temere l'infocato aere dell'esta-te, e il ghiaccio mortale del verno.

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22 Gennajo

Così va, caro amico: – stavami al focolare del mio ca-staldo, dove alcuni villani de' contorni s'adunano a croc-chio a scaldarsi, contandosi le loro novelle e le anticheavventure. Entrò una ragazza scalza, assiderata, e fattasiall'ortolano, lo richiese della limosina per la povera vec-chia. Mentre la si stava rifocillando al fuoco, esso lepreparava due fasci di legna e due pani bigi. La villanel-la se li pigliò, e salutandoci, uscì. Usciva io pure, esenz'avvedermi, la seguitava calcando dietro le sue pestela neve. Giunta a un mucchio di ghiaccio, si soffermòesaminando con gli occhi un altro sentiero, ed io rag-giungendola: – Andate voi lontano ragazza? – Signormio, no; un mezzo miglio. – Pur que' due fasci vi fannocamminare a disagio; lasciatene portare uno anche a me.– I fasci tanto non mi darebbero noja se me li potessireggere sulla spalla con tutte due le braccia; ma questidue pani m'intrigano. – Or via, porterò i pani. – Non fia-tò, e la si fe' tutta rossa, e mi porse i pani ch'io mi riposisotto il tabarro. Dopo breve ora entrammo in una capan-nuccia. Sedeva in un cantuccio una vecchierella con uncaldano fra piedi pieno di brace smorzata sovra le qualistendeva le palme, appoggiando i polsi su le estremitàde' ginocchi. – Buongiorno, madre. – Buongiorno. –Come state voi, madre? – Né a questa, né a dieci altreinterrogazioni mi fu possibile d'impetrare risposta;perch'essa attendeva a riscaldarsi le mani, alzando gliocchi di quando in quando come per vedere se eravamo

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22 Gennajo

Così va, caro amico: – stavami al focolare del mio ca-staldo, dove alcuni villani de' contorni s'adunano a croc-chio a scaldarsi, contandosi le loro novelle e le anticheavventure. Entrò una ragazza scalza, assiderata, e fattasiall'ortolano, lo richiese della limosina per la povera vec-chia. Mentre la si stava rifocillando al fuoco, esso lepreparava due fasci di legna e due pani bigi. La villanel-la se li pigliò, e salutandoci, uscì. Usciva io pure, esenz'avvedermi, la seguitava calcando dietro le sue pestela neve. Giunta a un mucchio di ghiaccio, si soffermòesaminando con gli occhi un altro sentiero, ed io rag-giungendola: – Andate voi lontano ragazza? – Signormio, no; un mezzo miglio. – Pur que' due fasci vi fannocamminare a disagio; lasciatene portare uno anche a me.– I fasci tanto non mi darebbero noja se me li potessireggere sulla spalla con tutte due le braccia; ma questidue pani m'intrigano. – Or via, porterò i pani. – Non fia-tò, e la si fe' tutta rossa, e mi porse i pani ch'io mi riposisotto il tabarro. Dopo breve ora entrammo in una capan-nuccia. Sedeva in un cantuccio una vecchierella con uncaldano fra piedi pieno di brace smorzata sovra le qualistendeva le palme, appoggiando i polsi su le estremitàde' ginocchi. – Buongiorno, madre. – Buongiorno. –Come state voi, madre? – Né a questa, né a dieci altreinterrogazioni mi fu possibile d'impetrare risposta;perch'essa attendeva a riscaldarsi le mani, alzando gliocchi di quando in quando come per vedere se eravamo

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ancora partiti. Posammo trattanto quelle poche provvi-sioni, e la vecchia, senza più guardar noi, le stava consi-derando con occhio mobile: e a' nostri saluti e alle pro-messe di ritornare domani, la non rispose se non seun'altra volta quasi per forza – Buongiorno.

Ravviandoci verso casa, la villanella mi raccontava,come quella donna ad onta di forse ottanta anni e più, edi una difficilissima vita, perché talvolta avveniva che itemporali vietavano a' contadini di recarle la limosinache le raccoglievano, in guisa che vedevasi sul punto diperire d'inedia, pur nondimeno tremava tuttavia di mori-re e borbottava sempre sue preci perché il cielo la tenes-se ancor viva. Ho poi udito dire a' vecchi del contado,che da molti anni le morì di un'archibugiata il marito dalquale ebbe figliuoli e figliuole, e poi generi, nuore e ni-poti ch'essa vide tutti perire e cascarle l'un dopo l'altro a'piedi nell'anno memorabile della fame. – Eppur, fratelmio, né i passati né i presenti mali la uccidono, e si pal-pa ancora una vita che nuota sempre in un mar di dolo-re.

Ahi dunque! tanti affanni assediano la nostra vita, chea mantenerla vuolsi non meno che un cieco istinto pre-potente per cui (quantunque la Natura ci spiani i mezzida liberarcene) siamo spesso forzati a comperarla conl'avvilimento, col pianto, e talvolta ancor col delitto!

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ancora partiti. Posammo trattanto quelle poche provvi-sioni, e la vecchia, senza più guardar noi, le stava consi-derando con occhio mobile: e a' nostri saluti e alle pro-messe di ritornare domani, la non rispose se non seun'altra volta quasi per forza – Buongiorno.

Ravviandoci verso casa, la villanella mi raccontava,come quella donna ad onta di forse ottanta anni e più, edi una difficilissima vita, perché talvolta avveniva che itemporali vietavano a' contadini di recarle la limosinache le raccoglievano, in guisa che vedevasi sul punto diperire d'inedia, pur nondimeno tremava tuttavia di mori-re e borbottava sempre sue preci perché il cielo la tenes-se ancor viva. Ho poi udito dire a' vecchi del contado,che da molti anni le morì di un'archibugiata il marito dalquale ebbe figliuoli e figliuole, e poi generi, nuore e ni-poti ch'essa vide tutti perire e cascarle l'un dopo l'altro a'piedi nell'anno memorabile della fame. – Eppur, fratelmio, né i passati né i presenti mali la uccidono, e si pal-pa ancora una vita che nuota sempre in un mar di dolo-re.

Ahi dunque! tanti affanni assediano la nostra vita, chea mantenerla vuolsi non meno che un cieco istinto pre-potente per cui (quantunque la Natura ci spiani i mezzida liberarcene) siamo spesso forzati a comperarla conl'avvilimento, col pianto, e talvolta ancor col delitto!

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17 Marzo4

Da due mesi non ti do segno di vita, e tu ti se' sgo-mentato; e temi ch'io sia vinto oggimai dall'amore da di-menticarmi di te e della patria. Fratel mio Lorenzo, tuconosci pur poco me e il cuore umano ed il tuo, se pre-sumi che il desiderio di patria possa temperarsi mai, nonche spegnersi; se credi che ceda ad altre passioni – benirrita le altre passioni, e n'è più irritato; ed è pur vero, ein questo hai detto pur bene! L'amore in un'anima esul-cerata, e dove le altre passioni sono disperate, riesceonnipotente – e io lo provo; ma che riesca funesto,t'inganni: senza Teresa, io sarei forse oggi sotterra.

La Natura crea di propria autorità tali ingegni da nonpoter essere se non generosi; venti anni addietro sì fattiingegni si rimanevano inerti ed assiderati nel soporeuniversale d'Italia: ma i tempi d'oggi hanno ridestato inessi le virili e natie loro passioni; ed hanno acquistato taltempra, che spezzarli puoi, piegarli non mai. E non èsentenza metafisia questa: la è verità che splende nellavita di molti antichi mortali gloriosamente infelici: veri-tà di cui mi sono accertato convivendo fra molti nostriconcittadini: e li compiango insieme e gli ammiro; dache, se Dio non ha pietà dell'Italia, dovranno chiuderenel loro secreto il desiderio di patria – funestissimo!perché o strugge, o addolora tutta la vita; e nondimenoanziché abbandonarlo, avranno cari i pericoli, e

4 “Lettera omessa in tutte le edizioni posteriori alla prima nellaquale unicamente si legge.”

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17 Marzo4

Da due mesi non ti do segno di vita, e tu ti se' sgo-mentato; e temi ch'io sia vinto oggimai dall'amore da di-menticarmi di te e della patria. Fratel mio Lorenzo, tuconosci pur poco me e il cuore umano ed il tuo, se pre-sumi che il desiderio di patria possa temperarsi mai, nonche spegnersi; se credi che ceda ad altre passioni – benirrita le altre passioni, e n'è più irritato; ed è pur vero, ein questo hai detto pur bene! L'amore in un'anima esul-cerata, e dove le altre passioni sono disperate, riesceonnipotente – e io lo provo; ma che riesca funesto,t'inganni: senza Teresa, io sarei forse oggi sotterra.

La Natura crea di propria autorità tali ingegni da nonpoter essere se non generosi; venti anni addietro sì fattiingegni si rimanevano inerti ed assiderati nel soporeuniversale d'Italia: ma i tempi d'oggi hanno ridestato inessi le virili e natie loro passioni; ed hanno acquistato taltempra, che spezzarli puoi, piegarli non mai. E non èsentenza metafisia questa: la è verità che splende nellavita di molti antichi mortali gloriosamente infelici: veri-tà di cui mi sono accertato convivendo fra molti nostriconcittadini: e li compiango insieme e gli ammiro; dache, se Dio non ha pietà dell'Italia, dovranno chiuderenel loro secreto il desiderio di patria – funestissimo!perché o strugge, o addolora tutta la vita; e nondimenoanziché abbandonarlo, avranno cari i pericoli, e

4 “Lettera omessa in tutte le edizioni posteriori alla prima nellaquale unicamente si legge.”

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quell'angoscia, e la morte. Ed io mi sono uno di questi; etu, mio Lorenzo.

Ma s'io scrivessi intorno a quello ch'io vidi, e so dellecose nostre, farei cosa superflua e crudele ridestando invoi tutti il furore che vorrei pur sopire dentro di me:piango, credimi, la patria – la piango secretamente, e de-sidero,

Che le lagrime mie si spargan sole.5

Un'altra specie d'amatori d'Italia si quereli ad altissi-ma voce a sua posta. Esclamano d'essere stati venduti etraditi: ma se si fossero armati sarebbero stati vinti for-se, non mai traditi; e se si fossero difesi sino all'ultimosangue, né i vincitori avrebbero potuto venderli, né ivinti si sarebbero attentati di comperarli. Se non chemoltissimi de' nostri presumono che la libertà si possacomperare a danaro; presumono che le nazioni stranierevengano per amore dell'equità a trucidarsi scambievol-mente su' nostri campi onde liberare l'Italia! Ma i fran-cesi che hanno fatto parere esecrabile la divina teoriadella pubblica libertà, faranno da Timoleoni in pro no-stro? – Moltissimi intanto si fidano nel Giovine Eroenato di sangue italiano; nato dove si parla il nostro idio-ma. Io da un animo basso e crudele, non m'aspetterò maicosa utile ed alta per noi. Che importa ch'abbia il vigoree il fremito del leone, se ha la mente volpina, e se necompiace? Sì; basso e crudele – né gli epiteti sono esa-

5 Petrarca.

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quell'angoscia, e la morte. Ed io mi sono uno di questi; etu, mio Lorenzo.

Ma s'io scrivessi intorno a quello ch'io vidi, e so dellecose nostre, farei cosa superflua e crudele ridestando invoi tutti il furore che vorrei pur sopire dentro di me:piango, credimi, la patria – la piango secretamente, e de-sidero,

Che le lagrime mie si spargan sole.5

Un'altra specie d'amatori d'Italia si quereli ad altissi-ma voce a sua posta. Esclamano d'essere stati venduti etraditi: ma se si fossero armati sarebbero stati vinti for-se, non mai traditi; e se si fossero difesi sino all'ultimosangue, né i vincitori avrebbero potuto venderli, né ivinti si sarebbero attentati di comperarli. Se non chemoltissimi de' nostri presumono che la libertà si possacomperare a danaro; presumono che le nazioni stranierevengano per amore dell'equità a trucidarsi scambievol-mente su' nostri campi onde liberare l'Italia! Ma i fran-cesi che hanno fatto parere esecrabile la divina teoriadella pubblica libertà, faranno da Timoleoni in pro no-stro? – Moltissimi intanto si fidano nel Giovine Eroenato di sangue italiano; nato dove si parla il nostro idio-ma. Io da un animo basso e crudele, non m'aspetterò maicosa utile ed alta per noi. Che importa ch'abbia il vigoree il fremito del leone, se ha la mente volpina, e se necompiace? Sì; basso e crudele – né gli epiteti sono esa-

5 Petrarca.

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gerati. A che non ha egli venduto Venezia con aperta egenerosa ferocia? Selim I che fece scannare sul Nilotrenta mila guerrieri Circassi arresisi alla sua fede, e Na-dir Schah che nel nostro secolo trucidò trecento mila In-diani, sono più atroci, bensì meno spregevoli. Vidi congli occhi miei una costituzione democratica postillatadal Giovine Eroe, postillata di mano sua, e mandata daPasseriano a Venezia perché s'accettasse; e il trattato diCampo Formio era già da più giorni firmato e Veneziaera trafficata; e la fiducia che l'Eroe nutriva in noi tuttiha riempito l'Italia di proscrizioni, d'emigrazioni, e d'esi-lii. – Non accuso la ragione di stato che vende comebranchi di pecore le nazioni: così fu sempre, e così sarà:piango la patria mia,

Che mi fu tolta, e il modo ancor m'offende.6

Nasce italiano, e soccorrerà un giorno alla patria: –altri sel creda; io risposi, e risponderò sempre: La Na-tura lo ha creato tiranno: e il tiranno non guarda a pa-tria; e non l'ha.

Alcuni altri de' nostri, veggendo le piaghe d'Italia,vanno pur predicando doversi sanarle co' rimedi estreminecessari alla libertà. Ben è vero, l'Italia ha preti e frati;non già sacerdoti: perché dove la religione non è invi-scerata nelle leggi e ne' costumi d'un popolo, l'ammini-strazione del culto è bottega. L'Italia ha de' titolati quan-ti ne vuoi; ma non ha propriamente patrizj: da che i pa-

6 Dante, Inf., canto V.

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gerati. A che non ha egli venduto Venezia con aperta egenerosa ferocia? Selim I che fece scannare sul Nilotrenta mila guerrieri Circassi arresisi alla sua fede, e Na-dir Schah che nel nostro secolo trucidò trecento mila In-diani, sono più atroci, bensì meno spregevoli. Vidi congli occhi miei una costituzione democratica postillatadal Giovine Eroe, postillata di mano sua, e mandata daPasseriano a Venezia perché s'accettasse; e il trattato diCampo Formio era già da più giorni firmato e Veneziaera trafficata; e la fiducia che l'Eroe nutriva in noi tuttiha riempito l'Italia di proscrizioni, d'emigrazioni, e d'esi-lii. – Non accuso la ragione di stato che vende comebranchi di pecore le nazioni: così fu sempre, e così sarà:piango la patria mia,

Che mi fu tolta, e il modo ancor m'offende.6

Nasce italiano, e soccorrerà un giorno alla patria: –altri sel creda; io risposi, e risponderò sempre: La Na-tura lo ha creato tiranno: e il tiranno non guarda a pa-tria; e non l'ha.

Alcuni altri de' nostri, veggendo le piaghe d'Italia,vanno pur predicando doversi sanarle co' rimedi estreminecessari alla libertà. Ben è vero, l'Italia ha preti e frati;non già sacerdoti: perché dove la religione non è invi-scerata nelle leggi e ne' costumi d'un popolo, l'ammini-strazione del culto è bottega. L'Italia ha de' titolati quan-ti ne vuoi; ma non ha propriamente patrizj: da che i pa-

6 Dante, Inf., canto V.

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trizj difendono con una mano la repubblica in guerra, econ l'altra la governano in pace; e in Italia sommo fastode' nobili è il non fare e il non sapere mai nulla. Final-mente abbiamo plebe; non già cittadini; o pochissimi. Imedici, gli avvocati, i professori d'università, i letterati, iricchi mercatanti, l'innumerabile schiera degl'impiegatifanno arti gentili essi dicono, e cittadinesche; non peròhanno nerbo e diritto cittadinesco. Chiunque si guada-gna sia pane, sia gemme con l'industria sua personale, enon è padrone di terre, non è se non parte di plebe;meno misera, non già meno serva. Terra senza abitatoripuò stare; popolo senza terra, non mai: quindi i pochi si-gnori delle terre in Italia, saranno pur sempre dominato-ri invisibili ed arbitri della nazione. Or di preti e fratifacciamo de' sacerdoti; convertiamo i titolati in patrizj; ipopolani tutti, o molti almeno, in cittadini abbienti, epossessori di terre – ma badiamo! senza carnificine; sen-za riforme sacrileghe di religione; senza fazioni; senzaproscrizioni né esilii; senza ajuto e sangue e depredazio-ni d'armi straniere; senza divisione di terre; né leggiagrarie; né rapine di proprietà famigliari – da che se mai(a quanto intesi ed intendo) se mai questi rimedi neces-sitassero a liberarne dal nostro infame perpetuo servag-gio, io per me non so cosa mi piglierei – né infamia, néservitù: ma neppur essere esecutore di sì crudeli e spes-so inefficaci rimedi – se non che all'individuo restanomolte vie di salute; non fosse altro il sepolcro: – ma unanazione non si può sotterrar tuttaquanta. E però, se scri-vessi, esorterei l'Italia a pigliarsi in pace il suo stato pre-

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trizj difendono con una mano la repubblica in guerra, econ l'altra la governano in pace; e in Italia sommo fastode' nobili è il non fare e il non sapere mai nulla. Final-mente abbiamo plebe; non già cittadini; o pochissimi. Imedici, gli avvocati, i professori d'università, i letterati, iricchi mercatanti, l'innumerabile schiera degl'impiegatifanno arti gentili essi dicono, e cittadinesche; non peròhanno nerbo e diritto cittadinesco. Chiunque si guada-gna sia pane, sia gemme con l'industria sua personale, enon è padrone di terre, non è se non parte di plebe;meno misera, non già meno serva. Terra senza abitatoripuò stare; popolo senza terra, non mai: quindi i pochi si-gnori delle terre in Italia, saranno pur sempre dominato-ri invisibili ed arbitri della nazione. Or di preti e fratifacciamo de' sacerdoti; convertiamo i titolati in patrizj; ipopolani tutti, o molti almeno, in cittadini abbienti, epossessori di terre – ma badiamo! senza carnificine; sen-za riforme sacrileghe di religione; senza fazioni; senzaproscrizioni né esilii; senza ajuto e sangue e depredazio-ni d'armi straniere; senza divisione di terre; né leggiagrarie; né rapine di proprietà famigliari – da che se mai(a quanto intesi ed intendo) se mai questi rimedi neces-sitassero a liberarne dal nostro infame perpetuo servag-gio, io per me non so cosa mi piglierei – né infamia, néservitù: ma neppur essere esecutore di sì crudeli e spes-so inefficaci rimedi – se non che all'individuo restanomolte vie di salute; non fosse altro il sepolcro: – ma unanazione non si può sotterrar tuttaquanta. E però, se scri-vessi, esorterei l'Italia a pigliarsi in pace il suo stato pre-

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sente, e a lasciare alla Francia la obbrobriosa sciagura diavere svenato tante vittime umane alla Libertà – su lequali la tirannide de' Cinque, o de' Cinquecento, o di Unsolo – torna tutt'uno – hanno piantato e pianteranno i lortroni; e vacillanti di minuto in minuto, come tutti i troniche hanno per fondamenta i cadaveri.

Il lungo tempo da che non ti scrivo non è corso per-duto per me; credo invece d'avere guadagnato anchetroppo – ma guadagni fatali! Il signore T*** ha moltis-simi libri di filosofia politica, e i migliori storici delmondo moderno: e tra per non volermi trovare assaispesso vicino a Teresa, tra per noja e per curiosità, duevigili istigatrici del genere umano – mi son fatto manda-re que' libri; e parte n'ho letto, parte ne ho scartabellato,e mi furono tristi compagni di questa vernata. Certo chepiù amabile compagnia mi parvero gli uccelletti i qualicacciati per disperazione dal freddo a cercarsi alimentovicino alle abitazioni degli uomini loro nemici, si posa-vano a famiglie e a tribù sul mio balcone dov'io appa-recchiava loro da desinare e da cena – ma forse ora cheva cessando il loro bisogno non mi visiteranno mai più.Intanto dalle mie lunghe letture ho raccolto: Che il nonconoscere gli uomini è pur cosa pericolosa; ma il cono-scerli quando non s'ha cuore da volerli ingannare è purcosa funesta! Ho raccolto: Che le molte opinioni de'molti libri, e le contraddizioni storiche, t'inducono alpirronismo e ti fanno errare nella confusione, e nel caos,e nel nulla: ond'io, a chi mi stringesse o di sempre leg-gere, o di non leggere mai, mi torrei di non leggere mai;

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sente, e a lasciare alla Francia la obbrobriosa sciagura diavere svenato tante vittime umane alla Libertà – su lequali la tirannide de' Cinque, o de' Cinquecento, o di Unsolo – torna tutt'uno – hanno piantato e pianteranno i lortroni; e vacillanti di minuto in minuto, come tutti i troniche hanno per fondamenta i cadaveri.

Il lungo tempo da che non ti scrivo non è corso per-duto per me; credo invece d'avere guadagnato anchetroppo – ma guadagni fatali! Il signore T*** ha moltis-simi libri di filosofia politica, e i migliori storici delmondo moderno: e tra per non volermi trovare assaispesso vicino a Teresa, tra per noja e per curiosità, duevigili istigatrici del genere umano – mi son fatto manda-re que' libri; e parte n'ho letto, parte ne ho scartabellato,e mi furono tristi compagni di questa vernata. Certo chepiù amabile compagnia mi parvero gli uccelletti i qualicacciati per disperazione dal freddo a cercarsi alimentovicino alle abitazioni degli uomini loro nemici, si posa-vano a famiglie e a tribù sul mio balcone dov'io appa-recchiava loro da desinare e da cena – ma forse ora cheva cessando il loro bisogno non mi visiteranno mai più.Intanto dalle mie lunghe letture ho raccolto: Che il nonconoscere gli uomini è pur cosa pericolosa; ma il cono-scerli quando non s'ha cuore da volerli ingannare è purcosa funesta! Ho raccolto: Che le molte opinioni de'molti libri, e le contraddizioni storiche, t'inducono alpirronismo e ti fanno errare nella confusione, e nel caos,e nel nulla: ond'io, a chi mi stringesse o di sempre leg-gere, o di non leggere mai, mi torrei di non leggere mai;

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e così forse farò. Ho raccolto: Che abbiamo tutti passio-ni vane com'è appunto la vanità della vita; e che nondi-meno sì fatta vanità è la sorgente de' nostri errori, delnostro pianto, e de' nostri delitti.

Pur nondimeno io mi sento rinsanguinare più sempreall'anima questo furore di patria: e quando penso a Tere-sa – e se spero – rientro in un subito in me assai più co-sternato di prima; e ridico: Quand'anche l'amica miafosse madre de' miei figliuoli, i miei figliuoli non avreb-bero patria; e la cara campagna della mia vita se n'accor-gerebbe gemendo. – Pur troppo! alle altre passioni chefanno alle giovinette sentire sull'aurora del loro giornofuggitivo i dolori, e più assai alle giovinette italiane, s'èaggiunto questo infelice amore di patria. Ho sviato il si-gnore T*** da' discorsi di politica, de' quali si appassio-na – sua figlia non apriva mai bocca: ma io pur m'avve-deva come le angosce di suo padre e le mie si rovescia-vano nelle viscere di quella fanciulla. Tu sai che non èfemminetta volgare: e prescindendo anche da' suoi inte-ressi – da che in altri tempi avrebbero potuto eleggersialtro marito – è dotata d'animo altero, e di signorili pen-sieri. E vede quanto m'è grave quest'ozio di oscuro efreddo egoista in cui logoro tutti i miei giorni – davvero,Lorenzo; anche tacendo, io paleso che sono misero evile dinanzi a me stesso. La volontà forte e la nullità dipotere in chi sente una passione politica lo fanno sciagu-ratissimo dentro di sé: e se non tace, lo fanno parere ri-dicolo al mondo; si fa la figura di paladino da romanzoe d'innamorato impotente della propria città. Quando

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e così forse farò. Ho raccolto: Che abbiamo tutti passio-ni vane com'è appunto la vanità della vita; e che nondi-meno sì fatta vanità è la sorgente de' nostri errori, delnostro pianto, e de' nostri delitti.

Pur nondimeno io mi sento rinsanguinare più sempreall'anima questo furore di patria: e quando penso a Tere-sa – e se spero – rientro in un subito in me assai più co-sternato di prima; e ridico: Quand'anche l'amica miafosse madre de' miei figliuoli, i miei figliuoli non avreb-bero patria; e la cara campagna della mia vita se n'accor-gerebbe gemendo. – Pur troppo! alle altre passioni chefanno alle giovinette sentire sull'aurora del loro giornofuggitivo i dolori, e più assai alle giovinette italiane, s'èaggiunto questo infelice amore di patria. Ho sviato il si-gnore T*** da' discorsi di politica, de' quali si appassio-na – sua figlia non apriva mai bocca: ma io pur m'avve-deva come le angosce di suo padre e le mie si rovescia-vano nelle viscere di quella fanciulla. Tu sai che non èfemminetta volgare: e prescindendo anche da' suoi inte-ressi – da che in altri tempi avrebbero potuto eleggersialtro marito – è dotata d'animo altero, e di signorili pen-sieri. E vede quanto m'è grave quest'ozio di oscuro efreddo egoista in cui logoro tutti i miei giorni – davvero,Lorenzo; anche tacendo, io paleso che sono misero evile dinanzi a me stesso. La volontà forte e la nullità dipotere in chi sente una passione politica lo fanno sciagu-ratissimo dentro di sé: e se non tace, lo fanno parere ri-dicolo al mondo; si fa la figura di paladino da romanzoe d'innamorato impotente della propria città. Quando

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Catone s'uccise, un povero patrizio, chiamato Cozio, loimitò: l'uno fu ammirato perché aveva prima tentatoogni via a non servire; l'altro fu deriso perché per amoredella libertà non seppe far altro che uccidersi.

Ma qui stando, non foss'altro co' miei pensieri, pressoa Teresa – perch'io regno ancor tanto sopra di me, ch'iolascio passare tre e quattro giorni senza vederla – pur ilsolo ricordarmene mi fa provare un foco soave, unlume, una consolazione di vita – breve forse, ma divinadolcezza – e così mi preservo per ora dalla assoluta di-sperazione.

E quando sto seco – ad altri forse nol crederesti, o Lo-renzo, a me sì – allora non le parlo d'amore. Èmezz'anno oramai da che l'anima sua s'è affratellata allamia, e non ha mai inteso uscire fuor delle mie labbra lacertezza ch'io l'amo. – Ma e come non può esserne cer-ta? – Suo padre giuoca meco a scacchi le intere serate:essa lavora seduta accanto a quel tavolino, silenziosissi-ma, se non quanto parlano gli occhi suoi; ma di rado: echinandosi a un tratto non mi domandano che pietà. – Equal altra pietà posso mai darle, da questa in fuori di te-nerle, quanto avrò forza, tenerle occulte come più potròtutte le mie passioni? Né io vivo se non per lei sola: equando anche questo mio nuovo sogno soave terminerà,io calerò volentieri il sipario. La gloria, il sapere, la gio-ventù, le ricchezze, la patria, tutti fantasmi che hannofino ad or recitato nella mia commedia, non fanno piùper me. Calerò il sipario; e lascierò che gli altri mortalis'affannino per accrescere i piaceri e menomare i dolori

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Catone s'uccise, un povero patrizio, chiamato Cozio, loimitò: l'uno fu ammirato perché aveva prima tentatoogni via a non servire; l'altro fu deriso perché per amoredella libertà non seppe far altro che uccidersi.

Ma qui stando, non foss'altro co' miei pensieri, pressoa Teresa – perch'io regno ancor tanto sopra di me, ch'iolascio passare tre e quattro giorni senza vederla – pur ilsolo ricordarmene mi fa provare un foco soave, unlume, una consolazione di vita – breve forse, ma divinadolcezza – e così mi preservo per ora dalla assoluta di-sperazione.

E quando sto seco – ad altri forse nol crederesti, o Lo-renzo, a me sì – allora non le parlo d'amore. Èmezz'anno oramai da che l'anima sua s'è affratellata allamia, e non ha mai inteso uscire fuor delle mie labbra lacertezza ch'io l'amo. – Ma e come non può esserne cer-ta? – Suo padre giuoca meco a scacchi le intere serate:essa lavora seduta accanto a quel tavolino, silenziosissi-ma, se non quanto parlano gli occhi suoi; ma di rado: echinandosi a un tratto non mi domandano che pietà. – Equal altra pietà posso mai darle, da questa in fuori di te-nerle, quanto avrò forza, tenerle occulte come più potròtutte le mie passioni? Né io vivo se non per lei sola: equando anche questo mio nuovo sogno soave terminerà,io calerò volentieri il sipario. La gloria, il sapere, la gio-ventù, le ricchezze, la patria, tutti fantasmi che hannofino ad or recitato nella mia commedia, non fanno piùper me. Calerò il sipario; e lascierò che gli altri mortalis'affannino per accrescere i piaceri e menomare i dolori

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d'una vita che ad ogni minuto s'accorcia, e che pure que'meschini se la vorrebbero persuadere immortale.

Eccoti con l'usato disordine, ma con insolita pacatez-za risposto alla tua lunga affettuosissima lettera: tu saidire assai meglio le tue ragioni: – io le mie le sento trop-po; però pajo ostinato. – Ma s'io ascoltassi più gli altriche me, rincrescerei forse a me stesso: – e nel non rin-crescere a sé, sta quel po' di felicità che l'uomo può spe-rar su la terra.

3 Aprile

Quando l'anima è tutta assorta in una specie di beati-tudine, le nostre deboli facoltà oppresse dalla sommadel piacere diventano quasi stupide, mute, e inette adogni fatica. Che s'io non menassi una vita da santo, lemie lettere ti capiterebbero innanzi più spesse. Se lesventure raggravano il carico della vita, noi corriamo afarne parte a qualche infelice; ed egli spreme confortodal sapere che non è il solo dannato alle lagrime. Ma selampeggia qualche momento di felicità, noi ci concen-triamo tutti in noi stessi, temendo che la nostra venturapossa, partecipandosi, diminuirsi; o l'orgoglio nostrosoltanto ci consiglia a menarne trionfo. E poi sente assaipoco la propria passione, o lieta o trista che sia, chi satroppo minutamente descriverla. – Intanto la Natura ri-torna bella – quale dev'essere stata quando nascendo laprima volta dall'informe abisso del caos, mandò foriera

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d'una vita che ad ogni minuto s'accorcia, e che pure que'meschini se la vorrebbero persuadere immortale.

Eccoti con l'usato disordine, ma con insolita pacatez-za risposto alla tua lunga affettuosissima lettera: tu saidire assai meglio le tue ragioni: – io le mie le sento trop-po; però pajo ostinato. – Ma s'io ascoltassi più gli altriche me, rincrescerei forse a me stesso: – e nel non rin-crescere a sé, sta quel po' di felicità che l'uomo può spe-rar su la terra.

3 Aprile

Quando l'anima è tutta assorta in una specie di beati-tudine, le nostre deboli facoltà oppresse dalla sommadel piacere diventano quasi stupide, mute, e inette adogni fatica. Che s'io non menassi una vita da santo, lemie lettere ti capiterebbero innanzi più spesse. Se lesventure raggravano il carico della vita, noi corriamo afarne parte a qualche infelice; ed egli spreme confortodal sapere che non è il solo dannato alle lagrime. Ma selampeggia qualche momento di felicità, noi ci concen-triamo tutti in noi stessi, temendo che la nostra venturapossa, partecipandosi, diminuirsi; o l'orgoglio nostrosoltanto ci consiglia a menarne trionfo. E poi sente assaipoco la propria passione, o lieta o trista che sia, chi satroppo minutamente descriverla. – Intanto la Natura ri-torna bella – quale dev'essere stata quando nascendo laprima volta dall'informe abisso del caos, mandò foriera

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la ridente Aurora di Aprile; ed ella abbandonando i suoibiondi capelli su l'oriente, e cingendo poi a poco a pocol'universo del roseo suo manto, diffuse benefica le fre-sche rugiade, e destò l'alito vergine de' venticelli per an-nunciare ai fiori, alle nuvole, alle onde e agli esseri tuttiche la salutavano, il Sole: il Sole! sublime immagine diDio, luce, anima, vita di tutto il creato.

6 Aprile

È vero; troppo! – questa mia fantasia mi dipinge cosìrealmente la felicità ch'io desidero, e me la pone davantiagli occhi, e sto lì lì per toccarla con mano, e mi manca-no ancor pochi passi – e poi? il tristo mio cuore se lavede svanire e piange quasi perdesse un bene possedutoda lungo tempo. Tuttavia – ei le scrive che la cabala fo-rense gli fu da prima cagione d'indugio, e che poi la ri-voluzione ha interrotto per qualche giorno il corso deitribunali: aggiungi che dove predomina l'interesse, le al-tre passioni si tacciono; un nuovo amore forse – ma tudirai: E tutto ciò cosa importa? Nulla, caro Lorenzo: aDio non piaccia ch'io mi prevalga della freddezzad'Odoardo – ma non so come si possa starle lontano unsolo giorno di più! – Andrò dunque ognor più lusingan-domi per tracannarmi poscia la mortale bevanda che misarò io medesimo preparata?

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la ridente Aurora di Aprile; ed ella abbandonando i suoibiondi capelli su l'oriente, e cingendo poi a poco a pocol'universo del roseo suo manto, diffuse benefica le fre-sche rugiade, e destò l'alito vergine de' venticelli per an-nunciare ai fiori, alle nuvole, alle onde e agli esseri tuttiche la salutavano, il Sole: il Sole! sublime immagine diDio, luce, anima, vita di tutto il creato.

6 Aprile

È vero; troppo! – questa mia fantasia mi dipinge cosìrealmente la felicità ch'io desidero, e me la pone davantiagli occhi, e sto lì lì per toccarla con mano, e mi manca-no ancor pochi passi – e poi? il tristo mio cuore se lavede svanire e piange quasi perdesse un bene possedutoda lungo tempo. Tuttavia – ei le scrive che la cabala fo-rense gli fu da prima cagione d'indugio, e che poi la ri-voluzione ha interrotto per qualche giorno il corso deitribunali: aggiungi che dove predomina l'interesse, le al-tre passioni si tacciono; un nuovo amore forse – ma tudirai: E tutto ciò cosa importa? Nulla, caro Lorenzo: aDio non piaccia ch'io mi prevalga della freddezzad'Odoardo – ma non so come si possa starle lontano unsolo giorno di più! – Andrò dunque ognor più lusingan-domi per tracannarmi poscia la mortale bevanda che misarò io medesimo preparata?

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11 Aprile

Ella sedeva sopra un sofà di rincontro alla finestradelle colline, osservando le nuvole che passeggiavanoper la ampiezza del cielo. Vedete, mi disse, quel l'azzur-ro profondo! Io le stava accanto muto muto, con gli oc-chi fissi su la sua mano che tenea socchiuso un libric-ciuolo. – Io non so come – ma non mi avvidi che la tem-pesta cominciava a muggire dal settentrione, e atterravale piante più giovani. Poveri arbuscelli! esclamò Teresa.Mi scossi. Si addensavano le tenebre della notte che ilampi rendeano più negre. Diluviava, tuonava – pocodopo vidi le finestre chiuse, e i lumi nella stanza. Il ra-gazzo per far ciò ch'ei soleva fare tutte le sere e temendodel mal tempo, venne a rapirci lo spettacolo della Naturaadirata; e Teresa che stava sopra pensiero, non se ne ac-corse e lo lasciò fare.

Le tolsi di mano il libro e aprendolo a caso, lessi:“La tenera Gliceria lasciò su queste mie labbra l'estre-

mo sospiro. Con Gliceria ho perduto tutto quello ch'iopoteva mai perdere. La sua fossa è il solo palmo di terrach'io degni di chiamar mio. Niuno, fuori di me, ne sa illuogo. L'ho coperta di folti rosaj i quali fioriscono comeun giorno fioriva il suo volto, e diffondono la fragranzasoave che spirava il suo seno. Ogni anno nel mese dellerose io visito il sacro boschetto. Siedo su quel cumulo diterra che serba le sue ossa; colgo una rosa, e – sto medi-tando: Tal tu fiorivi un dì! E sfoglio quella rosa, e lasparpaglio – e mi rammento quel dolce sogno de' nostri

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11 Aprile

Ella sedeva sopra un sofà di rincontro alla finestradelle colline, osservando le nuvole che passeggiavanoper la ampiezza del cielo. Vedete, mi disse, quel l'azzur-ro profondo! Io le stava accanto muto muto, con gli oc-chi fissi su la sua mano che tenea socchiuso un libric-ciuolo. – Io non so come – ma non mi avvidi che la tem-pesta cominciava a muggire dal settentrione, e atterravale piante più giovani. Poveri arbuscelli! esclamò Teresa.Mi scossi. Si addensavano le tenebre della notte che ilampi rendeano più negre. Diluviava, tuonava – pocodopo vidi le finestre chiuse, e i lumi nella stanza. Il ra-gazzo per far ciò ch'ei soleva fare tutte le sere e temendodel mal tempo, venne a rapirci lo spettacolo della Naturaadirata; e Teresa che stava sopra pensiero, non se ne ac-corse e lo lasciò fare.

Le tolsi di mano il libro e aprendolo a caso, lessi:“La tenera Gliceria lasciò su queste mie labbra l'estre-

mo sospiro. Con Gliceria ho perduto tutto quello ch'iopoteva mai perdere. La sua fossa è il solo palmo di terrach'io degni di chiamar mio. Niuno, fuori di me, ne sa illuogo. L'ho coperta di folti rosaj i quali fioriscono comeun giorno fioriva il suo volto, e diffondono la fragranzasoave che spirava il suo seno. Ogni anno nel mese dellerose io visito il sacro boschetto. Siedo su quel cumulo diterra che serba le sue ossa; colgo una rosa, e – sto medi-tando: Tal tu fiorivi un dì! E sfoglio quella rosa, e lasparpaglio – e mi rammento quel dolce sogno de' nostri

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amori. O mia Gliceria, ove sei tu? una lagrima cade sul'erba che spunta su la sepoltura, e appaga l'ombra amo-rosa”.

Tacqui. – Perchè non leggete? diss'ella sospirando eguardandomi. Io rileggeva: e tornando a proferire nuo-vamente: Tal tu fiorivi un dì! la mia voce fu soffocata;una lagrima di Teresa grondò su la mia mano che strin-geva la sua.

17 Aprile

Ti risovviene di quella giovinetta che quattro anni favilleggiava appie' di queste colline? era la innamoratadel nostro Olivo P***, e tu sai com'ei impoverì, né potépiù averla in isposa. Oggi io l'ho riveduta accasata a untitolato, parente della famiglia T***. Passando per lesue possessioni, venne a visitare Teresa. Io sedeva perterra sul tappeto, e attentissimo all'esemplare della miaIsabellina che scorbiava l'abbiccì sopra una sedia.Com'io la vidi, m'alzai correndole incontro quasi quasiper abbracciarla: – quanto diversa! contegnosa, affettata,penò a ravvisarmi, e poi fece le maraviglie masticandoun complimentuccio mezzo a me, mezzo a Teresa – escommetto che la mia vista non preveduta l'ha sconcer-tata. Ma cinguettando e di giojelli e di nastri e di vezzi edi cuffie, si rinfrancò. Io mi sperava di usarle un atto dicarità graziosa sviando il discorso da simili frascherie; eperché quasi tutte le giovani le si fanno più belle in viso,

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amori. O mia Gliceria, ove sei tu? una lagrima cade sul'erba che spunta su la sepoltura, e appaga l'ombra amo-rosa”.

Tacqui. – Perchè non leggete? diss'ella sospirando eguardandomi. Io rileggeva: e tornando a proferire nuo-vamente: Tal tu fiorivi un dì! la mia voce fu soffocata;una lagrima di Teresa grondò su la mia mano che strin-geva la sua.

17 Aprile

Ti risovviene di quella giovinetta che quattro anni favilleggiava appie' di queste colline? era la innamoratadel nostro Olivo P***, e tu sai com'ei impoverì, né potépiù averla in isposa. Oggi io l'ho riveduta accasata a untitolato, parente della famiglia T***. Passando per lesue possessioni, venne a visitare Teresa. Io sedeva perterra sul tappeto, e attentissimo all'esemplare della miaIsabellina che scorbiava l'abbiccì sopra una sedia.Com'io la vidi, m'alzai correndole incontro quasi quasiper abbracciarla: – quanto diversa! contegnosa, affettata,penò a ravvisarmi, e poi fece le maraviglie masticandoun complimentuccio mezzo a me, mezzo a Teresa – escommetto che la mia vista non preveduta l'ha sconcer-tata. Ma cinguettando e di giojelli e di nastri e di vezzi edi cuffie, si rinfrancò. Io mi sperava di usarle un atto dicarità graziosa sviando il discorso da simili frascherie; eperché quasi tutte le giovani le si fanno più belle in viso,

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e non bisognano d'altri ornamenti, allorquando modesta-mente ti parlano del lor cuore, le ricordai queste campa-gne e que' suoi giorni beati. – Ah, ah, rispose sbadata-mente; e tirò innanzi ad anatomizzare l'oltramontanotravaglio de' suoi orecchini. Il marito frattanto (perchéfra il Popolone de' pigmei ha scroccato fama di savantcome l'Algarotti e il ***) gemmando il suo pretto favel-lare toscano di mille frasi francesi, magnificava il prez-zo di quelle inezie, e il buon gusto della sua sposa. Sta-va io per pigliarmi il cappello, ma un'occhiata di Teresami fe' star cheto. La conversazione venne di mano inmano a cadere su' libri che noi leggevamo in campagna.Allora tu avresti udito Messere tesserci il panegericodella prodigiosa biblioteca de' suoi maggiori, e dellacollezione di tutte l'edizioni Principes degli antichi ch'eine' suoi viaggi ebbe cura di completare. Io rideva fracuore, ed ei proseguiva la sua lezione di frontespizj.Quando Gesù volle, tornò un servo ch'era ito in tracciadel signore T*** ad avvertire Teresa che non l'avea po-tuto trovare, perché egli era uscito a caccia per le mon-tagne; e la lezione fu rotta. Chiesi alla sposa novella diOlivo ch'io dopo le sue disgrazie non aveva più rivedu-to. Immaginerai che cuore fu il mio quando m'intesifreddamente rispondere dall'antica sua amante: È giàmorto. – È morto! sclamai balzando in piedi, e guardan-dola stupidito. E descrissi a Teresa l'egregia indole diquel giovine senza pari, e la sua nemica fortuna che locostrinse a combattere con la povertà e con la infamia; emorì nondimeno scevro di taccia e di colpa.

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e non bisognano d'altri ornamenti, allorquando modesta-mente ti parlano del lor cuore, le ricordai queste campa-gne e que' suoi giorni beati. – Ah, ah, rispose sbadata-mente; e tirò innanzi ad anatomizzare l'oltramontanotravaglio de' suoi orecchini. Il marito frattanto (perchéfra il Popolone de' pigmei ha scroccato fama di savantcome l'Algarotti e il ***) gemmando il suo pretto favel-lare toscano di mille frasi francesi, magnificava il prez-zo di quelle inezie, e il buon gusto della sua sposa. Sta-va io per pigliarmi il cappello, ma un'occhiata di Teresami fe' star cheto. La conversazione venne di mano inmano a cadere su' libri che noi leggevamo in campagna.Allora tu avresti udito Messere tesserci il panegericodella prodigiosa biblioteca de' suoi maggiori, e dellacollezione di tutte l'edizioni Principes degli antichi ch'eine' suoi viaggi ebbe cura di completare. Io rideva fracuore, ed ei proseguiva la sua lezione di frontespizj.Quando Gesù volle, tornò un servo ch'era ito in tracciadel signore T*** ad avvertire Teresa che non l'avea po-tuto trovare, perché egli era uscito a caccia per le mon-tagne; e la lezione fu rotta. Chiesi alla sposa novella diOlivo ch'io dopo le sue disgrazie non aveva più rivedu-to. Immaginerai che cuore fu il mio quando m'intesifreddamente rispondere dall'antica sua amante: È giàmorto. – È morto! sclamai balzando in piedi, e guardan-dola stupidito. E descrissi a Teresa l'egregia indole diquel giovine senza pari, e la sua nemica fortuna che locostrinse a combattere con la povertà e con la infamia; emorì nondimeno scevro di taccia e di colpa.

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Il marito allora prese a narrarci la morte del padre diOlivo, le dissensioni con suo fratello primogenito, le litisempre più accanite, e la sentenza de' tribunali che giu-dici fra due figli di uno stesso padre, per arricchire l'uno,spogliarono l'altro; divoratosi il povero Olivo fra le ca-bale del foro anche quel poco che gli rimanea. Moraliz-zava su questo giovine stravagante che ricusò i soccorsidi suo fratello, e invece di placarselo, lo inasprì semprepiù. – Sì sì, lo interruppi, se suo fratello non ha potutoessere giusto, Olivo non doveva essere vile. Tristo coluiche ritira il suo cuore dai consigli e dal compiantodell'amicizia, e sdegna i mutui sospiri della pietà, e ri-fiuta il pronto soccorso che la mano dell'amico gli por-ge. Ma le mille volte più tristo chi fida nell'amicizia delricco: e presumendo virtù in chi non fu mai sventurato,accoglie quel beneficio che dovrà poscia scontare conaltrettanta onestà. La felicità non si collega con la sven-tura che per comperare la gratitudine e tiranneggiare lavirtù. L'uomo, animale oppressore, abusa dei capriccidella fortuna per aggiudicarsi il diritto di soverchiare. A'soli afflitti è bensì conceduto il potersi e soccorrere econsolare scambievolmente senz'insultarsi; ma colui chegiunse a sedere alla mensa del ricco, tosto, benché tardi,s'avvede.

Come sa di saleLo pane altrui.7

7 Dante.

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Il marito allora prese a narrarci la morte del padre diOlivo, le dissensioni con suo fratello primogenito, le litisempre più accanite, e la sentenza de' tribunali che giu-dici fra due figli di uno stesso padre, per arricchire l'uno,spogliarono l'altro; divoratosi il povero Olivo fra le ca-bale del foro anche quel poco che gli rimanea. Moraliz-zava su questo giovine stravagante che ricusò i soccorsidi suo fratello, e invece di placarselo, lo inasprì semprepiù. – Sì sì, lo interruppi, se suo fratello non ha potutoessere giusto, Olivo non doveva essere vile. Tristo coluiche ritira il suo cuore dai consigli e dal compiantodell'amicizia, e sdegna i mutui sospiri della pietà, e ri-fiuta il pronto soccorso che la mano dell'amico gli por-ge. Ma le mille volte più tristo chi fida nell'amicizia delricco: e presumendo virtù in chi non fu mai sventurato,accoglie quel beneficio che dovrà poscia scontare conaltrettanta onestà. La felicità non si collega con la sven-tura che per comperare la gratitudine e tiranneggiare lavirtù. L'uomo, animale oppressore, abusa dei capriccidella fortuna per aggiudicarsi il diritto di soverchiare. A'soli afflitti è bensì conceduto il potersi e soccorrere econsolare scambievolmente senz'insultarsi; ma colui chegiunse a sedere alla mensa del ricco, tosto, benché tardi,s'avvede.

Come sa di saleLo pane altrui.7

7 Dante.

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E per questo, oh quanto è men doloroso l'andare ac-cattando di porta in porta la vita, anziché umiliarsi, oesecrare l'indiscreto benefattore che ostentando il suobeneficio, esige in ricompensa il tuo rossore e la tua li-bertà! –

Ma voi, mi rispose il marito, non mi avete lasciato fi-nire. Se Olivo uscì dalla casa paterna, rinunziando tuttigl'interessi al primogenito, perché poi volle pagare i de-biti di suo padre? Che? non affrontò ei medesimo l'indi-genza ipotecando per questa sciocca delicatezza anchela sua porzione della dote materna? –

Perché? – se l'erede defraudò i creditori co' sotterfugjforensi, Olivo doveva mai comportare che le ossa di suopadre fossero maledette da coloro che nelle avversità loaveano sovvenuto delle loro sostanze, e ch'ei fosse mo-strato a dito per le strade come figliuolo di un fallito?Questa generosa onestà diffamò il primogenito che nonera nato a imitarla, e che dopo d'avere tentato invano ilfratello co' beneficj, gli giurò poscia inimicizia mortalee veramente feudale e fraterna. Olivo intanto perdé l'aju-to di quelli che lo lodavano forse nel loro secreto, per-ché restò soverchiato dagli scellerati, essendo più age-vole approvar la virtù, che sostenerla a spada tratta e se-guirla. Per questo l'uomo dabbene in mezzo a' malvagirovina sempre; e noi siam soliti ad associarci al più for-te, a calpestare chi giace e a giudicar dall'evento. – Nonmi rispondevano; ed erano forse convinti, non già per-suasi, e soggiunsi. – Invece di piangere Olivo, ringrazioil sommo Iddio che lo ha chiamato lontano da tante ri-

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E per questo, oh quanto è men doloroso l'andare ac-cattando di porta in porta la vita, anziché umiliarsi, oesecrare l'indiscreto benefattore che ostentando il suobeneficio, esige in ricompensa il tuo rossore e la tua li-bertà! –

Ma voi, mi rispose il marito, non mi avete lasciato fi-nire. Se Olivo uscì dalla casa paterna, rinunziando tuttigl'interessi al primogenito, perché poi volle pagare i de-biti di suo padre? Che? non affrontò ei medesimo l'indi-genza ipotecando per questa sciocca delicatezza anchela sua porzione della dote materna? –

Perché? – se l'erede defraudò i creditori co' sotterfugjforensi, Olivo doveva mai comportare che le ossa di suopadre fossero maledette da coloro che nelle avversità loaveano sovvenuto delle loro sostanze, e ch'ei fosse mo-strato a dito per le strade come figliuolo di un fallito?Questa generosa onestà diffamò il primogenito che nonera nato a imitarla, e che dopo d'avere tentato invano ilfratello co' beneficj, gli giurò poscia inimicizia mortalee veramente feudale e fraterna. Olivo intanto perdé l'aju-to di quelli che lo lodavano forse nel loro secreto, per-ché restò soverchiato dagli scellerati, essendo più age-vole approvar la virtù, che sostenerla a spada tratta e se-guirla. Per questo l'uomo dabbene in mezzo a' malvagirovina sempre; e noi siam soliti ad associarci al più for-te, a calpestare chi giace e a giudicar dall'evento. – Nonmi rispondevano; ed erano forse convinti, non già per-suasi, e soggiunsi. – Invece di piangere Olivo, ringrazioil sommo Iddio che lo ha chiamato lontano da tante ri-

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balderie, e dalle nostre imbecillità. Da che, a dir vero,noi stessi, noi devoti della virtù, siamo pure imbecilli!Sono certi uomini che hanno bisogno della morte perchénon sanno assuefarsi a' delitti de' tristi, né alla pusillani-mità degli uomini buoni.

La sposa parea intenerita. Oh pur troppo! esclamòcon un sospiro. Ma – chi per altro ha bisogno di panenon ha poi da assottigliarsi tanto su l'onore. –

E questa la è pure una delle vostre bestemmie! pro-ruppi: voi dunque perché siete favoriti dalla fortuna vor-reste essere onesti voi soli; anzi perché la virtù su laoscura vostr'anima non risplende, vorreste reprimerlaanche ne' petti degl'infelici, che pure non hanno altroconforto, e illudere in questa maniera la vostra coscien-za? – Gli occhi di Teresa mi davano ragione; pur si stu-diava di far mutare discorso – ma la visiera era alzata; ecome poteva io più tacere? ben ora ne sento rimorso –gli occhi degli sposi erano fitti a terra, e la loro anima fuanch'essa atterrata, quando gridai con fierissima voce: –Coloro che non furono mai sventurati, non sono degnidella loro felicità. Orgogliosi! guardano la miseria perinsultarla: pretendono che tutto debba offerirsi in tributoalla ricchezza e al piacere. Ma l'infelice che serba la suadignità è spettacolo di coraggio a' buoni, e di rimbrottoa' malvagi. – E sono uscito cacciandomi le mani ne' ca-pelli. Grazie a' primi casi della mia vita che mi costitui-rono sventurato! Lorenzo mio, or non sarei forse tuoamico; or non sarei amico di questa fanciulla. – Mi stasempre davanti l'avvenimento di stamattina. Qui dove

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balderie, e dalle nostre imbecillità. Da che, a dir vero,noi stessi, noi devoti della virtù, siamo pure imbecilli!Sono certi uomini che hanno bisogno della morte perchénon sanno assuefarsi a' delitti de' tristi, né alla pusillani-mità degli uomini buoni.

La sposa parea intenerita. Oh pur troppo! esclamòcon un sospiro. Ma – chi per altro ha bisogno di panenon ha poi da assottigliarsi tanto su l'onore. –

E questa la è pure una delle vostre bestemmie! pro-ruppi: voi dunque perché siete favoriti dalla fortuna vor-reste essere onesti voi soli; anzi perché la virtù su laoscura vostr'anima non risplende, vorreste reprimerlaanche ne' petti degl'infelici, che pure non hanno altroconforto, e illudere in questa maniera la vostra coscien-za? – Gli occhi di Teresa mi davano ragione; pur si stu-diava di far mutare discorso – ma la visiera era alzata; ecome poteva io più tacere? ben ora ne sento rimorso –gli occhi degli sposi erano fitti a terra, e la loro anima fuanch'essa atterrata, quando gridai con fierissima voce: –Coloro che non furono mai sventurati, non sono degnidella loro felicità. Orgogliosi! guardano la miseria perinsultarla: pretendono che tutto debba offerirsi in tributoalla ricchezza e al piacere. Ma l'infelice che serba la suadignità è spettacolo di coraggio a' buoni, e di rimbrottoa' malvagi. – E sono uscito cacciandomi le mani ne' ca-pelli. Grazie a' primi casi della mia vita che mi costitui-rono sventurato! Lorenzo mio, or non sarei forse tuoamico; or non sarei amico di questa fanciulla. – Mi stasempre davanti l'avvenimento di stamattina. Qui dove

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siedo solo mi guardo intorno e temo di rivedere alcunode' miei conoscenti. Chi l'avrebbe mai detto? Il cuore dicolei non ha palpitato al nome del suo primo amore!ardì di turbare le ceneri di lui che le ha per la prima vol-ta ispirato l'universale sentimento della vita. Né un solosospiro? – ma pazzo! tu t'affliggi perché non trovi fra gliuomini quella virtù che forse, ahi! forse non è che votonome – o necessità che si muta con le passioni e le cir-costanze – o prepotenza di natura in alcuni pochi indivi-dui, i quali essendo generosi e pietosi per indole, sonoobbligati a guerra perpetua contro l'universalità de' mor-tali; – e bastasse! ma guai allorché, volere e non volere,denno pure aprir gli occhi alla luce funerea del disingan-no!

Io non ho l'anima negra; e tu il sai, mio Lorenzo; nel-la mia prima gioventù avrei sparso fiori su le teste ditutti i viventi: chi mi ha fatto così rigido e ombroso ver-so la più parte degli uomini se non la loro ipocrita cru-deltà? Perdonerei tutti i torti che mi hanno fatto. Maquando mi passa dinanzi la venerabile povertà che men-tre s'affatica mostra le sue vene succhiate dalla onnipo-tente opulenza; e quando io vedo tanti uomini infermi,imprigionati, affamati, e tutti supplichevoli sotto il terri-bile flagello di certe leggi – ah no, io non mi posso rin-conciliare. Io grido allora vendetta con quella turba ditapini co' quali divido il pane e le lagrime: e ardisco ri-domandare in lor nome la porzione che hanno ereditatodalla Natura, madre benefica ed imparziale – la Natura?ma se ne ha fatti quali pur siamo, non è forse matrigna?

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siedo solo mi guardo intorno e temo di rivedere alcunode' miei conoscenti. Chi l'avrebbe mai detto? Il cuore dicolei non ha palpitato al nome del suo primo amore!ardì di turbare le ceneri di lui che le ha per la prima vol-ta ispirato l'universale sentimento della vita. Né un solosospiro? – ma pazzo! tu t'affliggi perché non trovi fra gliuomini quella virtù che forse, ahi! forse non è che votonome – o necessità che si muta con le passioni e le cir-costanze – o prepotenza di natura in alcuni pochi indivi-dui, i quali essendo generosi e pietosi per indole, sonoobbligati a guerra perpetua contro l'universalità de' mor-tali; – e bastasse! ma guai allorché, volere e non volere,denno pure aprir gli occhi alla luce funerea del disingan-no!

Io non ho l'anima negra; e tu il sai, mio Lorenzo; nel-la mia prima gioventù avrei sparso fiori su le teste ditutti i viventi: chi mi ha fatto così rigido e ombroso ver-so la più parte degli uomini se non la loro ipocrita cru-deltà? Perdonerei tutti i torti che mi hanno fatto. Maquando mi passa dinanzi la venerabile povertà che men-tre s'affatica mostra le sue vene succhiate dalla onnipo-tente opulenza; e quando io vedo tanti uomini infermi,imprigionati, affamati, e tutti supplichevoli sotto il terri-bile flagello di certe leggi – ah no, io non mi posso rin-conciliare. Io grido allora vendetta con quella turba ditapini co' quali divido il pane e le lagrime: e ardisco ri-domandare in lor nome la porzione che hanno ereditatodalla Natura, madre benefica ed imparziale – la Natura?ma se ne ha fatti quali pur siamo, non è forse matrigna?

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Sì, Teresa, io vivrò teco; ma io non vivrò se nonquanto potrò vivere teco. Tu sei uno di que' pochi angio-li sparsi qua e là su la faccia della terra per accreditarel'amore dell'umanità. Ma s'io ti perdessi, quale scamposi aprirebbe a questo giovine infastidito di tutto il restodel mondo?

Se dianzi tu l'avessi veduta! mi stendeva la mano, di-cendomi – Siate discreto; e davvero, quelle due personemi pareano compunte: e se Olivo non fosse stato infeli-ce, avrebbe egli avuto anche oltre la tomba un amico?

Ahi! proseguì dopo un lungo silenzio, per amar la vir-tù conviene dunque vivere nel dolore? – Lorenzo! l'ani-ma sua celeste raggiava da' lineamenti del viso.

29 Aprile

Vicino a lei io sono sì pieno di vita che appena sentodi vivere. Così quand'io mi desto dopo un pacifico son-no, se il raggio di Sole mi riflette su gli occhi, la mia vi-sta si abbaglia e si perde in un torrente di luce.

Da gran tempo mi lagno della inerzia in cui vivo. Alriaprirsi della primavera mi proponeva di studiare bota-nica; e in due settimane io aveva raccattato su per le bal-ze parecchie dozzine di piante che adesso non so piùdove me le abbia riposte. Mi sono assai volte dimentica-to il mio Linneo sopra i sedili del giardino, o appié diqualche albero; l'ho finalmente perduto. Jeri Michele mene ha recato due foglj tutti umidi di rugiada; e stamatti-

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Sì, Teresa, io vivrò teco; ma io non vivrò se nonquanto potrò vivere teco. Tu sei uno di que' pochi angio-li sparsi qua e là su la faccia della terra per accreditarel'amore dell'umanità. Ma s'io ti perdessi, quale scamposi aprirebbe a questo giovine infastidito di tutto il restodel mondo?

Se dianzi tu l'avessi veduta! mi stendeva la mano, di-cendomi – Siate discreto; e davvero, quelle due personemi pareano compunte: e se Olivo non fosse stato infeli-ce, avrebbe egli avuto anche oltre la tomba un amico?

Ahi! proseguì dopo un lungo silenzio, per amar la vir-tù conviene dunque vivere nel dolore? – Lorenzo! l'ani-ma sua celeste raggiava da' lineamenti del viso.

29 Aprile

Vicino a lei io sono sì pieno di vita che appena sentodi vivere. Così quand'io mi desto dopo un pacifico son-no, se il raggio di Sole mi riflette su gli occhi, la mia vi-sta si abbaglia e si perde in un torrente di luce.

Da gran tempo mi lagno della inerzia in cui vivo. Alriaprirsi della primavera mi proponeva di studiare bota-nica; e in due settimane io aveva raccattato su per le bal-ze parecchie dozzine di piante che adesso non so piùdove me le abbia riposte. Mi sono assai volte dimentica-to il mio Linneo sopra i sedili del giardino, o appié diqualche albero; l'ho finalmente perduto. Jeri Michele mene ha recato due foglj tutti umidi di rugiada; e stamatti-

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na mi ha recato notizia che il rimanente era stato malconcio dal cane dell'ortolano.

Teresa mi sgrida: per compiacerle m'accingo a scrive-re; ma sebbene incominci con la più bella vocazione chemai, non so andar innanzi per più di tre o quattro perio-di. Mi assumo mille argomenti; mi s'affacciano milleidee: scelgo, rigetto, poi torno a scegliere; scrivo final-mente, straccio, cancello, e perdo spesso mattina e sera:la mente si stanca, le dita abbandonano la penna, e miavvengo d'avere gittato il tempo e la fatica. – Se non chet'ho detto che lo scrivere libri la è cosa da più e da menodelle mie forze: aggiungi lo stato dell'animo mio, et'accorgerai che s'io ti scrivo ogni tanto una lettera, nonè poco. – Oh la scimunita figura ch'io fo quand'ella sie-de lavorando, ed io leggo! M'interrompo a ogni tratto,ed ella: Proseguite! Torno a leggere: dopo due carte lamia pronunzia diventa più rapida e termina borbottandoin cadenza. Teresa s'affanna: Deh leggete un po' ch'iov'intenda! – io continuo; ma gli occhi miei, non socome, si sviano disavvedutamente dal libro, e si trovanoimmobili su quell'angelico viso. Divento muto; cade illibro e si chiude; perdo il segno, né so più ritrovarlo –Teresa vorrebbe adirarsi; e sorride.

Pur se afferrassi tutti i pensieri che mi passano perfantasia! – ne vo notando su' cartoni e su' margini delmio Plutarco; se non che, non sì tosto scritti, m'esconodalla mente; e quando poi li cerco sovra la carta, ritrovoaborti d'idee scarne sconnesse, freddissime. Questo ri-piego di notare i pensieri, anzi che lasciarli maturare

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na mi ha recato notizia che il rimanente era stato malconcio dal cane dell'ortolano.

Teresa mi sgrida: per compiacerle m'accingo a scrive-re; ma sebbene incominci con la più bella vocazione chemai, non so andar innanzi per più di tre o quattro perio-di. Mi assumo mille argomenti; mi s'affacciano milleidee: scelgo, rigetto, poi torno a scegliere; scrivo final-mente, straccio, cancello, e perdo spesso mattina e sera:la mente si stanca, le dita abbandonano la penna, e miavvengo d'avere gittato il tempo e la fatica. – Se non chet'ho detto che lo scrivere libri la è cosa da più e da menodelle mie forze: aggiungi lo stato dell'animo mio, et'accorgerai che s'io ti scrivo ogni tanto una lettera, nonè poco. – Oh la scimunita figura ch'io fo quand'ella sie-de lavorando, ed io leggo! M'interrompo a ogni tratto,ed ella: Proseguite! Torno a leggere: dopo due carte lamia pronunzia diventa più rapida e termina borbottandoin cadenza. Teresa s'affanna: Deh leggete un po' ch'iov'intenda! – io continuo; ma gli occhi miei, non socome, si sviano disavvedutamente dal libro, e si trovanoimmobili su quell'angelico viso. Divento muto; cade illibro e si chiude; perdo il segno, né so più ritrovarlo –Teresa vorrebbe adirarsi; e sorride.

Pur se afferrassi tutti i pensieri che mi passano perfantasia! – ne vo notando su' cartoni e su' margini delmio Plutarco; se non che, non sì tosto scritti, m'esconodalla mente; e quando poi li cerco sovra la carta, ritrovoaborti d'idee scarne sconnesse, freddissime. Questo ri-piego di notare i pensieri, anzi che lasciarli maturare

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dentro l'ingegno, è pur misero! – ma così si fanno de' li-bri composti d'altrui libri a mosaico. – E a me pure, fuord'intenzione, è venuto fatto un mosaico. – In un librettoinglese ho trovato un racconto di sciagura; e mi pareva aogni frase di leggere le disgrazie della povera Lauretta:– il Sole illumina da per tutto ed ogni anno i medesimiguai su la terra! – Or io per non parere di scioperare misono provato di scrivere i casi di Lauretta, traducendoper l'appunto quella parte del libro inglese, e togliendo-vi, mutando, aggiungendo assai poco di mio, avrei rac-contato il vero, mentre forse il mio testo è romanzo. Iovoleva in quella sfortunata creatura mostrare a Teresauno specchio della fatale infelicità dell'amore. Ma creditu che le sentenze, e i consigli, e gli esempj de' danni al-trui giovino ad altro fuorché a irritare le nostre passioni?Inoltre in cambio di narrare di Lauretta, ho parlato dime: tale è lo stato dell'anima mia, torna sempre a tastarele proprie piaghe – però non mi pare di lasciar leggerequesti tre o quattro fogli a Teresa: le farei più male chebene – e per ora lascio anche stare di scrivere – Tu leg-gili. Addio.

Frammento della Storia di Lauretta“Non so se il cielo badi alla terra. Pur se ci ha qualche

volta badato (o almeno il primo giorno che la umanarazza ha incominciato a formicolare) io credo che il De-stino abbia scritto negli eterni libri:

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dentro l'ingegno, è pur misero! – ma così si fanno de' li-bri composti d'altrui libri a mosaico. – E a me pure, fuord'intenzione, è venuto fatto un mosaico. – In un librettoinglese ho trovato un racconto di sciagura; e mi pareva aogni frase di leggere le disgrazie della povera Lauretta:– il Sole illumina da per tutto ed ogni anno i medesimiguai su la terra! – Or io per non parere di scioperare misono provato di scrivere i casi di Lauretta, traducendoper l'appunto quella parte del libro inglese, e togliendo-vi, mutando, aggiungendo assai poco di mio, avrei rac-contato il vero, mentre forse il mio testo è romanzo. Iovoleva in quella sfortunata creatura mostrare a Teresauno specchio della fatale infelicità dell'amore. Ma creditu che le sentenze, e i consigli, e gli esempj de' danni al-trui giovino ad altro fuorché a irritare le nostre passioni?Inoltre in cambio di narrare di Lauretta, ho parlato dime: tale è lo stato dell'anima mia, torna sempre a tastarele proprie piaghe – però non mi pare di lasciar leggerequesti tre o quattro fogli a Teresa: le farei più male chebene – e per ora lascio anche stare di scrivere – Tu leg-gili. Addio.

Frammento della Storia di Lauretta“Non so se il cielo badi alla terra. Pur se ci ha qualche

volta badato (o almeno il primo giorno che la umanarazza ha incominciato a formicolare) io credo che il De-stino abbia scritto negli eterni libri:

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L'uomo sarà infelice

Né oso appellarmi di questa sentenza, perché non sa-prei forse a che tribunale, tanto più che mi giova creder-la utile alle tante altre razze viventi ne' mondi innumera-bili. Ringrazio nondimeno quella Mente che mescendosiall'universo degli enti, li fa sempre rivivere distruggen-doli; perché con le miserie, ci ha dato almeno il donodel pianto, ed ha punito coloro che con una insolente fi-losofia si vogliono ribellare dalla umana sorte, negandoloro gl'inesausti piaceri della compassione – Se vedi al-cuno addolorato e piangente non piangere8. Stoico! ornon sai tu che le lagrime di un uomo compassionevolesono per l'infelice più dolci della rugiada su l'erbe ap-passite?

O Lauretta! io piansi con te sulla bara del tuo poveroamante, e mi ricordo che la mia compassione disacerba-va l'amarezza del tuo dolore. T'abbandonavi sovra il mioseno, e i tuoi biondi capelli mi coprivano il volto, e iltuo pianto bagnava le mie guance; poi col tuo fazzolettomi rasciugavi, e rasciugavi le tue lagrime che tornavanoa sgorgarti dagli occhi e scorrerti sulle labbra. – Abban-donata da tutti! – ma io no; non ti ho abbandonata mai.

Quando tu erravi fuor di te stessa per le romite spiag-ge del mare, io seguiva furtivamente i tuoi passi per po-terti salvare dalla disperazione del tuo dolore. Poi tichiamava a nome, e tu mi stendevi la mano, e sedevi almio fianco. Saliva in cielo la Luna, e tu guardandola

8 Epitteto, Manuale, XXII.

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L'uomo sarà infelice

Né oso appellarmi di questa sentenza, perché non sa-prei forse a che tribunale, tanto più che mi giova creder-la utile alle tante altre razze viventi ne' mondi innumera-bili. Ringrazio nondimeno quella Mente che mescendosiall'universo degli enti, li fa sempre rivivere distruggen-doli; perché con le miserie, ci ha dato almeno il donodel pianto, ed ha punito coloro che con una insolente fi-losofia si vogliono ribellare dalla umana sorte, negandoloro gl'inesausti piaceri della compassione – Se vedi al-cuno addolorato e piangente non piangere8. Stoico! ornon sai tu che le lagrime di un uomo compassionevolesono per l'infelice più dolci della rugiada su l'erbe ap-passite?

O Lauretta! io piansi con te sulla bara del tuo poveroamante, e mi ricordo che la mia compassione disacerba-va l'amarezza del tuo dolore. T'abbandonavi sovra il mioseno, e i tuoi biondi capelli mi coprivano il volto, e iltuo pianto bagnava le mie guance; poi col tuo fazzolettomi rasciugavi, e rasciugavi le tue lagrime che tornavanoa sgorgarti dagli occhi e scorrerti sulle labbra. – Abban-donata da tutti! – ma io no; non ti ho abbandonata mai.

Quando tu erravi fuor di te stessa per le romite spiag-ge del mare, io seguiva furtivamente i tuoi passi per po-terti salvare dalla disperazione del tuo dolore. Poi tichiamava a nome, e tu mi stendevi la mano, e sedevi almio fianco. Saliva in cielo la Luna, e tu guardandola

8 Epitteto, Manuale, XXII.

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cantavi pietosamente – taluno avrebbe osato deriderti:ma il Consolatore de' disgraziati che guarda con un oc-chio stesso e la pazzia e la saviezza degli uomini, e checompiange e i loro delitti e le loro virtù – udiva forse letue meste voci, e ti spirava qualche conforto: le preci delmio cuore t'accompagnavano: e a Dio sono accetti i votie i sacrificj delle anime addolorate. – I flutti gemeanocon flebile fiotto, e i venti che gl'increspavano gli spin-geano a lambir quasi la riva dove noi stavamo seduti. Etu alzandoti appoggiata al mio braccio t'indirizzavi aquel sasso ove parevati di vedere ancora il tuo Eugenio,e sentir la sua voce, e la sua mano, e i suoi baci. – Orche mi resta? esclamavi; la guerra mi allontana i fratelli,e la morte mi ha rapito il padre e l'amante; abbandonatada tutti!

O Bellezza, genio benefico della natura! Ove mostril'amabile tuo sorriso scherza la gioja, e si diffonde la vo-luttà per eternare la vita dell'universo: chi non ti conoscee non ti sente incresca al mondo e a se stesso. Ma quan-do la virtù ti rende più cara, e le sventure, togliendoti labaldanza e la invidia della felicità, ti mostrano ai mortalico' crini sparsi e privi delle allegre ghirlande – chi è co-lui che può passarti davanti e non altro offerirti cheun'inutile occhiata di compassione?

Ma io t'offeriva, o Lauretta, le mie lagrime, e questomio romitorio dove tu avresti mangiato del mio pane, ebevuto nella mia tazza, e ti saresti addormentata sovra

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cantavi pietosamente – taluno avrebbe osato deriderti:ma il Consolatore de' disgraziati che guarda con un oc-chio stesso e la pazzia e la saviezza degli uomini, e checompiange e i loro delitti e le loro virtù – udiva forse letue meste voci, e ti spirava qualche conforto: le preci delmio cuore t'accompagnavano: e a Dio sono accetti i votie i sacrificj delle anime addolorate. – I flutti gemeanocon flebile fiotto, e i venti che gl'increspavano gli spin-geano a lambir quasi la riva dove noi stavamo seduti. Etu alzandoti appoggiata al mio braccio t'indirizzavi aquel sasso ove parevati di vedere ancora il tuo Eugenio,e sentir la sua voce, e la sua mano, e i suoi baci. – Orche mi resta? esclamavi; la guerra mi allontana i fratelli,e la morte mi ha rapito il padre e l'amante; abbandonatada tutti!

O Bellezza, genio benefico della natura! Ove mostril'amabile tuo sorriso scherza la gioja, e si diffonde la vo-luttà per eternare la vita dell'universo: chi non ti conoscee non ti sente incresca al mondo e a se stesso. Ma quan-do la virtù ti rende più cara, e le sventure, togliendoti labaldanza e la invidia della felicità, ti mostrano ai mortalico' crini sparsi e privi delle allegre ghirlande – chi è co-lui che può passarti davanti e non altro offerirti cheun'inutile occhiata di compassione?

Ma io t'offeriva, o Lauretta, le mie lagrime, e questomio romitorio dove tu avresti mangiato del mio pane, ebevuto nella mia tazza, e ti saresti addormentata sovra

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il mio petto9. Tutto quello ch'io aveva! e meco forse latua vita sebbene non lieta, sarebbe stata libera almeno epacifica. Il cuore nella solitudine e nella pace va a pocoa poco obbliando i suoi affanni; perché la pace e la li-bertà si compiacciono della semplice e solitaria natura.

Una sera d'autunno la Luna appena si mostrava allaterra rifrangendo i suoi raggi su le nuvole trasparenti,che accompagnandola l'andavano ad ora ad ora copren-do, e che sparse per l'ampiezza del cielo rapivano almondo le stelle. Noi stavamo intenti a' lontani fuochi deipescatori, e al canto del gondoliere che col suo remorompea il silenzio e la calma dell'oscura laguna. MaLauretta volgendosi cercò con gli occhi intorno il suoinnamorato; e si rizzò, e ramingò un pezzo chiamando-lo; poi stanca tornò dov'io sedeva, e s'assise quasi spa-ventata della sua solitudine. Guardandomi parea che vo-lesse dirmi: Io sarò abbandonata anche da te! – e chiamòil suo cagnuolino.

Io? – Chi l'avrebbe mai detto che quella dovesse esse-re l'ultima sera ch'io la vedeva! Era vestita di bianco; unnastro cilestro raccogliea le sue chiome, e tre mammoleappassite spuntavano in mezzo al lino che velava il suoseno. – Io l'ho accompagnata fino all'uscio della suacasa; e sua madre che venne ad aprirci mi ringraziavadella cura ch'io mi prendeva per la sua disgraziata fi-gliuola. Quando fui solo m'accorsi che m'era rimasto frale mani il suo fazzoletto: – gliel ridarò domani, diss'io.

9 Regum Lib. II, cap. XII, 4.

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il mio petto9. Tutto quello ch'io aveva! e meco forse latua vita sebbene non lieta, sarebbe stata libera almeno epacifica. Il cuore nella solitudine e nella pace va a pocoa poco obbliando i suoi affanni; perché la pace e la li-bertà si compiacciono della semplice e solitaria natura.

Una sera d'autunno la Luna appena si mostrava allaterra rifrangendo i suoi raggi su le nuvole trasparenti,che accompagnandola l'andavano ad ora ad ora copren-do, e che sparse per l'ampiezza del cielo rapivano almondo le stelle. Noi stavamo intenti a' lontani fuochi deipescatori, e al canto del gondoliere che col suo remorompea il silenzio e la calma dell'oscura laguna. MaLauretta volgendosi cercò con gli occhi intorno il suoinnamorato; e si rizzò, e ramingò un pezzo chiamando-lo; poi stanca tornò dov'io sedeva, e s'assise quasi spa-ventata della sua solitudine. Guardandomi parea che vo-lesse dirmi: Io sarò abbandonata anche da te! – e chiamòil suo cagnuolino.

Io? – Chi l'avrebbe mai detto che quella dovesse esse-re l'ultima sera ch'io la vedeva! Era vestita di bianco; unnastro cilestro raccogliea le sue chiome, e tre mammoleappassite spuntavano in mezzo al lino che velava il suoseno. – Io l'ho accompagnata fino all'uscio della suacasa; e sua madre che venne ad aprirci mi ringraziavadella cura ch'io mi prendeva per la sua disgraziata fi-gliuola. Quando fui solo m'accorsi che m'era rimasto frale mani il suo fazzoletto: – gliel ridarò domani, diss'io.

9 Regum Lib. II, cap. XII, 4.

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I suoi mali incominciavano già a mitigarsi, ed io forse– è vero; io non poteva darti il tuo Eugenio; ma ti sareistato sposo, padre, fratello. I miei concittadini persecu-tori, giovandosi de' manigoldi stranieri, proscrissero im-provvisamente il mio nome; né ho potuto, o Lauretta, la-sciarti neppure l'ultimo addio.

Quand'io penso all'avvenire e mi chiudo gli occhi pernon conoscerlo e tremo e mi abbandono con la memoriaa' giorni passati, io vo per lungo tratto vagando sotto glialberi di queste valli, e mi ricordo le sponde del mare, ei fuochi lontani, e il canto del gondoliere. M'appoggioad un tronco – sto pensando – il cielo me l'avea conce-duta; ma l'avversa fortuna me l'ha rapita! traggo il suofazzoIetto – infelice chi ama per ambizione! ma il tuocuore, o Lauretta, è fatto per la schietta natura: m'ascu-go gli occhi, e torno sul far della notte alla mia casa.

Che fai tu frattanto? torni errando lungo le spiagge emandando preghiere e lagrime a Dio? – Vieni! tu corraile frutta del mio giardino; tu berrai nella mia tazza, tumangerai del mio pane, e ti poserai sovra il mio seno esentirai come batte, come oggi batte assai diversamenteil mio cuore. Quando si risveglierà il tuo martirio, e lospirito sarà vinto dalla passione, io ti verrò dietro per so-stenerti in mezzo al cammino, e per guidarti, se ti smar-rissi, alla mia casa; mai ti verrò dietro tacitamente perlasciarti libero almeno il conforto del pianto. Io ti saròpadre, fratello – ma, il mio cuore – se tu vedessi il miocuore! – una lagrima bagna la carta e cancella ciò chevado scrivendo.

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I suoi mali incominciavano già a mitigarsi, ed io forse– è vero; io non poteva darti il tuo Eugenio; ma ti sareistato sposo, padre, fratello. I miei concittadini persecu-tori, giovandosi de' manigoldi stranieri, proscrissero im-provvisamente il mio nome; né ho potuto, o Lauretta, la-sciarti neppure l'ultimo addio.

Quand'io penso all'avvenire e mi chiudo gli occhi pernon conoscerlo e tremo e mi abbandono con la memoriaa' giorni passati, io vo per lungo tratto vagando sotto glialberi di queste valli, e mi ricordo le sponde del mare, ei fuochi lontani, e il canto del gondoliere. M'appoggioad un tronco – sto pensando – il cielo me l'avea conce-duta; ma l'avversa fortuna me l'ha rapita! traggo il suofazzoIetto – infelice chi ama per ambizione! ma il tuocuore, o Lauretta, è fatto per la schietta natura: m'ascu-go gli occhi, e torno sul far della notte alla mia casa.

Che fai tu frattanto? torni errando lungo le spiagge emandando preghiere e lagrime a Dio? – Vieni! tu corraile frutta del mio giardino; tu berrai nella mia tazza, tumangerai del mio pane, e ti poserai sovra il mio seno esentirai come batte, come oggi batte assai diversamenteil mio cuore. Quando si risveglierà il tuo martirio, e lospirito sarà vinto dalla passione, io ti verrò dietro per so-stenerti in mezzo al cammino, e per guidarti, se ti smar-rissi, alla mia casa; mai ti verrò dietro tacitamente perlasciarti libero almeno il conforto del pianto. Io ti saròpadre, fratello – ma, il mio cuore – se tu vedessi il miocuore! – una lagrima bagna la carta e cancella ciò chevado scrivendo.

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Io la ho veduta tutta fiorita di gioventù e di bellezza;e poi impazzita, raminga, orfana; e la ho veduta baciarele labbra morenti del suo unico consolatore – e posciainginocchiarsi con pietosa superstizione davanti a suamadre lagrimando e pregandola acciocché ritirasse lamaledizione che quella madre infelice aveva fulminatacontro la sua figliuola. – Così la povera Lauretta mi la-sciò nel cuore per sempre la compassione delle suesventure. Preziosa eredità ch'io vorrei pur dividere convoi tutti a' quali non resta altro conforto che di amare lavirtù e di compiangerla. Voi non mi conoscete; ma noi,chiunque voi siate, noi siamo amici. Non odiate gli uo-mini prosperi; solamente fuggiteli.”

4 Maggio

Hai tu veduto dopo i giorni della tempesta prorompe-re fra l'auree nuvole dell'oriente il vivo raggio del Sole ericonsolar la natura? Tale per me è la vista di costei. –Discaccio i miei desiderj, condanno le mie speranze,piango i miei inganni: no, io non la vedrò più; io nonl'amerò. Odo una voce che mi chiama traditore; la vocedi suo padre! M'adiro contro me stesso, e sento risorgerenel mio cuore una virtù sanatrice, un pentimento. – Ec-comi dunque saldo nella mia risoluzione; saldo più chemai: ma poi? – All'apparir del suo volto ritornano le il-lusioni, e l'anima mia si trasforma, e obblia se medesi-ma, e s'imparadisa nella contemplazione della bellezza.

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Io la ho veduta tutta fiorita di gioventù e di bellezza;e poi impazzita, raminga, orfana; e la ho veduta baciarele labbra morenti del suo unico consolatore – e posciainginocchiarsi con pietosa superstizione davanti a suamadre lagrimando e pregandola acciocché ritirasse lamaledizione che quella madre infelice aveva fulminatacontro la sua figliuola. – Così la povera Lauretta mi la-sciò nel cuore per sempre la compassione delle suesventure. Preziosa eredità ch'io vorrei pur dividere convoi tutti a' quali non resta altro conforto che di amare lavirtù e di compiangerla. Voi non mi conoscete; ma noi,chiunque voi siate, noi siamo amici. Non odiate gli uo-mini prosperi; solamente fuggiteli.”

4 Maggio

Hai tu veduto dopo i giorni della tempesta prorompe-re fra l'auree nuvole dell'oriente il vivo raggio del Sole ericonsolar la natura? Tale per me è la vista di costei. –Discaccio i miei desiderj, condanno le mie speranze,piango i miei inganni: no, io non la vedrò più; io nonl'amerò. Odo una voce che mi chiama traditore; la vocedi suo padre! M'adiro contro me stesso, e sento risorgerenel mio cuore una virtù sanatrice, un pentimento. – Ec-comi dunque saldo nella mia risoluzione; saldo più chemai: ma poi? – All'apparir del suo volto ritornano le il-lusioni, e l'anima mia si trasforma, e obblia se medesi-ma, e s'imparadisa nella contemplazione della bellezza.

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8 Maggio

Ella non t'ama; e se pure volesse amarti, nol può. Èvero, Lorenzo: ma s'io consentissi a strapparmi il velodagli occhi, dovrei subito chiuderli in sonno eterno; poi-ché senza questo angelico lume, la vita mi sarebbe terro-re, il mondo caos, la Natura notte e deserto. – Anzichéspegnere una per una le fiaccole che rischiarano la pro-spettiva teatrale e disingannare villanamente gli spetta-tori, non sarebbe assai meglio calar il sipario in un subi-to, e lasciarli nella loro illusione? Ma se l'inganno tinuoce: – che monta? se il disinganno mi uccide!

Una domenica intesi il parroco che sgridava i villaniperché s'ubbriacavano. E non s'accorgeva come avvele-nava a que' meschini il conforto di addormentarenell'ebbrietà della sera le fatiche del giorno, di non sen-tire l'amarezza del loro pane bagnato di sudore e di la-grime, e di non pensare al rigore e alla fame che il ven-turo verno minaccia.

11 Maggio

Conviene dire che Natura abbia pur d'uopo di questoglobo, e della specie di viventi litigiosi che lo stannoabitando. E per provvedere alla conservazione di tutti,anziché legarci in reciproca fratellanza, ha costituito cia-scun uomo così amico di se medesimo, che volentieriaspirerebbe all'esterminio dell'universo per vivere piùsicuro della propria esistenza e rimanersi despota solita-

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8 Maggio

Ella non t'ama; e se pure volesse amarti, nol può. Èvero, Lorenzo: ma s'io consentissi a strapparmi il velodagli occhi, dovrei subito chiuderli in sonno eterno; poi-ché senza questo angelico lume, la vita mi sarebbe terro-re, il mondo caos, la Natura notte e deserto. – Anzichéspegnere una per una le fiaccole che rischiarano la pro-spettiva teatrale e disingannare villanamente gli spetta-tori, non sarebbe assai meglio calar il sipario in un subi-to, e lasciarli nella loro illusione? Ma se l'inganno tinuoce: – che monta? se il disinganno mi uccide!

Una domenica intesi il parroco che sgridava i villaniperché s'ubbriacavano. E non s'accorgeva come avvele-nava a que' meschini il conforto di addormentarenell'ebbrietà della sera le fatiche del giorno, di non sen-tire l'amarezza del loro pane bagnato di sudore e di la-grime, e di non pensare al rigore e alla fame che il ven-turo verno minaccia.

11 Maggio

Conviene dire che Natura abbia pur d'uopo di questoglobo, e della specie di viventi litigiosi che lo stannoabitando. E per provvedere alla conservazione di tutti,anziché legarci in reciproca fratellanza, ha costituito cia-scun uomo così amico di se medesimo, che volentieriaspirerebbe all'esterminio dell'universo per vivere piùsicuro della propria esistenza e rimanersi despota solita-

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rio di tutto il creato. Niuna generazione ha mai vedutoper tutto il suo corso la dolce pace, la guerra fu semprel'arbitra de' diritti, e la forza ha dominato tutti i secoli.Così l'uomo or aperto, or secreto, e sempre implacabilenemico della umanità, conservandosi con ogni mezzo,cospira all'intento della Natura che ha d'uopo della esi-stenza di tutti: e i discendenti di Caino e d'Abele, quan-tunque imitino i loro primitivi parenti e si trucidino per-petuamente l'un l'altro, vivono e si propagano. Or odi. –Ho accompagnato stamattina per tempo Teresa e la suasorellina in casa di una lor conoscente venuta a villeg-giare. Credeva di desinare in lor compagnia, ma per miadisgrazia aveva fin dalla settimana passata promesso alchirurgo che mi troverei a pranzo con lui, e se Teresanon me ne facea sovvenire, io, a dirti la verità, me n'eradimenticato. Mi vi sono dunque avviato un'oretta innan-zi al mezzogiorno; ma affannato dal caldo, mi sono amezza strada coricato sotto un ulivo: al vento di jeri fuordi stagione, oggi è succeduta un'arsura nojosissima: eme ne stava lì al fresco spensieratamente come se avessigià desinato. Voltando la testa mi sono avveduto di uncontadino che guardavami bruscamente: – Che fate voiqui?

– Sto, come vedete, riposando.– Avete voi possessioni? – percotendo la terra col cal-

cio del suo schioppo.– Perché?

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rio di tutto il creato. Niuna generazione ha mai vedutoper tutto il suo corso la dolce pace, la guerra fu semprel'arbitra de' diritti, e la forza ha dominato tutti i secoli.Così l'uomo or aperto, or secreto, e sempre implacabilenemico della umanità, conservandosi con ogni mezzo,cospira all'intento della Natura che ha d'uopo della esi-stenza di tutti: e i discendenti di Caino e d'Abele, quan-tunque imitino i loro primitivi parenti e si trucidino per-petuamente l'un l'altro, vivono e si propagano. Or odi. –Ho accompagnato stamattina per tempo Teresa e la suasorellina in casa di una lor conoscente venuta a villeg-giare. Credeva di desinare in lor compagnia, ma per miadisgrazia aveva fin dalla settimana passata promesso alchirurgo che mi troverei a pranzo con lui, e se Teresanon me ne facea sovvenire, io, a dirti la verità, me n'eradimenticato. Mi vi sono dunque avviato un'oretta innan-zi al mezzogiorno; ma affannato dal caldo, mi sono amezza strada coricato sotto un ulivo: al vento di jeri fuordi stagione, oggi è succeduta un'arsura nojosissima: eme ne stava lì al fresco spensieratamente come se avessigià desinato. Voltando la testa mi sono avveduto di uncontadino che guardavami bruscamente: – Che fate voiqui?

– Sto, come vedete, riposando.– Avete voi possessioni? – percotendo la terra col cal-

cio del suo schioppo.– Perché?

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– Perché – sdrajatevi su i vostri prati, se ne avete; enon venite a pestare l'erba degli altri, – e partendo, –fate ch'io tornando vi trovi!

Io non mi era mosso, ed egli se n'era ito. A bella pri-ma, io non aveva badato alle sue bravate; ma ripensan-doci; se ne avete! e se la fortuna non avesse concedutoa' miei padri due pertiche di terreno, tu m'avresti negatoanche nella parte più sterile del tuo prato l'estrema pietàdel sepolcro! – Ma osservando che l'ombra dell'ulivo di-ventava più lunga, mi sono ricordato del pranzo.

Poco fa tornandomi a casa ho trovato su la mia portal'uomo stesso di stamattina. – Signore, vi stava aspettan-do; se mai – vi foste adirato meco; vi domando perdono.

– Riponete il cappello: io non me ne sono già offeso.Perché mai questo mio cuore nelle stesse occasioni

ora è pace pace, ora è tutto tempesta? Diceva quel viag-giatore: Il flusso e riflusso de' miei umori governa tuttala mia vita. Forse un minuto prima il mio sdegno sareb-be stato assai più grave dell'insulto. Perché dunque ri-metterci al beneplacito di chi ne offende, permettendoch'egli ci possa turbare con una ingiuria non meritata?Vedi come l'amor proprio ruffiano si prova con questapomposa sentenza di ascrivermi a merito un'azione cheè derivata forse da – chi lo sa? In pari occasioni non housato di eguale moderazione: è vero che passatamezz'ora ho filosofato contro di me; ma la ragione è ve-nuta zoppicando; e il pentimento, per chi aspira alla sa-viezza, è sempre tardo – ma né io v'aspiro: io mi sono

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– Perché – sdrajatevi su i vostri prati, se ne avete; enon venite a pestare l'erba degli altri, – e partendo, –fate ch'io tornando vi trovi!

Io non mi era mosso, ed egli se n'era ito. A bella pri-ma, io non aveva badato alle sue bravate; ma ripensan-doci; se ne avete! e se la fortuna non avesse concedutoa' miei padri due pertiche di terreno, tu m'avresti negatoanche nella parte più sterile del tuo prato l'estrema pietàdel sepolcro! – Ma osservando che l'ombra dell'ulivo di-ventava più lunga, mi sono ricordato del pranzo.

Poco fa tornandomi a casa ho trovato su la mia portal'uomo stesso di stamattina. – Signore, vi stava aspettan-do; se mai – vi foste adirato meco; vi domando perdono.

– Riponete il cappello: io non me ne sono già offeso.Perché mai questo mio cuore nelle stesse occasioni

ora è pace pace, ora è tutto tempesta? Diceva quel viag-giatore: Il flusso e riflusso de' miei umori governa tuttala mia vita. Forse un minuto prima il mio sdegno sareb-be stato assai più grave dell'insulto. Perché dunque ri-metterci al beneplacito di chi ne offende, permettendoch'egli ci possa turbare con una ingiuria non meritata?Vedi come l'amor proprio ruffiano si prova con questapomposa sentenza di ascrivermi a merito un'azione cheè derivata forse da – chi lo sa? In pari occasioni non housato di eguale moderazione: è vero che passatamezz'ora ho filosofato contro di me; ma la ragione è ve-nuta zoppicando; e il pentimento, per chi aspira alla sa-viezza, è sempre tardo – ma né io v'aspiro: io mi sono

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uno de' tanti figliuoli della terra, non altro; e porto mecotutte le passioni e le miserie della mia specie.

Il contadino andava ridicendo: – Vi ho fatto villania,ma io non vi conosceva; que' lavoratori che segavano ilfieno ne' prati vicino mi hanno dopo ammonito.

– Non importa, buon uomo: come andrà egli il raccol-to quest'anno?

– Patiremo del caro: or pregovi, signor mio, perdona-temi. Dio volesse v'avessi allor conosciuto!

– Galantuomo; o conoscendo, o non conoscendo nondate noja a nessuno, perché starete a rischio a ognimodo o di inimicarvi il ricco, o di maltrattare il povero:quanto a me non occorre.

– Dice bene il signore; Dio gliene rimeriti. – E si par-tì. E farà forse peggio; gli ha un certo che di sfacciatonel viso; e la ragione degli animali ragionevoli, quandonon sentono verecondia, è ragione perniciosissima achiunque ha che fare con loro.

Intanto? crescono ogni giorno i martiri perseguitatidal nuovo usurpatore della mia patria. Quanti andrannotapinando e profughi ed esiliati, senza il letto di pocaerba né l'ombra di un ulivo – Dio lo sa! Lo straniero in-felice è cacciato perfino dalla balza dove le pecore pa-scono tranquillamente.

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uno de' tanti figliuoli della terra, non altro; e porto mecotutte le passioni e le miserie della mia specie.

Il contadino andava ridicendo: – Vi ho fatto villania,ma io non vi conosceva; que' lavoratori che segavano ilfieno ne' prati vicino mi hanno dopo ammonito.

– Non importa, buon uomo: come andrà egli il raccol-to quest'anno?

– Patiremo del caro: or pregovi, signor mio, perdona-temi. Dio volesse v'avessi allor conosciuto!

– Galantuomo; o conoscendo, o non conoscendo nondate noja a nessuno, perché starete a rischio a ognimodo o di inimicarvi il ricco, o di maltrattare il povero:quanto a me non occorre.

– Dice bene il signore; Dio gliene rimeriti. – E si par-tì. E farà forse peggio; gli ha un certo che di sfacciatonel viso; e la ragione degli animali ragionevoli, quandonon sentono verecondia, è ragione perniciosissima achiunque ha che fare con loro.

Intanto? crescono ogni giorno i martiri perseguitatidal nuovo usurpatore della mia patria. Quanti andrannotapinando e profughi ed esiliati, senza il letto di pocaerba né l'ombra di un ulivo – Dio lo sa! Lo straniero in-felice è cacciato perfino dalla balza dove le pecore pa-scono tranquillamente.

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12 Maggio

Non ho osato no, non ho osato. – Io poteva abbrac-ciarla e stringerla qui, a questo cuore. La ho veduta ad-dormentata: il sonno le tenea chiusi que' grandi occhineri; ma le rose del suo sembiante si spargeano allorapiù vive che mai su le sue guance rugiadose. Giacea ilsuo bel corpo abbandonato sopra un sofà. Un braccio lesosteneva la testa e l'altro pendea mollemente. Io la hopiù volte veduta a passeggiare e a danzare; mi sono sen-tito sin dentro l'anima e la sua arpa e la sua voce; la hoadorata pien di spavento come se l'avessi veduta discen-dere dal paradiso – ma così bella come oggi, io non l'hoveduta mai, mai. Le sue vesti mi lasciavano trasparire icontorni di quelle angeliche forme; e l'anima mia le con-templava e – che posso più dirti? tutto il furore e l'estasidell'amore mi aveano infiammato e rapito fuori di me.Io toccava come un divoto e le sue vesti e le sue chiomeodorose e il mazzetto di mammole ch'essa aveva inmezzo al suo seno – sì sì, sotto questa mano diventatasacra ho sentito palpitare il suo cuore. Io respirava glianeliti della sua bocca socchiusa – io stava per succhiaretutta la voluttà di quelle labbra celesti – un suo bacio! eavrei benedette le lagrime che da tanto tempo bevo perlei – ma allora allora io la ho sentita sospirare fra il son-no: mi sono arretrato, respinto quasi da una mano divi-na. T'ho insegnato io forse ad amare, ed a piangere? ecerchi tu un breve momento di sonno perché ti ho turba-to le tue notti innocenti e tranquille? a questo pensiero

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12 Maggio

Non ho osato no, non ho osato. – Io poteva abbrac-ciarla e stringerla qui, a questo cuore. La ho veduta ad-dormentata: il sonno le tenea chiusi que' grandi occhineri; ma le rose del suo sembiante si spargeano allorapiù vive che mai su le sue guance rugiadose. Giacea ilsuo bel corpo abbandonato sopra un sofà. Un braccio lesosteneva la testa e l'altro pendea mollemente. Io la hopiù volte veduta a passeggiare e a danzare; mi sono sen-tito sin dentro l'anima e la sua arpa e la sua voce; la hoadorata pien di spavento come se l'avessi veduta discen-dere dal paradiso – ma così bella come oggi, io non l'hoveduta mai, mai. Le sue vesti mi lasciavano trasparire icontorni di quelle angeliche forme; e l'anima mia le con-templava e – che posso più dirti? tutto il furore e l'estasidell'amore mi aveano infiammato e rapito fuori di me.Io toccava come un divoto e le sue vesti e le sue chiomeodorose e il mazzetto di mammole ch'essa aveva inmezzo al suo seno – sì sì, sotto questa mano diventatasacra ho sentito palpitare il suo cuore. Io respirava glianeliti della sua bocca socchiusa – io stava per succhiaretutta la voluttà di quelle labbra celesti – un suo bacio! eavrei benedette le lagrime che da tanto tempo bevo perlei – ma allora allora io la ho sentita sospirare fra il son-no: mi sono arretrato, respinto quasi da una mano divi-na. T'ho insegnato io forse ad amare, ed a piangere? ecerchi tu un breve momento di sonno perché ti ho turba-to le tue notti innocenti e tranquille? a questo pensiero

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me le sono prostrato davanti immobile immobile ratte-nendo il sospiro – e sono fuggito per non ridestarla allavita angosciosa in cui geme. Non si querela, e questo mistrazia ancor più: ma quel suo viso sempre più mesto, equel guardarmi con pietà, e tacere sempre al nome diOdoardo, e sospirare sua madre – ah! il cielo non cel'avrebbe conceduta se non dovesse anch'essa partecipa-re del sentimento del dolore. Eterno Iddio! esisti tu pernoi mortali? O sei tu padre snaturato verso le tue creatu-re? So che quando hai mandato su la terra la Virtù, tuafigliuola primogenita, le hai dato per guida la Sventura.Ma perché poi lasciasti la Giovinezza e la Beltà così de-boli da non poter sostenere le discipline di sì austeraistitutrice? In tutte le mie afflizioni ho alzato le bracciasino a te, ma non ho osato né mormorare né piangere:ahi adesso! Or perché farmi conoscere la felicità s'io do-veva bramarla sì fieramente, e perderne la speranza persempre? – No, Teresa è mia tutta; tu me l'hai assegnataperché mi creasti un cuore capace di amarla immensa-mente, eternamente.

13 Maggio

S'io fossi pittore! che ricca materia al mio pennello!L'artista immerso nella idea deliziosa del bello addor-menta o mitiga almeno tutte le altre passioni. – Ma seanche fossi pittore? Ho veduto ne' pittori e ne' poeti labella, e talvolta anche la schietta natura; ma la natura

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me le sono prostrato davanti immobile immobile ratte-nendo il sospiro – e sono fuggito per non ridestarla allavita angosciosa in cui geme. Non si querela, e questo mistrazia ancor più: ma quel suo viso sempre più mesto, equel guardarmi con pietà, e tacere sempre al nome diOdoardo, e sospirare sua madre – ah! il cielo non cel'avrebbe conceduta se non dovesse anch'essa partecipa-re del sentimento del dolore. Eterno Iddio! esisti tu pernoi mortali? O sei tu padre snaturato verso le tue creatu-re? So che quando hai mandato su la terra la Virtù, tuafigliuola primogenita, le hai dato per guida la Sventura.Ma perché poi lasciasti la Giovinezza e la Beltà così de-boli da non poter sostenere le discipline di sì austeraistitutrice? In tutte le mie afflizioni ho alzato le bracciasino a te, ma non ho osato né mormorare né piangere:ahi adesso! Or perché farmi conoscere la felicità s'io do-veva bramarla sì fieramente, e perderne la speranza persempre? – No, Teresa è mia tutta; tu me l'hai assegnataperché mi creasti un cuore capace di amarla immensa-mente, eternamente.

13 Maggio

S'io fossi pittore! che ricca materia al mio pennello!L'artista immerso nella idea deliziosa del bello addor-menta o mitiga almeno tutte le altre passioni. – Ma seanche fossi pittore? Ho veduto ne' pittori e ne' poeti labella, e talvolta anche la schietta natura; ma la natura

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somma, immensa, inimitabile non la ho veduta dipintamai. Omero, Dante e Shakespeare, tre maestri di tuttigl'ingegni sovrumani, hanno investito la mia immagina-zione ed infiammato il mio cuore: ho bagnato di caldis-sime lagrime i loro versi; e ho adorato le loro ombre di-vine come se le vedessi assise su le volte eccelse che so-vrastano l'universo a dominare l'eternità. Pure gli origi-nali che mi veggo davanti mi riempiono tutte le potenzedell'anima, e non oserei, Lorenzo, non oserei, s'anche sitrasfondesse in me Michelangelo, tirarne le prime linee.Sommo Iddio! quando tu miri una sera di primavera ticompiaci forse della tua creazione? tu mi hai versato perconsolarmi una fonte inesausta di piacere, ed io la hoguardata sovente con indifferenza. Su la cima del monteindorato da' pacifici raggi del Sole che va mancando, iomi vedo accerchiato da una catena di colli su' quali on-deggiano le messi, e si scuotono le viti sostenute in ric-chi festoni dagli ulivi e dagli olmi: le balze e i gioghilontani vanno sempre crescendo come se gli uni fosseroimposti su gli altri. Di sotto a me le coste del montesono spaccate in burroni infecondi fra i quali si vedonooffuscarsi le ombre della sera, che a poco a poco s'innal-zano; il fondo oscuro e orribile sembra la bocca di unavoragine. Nella falda del mezzogiorno l'aria è signoreg-giata dal bosco che sovrasta e offusca la valle dove pa-scono al fresco le pecore, e pendono dall'erta le capresbrancate. Cantano flebilmente gli uccelli come se pian-gessero il giorno che muore, mugghiano le giovenche, eil vento pare che si compiaccia del susurrar delle fronde.

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somma, immensa, inimitabile non la ho veduta dipintamai. Omero, Dante e Shakespeare, tre maestri di tuttigl'ingegni sovrumani, hanno investito la mia immagina-zione ed infiammato il mio cuore: ho bagnato di caldis-sime lagrime i loro versi; e ho adorato le loro ombre di-vine come se le vedessi assise su le volte eccelse che so-vrastano l'universo a dominare l'eternità. Pure gli origi-nali che mi veggo davanti mi riempiono tutte le potenzedell'anima, e non oserei, Lorenzo, non oserei, s'anche sitrasfondesse in me Michelangelo, tirarne le prime linee.Sommo Iddio! quando tu miri una sera di primavera ticompiaci forse della tua creazione? tu mi hai versato perconsolarmi una fonte inesausta di piacere, ed io la hoguardata sovente con indifferenza. Su la cima del monteindorato da' pacifici raggi del Sole che va mancando, iomi vedo accerchiato da una catena di colli su' quali on-deggiano le messi, e si scuotono le viti sostenute in ric-chi festoni dagli ulivi e dagli olmi: le balze e i gioghilontani vanno sempre crescendo come se gli uni fosseroimposti su gli altri. Di sotto a me le coste del montesono spaccate in burroni infecondi fra i quali si vedonooffuscarsi le ombre della sera, che a poco a poco s'innal-zano; il fondo oscuro e orribile sembra la bocca di unavoragine. Nella falda del mezzogiorno l'aria è signoreg-giata dal bosco che sovrasta e offusca la valle dove pa-scono al fresco le pecore, e pendono dall'erta le capresbrancate. Cantano flebilmente gli uccelli come se pian-gessero il giorno che muore, mugghiano le giovenche, eil vento pare che si compiaccia del susurrar delle fronde.

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Ma da settentrione si dividono i colli, e s'apre all'occhiouna interminabile pianura: si distinguono ne' campi vici-ni i buoi che tornano a casa: lo stanco agricoltore li sie-gue appoggiato al suo bastone; e mentre le madri e lemogli apparecchiano la cena alla affaticata famigliuola,fumano le lontane ville ancor biancicanti, e le capannedisperse per la campagna. I pastori mungono il gregge, ela vecchiarella che stava filando su la porta dell'ovile,abbandona il lavoro e va carezzando e fregando il torel-lo, e gli agnelletti che belano intorno alle loro madri. Lavista intanto si va dilungando, e dopo lunghissime file dialberi e di campi, termina nell'orizzonte dove tutto siminora e si confonde. Lancia il Sole partendo pochi rag-gi, come se quelli fossero gli estremi addio che dà allaNatura; e le nuvole rosseggiano, poi vanno languendo, epallide finalmente si abbujano: allora la pianura si per-de, l'ombre si diffondono su la faccia della terra; ed io,quasi in mezzo all'oceano, da quella parte non trovo cheil cielo.

Jer sera appunto dopo più di due ore d'estatica con-templazione d'una bella sera di Maggio, io scendeva apasso a passo dal monte. Il mondo era in cura alla Notte,ed io non sentiva che il canto della villanella, e non ve-deva che i fuochi de' pastori. Scintillavano tutte le stelle,e mentr'io salutava ad una ad una le costellazioni, la miamente contraeva un non so che di celeste, ed il mio cuo-re s'innalzava come se aspirasse ad una regione più su-blime assai della terra. Mi sono trovato su la monta-gnuola presso la chiesa: suonava la campana de' morti, e

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Ma da settentrione si dividono i colli, e s'apre all'occhiouna interminabile pianura: si distinguono ne' campi vici-ni i buoi che tornano a casa: lo stanco agricoltore li sie-gue appoggiato al suo bastone; e mentre le madri e lemogli apparecchiano la cena alla affaticata famigliuola,fumano le lontane ville ancor biancicanti, e le capannedisperse per la campagna. I pastori mungono il gregge, ela vecchiarella che stava filando su la porta dell'ovile,abbandona il lavoro e va carezzando e fregando il torel-lo, e gli agnelletti che belano intorno alle loro madri. Lavista intanto si va dilungando, e dopo lunghissime file dialberi e di campi, termina nell'orizzonte dove tutto siminora e si confonde. Lancia il Sole partendo pochi rag-gi, come se quelli fossero gli estremi addio che dà allaNatura; e le nuvole rosseggiano, poi vanno languendo, epallide finalmente si abbujano: allora la pianura si per-de, l'ombre si diffondono su la faccia della terra; ed io,quasi in mezzo all'oceano, da quella parte non trovo cheil cielo.

Jer sera appunto dopo più di due ore d'estatica con-templazione d'una bella sera di Maggio, io scendeva apasso a passo dal monte. Il mondo era in cura alla Notte,ed io non sentiva che il canto della villanella, e non ve-deva che i fuochi de' pastori. Scintillavano tutte le stelle,e mentr'io salutava ad una ad una le costellazioni, la miamente contraeva un non so che di celeste, ed il mio cuo-re s'innalzava come se aspirasse ad una regione più su-blime assai della terra. Mi sono trovato su la monta-gnuola presso la chiesa: suonava la campana de' morti, e

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il presentimento della mia fine trasse i miei sguardi sulcimiterio dove ne' loro cumuli coperti di erba dormonogli antichi padri della villa: – Abbiate pace, o nude reli-quie: la materia è tornata alla materia; nulla scema, nullacresce, nulla si perde quaggiù; tutto si trasforma e si ri-produce – umana sorte! men felice degli altri chi men lateme. – Spossato mi sdrajai boccone sotto il boschettode' pini, e in quella muta oscurità, mi sfilavano dinanzialla mente tutte le mie sventure e tutte le mie speranze.Da qualunque parte io corressi anelando alla felicità,dopo un aspro viaggio pieno di errori e di tormenti, mivedeva spalancata la sepoltura dove io m'andava a per-dere con tutti i mali e tutti i beni di questa inutile vita. Emi sentiva avvilito e piangeva perché avea bisogno diconsolazione – e ne' miei singhiozzi io invocava Teresa.

14 Maggio

Anche jer sera tornandomi dalla montagna, mi posaistanco sotto que' pini; anche jer sera io invocava Teresa.– Udii un calpestio fra gli alberi; e mi parea d'intenderebisbigliare alcune voci. Mi sembrò poi di vedere Teresacon sua sorella – sbigottitesi a prima vista fuggivano. Iole chiamai per nome, e la Isabellina raffigurandomi, misi gittò addosso con mille baci. Mi rizzai. Teresas'appoggiò al mio braccio, e noi passeggiammo taciturnilungo la riva del fiumicello sino al lago de' cinque fonti.E là ci siamo quasi di consenso fermati a mirar l'astro di

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il presentimento della mia fine trasse i miei sguardi sulcimiterio dove ne' loro cumuli coperti di erba dormonogli antichi padri della villa: – Abbiate pace, o nude reli-quie: la materia è tornata alla materia; nulla scema, nullacresce, nulla si perde quaggiù; tutto si trasforma e si ri-produce – umana sorte! men felice degli altri chi men lateme. – Spossato mi sdrajai boccone sotto il boschettode' pini, e in quella muta oscurità, mi sfilavano dinanzialla mente tutte le mie sventure e tutte le mie speranze.Da qualunque parte io corressi anelando alla felicità,dopo un aspro viaggio pieno di errori e di tormenti, mivedeva spalancata la sepoltura dove io m'andava a per-dere con tutti i mali e tutti i beni di questa inutile vita. Emi sentiva avvilito e piangeva perché avea bisogno diconsolazione – e ne' miei singhiozzi io invocava Teresa.

14 Maggio

Anche jer sera tornandomi dalla montagna, mi posaistanco sotto que' pini; anche jer sera io invocava Teresa.– Udii un calpestio fra gli alberi; e mi parea d'intenderebisbigliare alcune voci. Mi sembrò poi di vedere Teresacon sua sorella – sbigottitesi a prima vista fuggivano. Iole chiamai per nome, e la Isabellina raffigurandomi, misi gittò addosso con mille baci. Mi rizzai. Teresas'appoggiò al mio braccio, e noi passeggiammo taciturnilungo la riva del fiumicello sino al lago de' cinque fonti.E là ci siamo quasi di consenso fermati a mirar l'astro di

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Venere che ci lampeggiava su gli occhi. – Oh! diss'ella,con quel dolce entusiasmo tutto suo, credi tu che il Pe-trarca non abbia anch'egli visitato sovente queste solitu-dini sospirando fra le ombre pacifiche della notte la suaperduta amica? Quando leggo i suoi versi io me lo di-pingo qui – malinconico – errante – appoggiato al tron-co di un albero, pascersi de' suoi mesti pensieri, e vol-gersi al cielo cercando con gli occhi lagrimosi la beltàimmortale di Laura. Io non so come quell'anima, cheavea in sé tanta parte di spirito celeste, abbia potuto so-pravvivere in tanto dolore, e fermarsi fra le miserie de'mortali – oh quando s'ama davvero! – E mi parvech'essa mi stringesse la mano, e io mi sentiva il cuoreche non voleva starmi più in petto. – Sì! tu eri creata perme, nata per me, ed io – non so come ho potuto soffoca-re queste parole che mi scoppiavano dalle labbra. – Esaliva su per la collina ed io la seguitava. Le mie poten-ze erano tutte di Teresa; ma la tempesta che le avevaagitate era alquanto sedata. – Tutto è amore, diss'io;l'universo non è che amore; e chi lo ha mai più sentito,chi più del Petrarca lo ha fatto dolcissimamente sentire?Que' pochi genj che si sono innalzati sopra tanti altrimortali mi spaventano di meraviglia; ma il Petrarca miriempie di fiducia religiosa e d'amore; e mentre il miointelletto gli sacrifica come a nume, il mio cuore lo in-voca padre e amico consolatore. – Teresa sospirò insie-me e sorrise.

La salita l'aveva stancata: riposiamo, diss'ella: l'erbaera umida, ed io le additai un gelso poco lontano. Il più

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Venere che ci lampeggiava su gli occhi. – Oh! diss'ella,con quel dolce entusiasmo tutto suo, credi tu che il Pe-trarca non abbia anch'egli visitato sovente queste solitu-dini sospirando fra le ombre pacifiche della notte la suaperduta amica? Quando leggo i suoi versi io me lo di-pingo qui – malinconico – errante – appoggiato al tron-co di un albero, pascersi de' suoi mesti pensieri, e vol-gersi al cielo cercando con gli occhi lagrimosi la beltàimmortale di Laura. Io non so come quell'anima, cheavea in sé tanta parte di spirito celeste, abbia potuto so-pravvivere in tanto dolore, e fermarsi fra le miserie de'mortali – oh quando s'ama davvero! – E mi parvech'essa mi stringesse la mano, e io mi sentiva il cuoreche non voleva starmi più in petto. – Sì! tu eri creata perme, nata per me, ed io – non so come ho potuto soffoca-re queste parole che mi scoppiavano dalle labbra. – Esaliva su per la collina ed io la seguitava. Le mie poten-ze erano tutte di Teresa; ma la tempesta che le avevaagitate era alquanto sedata. – Tutto è amore, diss'io;l'universo non è che amore; e chi lo ha mai più sentito,chi più del Petrarca lo ha fatto dolcissimamente sentire?Que' pochi genj che si sono innalzati sopra tanti altrimortali mi spaventano di meraviglia; ma il Petrarca miriempie di fiducia religiosa e d'amore; e mentre il miointelletto gli sacrifica come a nume, il mio cuore lo in-voca padre e amico consolatore. – Teresa sospirò insie-me e sorrise.

La salita l'aveva stancata: riposiamo, diss'ella: l'erbaera umida, ed io le additai un gelso poco lontano. Il più

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bel gelso che mai. È alto, solitario, frondoso: fra' suoirami v'ha un nido di cardellini – ah vorrei poter innalza-re sotto l'ombre di quel gelso un altare! – La ragazzinaintanto ci aveva lasciati, saltando su e giù, cogliendofioretti e gettandoli dietro le lucciole che veniano aleg-giando – Teresa sedea sotto il gelso ed io seduto vicino alei con la testa appoggiata al tronco, le recitava le odi diSaffo – sorgeva la Luna – oh! – perché mentre scrivo ilmio cuore batte sì forte? beata sera!

14 Maggio, ore 11

Sì, Lorenzo! – dianzi io meditai di tacertelo – Or odi-lo, la mia bocca è tuttavia rugiadosa – d'un suo bacio – ele mie guance sono state innondate dalle lagrime di Te-resa. Mi ama – lasciami, Lorenzo, lasciami in tuttal'estasi di questo giorno di paradiso.

14 Maggio, a sera

O quante volte ho ripigliato la penna, e non ho potutocontinuare: mi sento un po' calmato e torno a scriverti. –Teresa giacea sotto il gelso – ma e che posso dirti chenon sia tutto racchiuso in queste parole? Vi amo. A que-ste parole tutto ciò ch'io vedeva mi sembrava un risodell'universo: io mirava con occhi di riconoscenza il cie-lo, e mi parea ch'egli si spalancasse per accoglierci! deh!a che non venne la morte? e l'ho invocata. Sì; ho baciato

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bel gelso che mai. È alto, solitario, frondoso: fra' suoirami v'ha un nido di cardellini – ah vorrei poter innalza-re sotto l'ombre di quel gelso un altare! – La ragazzinaintanto ci aveva lasciati, saltando su e giù, cogliendofioretti e gettandoli dietro le lucciole che veniano aleg-giando – Teresa sedea sotto il gelso ed io seduto vicino alei con la testa appoggiata al tronco, le recitava le odi diSaffo – sorgeva la Luna – oh! – perché mentre scrivo ilmio cuore batte sì forte? beata sera!

14 Maggio, ore 11

Sì, Lorenzo! – dianzi io meditai di tacertelo – Or odi-lo, la mia bocca è tuttavia rugiadosa – d'un suo bacio – ele mie guance sono state innondate dalle lagrime di Te-resa. Mi ama – lasciami, Lorenzo, lasciami in tuttal'estasi di questo giorno di paradiso.

14 Maggio, a sera

O quante volte ho ripigliato la penna, e non ho potutocontinuare: mi sento un po' calmato e torno a scriverti. –Teresa giacea sotto il gelso – ma e che posso dirti chenon sia tutto racchiuso in queste parole? Vi amo. A que-ste parole tutto ciò ch'io vedeva mi sembrava un risodell'universo: io mirava con occhi di riconoscenza il cie-lo, e mi parea ch'egli si spalancasse per accoglierci! deh!a che non venne la morte? e l'ho invocata. Sì; ho baciato

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Teresa; i fiori e le piante esalavano in quel momento unodore soave; le aure erano tutte armonia; i rivi risuona-vano da lontano; e tutte le cose s'abbellivano allo splen-dore della Luna che era tutta piena della luce infinitadella Divinità. Gli elementi e gli esseri esultavano nellagioja di due cuori ebbri di amore – ho baciata e ribaciataquella mano – e Teresa mi abbracciava tutta tremante, etrasfondea i suoi sospiri nella mia bocca, e il suo cuorepalpitava su questo petto: mirandomi co' suoi grandi oc-chi languenti, mi baciava, e le sue labbra umide, soc-chiuse mormoravano su le mie – ahi! che ad un tratto misi è staccata dal seno quasi atterrita: chiamò sua sorellae s'alzò correndole incontro. Io me le sono prostrato, etendeva le braccia come per afferrar le sue vesti – manon ho ardito di rattenerla, né richiamarla. La sua virtù –e non tanto la sua virtù, quanto la sua passione, mi sgo-mentava: sentiva e sento rimorso di averla io primo ec-citata nel suo cuore innocente. Ed è rimorso – rimorsodi tradimento! Ahi mio cuore codardo! – Me le sono ac-costato tremando. – Non posso essere vostra mai! – epronunciò queste parole dal cuore profondo e con unaocchiata con cui parea rimproverarsi e compiangermi.Accompagnandola lungo la via, non mi guardò più; néio avea più cuore di dirle parola. Giunta alla ferriata delgiardino mi prese di mano la Isabellina e lasciandomi:Addio, diss'ella; e rivolgendosi dopo pochi passi, – ad-dio.

Io rimasi estatico: avrei baciate l'orme de' suoi piedi:pendeva un suo braccio, e i suoi capelli rilucenti al rag-

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Teresa; i fiori e le piante esalavano in quel momento unodore soave; le aure erano tutte armonia; i rivi risuona-vano da lontano; e tutte le cose s'abbellivano allo splen-dore della Luna che era tutta piena della luce infinitadella Divinità. Gli elementi e gli esseri esultavano nellagioja di due cuori ebbri di amore – ho baciata e ribaciataquella mano – e Teresa mi abbracciava tutta tremante, etrasfondea i suoi sospiri nella mia bocca, e il suo cuorepalpitava su questo petto: mirandomi co' suoi grandi oc-chi languenti, mi baciava, e le sue labbra umide, soc-chiuse mormoravano su le mie – ahi! che ad un tratto misi è staccata dal seno quasi atterrita: chiamò sua sorellae s'alzò correndole incontro. Io me le sono prostrato, etendeva le braccia come per afferrar le sue vesti – manon ho ardito di rattenerla, né richiamarla. La sua virtù –e non tanto la sua virtù, quanto la sua passione, mi sgo-mentava: sentiva e sento rimorso di averla io primo ec-citata nel suo cuore innocente. Ed è rimorso – rimorsodi tradimento! Ahi mio cuore codardo! – Me le sono ac-costato tremando. – Non posso essere vostra mai! – epronunciò queste parole dal cuore profondo e con unaocchiata con cui parea rimproverarsi e compiangermi.Accompagnandola lungo la via, non mi guardò più; néio avea più cuore di dirle parola. Giunta alla ferriata delgiardino mi prese di mano la Isabellina e lasciandomi:Addio, diss'ella; e rivolgendosi dopo pochi passi, – ad-dio.

Io rimasi estatico: avrei baciate l'orme de' suoi piedi:pendeva un suo braccio, e i suoi capelli rilucenti al rag-

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gio della Luna svolazzavano mollemente: ma poi, appe-na appena il lungo viale e la fosca ombra degli alberi miconcedevano di travedere le ondeggianti sue vesti cheda lontano ancor biancheggiavano; e poiché l'ebbi per-duta, tendeva l'orecchio sperando di udir la sua voce. –E partendo, mi volsi con le braccia aperte, quasi perconsolarmi, all'astro di Venere: era anch'esso sparito.

15 Maggio

Dopo quel bacio io son fatto divino. Le mie idee sonopiù alte e ridenti, il mio aspetto più gajo, il mio cuorepiù compassionevole. Mi pare che tutto s'abbellisca a'miei sguardi; il lamentar degli augelli, e il bisbiglio de'zefiri fra le frondi son oggi più soavi che mai; le piantesi fecondano, e i fiori si colorano sotto a' miei piedi; nonfuggo più gli uomini, e tutta la Natura mi sembra mia. Ilmio ingegno è tutto bellezza e armonia. Se dovessi scol-pire o dipingere la Beltà, io sdegnando ogni modello ter-reno la troverei nella mia immaginazione. O Amore! learti belle sono tue figlie; tu primo hai guidato su la terrala sacra poesia, solo alimento degli animali generosi chetramandano dalla solitudine i loro canti sovrumani sinoalle più tarde generazioni, spronandole con le voci e co'pensieri spirati dal cielo ad altissime imprese: tu raccen-di ne' nostri petti la sola virtù utile a' mortali, la Pietà,per cui sorride talvolta il labbro dell'infelice condannatoai sospiri: e per te rivive sempre il piacere fecondatore

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gio della Luna svolazzavano mollemente: ma poi, appe-na appena il lungo viale e la fosca ombra degli alberi miconcedevano di travedere le ondeggianti sue vesti cheda lontano ancor biancheggiavano; e poiché l'ebbi per-duta, tendeva l'orecchio sperando di udir la sua voce. –E partendo, mi volsi con le braccia aperte, quasi perconsolarmi, all'astro di Venere: era anch'esso sparito.

15 Maggio

Dopo quel bacio io son fatto divino. Le mie idee sonopiù alte e ridenti, il mio aspetto più gajo, il mio cuorepiù compassionevole. Mi pare che tutto s'abbellisca a'miei sguardi; il lamentar degli augelli, e il bisbiglio de'zefiri fra le frondi son oggi più soavi che mai; le piantesi fecondano, e i fiori si colorano sotto a' miei piedi; nonfuggo più gli uomini, e tutta la Natura mi sembra mia. Ilmio ingegno è tutto bellezza e armonia. Se dovessi scol-pire o dipingere la Beltà, io sdegnando ogni modello ter-reno la troverei nella mia immaginazione. O Amore! learti belle sono tue figlie; tu primo hai guidato su la terrala sacra poesia, solo alimento degli animali generosi chetramandano dalla solitudine i loro canti sovrumani sinoalle più tarde generazioni, spronandole con le voci e co'pensieri spirati dal cielo ad altissime imprese: tu raccen-di ne' nostri petti la sola virtù utile a' mortali, la Pietà,per cui sorride talvolta il labbro dell'infelice condannatoai sospiri: e per te rivive sempre il piacere fecondatore

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degli esseri, senza del quale tutto sarebbe caos e morte.Se tu fuggissi, la Terra diverrebbe ingrata; gli animali,nemici fra loro; il Sole, foco malefico; e il Mondo, pian-to, terrore e distruzione universale. Adesso che l'animamia risplende di un tuo raggio, io dimentico le miesventure; io rido delle minacce della fortuna, e rinunzioalle lusinghe dell'avvenire. – O Lorenzo! sto spessosdrajato su la riva del lago de' cinque fonti: mi sentovezzeggiare la faccia e le chiome dai venticelli che ali-tando sommovono l'erba, e allegrano i fiori, e increspa-no le limpide acque del lago. Lo credi tu? io delirandodeliziosamente mi veggo dinanzi le Ninfe ignude, sal-tanti, inghirlandate di rose, e invoco in lor compagnia leMuse e l'Amore; e fuor dei rivi che cascano sonanti espumosi, vedo uscir sino al petto con le chiome stillantisparse su le spalle rugiadose, e con gli occhi ridenti leNajadi, amabili custodi delle fontane. Illusioni! grida ilfilosofo. – Or non è tutto illusione? tutto! Beati gli anti-chi che si credeano degni de' baci delle immortali divedel cielo; che sacrificavano alla Bellezza e alle Grazie;che diffondeano lo splendore della divinità su le imper-fezioni dell'uomo, e che trovavano il BELLO ed ilVERO accarezzando gli idoli della lor fantasia! Illusio-ni! ma intanto senza di esse io non sentirei la vita chenel dolore, o (che mi spaventa ancor più) nella rigida enojosa indolenza: e se questo cuore non vorrà più senti-re, io me lo strapperò dal petto con le mie mani, e locaccerò come un servo infedele.

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degli esseri, senza del quale tutto sarebbe caos e morte.Se tu fuggissi, la Terra diverrebbe ingrata; gli animali,nemici fra loro; il Sole, foco malefico; e il Mondo, pian-to, terrore e distruzione universale. Adesso che l'animamia risplende di un tuo raggio, io dimentico le miesventure; io rido delle minacce della fortuna, e rinunzioalle lusinghe dell'avvenire. – O Lorenzo! sto spessosdrajato su la riva del lago de' cinque fonti: mi sentovezzeggiare la faccia e le chiome dai venticelli che ali-tando sommovono l'erba, e allegrano i fiori, e increspa-no le limpide acque del lago. Lo credi tu? io delirandodeliziosamente mi veggo dinanzi le Ninfe ignude, sal-tanti, inghirlandate di rose, e invoco in lor compagnia leMuse e l'Amore; e fuor dei rivi che cascano sonanti espumosi, vedo uscir sino al petto con le chiome stillantisparse su le spalle rugiadose, e con gli occhi ridenti leNajadi, amabili custodi delle fontane. Illusioni! grida ilfilosofo. – Or non è tutto illusione? tutto! Beati gli anti-chi che si credeano degni de' baci delle immortali divedel cielo; che sacrificavano alla Bellezza e alle Grazie;che diffondeano lo splendore della divinità su le imper-fezioni dell'uomo, e che trovavano il BELLO ed ilVERO accarezzando gli idoli della lor fantasia! Illusio-ni! ma intanto senza di esse io non sentirei la vita chenel dolore, o (che mi spaventa ancor più) nella rigida enojosa indolenza: e se questo cuore non vorrà più senti-re, io me lo strapperò dal petto con le mie mani, e locaccerò come un servo infedele.

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21 Maggio

Ohimè che notti lunghe, angosciose! – il timore dinon rivederla mi desta: divorato da un presentimentoprofondo, ardente, smanioso, sbalzo dal letto al balconee non concedo riposo alle mie membra nude aggrezzate,se prima non discerno sull'oriente un raggio di giorno.Corro palpitando al suo fianco e stupido! soffoco le pa-role, e i sospiri: non concepisco, non odo: il tempo vola,e la notte mi strappa da quel soggiorno di paradiso. –Ahi lampo! tu rompi le tenebre, splendi, passi ed accre-sci il terrore e l'oscurità.

25 Maggio

Ti ringrazio, eterno Iddio, ti ringrazio! Tu hai dunqueritirato il tuo sospiro, e Lauretta ha lasciato alla terra lesue infelicità: tu ascolti i gemiti che partono dalle visce-re dell'anima, e mandi la Morte per isciogliere dalle ca-tene della vita le tue creature perseguitate ed afflitte.Mia cara amica! il tuo sepolcro beva almeno queste la-grime, sole esequie ch'io posso offerirti: le zolle che tinascondono sieno coperte di fresca erba, e dalle benedi-zioni di tua madre e dalla mia. Tu vivendo speravi dame qualche conforto; eppure! non ho potuto nemmenoprestarti gli ultimi ufficj; ma – ci rivedremo – sì.

Quand'io, caro Lorenzo, mi ricordava di quella pove-ra innocente, certi presentimenti mi gridavano dentrol'anima: È morta. Pure se tu non me ne avessi scritto, io

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21 Maggio

Ohimè che notti lunghe, angosciose! – il timore dinon rivederla mi desta: divorato da un presentimentoprofondo, ardente, smanioso, sbalzo dal letto al balconee non concedo riposo alle mie membra nude aggrezzate,se prima non discerno sull'oriente un raggio di giorno.Corro palpitando al suo fianco e stupido! soffoco le pa-role, e i sospiri: non concepisco, non odo: il tempo vola,e la notte mi strappa da quel soggiorno di paradiso. –Ahi lampo! tu rompi le tenebre, splendi, passi ed accre-sci il terrore e l'oscurità.

25 Maggio

Ti ringrazio, eterno Iddio, ti ringrazio! Tu hai dunqueritirato il tuo sospiro, e Lauretta ha lasciato alla terra lesue infelicità: tu ascolti i gemiti che partono dalle visce-re dell'anima, e mandi la Morte per isciogliere dalle ca-tene della vita le tue creature perseguitate ed afflitte.Mia cara amica! il tuo sepolcro beva almeno queste la-grime, sole esequie ch'io posso offerirti: le zolle che tinascondono sieno coperte di fresca erba, e dalle benedi-zioni di tua madre e dalla mia. Tu vivendo speravi dame qualche conforto; eppure! non ho potuto nemmenoprestarti gli ultimi ufficj; ma – ci rivedremo – sì.

Quand'io, caro Lorenzo, mi ricordava di quella pove-ra innocente, certi presentimenti mi gridavano dentrol'anima: È morta. Pure se tu non me ne avessi scritto, io

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certo non lo avrei saputo mai; perché, e chi si cura dellavirtù quand'è ravvolta nella povertà? Spesso mi sono ac-cinto a scriverle. M'è caduta la penna, e ho bagnato lacarta di lagrime: temeva non mi raccontasse de' nuovimartirj, e mi destasse nel cuore una corda la cui vibra-zione non sarebbe cessata sì tosto. Pur troppo! noi sfug-giamo d'intendere i mali de' nostri amici; le loro miserieci sono gravi, e il nostro orgoglio sdegna di porgere ilconforto delle parole, sì caro agli infelici, quando non sipuò unire un soccorso vero e reale. Ma – fors'ella e suamadre mi annoveravano fra la turba di coloro che ub-briacati dalla prosperità abbandonano gli sventurati. Losa il cielo! Frattanto Dio ha conosciuto che non potevareggere più: Ei tempera i venti in favore dell'agnello re-centemente tosato; e – tosato al vivo! E ti dee pur ricor-dare com'essa un giorno tornò a casa sua, portando chiu-so nel suo canestrino da lavoro un cranio di morto; e ciscoverse il coperchio, e rideva; e mostrava il cranio inmezzo a un nembo di rose. – E le sono tante e tante, di-ceva a noi, queste rose; e le ho rimondate di tutte le spi-ne: e domani le si appassiranno: ma io ne compereròben dell'altre perché ogni giorno, ogni mese cresconorose, e la morte se le piglia tuttequante. – Ma che vuoitu farne, o Lauretta; io le dissi. – Vo' coronare questocranio di rose, e ogni giorno di rose fresche; – e rispon-dendo rideva pur sempre con soave amabilità. E in quel-le parole e in quel riso e in quell'aria di volto demente ein quegli occhi fitti sul cranio e in quelle sue dita pallidee tremanti che andavano intrecciando le rose – tu ti se'

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certo non lo avrei saputo mai; perché, e chi si cura dellavirtù quand'è ravvolta nella povertà? Spesso mi sono ac-cinto a scriverle. M'è caduta la penna, e ho bagnato lacarta di lagrime: temeva non mi raccontasse de' nuovimartirj, e mi destasse nel cuore una corda la cui vibra-zione non sarebbe cessata sì tosto. Pur troppo! noi sfug-giamo d'intendere i mali de' nostri amici; le loro miserieci sono gravi, e il nostro orgoglio sdegna di porgere ilconforto delle parole, sì caro agli infelici, quando non sipuò unire un soccorso vero e reale. Ma – fors'ella e suamadre mi annoveravano fra la turba di coloro che ub-briacati dalla prosperità abbandonano gli sventurati. Losa il cielo! Frattanto Dio ha conosciuto che non potevareggere più: Ei tempera i venti in favore dell'agnello re-centemente tosato; e – tosato al vivo! E ti dee pur ricor-dare com'essa un giorno tornò a casa sua, portando chiu-so nel suo canestrino da lavoro un cranio di morto; e ciscoverse il coperchio, e rideva; e mostrava il cranio inmezzo a un nembo di rose. – E le sono tante e tante, di-ceva a noi, queste rose; e le ho rimondate di tutte le spi-ne: e domani le si appassiranno: ma io ne compereròben dell'altre perché ogni giorno, ogni mese cresconorose, e la morte se le piglia tuttequante. – Ma che vuoitu farne, o Lauretta; io le dissi. – Vo' coronare questocranio di rose, e ogni giorno di rose fresche; – e rispon-dendo rideva pur sempre con soave amabilità. E in quel-le parole e in quel riso e in quell'aria di volto demente ein quegli occhi fitti sul cranio e in quelle sue dita pallidee tremanti che andavano intrecciando le rose – tu ti se'

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pur avveduto come alle volte il desiderio di morire è ne-cessario insieme e dolcissimo; ed eloquente fin anchesul labbro d'una fanciulla impazzata.

Tornerò, Lorenzo: conviene ch'io esca; il mio cuore sigonfia e geme come se non volesse starmi più in petto:su la cima di un monte mi sembra d'essere alquanto piùlibero; ma qui nella mia stanza – sto quasi sotterrato inun sepolcro. –

Sono salito su la più alta montagna: i venti imperver-savano; io vedeva le querce ondeggiar sotto a' miei pie-di; la selva fremeva come mar burrascoso, e la valle nerimbombava; su le rupi dell'erta sedeano le nuvole –nella terribile maestà della Natura la mia anima attonitae sbalordita ha dimenticato i suoi mali, ed è tornata al-cun poco in pace con se medesima.

Vorrei dirti di grandi cose: mi passano per la mente;vi sto pensando! – m'ingombrano il cuore, s'affollano, siconfondono: non so più da quale io mi debba incomin-ciare; poi tutto a un tratto mi sfuggono, e prorompo inun pianto dirotto. Vado correndo come un pazzo senzasaper dove, e perché: non m'accorgo, e i miei piedi mitrascinano fra precipizj. Io domino le valli e le campa-gne soggette; magnifica ed inesausta creazione! I mieisguardi e i miei pensieri si perdono nel lontano orizzon-te. – Vo salendo, e sto lì – ritto – anelante – guardo in-giù; ahi voragine! – alzo gli occhi inorridito e scendoprecipitoso appiè del colle dove la valle è più fosca. Unboschetto di giovani querce mi protegge dai venti e dalsole; due rivi d'acqua mormorano qua e là sommessa-

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pur avveduto come alle volte il desiderio di morire è ne-cessario insieme e dolcissimo; ed eloquente fin anchesul labbro d'una fanciulla impazzata.

Tornerò, Lorenzo: conviene ch'io esca; il mio cuore sigonfia e geme come se non volesse starmi più in petto:su la cima di un monte mi sembra d'essere alquanto piùlibero; ma qui nella mia stanza – sto quasi sotterrato inun sepolcro. –

Sono salito su la più alta montagna: i venti imperver-savano; io vedeva le querce ondeggiar sotto a' miei pie-di; la selva fremeva come mar burrascoso, e la valle nerimbombava; su le rupi dell'erta sedeano le nuvole –nella terribile maestà della Natura la mia anima attonitae sbalordita ha dimenticato i suoi mali, ed è tornata al-cun poco in pace con se medesima.

Vorrei dirti di grandi cose: mi passano per la mente;vi sto pensando! – m'ingombrano il cuore, s'affollano, siconfondono: non so più da quale io mi debba incomin-ciare; poi tutto a un tratto mi sfuggono, e prorompo inun pianto dirotto. Vado correndo come un pazzo senzasaper dove, e perché: non m'accorgo, e i miei piedi mitrascinano fra precipizj. Io domino le valli e le campa-gne soggette; magnifica ed inesausta creazione! I mieisguardi e i miei pensieri si perdono nel lontano orizzon-te. – Vo salendo, e sto lì – ritto – anelante – guardo in-giù; ahi voragine! – alzo gli occhi inorridito e scendoprecipitoso appiè del colle dove la valle è più fosca. Unboschetto di giovani querce mi protegge dai venti e dalsole; due rivi d'acqua mormorano qua e là sommessa-

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mente: i rami bisbigliano, e un rosignuolo – ho sgridatoun pastore che era venuto per rapire dal nido i suoi par-goletti: il pianto, la desolazione, la morte di quei deboliinnocenti dovevano essere venduti per una moneta dirame; così va! or bench'io l'abbia compensato del gua-dagno che sperava di trarne e mi abbia promesso di nondisturbare più i rosignuoli, tu credi ch'ei non tornerà adesolarli? – e là io mi riposo. – Dove se' ito, o buontempo di prima! la mia ragione è malata e non può fi-darsi che nel sopore, e guai se sentisse tutta la sua infer-mità! Quasi quasi – povera Lauretta! tu forse mi chiami– e forse fra non molto io verrò. Tutto, tutto quelloch'esiste per gli uomini non è che la lor fantasia. Dianzifra le rupi la morte mi era spavento; e all'ombra di quelboschetto io avrei chiusi gli occhi volentieri in sonnoeterno. Ci fabbrichiamo la realtà a nostro modo; i nostridesideri si vanno moltiplicando con le nostre idee; su-diamo per quello che vestito diversamente ci annoja; ele nostre passioni non sono alla stretta del conto che glieffetti delle nostre illusioni. Quanto mi sta d'intorno ri-chiama al mio cuore quel dolce sogno della mia fanciul-lezza. O! come io scorreva teco queste campagne ag-grappandomi or a questo or a quell'arbuscello di frutta,immemore del passato, non curando che del presente,esultando di cose che la mia immaginazione ingrandivae che dopo un'ora non erano più, e riponendo tutte lemie speranze ne' giuochi della prossima festa. Ma quelsogno è svanito! e chi m'accerta che in questo momentoio non sogni? Ben tu, mio Dio, tu che creasti gli umani

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mente: i rami bisbigliano, e un rosignuolo – ho sgridatoun pastore che era venuto per rapire dal nido i suoi par-goletti: il pianto, la desolazione, la morte di quei deboliinnocenti dovevano essere venduti per una moneta dirame; così va! or bench'io l'abbia compensato del gua-dagno che sperava di trarne e mi abbia promesso di nondisturbare più i rosignuoli, tu credi ch'ei non tornerà adesolarli? – e là io mi riposo. – Dove se' ito, o buontempo di prima! la mia ragione è malata e non può fi-darsi che nel sopore, e guai se sentisse tutta la sua infer-mità! Quasi quasi – povera Lauretta! tu forse mi chiami– e forse fra non molto io verrò. Tutto, tutto quelloch'esiste per gli uomini non è che la lor fantasia. Dianzifra le rupi la morte mi era spavento; e all'ombra di quelboschetto io avrei chiusi gli occhi volentieri in sonnoeterno. Ci fabbrichiamo la realtà a nostro modo; i nostridesideri si vanno moltiplicando con le nostre idee; su-diamo per quello che vestito diversamente ci annoja; ele nostre passioni non sono alla stretta del conto che glieffetti delle nostre illusioni. Quanto mi sta d'intorno ri-chiama al mio cuore quel dolce sogno della mia fanciul-lezza. O! come io scorreva teco queste campagne ag-grappandomi or a questo or a quell'arbuscello di frutta,immemore del passato, non curando che del presente,esultando di cose che la mia immaginazione ingrandivae che dopo un'ora non erano più, e riponendo tutte lemie speranze ne' giuochi della prossima festa. Ma quelsogno è svanito! e chi m'accerta che in questo momentoio non sogni? Ben tu, mio Dio, tu che creasti gli umani

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cuori, tu solo, sai che sonno spaventevole è questo ch'iodormo; sai che non altro m'avanza fuorché il pianto e lamorte.

Così vaneggio! cangio voti e pensieri, e quanto la Na-tura è più bella tanto più vorrei vederla vestita a lutto. Everamente pare che oggi m'abbia esaudito. Nel vernopassato io era felice: quando la Natura dormiva mortal-mente la mia anima pareva tranquilla – ed ora?

Eppur mi conforto nella speranza di essere compian-to. Su l'aurora della vita io cercherò forse invano il restodella mia età che mi verrà rapito dalle mie passioni edalle mie sventure; ma la mia sepoltura sarà bagnatadalle tue lagrime, dalle lagrime di quella fanciulla cele-ste. E chi mai cede a una eterna obblivione questa cara etravagliata esistenza? Chi mai vide per l'ultima volta iraggi del Sole, chi salutò la Natura per sempre, chi ab-bandonò i suoi diletti, le sue speranze, i suoi inganni, isuoi stessi dolori senza lasciar dietro a sé un desiderio,un sospiro, uno sguardo? Le persone a noi care che cisopravvivono, sono parte di noi. I nostri occhi morentichiedono altrui qualche stilla di pianto, e il nostro cuoreama che il recente cadavere sia sostenuto da bracciaamorose, e cerca un petto dove trasfondere l'ultimo no-stro respiro. Geme la Natura perfin nella tomba, e il suogemito vince il silenzio e l'oscurità della morte.

M'affaccio al balcone ora che la immensa luce delSole si va spegnendo, e le tenebre rapiscono all'universoque' raggi languidi che balenano su l'orizzonte; e nellaopacità del mondo malinconico e taciturno contemplo la

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cuori, tu solo, sai che sonno spaventevole è questo ch'iodormo; sai che non altro m'avanza fuorché il pianto e lamorte.

Così vaneggio! cangio voti e pensieri, e quanto la Na-tura è più bella tanto più vorrei vederla vestita a lutto. Everamente pare che oggi m'abbia esaudito. Nel vernopassato io era felice: quando la Natura dormiva mortal-mente la mia anima pareva tranquilla – ed ora?

Eppur mi conforto nella speranza di essere compian-to. Su l'aurora della vita io cercherò forse invano il restodella mia età che mi verrà rapito dalle mie passioni edalle mie sventure; ma la mia sepoltura sarà bagnatadalle tue lagrime, dalle lagrime di quella fanciulla cele-ste. E chi mai cede a una eterna obblivione questa cara etravagliata esistenza? Chi mai vide per l'ultima volta iraggi del Sole, chi salutò la Natura per sempre, chi ab-bandonò i suoi diletti, le sue speranze, i suoi inganni, isuoi stessi dolori senza lasciar dietro a sé un desiderio,un sospiro, uno sguardo? Le persone a noi care che cisopravvivono, sono parte di noi. I nostri occhi morentichiedono altrui qualche stilla di pianto, e il nostro cuoreama che il recente cadavere sia sostenuto da bracciaamorose, e cerca un petto dove trasfondere l'ultimo no-stro respiro. Geme la Natura perfin nella tomba, e il suogemito vince il silenzio e l'oscurità della morte.

M'affaccio al balcone ora che la immensa luce delSole si va spegnendo, e le tenebre rapiscono all'universoque' raggi languidi che balenano su l'orizzonte; e nellaopacità del mondo malinconico e taciturno contemplo la

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immagine della Distruzione divoratrice di tutte le cose.Poi giro gli occhi sulle macchie de' pini piantati dal pa-dre mio su quel colle presso la porta della parrocchia, etravedo biancheggiare fra le frondi agitate da' venti lapietra della mia fossa. E mi par di vederti venir con miamadre, a benedire, o perdonar non foss'altro alle ceneridell'infelice figliuolo. E predico a me, consolandomi:Forse Teresa verrà solitaria su l'alba a rattristarsi dolce-mente su le mie antiche memorie, e a dirmi un altro ad-dio. No! la morte non è dolorosa. Che se taluno metteràle mani nella mia sepoltura e scompiglierà il mio schele-tro per trarre dalla notte in cui giaceranno, le mie ardentipassioni, le mie opinioni, i miei delitti – forse; non midifendere, Lorenzo; rispondi soltanto: Era uomo, e infe-lice.

26 Maggio

Ei viene, Lorenzo – ei ritorna.Scrisse di Toscana ove si fermerà venti giorni; e la

lettera è in data de' 18 Maggio: fra due settimane al più– dunque!

27 Maggio

Ma penso: Ed è pur vero che questa immagined'angelo de' cieli esista qui, in questo basso mondo, fra

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immagine della Distruzione divoratrice di tutte le cose.Poi giro gli occhi sulle macchie de' pini piantati dal pa-dre mio su quel colle presso la porta della parrocchia, etravedo biancheggiare fra le frondi agitate da' venti lapietra della mia fossa. E mi par di vederti venir con miamadre, a benedire, o perdonar non foss'altro alle ceneridell'infelice figliuolo. E predico a me, consolandomi:Forse Teresa verrà solitaria su l'alba a rattristarsi dolce-mente su le mie antiche memorie, e a dirmi un altro ad-dio. No! la morte non è dolorosa. Che se taluno metteràle mani nella mia sepoltura e scompiglierà il mio schele-tro per trarre dalla notte in cui giaceranno, le mie ardentipassioni, le mie opinioni, i miei delitti – forse; non midifendere, Lorenzo; rispondi soltanto: Era uomo, e infe-lice.

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Ei viene, Lorenzo – ei ritorna.Scrisse di Toscana ove si fermerà venti giorni; e la

lettera è in data de' 18 Maggio: fra due settimane al più– dunque!

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Ma penso: Ed è pur vero che questa immagined'angelo de' cieli esista qui, in questo basso mondo, fra

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noi? e sospetto d'essermi innamorato della creatura dellamia fantasia.

E chi non avrebbe voluto amarla anche infelicemen-te? e dov'è l'uomo così avventuroso col quale io degnas-si di cangiare questo mio stato lagrimevole? – ma comeio posso dall'altra parte essere tanto carnefice mio pertormentarmi – or nol veggo? nol vidi pur sempre? – sen-za niuna speranza? – Forse! un certo orgoglio in costeidella sua bellezza e delle mie angosce – non mi ama, ela sua compassione coverà un tradimento. Ma quel suobacio celeste che mi sta sempre su le labbra e mi domi-na tutti i pensieri? e quel suo pianto? – ahi, ma dopoquel momento mi sfugge; né s'attenta di guardarmi piùin faccia. Seduttore! io? – e quando mi sento tuonarenell'anima quella tremenda sentenza: Non sarò vostramai; io trapasso di furore in furore e medito delitti disangue. – Non tu, innocente vergine, io solo io solo hotentato il tradimento; e l'avrei, chi sa? – consumato.

O! un altro tuo bacio, e abbandonami poscia a' mieisogni e a' miei soavi delirj: io ti morrò a' piedi; ma tuttotuo, e sapendo che pur t'ho lasciata innocente – ma in-sieme infelice! Tu, se non potrai essermi sposa, mi saraialmeno compagna nel sepolcro. Ah no; la pena di questoamore fatale si rovesci sopra di me. Ch'io pianga per tut-ta un'eternità; ma che il cielo, o Teresa, non voglia chetu sia lungamente per mia cagione infelice! – Ma intantoio ti ho perduta, e tu mi t'involi, tu stessa. Ah se tu miamassi com'io t'amo!

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noi? e sospetto d'essermi innamorato della creatura dellamia fantasia.

E chi non avrebbe voluto amarla anche infelicemen-te? e dov'è l'uomo così avventuroso col quale io degnas-si di cangiare questo mio stato lagrimevole? – ma comeio posso dall'altra parte essere tanto carnefice mio pertormentarmi – or nol veggo? nol vidi pur sempre? – sen-za niuna speranza? – Forse! un certo orgoglio in costeidella sua bellezza e delle mie angosce – non mi ama, ela sua compassione coverà un tradimento. Ma quel suobacio celeste che mi sta sempre su le labbra e mi domi-na tutti i pensieri? e quel suo pianto? – ahi, ma dopoquel momento mi sfugge; né s'attenta di guardarmi piùin faccia. Seduttore! io? – e quando mi sento tuonarenell'anima quella tremenda sentenza: Non sarò vostramai; io trapasso di furore in furore e medito delitti disangue. – Non tu, innocente vergine, io solo io solo hotentato il tradimento; e l'avrei, chi sa? – consumato.

O! un altro tuo bacio, e abbandonami poscia a' mieisogni e a' miei soavi delirj: io ti morrò a' piedi; ma tuttotuo, e sapendo che pur t'ho lasciata innocente – ma in-sieme infelice! Tu, se non potrai essermi sposa, mi saraialmeno compagna nel sepolcro. Ah no; la pena di questoamore fatale si rovesci sopra di me. Ch'io pianga per tut-ta un'eternità; ma che il cielo, o Teresa, non voglia chetu sia lungamente per mia cagione infelice! – Ma intantoio ti ho perduta, e tu mi t'involi, tu stessa. Ah se tu miamassi com'io t'amo!

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Eppure, o Lorenzo, in sì fieri dubbj, e in tanti tormen-ti, ogni qual volta io domando consiglio alla mia ragio-ne, mi riconforta dicendomi: Tu non se' immortale. Orvia, soffriamo dunque; e sino agli estremi – uscirò, usci-rò dall'inferno della vita; e basto io solo: a questa idearido e della fortuna, e degli uomini, e quasi della onni-potenza di Dio.

28 Maggio

Spesso io mi figuro tutto il mondo a soqquadro, e ilCielo, e il Sole, e l'Oceano, e tutti i globi nelle fiamme enel nulla; ma se anche in mezzo alla universale rovina iopotessi stringere un'altra volta Teresa – un'altra voltasoltanto fra queste braccia, io invocherei la distruzionedel creato.

29 Maggio, all'alba

O illusione! perché quando ne' miei sogni quest'animaè un paradiso, e Teresa è al mio fianco, e mi sento sospi-rar su la bocca, e – perché mi trovo poi un vuoto, unvuoto di tomba? Almen que' beati momenti non fosseromai venuti, o non fossero fuggiti mai! – questa notte iocercava brancicando quella mano che me l'ha strappatadal seno: mi parea d'intendere da lontano un suo gemito;ma le coltri molli di pianto, i miei capelli sudati, il miopetto ansante, la fitta e muta oscurità – tutto tutto mi gri-

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Eppure, o Lorenzo, in sì fieri dubbj, e in tanti tormen-ti, ogni qual volta io domando consiglio alla mia ragio-ne, mi riconforta dicendomi: Tu non se' immortale. Orvia, soffriamo dunque; e sino agli estremi – uscirò, usci-rò dall'inferno della vita; e basto io solo: a questa idearido e della fortuna, e degli uomini, e quasi della onni-potenza di Dio.

28 Maggio

Spesso io mi figuro tutto il mondo a soqquadro, e ilCielo, e il Sole, e l'Oceano, e tutti i globi nelle fiamme enel nulla; ma se anche in mezzo alla universale rovina iopotessi stringere un'altra volta Teresa – un'altra voltasoltanto fra queste braccia, io invocherei la distruzionedel creato.

29 Maggio, all'alba

O illusione! perché quando ne' miei sogni quest'animaè un paradiso, e Teresa è al mio fianco, e mi sento sospi-rar su la bocca, e – perché mi trovo poi un vuoto, unvuoto di tomba? Almen que' beati momenti non fosseromai venuti, o non fossero fuggiti mai! – questa notte iocercava brancicando quella mano che me l'ha strappatadal seno: mi parea d'intendere da lontano un suo gemito;ma le coltri molli di pianto, i miei capelli sudati, il miopetto ansante, la fitta e muta oscurità – tutto tutto mi gri-

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dava: Misero, tu deliri! Spaventato e languente mi sonobuttato boccone sul letto abbracciando il guanciale, ecercando di tormentarmi nuovamente e d'illudermi.

Se tu mi vedessi stanco, squallido, taciturno errar su egiù per le montagne e cercar di Teresa, e temer di tro-varla, sovente brontolar fra me stesso, chiamare, pregar-la, e rispondere alle mie voci: arso dal Sole mi cacciosotto una macchia e m'addormento o vaneggio – ahi chesovente la saluto come se la vedessi, e mi pare di strin-gerla e di baciarla – poi mi svanisce, ed io tengo gli oc-chi inchiodati sui precipizj di qualche dirupo. Sì! con-viene ch'io la finisca.

29 Maggio, a sera

Fuggir dunque, fuggire: ma dove? credimi, io mi sen-to malato: appena reggo questo mio corpo per potermelostrascinare sino alla villa, e confortarmi in quegli occhie bere un altro sorso di vita, forse ultimo – ma senz'essavorrei più questo inferno? Dianzi l'ho salutata per andar-mene; non rispose – scesi le scale; ma non poteva sco-starmi dal suo giardino: e – lo credi? la sua vista mi dàsoggezione. Vedendola poi scendere con sua sorella hotentato di tirarmi sotto una pergola e fuggirmene. LaIsabellina ha gridato: Viscere mie, viscere mie, non ciavete vedute? Colpito quasi da un fulmine mi sono pre-cipitato sopra un sedile; la ragazza mi s'è gettata al collocarezzandomi, e dicendomi all'orecchio: Perché taci

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dava: Misero, tu deliri! Spaventato e languente mi sonobuttato boccone sul letto abbracciando il guanciale, ecercando di tormentarmi nuovamente e d'illudermi.

Se tu mi vedessi stanco, squallido, taciturno errar su egiù per le montagne e cercar di Teresa, e temer di tro-varla, sovente brontolar fra me stesso, chiamare, pregar-la, e rispondere alle mie voci: arso dal Sole mi cacciosotto una macchia e m'addormento o vaneggio – ahi chesovente la saluto come se la vedessi, e mi pare di strin-gerla e di baciarla – poi mi svanisce, ed io tengo gli oc-chi inchiodati sui precipizj di qualche dirupo. Sì! con-viene ch'io la finisca.

29 Maggio, a sera

Fuggir dunque, fuggire: ma dove? credimi, io mi sen-to malato: appena reggo questo mio corpo per potermelostrascinare sino alla villa, e confortarmi in quegli occhie bere un altro sorso di vita, forse ultimo – ma senz'essavorrei più questo inferno? Dianzi l'ho salutata per andar-mene; non rispose – scesi le scale; ma non poteva sco-starmi dal suo giardino: e – lo credi? la sua vista mi dàsoggezione. Vedendola poi scendere con sua sorella hotentato di tirarmi sotto una pergola e fuggirmene. LaIsabellina ha gridato: Viscere mie, viscere mie, non ciavete vedute? Colpito quasi da un fulmine mi sono pre-cipitato sopra un sedile; la ragazza mi s'è gettata al collocarezzandomi, e dicendomi all'orecchio: Perché taci

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sempre? Non so se Teresa m'abbia guardato; sparì den-tro un viale. Dopo mezz'ora tornò a chiamare la ragazzache stava ancora fra le mie ginocchia, e m'accorsi comele sue pupille erano rosse di pianto; non mi parlò, ma miammazzò con un'occhiata quasi volesse dirmi: Tu mi hairidotta così.

2 Giugno

Ecco tutto ne' suoi veri sembianti. Ahi! non sapevache in me s'annidasse questa furia che m'investe, m'arde,mi annienta, eppur non mi uccide. Dov'è la Natura?Dov'è la sua immensa bellezza? Dov'è l'intreccio pitto-resco de' colli ch'io contemplava dalla pianura inalzan-domi con l'immaginazione nelle regioni dei cieli? misembrano rupi nude e non veggo che precipizj. Le lorofalde coperte di ombre ospitali mi sono fatte nojose: iovi passeggiava un tempo fra le ingannevoli meditazionidella nostra debole filosofia. A qual pro se ci fanno co-noscere le infermità nostre, né porgono i rimedj da risa-narle? – Oggi io sentiva gemere la foresta ai colpi dellescuri: i contadini atterravano i roveri di duecento anni: –tutto père quaggiù!

Guardo le piante ch'una volta scansava di calpestare,e mi soffermo sovr'esse e le strappo, e le sfioro gittando-le fra la polvere rapita dai venti. Gemesse con me l'uni-verso!

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sempre? Non so se Teresa m'abbia guardato; sparì den-tro un viale. Dopo mezz'ora tornò a chiamare la ragazzache stava ancora fra le mie ginocchia, e m'accorsi comele sue pupille erano rosse di pianto; non mi parlò, ma miammazzò con un'occhiata quasi volesse dirmi: Tu mi hairidotta così.

2 Giugno

Ecco tutto ne' suoi veri sembianti. Ahi! non sapevache in me s'annidasse questa furia che m'investe, m'arde,mi annienta, eppur non mi uccide. Dov'è la Natura?Dov'è la sua immensa bellezza? Dov'è l'intreccio pitto-resco de' colli ch'io contemplava dalla pianura inalzan-domi con l'immaginazione nelle regioni dei cieli? misembrano rupi nude e non veggo che precipizj. Le lorofalde coperte di ombre ospitali mi sono fatte nojose: iovi passeggiava un tempo fra le ingannevoli meditazionidella nostra debole filosofia. A qual pro se ci fanno co-noscere le infermità nostre, né porgono i rimedj da risa-narle? – Oggi io sentiva gemere la foresta ai colpi dellescuri: i contadini atterravano i roveri di duecento anni: –tutto père quaggiù!

Guardo le piante ch'una volta scansava di calpestare,e mi soffermo sovr'esse e le strappo, e le sfioro gittando-le fra la polvere rapita dai venti. Gemesse con me l'uni-verso!

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Sono uscito assai prima del Sole e correndo attraversode' solchi, cercava nella stanchezza del corpo qualchesopore a quest'anima tempestosa. La mia fronte era tuttasudore, e il mio petto ansava con difficile anelito. Soffiail vento della notte e mi scompiglia le chiome ed ag-ghiaccia il sudore che grondavami dalle guance. – Oh!da quell'ora mi sento per tutte le membra un brivido, lemani fredde, le labbra livide, e gli occhi erranti fra lenuvole della morte.

Almeno costei non mi perseguitasse con la sua imma-gine, ovunque io mi vada, a piantarmisi faccia a faccia:perch'ella, o Lorenzo – perch'ella mi move qui dentro unterrore, una disperazione, una rabbia, una gran guerra –e medito talor di rapirla e di strascinarla con me nei de-serti lungi dalla prepotenza degli uomini. – Ahi sciagu-rato! mi percuoto la fronte e bestemmio – partirò.

Lorenzo

A chi legge

Tu forse, o Lettore, ti se' fatto amico di Jacopo, e bra-mi di sapere la storia della sua passione; onde io pernarrartela andrò quindi innanzi interrompendo la seriedelle sue lettere.

La morte di Lauretta esacerbò la sua malinconia fat-ta ancora più nera per l'imminente ritorno di Odoardo.Diradò le sue visite in casa T***, e non parlava con

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Sono uscito assai prima del Sole e correndo attraversode' solchi, cercava nella stanchezza del corpo qualchesopore a quest'anima tempestosa. La mia fronte era tuttasudore, e il mio petto ansava con difficile anelito. Soffiail vento della notte e mi scompiglia le chiome ed ag-ghiaccia il sudore che grondavami dalle guance. – Oh!da quell'ora mi sento per tutte le membra un brivido, lemani fredde, le labbra livide, e gli occhi erranti fra lenuvole della morte.

Almeno costei non mi perseguitasse con la sua imma-gine, ovunque io mi vada, a piantarmisi faccia a faccia:perch'ella, o Lorenzo – perch'ella mi move qui dentro unterrore, una disperazione, una rabbia, una gran guerra –e medito talor di rapirla e di strascinarla con me nei de-serti lungi dalla prepotenza degli uomini. – Ahi sciagu-rato! mi percuoto la fronte e bestemmio – partirò.

Lorenzo

A chi legge

Tu forse, o Lettore, ti se' fatto amico di Jacopo, e bra-mi di sapere la storia della sua passione; onde io pernarrartela andrò quindi innanzi interrompendo la seriedelle sue lettere.

La morte di Lauretta esacerbò la sua malinconia fat-ta ancora più nera per l'imminente ritorno di Odoardo.Diradò le sue visite in casa T***, e non parlava con

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anima nata. Dimagrato, sparuto, con gli occhi incavati,ma spalancati e pensosi, la voce cupa, i passi tardi, an-dava per lo più inferrajuolato, senza cappello, e con lechiome giù per la faccia; vegliava le notti intere giran-do per le campagne, e il giorno fu spesso veduto dormi-re sotta qualche albero.

In questa, tornò Odoardo in compagnia di un giovinepittore che ripatriava da Roma. Quel giorno stesso in-contrarono Jacopo. Odoardo gli si fe' incontro abbrac-ciandolo; Jacopo quasi sbigottito si arretrò. Il pittoregli disse che avendo udito a parlare di lui e dell'ingegnosuo, da gran tempo bramava di conoscerlo di persona.– Ei lo interruppe?: Io? – io, signor mio, non ho mai po-tuto conoscere me medesimo negli altri mortali; perònon credo che gli altri possano mai conoscere se mede-simi in me. Gli domandarono interpretazione di sì am-bigue parole; ed ei per tutta risposta si ravvolse nel suotabarro, si cacciò fra gli alberi; e sparì. Odoardo sidolse di questo contegno col padre di Teresa, il qualegià incominciava a temere della passione di Jacopo.

Teresa dotata di una indole meno risentita, ma pas-sionata ed ingenua; propensa a una affettuosa malinco-nia, priva nella solitudine d'ogni altro amico di cuore,nell'età in cui parla in noi la dolce necessità di amare edi essere riamati, incominciò a confidare a Jacopo tuttal'anima sua, e a poco a poco se ne innamorò; ma nonardiva confessarlo a se stessa: e dopo la sera di quelbacio viveva assai riservata, sfuggendo l'amante, e tre-mando alla presenza del padre. Allontanata da sua ma-

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anima nata. Dimagrato, sparuto, con gli occhi incavati,ma spalancati e pensosi, la voce cupa, i passi tardi, an-dava per lo più inferrajuolato, senza cappello, e con lechiome giù per la faccia; vegliava le notti intere giran-do per le campagne, e il giorno fu spesso veduto dormi-re sotta qualche albero.

In questa, tornò Odoardo in compagnia di un giovinepittore che ripatriava da Roma. Quel giorno stesso in-contrarono Jacopo. Odoardo gli si fe' incontro abbrac-ciandolo; Jacopo quasi sbigottito si arretrò. Il pittoregli disse che avendo udito a parlare di lui e dell'ingegnosuo, da gran tempo bramava di conoscerlo di persona.– Ei lo interruppe?: Io? – io, signor mio, non ho mai po-tuto conoscere me medesimo negli altri mortali; perònon credo che gli altri possano mai conoscere se mede-simi in me. Gli domandarono interpretazione di sì am-bigue parole; ed ei per tutta risposta si ravvolse nel suotabarro, si cacciò fra gli alberi; e sparì. Odoardo sidolse di questo contegno col padre di Teresa, il qualegià incominciava a temere della passione di Jacopo.

Teresa dotata di una indole meno risentita, ma pas-sionata ed ingenua; propensa a una affettuosa malinco-nia, priva nella solitudine d'ogni altro amico di cuore,nell'età in cui parla in noi la dolce necessità di amare edi essere riamati, incominciò a confidare a Jacopo tuttal'anima sua, e a poco a poco se ne innamorò; ma nonardiva confessarlo a se stessa: e dopo la sera di quelbacio viveva assai riservata, sfuggendo l'amante, e tre-mando alla presenza del padre. Allontanata da sua ma-

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dre, senza consiglio e senza conforto, atterrita dal suostato futuro, e dalla virtù e dall'amore, diventò solitaria,non parlava quasi mai, leggeva sempre, trascurava e ildisegno, e la sua arpa, e il suo abbigliamento, e fu spes-so sorpresa dai famigliari con le lagrime agli occhi.Scansava la compagnia delle giovinette sue amiche chea primavera villeggiavano a' colli Euganei; e dileguan-dosi a tutti e alla sua sorellina, sedeva molte ore ne'luoghi più appartati del suo giardino. Regnava quindiin quella casa un silenzio e una certa diffidenza che tur-barono lo sposo trafitto anche da' modi sdegnosi di Ja-copo incapace di simulazione. Naturalmente parlavacon enfasi; e sebbene conversando fosse taciturno, fra'suoi amici era loquace, pronto al riso, e ad una allegriaschietta, eccessiva. Ma in que' giorni le sue parole edogni suo atto erano veementi e amari come l'anima sua.Istigato una sera da Odoardo che giustificava il trattatodi Campo Formio, si diede a disputare, a gridare comeun invasato, a minacciare, a percuotersi la testa, e apiangere d'ira. Avea sempre un'aria assoluta; ma il si-gnore T*** mi raccontava che allora o stava sepoltone' suoi pensieri, o se discorreva, s'infiammavad'improvviso; i suoi occhi metteano paura, e talvolta frail discorso gli abbassava inondati di pianto. Odoardo sife' più circospetto, e sospettò del cangiamento di Jaco-po.

Così passò tutto Giugno. Il misero giovine divenivaogni dì più tetro ed infermo; né scriveva più alla sua fa-miglia, né rispondeva alle mie lettere. Spesso fu veduto

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dre, senza consiglio e senza conforto, atterrita dal suostato futuro, e dalla virtù e dall'amore, diventò solitaria,non parlava quasi mai, leggeva sempre, trascurava e ildisegno, e la sua arpa, e il suo abbigliamento, e fu spes-so sorpresa dai famigliari con le lagrime agli occhi.Scansava la compagnia delle giovinette sue amiche chea primavera villeggiavano a' colli Euganei; e dileguan-dosi a tutti e alla sua sorellina, sedeva molte ore ne'luoghi più appartati del suo giardino. Regnava quindiin quella casa un silenzio e una certa diffidenza che tur-barono lo sposo trafitto anche da' modi sdegnosi di Ja-copo incapace di simulazione. Naturalmente parlavacon enfasi; e sebbene conversando fosse taciturno, fra'suoi amici era loquace, pronto al riso, e ad una allegriaschietta, eccessiva. Ma in que' giorni le sue parole edogni suo atto erano veementi e amari come l'anima sua.Istigato una sera da Odoardo che giustificava il trattatodi Campo Formio, si diede a disputare, a gridare comeun invasato, a minacciare, a percuotersi la testa, e apiangere d'ira. Avea sempre un'aria assoluta; ma il si-gnore T*** mi raccontava che allora o stava sepoltone' suoi pensieri, o se discorreva, s'infiammavad'improvviso; i suoi occhi metteano paura, e talvolta frail discorso gli abbassava inondati di pianto. Odoardo sife' più circospetto, e sospettò del cangiamento di Jaco-po.

Così passò tutto Giugno. Il misero giovine divenivaogni dì più tetro ed infermo; né scriveva più alla sua fa-miglia, né rispondeva alle mie lettere. Spesso fu veduto

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da' contadini cavalcare a briglia sciolta per luoghi sco-scesi, e in mezzo alle fratte e a traverso de' fossi, ed èmaraviglia com'ei non sia pericolato. Una mattina ilpittore stando a ritrarre la prospettiva de' monti, udì lasua voce fra il bosco: gli si accostò di soppiatto, e inte-se ch'ei declamava una scena del Saule. Allora gli riu-scì di disegnare il ritratto dell'Ortis, che sta in fronte aquesta edizione, appunto quand'ei si soffermava penso-so dopo avere proferito que' versi dell'atto I, scena I.

PrecipitosoGià mi sarei fra gl'inimici ferriScagliato io da gran tempo; avrei già troncaCosì la vita orribile ch'io vivo.

Poi lo vide arrampicarsi sino alla cima della monta-gna, guardare all'ingiù risolutamente con le bracciaaperte, e tutto ad un tratto arretrarsi esclamando: Omadre mia!

Una domenica rimase a desinare in casa T***. PregòTeresa perché suonasse, e le porse l'arpa egli stesso.Mentr'ella incominciava, entrò suo padre e le s'assiseda canto. Jacopo pareva inondato da una dolce mesti-zia e il suo aspetto si andava rianimando; ma a poco apoco chinò la testa, e ricadde in una malinconia piùcompassionevole di prima. Teresa lo sogguardava esforzavasi di reprimere il pianto: Jacopo se n'avvide, népotendosi contenere, s'alzò e partì. Il padre intenerito sivoltò a Teresa dicendole: O figlia mia, tu vuoi dunque

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da' contadini cavalcare a briglia sciolta per luoghi sco-scesi, e in mezzo alle fratte e a traverso de' fossi, ed èmaraviglia com'ei non sia pericolato. Una mattina ilpittore stando a ritrarre la prospettiva de' monti, udì lasua voce fra il bosco: gli si accostò di soppiatto, e inte-se ch'ei declamava una scena del Saule. Allora gli riu-scì di disegnare il ritratto dell'Ortis, che sta in fronte aquesta edizione, appunto quand'ei si soffermava penso-so dopo avere proferito que' versi dell'atto I, scena I.

PrecipitosoGià mi sarei fra gl'inimici ferriScagliato io da gran tempo; avrei già troncaCosì la vita orribile ch'io vivo.

Poi lo vide arrampicarsi sino alla cima della monta-gna, guardare all'ingiù risolutamente con le bracciaaperte, e tutto ad un tratto arretrarsi esclamando: Omadre mia!

Una domenica rimase a desinare in casa T***. PregòTeresa perché suonasse, e le porse l'arpa egli stesso.Mentr'ella incominciava, entrò suo padre e le s'assiseda canto. Jacopo pareva inondato da una dolce mesti-zia e il suo aspetto si andava rianimando; ma a poco apoco chinò la testa, e ricadde in una malinconia piùcompassionevole di prima. Teresa lo sogguardava esforzavasi di reprimere il pianto: Jacopo se n'avvide, népotendosi contenere, s'alzò e partì. Il padre intenerito sivoltò a Teresa dicendole: O figlia mia, tu vuoi dunque

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precipitare teco noi tutti? A queste parole le sgorgaronod'improvviso le lagrime; si gittò fra le braccia di suopadre, e gli confessò. In questa entrava Odoardo; e lasubita partenza di Jacopo, e l'atteggiamento di Teresa, eil turbamento del signore T*** lo raffermarono ne' suoidubbj. Queste cose le ho udite dalla bocca di Teresa.

Il dì seguente, che fu la mattina de' 7 luglio, Jacopoandò da Teresa, e vi trovò lo sposo, e il pittore che le fa-ceva il ritratto nuziale. Teresa confusa e tremante uscìin fretta come per badare a qualche cosa di cui si eradimenticata; ma passando davanti a Jacopo gli disseansiosamente sottovoce: Mio padre sa tutto. Ei non fe'motto né cambiò viso; passeggiò tre o quattro volte su egiù per la stanza, ed uscì. Per tutto quel giorno non silasciò vedere ad uomo vivente. Michele che lo aspettavaa desinare, ne cercò invano. Non si ridusse a casa che amezzanotte suonata. Si sdrajò vestito sul letto, e mandòa dormire il ragazzo. Poco dopo s'alzò e scrisse.

Mezzanotte

Io mandava alla Divinità i miei ringraziamenti, e imiei voti, ma io non la ho mai temuta. Eppure adessoche sento tutto il flagello delle sventure, io la temo e lasupplico.

Il mio intelletto è acciecato, la mia anima è prostrata,il mio corpo è sbattuto dal languore della morte.

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precipitare teco noi tutti? A queste parole le sgorgaronod'improvviso le lagrime; si gittò fra le braccia di suopadre, e gli confessò. In questa entrava Odoardo; e lasubita partenza di Jacopo, e l'atteggiamento di Teresa, eil turbamento del signore T*** lo raffermarono ne' suoidubbj. Queste cose le ho udite dalla bocca di Teresa.

Il dì seguente, che fu la mattina de' 7 luglio, Jacopoandò da Teresa, e vi trovò lo sposo, e il pittore che le fa-ceva il ritratto nuziale. Teresa confusa e tremante uscìin fretta come per badare a qualche cosa di cui si eradimenticata; ma passando davanti a Jacopo gli disseansiosamente sottovoce: Mio padre sa tutto. Ei non fe'motto né cambiò viso; passeggiò tre o quattro volte su egiù per la stanza, ed uscì. Per tutto quel giorno non silasciò vedere ad uomo vivente. Michele che lo aspettavaa desinare, ne cercò invano. Non si ridusse a casa che amezzanotte suonata. Si sdrajò vestito sul letto, e mandòa dormire il ragazzo. Poco dopo s'alzò e scrisse.

Mezzanotte

Io mandava alla Divinità i miei ringraziamenti, e imiei voti, ma io non la ho mai temuta. Eppure adessoche sento tutto il flagello delle sventure, io la temo e lasupplico.

Il mio intelletto è acciecato, la mia anima è prostrata,il mio corpo è sbattuto dal languore della morte.

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È vero! i disgraziati hanno bisogno di un altro mondodiverso da questo dove mangiano un pane amaro, e be-vono l'acqua mescolata alle lagrime. La immaginazionelo crea, e il cuore si consola. La virtù sempre infelicequaggiù persevera con la speranza di un premio – masciagurati coloro che per non essere scellerati hanno bi-sogno della religione!

Mi sono prostrato in una chiesetta posta in Arquà,perché io sentiva che la mano di Dio pesava sopra il miocuore.

Son io debole forse, Lorenzo? Il cielo non ti facciamai sentire la necessità della solitudine, delle lagrime, edi una chiesa!

Ore 2

Il Cielo è tempestoso: le stelle rare e pallide; e laLuna mezza sepolta fra le nuvole batte con raggi lividile mie finestre.

All'alba

Lorenzo, non odi? t'invoca l'amico tuo: qual sonno!spunta un raggio di giorno e forse per rinsanguinare imiei mali. – Dio non mi ode. Mi condanna anzi ad ogniminuto all'agonia della morte; e mi costringe a maledirei miei giorni che pur non sono macchiati di alcun delit-to.

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È vero! i disgraziati hanno bisogno di un altro mondodiverso da questo dove mangiano un pane amaro, e be-vono l'acqua mescolata alle lagrime. La immaginazionelo crea, e il cuore si consola. La virtù sempre infelicequaggiù persevera con la speranza di un premio – masciagurati coloro che per non essere scellerati hanno bi-sogno della religione!

Mi sono prostrato in una chiesetta posta in Arquà,perché io sentiva che la mano di Dio pesava sopra il miocuore.

Son io debole forse, Lorenzo? Il cielo non ti facciamai sentire la necessità della solitudine, delle lagrime, edi una chiesa!

Ore 2

Il Cielo è tempestoso: le stelle rare e pallide; e laLuna mezza sepolta fra le nuvole batte con raggi lividile mie finestre.

All'alba

Lorenzo, non odi? t'invoca l'amico tuo: qual sonno!spunta un raggio di giorno e forse per rinsanguinare imiei mali. – Dio non mi ode. Mi condanna anzi ad ogniminuto all'agonia della morte; e mi costringe a maledirei miei giorni che pur non sono macchiati di alcun delit-to.

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Che? se tu se' un Dio forte, prepotente, geloso, che ri-vedi le iniquità de' padri ne' figli, e che visiti nel tuo fu-rore la terza e la quarta generazione10, dovrò io sperardi placarti? Manda in me – bensì non in altri che in me –l'ira tua, la quale raccende nell'inferno le fiamme chedovranno ardere milioni e milioni di popoli a' quali nonti se' fatto conoscere. – Ma Teresa è innocente: e anzi-ché stimarti crudele, t'adora con serenità soavissimad'animo. Io non t'adoro, appunto perché ti pavento – esento pure che ho bisogno di te. Spogliati, deh! spogliatidegli attributi di cui gli uomini t'hanno vestito per fartisimile a loro11. Non se' tu forse il Consolatore degli af-flitti? E il tuo Figlio Divino non si chiamava egli il Fi-glio dell'Uomo? Odimi dunque. Questo cuore ti sente,ma non t'offendere del gemito a cui la Natura costringele viscere dilaniate dell'uomo. E mormoro contro di te, epiango, e t'invoco, sperando di liberare l'anima mia – diliberarla? ma e come, se non è piena di te? se non ti haimplorato nella prosperità, e solo rifugge al tuo ajuto, edomanda il tuo braccio or quando è atterrata nella mise-ria? se ti teme, e non ha in te veruna speranza? Né spera,né desidera che Teresa: e ti vedo in lei sola.

Ecco, o Lorenzo, fuor delle mie labbra il delitto percui Dio ha ritirato il suo sguardo da me. Non l'ho maiadorato come adoro Teresa. – Bestemmia! Pari a Diocolei che sarà a un soffio scheletro e nulla? Vedi l'uomo

10 Esodo XX, 5.11 Malach. III, 3.

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Che? se tu se' un Dio forte, prepotente, geloso, che ri-vedi le iniquità de' padri ne' figli, e che visiti nel tuo fu-rore la terza e la quarta generazione10, dovrò io sperardi placarti? Manda in me – bensì non in altri che in me –l'ira tua, la quale raccende nell'inferno le fiamme chedovranno ardere milioni e milioni di popoli a' quali nonti se' fatto conoscere. – Ma Teresa è innocente: e anzi-ché stimarti crudele, t'adora con serenità soavissimad'animo. Io non t'adoro, appunto perché ti pavento – esento pure che ho bisogno di te. Spogliati, deh! spogliatidegli attributi di cui gli uomini t'hanno vestito per fartisimile a loro11. Non se' tu forse il Consolatore degli af-flitti? E il tuo Figlio Divino non si chiamava egli il Fi-glio dell'Uomo? Odimi dunque. Questo cuore ti sente,ma non t'offendere del gemito a cui la Natura costringele viscere dilaniate dell'uomo. E mormoro contro di te, epiango, e t'invoco, sperando di liberare l'anima mia – diliberarla? ma e come, se non è piena di te? se non ti haimplorato nella prosperità, e solo rifugge al tuo ajuto, edomanda il tuo braccio or quando è atterrata nella mise-ria? se ti teme, e non ha in te veruna speranza? Né spera,né desidera che Teresa: e ti vedo in lei sola.

Ecco, o Lorenzo, fuor delle mie labbra il delitto percui Dio ha ritirato il suo sguardo da me. Non l'ho maiadorato come adoro Teresa. – Bestemmia! Pari a Diocolei che sarà a un soffio scheletro e nulla? Vedi l'uomo

10 Esodo XX, 5.11 Malach. III, 3.

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umiliato. Dovrò dunque io anteporre Teresa a Dio? – Ahda lei si spande beltà celeste ed immensa, beltà onnipo-tente. Misuro l'universo con uno sguardo; contemplocon occhio attonito l'eternità; tutto è caos, tutto sfuma, es'annulla; Dio mi diventa incomprensibile; e Teresa mista sempre davanti.

Dopo due giorni ammalò. Il padre di Teresa andò avisitarlo, e si giovò di quell'occasione a persuaderloche s'allontanasse da' colli Euganei. Come discreto egeneroso ch'egli era, stimava l'ingegno e l'animo di Ja-copo, e lo amava come il più caro amico ch'ei potesseaver mai; e m'accertò che in circostanze diverse avreb-be creduto d'ornare la sua famiglia pigliandosi per ge-nero un giovine che se partecipava d'alcuni errori delnostro tempo, ed era dotato d'indomita tempra di cuore,aveva a ogni modo, al dire del signore T***, opinioni evirtù degne de' secoli antichi. Ma Odoardo era ricco, edi una famiglia sotto la cui parentela il signore T***fuggiva alle persecuzioni e alle insidie de' suoi nemici, iquali lo accusavano d'avere desiderato la verace libertàdel suo paese; delitto capitale in Italia. Bensì imparen-tandosi all'Ortis, avrebbe accelerato la rovina di lui, edella propria famiglia. Oltre di che aveva obbligata lasua fede; e per mantenerla s'era ridotto a dividersi dauna moglie a lui cara. Né i suoi bilanci domestici gli as-sentivano di accasare Teresa con una gran dote, neces-saria alle mediocri sostanze dell'Ortis. Il signore T***mi scrisse queste cose, e le disse a Jacopo che sapeale

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umiliato. Dovrò dunque io anteporre Teresa a Dio? – Ahda lei si spande beltà celeste ed immensa, beltà onnipo-tente. Misuro l'universo con uno sguardo; contemplocon occhio attonito l'eternità; tutto è caos, tutto sfuma, es'annulla; Dio mi diventa incomprensibile; e Teresa mista sempre davanti.

Dopo due giorni ammalò. Il padre di Teresa andò avisitarlo, e si giovò di quell'occasione a persuaderloche s'allontanasse da' colli Euganei. Come discreto egeneroso ch'egli era, stimava l'ingegno e l'animo di Ja-copo, e lo amava come il più caro amico ch'ei potesseaver mai; e m'accertò che in circostanze diverse avreb-be creduto d'ornare la sua famiglia pigliandosi per ge-nero un giovine che se partecipava d'alcuni errori delnostro tempo, ed era dotato d'indomita tempra di cuore,aveva a ogni modo, al dire del signore T***, opinioni evirtù degne de' secoli antichi. Ma Odoardo era ricco, edi una famiglia sotto la cui parentela il signore T***fuggiva alle persecuzioni e alle insidie de' suoi nemici, iquali lo accusavano d'avere desiderato la verace libertàdel suo paese; delitto capitale in Italia. Bensì imparen-tandosi all'Ortis, avrebbe accelerato la rovina di lui, edella propria famiglia. Oltre di che aveva obbligata lasua fede; e per mantenerla s'era ridotto a dividersi dauna moglie a lui cara. Né i suoi bilanci domestici gli as-sentivano di accasare Teresa con una gran dote, neces-saria alle mediocri sostanze dell'Ortis. Il signore T***mi scrisse queste cose, e le disse a Jacopo che sapeale

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da sé, e le ascoltò con aspetto riposatissimo; ma non sìtosto udì parlare di dote. No, lo interruppe, esule, pove-ro, oscuro a tutti i mortali, mi vorrei sotterrar vivo anzi-ché domandarvi vostra figlia in sposa. Sono sfortunato,non però vile. Né i miei figliuoli dovranno riconosceremai la loro fortuna dalla ricchezza della loro madre. Vo-stra figlia è più ricca di me, ed è promessa. Dunque? ri-spose il signore T***. – Jacopo non fiatò. Alzò gli occhial cielo, e dopo molta ora: O Teresa, esclamò, sarai aogni modo infelice! O amico mio, gli soggiunse alloraamorevolmente il signore T***, e per chi mai cominciòad essere misera se non per voi? Erasi già per amor miorassegnata al suo stato; e sola poteva rappacificare unavolta i suoi poveri genitori. Vi ha amato; e voi che purel'amate con sì altera generosità, voi pur le rapite unosposo, e manterrete discorde una casa ove foste, e siete,e sarete sempre accolto come figliuolo. Arrendetevi; al-lontanatevi per alcuni mesi. Forse avreste trovato in altriun padre severo: ma io! – sono stato anch'io sventurato;ho provato le passioni, pur troppo! e ne provo – e ho im-parato a compiangerle, perché sento io pure il bisognod'essere compatito. Bensì da voi solo all'età mia quasicanuta ho imparato come alle volte si stima l'uomo checi danneggia, massime se è dotato di tale carattere da farparere generosi e tremendi gli affetti che in altri pajonicolpevoli insieme e risibili. Né io vel dissimulo: voi, daldì che primamente vi ho conosciuto, avete assunto taleinesplicabile predominio sopra di me, da costringermi atemervi insieme ed amarvi: e spesso andava noverando i

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da sé, e le ascoltò con aspetto riposatissimo; ma non sìtosto udì parlare di dote. No, lo interruppe, esule, pove-ro, oscuro a tutti i mortali, mi vorrei sotterrar vivo anzi-ché domandarvi vostra figlia in sposa. Sono sfortunato,non però vile. Né i miei figliuoli dovranno riconosceremai la loro fortuna dalla ricchezza della loro madre. Vo-stra figlia è più ricca di me, ed è promessa. Dunque? ri-spose il signore T***. – Jacopo non fiatò. Alzò gli occhial cielo, e dopo molta ora: O Teresa, esclamò, sarai aogni modo infelice! O amico mio, gli soggiunse alloraamorevolmente il signore T***, e per chi mai cominciòad essere misera se non per voi? Erasi già per amor miorassegnata al suo stato; e sola poteva rappacificare unavolta i suoi poveri genitori. Vi ha amato; e voi che purel'amate con sì altera generosità, voi pur le rapite unosposo, e manterrete discorde una casa ove foste, e siete,e sarete sempre accolto come figliuolo. Arrendetevi; al-lontanatevi per alcuni mesi. Forse avreste trovato in altriun padre severo: ma io! – sono stato anch'io sventurato;ho provato le passioni, pur troppo! e ne provo – e ho im-parato a compiangerle, perché sento io pure il bisognod'essere compatito. Bensì da voi solo all'età mia quasicanuta ho imparato come alle volte si stima l'uomo checi danneggia, massime se è dotato di tale carattere da farparere generosi e tremendi gli affetti che in altri pajonicolpevoli insieme e risibili. Né io vel dissimulo: voi, daldì che primamente vi ho conosciuto, avete assunto taleinesplicabile predominio sopra di me, da costringermi atemervi insieme ed amarvi: e spesso andava noverando i

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minuti per impazienza di rivedervi, e nel tempo stesso iosentivami preso d'un tremito subitaneo e secreto allor-ché i miei servi mi davano avviso che voi salivate lescale. Or voi abbiate pietà di me, e della vostra gioven-tù, e della fama di Teresa. La sua beltà e la sua salutevanno languendo; le sue viscere si struggono nel silen-zio, e per voi. Io vi scongiuro in nome di Teresa, partite;sacrificate la vostra passione alla sua quiete; e non vo-gliate ch'io sia l'amico insieme e il marito e il padre piùmisero che sia mai nato. Jacopo parea intenerito: nonperò mutò aspetto, né gli cadde lagrima dagli occhi, nérispose parola; benché il signore T*** a mezzo il di-scorso si rattenesse a stento dal piangere: e restò a can-to al letto di Jacopo sino a notte tardissima: ma nél'uno né l'altro aprirono più bocca se non quando si dis-sero addio. – La malattia del giovine aggravò; e ne'giorni seguenti fu sovrappreso da febbre pericolosa.

Frattanto io sgomentato e dalle lettere recenti di Ja-copo, e da quelle del padre di Teresa, studiava ogni viaper accelerare la partenza dell'amico mio, come solo ri-medio alla sua violenta passione. Né ebbi cuore di rive-larla a sua madre, la quale aveva già avuto molte altredolorosissime prove dell'indole sua capace d'eccessi; ele dissi soltanto, ch'era un po' malato, e che il mutararia gli avrebbe certamente giovato.

In quel tempo stesso incominciavano a inferocire inVenezia le persecuzioni. Non v'erano leggi; ma tribunaliarbitrarj; non accusatori, non difensori; bensì spie dipensieri, delitti nuovi, ignoti a chi n'era punito, e pene

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minuti per impazienza di rivedervi, e nel tempo stesso iosentivami preso d'un tremito subitaneo e secreto allor-ché i miei servi mi davano avviso che voi salivate lescale. Or voi abbiate pietà di me, e della vostra gioven-tù, e della fama di Teresa. La sua beltà e la sua salutevanno languendo; le sue viscere si struggono nel silen-zio, e per voi. Io vi scongiuro in nome di Teresa, partite;sacrificate la vostra passione alla sua quiete; e non vo-gliate ch'io sia l'amico insieme e il marito e il padre piùmisero che sia mai nato. Jacopo parea intenerito: nonperò mutò aspetto, né gli cadde lagrima dagli occhi, nérispose parola; benché il signore T*** a mezzo il di-scorso si rattenesse a stento dal piangere: e restò a can-to al letto di Jacopo sino a notte tardissima: ma nél'uno né l'altro aprirono più bocca se non quando si dis-sero addio. – La malattia del giovine aggravò; e ne'giorni seguenti fu sovrappreso da febbre pericolosa.

Frattanto io sgomentato e dalle lettere recenti di Ja-copo, e da quelle del padre di Teresa, studiava ogni viaper accelerare la partenza dell'amico mio, come solo ri-medio alla sua violenta passione. Né ebbi cuore di rive-larla a sua madre, la quale aveva già avuto molte altredolorosissime prove dell'indole sua capace d'eccessi; ele dissi soltanto, ch'era un po' malato, e che il mutararia gli avrebbe certamente giovato.

In quel tempo stesso incominciavano a inferocire inVenezia le persecuzioni. Non v'erano leggi; ma tribunaliarbitrarj; non accusatori, non difensori; bensì spie dipensieri, delitti nuovi, ignoti a chi n'era punito, e pene

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subite, inappellabili. I più sospettati gemevano carcera-ti; gli altri, benché d'antica e specchiata fama, eranotolti di notte alle proprie case, manomessi dagli sgherri,strascinati a' confini e abbandonati alla ventura, senzal'addio de' congiunti, e destituti d'ogni umano soccorso.Per alcuni pochi l'esilio scevro da questi modi violentied infami fu somma clemenza. Ed io pure tardo, e nonultimo e tacito martire, vo da più mesi profugo per l'Ita-lia volgendo senza nessuna speranza gli occhi lagrimosialle sponde della mia patria. Onde io allora, adombratoanche per la libertà di Jacopo, persuasi sua madre,quantunque desolatissima, a raccomandargli che sino atempi migliori cercasse rifuggio in altro paese; tantopiù che quando s'era partito di Padova, si scusò alle-gando gli stessi pericoli. Fu fidata la lettera a un servoil quale giunse a' colli Euganei la sera de' 15 Luglio, etrovò Jacopo ancora a letto, sebbene migliorato d'assai.Gli sedeva vicino il padre di Teresa. Lesse la letterasommessamente, e la posò sul guanciale; poco dopo larilesse, e parve commosso; ma non ne parlò.

Il dì 19 s'alzò da letto. In quel giorno stesso sua ma-dre gli riscrisse inviandogli danaro, due cambiali, e pa-recchie commendatizie, e scongiurandolo per le visceredi Dio che partisse. Assai prima di sera andò da Teresa;e non trovò che l'Isabellina la quale tutta inteneritacontò ch'ei s'assise muto, si rizzò, la baciò, e se neandò. Tornò dopo un'ora, e salendo per le scale la in-contrò nuovamente, e se la strinse al petto, la baciò piùvolte, e la bagnò di lagrime. Si pose a scrivere, mutò

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subite, inappellabili. I più sospettati gemevano carcera-ti; gli altri, benché d'antica e specchiata fama, eranotolti di notte alle proprie case, manomessi dagli sgherri,strascinati a' confini e abbandonati alla ventura, senzal'addio de' congiunti, e destituti d'ogni umano soccorso.Per alcuni pochi l'esilio scevro da questi modi violentied infami fu somma clemenza. Ed io pure tardo, e nonultimo e tacito martire, vo da più mesi profugo per l'Ita-lia volgendo senza nessuna speranza gli occhi lagrimosialle sponde della mia patria. Onde io allora, adombratoanche per la libertà di Jacopo, persuasi sua madre,quantunque desolatissima, a raccomandargli che sino atempi migliori cercasse rifuggio in altro paese; tantopiù che quando s'era partito di Padova, si scusò alle-gando gli stessi pericoli. Fu fidata la lettera a un servoil quale giunse a' colli Euganei la sera de' 15 Luglio, etrovò Jacopo ancora a letto, sebbene migliorato d'assai.Gli sedeva vicino il padre di Teresa. Lesse la letterasommessamente, e la posò sul guanciale; poco dopo larilesse, e parve commosso; ma non ne parlò.

Il dì 19 s'alzò da letto. In quel giorno stesso sua ma-dre gli riscrisse inviandogli danaro, due cambiali, e pa-recchie commendatizie, e scongiurandolo per le visceredi Dio che partisse. Assai prima di sera andò da Teresa;e non trovò che l'Isabellina la quale tutta inteneritacontò ch'ei s'assise muto, si rizzò, la baciò, e se neandò. Tornò dopo un'ora, e salendo per le scale la in-contrò nuovamente, e se la strinse al petto, la baciò piùvolte, e la bagnò di lagrime. Si pose a scrivere, mutò

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varii fogli, e li stracciò poi tutti. Si aggirò pensierosoper l'orto. Un servo passandovi su l'imbrunire, lo videsdrajato: ripassando, lo trovò ritto presso al rastrello inatto d'uscire, e col capo rivolto attentissimo verso lacasa ch'era battuta dalla Luna.

Tornatosi a casa, rimandò il messo rispondendo asua madre, che domani su l'alba partiva. Fece ordinarei cavalli alla posta più vicina. Innanzi di coricarsi,scrisse la lettera seguente per Teresa, e la consegnòall'ortolano. All'alba partì.

Ore 9

Perdonami, Teresa; io ho funestato la tua giovinezza,e la quiete della tua casa; ma fuggirò. Né io mi credevadotato di tanta costanza. Posso lasciarti, e non morir didolore; e non è poco; usiamo dunque di questo momen-to finché il cuore mi regge, e la ragione non mi abban-dona affatto. Pur la mia mente è sepolta nel solo pensie-ro di amarti sempre e di piangerti. Ma sarà obbligo miodi non più scriverti, né di mai più rivederti se non sequando sarò certissimo di lasciarti quieta davvero. Oggit'ho cercato invano per dirti addio. Abbiti almeno, o Te-resa, queste ultime righe ch'io bagno, tu 'l vedi, d'ama-rissime lagrime. Mandami in qualunque tempo, in qua-lunque luogo il tuo ritratto. Se l'amicizia, se l'amore – ola compassione e la gratitudine ti parlano ancora perquesto sconsolato, non negarmi il ristoro che addolcirà

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varii fogli, e li stracciò poi tutti. Si aggirò pensierosoper l'orto. Un servo passandovi su l'imbrunire, lo videsdrajato: ripassando, lo trovò ritto presso al rastrello inatto d'uscire, e col capo rivolto attentissimo verso lacasa ch'era battuta dalla Luna.

Tornatosi a casa, rimandò il messo rispondendo asua madre, che domani su l'alba partiva. Fece ordinarei cavalli alla posta più vicina. Innanzi di coricarsi,scrisse la lettera seguente per Teresa, e la consegnòall'ortolano. All'alba partì.

Ore 9

Perdonami, Teresa; io ho funestato la tua giovinezza,e la quiete della tua casa; ma fuggirò. Né io mi credevadotato di tanta costanza. Posso lasciarti, e non morir didolore; e non è poco; usiamo dunque di questo momen-to finché il cuore mi regge, e la ragione non mi abban-dona affatto. Pur la mia mente è sepolta nel solo pensie-ro di amarti sempre e di piangerti. Ma sarà obbligo miodi non più scriverti, né di mai più rivederti se non sequando sarò certissimo di lasciarti quieta davvero. Oggit'ho cercato invano per dirti addio. Abbiti almeno, o Te-resa, queste ultime righe ch'io bagno, tu 'l vedi, d'ama-rissime lagrime. Mandami in qualunque tempo, in qua-lunque luogo il tuo ritratto. Se l'amicizia, se l'amore – ola compassione e la gratitudine ti parlano ancora perquesto sconsolato, non negarmi il ristoro che addolcirà

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tutti i miei patimenti. Tuo padre stesso me lo concederà,spero – egli egli che potrà vederti, ed udirti, e sentirsi ri-confortato da te; mentr'io nelle ore fantastiche del miodolore e delle mie passioni, nojato da tutto il mondo,diffidente di tutti, camminando sopra la terra come dilocanda in locanda, e drizzando volontariamente i mieipassi verso la sepoltura – perché ho veramente necessitàdi riposo – io mi conforterò intanto baciando dì e nottel'immagine tua: e così tu m'infonderai da lontano co-stanza da sopportare questa mia vita, – e finché avròforze, io la sopporterò per te, e te lo giuro. E tu prega –prega, o Teresa, dalle viscere del tuo cuore purissimo ilCielo – non che mi perdoni i dolori, che forse avrò meri-tati, e che forse sono inseparabili dalla tempra dell'ani-ma mia – bensì che non mi levi le poche facoltà che an-cora mi avanzano, da tollerarli. Con l'immagine tua faròmen angosciose le mie notti, e meno tristi i miei giornisolitarj, que' giorni ch'io dovrò pur vivere senza di te.Morendo, io volgerò a te gli ultimi sguardi, io ti racco-manderò il mio sospiro; verserò sovra di te l'anima mia,ti porterò meco nella mia sepoltura attaccata al mio pet-to – e se è pure prescritto ch'io chiuda gli occhi in terrastraniera, e dove nessun cuore mi piangerà, io ti richia-merò tacitamente al mio capezzale, e mi parrà di vedertiin quell'aspetto, in quell'atto, con quella stessa pietà cheio ti vedeva, quando una volta, assai prima che tu sapes-si di amarmi, assai prima che tu t'accorgessi dell'amormio – ed io era ancora innocente verso di te – mi assi-stevi nella mia malattia. – Di te non ho se non l'unica

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tutti i miei patimenti. Tuo padre stesso me lo concederà,spero – egli egli che potrà vederti, ed udirti, e sentirsi ri-confortato da te; mentr'io nelle ore fantastiche del miodolore e delle mie passioni, nojato da tutto il mondo,diffidente di tutti, camminando sopra la terra come dilocanda in locanda, e drizzando volontariamente i mieipassi verso la sepoltura – perché ho veramente necessitàdi riposo – io mi conforterò intanto baciando dì e nottel'immagine tua: e così tu m'infonderai da lontano co-stanza da sopportare questa mia vita, – e finché avròforze, io la sopporterò per te, e te lo giuro. E tu prega –prega, o Teresa, dalle viscere del tuo cuore purissimo ilCielo – non che mi perdoni i dolori, che forse avrò meri-tati, e che forse sono inseparabili dalla tempra dell'ani-ma mia – bensì che non mi levi le poche facoltà che an-cora mi avanzano, da tollerarli. Con l'immagine tua faròmen angosciose le mie notti, e meno tristi i miei giornisolitarj, que' giorni ch'io dovrò pur vivere senza di te.Morendo, io volgerò a te gli ultimi sguardi, io ti racco-manderò il mio sospiro; verserò sovra di te l'anima mia,ti porterò meco nella mia sepoltura attaccata al mio pet-to – e se è pure prescritto ch'io chiuda gli occhi in terrastraniera, e dove nessun cuore mi piangerà, io ti richia-merò tacitamente al mio capezzale, e mi parrà di vedertiin quell'aspetto, in quell'atto, con quella stessa pietà cheio ti vedeva, quando una volta, assai prima che tu sapes-si di amarmi, assai prima che tu t'accorgessi dell'amormio – ed io era ancora innocente verso di te – mi assi-stevi nella mia malattia. – Di te non ho se non l'unica

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lettera che mi scrivesti quando io era in Padova: felicetempo! ma chi l'avrebbe mai detto? allora parevami chetu mi raccomandassi di ritornare: – ed ora? scrivo il de-creto; ed eseguirò fra poche ore il decreto della nostraeterna separazione. Da quella tua lettera comincia la sto-ria dell'amor nostro e non mi abbandonerà mai. O miaTeresa! e questi son pure delirj: ma sono insieme la solaconsolazione di chi è insanabilmente infelice. Addio.Perdonami, mia Teresa – ohimè, io mi credeva più forte!– scrivo male e di un carattere appena leggibile; ma hol'anima lacerata, e il pianto su gli occhi. Per carità nonmi negare il tuo ritratto. Consegnalo a Lorenzo: e s'einon me lo potrà far arrivare, lo custodirà come ereditàsanta che gli ricorderà sempre le tue virtù, e la tua bel-lezza, e l'unico eterno infelicissimo amore del suo mise-ro amico. Addio – ma non è l'ultimo; mi rivedrai: e daquel giorno in poi sarò fatto tale da obbligare gli uominiad avere pietà e rispetto alla nostra passione; e a te nonsarà più delitto l'amarmi – pur se innanzi ch'io ti riveg-ga, il mio dolore mi scavasse la fossa, concedimi ch'iomi renda cara la morte con la certezza che tu m'hai ama-to. – Or sì ch'io sento in che dolore io ti lascio! Oh! po-tessi morire a' tuoi piedi: oh! morire ed essere sepoltonella terra che avrà le tue ossa – ma addio.

Michele dissemi che il suo padrone viaggiò per dueposte silenziosissimo, e con aspetto assai calmo, e quasisereno. Poi chiese il suo scrigno da viaggio; e tanto che

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lettera che mi scrivesti quando io era in Padova: felicetempo! ma chi l'avrebbe mai detto? allora parevami chetu mi raccomandassi di ritornare: – ed ora? scrivo il de-creto; ed eseguirò fra poche ore il decreto della nostraeterna separazione. Da quella tua lettera comincia la sto-ria dell'amor nostro e non mi abbandonerà mai. O miaTeresa! e questi son pure delirj: ma sono insieme la solaconsolazione di chi è insanabilmente infelice. Addio.Perdonami, mia Teresa – ohimè, io mi credeva più forte!– scrivo male e di un carattere appena leggibile; ma hol'anima lacerata, e il pianto su gli occhi. Per carità nonmi negare il tuo ritratto. Consegnalo a Lorenzo: e s'einon me lo potrà far arrivare, lo custodirà come ereditàsanta che gli ricorderà sempre le tue virtù, e la tua bel-lezza, e l'unico eterno infelicissimo amore del suo mise-ro amico. Addio – ma non è l'ultimo; mi rivedrai: e daquel giorno in poi sarò fatto tale da obbligare gli uominiad avere pietà e rispetto alla nostra passione; e a te nonsarà più delitto l'amarmi – pur se innanzi ch'io ti riveg-ga, il mio dolore mi scavasse la fossa, concedimi ch'iomi renda cara la morte con la certezza che tu m'hai ama-to. – Or sì ch'io sento in che dolore io ti lascio! Oh! po-tessi morire a' tuoi piedi: oh! morire ed essere sepoltonella terra che avrà le tue ossa – ma addio.

Michele dissemi che il suo padrone viaggiò per dueposte silenziosissimo, e con aspetto assai calmo, e quasisereno. Poi chiese il suo scrigno da viaggio; e tanto che

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si rimutavano i cavalli, scrisse il seguente biglietto alsignore T***12.

Signore ed amico mio.All'ortolano di casa mia ho raccomandato jer sera una

lettera da ricapitarsi alla Signorina; – e bench'io l'abbiascritta quand'io già m'era saldamente deliberato a questopartito d'allontanarmi, temo a ogni modo d'avere versatosovra quel foglio tanta afflizione da contristare quellainnocente. A lei dunque, signor mio, non rincresca difarsi mandare quella lettera dall'ortolano; e gli fo' direche non la fidi se non a lei solo. La serbi così sigillata ola bruci. Ma perché alla sua figliuola riescirebbe amaris-simo ch'io mi partissi senza lasciarle un addio, e tuttojeri non mi fu dato mai di vederla – ecco qui annesso unpolizzino pur sigillato – ed ardisco sperare ch'ella, si-gnor mio, la consegnerà a Teresa T*** innanzi che di-venti moglie del marchese Odoardo. – Non so se ci rive-dremo – ho ben decretato di morire, non foss'altro, vici-no alla mia casa paterna; ma quand'anche questo mioproponimento fosse deluso – sono certo ch'ella, signoreed amico mio, non vorrà mai dimenticarsi di me.

Il signore T*** mi fe' capitare la lettera per Teresa(che ho riportato dianzi) a sigillo inviolato; – né tardò adare a sua figlia il polizzino. L'ebbi sott'occhio; era di

12 “Anche questo biglietto fu omesso nelle edizioni susse-guenti alla prima dove unicamente si legge.”

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si rimutavano i cavalli, scrisse il seguente biglietto alsignore T***12.

Signore ed amico mio.All'ortolano di casa mia ho raccomandato jer sera una

lettera da ricapitarsi alla Signorina; – e bench'io l'abbiascritta quand'io già m'era saldamente deliberato a questopartito d'allontanarmi, temo a ogni modo d'avere versatosovra quel foglio tanta afflizione da contristare quellainnocente. A lei dunque, signor mio, non rincresca difarsi mandare quella lettera dall'ortolano; e gli fo' direche non la fidi se non a lei solo. La serbi così sigillata ola bruci. Ma perché alla sua figliuola riescirebbe amaris-simo ch'io mi partissi senza lasciarle un addio, e tuttojeri non mi fu dato mai di vederla – ecco qui annesso unpolizzino pur sigillato – ed ardisco sperare ch'ella, si-gnor mio, la consegnerà a Teresa T*** innanzi che di-venti moglie del marchese Odoardo. – Non so se ci rive-dremo – ho ben decretato di morire, non foss'altro, vici-no alla mia casa paterna; ma quand'anche questo mioproponimento fosse deluso – sono certo ch'ella, signoreed amico mio, non vorrà mai dimenticarsi di me.

Il signore T*** mi fe' capitare la lettera per Teresa(che ho riportato dianzi) a sigillo inviolato; – né tardò adare a sua figlia il polizzino. L'ebbi sott'occhio; era di

12 “Anche questo biglietto fu omesso nelle edizioni susse-guenti alla prima dove unicamente si legge.”

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poche righe; e d'uomo che per allora pareva tornato insé.

Tutti quasi i frammenti che seguono mi vennero perla posta in diversi fogli.

Rovigo, 20 Luglio

Io la mirava e diceva a me stesso: Che sarebbe di mese non potessi vederla più? e correva a piangere meco diconsolazione sapendo ch'io le era vicino – e adesso?

Cos'è più l'universo? qual parte mai della terra potràsostenermi senza Teresa? e mi pare di esserle lontanosognando. Ho avuto io tanta costanza? e m'è bastato ilcuore di partire così – senza vederla? né un bacio, né ununico addio! A minuto a minuto credo di trovarmi allaporta della sua casa, e di leggere nella mestizia del suovolto, che m'ama. Fuggo; e con che velocità ogni minu-to mi porta ognor più lontano da lei. E intanto? quantecare illusioni! ma io l'ho perduta. Non so più obbedirené alla mia volontà, né alla mia ragione, né al mio cuoresbalordito: mi lascierò strascinare dal braccio prepotentedel mio destino. Addio.

Ferrara, 20 Luglio, a sera

Io traversava il Po e rimirava le immense sue acque, epiù volte fui per precipitarmi, e profondarmi, e perdermiper sempre. Tutto è un punto! – ah s'io non avessi una

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poche righe; e d'uomo che per allora pareva tornato insé.

Tutti quasi i frammenti che seguono mi vennero perla posta in diversi fogli.

Rovigo, 20 Luglio

Io la mirava e diceva a me stesso: Che sarebbe di mese non potessi vederla più? e correva a piangere meco diconsolazione sapendo ch'io le era vicino – e adesso?

Cos'è più l'universo? qual parte mai della terra potràsostenermi senza Teresa? e mi pare di esserle lontanosognando. Ho avuto io tanta costanza? e m'è bastato ilcuore di partire così – senza vederla? né un bacio, né ununico addio! A minuto a minuto credo di trovarmi allaporta della sua casa, e di leggere nella mestizia del suovolto, che m'ama. Fuggo; e con che velocità ogni minu-to mi porta ognor più lontano da lei. E intanto? quantecare illusioni! ma io l'ho perduta. Non so più obbedirené alla mia volontà, né alla mia ragione, né al mio cuoresbalordito: mi lascierò strascinare dal braccio prepotentedel mio destino. Addio.

Ferrara, 20 Luglio, a sera

Io traversava il Po e rimirava le immense sue acque, epiù volte fui per precipitarmi, e profondarmi, e perdermiper sempre. Tutto è un punto! – ah s'io non avessi una

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madre cara e sventurata a cui la mia morte costerebbeamarissime lagrime!

Né finirò così da codardo. Sosterrò tutta la mia scia-gura; berrò fino all'ultima lagrima il pianto che mi fu as-segnato dal Cielo; e quando le difese saranno vane, di-sperate tutte le passioni, tutte le forze consunte; quandoio avrò coraggio di mirare la Morte in faccia, e ragiona-re pacatamente con lei, ed assaporare l'amaro suo calice,ed espiate le altrui lagrime, e disperato di rasciugarle –allora.

Ma ora ch'io parlo non è forse tutto perduto? e non miresta che la sola memoria e la certezza che tutto è perdu-to: – hai tu provata mai quella piena di dolore quando ciabbandonano tutte le speranze?

Né un bacio? né addio! – bensì le tue lagrime mi se-guiranno nella mia sepoltura. La mia salute, la mia sor-te, il mio cuore, tu – tu! – insomma tutto congiura, ed iovi obbedirò tutti.

Ore...

E ho avuto cuore di abbandonarla? anzi ti ho abban-donata, o Teresa, in uno stato più deplorabile del mio.Chi sarà tuo consolatore? e tremerai al solo mio nomepoiché t'ho fatto vedere io – io primo, io unico sull'auro-ra della tua vita, le tempeste e le tenebre della sventura;e tu, o giovinetta, non sei ancora sì forte né da tollerare

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madre cara e sventurata a cui la mia morte costerebbeamarissime lagrime!

Né finirò così da codardo. Sosterrò tutta la mia scia-gura; berrò fino all'ultima lagrima il pianto che mi fu as-segnato dal Cielo; e quando le difese saranno vane, di-sperate tutte le passioni, tutte le forze consunte; quandoio avrò coraggio di mirare la Morte in faccia, e ragiona-re pacatamente con lei, ed assaporare l'amaro suo calice,ed espiate le altrui lagrime, e disperato di rasciugarle –allora.

Ma ora ch'io parlo non è forse tutto perduto? e non miresta che la sola memoria e la certezza che tutto è perdu-to: – hai tu provata mai quella piena di dolore quando ciabbandonano tutte le speranze?

Né un bacio? né addio! – bensì le tue lagrime mi se-guiranno nella mia sepoltura. La mia salute, la mia sor-te, il mio cuore, tu – tu! – insomma tutto congiura, ed iovi obbedirò tutti.

Ore...

E ho avuto cuore di abbandonarla? anzi ti ho abban-donata, o Teresa, in uno stato più deplorabile del mio.Chi sarà tuo consolatore? e tremerai al solo mio nomepoiché t'ho fatto vedere io – io primo, io unico sull'auro-ra della tua vita, le tempeste e le tenebre della sventura;e tu, o giovinetta, non sei ancora sì forte né da tollerare

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né da fuggire la vita. Tu, per anche non sai che l'alba ela sera sono tutt'uno. Ah né io te lo voglio persuadere! –eppure non abbiamo più ajuto veruno dagli uomini, nes-suna consolazione in noi stessi. Ormai non so che sup-plicare il sommo Iddio, e supplicarlo co' miei gemiti, ecercare alcuna speranza fuori di questo mondo dove tuttici perseguitano e ci abbandonano. E se gli spasimi, e lepreghiere, e il rimorso ch'è fatto già mio carnefice, fos-sero offerte accolte dal Cielo, ah! tu non saresti così in-felice, ed io benedirei tutti i miei tormenti. Frattanto nel-la mia disperazione mortale chi sa in che pericoli tu sei!né io posso difenderti, né rasciugare il tuo pianto, néraccogliere nel mio petto i tuoi secreti, né parteciparedelle tue afflizioni; non so né dove fuggo, né come ti la-scio, né quando potrò più rivederti.

Padre crudele – Teresa è sangue tuo! quell'altare èprofanato; la Natura ed il Cielo maledicono quei giura-menti; il ribrezzo, la gelosia, la discordia ed il pentimen-to gireranno fremendo intorno a quel letto e insanguine-ranno forse quelle catene. Teresa è figlia tua; placati. Tipentirai amaramente, ma tardi: fors'ella un giornonell'orrore del suo stato maledirà i suoi giorni e i suoigenitori, e conturberà con le sue querele le tue ossa nelsepolcro, quando tu non potrai se non intenderla di sot-terra. Placati. – Ohimè! tu non mi ascolti – e dove me latrascini? – la vittima è sacrificata! io odo il suo gemito –il mio nome nel suo ultimo gemito! Barbari! tremate – ilvostro sangue, il mio sangue – Teresa sarà vendicata. –Ahi delirio! – ma io son pure omicida.

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né da fuggire la vita. Tu, per anche non sai che l'alba ela sera sono tutt'uno. Ah né io te lo voglio persuadere! –eppure non abbiamo più ajuto veruno dagli uomini, nes-suna consolazione in noi stessi. Ormai non so che sup-plicare il sommo Iddio, e supplicarlo co' miei gemiti, ecercare alcuna speranza fuori di questo mondo dove tuttici perseguitano e ci abbandonano. E se gli spasimi, e lepreghiere, e il rimorso ch'è fatto già mio carnefice, fos-sero offerte accolte dal Cielo, ah! tu non saresti così in-felice, ed io benedirei tutti i miei tormenti. Frattanto nel-la mia disperazione mortale chi sa in che pericoli tu sei!né io posso difenderti, né rasciugare il tuo pianto, néraccogliere nel mio petto i tuoi secreti, né parteciparedelle tue afflizioni; non so né dove fuggo, né come ti la-scio, né quando potrò più rivederti.

Padre crudele – Teresa è sangue tuo! quell'altare èprofanato; la Natura ed il Cielo maledicono quei giura-menti; il ribrezzo, la gelosia, la discordia ed il pentimen-to gireranno fremendo intorno a quel letto e insanguine-ranno forse quelle catene. Teresa è figlia tua; placati. Tipentirai amaramente, ma tardi: fors'ella un giornonell'orrore del suo stato maledirà i suoi giorni e i suoigenitori, e conturberà con le sue querele le tue ossa nelsepolcro, quando tu non potrai se non intenderla di sot-terra. Placati. – Ohimè! tu non mi ascolti – e dove me latrascini? – la vittima è sacrificata! io odo il suo gemito –il mio nome nel suo ultimo gemito! Barbari! tremate – ilvostro sangue, il mio sangue – Teresa sarà vendicata. –Ahi delirio! – ma io son pure omicida.

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Ma tu, Lorenzo mio, che non mi ajuti? io non ti scri-veva perché un'eterna tempesta d'ira, di gelosia, di ven-detta, di amore infuriava dentro di me; e tante passionimi si gonfiavano nel petto, e mi soffocavano, e mi stroz-zavano quasi; io non poteva mandare parola, e sentiva ildolore impietrito dentro di me – e questo dolore regnaancora e mi chiude la voce e i sospiri, e m'inaridisce lelagrime: – mi sento mancata gran parte della vita, e quelpoco che pure mi resta è avvilito dal languore e dallaoscurità della morte.

Or mi adiro sovente di essere partito, e mi accuso diviltà. – Perché mai non hanno ardito d'insultare alla miapassione? Se taluno avesse comandato a quella miseradi non rivedermi; se me l'avessero a viva forza strappa-ta, pensi tu ch'io l'avrei lasciata mai? Ma doveva io pa-gare d'ingratitudine un padre che mi chiamava amico,che tante volte commosso mi abbracciava dicendomi: Eperché la sorte ti ha pur unito a noi disgraziati? Potevaio precipitare nel disonore e nella persecuzione una fa-miglia che in altre circostanze avrebbe diviso meco e laprosperità e l'infortunio? E che poteva io rispondergliquand'ei mi diceva sospirando e pregandomi: – Teresa èmia figlia! – Sì! divorerò nel rimorso e nella solitudinetutti i miei giorni: ma ringrazierò quella tremenda manoinvisibile che mi rapì da quel precipizio donde io caden-do avrei strascinato meco nella voragine quella giovi-netta innocente. E mi seguitava; ed io crudele andavapur soffermandomi, e voltando gli occhi guardando se

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Ma tu, Lorenzo mio, che non mi ajuti? io non ti scri-veva perché un'eterna tempesta d'ira, di gelosia, di ven-detta, di amore infuriava dentro di me; e tante passionimi si gonfiavano nel petto, e mi soffocavano, e mi stroz-zavano quasi; io non poteva mandare parola, e sentiva ildolore impietrito dentro di me – e questo dolore regnaancora e mi chiude la voce e i sospiri, e m'inaridisce lelagrime: – mi sento mancata gran parte della vita, e quelpoco che pure mi resta è avvilito dal languore e dallaoscurità della morte.

Or mi adiro sovente di essere partito, e mi accuso diviltà. – Perché mai non hanno ardito d'insultare alla miapassione? Se taluno avesse comandato a quella miseradi non rivedermi; se me l'avessero a viva forza strappa-ta, pensi tu ch'io l'avrei lasciata mai? Ma doveva io pa-gare d'ingratitudine un padre che mi chiamava amico,che tante volte commosso mi abbracciava dicendomi: Eperché la sorte ti ha pur unito a noi disgraziati? Potevaio precipitare nel disonore e nella persecuzione una fa-miglia che in altre circostanze avrebbe diviso meco e laprosperità e l'infortunio? E che poteva io rispondergliquand'ei mi diceva sospirando e pregandomi: – Teresa èmia figlia! – Sì! divorerò nel rimorso e nella solitudinetutti i miei giorni: ma ringrazierò quella tremenda manoinvisibile che mi rapì da quel precipizio donde io caden-do avrei strascinato meco nella voragine quella giovi-netta innocente. E mi seguitava; ed io crudele andavapur soffermandomi, e voltando gli occhi guardando se

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affrettavasi dietro a' miei passi precipitosi – e mi segui-tava; ma con animo spaventato, e con deboli forze. Che?Or non son io seduttore? – e non dovrò tormele eterna-mente dagli occhi? Potessi anzi nascondermi a tuttol'universo e piangere le mie sciagure! ma piangerliquando io gli ho esacerbati?

Niuno sa quale segreto sta sepolto qui dentro – e que-sto sudore freddo improvviso – e questo arretrarmi – e illamento che tutte le sere vien di sotterra, e mi chiama –e quel cadavere – perché io, Lorenzo, non sono forseomicida; ma pur mi veggo insanguinato d'un omicidio13.

Spunta appena il giorno, ed io sto per partire. Daquanto tempo l'aurora mi trova sempre in un sonno dainfermo! La notte non trovo mai posa. Poco fa io spa-lancava gli occhi urlando e guatandomi intorno come semi vedessi sul capo il manigoldo. Sento nello svegliarmicerti terrori, simile a quegli sciagurati che hanno le manicalde di delitto. – Addio addio. Parto, e ognor più lonta-no. Ti scriverò da Bologna dentr'oggi. Ringrazia miamadre. Pregala perché benedica il suo povero figliuolo.S'ella sapesse tutto il mio stato! ma taci: su le sue piaghenon aprire un'altra piaga.

13 “Di questo rimorso d'omicidio che spesso prorompe dal se-creto del misero giovine, il lettore vedrà la ragione verso la finedel libro, in una lettera datata 14 Marzo.”

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affrettavasi dietro a' miei passi precipitosi – e mi segui-tava; ma con animo spaventato, e con deboli forze. Che?Or non son io seduttore? – e non dovrò tormele eterna-mente dagli occhi? Potessi anzi nascondermi a tuttol'universo e piangere le mie sciagure! ma piangerliquando io gli ho esacerbati?

Niuno sa quale segreto sta sepolto qui dentro – e que-sto sudore freddo improvviso – e questo arretrarmi – e illamento che tutte le sere vien di sotterra, e mi chiama –e quel cadavere – perché io, Lorenzo, non sono forseomicida; ma pur mi veggo insanguinato d'un omicidio13.

Spunta appena il giorno, ed io sto per partire. Daquanto tempo l'aurora mi trova sempre in un sonno dainfermo! La notte non trovo mai posa. Poco fa io spa-lancava gli occhi urlando e guatandomi intorno come semi vedessi sul capo il manigoldo. Sento nello svegliarmicerti terrori, simile a quegli sciagurati che hanno le manicalde di delitto. – Addio addio. Parto, e ognor più lonta-no. Ti scriverò da Bologna dentr'oggi. Ringrazia miamadre. Pregala perché benedica il suo povero figliuolo.S'ella sapesse tutto il mio stato! ma taci: su le sue piaghenon aprire un'altra piaga.

13 “Di questo rimorso d'omicidio che spesso prorompe dal se-creto del misero giovine, il lettore vedrà la ragione verso la finedel libro, in una lettera datata 14 Marzo.”

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PARTE SECONDA

Bologna, 24 Luglio, ore 10

Vuoi tu versare sul cuore dell'amico tuo qualche stilladi balsamo? Fa che Teresa ti dia il suo ritratto, e conse-gnalo a Michele ch'io ti rimando imponendogli di nonritornare senza tue tisposte. Va a' colli Euganei tu stesso:forse quella disgraziata avrà bisogno di chi la compian-ga. Leggi alcuni frammenti di lettere che ne' miei affan-nosi delirj io tentava di scriverti. Addio. – Vedrai la Isa-bellina, baciala mille volte per me. Quando nessuno siricorderà più di me, fors'ella nominerà qualche volta ilsuo Jacopo. O mio caro! avvolto in tante miserie, fattodiffidente dagli uomini, con un'anima ardente e che purvuole amare ed essere riamata, in chi poss'io confidarmise non in una fanciullina non corrotta ancora dall'espe-rienza né dall'interesse, e che per una secreta simpatiami ha tante volte bagnato del suo pianto innocente? S'ioun giorno sapessi che non mi nomina più, credo, morreidi dolore.

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PARTE SECONDA

Bologna, 24 Luglio, ore 10

Vuoi tu versare sul cuore dell'amico tuo qualche stilladi balsamo? Fa che Teresa ti dia il suo ritratto, e conse-gnalo a Michele ch'io ti rimando imponendogli di nonritornare senza tue tisposte. Va a' colli Euganei tu stesso:forse quella disgraziata avrà bisogno di chi la compian-ga. Leggi alcuni frammenti di lettere che ne' miei affan-nosi delirj io tentava di scriverti. Addio. – Vedrai la Isa-bellina, baciala mille volte per me. Quando nessuno siricorderà più di me, fors'ella nominerà qualche volta ilsuo Jacopo. O mio caro! avvolto in tante miserie, fattodiffidente dagli uomini, con un'anima ardente e che purvuole amare ed essere riamata, in chi poss'io confidarmise non in una fanciullina non corrotta ancora dall'espe-rienza né dall'interesse, e che per una secreta simpatiami ha tante volte bagnato del suo pianto innocente? S'ioun giorno sapessi che non mi nomina più, credo, morreidi dolore.

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E tu, dimmi, Lorenzo mio, m'abbandonerai tu? L'ami-cizia cara passione della gioventù ed unico confortodell'infortunio s'agghiaccia nella prosperità. O gli amici,gli amici! Tu non mi perderai se non quando io scenderòsotterra. Ed io cesso dal querelarmi talvolta delle mie di-sgrazie perché senza di esse non sarei degno forse di te;né avrei un cuore capace di amarti. Ma quando io nonvivrò più; e tu avrai ereditato da me il calice delle lagri-me – oh! non cercare altro amico fuor di te stesso.

Bologna, la notte de' 28 Luglio

E' mi parrebbe pure di star meno male se potessi dor-mire lungamente un gravissimo sonno. L'oppio non gio-va; mi desta dopo brevi letarghi pieni di visioni e di spa-simi – e sono più notti! – Ora mi sono alzato per provar-mi di scriverti; ma non mi regge più il polso. – Torneròa coricarmi. Pare che l'anima mia siegua lo stato negro eburrascoso della Natura. Sento diluviare: e giaccio congli occhi spalancati. Dio mio! Dio mio!

Bologna, 12 Agosto

Oramai sono passati diciotto giorni da che Michele èripartito per le poste, né torna ancora: e non veggo tuelettere. Tu pure mi lasci? Per Dio, scrivimi almeno:aspetterò sino a lunedì, e poi prenderò la volta di Firen-ze. Qui tutto il giorno sto in casa perché non posso ve-

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E tu, dimmi, Lorenzo mio, m'abbandonerai tu? L'ami-cizia cara passione della gioventù ed unico confortodell'infortunio s'agghiaccia nella prosperità. O gli amici,gli amici! Tu non mi perderai se non quando io scenderòsotterra. Ed io cesso dal querelarmi talvolta delle mie di-sgrazie perché senza di esse non sarei degno forse di te;né avrei un cuore capace di amarti. Ma quando io nonvivrò più; e tu avrai ereditato da me il calice delle lagri-me – oh! non cercare altro amico fuor di te stesso.

Bologna, la notte de' 28 Luglio

E' mi parrebbe pure di star meno male se potessi dor-mire lungamente un gravissimo sonno. L'oppio non gio-va; mi desta dopo brevi letarghi pieni di visioni e di spa-simi – e sono più notti! – Ora mi sono alzato per provar-mi di scriverti; ma non mi regge più il polso. – Torneròa coricarmi. Pare che l'anima mia siegua lo stato negro eburrascoso della Natura. Sento diluviare: e giaccio congli occhi spalancati. Dio mio! Dio mio!

Bologna, 12 Agosto

Oramai sono passati diciotto giorni da che Michele èripartito per le poste, né torna ancora: e non veggo tuelettere. Tu pure mi lasci? Per Dio, scrivimi almeno:aspetterò sino a lunedì, e poi prenderò la volta di Firen-ze. Qui tutto il giorno sto in casa perché non posso ve-

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dermi impacciato fra tanta gente; e la notte vo balocco-ne per città come larva, e mi sento sbranare le viscere datanti indigenti che giacciono per le strade, e gridanopane; non so se per loro colpa, o d'altri – so che doman-dano pane. Oggi tornandomi dalla posta mi sono abbat-tuto in due sciagurati menati al patibolo: ne ho chiesto aquei che mi si affollavano addosso; e mi è stato risposto,che uno avea rubato una mula, e l'altro cinquantasei lireper fame14. Ahi Società! E se non vi fossero leggi protet-trici di coloro che per arricchire col sudore e col piantode' proprj concittadini li sospingo al bisogno e al delitto,sarebbero poi sì necessarie le prigioni e i carnefici? Ionon sono sì matto da presumere di riordinare i mortali;ma perché mi si contenderà di fremere su le loro miseriee più di tutto su la lor cecità? – E mi vien detto che nonv'ha settimana senza carneficina; e il popolo vi accorrecome a solennità. I delitti intanto crescono co' supplizj.No, no; non voglio più respirare quest'aria fumante sem-pre del sangue de' miseri. – E dove?

14 “Da prima questo racconto parevami esagerato dalla fanta-sia costernata di Jacopo; ma poi vidi che nello stato Cisalpino nonvi era codice criminale. Si giudicava con le leggi dei caduti go-verni; e in Bologna co'j decreti ferrei dei Cardinali, che minaccia-vano di morte ogni furto qualificato eccedente le cinquantaduelire. Ma i Cardinali mitigavano quasi sempre la pena; il che nonpuò essere conceduto ai tribunali della Repubblica, esecutori ne-cessariamente inflessibili delle leggi: così spesso la Giustizia im-passibile è più funesta della arbitraria Equità.”

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dermi impacciato fra tanta gente; e la notte vo balocco-ne per città come larva, e mi sento sbranare le viscere datanti indigenti che giacciono per le strade, e gridanopane; non so se per loro colpa, o d'altri – so che doman-dano pane. Oggi tornandomi dalla posta mi sono abbat-tuto in due sciagurati menati al patibolo: ne ho chiesto aquei che mi si affollavano addosso; e mi è stato risposto,che uno avea rubato una mula, e l'altro cinquantasei lireper fame14. Ahi Società! E se non vi fossero leggi protet-trici di coloro che per arricchire col sudore e col piantode' proprj concittadini li sospingo al bisogno e al delitto,sarebbero poi sì necessarie le prigioni e i carnefici? Ionon sono sì matto da presumere di riordinare i mortali;ma perché mi si contenderà di fremere su le loro miseriee più di tutto su la lor cecità? – E mi vien detto che nonv'ha settimana senza carneficina; e il popolo vi accorrecome a solennità. I delitti intanto crescono co' supplizj.No, no; non voglio più respirare quest'aria fumante sem-pre del sangue de' miseri. – E dove?

14 “Da prima questo racconto parevami esagerato dalla fanta-sia costernata di Jacopo; ma poi vidi che nello stato Cisalpino nonvi era codice criminale. Si giudicava con le leggi dei caduti go-verni; e in Bologna co'j decreti ferrei dei Cardinali, che minaccia-vano di morte ogni furto qualificato eccedente le cinquantaduelire. Ma i Cardinali mitigavano quasi sempre la pena; il che nonpuò essere conceduto ai tribunali della Repubblica, esecutori ne-cessariamente inflessibili delle leggi: così spesso la Giustizia im-passibile è più funesta della arbitraria Equità.”

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Firenze, 27 Agosto

Dianzi io adorava le sepolture di Galileo, del Machia-velli, e di Michelangelo; e nell'appressarmivi io tremavapreso da brivido. Coloro che hanno eretti que' mausoleisperano forse di scolparsi della povertà e delle carcericon le quali i loro avi punivano la grandezza di que' di-vini intelletti? Oh quanti perseguitati nel nostro secolosaranno venerati da' posteri! Ma e le persecuzioni a'vivi, e gli onori a' morti sono documenti della malignaambizione che rode l'umano gregge.

Presso a que' marmi mi parea di rivivere in queglianni miei fervidi, quand'io vegliando su gli scritti de'grandi mortali mi gittava con la immaginazione fra iplausi delle generazioni future. Ma ora troppo alte coseper me! – e pazze forse. La mia mente è cieca, le mem-bra vacillanti, e il cuore guasto qui – nel profondo.

Ritienti le commendatizie di cui mi scrivi: quelle chemi mandasti io le ho bruciate. Non voglio più oltraggi,né favori da veruno degli uomini potenti. L'unico morta-le ch'io desiderava conoscere era Vittorio Alfieri; maodo dire ch'ei non accoglie persone nuove: né io presu-mo di fargli rompere questo suo proponimento che deri-va forse da' tempi, da' suoi studj, e più ancora dalle suepassioni e dall'esperienza del mondo. E fosse anche unadebolezza, le debolezze di sì fatti mortali vanno rispetta-te; e chi n'è senza, scagli la prima pietra.

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Firenze, 27 Agosto

Dianzi io adorava le sepolture di Galileo, del Machia-velli, e di Michelangelo; e nell'appressarmivi io tremavapreso da brivido. Coloro che hanno eretti que' mausoleisperano forse di scolparsi della povertà e delle carcericon le quali i loro avi punivano la grandezza di que' di-vini intelletti? Oh quanti perseguitati nel nostro secolosaranno venerati da' posteri! Ma e le persecuzioni a'vivi, e gli onori a' morti sono documenti della malignaambizione che rode l'umano gregge.

Presso a que' marmi mi parea di rivivere in queglianni miei fervidi, quand'io vegliando su gli scritti de'grandi mortali mi gittava con la immaginazione fra iplausi delle generazioni future. Ma ora troppo alte coseper me! – e pazze forse. La mia mente è cieca, le mem-bra vacillanti, e il cuore guasto qui – nel profondo.

Ritienti le commendatizie di cui mi scrivi: quelle chemi mandasti io le ho bruciate. Non voglio più oltraggi,né favori da veruno degli uomini potenti. L'unico morta-le ch'io desiderava conoscere era Vittorio Alfieri; maodo dire ch'ei non accoglie persone nuove: né io presu-mo di fargli rompere questo suo proponimento che deri-va forse da' tempi, da' suoi studj, e più ancora dalle suepassioni e dall'esperienza del mondo. E fosse anche unadebolezza, le debolezze di sì fatti mortali vanno rispetta-te; e chi n'è senza, scagli la prima pietra.

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Firenze, 7 Settembre

Spalanca le finestre, o Lorenzo, e saluta dalla miastanza i miei colli. In un bel mattino di Settembre salutain mio nome il cielo, i laghi, le pianure, che si ricordanotutti della mia fanciullezza, e dove io per alcun tempoho riposato dopo le ansietà della vita. Se passeggiandonelle notti serene i piedi ti conducessero verso i vialidella parrocchia, io ti prego di salire sul monte de' piniche serba tante dolci e funeste mie rimembranze. Appièdel pendio, passata la macchia de' tigli che fanno l'aeresempre fresco e odorato, là dove que' rigagnoli adunanoun pelaghetto, troverai il salice solitario sotto i cui ramipiangenti io stava più ore prostrato parlando con le miesperanze. E come tu sarai giunto presso alla vetta, udraiforse un cuculo il quale parea che ogni sera mi chiamas-se col lugubre suo metro, e soltanto lo interrompeaquando accorgevasi del mio borbottare o del calpestiode' miei piedi. Il pino dove allora e' si stava nascosto, faombra a' rottami di una cappelletta ove anticamente siardeva una lampada a un crocifisso: il turbine la sfracel-lò quella notte che lasciò fino ad oggi e mi lascierà fin-ché avrò vita lo spirito atterrito di tenebre e di rimorso15;e quelle ruine mezzo sotterrate mi pareano nell'oscuritàpietre sepolcrali, e più volte io mi pensava di erigere inquel luogo e fra quelle secrete ombre il mio avello. Edora? chi sa ov'io lascierò le mie ossa! – Consola tutti icontadini che ti chiederanno novelle di me. Già tempo

15 “Vedi alla fine di questo volume la lettera 14 Marzo”

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Firenze, 7 Settembre

Spalanca le finestre, o Lorenzo, e saluta dalla miastanza i miei colli. In un bel mattino di Settembre salutain mio nome il cielo, i laghi, le pianure, che si ricordanotutti della mia fanciullezza, e dove io per alcun tempoho riposato dopo le ansietà della vita. Se passeggiandonelle notti serene i piedi ti conducessero verso i vialidella parrocchia, io ti prego di salire sul monte de' piniche serba tante dolci e funeste mie rimembranze. Appièdel pendio, passata la macchia de' tigli che fanno l'aeresempre fresco e odorato, là dove que' rigagnoli adunanoun pelaghetto, troverai il salice solitario sotto i cui ramipiangenti io stava più ore prostrato parlando con le miesperanze. E come tu sarai giunto presso alla vetta, udraiforse un cuculo il quale parea che ogni sera mi chiamas-se col lugubre suo metro, e soltanto lo interrompeaquando accorgevasi del mio borbottare o del calpestiode' miei piedi. Il pino dove allora e' si stava nascosto, faombra a' rottami di una cappelletta ove anticamente siardeva una lampada a un crocifisso: il turbine la sfracel-lò quella notte che lasciò fino ad oggi e mi lascierà fin-ché avrò vita lo spirito atterrito di tenebre e di rimorso15;e quelle ruine mezzo sotterrate mi pareano nell'oscuritàpietre sepolcrali, e più volte io mi pensava di erigere inquel luogo e fra quelle secrete ombre il mio avello. Edora? chi sa ov'io lascierò le mie ossa! – Consola tutti icontadini che ti chiederanno novelle di me. Già tempo

15 “Vedi alla fine di questo volume la lettera 14 Marzo”

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mi si affollavano attorno, ed io li chiamava miei amici, emi chiamavano benefattore. Io era il medico più accettoa' loro figliuoletti malati; io ascoltava amorevolmente lequerele di que' meschini lavoratori, e componeva i lorodissidj; io filosofava con que' rozzi vecchj cadenti inge-gnandomi di dileguare dalla lor fantasia i terrori dellareligione, e dipingendo i premj che il Cielo riserbaall'uomo stanco della povertà e del sudore. Ma oras'attristeranno nel nominarmi, poiché in questi ultimimesi passava muto e fantastico senza talvolta risponderea' loro saluti; e scorgendoli da lontano mentre cantandotornavano da' lavori, o riconduceano gli armenti, io gliscansava imboscandomi dove la selva è più negra. E mivedeano su l'alba saltare i fossi e sbadatamente urtar gliarboscelli, i quali crollando mi pioveano la brina su lechiome; e così affrettarmi per le praterie, e poi arrampi-carmi sul monte più alto donde io fermandomi ritto eansante, con le braccia stese all'oriente, aspettava il Soleper querelarmi con lui che più non sorgeva allegro perme. Ti additeranno il ciglione della rupe sul quale, men-tre il mondo era addormentato, io sedeva intento al lon-tano fragore delle acque, e al rombare dell'aria quando iventi ammassavano quasi su la mia testa le nuvole, e lespingevano a funestare la Luna che tramontando, ad oraad ora illuminava nella pianura co' suoi pallidi raggi lecroci conficcate su i tumuli del cimitero; e allora il villa-no de' vicini tugurj, per le mie grida destandosi sbigotti-to, s'affacciava alla porta, e m'udiva in quel silenzio so-lenne mandare le mie preci, e piangere, e ululare, e gua-

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mi si affollavano attorno, ed io li chiamava miei amici, emi chiamavano benefattore. Io era il medico più accettoa' loro figliuoletti malati; io ascoltava amorevolmente lequerele di que' meschini lavoratori, e componeva i lorodissidj; io filosofava con que' rozzi vecchj cadenti inge-gnandomi di dileguare dalla lor fantasia i terrori dellareligione, e dipingendo i premj che il Cielo riserbaall'uomo stanco della povertà e del sudore. Ma oras'attristeranno nel nominarmi, poiché in questi ultimimesi passava muto e fantastico senza talvolta risponderea' loro saluti; e scorgendoli da lontano mentre cantandotornavano da' lavori, o riconduceano gli armenti, io gliscansava imboscandomi dove la selva è più negra. E mivedeano su l'alba saltare i fossi e sbadatamente urtar gliarboscelli, i quali crollando mi pioveano la brina su lechiome; e così affrettarmi per le praterie, e poi arrampi-carmi sul monte più alto donde io fermandomi ritto eansante, con le braccia stese all'oriente, aspettava il Soleper querelarmi con lui che più non sorgeva allegro perme. Ti additeranno il ciglione della rupe sul quale, men-tre il mondo era addormentato, io sedeva intento al lon-tano fragore delle acque, e al rombare dell'aria quando iventi ammassavano quasi su la mia testa le nuvole, e lespingevano a funestare la Luna che tramontando, ad oraad ora illuminava nella pianura co' suoi pallidi raggi lecroci conficcate su i tumuli del cimitero; e allora il villa-no de' vicini tugurj, per le mie grida destandosi sbigotti-to, s'affacciava alla porta, e m'udiva in quel silenzio so-lenne mandare le mie preci, e piangere, e ululare, e gua-

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tare dall'alto le sepolture, e invocare la morte. O anticamia solitudine! Ove sei tu? Non v'è gleba, non antro,non albero che non mi riviva nel cuore alimentandomiquel soave e patetico desiderio che sempre accompagnafuori dalle sue case l'uomo esule, e sventurato. Parmiche i miei piaceri e i miei dolori, i quali in que' luoghim'erano cari – tutto insomma quello ch'è mio, sia rima-sto tutto con te; e che qui non si trascini pellegrinandose non lo spettro del povero Jacopo.

Ma tu, amico unico mio, perché appena mi scrivi duenude parole avvisandomi che tu se' con Teresa? E nonmi dici né come vive; né se s'attenta di nominarmi; né seOdoardo me l'ha rapita? Corro, e ricorro alla posta, masenza pro; e torno lento, smarrito, e mi si legge nel voltoil presentimento di grave sciagura. E mi par d'ora in oraudirmi pronunziare la mia sentenza mortale – Teresa hagiurato. – Ohimè! e quando mai cesserò da' miei funebridelirj, e dalle mie crudeli lusinghe? Addio.

Firenze, 17 Settembre

Tu mi hai inchiodata la disperazione nel cuore. Vedooramai che Teresa tenta di punirmi d'averla amata. Il suoritratto l'aveva mandato a sua madre prima ch'io lo chie-dessi? – tu me ne accerti, ed io credo; ma guardati cheper tentare di risanarmi tu non congiurassi a contender-mi l'unico balsamo alle mie viscere lacerate.

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tare dall'alto le sepolture, e invocare la morte. O anticamia solitudine! Ove sei tu? Non v'è gleba, non antro,non albero che non mi riviva nel cuore alimentandomiquel soave e patetico desiderio che sempre accompagnafuori dalle sue case l'uomo esule, e sventurato. Parmiche i miei piaceri e i miei dolori, i quali in que' luoghim'erano cari – tutto insomma quello ch'è mio, sia rima-sto tutto con te; e che qui non si trascini pellegrinandose non lo spettro del povero Jacopo.

Ma tu, amico unico mio, perché appena mi scrivi duenude parole avvisandomi che tu se' con Teresa? E nonmi dici né come vive; né se s'attenta di nominarmi; né seOdoardo me l'ha rapita? Corro, e ricorro alla posta, masenza pro; e torno lento, smarrito, e mi si legge nel voltoil presentimento di grave sciagura. E mi par d'ora in oraudirmi pronunziare la mia sentenza mortale – Teresa hagiurato. – Ohimè! e quando mai cesserò da' miei funebridelirj, e dalle mie crudeli lusinghe? Addio.

Firenze, 17 Settembre

Tu mi hai inchiodata la disperazione nel cuore. Vedooramai che Teresa tenta di punirmi d'averla amata. Il suoritratto l'aveva mandato a sua madre prima ch'io lo chie-dessi? – tu me ne accerti, ed io credo; ma guardati cheper tentare di risanarmi tu non congiurassi a contender-mi l'unico balsamo alle mie viscere lacerate.

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O mie speranze! si dileguano tutte; ed io siedo qui de-relitto nella solitudine del mio dolore.

In che devo più confidare? non mi tradire, Lorenzo:io non ti perderò mai dal mio petto, perché la tua memo-ria è necessaria all'amico tuo: in qualunque tua avversitàtu non mi avresti perduto. Sono io dunque destinato avedermi svanire tutto davanti? – anche l'unico avanzo ditante speranze? ma sia così! io non mi querelo né di lei,né di te – non di me stesso, non della mia fortuna – benm'avvilisco con tante lagrime, e perdo la consolazionedi poter dire: Soffro i miei travagli e non mi lamento.

Voi tutti mi lascierete – tutti: e il mio gemito vi segui-rà da per tutto; perché senza di voi non sono uomo: e daogni luogo vi richiamerò disperato. – Ecco le poche pa-role scrittemi da Teresa: “Abbiate rispetto alla vostravita; ve ne scongiuro per le nostre disgrazie. Non siamonoi due soli infelici. Avrete il mio ritratto quando potrò.Mio padre piange con me; e non gli rincresce ch'io ri-sponda al biglietto che mi ha ricapitato da parte vostra;pur con le sue lagrime a me pare che tacitamente miproibisca di scrivervi d'ora innanzi – ed io piangendo loprometto; e vi scrivo, forse per l'ultima volta, piangendo– perché io non potrò più confessare d'amarvi fuorchédavanti a Dio solo”.

Tu sei dunque più forte di me? Sì, ripeterò queste po-che righe come fossero le tue ultime volontà – parleròteco un'altra volta, o Teresa; ma solamente quel giornoche mi sarò agguerrito di tanta ragione e di tale coraggioda separarmi davvero da te.

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O mie speranze! si dileguano tutte; ed io siedo qui de-relitto nella solitudine del mio dolore.

In che devo più confidare? non mi tradire, Lorenzo:io non ti perderò mai dal mio petto, perché la tua memo-ria è necessaria all'amico tuo: in qualunque tua avversitàtu non mi avresti perduto. Sono io dunque destinato avedermi svanire tutto davanti? – anche l'unico avanzo ditante speranze? ma sia così! io non mi querelo né di lei,né di te – non di me stesso, non della mia fortuna – benm'avvilisco con tante lagrime, e perdo la consolazionedi poter dire: Soffro i miei travagli e non mi lamento.

Voi tutti mi lascierete – tutti: e il mio gemito vi segui-rà da per tutto; perché senza di voi non sono uomo: e daogni luogo vi richiamerò disperato. – Ecco le poche pa-role scrittemi da Teresa: “Abbiate rispetto alla vostravita; ve ne scongiuro per le nostre disgrazie. Non siamonoi due soli infelici. Avrete il mio ritratto quando potrò.Mio padre piange con me; e non gli rincresce ch'io ri-sponda al biglietto che mi ha ricapitato da parte vostra;pur con le sue lagrime a me pare che tacitamente miproibisca di scrivervi d'ora innanzi – ed io piangendo loprometto; e vi scrivo, forse per l'ultima volta, piangendo– perché io non potrò più confessare d'amarvi fuorchédavanti a Dio solo”.

Tu sei dunque più forte di me? Sì, ripeterò queste po-che righe come fossero le tue ultime volontà – parleròteco un'altra volta, o Teresa; ma solamente quel giornoche mi sarò agguerrito di tanta ragione e di tale coraggioda separarmi davvero da te.

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Che se ora l'amarti di questo amore insoffribile, im-menso, e tacere e seppellirmi agli occhi di tutti, potesseridarti pace – se la mia morte potesse espiare al tribuna-le de' nostri persecutori la tua passione e sopirla persempre dentro il tuo petto, io supplico con tutto l'ardoree la verità dell'anima mia la Natura ed il Cielo perché mitolgano finalmente dal mondo. Or ch'io resista al mio fa-tale e insieme dolcissimo desiderio di morte, te lo pro-metto; ma ch'io lo vinca, ah! tu sola con le tue preghierepotrai forse impetrarmelo dal mio Creatore – e sento chead ogni modo ei mi chiama. Ma tu deh! vivi per quantopuoi felice – per quanto puoi ancora. Iddio forse conver-tirà a tua consolazione, sfortunata giovine, queste lagri-me penitenti ch'io mando a lui domandandogli miseri-cordia per te. Pur troppo tu, pur troppo, tu ora partecipidel doloroso mio stato, e per me tu se' fatta infelice – ecome ho io rimeritato tuo padre delle affettuose suecure, della fiducia, de' suoi consigli, delle sue carezze? etu a che precipizio non ti se' trovata e non ti trovi perme? – Ma e di che dunque mi ha egli beneficato tuo pa-dre, e ch'io oggi nol ricompensi con gratitudine inaudi-ta? non gli presento in sacrificio il mio cuore che insan-guina? Nessun mortale mi è creditore di generosità; – néio, che pur sono, e tu 'l sai, ferocissimo giudice mio pos-so incolparmi d'averti amata – bensì l'esserti causad'affanni, è il più crudele delitto ch'io mai potessi com-mettere.

Ohimè! con chi parlo? e a che pro?

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Che se ora l'amarti di questo amore insoffribile, im-menso, e tacere e seppellirmi agli occhi di tutti, potesseridarti pace – se la mia morte potesse espiare al tribuna-le de' nostri persecutori la tua passione e sopirla persempre dentro il tuo petto, io supplico con tutto l'ardoree la verità dell'anima mia la Natura ed il Cielo perché mitolgano finalmente dal mondo. Or ch'io resista al mio fa-tale e insieme dolcissimo desiderio di morte, te lo pro-metto; ma ch'io lo vinca, ah! tu sola con le tue preghierepotrai forse impetrarmelo dal mio Creatore – e sento chead ogni modo ei mi chiama. Ma tu deh! vivi per quantopuoi felice – per quanto puoi ancora. Iddio forse conver-tirà a tua consolazione, sfortunata giovine, queste lagri-me penitenti ch'io mando a lui domandandogli miseri-cordia per te. Pur troppo tu, pur troppo, tu ora partecipidel doloroso mio stato, e per me tu se' fatta infelice – ecome ho io rimeritato tuo padre delle affettuose suecure, della fiducia, de' suoi consigli, delle sue carezze? etu a che precipizio non ti se' trovata e non ti trovi perme? – Ma e di che dunque mi ha egli beneficato tuo pa-dre, e ch'io oggi nol ricompensi con gratitudine inaudi-ta? non gli presento in sacrificio il mio cuore che insan-guina? Nessun mortale mi è creditore di generosità; – néio, che pur sono, e tu 'l sai, ferocissimo giudice mio pos-so incolparmi d'averti amata – bensì l'esserti causad'affanni, è il più crudele delitto ch'io mai potessi com-mettere.

Ohimè! con chi parlo? e a che pro?

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Se questa lettera ti trova ancora a' miei colli, o Loren-zo, non la mostrare a Teresa. Non le parlare di me – sete ne chiede, dille ch'io vivo, ch'io vivo ancora – non leparlare insomma di me. Ma io te lo confesso: mi com-piaccio delle mie infermità: io stesso palpo le mie feritedove sono più mortali, e cerco d'esulcerarle, e le con-templo insanguinate – e mi pare che i miei martirj rechi-no qualche espiazione alle mie colpe, e un breve refrige-rio a' dolori di quella innocente.

Firenze, 25 Settembre

In queste terre beate si ridestarono dalla barbarie lesacre Muse e le lettere. Dovunque io mi volga, trovo lecase ove nacquero, e le pie zolle dove riposano que' pri-mi grandi Toscani: ad ogni passo ho timore di calpestarele loro reliquie. La Toscana è tuttaquanta una città conti-nuata, e un giardino; il popolo naturalmente gentile; ilcielo sereno; e l'aria piena di vita e di salute. Ma l'amicotuo non trova requie: spero sempre – domani, nel paesevicino – e il domani viene, ed eccomi di città in città, emi pesa sempre più questo stato di esilio e di solitudine.– Neppure mi è conceduto di proseguire il mio viaggio:avea decretato di andare a Roma a prostrarmi su le reli-quie della nostra grandezza. Mi negano il passaporto;quello già mandatomi da mia madre è per Milano: e qui,come s'io fossi venuto a congiurare, mi hanno circuitocon mille interrogazioni: non avran torto; ma io rispon-

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Se questa lettera ti trova ancora a' miei colli, o Loren-zo, non la mostrare a Teresa. Non le parlare di me – sete ne chiede, dille ch'io vivo, ch'io vivo ancora – non leparlare insomma di me. Ma io te lo confesso: mi com-piaccio delle mie infermità: io stesso palpo le mie feritedove sono più mortali, e cerco d'esulcerarle, e le con-templo insanguinate – e mi pare che i miei martirj rechi-no qualche espiazione alle mie colpe, e un breve refrige-rio a' dolori di quella innocente.

Firenze, 25 Settembre

In queste terre beate si ridestarono dalla barbarie lesacre Muse e le lettere. Dovunque io mi volga, trovo lecase ove nacquero, e le pie zolle dove riposano que' pri-mi grandi Toscani: ad ogni passo ho timore di calpestarele loro reliquie. La Toscana è tuttaquanta una città conti-nuata, e un giardino; il popolo naturalmente gentile; ilcielo sereno; e l'aria piena di vita e di salute. Ma l'amicotuo non trova requie: spero sempre – domani, nel paesevicino – e il domani viene, ed eccomi di città in città, emi pesa sempre più questo stato di esilio e di solitudine.– Neppure mi è conceduto di proseguire il mio viaggio:avea decretato di andare a Roma a prostrarmi su le reli-quie della nostra grandezza. Mi negano il passaporto;quello già mandatomi da mia madre è per Milano: e qui,come s'io fossi venuto a congiurare, mi hanno circuitocon mille interrogazioni: non avran torto; ma io rispon-

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derò domani, partendo. – Così noi tutti Italiani siamofuorusciti e stranieri in Italia: e lontani appena dal no-stro territoriuccio, né ingegno, né fama, né illibati costu-mi ci sono di scudo: e guai se t'attenti di mostrare unadramma di sublime coraggio! Sbanditi appena dalle no-stre porte, non troviamo chi ne raccolga. Spogliati dagliuni, scherniti dagli altri, traditi sempre da tutti, abbando-nati da' nostri medesimi concittadini, i quali anzichécompiangersi e soccorrersi nella comune calamità, guar-dano come barbari tutti quegl'Italiani che non sono dellaloro provincia, e dalle cui membra non suonano le stessecatene – dimmi, Lorenzo, quale asilo ci resta? Le nostremessi hanno arricchiti nostri dominatori; ma le nostreterre non somministrano né tugurj né pane a tanti Italia-ni che la rivoluzione ha balestrati fuori dal cielo natio, eche languenti di fame e di stanchezza hanno sempreall'orecchio il solo, il supremo consigliere dell'uomo de-stituto da tutta la natura, il delitto! Per noi dunque qualeasilo più resta, fuorché il deserto, e la tomba? – e la vil-tà! e chi più si avvilisce più vive forse; ma vituperoso ase stesso, e deriso da quei tiranni medesimi a cui si ven-de, e da' quali sarà un dì trafficato.

Ho corsa tutta Toscana. Tutti i monti e tutti i campisono insigni per le fraterne battaglie di quattro secoli ad-dietro; i cadaveri intanto d'infiniti Italiani ammazzatisihanno fatte le fondamenta a' troni degl'Imperadori e de'Papi. Sono salito a Monteaperto dove è infame ancor la

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derò domani, partendo. – Così noi tutti Italiani siamofuorusciti e stranieri in Italia: e lontani appena dal no-stro territoriuccio, né ingegno, né fama, né illibati costu-mi ci sono di scudo: e guai se t'attenti di mostrare unadramma di sublime coraggio! Sbanditi appena dalle no-stre porte, non troviamo chi ne raccolga. Spogliati dagliuni, scherniti dagli altri, traditi sempre da tutti, abbando-nati da' nostri medesimi concittadini, i quali anzichécompiangersi e soccorrersi nella comune calamità, guar-dano come barbari tutti quegl'Italiani che non sono dellaloro provincia, e dalle cui membra non suonano le stessecatene – dimmi, Lorenzo, quale asilo ci resta? Le nostremessi hanno arricchiti nostri dominatori; ma le nostreterre non somministrano né tugurj né pane a tanti Italia-ni che la rivoluzione ha balestrati fuori dal cielo natio, eche languenti di fame e di stanchezza hanno sempreall'orecchio il solo, il supremo consigliere dell'uomo de-stituto da tutta la natura, il delitto! Per noi dunque qualeasilo più resta, fuorché il deserto, e la tomba? – e la vil-tà! e chi più si avvilisce più vive forse; ma vituperoso ase stesso, e deriso da quei tiranni medesimi a cui si ven-de, e da' quali sarà un dì trafficato.

Ho corsa tutta Toscana. Tutti i monti e tutti i campisono insigni per le fraterne battaglie di quattro secoli ad-dietro; i cadaveri intanto d'infiniti Italiani ammazzatisihanno fatte le fondamenta a' troni degl'Imperadori e de'Papi. Sono salito a Monteaperto dove è infame ancor la

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memoria della sconfitta de' Guelfi16. – Albeggiava appe-na un crepuscolo di giorno, e in quel mesto silenzio, e inquella oscurità fredda, con l'anima investita da tutte leantiche e fiere sventure che sbranano la nostra patria – omio Lorenzo! io mi sono sentito abbrividire, e rizzare icapelli; io gridava dall'alto con voce minacciosa e spa-ventata. E mi parea che salissero e scendessero dalle viedirupate della montagna le ombre di tutti que' Toscaniche si erano uccisi; con le spade e le vesti insanguinate;guatarsi biechi, e fremere tempestosamente, e azzuffarsie lacerarsi le antiche ferite. – O! per chi quel sangue? ilfigliuolo tronca il capo al padre e lo squassa per le chio-me – e per chi tanta scellerata carnificina? I re per cui vitrucidate si stringono nel bollor della zuffa le destre epacificamente si dividono le vostre vesti e il vostro ter-reno. – Urlando io fuggiva precipitosamente guatando-mi dietro. E quelle orride fantasie mi seguitavano sem-pre – e ancora quando io mi trovo solo di notte mi sentoattorno quegli spettri, e con essi uno spettro più tremen-do di tutti, e ch'io solo conosco. – E perché io debbodunque, o mia patria, accusarti sempre e compiangerti,senza niuna speranza di poterti emendare o di soccorrer-ti mai?

16 “Dante accenna questa battaglia nel X dell'Inferno; e queiversi forse suggerirono all'Ortis di visitare Montaperto. Ma il let-tore può trarne ampie notizie dalle croniche di G. Villani, lib. IV,83.”

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memoria della sconfitta de' Guelfi16. – Albeggiava appe-na un crepuscolo di giorno, e in quel mesto silenzio, e inquella oscurità fredda, con l'anima investita da tutte leantiche e fiere sventure che sbranano la nostra patria – omio Lorenzo! io mi sono sentito abbrividire, e rizzare icapelli; io gridava dall'alto con voce minacciosa e spa-ventata. E mi parea che salissero e scendessero dalle viedirupate della montagna le ombre di tutti que' Toscaniche si erano uccisi; con le spade e le vesti insanguinate;guatarsi biechi, e fremere tempestosamente, e azzuffarsie lacerarsi le antiche ferite. – O! per chi quel sangue? ilfigliuolo tronca il capo al padre e lo squassa per le chio-me – e per chi tanta scellerata carnificina? I re per cui vitrucidate si stringono nel bollor della zuffa le destre epacificamente si dividono le vostre vesti e il vostro ter-reno. – Urlando io fuggiva precipitosamente guatando-mi dietro. E quelle orride fantasie mi seguitavano sem-pre – e ancora quando io mi trovo solo di notte mi sentoattorno quegli spettri, e con essi uno spettro più tremen-do di tutti, e ch'io solo conosco. – E perché io debbodunque, o mia patria, accusarti sempre e compiangerti,senza niuna speranza di poterti emendare o di soccorrer-ti mai?

16 “Dante accenna questa battaglia nel X dell'Inferno; e queiversi forse suggerirono all'Ortis di visitare Montaperto. Ma il let-tore può trarne ampie notizie dalle croniche di G. Villani, lib. IV,83.”

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Milano, 27 Ottobre

Ti scrissi da Parma; e poi da Milano il dì ch'io cigiunsi: la settimana addietro ti scrissi una lettera lun-ghissima. Come dunque la tua mi capita sì tarda, e per lavia di Toscana d'onde partii sino dai 28 Settembre? mimorde un sospetto: le nostre lettere sono intercette. I go-verni millantano la sicurezza delle sostanze; ma invado-no intanto il secreto, la preziosissima di tutte le proprie-tà: vietano le tacite querele; e profanano l'asilo sacro chele sventure cercano nel petto dell'amicizia. Sia pure! iomel dovea prevedere: ma que' loro manigoldi non an-dranno più a caccia delle nostre parole e de' nostri pen-sieri. Troverò compenso perché le nostre lettere d'ora inpoi viaggino inviolate.

Tu mi chiedi novelle di Giuseppe Parini: serba la suagenerosa fierezza, ma parmi sgomentato dai tempi e dal-la vecchiaja. Andandolo a visitare, lo incontrai su laporta delle sue stanze mentre egli strascinavasi per usci-re. Mi ravvisò; e fermatosi sul suo bastone, mi posò lamano su la spalla, dicendomi: Tu vieni a rivederequest'animoso cavallo che si sente nel cuore la superbiadella sua bella gioventù; ma che ora stramazza fra via esi rialza soltanto per le battiture della fortuna. – E' pa-venta di essere cacciato dalla sua cattedra, e di trovarsicostretto dopo settanta anni di studj e di gloria ad ago-nizzare elemosinando.

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Milano, 27 Ottobre

Ti scrissi da Parma; e poi da Milano il dì ch'io cigiunsi: la settimana addietro ti scrissi una lettera lun-ghissima. Come dunque la tua mi capita sì tarda, e per lavia di Toscana d'onde partii sino dai 28 Settembre? mimorde un sospetto: le nostre lettere sono intercette. I go-verni millantano la sicurezza delle sostanze; ma invado-no intanto il secreto, la preziosissima di tutte le proprie-tà: vietano le tacite querele; e profanano l'asilo sacro chele sventure cercano nel petto dell'amicizia. Sia pure! iomel dovea prevedere: ma que' loro manigoldi non an-dranno più a caccia delle nostre parole e de' nostri pen-sieri. Troverò compenso perché le nostre lettere d'ora inpoi viaggino inviolate.

Tu mi chiedi novelle di Giuseppe Parini: serba la suagenerosa fierezza, ma parmi sgomentato dai tempi e dal-la vecchiaja. Andandolo a visitare, lo incontrai su laporta delle sue stanze mentre egli strascinavasi per usci-re. Mi ravvisò; e fermatosi sul suo bastone, mi posò lamano su la spalla, dicendomi: Tu vieni a rivederequest'animoso cavallo che si sente nel cuore la superbiadella sua bella gioventù; ma che ora stramazza fra via esi rialza soltanto per le battiture della fortuna. – E' pa-venta di essere cacciato dalla sua cattedra, e di trovarsicostretto dopo settanta anni di studj e di gloria ad ago-nizzare elemosinando.

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Milano, 11 Novembre

Chiesi la vita di Benvenuto Cellini a un librajo – Nonl'abbiamo. Lo richiesi di un altro scrittore; e allora quasidispettoso mi disse, ch'ei non vendeva libri italiani. Lagente civile parla elegantemente francese, e appena in-tende lo schietto toscano. I pubblici atti e le leggi sonoscritte in una cotal lingua bastarda che le ignude frasisuggellano la ignoranza e la servitù di chi le detta. I De-mosteni Cisalpini disputarono caldamente nel loro sena-to per esiliare con sentenza capitale dalla repubblica lalingua greca e la latina. S'è creata una legge che aveal'unico fine di sbandire da ogni impiego il matematicoGregorio Fontana, e Vincenzo Monti, poeta; non socos'abbiano scritto contro alla Libertà, prima che fossediscesa a prostituirsi in Italia; so che sono presti a scri-vere anche per essa. E quale pur fosse la loro colpa, laingiustizia della punizione li assolve, e la solennitàd'una legge creata per due soli individui accresce la lorocelebrità. – Chiesi ov'erano le sale de' Consiglj Legisla-tivi: pochi m'intesero; pochissimi mi risposero; e niunoseppe insegnarmi.

Milano, 4 Dicembre

Siati questa l'unica risposta a' tuoi consiglj. In tutti ipaesi ho veduto gli uomini sempre di tre sorta: i pochiche comandano; l'universalità che serve; e i molti chebrigano. Noi non possiam comandare, né forse siam tan-

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Milano, 11 Novembre

Chiesi la vita di Benvenuto Cellini a un librajo – Nonl'abbiamo. Lo richiesi di un altro scrittore; e allora quasidispettoso mi disse, ch'ei non vendeva libri italiani. Lagente civile parla elegantemente francese, e appena in-tende lo schietto toscano. I pubblici atti e le leggi sonoscritte in una cotal lingua bastarda che le ignude frasisuggellano la ignoranza e la servitù di chi le detta. I De-mosteni Cisalpini disputarono caldamente nel loro sena-to per esiliare con sentenza capitale dalla repubblica lalingua greca e la latina. S'è creata una legge che aveal'unico fine di sbandire da ogni impiego il matematicoGregorio Fontana, e Vincenzo Monti, poeta; non socos'abbiano scritto contro alla Libertà, prima che fossediscesa a prostituirsi in Italia; so che sono presti a scri-vere anche per essa. E quale pur fosse la loro colpa, laingiustizia della punizione li assolve, e la solennitàd'una legge creata per due soli individui accresce la lorocelebrità. – Chiesi ov'erano le sale de' Consiglj Legisla-tivi: pochi m'intesero; pochissimi mi risposero; e niunoseppe insegnarmi.

Milano, 4 Dicembre

Siati questa l'unica risposta a' tuoi consiglj. In tutti ipaesi ho veduto gli uomini sempre di tre sorta: i pochiche comandano; l'universalità che serve; e i molti chebrigano. Noi non possiam comandare, né forse siam tan-

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to scaltri; noi non siam ciechi, né vogliamo ubbidire; noinon ci degniamo di brigare. E il meglio è vivere comeque' cani senza padrone a' quali non toccano né tozzi népercosse. – Che vuoi tu ch'io accatti protezioni ed im-pieghi in uno Stato ov'io sono reputato straniero, e don-de il capriccio di ogni spia può farmi sfrattare? Tu miesalti sempre il mio ingegno; sai tu quanto io vaglio? népiù né meno di ciò che vale la mia entrata: se per altroio non facessi il letterato di corte, rintuzzando quel no-bile ardire che irrita i potenti, e dissimulando la virtù ela scienza, per non rimproverarli della loro ignoranza, edelle loro scelleraggini. Letterati! – O! tu dirai, così daper tutto. – E sia così: lascio il mondo com'è; ma s'io do-vessi impacciarmente vorrei o che gli uomini mutasseromodo, o che mi facessero mozzare il capo sul palco; equesto mi pare più facile. Non che i tirannetti non si av-veggano delle brighe; ma gli uomini balzati da' trivj altrono hanno d'uopo di faziosi che poi non possono con-tenere. Gonfj del presente, spensierati dell'avvenire, po-veri di fama, di coraggio e d'ingegno, si armano di adu-latori e di satelliti, da' quali, quantunque spesso traditi ederisi, non sanno più svilupparsi: perpetua ruota di ser-vitù, di licenza e di tirannia. Per essere padroni e ladridel popolo conviene prima lasciarsi opprimere, depreda-re, e conviene leccare la spada grondante del tuo san-gue. Così potrei forse procacciarmi una carica, qualchemigliajo di scudi ogni anno di più, rimorsi, ed infamia.Odilo un'altra volta: Non reciterò mai la parte del pic-colo briccone.

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to scaltri; noi non siam ciechi, né vogliamo ubbidire; noinon ci degniamo di brigare. E il meglio è vivere comeque' cani senza padrone a' quali non toccano né tozzi népercosse. – Che vuoi tu ch'io accatti protezioni ed im-pieghi in uno Stato ov'io sono reputato straniero, e don-de il capriccio di ogni spia può farmi sfrattare? Tu miesalti sempre il mio ingegno; sai tu quanto io vaglio? népiù né meno di ciò che vale la mia entrata: se per altroio non facessi il letterato di corte, rintuzzando quel no-bile ardire che irrita i potenti, e dissimulando la virtù ela scienza, per non rimproverarli della loro ignoranza, edelle loro scelleraggini. Letterati! – O! tu dirai, così daper tutto. – E sia così: lascio il mondo com'è; ma s'io do-vessi impacciarmente vorrei o che gli uomini mutasseromodo, o che mi facessero mozzare il capo sul palco; equesto mi pare più facile. Non che i tirannetti non si av-veggano delle brighe; ma gli uomini balzati da' trivj altrono hanno d'uopo di faziosi che poi non possono con-tenere. Gonfj del presente, spensierati dell'avvenire, po-veri di fama, di coraggio e d'ingegno, si armano di adu-latori e di satelliti, da' quali, quantunque spesso traditi ederisi, non sanno più svilupparsi: perpetua ruota di ser-vitù, di licenza e di tirannia. Per essere padroni e ladridel popolo conviene prima lasciarsi opprimere, depreda-re, e conviene leccare la spada grondante del tuo san-gue. Così potrei forse procacciarmi una carica, qualchemigliajo di scudi ogni anno di più, rimorsi, ed infamia.Odilo un'altra volta: Non reciterò mai la parte del pic-colo briccone.

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Tanto e tanto so di essere calpestato; ma almen fra laturba immensa de' miei conservi, simile a quegli insettiche sono sbadatamente schiacciati da chi passeggia.Non mi glorio come tanti altri della servitù; né i miei ti-ranni si pasceranno del mio avvilimento. Serbino ad al-tri le loro ingiurie e i lor beneficj; e' vi son tanti che purvi agognano! Io fuggirò il vituperio morendo ignoto. Equando io fossi costretto ad uscire dalla mia oscurità –anziché mostrarmi fortunato stromento della licenza odella tirannide, torrei d'essere vittima deplorata.

Che se mi mancasse il pane e il fuoco, e questa che tumi additi fosse l'unica sorgente di vita – cessi il cieloch'io insulti alla necessità di tanti altri che non potrebbe-ro imitarmi – davvero, Lorenzo, io me n'andrei alla pa-tria di tutti, dove non vi sono né delatori, né conquista-tori, né letterati di corte, né principi; dove le ricchezzenon coronano il delitto; dove il misero non è giustiziatonon per altro se non perché è misero; dove un dì o l'altroverranno tutti ad abitare con me e a rimescolarsi nellamateria, sotterra.

Aggrappandomi sul dirupo della vita, sieguo alle vol-te un lume ch'io scorgo da lontano e che non posso rag-giungere mai. Anzi mi pare che s'io fossi con tutto ilcorpo dentro la fossa, e che rimanessi sopra terra sola-mente col capo, mi vedrei sempre quel lume sfolgoraresugli occhi. O Gloria! tu mi corri sempre dinanzi, e cosìmi lusinghi a un viaggio a cui le mie piante non reggonopiù. Ma dal giorno che tu più non sei la mia sola e primapassione, il tuo risplendente fantasma comincia a spe-

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Tanto e tanto so di essere calpestato; ma almen fra laturba immensa de' miei conservi, simile a quegli insettiche sono sbadatamente schiacciati da chi passeggia.Non mi glorio come tanti altri della servitù; né i miei ti-ranni si pasceranno del mio avvilimento. Serbino ad al-tri le loro ingiurie e i lor beneficj; e' vi son tanti che purvi agognano! Io fuggirò il vituperio morendo ignoto. Equando io fossi costretto ad uscire dalla mia oscurità –anziché mostrarmi fortunato stromento della licenza odella tirannide, torrei d'essere vittima deplorata.

Che se mi mancasse il pane e il fuoco, e questa che tumi additi fosse l'unica sorgente di vita – cessi il cieloch'io insulti alla necessità di tanti altri che non potrebbe-ro imitarmi – davvero, Lorenzo, io me n'andrei alla pa-tria di tutti, dove non vi sono né delatori, né conquista-tori, né letterati di corte, né principi; dove le ricchezzenon coronano il delitto; dove il misero non è giustiziatonon per altro se non perché è misero; dove un dì o l'altroverranno tutti ad abitare con me e a rimescolarsi nellamateria, sotterra.

Aggrappandomi sul dirupo della vita, sieguo alle vol-te un lume ch'io scorgo da lontano e che non posso rag-giungere mai. Anzi mi pare che s'io fossi con tutto ilcorpo dentro la fossa, e che rimanessi sopra terra sola-mente col capo, mi vedrei sempre quel lume sfolgoraresugli occhi. O Gloria! tu mi corri sempre dinanzi, e cosìmi lusinghi a un viaggio a cui le mie piante non reggonopiù. Ma dal giorno che tu più non sei la mia sola e primapassione, il tuo risplendente fantasma comincia a spe-

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gnersi e a barcollare – cade e si risolve in un mucchiod'ossa e di ceneri fra le quali io veggio sfavillar trattotratto alcuni languidi raggi; ma ben presto io passeròcamminando sopra il tuo scheletro, sorridendo della miadelusa ambizione. – Quante volte vergognando di mori-re ignoto al mio secolo ho accarezzato io medesimo lemie angosce mentre mi sentiva tutto il bisogno e il co-raggio di terminarle! Né avrei forse sopravvissuto allamia patria, se non mi avesse rattenuto il folle timore,che la pietra posta sopra il mio cadavere non seppellissead un tempo il mio nome. Lo confesso; sovente ho guar-dato con una specie di compiacenza le miserie d'Italia,poiché mi parea che la fortuna e il mio ardire riserbasse-ro forse anche a me il merito di liberarla. Io lo diceva jersera al Parini – addio: ecco il messo del banchiere cheviene a pigliar questa lettera; e il foglio tutto pieno midice di finire. – Pur ho a dirti ancora assai cose: protrar-rò di spedirtela sino a sabbato; e continuerò a scriverti.Dopo tanti anni di sì affettuosa e leale amicizia, eccoci,e forse eternamente, disgiunti. A me non resta altro con-forto che di gemere teco scrivendoti; e così mi libero al-quanto da' miei pensieri; e la mia solitudine diventa as-sai meno spaventosa. Sai quante notti io mi risveglio, em'alzo, e aggirandomi lentamente per le stanze t'invoco!siedo e ti scrivo; e quelle carte sono tutte macchiate dipianto e piene de' miei pietosi delirj e de' miei ferociproponimenti. Ma non mi dà il cuore d'inviartele. Neserbo taluna, e molte ne brucio. Quando poi il Cielo mimanda questi momenti di calma, io ti scrivo con quanto

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gnersi e a barcollare – cade e si risolve in un mucchiod'ossa e di ceneri fra le quali io veggio sfavillar trattotratto alcuni languidi raggi; ma ben presto io passeròcamminando sopra il tuo scheletro, sorridendo della miadelusa ambizione. – Quante volte vergognando di mori-re ignoto al mio secolo ho accarezzato io medesimo lemie angosce mentre mi sentiva tutto il bisogno e il co-raggio di terminarle! Né avrei forse sopravvissuto allamia patria, se non mi avesse rattenuto il folle timore,che la pietra posta sopra il mio cadavere non seppellissead un tempo il mio nome. Lo confesso; sovente ho guar-dato con una specie di compiacenza le miserie d'Italia,poiché mi parea che la fortuna e il mio ardire riserbasse-ro forse anche a me il merito di liberarla. Io lo diceva jersera al Parini – addio: ecco il messo del banchiere cheviene a pigliar questa lettera; e il foglio tutto pieno midice di finire. – Pur ho a dirti ancora assai cose: protrar-rò di spedirtela sino a sabbato; e continuerò a scriverti.Dopo tanti anni di sì affettuosa e leale amicizia, eccoci,e forse eternamente, disgiunti. A me non resta altro con-forto che di gemere teco scrivendoti; e così mi libero al-quanto da' miei pensieri; e la mia solitudine diventa as-sai meno spaventosa. Sai quante notti io mi risveglio, em'alzo, e aggirandomi lentamente per le stanze t'invoco!siedo e ti scrivo; e quelle carte sono tutte macchiate dipianto e piene de' miei pietosi delirj e de' miei ferociproponimenti. Ma non mi dà il cuore d'inviartele. Neserbo taluna, e molte ne brucio. Quando poi il Cielo mimanda questi momenti di calma, io ti scrivo con quanto

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più di fermezza mi è possibile per non contristarti delmio immenso dolore. Né mi stancherò di scriverti;tutt'altro conforto è perduto; né tu, mio Lorenzo, ti stan-cherai di leggere queste carte ch'io senza vanità, senzastudio e senza rossore ti ho sempre scritto ne' sommipiaceri e ne' sommi dolori dell'anima mia. Serbale. Pre-sento che un dì ti saranno necessarie per vivere, almenocome potrai, col tuo Jacopo.

Jer sera dunque io passeggiava con quel vecchio ve-nerando nel sobborgo orientale della città sotto un bo-schetto di tigli. Egli si sosteneva da una parte sul miobraccio, dall'altra sul suo bastone: e talora guardava glistorpj suoi piedi, e poi senza dire parola volgevasi a me,quasi si dolesse di quella sua infermità, e mi ringrazias-se della pazienza con la quale io lo accompagnava.S'assise sopra uno di que' sedili ed io con lui: il suo ser-vo ci stava poco discosto. Il Parini è il personaggio piùdignitoso e più eloquente ch'io m'abbia mai conosciuto;e d'altronde un profondo, generoso, meditato dolore achi non dà somma eloquenza? Mi parlò a lungo dellasua patria, e fremeva e per le antiche tirannidi e per lanuova licenza. Le lettere prostituite; tutte le passionilanguenti e degenerate in una indolente vilissima corru-zione: non più la sacra ospitalità, non la benevolenza,non più l'amore figliale – e poi mi tesseva gli annali re-centi, e i delitti di tanti uomiciattoli ch'io degnerei di no-minare, se le loro scelleraggini mostrassero il vigored'animo, non dirò di Silla e di Catilina, ma di quegli ani-mosi masnadieri che affrontano il misfatto quantunque

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più di fermezza mi è possibile per non contristarti delmio immenso dolore. Né mi stancherò di scriverti;tutt'altro conforto è perduto; né tu, mio Lorenzo, ti stan-cherai di leggere queste carte ch'io senza vanità, senzastudio e senza rossore ti ho sempre scritto ne' sommipiaceri e ne' sommi dolori dell'anima mia. Serbale. Pre-sento che un dì ti saranno necessarie per vivere, almenocome potrai, col tuo Jacopo.

Jer sera dunque io passeggiava con quel vecchio ve-nerando nel sobborgo orientale della città sotto un bo-schetto di tigli. Egli si sosteneva da una parte sul miobraccio, dall'altra sul suo bastone: e talora guardava glistorpj suoi piedi, e poi senza dire parola volgevasi a me,quasi si dolesse di quella sua infermità, e mi ringrazias-se della pazienza con la quale io lo accompagnava.S'assise sopra uno di que' sedili ed io con lui: il suo ser-vo ci stava poco discosto. Il Parini è il personaggio piùdignitoso e più eloquente ch'io m'abbia mai conosciuto;e d'altronde un profondo, generoso, meditato dolore achi non dà somma eloquenza? Mi parlò a lungo dellasua patria, e fremeva e per le antiche tirannidi e per lanuova licenza. Le lettere prostituite; tutte le passionilanguenti e degenerate in una indolente vilissima corru-zione: non più la sacra ospitalità, non la benevolenza,non più l'amore figliale – e poi mi tesseva gli annali re-centi, e i delitti di tanti uomiciattoli ch'io degnerei di no-minare, se le loro scelleraggini mostrassero il vigored'animo, non dirò di Silla e di Catilina, ma di quegli ani-mosi masnadieri che affrontano il misfatto quantunque

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e' si vedano presso il patibolo – ma ladroncelli, tremanti,saccenti – più onesto insomma è tacerne. – A quelle pa-role io m'infiammava di un sovrumano furore, e sorgevagridando: Ché non si tenta? morremo? ma frutterà dalnostro sangue il vendicatore. – Egli mi guardò attonito:gli occhi miei in quel dubbio chiarore scintillavano spa-ventosi, e il mio dimesso e pallido aspetto si rialzò conaria minaccevole – io taceva, ma si sentiva ancora unfremito rumoreggiare cupamente dentro il mio petto. Eripresi: Non avremo salute mai? ah se gli uomini si con-ducessero sempre al fianco la morte, non servirebbero sìvilmente. – Il Parini non apria bocca; ma stringendomi ilbraccio, mi guardava ogni ora più fisso. Poi mi trasse,come accennandomi perch'io tornassi a sedermi: E pen-si, tu, proruppe, che s'io discernessi un barlume di liber-tà, mi perderei ad onta della mia inferma vecchiaja inquesti vani lamenti? o giovine degno di patria più grata!se non puoi spegnere quel tuo ardore fatale, ché non lovolgi ad altre passioni?

Allora io guardai nel passato – allora io mi voltavaavidamente al futuro, ma io errava sempre nel vano e lemie braccia tornavano deluse senza pur mai stringerenulla; e conobbi tutta tutta la disperazione del mio stato.Narrai a quel generoso Italiano la storia delle mie pas-sioni, e gli dipinsi Teresa come uno di que' genj celesti iquali par che discendano a illuminare la stanza tenebro-sa di questa vita. E alle mie parole e al mio pianto, ilvecchio pietoso più volte sospirò dal cuore profondo. –No, io gli dissi, non veggo più che il sepolcro: sono fi-

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e' si vedano presso il patibolo – ma ladroncelli, tremanti,saccenti – più onesto insomma è tacerne. – A quelle pa-role io m'infiammava di un sovrumano furore, e sorgevagridando: Ché non si tenta? morremo? ma frutterà dalnostro sangue il vendicatore. – Egli mi guardò attonito:gli occhi miei in quel dubbio chiarore scintillavano spa-ventosi, e il mio dimesso e pallido aspetto si rialzò conaria minaccevole – io taceva, ma si sentiva ancora unfremito rumoreggiare cupamente dentro il mio petto. Eripresi: Non avremo salute mai? ah se gli uomini si con-ducessero sempre al fianco la morte, non servirebbero sìvilmente. – Il Parini non apria bocca; ma stringendomi ilbraccio, mi guardava ogni ora più fisso. Poi mi trasse,come accennandomi perch'io tornassi a sedermi: E pen-si, tu, proruppe, che s'io discernessi un barlume di liber-tà, mi perderei ad onta della mia inferma vecchiaja inquesti vani lamenti? o giovine degno di patria più grata!se non puoi spegnere quel tuo ardore fatale, ché non lovolgi ad altre passioni?

Allora io guardai nel passato – allora io mi voltavaavidamente al futuro, ma io errava sempre nel vano e lemie braccia tornavano deluse senza pur mai stringerenulla; e conobbi tutta tutta la disperazione del mio stato.Narrai a quel generoso Italiano la storia delle mie pas-sioni, e gli dipinsi Teresa come uno di que' genj celesti iquali par che discendano a illuminare la stanza tenebro-sa di questa vita. E alle mie parole e al mio pianto, ilvecchio pietoso più volte sospirò dal cuore profondo. –No, io gli dissi, non veggo più che il sepolcro: sono fi-

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glio di madre affettuosa e benefica; spesse volte mi sem-brò di vederla calcare tremando le mie pedate e seguir-mi fino a sommo il monte, donde io stava per diruparmi,e mentre era quasi con tutto il corpo abbandonatonell'aria – essa afferravami per la falda delle vesti, e miritraeva, ed io volgendomi non udiva più che il suopianto. Pure s'ella – spiasse tutti gli occulti miei guai,implorerebbe ella stessa dal Cielo il termine degli ansio-si miei giorni. Ma l'unica fiamma vitale che anima anco-ra questo travagliato mio corpo, è la speranza di tentarela libertà della patria. – Egli sorrise mestamente; e poi-ché s'accorse che la mia voce infiochiva, e i miei sguar-di si abbassavano immoti sul suolo, ricominciò: – Forsequesto tuo furore di gloria potrebbe trarti a difficili im-prese; ma – credimi; la fama degli eroi spetta un quartoalla loro audacia; due quarti alla sorte; e l'altro quarto a'loro delitti. Pur se ti reputi bastevolmente fortunato ecrudele per aspirare a questa gloria, pensi tu che i tempite ne porgano i mezzi? I gemiti di tutte le età, e questogiogo della nostra patria non ti hanno per anco insegna-to che non si dee aspettare libertà dallo straniero?Chiunque s'intrica nelle faccende di un paese conquista-to non ritrae che il pubblico danno, e la propria infamia.Quando e doveri e diritti stanno su la punta della spada,il forte scrive le leggi col sangue e pretende il sacrificiodella virtù. E allora? avrai tu la fama e il valore di Anni-bale che profugo cercava per l'universo un nemico alpopolo Romano? – Né ti sarà dato di essere giusto im-punemente. Un giovine dritto e bollente di cuore, ma

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glio di madre affettuosa e benefica; spesse volte mi sem-brò di vederla calcare tremando le mie pedate e seguir-mi fino a sommo il monte, donde io stava per diruparmi,e mentre era quasi con tutto il corpo abbandonatonell'aria – essa afferravami per la falda delle vesti, e miritraeva, ed io volgendomi non udiva più che il suopianto. Pure s'ella – spiasse tutti gli occulti miei guai,implorerebbe ella stessa dal Cielo il termine degli ansio-si miei giorni. Ma l'unica fiamma vitale che anima anco-ra questo travagliato mio corpo, è la speranza di tentarela libertà della patria. – Egli sorrise mestamente; e poi-ché s'accorse che la mia voce infiochiva, e i miei sguar-di si abbassavano immoti sul suolo, ricominciò: – Forsequesto tuo furore di gloria potrebbe trarti a difficili im-prese; ma – credimi; la fama degli eroi spetta un quartoalla loro audacia; due quarti alla sorte; e l'altro quarto a'loro delitti. Pur se ti reputi bastevolmente fortunato ecrudele per aspirare a questa gloria, pensi tu che i tempite ne porgano i mezzi? I gemiti di tutte le età, e questogiogo della nostra patria non ti hanno per anco insegna-to che non si dee aspettare libertà dallo straniero?Chiunque s'intrica nelle faccende di un paese conquista-to non ritrae che il pubblico danno, e la propria infamia.Quando e doveri e diritti stanno su la punta della spada,il forte scrive le leggi col sangue e pretende il sacrificiodella virtù. E allora? avrai tu la fama e il valore di Anni-bale che profugo cercava per l'universo un nemico alpopolo Romano? – Né ti sarà dato di essere giusto im-punemente. Un giovine dritto e bollente di cuore, ma

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povero di ricchezze, ed incauto d'ingegno quale sei tu,sarà sempre o l'ordigno del fazioso, o la vittima del po-tente. E dove tu nelle pubbliche cose possa preservartiincontaminato dalla comune bruttura, oh! tu sarai alta-mente laudato; ma spento poscia dal pugnale notturnodella calunnia; la tua prigione sarà abbandonata da' tuoiamici, e il tuo sepolcro degnato appena di un secreto so-spiro. – Ma poniamo che tu superando e la prepotenzadegli stranieri e la malignità de' tuoi concittadini e lacorruzione de' tempi, potessi aspirare al tuo intento; di'?spargerai tutto il sangue col quale conviene nutrire unanascente repubblica? arderai le tue case con le faci dellaguerra civile? unirai col terrore i partiti? spegnerai conla morte le opinioni? adeguerai con le stragi le fortune?ma se tu cadi tra via, vediti esecrato dagli uni come de-magogo, dagli altri come tiranno. Gli amori della molti-tudine sono brevi ed infausti; giudica, più che dall'inten-to, dalla fortuna; chiama virtù il delitto utile, e scellerag-gine l'onestà che le pare dannosa; e per avere i suoiplausi, conviene o atterrirla, o ingrassarla, e ingannarlasempre. E ciò sia. Potrai tu allora inorgoglito dalla ster-minata fortuna reprimere in te la libidine del supremopotere che ti sarà fomentata e dal sentimento della tuasuperiorità, e della conoscenza del comune avvilimento?I mortali sono naturalmente schiavi, naturalmente tiran-ni, naturalmente ciechi. Intento tu allora a puntellare iltuo trono, di filosofo saresti fatto tiranno; e per pochianni di possanza e di tremore, avresti perduta la tuapace, e confuso il tuo nome fra la immensa turba dei de-

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povero di ricchezze, ed incauto d'ingegno quale sei tu,sarà sempre o l'ordigno del fazioso, o la vittima del po-tente. E dove tu nelle pubbliche cose possa preservartiincontaminato dalla comune bruttura, oh! tu sarai alta-mente laudato; ma spento poscia dal pugnale notturnodella calunnia; la tua prigione sarà abbandonata da' tuoiamici, e il tuo sepolcro degnato appena di un secreto so-spiro. – Ma poniamo che tu superando e la prepotenzadegli stranieri e la malignità de' tuoi concittadini e lacorruzione de' tempi, potessi aspirare al tuo intento; di'?spargerai tutto il sangue col quale conviene nutrire unanascente repubblica? arderai le tue case con le faci dellaguerra civile? unirai col terrore i partiti? spegnerai conla morte le opinioni? adeguerai con le stragi le fortune?ma se tu cadi tra via, vediti esecrato dagli uni come de-magogo, dagli altri come tiranno. Gli amori della molti-tudine sono brevi ed infausti; giudica, più che dall'inten-to, dalla fortuna; chiama virtù il delitto utile, e scellerag-gine l'onestà che le pare dannosa; e per avere i suoiplausi, conviene o atterrirla, o ingrassarla, e ingannarlasempre. E ciò sia. Potrai tu allora inorgoglito dalla ster-minata fortuna reprimere in te la libidine del supremopotere che ti sarà fomentata e dal sentimento della tuasuperiorità, e della conoscenza del comune avvilimento?I mortali sono naturalmente schiavi, naturalmente tiran-ni, naturalmente ciechi. Intento tu allora a puntellare iltuo trono, di filosofo saresti fatto tiranno; e per pochianni di possanza e di tremore, avresti perduta la tuapace, e confuso il tuo nome fra la immensa turba dei de-

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spoti. – Ti avanza ancora un seggio fra' capitani; il qualesi afferra per mezzo di un ardire feroce, di una aviditàche rapisce per profondere, e spesso di una viltà per cuisi lambe la mano che t'aita a salire. Ma – o figliuolo!l'umanità geme al nascere di un conquistatore; e non haper conforto se non la speranza di sorridere su la suabara. –

Tacque – ed io dopo lunghissimo silenzio esclamai: OCocceo Nerva! tu almeno sapevi morire incontamina-to17. – Il vecchio mi guardò – Se tu né speri, né temifuori di questo mondo – e mi stringeva la mano – ma io!– Alzò gli occhi al Cielo, e quella severa sua fisionomiasi raddolciva di soave conforto, come s'ei lassù contem-plasse tutte le tue speranze. – Intesi un calpestio ches'avanzava verso di noi; e poi travidi gente fra' tiglj; cirizzammo; e l'accompagnai sino alle sue stanze.

Ah s'io non mi sentissi oramai spento quel fuoco cele-ste che nel tempo della fresca mia gioventù spargevaraggi su tutte le cose che mi stavano intorno, mentreoggi vo brancolando in una vota oscurità! s'io potessi

17 “Questa esclamazione dell'Ortis dee mirare a quel passo diTacito: "Cocceo Nerva, assiduo col Principe, in tutta umana e di-vina ragione dottissimo, florido di fortuna e di vita, si pose incuor di morire. Tiberio il riseppe, e instò interrogandolo, pregan-dolo sino a confessare che gli sarebbe di rimorso e di macchia seil suo famigliarissimo amico fuggisse senza ragioni la vita. Nervasdegnò il discorso; anzi s'astenne d'ogni alimento. Chi sapea lasua mente, diceva ch'ei più dappresso veggendo i mali della re-pubblica, per ira e sospetto volle, finché era illibato, e non cimen-tato, onestamente finire". Ann. VI.”

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spoti. – Ti avanza ancora un seggio fra' capitani; il qualesi afferra per mezzo di un ardire feroce, di una aviditàche rapisce per profondere, e spesso di una viltà per cuisi lambe la mano che t'aita a salire. Ma – o figliuolo!l'umanità geme al nascere di un conquistatore; e non haper conforto se non la speranza di sorridere su la suabara. –

Tacque – ed io dopo lunghissimo silenzio esclamai: OCocceo Nerva! tu almeno sapevi morire incontamina-to17. – Il vecchio mi guardò – Se tu né speri, né temifuori di questo mondo – e mi stringeva la mano – ma io!– Alzò gli occhi al Cielo, e quella severa sua fisionomiasi raddolciva di soave conforto, come s'ei lassù contem-plasse tutte le tue speranze. – Intesi un calpestio ches'avanzava verso di noi; e poi travidi gente fra' tiglj; cirizzammo; e l'accompagnai sino alle sue stanze.

Ah s'io non mi sentissi oramai spento quel fuoco cele-ste che nel tempo della fresca mia gioventù spargevaraggi su tutte le cose che mi stavano intorno, mentreoggi vo brancolando in una vota oscurità! s'io potessi

17 “Questa esclamazione dell'Ortis dee mirare a quel passo diTacito: "Cocceo Nerva, assiduo col Principe, in tutta umana e di-vina ragione dottissimo, florido di fortuna e di vita, si pose incuor di morire. Tiberio il riseppe, e instò interrogandolo, pregan-dolo sino a confessare che gli sarebbe di rimorso e di macchia seil suo famigliarissimo amico fuggisse senza ragioni la vita. Nervasdegnò il discorso; anzi s'astenne d'ogni alimento. Chi sapea lasua mente, diceva ch'ei più dappresso veggendo i mali della re-pubblica, per ira e sospetto volle, finché era illibato, e non cimen-tato, onestamente finire". Ann. VI.”

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avere un tetto ove dormire sicuro; se non mi fosse con-teso di rinselvarmi fra le ombre del mio romitorio; se unamore disperato che la mia ragione combatte sempre, eche non può vincere mai – questo amore ch'io celo a mestesso, ma che riarde ogni giorno e che s'è fatto onnipo-tente, immortale – ahi! la Natura ci ha dotati di questapassione che è indomabile in noi forse più dell'istinto fa-tale della vita – se io potessi insomma impetrare unanno solo di calma, il tuo povero amico vorrebbe scio-gliere ancora un voto e poi morire. Io odo la mia patriache grida: – SCRIVI CIÒ CHE VEDESTI. MANDEROLA MIA VOCE DALLE ROVINE, E TI DETTERÒ LAMIA STORIA. PIANGERANNO I SECOLI SU LAMIA SOLITUDINE; E LE GENTI SI AMMAESTRE-RANNO NELLE MIE DISAVVENTURE. IL TEMPOABBATTE IL FORTE: E I DELITTI DI SANGUESONO LAVATI NEL SANGUE. – E tu lo sai, Lorenzo,avrei coraggio di scrivere; ma l'ingegno va morendo conle mie forze, e vedo che fra pochi mesi avrò fornito que-sto mio angoscioso pellegrinaggio.

Ma voi pochi sublimi animi che solitarj o perseguita-ti, su le antiche sciagure della nostra patria fremete, se icieli vi contendono di lottare contro la forza, perché al-meno non raccontate alla posterità i nostri mali? Alzatela voce in nome di tutti, e dite al mondo: Che siamosfortunati, ma né ciechi né vili; che non ci manca il co-raggio, ma la possanza. – Se avete braccia in catene,perché inceppate da voi stessi anche il vostro intellettodi cui né i tiranni né la fortuna, arbitri d'ogni cosa, pos-

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avere un tetto ove dormire sicuro; se non mi fosse con-teso di rinselvarmi fra le ombre del mio romitorio; se unamore disperato che la mia ragione combatte sempre, eche non può vincere mai – questo amore ch'io celo a mestesso, ma che riarde ogni giorno e che s'è fatto onnipo-tente, immortale – ahi! la Natura ci ha dotati di questapassione che è indomabile in noi forse più dell'istinto fa-tale della vita – se io potessi insomma impetrare unanno solo di calma, il tuo povero amico vorrebbe scio-gliere ancora un voto e poi morire. Io odo la mia patriache grida: – SCRIVI CIÒ CHE VEDESTI. MANDEROLA MIA VOCE DALLE ROVINE, E TI DETTERÒ LAMIA STORIA. PIANGERANNO I SECOLI SU LAMIA SOLITUDINE; E LE GENTI SI AMMAESTRE-RANNO NELLE MIE DISAVVENTURE. IL TEMPOABBATTE IL FORTE: E I DELITTI DI SANGUESONO LAVATI NEL SANGUE. – E tu lo sai, Lorenzo,avrei coraggio di scrivere; ma l'ingegno va morendo conle mie forze, e vedo che fra pochi mesi avrò fornito que-sto mio angoscioso pellegrinaggio.

Ma voi pochi sublimi animi che solitarj o perseguita-ti, su le antiche sciagure della nostra patria fremete, se icieli vi contendono di lottare contro la forza, perché al-meno non raccontate alla posterità i nostri mali? Alzatela voce in nome di tutti, e dite al mondo: Che siamosfortunati, ma né ciechi né vili; che non ci manca il co-raggio, ma la possanza. – Se avete braccia in catene,perché inceppate da voi stessi anche il vostro intellettodi cui né i tiranni né la fortuna, arbitri d'ogni cosa, pos-

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sono essere arbitri mai? Scrivete. Abbiate bensì compas-sione a' vostri concittadini, e non istigate vanamente lelor passioni politiche; ma sprezzate l'universalità de' vo-stri contemporanei: il genere umano d'oggi ha le frene-sie e la debolezza della decrepitezza; ma l'umano gene-re, appunto quand'è prossimo a morte, rinasce vigorosis-simo. Scrivete a quei che verranno, e che soli sarannodegni d'udirvi, e forti da vendicarvi. Perseguitate con laverità i vostri persecutori. E poi che non potete oppri-merli, mentre vivono, co' pugnali, opprimeteli almenocon l'obbrobrio per tutti i secoli futuri. Se ad alcuni divoi è rapita la patria, la tranquillità, e le sostanze; se niu-no osa divenire marito; se tutti paventano il dolce nomedi padre, per non procreare nell'esilio e nel dolore nuovischiavi e nuovi infelici, perché mai accarezzate così vil-mente la vita ignuda di tutti i piaceri? Perché non laconsecrate all'unico fantasma ch'è duce degli uomini ge-nerosi, la gloria? Giudicherete l'Europa vivente, e la vo-stra sentenza illuminerà le genti avvenire. L'umana viltàvi mostra terrori e pericoli; ma voi siete forse immorta-li? fra l'avvilimento delle carceri e de' supplicj v'innalze-rete sovra il potente, e il suo futuro contro di voi accre-scerà il suo vituperio e la vostra fama.

Milano, 6 Febbraio 1799

Diriggi le tue lettere a Nizza di Provenza perch'io do-mani parto verso Francia: e chi sa? forse assai più lonta-

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sono essere arbitri mai? Scrivete. Abbiate bensì compas-sione a' vostri concittadini, e non istigate vanamente lelor passioni politiche; ma sprezzate l'universalità de' vo-stri contemporanei: il genere umano d'oggi ha le frene-sie e la debolezza della decrepitezza; ma l'umano gene-re, appunto quand'è prossimo a morte, rinasce vigorosis-simo. Scrivete a quei che verranno, e che soli sarannodegni d'udirvi, e forti da vendicarvi. Perseguitate con laverità i vostri persecutori. E poi che non potete oppri-merli, mentre vivono, co' pugnali, opprimeteli almenocon l'obbrobrio per tutti i secoli futuri. Se ad alcuni divoi è rapita la patria, la tranquillità, e le sostanze; se niu-no osa divenire marito; se tutti paventano il dolce nomedi padre, per non procreare nell'esilio e nel dolore nuovischiavi e nuovi infelici, perché mai accarezzate così vil-mente la vita ignuda di tutti i piaceri? Perché non laconsecrate all'unico fantasma ch'è duce degli uomini ge-nerosi, la gloria? Giudicherete l'Europa vivente, e la vo-stra sentenza illuminerà le genti avvenire. L'umana viltàvi mostra terrori e pericoli; ma voi siete forse immorta-li? fra l'avvilimento delle carceri e de' supplicj v'innalze-rete sovra il potente, e il suo futuro contro di voi accre-scerà il suo vituperio e la vostra fama.

Milano, 6 Febbraio 1799

Diriggi le tue lettere a Nizza di Provenza perch'io do-mani parto verso Francia: e chi sa? forse assai più lonta-

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no: certo che in Francia non mi starò lungamente. Nonrammaricarti, o Lorenzo, di ciò; e consola quanto tupuoi la povera madre mia. Tu dirai forse ch'io dovreifuggire prima me stesso, e che se non v'ha luogo dov'iotrovi stanza, sarebbe omai tempo ch'io m'acquetassi. Èvero, non trovo stanza; ma qui peggio che altrove. Lastagione, la nebbia perpetua, quest'aria morta, certe fiso-nomie – e poi – forse m'inganno – ma parmi di trovarpoco cuore; né posso incolparli; tutto si acquista; ma lacompassione e la generosità, e molto più certa delicatez-za di animo nascono sempre con noi, e non le cerca senon chi le sente. – Insomma domani. E mi si è fitta infantasia tale necessità di partire, che queste ore d'indu-gio mi pajono anni di carcere.

Malaugurato! perché mai tutti i suoi sensi si risentonosoltanto al dolore, simili a quelle membra scorticate cheall'alito più blando dell'aria si ritirano? goditi il mondocom'è, e tu vivrai più riposato e men pazzo. – Ma se achi mi declama sì fatti sermoni, io dicessi: Quando tisalta addosso la febbre, fa che il polso ti batta più lento,e sarai sano – non avrebbe egli ragione da credermi far-neticante di peggior febbre? come dunque potrò io darleggi al mio sangue che fluttua rapidissimo? e quandourta nel cuore io sento che vi si ammassa bollendo, e poisgorga impetuosamente; e spesso all'improvviso e talorafra il sonno par che voglia spaccarmisi il petto. – OUlissi! eccomi ad obbedire alla vostra saviezza, a pattich'io, quando vi veggo dissimulatori, agghiacciati, inca-paci di soccorrere alla povertà senza insultarla, e di di-

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no: certo che in Francia non mi starò lungamente. Nonrammaricarti, o Lorenzo, di ciò; e consola quanto tupuoi la povera madre mia. Tu dirai forse ch'io dovreifuggire prima me stesso, e che se non v'ha luogo dov'iotrovi stanza, sarebbe omai tempo ch'io m'acquetassi. Èvero, non trovo stanza; ma qui peggio che altrove. Lastagione, la nebbia perpetua, quest'aria morta, certe fiso-nomie – e poi – forse m'inganno – ma parmi di trovarpoco cuore; né posso incolparli; tutto si acquista; ma lacompassione e la generosità, e molto più certa delicatez-za di animo nascono sempre con noi, e non le cerca senon chi le sente. – Insomma domani. E mi si è fitta infantasia tale necessità di partire, che queste ore d'indu-gio mi pajono anni di carcere.

Malaugurato! perché mai tutti i suoi sensi si risentonosoltanto al dolore, simili a quelle membra scorticate cheall'alito più blando dell'aria si ritirano? goditi il mondocom'è, e tu vivrai più riposato e men pazzo. – Ma se achi mi declama sì fatti sermoni, io dicessi: Quando tisalta addosso la febbre, fa che il polso ti batta più lento,e sarai sano – non avrebbe egli ragione da credermi far-neticante di peggior febbre? come dunque potrò io darleggi al mio sangue che fluttua rapidissimo? e quandourta nel cuore io sento che vi si ammassa bollendo, e poisgorga impetuosamente; e spesso all'improvviso e talorafra il sonno par che voglia spaccarmisi il petto. – OUlissi! eccomi ad obbedire alla vostra saviezza, a pattich'io, quando vi veggo dissimulatori, agghiacciati, inca-paci di soccorrere alla povertà senza insultarla, e di di-

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fendere il debole dalla ingiustizia; quando vi veggo, perisfamare le vostre plebee passioncelle, prostrati appiédel potente che odiate e che vi disprezza, allora io possatrasfondere in voi una stilla di questa mia fervida bileche pure armò spesso la mia voce e il mio braccio con-tro la prepotenza; che non mi lascia mai gli occhi asciut-ti né chiusa la mano alla vista della miseria; e che misalverà sempre dalla bassezza. Voi vi credete savi, e ilmondo vi predica onesti: ma toglietevi la paura! – Nonvi affannate dunque; le parti sono pari: Dio vi preservidalle mie pazzie; ed io lo prego con tutta l'espansionedell'anima perché mi preservi dalla vostra saviezza. – Es'io scorgo costoro, anche quando passano senza veder-mi, io corro subitamente a cercare rifugio nel tuo petto,o Lorenzo. Tu rispetti amorosamente le mie passioni,quantunque tu abbia sovente veduto il leone ammansarsialla sola tua voce. Ma ora! Tu il vedi: ogni consiglio eogni ragione è funesta per me. Guai s'io non obbedissi almio cuore! – la Ragione? – è come il vento; ammorza lefaci, ed anima gl'incendj. Addio frattanto.

Ore 10, della mattina

Ripenso – e sarà meglio che tu non mi scriva finchétu non abbia mie lettere. Prendo il cammino delle AlpiLiguri per iscansare i ghiacci del Moncenis: sai quantomicidiale m'è il freddo.

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fendere il debole dalla ingiustizia; quando vi veggo, perisfamare le vostre plebee passioncelle, prostrati appiédel potente che odiate e che vi disprezza, allora io possatrasfondere in voi una stilla di questa mia fervida bileche pure armò spesso la mia voce e il mio braccio con-tro la prepotenza; che non mi lascia mai gli occhi asciut-ti né chiusa la mano alla vista della miseria; e che misalverà sempre dalla bassezza. Voi vi credete savi, e ilmondo vi predica onesti: ma toglietevi la paura! – Nonvi affannate dunque; le parti sono pari: Dio vi preservidalle mie pazzie; ed io lo prego con tutta l'espansionedell'anima perché mi preservi dalla vostra saviezza. – Es'io scorgo costoro, anche quando passano senza veder-mi, io corro subitamente a cercare rifugio nel tuo petto,o Lorenzo. Tu rispetti amorosamente le mie passioni,quantunque tu abbia sovente veduto il leone ammansarsialla sola tua voce. Ma ora! Tu il vedi: ogni consiglio eogni ragione è funesta per me. Guai s'io non obbedissi almio cuore! – la Ragione? – è come il vento; ammorza lefaci, ed anima gl'incendj. Addio frattanto.

Ore 10, della mattina

Ripenso – e sarà meglio che tu non mi scriva finchétu non abbia mie lettere. Prendo il cammino delle AlpiLiguri per iscansare i ghiacci del Moncenis: sai quantomicidiale m'è il freddo.

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Ore 1

Nuovo inciampo: hanno a passare ancora due giorniprima ch'io riabbia il passaporto. Consegnerò questa let-tera nel punto ch'io sarò per salire in calesse.

8 Febbraro, ore 1 1/2

Eccomi con le lagrime su le tue lettere. Riordinandole mie carte mi sono venuti sott'occhio questi pochi ver-si che tu mi scrivevi sotto una lettera di mia madre duegiorni innanzi ch'io abbandonassi i miei colli. –“T'accompagnano tutti i miei pensieri, o mio Jacopo:t'accompagnano i miei voti, e la mia amicizia, che vivràeterna per te. Io sarò sempre l'amico tuo e il tuo fratellod'amore; e dividerò teco anche l'anima mia.” Sai tu ch'iovo ripetendo queste parole, e mi sento sì fieramente per-cosso che sono in procinto di venire a gittarmiti al colloe a spirare fra le tue braccia? Addio addio. Tornerò.

Ore 3

Sono andato a dire addio al Parini. – Addio, mi disse,o giovine sfortunato. Tu porterai da per tutto e semprecon te le tue generose passioni alle quali non potrai sod-disfare giammai. Tu sarai sempre infelice. Io non possoconsolarti co' miei consiglj, perché neppure giovano allesventure mie derivanti dal medesimo fonte. Il freddo

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Ore 1

Nuovo inciampo: hanno a passare ancora due giorniprima ch'io riabbia il passaporto. Consegnerò questa let-tera nel punto ch'io sarò per salire in calesse.

8 Febbraro, ore 1 1/2

Eccomi con le lagrime su le tue lettere. Riordinandole mie carte mi sono venuti sott'occhio questi pochi ver-si che tu mi scrivevi sotto una lettera di mia madre duegiorni innanzi ch'io abbandonassi i miei colli. –“T'accompagnano tutti i miei pensieri, o mio Jacopo:t'accompagnano i miei voti, e la mia amicizia, che vivràeterna per te. Io sarò sempre l'amico tuo e il tuo fratellod'amore; e dividerò teco anche l'anima mia.” Sai tu ch'iovo ripetendo queste parole, e mi sento sì fieramente per-cosso che sono in procinto di venire a gittarmiti al colloe a spirare fra le tue braccia? Addio addio. Tornerò.

Ore 3

Sono andato a dire addio al Parini. – Addio, mi disse,o giovine sfortunato. Tu porterai da per tutto e semprecon te le tue generose passioni alle quali non potrai sod-disfare giammai. Tu sarai sempre infelice. Io non possoconsolarti co' miei consiglj, perché neppure giovano allesventure mie derivanti dal medesimo fonte. Il freddo

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dell'età ha intorpidito le mie membra; ma il cuore – ve-glia ancora. Il solo conforto ch'io possa darti è la miapietà: e tu la porti tutta con te. Fra poco io non vivròpiù, ma se le mie ceneri serberanno alcun sentimento –se troverai qualche sollievo querelandoti su la mia se-poltura, vieni. – Io proruppi in dirottissime lagrime, e lolasciai: ed uscì seguendomi con gli occhi mentr'io fuggi-va per quel lunghissimo corridojo, e intesi che ei tutta-via mi diceva con voce piangente – addio.

Ore 9 della sera

Tutto è in punto: I cavalli sono ordinati per la mezza-notte – vado a coricarmi così vestito sino a che giunga-no: mi sento sì stracco! – addio frattanto; addio Lorenzo– Scrivo il tuo nome e ti saluto con tenerezza e con certasuperstizione ch'io non ho provato mai mai. Ci rivedre-mo – se mai dovessi! no, io non morrei senza rivederti esenza ringraziarti per sempre – e te, mia Teresa: ma poi-ché il mio infelicissimo amore costerebbe la tua pace edil pianto della tua famiglia, io fuggo senza sapere dovemi trascinerà il mio destino: l'Alpi e l'Oceano e un mon-do intero, s'è possibile, ci divida.

Genova, 11 Febbraro

Ecco il Sole più bello! Tutte le mie fibre sono in untremito soave perché risentono la giocondità di questo

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dell'età ha intorpidito le mie membra; ma il cuore – ve-glia ancora. Il solo conforto ch'io possa darti è la miapietà: e tu la porti tutta con te. Fra poco io non vivròpiù, ma se le mie ceneri serberanno alcun sentimento –se troverai qualche sollievo querelandoti su la mia se-poltura, vieni. – Io proruppi in dirottissime lagrime, e lolasciai: ed uscì seguendomi con gli occhi mentr'io fuggi-va per quel lunghissimo corridojo, e intesi che ei tutta-via mi diceva con voce piangente – addio.

Ore 9 della sera

Tutto è in punto: I cavalli sono ordinati per la mezza-notte – vado a coricarmi così vestito sino a che giunga-no: mi sento sì stracco! – addio frattanto; addio Lorenzo– Scrivo il tuo nome e ti saluto con tenerezza e con certasuperstizione ch'io non ho provato mai mai. Ci rivedre-mo – se mai dovessi! no, io non morrei senza rivederti esenza ringraziarti per sempre – e te, mia Teresa: ma poi-ché il mio infelicissimo amore costerebbe la tua pace edil pianto della tua famiglia, io fuggo senza sapere dovemi trascinerà il mio destino: l'Alpi e l'Oceano e un mon-do intero, s'è possibile, ci divida.

Genova, 11 Febbraro

Ecco il Sole più bello! Tutte le mie fibre sono in untremito soave perché risentono la giocondità di questo

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Cielo raggiante e salubre. Sono pure contento di esserepartito! proseguirò fra poche ore; non so ancora dirtidove mi fermerò, né quando terminerà il mio viaggio:ma per li 16 sarò in Tolone.

Dalla Pietra, 15 Febbraro

Strade alpestri, montagne orride dirupate, tutto il ri-gore del tempo, tutta la stanchezza e i fastidj del viag-gio, e poi?

Nuovi tormenti e nuovi tormentati.18

Scrivo da un paesetto appié delle Alpi Marittime. Emi fu forza di sostare perché la posta è senza cavalcatu-ra; né so quando potrò partire. Eccomi dunque semprecon te, e sempre con nuove afflizioni: sono destinato anon movere passo senza incontrare lungo la mia via do-lore. – In questi due giorni io usciva verso mezzodì unmiglio forse lungi dall'abitato, passeggiando fra certioliveti che stanno verso la spiaggia del mare: io vado aconsolarmi a' raggi del Sole, e a bere di quel aere viva-ce; quantunque anche in questo tepido clima il verno diquesto anno è clemente meno assai dell'usato. E là mipensava di essere tutto solo, o almeno sconosciuto a que'viventi che passavano; ma appena mi ridussi a casa, Mi-chele il quale salì a ravviarmi il fuoco, mi venia raccon-tando, come certo uomo quasi mendico capitato poc'anzi

18 Dante, Inf., VI, 4.

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Cielo raggiante e salubre. Sono pure contento di esserepartito! proseguirò fra poche ore; non so ancora dirtidove mi fermerò, né quando terminerà il mio viaggio:ma per li 16 sarò in Tolone.

Dalla Pietra, 15 Febbraro

Strade alpestri, montagne orride dirupate, tutto il ri-gore del tempo, tutta la stanchezza e i fastidj del viag-gio, e poi?

Nuovi tormenti e nuovi tormentati.18

Scrivo da un paesetto appié delle Alpi Marittime. Emi fu forza di sostare perché la posta è senza cavalcatu-ra; né so quando potrò partire. Eccomi dunque semprecon te, e sempre con nuove afflizioni: sono destinato anon movere passo senza incontrare lungo la mia via do-lore. – In questi due giorni io usciva verso mezzodì unmiglio forse lungi dall'abitato, passeggiando fra certioliveti che stanno verso la spiaggia del mare: io vado aconsolarmi a' raggi del Sole, e a bere di quel aere viva-ce; quantunque anche in questo tepido clima il verno diquesto anno è clemente meno assai dell'usato. E là mipensava di essere tutto solo, o almeno sconosciuto a que'viventi che passavano; ma appena mi ridussi a casa, Mi-chele il quale salì a ravviarmi il fuoco, mi venia raccon-tando, come certo uomo quasi mendico capitato poc'anzi

18 Dante, Inf., VI, 4.

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in questa balorda osteria gli chiese, s'io era un giovineche avea già tempo studiato in Padova; non gli sapeadire il nome, ma porgeva assai contrassegni e di me e dique' tempi, e nominava te pure – Davvero, seguì a direMichele, io mi trovava imbrogliato; gli risposi nono-stante ch'ei s'apponeva: parlava veneziano; ed è pure ladolce cosa il trovare in queste solitudini un compatriota– e poi – è così stracciato! insomma io gli promisi – for-se può dispiacere al signore – ma mi ha fatto tanta com-passione, ch'io gli promisi di farlo venire; anzi sta quifuori. – E venga, io dissi a Michele – e aspettandolo misentiva tutta la persona inondata d'una subitanea tristez-za. Il ragazzo rientrò con un uomo alto, macilento; pareagiovine e bello; ma il suo volto era contraffatto dalle ru-ghe del dolore. Fratello! io era impellicciato e al fuoco;stava gittato oziosamente nella seggiola vicina il miolarghissimo tabarro; l'oste andava su e giù allestendomida desinare – e quel misero; era appena in farsetto ditela ed io intirizziva solo a guardarlo. Forse la mia me-sta accoglienza e il meschino suo stato l'hanno disani-mato alla prima; ma poi da poche mie parole s'accorseche il tuo Jacopo non è nato per disanimare gl'infelici; es'assise con me a riscaldarsi, narrandomi quest'ultimolagrimevole anno della sua vita. Mi disse: Io conobbi fa-migliarmente uno scolare che era dì e notte a Padovacon voi – e ti nominò – quanto tempo è ormai ch'io nonne odo novella! ma spero che la fortuna non gli sarà cosìiniqua. Io studiava allora – non ti dirò, mio Lorenzo, chiegli è. Dovrò io contristarti con le sciagure di un uomo

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in questa balorda osteria gli chiese, s'io era un giovineche avea già tempo studiato in Padova; non gli sapeadire il nome, ma porgeva assai contrassegni e di me e dique' tempi, e nominava te pure – Davvero, seguì a direMichele, io mi trovava imbrogliato; gli risposi nono-stante ch'ei s'apponeva: parlava veneziano; ed è pure ladolce cosa il trovare in queste solitudini un compatriota– e poi – è così stracciato! insomma io gli promisi – for-se può dispiacere al signore – ma mi ha fatto tanta com-passione, ch'io gli promisi di farlo venire; anzi sta quifuori. – E venga, io dissi a Michele – e aspettandolo misentiva tutta la persona inondata d'una subitanea tristez-za. Il ragazzo rientrò con un uomo alto, macilento; pareagiovine e bello; ma il suo volto era contraffatto dalle ru-ghe del dolore. Fratello! io era impellicciato e al fuoco;stava gittato oziosamente nella seggiola vicina il miolarghissimo tabarro; l'oste andava su e giù allestendomida desinare – e quel misero; era appena in farsetto ditela ed io intirizziva solo a guardarlo. Forse la mia me-sta accoglienza e il meschino suo stato l'hanno disani-mato alla prima; ma poi da poche mie parole s'accorseche il tuo Jacopo non è nato per disanimare gl'infelici; es'assise con me a riscaldarsi, narrandomi quest'ultimolagrimevole anno della sua vita. Mi disse: Io conobbi fa-migliarmente uno scolare che era dì e notte a Padovacon voi – e ti nominò – quanto tempo è ormai ch'io nonne odo novella! ma spero che la fortuna non gli sarà cosìiniqua. Io studiava allora – non ti dirò, mio Lorenzo, chiegli è. Dovrò io contristarti con le sciagure di un uomo

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che hai conosciuto felice, e che tu forse ami ancora? ètroppo anche se la sorte ti ha condannato ad affliggertisempre per me.

Ei proseguiva: Oggi venendo da Albenga, prima diarrivare nel paese v'ho scontrato lungo la marina. Voinon vi siete avveduto com'io mi voltava spesso a consi-derarvi, e mi parea di avervi raffigurato; ma non cono-scendovi che di vista, ed essendo scorsi quattro anni, so-spettava di sbagliare. Il vostro servo poi mi accertò.

Lo ringraziai perch'ei fosse venuto a vedermi; gli par-lai di te; e voi mi siete anche più grato, gli dissi, perchém'avete recato il nome di Lorenzo. – Non ti ripeterò ilsuo doloroso racconto. Emigrò per la pace di CampoFormio, e s'arruolò Tenente nell'artiglieria Cisalpina.Querelandosi un giorno delle fatiche e delle angarie chegli parea di sopportare, gli fu da un amico suo proferitoun impiego. Abbandonò la milizia. Ma l'amico, l'impie-go, e il tetto gli mancarono. Tapinò per l'Italia, es'imbarcò a Livorno. – Ma mentr'esso parlava, io udivanella camera contigua un rammarichio di bambino e unsommesso lamento; e m'avvidi ch'egli andavasi soffer-mando, e ascoltava con certa ansietà: e quando quelrammarichio taceva, ei ripigliava. – Forse, gli diss'io, sa-ranno passaggeri giunti pur ora. – No, mi rispose; è lamia figlioletta di tredici mesi che piange.

E seguì a narrarmi, ch'ei mentre era Tenente s'ammo-gliò a una fanciulla di povero stato, e che le perpetuemarcie a cui la giovinetta non potea reggere, e lo scarsostipendio lo stimolarono anche più a confidare in colui

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che hai conosciuto felice, e che tu forse ami ancora? ètroppo anche se la sorte ti ha condannato ad affliggertisempre per me.

Ei proseguiva: Oggi venendo da Albenga, prima diarrivare nel paese v'ho scontrato lungo la marina. Voinon vi siete avveduto com'io mi voltava spesso a consi-derarvi, e mi parea di avervi raffigurato; ma non cono-scendovi che di vista, ed essendo scorsi quattro anni, so-spettava di sbagliare. Il vostro servo poi mi accertò.

Lo ringraziai perch'ei fosse venuto a vedermi; gli par-lai di te; e voi mi siete anche più grato, gli dissi, perchém'avete recato il nome di Lorenzo. – Non ti ripeterò ilsuo doloroso racconto. Emigrò per la pace di CampoFormio, e s'arruolò Tenente nell'artiglieria Cisalpina.Querelandosi un giorno delle fatiche e delle angarie chegli parea di sopportare, gli fu da un amico suo proferitoun impiego. Abbandonò la milizia. Ma l'amico, l'impie-go, e il tetto gli mancarono. Tapinò per l'Italia, es'imbarcò a Livorno. – Ma mentr'esso parlava, io udivanella camera contigua un rammarichio di bambino e unsommesso lamento; e m'avvidi ch'egli andavasi soffer-mando, e ascoltava con certa ansietà: e quando quelrammarichio taceva, ei ripigliava. – Forse, gli diss'io, sa-ranno passaggeri giunti pur ora. – No, mi rispose; è lamia figlioletta di tredici mesi che piange.

E seguì a narrarmi, ch'ei mentre era Tenente s'ammo-gliò a una fanciulla di povero stato, e che le perpetuemarcie a cui la giovinetta non potea reggere, e lo scarsostipendio lo stimolarono anche più a confidare in colui

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che poi lo tradì. Da Livorno navigò a Marsiglia, cosìalla ventura: e si trascinò per tutta Provenza; e poi nelDelfinato, cercando d'insegnare l'Italiano, senza mai po-tersi trovare né lavoro né pane; ed ora tornavasi d'Avi-gnone a Milano. Io mi rivolgo addietro, continuò, eguardo il tempo passato, e non so come sia passato perme. Senza danaro; seguitato sempre da una moglie este-nuata, co' piedi laceri, con le braccia spossate dal conti-nuo peso di una creatura innocente che domanda ali-mento all'esausto petto di sua madre, e che strazia con lesue strida le viscere degli sfortunati suoi genitori, men-tre non possiamo acquetarla con la ragione delle nostredisgrazie. Quante giornate arsi, quante notti assideratiabbiamo dormito nelle stalle fra' giumenti, o come le be-stie nelle caverne! cacciato di città in città da tutti i go-verni, perché la mia indigenza mi serrava la porta de'magistrati, o non mi concedeva di dar conto di me: e chimi conosceva, o non volle più conoscermi, o mi voltò lespalle. – E sì, gli diss'io, so che in Milano e altrove mol-ti de' nostri concittadini emigrati sono tenuti liberali. –Dunque, soggiunse, la mia fiera fortuna li ha fatti crude-li unicamente per me. Anche le persone di ottimo cuoresi stancano di fare del bene; sono tanti i tapini! Io non loso – ma il tale – il tale (e i nomi di questi uomini ch'ioscopriva così ipocriti mi erano, Lorenzo, tante coltellatenel cuore) chi mi ha fatto aspettare assai volte vanamen-te alla sua porta; chi dopo sviscerate promesse, mi fe'camminare molte miglia sino al suo casino di diporto,per farmi la limosina di poche lire: il più umano mi gittò

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che poi lo tradì. Da Livorno navigò a Marsiglia, cosìalla ventura: e si trascinò per tutta Provenza; e poi nelDelfinato, cercando d'insegnare l'Italiano, senza mai po-tersi trovare né lavoro né pane; ed ora tornavasi d'Avi-gnone a Milano. Io mi rivolgo addietro, continuò, eguardo il tempo passato, e non so come sia passato perme. Senza danaro; seguitato sempre da una moglie este-nuata, co' piedi laceri, con le braccia spossate dal conti-nuo peso di una creatura innocente che domanda ali-mento all'esausto petto di sua madre, e che strazia con lesue strida le viscere degli sfortunati suoi genitori, men-tre non possiamo acquetarla con la ragione delle nostredisgrazie. Quante giornate arsi, quante notti assideratiabbiamo dormito nelle stalle fra' giumenti, o come le be-stie nelle caverne! cacciato di città in città da tutti i go-verni, perché la mia indigenza mi serrava la porta de'magistrati, o non mi concedeva di dar conto di me: e chimi conosceva, o non volle più conoscermi, o mi voltò lespalle. – E sì, gli diss'io, so che in Milano e altrove mol-ti de' nostri concittadini emigrati sono tenuti liberali. –Dunque, soggiunse, la mia fiera fortuna li ha fatti crude-li unicamente per me. Anche le persone di ottimo cuoresi stancano di fare del bene; sono tanti i tapini! Io non loso – ma il tale – il tale (e i nomi di questi uomini ch'ioscopriva così ipocriti mi erano, Lorenzo, tante coltellatenel cuore) chi mi ha fatto aspettare assai volte vanamen-te alla sua porta; chi dopo sviscerate promesse, mi fe'camminare molte miglia sino al suo casino di diporto,per farmi la limosina di poche lire: il più umano mi gittò

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un tozzo di pane senza volermi vedere; e il più magnifi-co mi fece così sdruscito passare fra un corteggio di fa-migli e di convitati, e dopo d'avermi rammemorata lascaduta prosperità della mia famiglia, e inculcatomi lostudio e la probità, mi disse amichevolmente che non mirincrescesse di ritornare domattina per tempo. Tornato-mi, ritrovai nell'anticamera tre servidori, uno de' qualimi disse che il padrone dormiva; e mi pose nelle manidue scudi e una camicia. Ah signore! non so se voi sietericco; ma il vostro aspetto, e que' sospiri mi dicono chevoi siete sventurato e pietoso. Credetemi; io vidi perprova che il danaro fa parere benefico anche l'usurajo, eche l'uomo splendido di rado si degna di locare il suobeneficio fra' cenci. – Io taceva; ed ei rizzandosi per ac-commiatarsi riprese a dire: I libri m'insegnavano adamare gli uomini e la virtù; ma i libri, gli uomini e lavirtù mi hanno tradito. Ho dotta la testa; sdegnato ilcuore; e le braccia inette ad ogni utile mestiere. Se miopadre udisse dalla terra ove sta seppellito con che gemi-to grave io lo accuso di non avere fatti i suoi cinque fi-gliuoli legnajuoli o sartori! Per la misera vanità di serba-re la nobiltà senza la fortuna, ha sprecato per noi tuttoquel poco che ei possedeva, nelle università e nel belmondo. E noi frattanto? – Non ho mai saputo che si ab-bia fatto la fortuna degli altri fratelli miei. Scrissi moltelettere; non però vidi risposta: o sono miseri, o sonosnaturati. Ma per me, ecco il frutto delle ambiziose spe-ranze del padre mio. Quante volte io sono condotto odalla notte, o dalla fame a ricoverarmi in una osteria; ma

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un tozzo di pane senza volermi vedere; e il più magnifi-co mi fece così sdruscito passare fra un corteggio di fa-migli e di convitati, e dopo d'avermi rammemorata lascaduta prosperità della mia famiglia, e inculcatomi lostudio e la probità, mi disse amichevolmente che non mirincrescesse di ritornare domattina per tempo. Tornato-mi, ritrovai nell'anticamera tre servidori, uno de' qualimi disse che il padrone dormiva; e mi pose nelle manidue scudi e una camicia. Ah signore! non so se voi sietericco; ma il vostro aspetto, e que' sospiri mi dicono chevoi siete sventurato e pietoso. Credetemi; io vidi perprova che il danaro fa parere benefico anche l'usurajo, eche l'uomo splendido di rado si degna di locare il suobeneficio fra' cenci. – Io taceva; ed ei rizzandosi per ac-commiatarsi riprese a dire: I libri m'insegnavano adamare gli uomini e la virtù; ma i libri, gli uomini e lavirtù mi hanno tradito. Ho dotta la testa; sdegnato ilcuore; e le braccia inette ad ogni utile mestiere. Se miopadre udisse dalla terra ove sta seppellito con che gemi-to grave io lo accuso di non avere fatti i suoi cinque fi-gliuoli legnajuoli o sartori! Per la misera vanità di serba-re la nobiltà senza la fortuna, ha sprecato per noi tuttoquel poco che ei possedeva, nelle università e nel belmondo. E noi frattanto? – Non ho mai saputo che si ab-bia fatto la fortuna degli altri fratelli miei. Scrissi moltelettere; non però vidi risposta: o sono miseri, o sonosnaturati. Ma per me, ecco il frutto delle ambiziose spe-ranze del padre mio. Quante volte io sono condotto odalla notte, o dalla fame a ricoverarmi in una osteria; ma

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entrandovi, non so come pagherò la mattina imminente.Senza scarpe, senza vesti – Ah copriti! gli diss'io, riz-zandomi; e lo coprii del mio tabarro. E Michele, che es-sendo venuto già in camera per qualche faccenda vis'era fermato poco discosto ascoltando, si avvicinòasciugandosi gli occhi col rovescio della mano, e gli ag-giustava in dosso quel tabarro: ma con certo rispetto,come s'ei temesse d'insultare alla scaduta fortuna diquella persona così ben nata.

O Michele! io mi ricordo che tu potevi vivere liberosino al dì che tuo fratello maggiore avviando una botte-ghetta, ti chiamò seco; eppure scegliesti di rimanerti conme, benché servo: io noto l'amoroso rispetto per cui tudissimuli gl'impeti miei fantastici; e taci anche le tue ra-gioni ne' momenti dell'ingiusta mia collera: e vedo conquanta ilarità te la passi fra le noje della mia solitudine;e vedo la fede con che sostieni i travaglj di questo miopellegrinaggio. Spesso col tuo giovale sembiante mi ras-sereni; ma quando io taccio le intere giornate, vinto dalmio nerissimo umore, tu reprimi la gioja del tuo cuorecontento per non farmi accorgere del mio stato. Pure!questo atto gentile verso quel disgraziato ha santificatala mia riconoscenza verso di te. Tu se' il figliuolo dellamia nutrice, tu se' allevato nella mia casa; né io t'abban-donerò mai. Ma io t'amo ancor più poiché mi avvedoche il tuo stato servile avrebbe forse indurita la bella tuaindole, se non ti fosse stata coltivata dalla mia teneramadre, da quella donna che con l'animo suo delicato, e

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entrandovi, non so come pagherò la mattina imminente.Senza scarpe, senza vesti – Ah copriti! gli diss'io, riz-zandomi; e lo coprii del mio tabarro. E Michele, che es-sendo venuto già in camera per qualche faccenda vis'era fermato poco discosto ascoltando, si avvicinòasciugandosi gli occhi col rovescio della mano, e gli ag-giustava in dosso quel tabarro: ma con certo rispetto,come s'ei temesse d'insultare alla scaduta fortuna diquella persona così ben nata.

O Michele! io mi ricordo che tu potevi vivere liberosino al dì che tuo fratello maggiore avviando una botte-ghetta, ti chiamò seco; eppure scegliesti di rimanerti conme, benché servo: io noto l'amoroso rispetto per cui tudissimuli gl'impeti miei fantastici; e taci anche le tue ra-gioni ne' momenti dell'ingiusta mia collera: e vedo conquanta ilarità te la passi fra le noje della mia solitudine;e vedo la fede con che sostieni i travaglj di questo miopellegrinaggio. Spesso col tuo giovale sembiante mi ras-sereni; ma quando io taccio le intere giornate, vinto dalmio nerissimo umore, tu reprimi la gioja del tuo cuorecontento per non farmi accorgere del mio stato. Pure!questo atto gentile verso quel disgraziato ha santificatala mia riconoscenza verso di te. Tu se' il figliuolo dellamia nutrice, tu se' allevato nella mia casa; né io t'abban-donerò mai. Ma io t'amo ancor più poiché mi avvedoche il tuo stato servile avrebbe forse indurita la bella tuaindole, se non ti fosse stata coltivata dalla mia teneramadre, da quella donna che con l'animo suo delicato, e

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co' soavi suoi modi fa cortese e amoroso tutto quello chevive in lei.

Quando fui solo, diedi a Michele quel più che ho po-tuto; ed esso, mentre io desinava, lo recò a quel derelit-to. Appena mi sono risparmiato tanto da arrivare a Niz-za dove negozierò le cambiali ch'io né banchi di Genovami feci spedire per Tolone e Marsiglia. – Stamattinaquando ei, prima di andarsene, è venuto con la sua mo-glie e con la sua creatura per ringraziarmi, ed io vedevacon quanto giubilo mi replicava: Senza di voi io sareioggi andato cercando il primo spedale – io non ho avutoanimo di rispondergli; ma il mio cuore dicevagli: Ora tuhai come vivere per quattro mesi – per sei – e poi? Labugiarda speranza ti guida intanto per mano, e l'amenoviale dove t'innoltri mette forse a un sentiero più disa-stroso. Tu cercavi il primo spedale – e t'era forse pocodiscosto l'asilo della fossa. Ma questo mio poco soccor-so, né la sorte mi concede di ajutarti davvero, ti ridaràpiù vigore da sostenere di nuovo e per più tempo que'mali che già t'avevano quasi consunto e liberato persempre. Goditi intanto del presente – ma quanti disagihai pur dovuto durare perché questo tuo stato, che amolti pure sarebbe affannoso, a te paja sì lieto! Ah se tunon fossi padre e marito, io ti darei forse un consiglio! –e senza dirgli parola, l'ho abbracciato; e mentre partiva-no, io li guardava, stretto d'un crepacuore mortale.

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co' soavi suoi modi fa cortese e amoroso tutto quello chevive in lei.

Quando fui solo, diedi a Michele quel più che ho po-tuto; ed esso, mentre io desinava, lo recò a quel derelit-to. Appena mi sono risparmiato tanto da arrivare a Niz-za dove negozierò le cambiali ch'io né banchi di Genovami feci spedire per Tolone e Marsiglia. – Stamattinaquando ei, prima di andarsene, è venuto con la sua mo-glie e con la sua creatura per ringraziarmi, ed io vedevacon quanto giubilo mi replicava: Senza di voi io sareioggi andato cercando il primo spedale – io non ho avutoanimo di rispondergli; ma il mio cuore dicevagli: Ora tuhai come vivere per quattro mesi – per sei – e poi? Labugiarda speranza ti guida intanto per mano, e l'amenoviale dove t'innoltri mette forse a un sentiero più disa-stroso. Tu cercavi il primo spedale – e t'era forse pocodiscosto l'asilo della fossa. Ma questo mio poco soccor-so, né la sorte mi concede di ajutarti davvero, ti ridaràpiù vigore da sostenere di nuovo e per più tempo que'mali che già t'avevano quasi consunto e liberato persempre. Goditi intanto del presente – ma quanti disagihai pur dovuto durare perché questo tuo stato, che amolti pure sarebbe affannoso, a te paja sì lieto! Ah se tunon fossi padre e marito, io ti darei forse un consiglio! –e senza dirgli parola, l'ho abbracciato; e mentre partiva-no, io li guardava, stretto d'un crepacuore mortale.

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19Jer sera spogliandomi io pensava: Perché maiquell'uomo emigrò dalla sua patria? perché s'ammogliò?perché mai lasciò un pane sicuro? e tutta la storia di luipareva il romanzo di un pazzo; ed io sillogizzava cer-cando ciò ch'egli per non strascinarmi dietro tutte quellesciagure, avrebbe potuto fare, o non fare. Ma siccomeho più volte udito infruttuosamente ripetere sì fatti per-ché, ed ho veduto che tutti fanno da medici nelle altruimalattie – io sono andato a dormire borbottando: Omortali che giudicate inconsiderato tutto quello che nonè prospero, mettetevi una mano sul petto e poi confessa-te – siete più savj, o più fortunati?

Or credi tu vero tutto ciò ch'ei narrava? – Io? Credoch'egli era mezzo nudo, ed io vestito; ho veduto una mo-glie languente; ho udito le strida di una bambina. MioLorenzo, si vanno pure cercando con la lanterna nuoveragioni contro del povero perché si sente nella coscienzail diritto che la Natura gli ha dato su le sostanze del ric-co. – Eh! le sciagure non derivano per lo più che da'vizj; e in costui forse derivarono da un delitto. – Forse?per me non lo so, né lo indago. Io giudice, condannereitutti i delinquenti; ma io uomo, ah! penso al ribrezzo colquale nasce la prima idea del delitto; alla fame e allepassioni che strascinano a consumarlo; agli spasimi per-petui; al rimorso con che l'uomo si sfama del frutto in-

19 “Questo squarcio, benché si trovi senza data, in diverso fo-glio, e per caso fuori della serie delle lettere; nondimeno dal con-testo apparisce scritto dallo stesso paese il dì dopo in aggiunta alracconto.”

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19Jer sera spogliandomi io pensava: Perché maiquell'uomo emigrò dalla sua patria? perché s'ammogliò?perché mai lasciò un pane sicuro? e tutta la storia di luipareva il romanzo di un pazzo; ed io sillogizzava cer-cando ciò ch'egli per non strascinarmi dietro tutte quellesciagure, avrebbe potuto fare, o non fare. Ma siccomeho più volte udito infruttuosamente ripetere sì fatti per-ché, ed ho veduto che tutti fanno da medici nelle altruimalattie – io sono andato a dormire borbottando: Omortali che giudicate inconsiderato tutto quello che nonè prospero, mettetevi una mano sul petto e poi confessa-te – siete più savj, o più fortunati?

Or credi tu vero tutto ciò ch'ei narrava? – Io? Credoch'egli era mezzo nudo, ed io vestito; ho veduto una mo-glie languente; ho udito le strida di una bambina. MioLorenzo, si vanno pure cercando con la lanterna nuoveragioni contro del povero perché si sente nella coscienzail diritto che la Natura gli ha dato su le sostanze del ric-co. – Eh! le sciagure non derivano per lo più che da'vizj; e in costui forse derivarono da un delitto. – Forse?per me non lo so, né lo indago. Io giudice, condannereitutti i delinquenti; ma io uomo, ah! penso al ribrezzo colquale nasce la prima idea del delitto; alla fame e allepassioni che strascinano a consumarlo; agli spasimi per-petui; al rimorso con che l'uomo si sfama del frutto in-

19 “Questo squarcio, benché si trovi senza data, in diverso fo-glio, e per caso fuori della serie delle lettere; nondimeno dal con-testo apparisce scritto dallo stesso paese il dì dopo in aggiunta alracconto.”

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sanguinato dalla colpa, alle carceri che il reo si mirasempre spalancate per seppellirlo – e se poi scampandodalla giustizia, ne paga il fio col disonore e con l'indi-genza, dovrò io abbandonarlo alla disperazione ed anuovi delitti? è egli solo colpevole? la calunnia, il tradi-mento del secreto, la seduzione, la malignità, la nera in-gratitudine sono delitti più atroci, ma sono essi neppurminacciati? e chi dal delitto ha ricavato campi ed onore!– O legislatori, o giudici, punite: ma talvolta aggiratevine' tuguri della plebe e ne' sobborghi di tutte le città ca-pitali, e vedrete ogni giorno un quarto della popolazioneche svegliandosi su la paglia non sa come placare le su-preme necessità della vita. Conosco che non si può ri-mutare la società; e che l'inedia, le colpe, e i supplizjsono anch'essi elementi dell'ordine e della prosperitàuniversale; però si crede che il mondo non possa regger-si senza giudici né senza patiboli; ed io lo credo poichétutti lo credono. Ma io? non sarò giudice mai. In questagran valle dove l'umana specie nasce, vive, muore, si ri-produce, s'affanna, e poi torna a morire, senza sapercome né perché, io non distinguo che fortunati e sfortu-nati. E se incontro un infelice, compiango la nostra sor-te; e verso quanto balsamo posso su le piaghedell'uomo: ma lascio i suoi meriti e le sue colpe su la bi-lancia di Dio.

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sanguinato dalla colpa, alle carceri che il reo si mirasempre spalancate per seppellirlo – e se poi scampandodalla giustizia, ne paga il fio col disonore e con l'indi-genza, dovrò io abbandonarlo alla disperazione ed anuovi delitti? è egli solo colpevole? la calunnia, il tradi-mento del secreto, la seduzione, la malignità, la nera in-gratitudine sono delitti più atroci, ma sono essi neppurminacciati? e chi dal delitto ha ricavato campi ed onore!– O legislatori, o giudici, punite: ma talvolta aggiratevine' tuguri della plebe e ne' sobborghi di tutte le città ca-pitali, e vedrete ogni giorno un quarto della popolazioneche svegliandosi su la paglia non sa come placare le su-preme necessità della vita. Conosco che non si può ri-mutare la società; e che l'inedia, le colpe, e i supplizjsono anch'essi elementi dell'ordine e della prosperitàuniversale; però si crede che il mondo non possa regger-si senza giudici né senza patiboli; ed io lo credo poichétutti lo credono. Ma io? non sarò giudice mai. In questagran valle dove l'umana specie nasce, vive, muore, si ri-produce, s'affanna, e poi torna a morire, senza sapercome né perché, io non distinguo che fortunati e sfortu-nati. E se incontro un infelice, compiango la nostra sor-te; e verso quanto balsamo posso su le piaghedell'uomo: ma lascio i suoi meriti e le sue colpe su la bi-lancia di Dio.

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Ventimiglia, 19 e 20 Febbraro

Tu sei disperatamente infelice; tu vivi fra le agoniedella morte, e non hai la sua tranquillità: ma tu dèi tolle-rarle per gli altri. – Così la Filosofia domanda agli uo-mini un eroismo da cui la Natura rifugge. Chi odia lapropria vita può egli amare il minimo bene che è incertodi recare alla Società e sacrificare a questa lusinga moltianni di pianto? e come potrà sperare per gli altri coluiche non ha desiderj, né speranze per sé; e che abbando-nato da tutto, abbandona se stesso? – Non sei misero tusolo. – Pur troppo! ma questa consolazione non è anziargomento dell'invidia secreta che ogni uomo covadell'altrui prosperità? La miseria degli altri non iscemala mia. Chi è tanto generoso da addossarsi le mie infer-mità? e chi anco volendo, il potrebbe? avrebbe forse piùcoraggio da comportarle; ma cos'è il coraggio voto diforza? Non è vile quell'uomo che è travolto dal corso ir-resistibile di una fiumana; bensì chi ha forze da salvarsie non le adopra. Ora dov'è il sapiente che possa costi-tuirsi giudice delle nostre intime forze? chi può darenorma agli effetti delle passioni nelle varie tempre degliuomini e delle incalcolabili circostanze onde decidere:Questi è un vile, perché soggiace; quegli che sopporta, èun eroe? mentre l'amore della vita è così imperioso chepiù battaglia avrà fatto il primo per non cedere, che ilsecondo per sopportare.

Ma i debiti i quali tu hai verso la Società? – Debiti?forse perché mi ha tratto dal libero grembo della Natura,

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Ventimiglia, 19 e 20 Febbraro

Tu sei disperatamente infelice; tu vivi fra le agoniedella morte, e non hai la sua tranquillità: ma tu dèi tolle-rarle per gli altri. – Così la Filosofia domanda agli uo-mini un eroismo da cui la Natura rifugge. Chi odia lapropria vita può egli amare il minimo bene che è incertodi recare alla Società e sacrificare a questa lusinga moltianni di pianto? e come potrà sperare per gli altri coluiche non ha desiderj, né speranze per sé; e che abbando-nato da tutto, abbandona se stesso? – Non sei misero tusolo. – Pur troppo! ma questa consolazione non è anziargomento dell'invidia secreta che ogni uomo covadell'altrui prosperità? La miseria degli altri non iscemala mia. Chi è tanto generoso da addossarsi le mie infer-mità? e chi anco volendo, il potrebbe? avrebbe forse piùcoraggio da comportarle; ma cos'è il coraggio voto diforza? Non è vile quell'uomo che è travolto dal corso ir-resistibile di una fiumana; bensì chi ha forze da salvarsie non le adopra. Ora dov'è il sapiente che possa costi-tuirsi giudice delle nostre intime forze? chi può darenorma agli effetti delle passioni nelle varie tempre degliuomini e delle incalcolabili circostanze onde decidere:Questi è un vile, perché soggiace; quegli che sopporta, èun eroe? mentre l'amore della vita è così imperioso chepiù battaglia avrà fatto il primo per non cedere, che ilsecondo per sopportare.

Ma i debiti i quali tu hai verso la Società? – Debiti?forse perché mi ha tratto dal libero grembo della Natura,

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quand'io non aveva né la ragione, né l'arbitrio di accon-sentirvi, né la forza di oppormivi, e mi educò fra' suoibisogni e fra' suoi pregiudizj? – Lorenzo, perdona s'iocalco troppo su questo discorso tanto da noi disputato.Non voglio smoverti dalla tua opinione sì avversa allamia; vo' bensì dileguare ogni dubbio da me. Saresti con-vinto al pari di me, se ti sentissi le piaghe mie; il Cielote le risparmi! – Ho io contratto questi debiti spontanea-mente? e la mia vita dovrà pagare, come uno schiavo, imali che la Società mi procaccia, solo perché gli intitolabeneficj? e sieno beneficj: ne godo e li ricompenso finoche vivo; e se nel sepolcro non le sono io di vantaggio,qual bene ritraggo io da lei nel sepolcro? O amico mio!ciascun individuo è nemico nato della Società, perché laSocietà è necessaria nemica degli individui. Poni chetutti i mortali avessero interesse di abbandonare la vita,credi tu che la sosterrebbero per me solo? e s'io com-metto un'azione dannosa a' più, io sono punito; mentrenon mi verrà fatto mai di vendicarmi delle loro azioni,quantunque ridondino in sommo mio danno. Possonoben essi pretendere ch'io sia figliuolo della grande fami-glia; ma io rinunziando e a' beni e a' doveri comuni possodire: Io sono un mondo in me stesso: e intendo d'emanci-parmi perché mi manca la felicità che mi avete promesso.Che s'io dividendomi non trovo la mia porzione di liber-tà; se gli uomini me l'hanno invasa perché sono più forti;se mi puniscono perché la ridomando – non gli sciolgo iodalle loro bugiarde promesse e dalle mie impotenti que-rele cercando scampo sotterra? Ah! que' filosofi che han-

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quand'io non aveva né la ragione, né l'arbitrio di accon-sentirvi, né la forza di oppormivi, e mi educò fra' suoibisogni e fra' suoi pregiudizj? – Lorenzo, perdona s'iocalco troppo su questo discorso tanto da noi disputato.Non voglio smoverti dalla tua opinione sì avversa allamia; vo' bensì dileguare ogni dubbio da me. Saresti con-vinto al pari di me, se ti sentissi le piaghe mie; il Cielote le risparmi! – Ho io contratto questi debiti spontanea-mente? e la mia vita dovrà pagare, come uno schiavo, imali che la Società mi procaccia, solo perché gli intitolabeneficj? e sieno beneficj: ne godo e li ricompenso finoche vivo; e se nel sepolcro non le sono io di vantaggio,qual bene ritraggo io da lei nel sepolcro? O amico mio!ciascun individuo è nemico nato della Società, perché laSocietà è necessaria nemica degli individui. Poni chetutti i mortali avessero interesse di abbandonare la vita,credi tu che la sosterrebbero per me solo? e s'io com-metto un'azione dannosa a' più, io sono punito; mentrenon mi verrà fatto mai di vendicarmi delle loro azioni,quantunque ridondino in sommo mio danno. Possonoben essi pretendere ch'io sia figliuolo della grande fami-glia; ma io rinunziando e a' beni e a' doveri comuni possodire: Io sono un mondo in me stesso: e intendo d'emanci-parmi perché mi manca la felicità che mi avete promesso.Che s'io dividendomi non trovo la mia porzione di liber-tà; se gli uomini me l'hanno invasa perché sono più forti;se mi puniscono perché la ridomando – non gli sciolgo iodalle loro bugiarde promesse e dalle mie impotenti que-rele cercando scampo sotterra? Ah! que' filosofi che han-

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no evangelizzato le umane virtù, la probità naturale, lareciproca benevolenza – sono inavvedutamente apostolidegli astuti, ed adescano quelle poche anime ingenue ebollenti le quali amando schiettamente gli uomini perl'ardore di essere riamate, saranno sempre vittime tardipentite della loro leale credulità. –

Eppur quante volte tutti questi argomenti della ragio-ne hanno trovato chiusa la porta del mio cuore, perch'iotuttavia mi sperava di consecrare i miei tormentiall'altrui felicità! Ma! – per il nome d'Iddio, ascolta e ri-spondimi. A che vivo? di che pro ti son io, io fuggitivofra queste cavernose montagne? di che onore a me stes-so, alla mia patria, a' miei cari? V'ha egli diversità daqueste solitudini alla tomba? La mia morte sarebbe perme la meta de' guai, e per voi tutti la fine delle vostreansietà sul mio stato. Invece di tante ambasce continue,io vi darei un solo dolore – tremendo, ma ultimo: e sare-ste certi della eterna mia pace. I mali non ricomprano lavita.

E penso ogni giorno al dispendio di cui da più mesisono causa a mia madre; né so come ella possa far tanto.S'io mi tornassi, troverei casa nostra vedova del suosplendore. E incominciava già ad oscurarsi, molto in-nanzi ch'io mi partissi, per le pubbliche e private estor-sioni le quali non restano di percuoterci. Né però quellamadre benefattrice cessa dalle sue cure: trovai dell'altrodenaro a Milano; ma queste affettuose liberalità le sce-meranno certamente quegli agi fra' quali nacque. Purtroppo fu moglie mal avventurata! le sue sostanze so-

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no evangelizzato le umane virtù, la probità naturale, lareciproca benevolenza – sono inavvedutamente apostolidegli astuti, ed adescano quelle poche anime ingenue ebollenti le quali amando schiettamente gli uomini perl'ardore di essere riamate, saranno sempre vittime tardipentite della loro leale credulità. –

Eppur quante volte tutti questi argomenti della ragio-ne hanno trovato chiusa la porta del mio cuore, perch'iotuttavia mi sperava di consecrare i miei tormentiall'altrui felicità! Ma! – per il nome d'Iddio, ascolta e ri-spondimi. A che vivo? di che pro ti son io, io fuggitivofra queste cavernose montagne? di che onore a me stes-so, alla mia patria, a' miei cari? V'ha egli diversità daqueste solitudini alla tomba? La mia morte sarebbe perme la meta de' guai, e per voi tutti la fine delle vostreansietà sul mio stato. Invece di tante ambasce continue,io vi darei un solo dolore – tremendo, ma ultimo: e sare-ste certi della eterna mia pace. I mali non ricomprano lavita.

E penso ogni giorno al dispendio di cui da più mesisono causa a mia madre; né so come ella possa far tanto.S'io mi tornassi, troverei casa nostra vedova del suosplendore. E incominciava già ad oscurarsi, molto in-nanzi ch'io mi partissi, per le pubbliche e private estor-sioni le quali non restano di percuoterci. Né però quellamadre benefattrice cessa dalle sue cure: trovai dell'altrodenaro a Milano; ma queste affettuose liberalità le sce-meranno certamente quegli agi fra' quali nacque. Purtroppo fu moglie mal avventurata! le sue sostanze so-

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stengono la mia casa che rovinava per le prodigalità dimio padre; e l'età di lei mi fa ancora più amari questipensieri. – Se sapesse! tutto è vano per lo sfortunato suofigliuolo. E s'ella vedesse qui dentro – se vedesse le te-nebre e la consunzione dell'anima mia! deh! non glieneparlare, o Lorenzo: ma vita è questa? – Ah sì! io vivoancora; e l'unico spirito de' miei giorni è una sorda spe-ranza che li rianima sempre, e che pure tento di nonascoltare: non posso – e s'io voglio disingannarla, la siconverte in disperazione infernale. – Il tuo giuramento,o Teresa, proferirà ad un tempo la mia sentenza – mafinché tu se' libera; – e il nostro amore è tuttavianell'arbitrio delle circostanze – dell'incerto avvenire – edella morte, tu sarai sempre mia. Io ti parlo, e ti guardo,e ti abbraccio: e mi pare che così da lontano tu sental'impressioni de' miei baci e delle mie lagrime. Maquando tu sarai offerita dal padre tuo come olocausto diriconciliazione su l'altare di Dio – quando il tuo piantoavrà ridata la pace alla tua famiglia – allora – non io –ma la disperazione sola, e da sé, annienterà l'uomo e lesue passioni. E come può spegnersi, mentre vivo, il mioamore? e come non ti sedurranno sempre nel tuo secretole sue dolci lusinghe? ma allora più non saranno sante einnocenti. Io non amerò, quando sarà d'altri, la donnache fu mia – amo immensamente Teresa; ma non la mo-glie d'Odoardo – ohimè! tu forse mentre scrivo sei nelsuo letto! – Lorenzo! – Ahi Lorenzo! eccolo quel demo-nio mio persecutore; torna a incalzarmi, a premermi, ainvestirmi, e m'accieca l'intelletto, e mi ferma perfino le

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stengono la mia casa che rovinava per le prodigalità dimio padre; e l'età di lei mi fa ancora più amari questipensieri. – Se sapesse! tutto è vano per lo sfortunato suofigliuolo. E s'ella vedesse qui dentro – se vedesse le te-nebre e la consunzione dell'anima mia! deh! non glieneparlare, o Lorenzo: ma vita è questa? – Ah sì! io vivoancora; e l'unico spirito de' miei giorni è una sorda spe-ranza che li rianima sempre, e che pure tento di nonascoltare: non posso – e s'io voglio disingannarla, la siconverte in disperazione infernale. – Il tuo giuramento,o Teresa, proferirà ad un tempo la mia sentenza – mafinché tu se' libera; – e il nostro amore è tuttavianell'arbitrio delle circostanze – dell'incerto avvenire – edella morte, tu sarai sempre mia. Io ti parlo, e ti guardo,e ti abbraccio: e mi pare che così da lontano tu sental'impressioni de' miei baci e delle mie lagrime. Maquando tu sarai offerita dal padre tuo come olocausto diriconciliazione su l'altare di Dio – quando il tuo piantoavrà ridata la pace alla tua famiglia – allora – non io –ma la disperazione sola, e da sé, annienterà l'uomo e lesue passioni. E come può spegnersi, mentre vivo, il mioamore? e come non ti sedurranno sempre nel tuo secretole sue dolci lusinghe? ma allora più non saranno sante einnocenti. Io non amerò, quando sarà d'altri, la donnache fu mia – amo immensamente Teresa; ma non la mo-glie d'Odoardo – ohimè! tu forse mentre scrivo sei nelsuo letto! – Lorenzo! – Ahi Lorenzo! eccolo quel demo-nio mio persecutore; torna a incalzarmi, a premermi, ainvestirmi, e m'accieca l'intelletto, e mi ferma perfino le

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palpitazioni del cuore, e mi fa tutto ferocia, e vorrebbe ilmondo finito con me. – Piangete tutti – e perché mi cac-cia fra le mani un pugnale, e mi precede, e si volgeguardando se io lo sieguo, e mi addita dov'io devo feri-re? Vieni tu dall'altissima vendetta del Cielo? – E cosìnel mio furore e nelle mie superstizioni io mi prostendosu la polvere a scongiurare orrendamente un Dio chenon conosco, che altre volte ho candidamente adorato,ch'io non offesi, di cui dubito sempre – e poi tremo, el'adoro. Dov'io cerco ajuto? non in me, non negli uomi-ni: la Terra io la ho insanguinata, e il Sole è negro.

Alfine eccomi in pace! – Che pace? stanchezza, sopo-re di sepoltura. Ho vagato per queste montagne. Non v'èalbero, non tugurio, non erba. Tutto è bronchi; aspri e li-vidi macigni; e qua e là molte croci che segnano il sitode' viandanti assassinati. – Là giù è il Roja, un torrenteche quando si disfanno i ghiacci precipita dalle visceredelle Alpi, e per gran tratto ha spaccato in due questaimmensa montagna. V'è un ponte presso alla marina chericongiunge il sentiero. Mi sono fermato su quel ponte,e ho spinto gli occhi sin dove può giungere la vista; epercorrendo due argini di altissime rupi e di burroni ca-vernosi, appena si vedono imposte su le cervici dell'Alpialtre Alpi di neve che s'immergono nel Cielo e tuttobiancheggia e si confonde – da quelle spalancate Alpicala e passeggia ondeggiando la tramontana, e per quel-le fauci invade il Mediterraneo. La Natura siede qui so-

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palpitazioni del cuore, e mi fa tutto ferocia, e vorrebbe ilmondo finito con me. – Piangete tutti – e perché mi cac-cia fra le mani un pugnale, e mi precede, e si volgeguardando se io lo sieguo, e mi addita dov'io devo feri-re? Vieni tu dall'altissima vendetta del Cielo? – E cosìnel mio furore e nelle mie superstizioni io mi prostendosu la polvere a scongiurare orrendamente un Dio chenon conosco, che altre volte ho candidamente adorato,ch'io non offesi, di cui dubito sempre – e poi tremo, el'adoro. Dov'io cerco ajuto? non in me, non negli uomi-ni: la Terra io la ho insanguinata, e il Sole è negro.

Alfine eccomi in pace! – Che pace? stanchezza, sopo-re di sepoltura. Ho vagato per queste montagne. Non v'èalbero, non tugurio, non erba. Tutto è bronchi; aspri e li-vidi macigni; e qua e là molte croci che segnano il sitode' viandanti assassinati. – Là giù è il Roja, un torrenteche quando si disfanno i ghiacci precipita dalle visceredelle Alpi, e per gran tratto ha spaccato in due questaimmensa montagna. V'è un ponte presso alla marina chericongiunge il sentiero. Mi sono fermato su quel ponte,e ho spinto gli occhi sin dove può giungere la vista; epercorrendo due argini di altissime rupi e di burroni ca-vernosi, appena si vedono imposte su le cervici dell'Alpialtre Alpi di neve che s'immergono nel Cielo e tuttobiancheggia e si confonde – da quelle spalancate Alpicala e passeggia ondeggiando la tramontana, e per quel-le fauci invade il Mediterraneo. La Natura siede qui so-

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litaria e minacciosa, e caccia da questo suo regno tutti iviventi.

I tuoi confini, o Italia, son questi! ma sono tutto dìsormontati d'ogni parte dalla pertinace avarizia delle na-zioni. Ove sono dunque i tuoi figli? Nulla ti manca senon la forza della concordia. Allora io spenderei glorio-samente la mia vita infelice per te: ma che può fare ilsolo mio braccio e la nuda mia voce? – Ov'è l'antico ter-rore della tua gloria? Miseri! noi andiamo ogni dì me-morando la libertà e la gloria degli avi, le quali quantopiù splendono tanto più scoprono la nostra abbiettaschiavitù. Mentre invochiamo quelle ombre magnanime,i nostri nemici calpestano i loro sepolcri. E verrà forsegiorno che noi perdendo e le sostanze, e l'intelletto, e lavoce, sarem fatti simili agli schiavi domestici degli anti-chi, o trafficati come i miseri Negri, e vedremo i nostripadroni schiudere le tombe e disseppellire, e disperdereal vento le ceneri di que' Grandi per annientarne le ignu-de memorie: poiché oggi i nostri fasti ci sono cagione disuperbia, ma non eccitamento dell'antico letargo.

Così grido quand'io mi sento insuperbire nel petto ilnome Italiano, e rivolgendomi intorno io cerco, né trovopiù la mia patria. – Ma poi dico: Pare che gli uomini sie-no fabbri delle proprie sciagure; ma le sciagure derivanodall'ordine universale, e il genere umano serve orgoglio-samente e ciecamente a' destini. Noi argomentiamo sugli eventi di pochi secoli: che sono eglino nell'immensospazio del tempo? Pari alle stagioni della nostra vitanormale, pajono talvolta gravi di straordinarie vicende,

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litaria e minacciosa, e caccia da questo suo regno tutti iviventi.

I tuoi confini, o Italia, son questi! ma sono tutto dìsormontati d'ogni parte dalla pertinace avarizia delle na-zioni. Ove sono dunque i tuoi figli? Nulla ti manca senon la forza della concordia. Allora io spenderei glorio-samente la mia vita infelice per te: ma che può fare ilsolo mio braccio e la nuda mia voce? – Ov'è l'antico ter-rore della tua gloria? Miseri! noi andiamo ogni dì me-morando la libertà e la gloria degli avi, le quali quantopiù splendono tanto più scoprono la nostra abbiettaschiavitù. Mentre invochiamo quelle ombre magnanime,i nostri nemici calpestano i loro sepolcri. E verrà forsegiorno che noi perdendo e le sostanze, e l'intelletto, e lavoce, sarem fatti simili agli schiavi domestici degli anti-chi, o trafficati come i miseri Negri, e vedremo i nostripadroni schiudere le tombe e disseppellire, e disperdereal vento le ceneri di que' Grandi per annientarne le ignu-de memorie: poiché oggi i nostri fasti ci sono cagione disuperbia, ma non eccitamento dell'antico letargo.

Così grido quand'io mi sento insuperbire nel petto ilnome Italiano, e rivolgendomi intorno io cerco, né trovopiù la mia patria. – Ma poi dico: Pare che gli uomini sie-no fabbri delle proprie sciagure; ma le sciagure derivanodall'ordine universale, e il genere umano serve orgoglio-samente e ciecamente a' destini. Noi argomentiamo sugli eventi di pochi secoli: che sono eglino nell'immensospazio del tempo? Pari alle stagioni della nostra vitanormale, pajono talvolta gravi di straordinarie vicende,

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le quali pur sono comuni e necessarj effetti del tutto.L'universo si controbilancia. Le nazioni si divorano per-ché una non potrebbe sussistere senza i cadaveridell'altra. Io guardando da queste Alpi l'Italia piango efremo, e invoco contro agl'invasori vendetta; ma la miavoce si perde tra il fremito ancora vivo di tanti popolitrapassati, quando i Romani rapivano il mondo, cercava-no oltre a' mari e a' deserti nuovi imperi da devastare,manomettevano gl'Iddii de' vinti, incatenevano principie popoli liberissimi, finché non trovando più dove in-sanguinare i lor ferri, li ritorceano contro le proprie vi-scere. Così gli Israeliti trucidavano i pacifici abitatori diCanaan, e i Babilonesi poi strascinarono nella schiavitùi sacerdoti, le madri, e i figliuoli del popolo di Giuda.Così Alessandro rovesciò l'impero di Babilonia, e dopoavere passando arsa gran parte della terra, si corrucciavache non vi fosse un altro universo. Così gli Spartani trevolte smantellarono Messene e tre volte cacciarono dal-la Grecia i Messeni che pur Greci erano della stessa reli-gione e nipoti de' medesimi antenati. Così sbranavansigli antichi Italiani finché furono ingojati dalla fortuna diRoma. Ma in pochissimi secoli la regina del mondo di-venne preda de' Cesari, de' Neroni, de' Costantini, de'Vandali, e de' Papi. Oh quanto fumo di umani roghi in-gombrò il Cielo della America, oh quanto sangued'innumerabili popoli che né timore né invidia recavanoagli Europei, fu dall'Oceano portato a contaminared'infamia le nostre spiagge! ma quel sangue sarà un dìvendicato e si rovescierà su i figli degli Europei! Tutte

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le quali pur sono comuni e necessarj effetti del tutto.L'universo si controbilancia. Le nazioni si divorano per-ché una non potrebbe sussistere senza i cadaveridell'altra. Io guardando da queste Alpi l'Italia piango efremo, e invoco contro agl'invasori vendetta; ma la miavoce si perde tra il fremito ancora vivo di tanti popolitrapassati, quando i Romani rapivano il mondo, cercava-no oltre a' mari e a' deserti nuovi imperi da devastare,manomettevano gl'Iddii de' vinti, incatenevano principie popoli liberissimi, finché non trovando più dove in-sanguinare i lor ferri, li ritorceano contro le proprie vi-scere. Così gli Israeliti trucidavano i pacifici abitatori diCanaan, e i Babilonesi poi strascinarono nella schiavitùi sacerdoti, le madri, e i figliuoli del popolo di Giuda.Così Alessandro rovesciò l'impero di Babilonia, e dopoavere passando arsa gran parte della terra, si corrucciavache non vi fosse un altro universo. Così gli Spartani trevolte smantellarono Messene e tre volte cacciarono dal-la Grecia i Messeni che pur Greci erano della stessa reli-gione e nipoti de' medesimi antenati. Così sbranavansigli antichi Italiani finché furono ingojati dalla fortuna diRoma. Ma in pochissimi secoli la regina del mondo di-venne preda de' Cesari, de' Neroni, de' Costantini, de'Vandali, e de' Papi. Oh quanto fumo di umani roghi in-gombrò il Cielo della America, oh quanto sangued'innumerabili popoli che né timore né invidia recavanoagli Europei, fu dall'Oceano portato a contaminared'infamia le nostre spiagge! ma quel sangue sarà un dìvendicato e si rovescierà su i figli degli Europei! Tutte

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le nazioni hanno le loro età. Oggi sono tiranne per matu-rare la propria schiavitù di domani: e quei che pagavanodianzi vilmente il tributo, lo imporranno un giorno colferro e col fuoco. La Terra è una foresta di belve. Lafame, i diluvj, e la peste sono ne' provvedimenti dellaNatura come la sterilità di un campo che preparal'abbondanza per l'anno vegnente: e chi sa? fors'anche lesciagure di questo globo apparecchiano la prosperità diun altro.

Frattanto noi chiamiamo pomposamente virtù tuttequelle azioni che giovano alla sicurezza di chi comandae alla paura di chi serve. I governi impongono giustizia:ma potrebbero eglino imporla se per regnare non l'aves-sero prima violata? Chi ha derubato per ambizione le in-tere province, manda solennemente alle forche chi perfame invola del pane. Onde quando la forza ha rotti tuttigli altrui diritti, per serbarli poscia a se stessa inganna imortali con le apparenze del giusto, finché un'altra forzanon la distrugga. Eccoti il mondo, e gli uomini. Sorgonofrattanto d'ora in ora alcuni più arditi mortali; prima de-risi come frenetici, e sovente come malfattori, decapita-ti: che se poi vengono patrocinati dalla fortuna ch'essicredono lor propria, ma che in somma non è che il motoprepotente delle cose, allora sono obbediti e temuti, edopo morte deificati. Questa è la razza degli eroi, de' ca-pisette, e de' fondatori delle nazioni i quali dal loro or-goglio e dalla stupidità de' volghi si stimano salititant'alto per proprio valore; e sono cieche ruotedell'oriuolo. Quando una rivoluzione nel globo è matu-

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le nazioni hanno le loro età. Oggi sono tiranne per matu-rare la propria schiavitù di domani: e quei che pagavanodianzi vilmente il tributo, lo imporranno un giorno colferro e col fuoco. La Terra è una foresta di belve. Lafame, i diluvj, e la peste sono ne' provvedimenti dellaNatura come la sterilità di un campo che preparal'abbondanza per l'anno vegnente: e chi sa? fors'anche lesciagure di questo globo apparecchiano la prosperità diun altro.

Frattanto noi chiamiamo pomposamente virtù tuttequelle azioni che giovano alla sicurezza di chi comandae alla paura di chi serve. I governi impongono giustizia:ma potrebbero eglino imporla se per regnare non l'aves-sero prima violata? Chi ha derubato per ambizione le in-tere province, manda solennemente alle forche chi perfame invola del pane. Onde quando la forza ha rotti tuttigli altrui diritti, per serbarli poscia a se stessa inganna imortali con le apparenze del giusto, finché un'altra forzanon la distrugga. Eccoti il mondo, e gli uomini. Sorgonofrattanto d'ora in ora alcuni più arditi mortali; prima de-risi come frenetici, e sovente come malfattori, decapita-ti: che se poi vengono patrocinati dalla fortuna ch'essicredono lor propria, ma che in somma non è che il motoprepotente delle cose, allora sono obbediti e temuti, edopo morte deificati. Questa è la razza degli eroi, de' ca-pisette, e de' fondatori delle nazioni i quali dal loro or-goglio e dalla stupidità de' volghi si stimano salititant'alto per proprio valore; e sono cieche ruotedell'oriuolo. Quando una rivoluzione nel globo è matu-

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ra, necessariamente vi sono gli uomini che la incomin-ciano, e che fanno de' loro teschj sgabello al trono di chila compie. E perché l'umana schiatta non trova né felici-tà né giustizia sopra la terra, crea gli Dei protettori delladebolezza e cerca premj futuri del pianto presente. Magli Dei si vestirono in tutti i secoli delle armi de' conqui-statori: e opprimono le genti con le passioni, i furori, ele astuzie di chi vuole regnare.

Lorenzo, sai tu dove vive ancora la vera virtù? in noipochi deboli e sventurati; in noi, che dopo avere speri-mentati tutti gli errori, e sentiti tutti i guai della vita,sappiamo compiangerli e soccorrerli. Tu o Compassio-ne, sei la sola virtù! tutte le altre sono virtù usuraje.

Ma mentre io guardo dall'alto le follie e le fatali scia-gure della umanità, non mi sento forse tutte le passioni ela debolezza ed il pianto, soli elementi dell'uomo? Nonsospiro ogni dì la mia patria? Non dico a me lagriman-do: Tu hai una madre e un amico – tu ami – te aspettauna turba di miseri, a cui se' caro, e che forse sperano inte – dove fuggi? anche nelle terre straniere ti persegui-ranno la perfidia degli uomini e i dolori e la morte: quicadrai forse, e niuno avrà compassione di te; e tu sentipure nel tuo misero petto il piacere di essere compianto.Abbandonato da tutti, non chiedi tu ajuto dal Cielo? nont'ascolta; eppure nelle tue afflizioni il tuo cuore torna in-volontario a lui – va, prostrati; ma all'are domestiche.

O natura! hai tu forse bisogno di noi sciagurati, e ciconsideri come i vermi e gl'insetti che vediamo brulicaree moltiplicarsi senza sapere a che vivano? Ma se tu ci

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ra, necessariamente vi sono gli uomini che la incomin-ciano, e che fanno de' loro teschj sgabello al trono di chila compie. E perché l'umana schiatta non trova né felici-tà né giustizia sopra la terra, crea gli Dei protettori delladebolezza e cerca premj futuri del pianto presente. Magli Dei si vestirono in tutti i secoli delle armi de' conqui-statori: e opprimono le genti con le passioni, i furori, ele astuzie di chi vuole regnare.

Lorenzo, sai tu dove vive ancora la vera virtù? in noipochi deboli e sventurati; in noi, che dopo avere speri-mentati tutti gli errori, e sentiti tutti i guai della vita,sappiamo compiangerli e soccorrerli. Tu o Compassio-ne, sei la sola virtù! tutte le altre sono virtù usuraje.

Ma mentre io guardo dall'alto le follie e le fatali scia-gure della umanità, non mi sento forse tutte le passioni ela debolezza ed il pianto, soli elementi dell'uomo? Nonsospiro ogni dì la mia patria? Non dico a me lagriman-do: Tu hai una madre e un amico – tu ami – te aspettauna turba di miseri, a cui se' caro, e che forse sperano inte – dove fuggi? anche nelle terre straniere ti persegui-ranno la perfidia degli uomini e i dolori e la morte: quicadrai forse, e niuno avrà compassione di te; e tu sentipure nel tuo misero petto il piacere di essere compianto.Abbandonato da tutti, non chiedi tu ajuto dal Cielo? nont'ascolta; eppure nelle tue afflizioni il tuo cuore torna in-volontario a lui – va, prostrati; ma all'are domestiche.

O natura! hai tu forse bisogno di noi sciagurati, e ciconsideri come i vermi e gl'insetti che vediamo brulicaree moltiplicarsi senza sapere a che vivano? Ma se tu ci

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hai dotati del funesto istinto della vita sì che il mortalenon cada sotto la soma delle tue infermità ed ubbidiscairrepugnabilmente a tutte le tue leggi, perché poi darciquesto dono ancor più funesto della ragione? Noi toc-chiamo con mano tutte le nostre calamità ignorandosempre il modo di ristorarle.

Perché dunque io fuggo? e in quali lontane contradeio vado a perdermi? dove mai troverò gli uomini diversidagli uomini? O non presento io forse i disastri, le infer-mità, e la indigenza che fuori della mia patria mi aspet-tano? – Ah no! Io tornerò a voi, o sacre terre, che primeudiste i miei vagiti, dove tante volte ho riposato questemie membra affaticate, dove ho trovato nella oscurità enella pace i miei pochi diletti, dove nel dolore ho confi-dato i miei pianti. Poiché tutto è vestito di tristezza perme, se null'altro posso ancora sperare che il sonno eter-no della morte – voi sole, o mie selve, udirete il mio ul-timo lamento, e voi sole coprirete con le vostre ombrepacifiche il mio freddo cadavere. Mi piangeranno quegliinfelici che sono compagni delle mie disgrazie – e se lepassioni vivono dopo il sepolcro, il mio spirito dolorososarà confortato da' sospiri di quella celeste fanciullach'io credeva nata per me, ma che gl'interessi degli uo-mini e il mio destino feroce mi hanno strappata dal pet-to.

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hai dotati del funesto istinto della vita sì che il mortalenon cada sotto la soma delle tue infermità ed ubbidiscairrepugnabilmente a tutte le tue leggi, perché poi darciquesto dono ancor più funesto della ragione? Noi toc-chiamo con mano tutte le nostre calamità ignorandosempre il modo di ristorarle.

Perché dunque io fuggo? e in quali lontane contradeio vado a perdermi? dove mai troverò gli uomini diversidagli uomini? O non presento io forse i disastri, le infer-mità, e la indigenza che fuori della mia patria mi aspet-tano? – Ah no! Io tornerò a voi, o sacre terre, che primeudiste i miei vagiti, dove tante volte ho riposato questemie membra affaticate, dove ho trovato nella oscurità enella pace i miei pochi diletti, dove nel dolore ho confi-dato i miei pianti. Poiché tutto è vestito di tristezza perme, se null'altro posso ancora sperare che il sonno eter-no della morte – voi sole, o mie selve, udirete il mio ul-timo lamento, e voi sole coprirete con le vostre ombrepacifiche il mio freddo cadavere. Mi piangeranno quegliinfelici che sono compagni delle mie disgrazie – e se lepassioni vivono dopo il sepolcro, il mio spirito dolorososarà confortato da' sospiri di quella celeste fanciullach'io credeva nata per me, ma che gl'interessi degli uo-mini e il mio destino feroce mi hanno strappata dal pet-to.

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Alessandria, 29 Febbraro

Da Nizza invece d'innoltrarmi in Francia, ho preso lavolta del Monferrato. Stasera dormirò a Piacenza. Gio-vedì scriverò da Rimino. Ti dirò allora – Or addio.

Rimino, 5 Marzo

Tutto mi si dilegua. Io veniva a rivedere ansiosamenteil Bertola20; da gran tempo io non aveva sue lettere – Èmorto.

Ore 11 della sera

Lo seppi: Teresa è maritata. Tu taci per non darmi lavera ferita – ma l'inferno geme quando la morte il com-batte, non quando lo ha vinto. Meglio così, da che tuttoè deciso: ed ora anch'io sono tranquillo, incredibilmentetranquillo. – Addio. Roma mi sta sempre sul cuore.

Dal frammento seguente che ha la data della serastessa, apparisce che Jacopo decretò in quel dì di mori-re. Parecchi altri frammenti, raccolti come questo dallesue carte, paiono gli ultimi pensieri che lo raffermarononel suo proponimento; e però li andrò frammentendosecondo le loro date.

20 “Autore di poesie campestri.”

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Alessandria, 29 Febbraro

Da Nizza invece d'innoltrarmi in Francia, ho preso lavolta del Monferrato. Stasera dormirò a Piacenza. Gio-vedì scriverò da Rimino. Ti dirò allora – Or addio.

Rimino, 5 Marzo

Tutto mi si dilegua. Io veniva a rivedere ansiosamenteil Bertola20; da gran tempo io non aveva sue lettere – Èmorto.

Ore 11 della sera

Lo seppi: Teresa è maritata. Tu taci per non darmi lavera ferita – ma l'inferno geme quando la morte il com-batte, non quando lo ha vinto. Meglio così, da che tuttoè deciso: ed ora anch'io sono tranquillo, incredibilmentetranquillo. – Addio. Roma mi sta sempre sul cuore.

Dal frammento seguente che ha la data della serastessa, apparisce che Jacopo decretò in quel dì di mori-re. Parecchi altri frammenti, raccolti come questo dallesue carte, paiono gli ultimi pensieri che lo raffermarononel suo proponimento; e però li andrò frammentendosecondo le loro date.

20 “Autore di poesie campestri.”

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“Veggo la meta: ho già tutto fermo da gran tempo nelcuore – il modo, il luogo – né il giorno è lontano.

Cos'è la vita per me? il tempo mi divorò i momentifelici: io non la conosco se non nel sentimento del dolo-re: ed or anche l'illusione mi abbandona – medito sulpassato; m'affiso su i dì che verranno; e non veggo chenulla. Questi anni che appena giungono a segnare la miagiovinezza, come passarono lenti fra i timori, le speran-ze, i desideri, gl'inganni, la noja! e s'io cerco la ereditàche mi hanno lasciato, non mi trovo che la rimembranzadi pochi piaceri che non sono più, e un mare di sciagureche atterrano il mio coraggio, perché me ne fanno pa-ventar di peggiori. Che se nella vita è il dolore, in chepiù sperare? nel nulla; o in un'altra vita diversa sempreda questa. – Ho dunque deliberato; non odio disperata-mente me stesso; non odio i viventi. Cerco da moltotempo la pace; e la ragione mi addita sempre la tomba.Quante volte sommerso nella meditazione delle miesventure io cominciava a disperare di me! L'idea dellamorte dileguava la mia tristezza, ed io sorrideva per lasperanza di non vivere più. – Sono tranquillo, tranquilloimperturbabilmente. Le illusioni sono svanite; i desiderjson morti: le speranze e i timori mi hanno lasciato liberol'intelletto. Non più mille fantasmi ora giocondi ora tristiconfondono e traviano la mia immaginazione: non piùvani argomenti adulano la mia ragione; tutto è calma. –Pentimenti sul passato, noja del presente, e timor del fu-turo; ecco la vita. La sola morte, a cui è commesso il sa-cro cangiamento delle cose, promette pace.”

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“Veggo la meta: ho già tutto fermo da gran tempo nelcuore – il modo, il luogo – né il giorno è lontano.

Cos'è la vita per me? il tempo mi divorò i momentifelici: io non la conosco se non nel sentimento del dolo-re: ed or anche l'illusione mi abbandona – medito sulpassato; m'affiso su i dì che verranno; e non veggo chenulla. Questi anni che appena giungono a segnare la miagiovinezza, come passarono lenti fra i timori, le speran-ze, i desideri, gl'inganni, la noja! e s'io cerco la ereditàche mi hanno lasciato, non mi trovo che la rimembranzadi pochi piaceri che non sono più, e un mare di sciagureche atterrano il mio coraggio, perché me ne fanno pa-ventar di peggiori. Che se nella vita è il dolore, in chepiù sperare? nel nulla; o in un'altra vita diversa sempreda questa. – Ho dunque deliberato; non odio disperata-mente me stesso; non odio i viventi. Cerco da moltotempo la pace; e la ragione mi addita sempre la tomba.Quante volte sommerso nella meditazione delle miesventure io cominciava a disperare di me! L'idea dellamorte dileguava la mia tristezza, ed io sorrideva per lasperanza di non vivere più. – Sono tranquillo, tranquilloimperturbabilmente. Le illusioni sono svanite; i desiderjson morti: le speranze e i timori mi hanno lasciato liberol'intelletto. Non più mille fantasmi ora giocondi ora tristiconfondono e traviano la mia immaginazione: non piùvani argomenti adulano la mia ragione; tutto è calma. –Pentimenti sul passato, noja del presente, e timor del fu-turo; ecco la vita. La sola morte, a cui è commesso il sa-cro cangiamento delle cose, promette pace.”

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Da Ravenna non mi scrisse; ma da quest'altro squar-cio si vede ch'ei vi andò in quella settimana.

“Non temerariamente, ma con animo consigliato e si-curo. Quante tempeste pria che la Morte potesse parlarecosì pacatamente con me – ed io così pacato con lei!

Sull'urna tua, Padre Dante! Abbracciandola, mi sonoprefisso ancor più nel mio consiglio. M'hai tu veduto?m'hai tu forse, Padre, ispirato tanta fortezza di senno edi cuore, mentr'io genuflusso, con la fronte appoggiataa' tuoi marmi, meditava e l'alto animo tuo, e il tuo amo-re, e l'ingrata tua patria, e l'esilio, e la povertà, e la tuamente divina? e mi sono scompagnato dall'ombra tuapiù deliberato e più lieto.”

Su l'albeggiar de' 13 Marzo smontò a' colli Euganei,e spedì a Venezia Michele, gittandosi, stivalato com'era,subitamente a dormire. Io mi stava appunto con la ma-dre di Jacopo, quando essa, che prima di me si vide in-nanzi il ragazzo, chiese spaventata: E mio figlio? – Lalettera di Alessandria non era per anco arrivata, e Ja-copo prevenne anche quella di Rimino: noi ci pensava-mo ch'ei si fosse già in Francia; perciò l'inaspettato ri-torno del servo ci fu presentimento di fiere novelle. Einarrava: Il padrone è in campagna; non può scrivere,perché abbiamo viaggiato tutta notte, dormiva quand'iomontava a cavallo. Vengo per avvertire che noi ripartire-mo; e credo, da quel che gli ho udito dire, per Roma; seben mi ricordo, per Roma, e poi per Ancona, dove ci

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Da Ravenna non mi scrisse; ma da quest'altro squar-cio si vede ch'ei vi andò in quella settimana.

“Non temerariamente, ma con animo consigliato e si-curo. Quante tempeste pria che la Morte potesse parlarecosì pacatamente con me – ed io così pacato con lei!

Sull'urna tua, Padre Dante! Abbracciandola, mi sonoprefisso ancor più nel mio consiglio. M'hai tu veduto?m'hai tu forse, Padre, ispirato tanta fortezza di senno edi cuore, mentr'io genuflusso, con la fronte appoggiataa' tuoi marmi, meditava e l'alto animo tuo, e il tuo amo-re, e l'ingrata tua patria, e l'esilio, e la povertà, e la tuamente divina? e mi sono scompagnato dall'ombra tuapiù deliberato e più lieto.”

Su l'albeggiar de' 13 Marzo smontò a' colli Euganei,e spedì a Venezia Michele, gittandosi, stivalato com'era,subitamente a dormire. Io mi stava appunto con la ma-dre di Jacopo, quando essa, che prima di me si vide in-nanzi il ragazzo, chiese spaventata: E mio figlio? – Lalettera di Alessandria non era per anco arrivata, e Ja-copo prevenne anche quella di Rimino: noi ci pensava-mo ch'ei si fosse già in Francia; perciò l'inaspettato ri-torno del servo ci fu presentimento di fiere novelle. Einarrava: Il padrone è in campagna; non può scrivere,perché abbiamo viaggiato tutta notte, dormiva quand'iomontava a cavallo. Vengo per avvertire che noi ripartire-mo; e credo, da quel che gli ho udito dire, per Roma; seben mi ricordo, per Roma, e poi per Ancona, dove ci

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imbarcheremo: per altro il padrone sta bene; ed è quasiuna settimana ch'io lo vedo più sollevato. Mi disse cheprima di partire verrà a salutar la signora; e però hamandato qui me ad avvisare; anzi verrà qui domanil'altro, e forse domani. Il servo pareva lieto, ma il suodire confuso accrebbe le nostre sollecitudini; né si ac-quetaron se non il dì appresso, quando Jacopo scrisse,come ripartirebbe per l'Isole già Venete, e che temendodi non ritornare forse più, verrebbe a rivederci e a rice-vere la benedizione di sua madre. – Questo bigliettoandò smarrito.

Frattanto nel dì del suo arrivo a' colli Euganei, sve-gliatosi quattr'ore prima di sera, scese a passeggiaresino presso alla chiesa, tornò, si rivestì, e s'avviò a casaT***. Seppe da un famigliare come da sei giorni eranotutti venuti da Padova, e che a momenti sarebbero tor-nati dal passeggio. Era quasi sera, e tornavasi a casa.Dopo non molti passi s'accorse di Teresa che venivacon l'Isabellina per mano; e dietro alle figliuole, il si-gnore T*** con Odoardo. Jacopo fu preso da un tremi-to, e s'accostava perplesso. Teresa appena il conobbe,gridò: Eterno Iddio! e dando indietro mezzo tramortitasi sostenne sul braccio del padre suo. Com'ei fu presso,e che venne ravvisato da tutti, ella non gli disse parola:appena il signore T*** gli stese la mano; e Odoardo losalutò asciuttamente. Solo l'Isabellina gli corse addos-so, e mentre ei se la prendea su le braccia, essa bacia-valo, e lo chiamava il suo Jacopa, e si voltava a Teresaadditandolo; ed esso accompagnandosi a loro, parlava

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imbarcheremo: per altro il padrone sta bene; ed è quasiuna settimana ch'io lo vedo più sollevato. Mi disse cheprima di partire verrà a salutar la signora; e però hamandato qui me ad avvisare; anzi verrà qui domanil'altro, e forse domani. Il servo pareva lieto, ma il suodire confuso accrebbe le nostre sollecitudini; né si ac-quetaron se non il dì appresso, quando Jacopo scrisse,come ripartirebbe per l'Isole già Venete, e che temendodi non ritornare forse più, verrebbe a rivederci e a rice-vere la benedizione di sua madre. – Questo bigliettoandò smarrito.

Frattanto nel dì del suo arrivo a' colli Euganei, sve-gliatosi quattr'ore prima di sera, scese a passeggiaresino presso alla chiesa, tornò, si rivestì, e s'avviò a casaT***. Seppe da un famigliare come da sei giorni eranotutti venuti da Padova, e che a momenti sarebbero tor-nati dal passeggio. Era quasi sera, e tornavasi a casa.Dopo non molti passi s'accorse di Teresa che venivacon l'Isabellina per mano; e dietro alle figliuole, il si-gnore T*** con Odoardo. Jacopo fu preso da un tremi-to, e s'accostava perplesso. Teresa appena il conobbe,gridò: Eterno Iddio! e dando indietro mezzo tramortitasi sostenne sul braccio del padre suo. Com'ei fu presso,e che venne ravvisato da tutti, ella non gli disse parola:appena il signore T*** gli stese la mano; e Odoardo losalutò asciuttamente. Solo l'Isabellina gli corse addos-so, e mentre ei se la prendea su le braccia, essa bacia-valo, e lo chiamava il suo Jacopa, e si voltava a Teresaadditandolo; ed esso accompagnandosi a loro, parlava

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sottovoce con la ragazzina. Niuno aprì bocca: Odoardosoltanto gli chiese se andasse a Venezia. – Fra pochigiorni, rispose. Giunti alla porta, si accomiatò.

Michele che a nessun patto accettò di riposarsi in Ve-nezia per non lasciare solo il padrone, si tornò a' colliun'ora incirca dopo mezzanotte, e lo trovò seduto alloscrittojo rivedendo le sue carte. Moltissime ne bruciò;parecchie di minor conto le lasciava cadere stracciatesotto al tavolino. Il ragazzo si coricò, lasciando l'orto-lano perché ci badasse; tanto più che Jacopo non avevain tutto quel dì desinato. Infatti poco di poi gli fu recataparte del suo desinare, ed ei ne mangiò attendendo sem-pre alle carte. Non le esaminò tutte; ma passeggiò perla stanza, poi prese a leggere. L'ortolano che lo vedevami disse, che sul finir della notte aprì le finestre, e vi sifermò un pezzo: pare che subito dopo abbia scritto i dueframmenti che sieguono: sono in diverse facciate, ma inun medesimo foglio.

“Or via: costanza. – Eccoti una bragera, scintillanted'infiammati carboni. Ponvi dentro la mano; brucia levive tue carni: bada; non t'avvilire d'un gemito. – A chepro? – E a che pro deggio affettare un eroismo che nonmi giova?”

“È notte; alta, perfetta notte. A che veglio immoto suquesto libro? – Io non imparai se non la scienza diostentare saviezza quando le passioni non tiranneggiano

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sottovoce con la ragazzina. Niuno aprì bocca: Odoardosoltanto gli chiese se andasse a Venezia. – Fra pochigiorni, rispose. Giunti alla porta, si accomiatò.

Michele che a nessun patto accettò di riposarsi in Ve-nezia per non lasciare solo il padrone, si tornò a' colliun'ora incirca dopo mezzanotte, e lo trovò seduto alloscrittojo rivedendo le sue carte. Moltissime ne bruciò;parecchie di minor conto le lasciava cadere stracciatesotto al tavolino. Il ragazzo si coricò, lasciando l'orto-lano perché ci badasse; tanto più che Jacopo non avevain tutto quel dì desinato. Infatti poco di poi gli fu recataparte del suo desinare, ed ei ne mangiò attendendo sem-pre alle carte. Non le esaminò tutte; ma passeggiò perla stanza, poi prese a leggere. L'ortolano che lo vedevami disse, che sul finir della notte aprì le finestre, e vi sifermò un pezzo: pare che subito dopo abbia scritto i dueframmenti che sieguono: sono in diverse facciate, ma inun medesimo foglio.

“Or via: costanza. – Eccoti una bragera, scintillanted'infiammati carboni. Ponvi dentro la mano; brucia levive tue carni: bada; non t'avvilire d'un gemito. – A chepro? – E a che pro deggio affettare un eroismo che nonmi giova?”

“È notte; alta, perfetta notte. A che veglio immoto suquesto libro? – Io non imparai se non la scienza diostentare saviezza quando le passioni non tiranneggiano

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l'anima. I precetti sono come le medicine, inutili quandola infermità vince tutte le resistenze della Natura.

Alcuni sapienti si vantano d'avere domate le passioniche non hanno mai combattuto: l'origine è questa dellaloro baldanza. – Amabile stella dell'alba! tu fiammeggidall'oriente, e mandi a questi occhi il tuo raggio – ulti-mo! Chi l'avria detto sei mesi addietro quando tu com-parivi prima degli altri pianeti a rallegrare la notte, e adaccogliere i nostri saluti?

Spuntasse almeno l'aurora! – Forse Teresa si ricordain questo momento di me – pensiero consolatore! Ohcome la beatitudine d'essere amato raddolcisce qualun-que dolore!

Ah notturno delirio! va – tu ricominci a sedurmi: pas-sò stagione: ho disingannato me stesso; un partito solomi resta.”

La mattina mandò per una Bibbia ad Odoardo il qua-le non l'aveva: mandò al parroco, e quando gli fu reca-ta, si chiuse. A mezzodì suonato uscì a spedire la se-guente lettera, e tornò a chiudersi.

14 Marzo

Lorenzo, ho un secreto che da più mesi mi sta confit-to nel cuore: ma l'ora della partenza sta per suonare; edè tempo ch'io lo deponga dentro il tuo petto.

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l'anima. I precetti sono come le medicine, inutili quandola infermità vince tutte le resistenze della Natura.

Alcuni sapienti si vantano d'avere domate le passioniche non hanno mai combattuto: l'origine è questa dellaloro baldanza. – Amabile stella dell'alba! tu fiammeggidall'oriente, e mandi a questi occhi il tuo raggio – ulti-mo! Chi l'avria detto sei mesi addietro quando tu com-parivi prima degli altri pianeti a rallegrare la notte, e adaccogliere i nostri saluti?

Spuntasse almeno l'aurora! – Forse Teresa si ricordain questo momento di me – pensiero consolatore! Ohcome la beatitudine d'essere amato raddolcisce qualun-que dolore!

Ah notturno delirio! va – tu ricominci a sedurmi: pas-sò stagione: ho disingannato me stesso; un partito solomi resta.”

La mattina mandò per una Bibbia ad Odoardo il qua-le non l'aveva: mandò al parroco, e quando gli fu reca-ta, si chiuse. A mezzodì suonato uscì a spedire la se-guente lettera, e tornò a chiudersi.

14 Marzo

Lorenzo, ho un secreto che da più mesi mi sta confit-to nel cuore: ma l'ora della partenza sta per suonare; edè tempo ch'io lo deponga dentro il tuo petto.

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Questo amico tuo ha sempre davanti un cadavere. –Ho fatto quanto io doveva; quella famiglia è da quelgiorno men povera – ma il padre loro rivive più?

In uno di que' giorni del mio forsennato dolore, sonoggimai dieci mesi, io cavalcando mi dilungai molte mi-glia. Era la sera; io vedeva sorgere un tempo nero, e tor-nando affrettavami: il cavallo divorava la via, e nondi-meno i miei sproni lo insanguinavano; e gli abbandonaitutte le briglie sul collo, invocando quasi ch'ei rovinassee si seppellisse con me. Entrando in un viale tutto alberi,stretto, lunghissimo, vidi una persona – ripresi le briglie;ma il cavallo più s'irritava e più impetuosamente lancia-vasi. – Tienti a sinistra, gridai, a sinistra! Quello sfortu-nato m'intese; corse a sinistra; ma sentendo più immi-nente lo scalpito, e in quello stretto sentiero credendosiaddosso il cavallo, ritornava sgomentato a diritta, e fuinvestito, rovesciato, e le zampe gli frantumarono le cer-vella. In quel violento urto il cavallo stramazzò, balzan-domi di sella più passi. Perché rimasi vivo ed illeso? –Corsi ove intendeva un lamento di moribondo: l'uomoagonizzava boccone in una palude di sangue: lo scossi:non aveva né voce né sentimento; dopo minuti spirò.Tornai a casa. Quella notte fu anche burrascosa per tuttala Natura; la grandine desolò le campagne; le folgori ar-sero molti alberi, e il turbine fracassò la cappella di uncrocefisso: ed io uscii a perdermi tutta la notte per lemontagne con le vesti e l'anima insanguinata, cercandoin quello sterminio la pena della mia colpa. Che notte!Credi tu che quel terribile spettro mi abbia perdonato

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Questo amico tuo ha sempre davanti un cadavere. –Ho fatto quanto io doveva; quella famiglia è da quelgiorno men povera – ma il padre loro rivive più?

In uno di que' giorni del mio forsennato dolore, sonoggimai dieci mesi, io cavalcando mi dilungai molte mi-glia. Era la sera; io vedeva sorgere un tempo nero, e tor-nando affrettavami: il cavallo divorava la via, e nondi-meno i miei sproni lo insanguinavano; e gli abbandonaitutte le briglie sul collo, invocando quasi ch'ei rovinassee si seppellisse con me. Entrando in un viale tutto alberi,stretto, lunghissimo, vidi una persona – ripresi le briglie;ma il cavallo più s'irritava e più impetuosamente lancia-vasi. – Tienti a sinistra, gridai, a sinistra! Quello sfortu-nato m'intese; corse a sinistra; ma sentendo più immi-nente lo scalpito, e in quello stretto sentiero credendosiaddosso il cavallo, ritornava sgomentato a diritta, e fuinvestito, rovesciato, e le zampe gli frantumarono le cer-vella. In quel violento urto il cavallo stramazzò, balzan-domi di sella più passi. Perché rimasi vivo ed illeso? –Corsi ove intendeva un lamento di moribondo: l'uomoagonizzava boccone in una palude di sangue: lo scossi:non aveva né voce né sentimento; dopo minuti spirò.Tornai a casa. Quella notte fu anche burrascosa per tuttala Natura; la grandine desolò le campagne; le folgori ar-sero molti alberi, e il turbine fracassò la cappella di uncrocefisso: ed io uscii a perdermi tutta la notte per lemontagne con le vesti e l'anima insanguinata, cercandoin quello sterminio la pena della mia colpa. Che notte!Credi tu che quel terribile spettro mi abbia perdonato

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mai? – La mattina dopo, assai se ne parlò: si trovò ilmorto in quel viale, mezzo miglio più lontano, sotto unmucchio di sassi fra due castagni schiantati che attraver-savano il cammino; la pioggia che sino all'alba cascòdalle alture a torrenti ve lo strascinò con que' sassi; ave-va le membra e la faccia a brani: e fu conosciuto per lestrida della moglie che lo cercava. Nessuno fu imputato.Ben mi accusavano nel mio secreto le benedizioni diquella vedova perché ho subitamente collocata la sua fi-glia al nipote del castaldo; e assegnato un patrimonio alfigliuolo che si volle far prete. E jer sera vennero a rin-graziarmi di nuovo dicendomi, ch'io gli ho liberati dallamiseria in cui da tanti anni languiva la famiglia di quelpovero lavoratore. – Ah! vi sono pure tanti altri misericome voi; ma hanno un marito ed un padre che li conso-la con l'amor suo, e che essi non cangierebbero per tuttele ricchezze della terra – e voi!

Così gli uomini nascono a struggersi scambievolmen-te!

Fuggono da quel viale tutti i villani, e tornandosi da'lavori, per iscansarlo, passano per le praterie. Si diceche le notti vi si sentano spiriti; che l'uccello del mal-augurio siede fra quelle arbori e dopo la mezzanotte urlatre volte; che qualche sera si è veduto passare una perso-na morta – né io ardisco disingannarli, né ridere di taliprestigj. Ma svelerai tutto dopo la mia morte. Il viaggioè rischioso, la mia salute è incerta; non posso allontanar-mi con questo rimorso sepolto. Que' due figliuoli in ogni

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mai? – La mattina dopo, assai se ne parlò: si trovò ilmorto in quel viale, mezzo miglio più lontano, sotto unmucchio di sassi fra due castagni schiantati che attraver-savano il cammino; la pioggia che sino all'alba cascòdalle alture a torrenti ve lo strascinò con que' sassi; ave-va le membra e la faccia a brani: e fu conosciuto per lestrida della moglie che lo cercava. Nessuno fu imputato.Ben mi accusavano nel mio secreto le benedizioni diquella vedova perché ho subitamente collocata la sua fi-glia al nipote del castaldo; e assegnato un patrimonio alfigliuolo che si volle far prete. E jer sera vennero a rin-graziarmi di nuovo dicendomi, ch'io gli ho liberati dallamiseria in cui da tanti anni languiva la famiglia di quelpovero lavoratore. – Ah! vi sono pure tanti altri misericome voi; ma hanno un marito ed un padre che li conso-la con l'amor suo, e che essi non cangierebbero per tuttele ricchezze della terra – e voi!

Così gli uomini nascono a struggersi scambievolmen-te!

Fuggono da quel viale tutti i villani, e tornandosi da'lavori, per iscansarlo, passano per le praterie. Si diceche le notti vi si sentano spiriti; che l'uccello del mal-augurio siede fra quelle arbori e dopo la mezzanotte urlatre volte; che qualche sera si è veduto passare una perso-na morta – né io ardisco disingannarli, né ridere di taliprestigj. Ma svelerai tutto dopo la mia morte. Il viaggioè rischioso, la mia salute è incerta; non posso allontanar-mi con questo rimorso sepolto. Que' due figliuoli in ogni

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loro disgrazia e quella vedova sieno sacri nella mia casa.Addio.

Per entro la Bibbia si trovarono, assai giorni dopo, letraduzioni zeppe di cassature e quasi non leggibili di al-cuni versi del libro di Job, del secondo capo dell'Eccle-siaste, e di tutto il cantico di Ezechia. –

Alle quattro dopo mezzodì si trovò a casa T***. Tere-sa era discesa tutta sola in giardino. Il padre di lei loaccolse affabilmente. Odoardo si fe' a leggere presso unbalcone; e dopo non molto posò il libro: ne aprì un al-tro, e leggendo s'incamminò alle sue stanze. Allora Ja-copo prese il primo libro così come fu lasciato apertoda Odoardo; era il volume IV delle tragedie dell'Alfieri:ne scorse una o due pagine; poi lesse forte:

Chi siete voi?... Chi d'aura aperta e puraQui favellò?... Questa? è caligin densa;Tenebre sono; ombra di morte... Oh mira;Più mi t'accosta; il vedi? Il Sol d'intornoCinto ha di sangue ghirlanda funesta...Odi tu canto di sinistri augelli?Lugubre un pianto sull'aere si spandeChe me percote, e a lagrimar mi sforza...Ma che? Voi pur, voi pur piangete?...

Il padre di Teresa guardandolo gli diceva: O mio fi-glio! – Jacopo seguitò a leggere sommessamente: aprì acaso quello stesso volume, e tosto posandolo, esclamò:

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loro disgrazia e quella vedova sieno sacri nella mia casa.Addio.

Per entro la Bibbia si trovarono, assai giorni dopo, letraduzioni zeppe di cassature e quasi non leggibili di al-cuni versi del libro di Job, del secondo capo dell'Eccle-siaste, e di tutto il cantico di Ezechia. –

Alle quattro dopo mezzodì si trovò a casa T***. Tere-sa era discesa tutta sola in giardino. Il padre di lei loaccolse affabilmente. Odoardo si fe' a leggere presso unbalcone; e dopo non molto posò il libro: ne aprì un al-tro, e leggendo s'incamminò alle sue stanze. Allora Ja-copo prese il primo libro così come fu lasciato apertoda Odoardo; era il volume IV delle tragedie dell'Alfieri:ne scorse una o due pagine; poi lesse forte:

Chi siete voi?... Chi d'aura aperta e puraQui favellò?... Questa? è caligin densa;Tenebre sono; ombra di morte... Oh mira;Più mi t'accosta; il vedi? Il Sol d'intornoCinto ha di sangue ghirlanda funesta...Odi tu canto di sinistri augelli?Lugubre un pianto sull'aere si spandeChe me percote, e a lagrimar mi sforza...Ma che? Voi pur, voi pur piangete?...

Il padre di Teresa guardandolo gli diceva: O mio fi-glio! – Jacopo seguitò a leggere sommessamente: aprì acaso quello stesso volume, e tosto posandolo, esclamò:

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...Non diedi a voi per ancoDel mio coraggio prova: ei pur fia pariAl dolor mio.

A questi versi Odoardo tornava, e gli udì proferirecosì efficacemente che si ristette su la porta pensoso.Mi narrava poi il signore T*** che a lui parve in quelmomento di leggere la morte sul volto del nostro miseroamico; e che in que' giorni tutte le parole di lui ispira-vano riverenza e pietà. Favellarono poi del suo viaggio;e quando Odoardo gli chiese se starebbe di molto a tor-nare: Si, rispose, potrei quasi giurare che non ci rivedre-mo più. Non ci rivedremo noi più? dissegli il signoreT*** con voce afflittissima. Allora Jacopo, come perrassicurarlo, lo guardò in viso con aria lieta insieme etranquilla; e dopo breve silenzio, gli citò sorridendoquel passo del Petrarca:

Non so; ma forseTu starai in terra senza me gran tempo.

Ridottosi a casa su l'imbrunire, si chiuse; né comparìfuori di stanza che la mattina seguente assai tardi. Por-rò qui alcuni frammenti ch'io credo di quella notte,quantunque io non sappia assegnare veramente l'ora incui furono scritti.

“Viltà? – Or tu che gridi viltà non se' uno diquegl'infiniti mortali che infingardi guardano le loro ca-

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...Non diedi a voi per ancoDel mio coraggio prova: ei pur fia pariAl dolor mio.

A questi versi Odoardo tornava, e gli udì proferirecosì efficacemente che si ristette su la porta pensoso.Mi narrava poi il signore T*** che a lui parve in quelmomento di leggere la morte sul volto del nostro miseroamico; e che in que' giorni tutte le parole di lui ispira-vano riverenza e pietà. Favellarono poi del suo viaggio;e quando Odoardo gli chiese se starebbe di molto a tor-nare: Si, rispose, potrei quasi giurare che non ci rivedre-mo più. Non ci rivedremo noi più? dissegli il signoreT*** con voce afflittissima. Allora Jacopo, come perrassicurarlo, lo guardò in viso con aria lieta insieme etranquilla; e dopo breve silenzio, gli citò sorridendoquel passo del Petrarca:

Non so; ma forseTu starai in terra senza me gran tempo.

Ridottosi a casa su l'imbrunire, si chiuse; né comparìfuori di stanza che la mattina seguente assai tardi. Por-rò qui alcuni frammenti ch'io credo di quella notte,quantunque io non sappia assegnare veramente l'ora incui furono scritti.

“Viltà? – Or tu che gridi viltà non se' uno diquegl'infiniti mortali che infingardi guardano le loro ca-

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tene, e non osano piangere, e baciano la mano che li fla-gella? Che è mai l'uomo? il coraggio fu sempre domina-tore dell'universo perché tutto è debolezza e paura.

Tu m'imputi di viltà, e ti vendi intanto l'anima e l'ono-re.

Vieni; mirami agonizzare boccheggiando nel mio san-gue: non tremi tu? or chi è il vile? ma trammi questocoltello dal petto – impugnalo; e di' a te stesso: Dovròvivere eterno? Dolore sommo forte, ma breve e genero-so. Chi sa! la fortuna ti prepara una morte più dolorosa epiù infame. Confessa. Or che tu tieni quell'arma appun-tata deliberatamente sovra il tuo cuore, non ti senti forsecapace di ogni alta impresa, e non ti vedi libero padronede' tuoi tiranni?”

Mezzanotte

“Contemplo la campagna: guarda che notte serena epacifica! Ecco la Luna che sorge dietro la montagna. –O Luna! amica Luna. Mandi ora tu forse su la faccia diTeresa un patetico raggio simile a questo che tu diffondinell'anima mia? Ti ho sempre salutata mentre apparivi aconsolare la muta solitudine della Terra: più volteuscendo dalla casa di Teresa ho parlato con te, e tu eritestimonio de' miei delirj: questi occhi molli di lagrimepiù volte accompagnata in grembo alle nubi che tiascondevano: ti hanno cercata nelle notti cieche dellatua luce. Tu risorgerai, tu risorgerai sempre più bella;

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tene, e non osano piangere, e baciano la mano che li fla-gella? Che è mai l'uomo? il coraggio fu sempre domina-tore dell'universo perché tutto è debolezza e paura.

Tu m'imputi di viltà, e ti vendi intanto l'anima e l'ono-re.

Vieni; mirami agonizzare boccheggiando nel mio san-gue: non tremi tu? or chi è il vile? ma trammi questocoltello dal petto – impugnalo; e di' a te stesso: Dovròvivere eterno? Dolore sommo forte, ma breve e genero-so. Chi sa! la fortuna ti prepara una morte più dolorosa epiù infame. Confessa. Or che tu tieni quell'arma appun-tata deliberatamente sovra il tuo cuore, non ti senti forsecapace di ogni alta impresa, e non ti vedi libero padronede' tuoi tiranni?”

Mezzanotte

“Contemplo la campagna: guarda che notte serena epacifica! Ecco la Luna che sorge dietro la montagna. –O Luna! amica Luna. Mandi ora tu forse su la faccia diTeresa un patetico raggio simile a questo che tu diffondinell'anima mia? Ti ho sempre salutata mentre apparivi aconsolare la muta solitudine della Terra: più volteuscendo dalla casa di Teresa ho parlato con te, e tu eritestimonio de' miei delirj: questi occhi molli di lagrimepiù volte accompagnata in grembo alle nubi che tiascondevano: ti hanno cercata nelle notti cieche dellatua luce. Tu risorgerai, tu risorgerai sempre più bella;

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ma l'amico tuo cadrà deforme e abbandonato cadaveresenza risorgere più. Or ti prego di un ultimo beneficio:quando Teresa mi cercherà fra i cipressi e i pini delmonte, illumina co' tuoi raggi la mia sepoltura.”

“Bell'alba! ed è pure gran tempo ch'io non m'alzo daun sonno così riposato, e ch'io non ti vedo, o mattino,così rilucente! – ma gli occhi miei erano sempre nelpianto; e tutti i miei pensieri nella oscurità; e l'animamia nuotava nel dolore.

Splendi, su splendi, o Natura, e riconforta le cure de'mortali. Tu non risplenderai più per me. Ho già sentitotutta la tua bellezza, e t'ho adorata, e mi sono alimentatodella tua gioja; e finché io ti vedeva bella e benefica tumi dicevi con una voce divina: Vivi. – Ma nella mia di-sperazione ti ho poi veduta con le mani grondanti disangue; la fragranza de' tuoi fiori mi fu pregna di vele-no, amari i tuoi frutti; e mi apparivi divoratrice de' tuoifigliuoli adescandoli con la tua bellezza e co' tuoi donial dolore.

Sarò io dunque ingrato con te? protrarrò la vita pervederti sì terribile, e bestemmiarti? No, no. – Trasfor-mandoti, e acciecandomi alla tua luce non mi abbandoniforse tu stessa, e non mi comandi ad un tempo di abban-donarti? – Ah! ora ti guardo e sospiro; ma io ti vagheg-gio ancora per la reminiscenza delle passate dolcezze,per la certezza ch'io non dovrò più temerti, e perché stoper perderti. – Né io credo di ribellarmi da te fuggendola vita. La vita e la morte sono del pari tue leggi: anzi

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ma l'amico tuo cadrà deforme e abbandonato cadaveresenza risorgere più. Or ti prego di un ultimo beneficio:quando Teresa mi cercherà fra i cipressi e i pini delmonte, illumina co' tuoi raggi la mia sepoltura.”

“Bell'alba! ed è pure gran tempo ch'io non m'alzo daun sonno così riposato, e ch'io non ti vedo, o mattino,così rilucente! – ma gli occhi miei erano sempre nelpianto; e tutti i miei pensieri nella oscurità; e l'animamia nuotava nel dolore.

Splendi, su splendi, o Natura, e riconforta le cure de'mortali. Tu non risplenderai più per me. Ho già sentitotutta la tua bellezza, e t'ho adorata, e mi sono alimentatodella tua gioja; e finché io ti vedeva bella e benefica tumi dicevi con una voce divina: Vivi. – Ma nella mia di-sperazione ti ho poi veduta con le mani grondanti disangue; la fragranza de' tuoi fiori mi fu pregna di vele-no, amari i tuoi frutti; e mi apparivi divoratrice de' tuoifigliuoli adescandoli con la tua bellezza e co' tuoi donial dolore.

Sarò io dunque ingrato con te? protrarrò la vita pervederti sì terribile, e bestemmiarti? No, no. – Trasfor-mandoti, e acciecandomi alla tua luce non mi abbandoniforse tu stessa, e non mi comandi ad un tempo di abban-donarti? – Ah! ora ti guardo e sospiro; ma io ti vagheg-gio ancora per la reminiscenza delle passate dolcezze,per la certezza ch'io non dovrò più temerti, e perché stoper perderti. – Né io credo di ribellarmi da te fuggendola vita. La vita e la morte sono del pari tue leggi: anzi

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una strada concedi al nascere, mille al morire. Se non ciimputi la infermità che ne uccide, vorrai forse imputarnele passioni che hanno gli stessi effetti e la stessa sorgen-te perché derivano da te, né potrebbero opprimerci se date non avessero ricevuto la forza? Né tu hai prefisso unaetà certa per tutti. Gli uomini denno nascere, vivere, mo-rire: ecco le tue leggi: che rileva il tempo e il modo?

Nulla io ti sottraggo di ciò che mi hai dato. Il miocorpo, questa infinitesima parte, ti starà sempre con-giunta sotto altre forme. Il mio spirito – se morrà conme, si modificherà con me nella massa immensa dellecose – e s'egli è immortale! – la sua essenza rimarrà ille-sa.

Oh! a che più lusingo la mia ragione? Non odo la so-lenne voce della Natura? Io ti feci nascere perché tuanelando alla tua felicità cospirassi alla felicità univer-sale; e quindi per istinto ti diedi l'amor della vita, el'orror della morte. Ma se la piena del dolore vincel'istinto, che altro puoi tu fare se non correre verso levie che io ti spiano per fuggir da' tuoi mali? Quale rico-noscenza più t'obbliga meco, se la vita ch'io ti diedi perbeneficio, ti si è convertita in dolore?

Che arroganza! credermi necessario! – gli anni mieisono nello incircoscritto spazio del tempo un attimo im-percettibile. Ecco fiumi di sangue che portano tra i fu-manti lor flutti recenti mucchj d'umani cadaveri: e sonoquesti milioni d'uomini sacrificati a mille pertiche di ter-reno, e a mezzo secolo di fama che due conquistatori sicontendono con la vita de' popoli. E temerò io di immo-

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una strada concedi al nascere, mille al morire. Se non ciimputi la infermità che ne uccide, vorrai forse imputarnele passioni che hanno gli stessi effetti e la stessa sorgen-te perché derivano da te, né potrebbero opprimerci se date non avessero ricevuto la forza? Né tu hai prefisso unaetà certa per tutti. Gli uomini denno nascere, vivere, mo-rire: ecco le tue leggi: che rileva il tempo e il modo?

Nulla io ti sottraggo di ciò che mi hai dato. Il miocorpo, questa infinitesima parte, ti starà sempre con-giunta sotto altre forme. Il mio spirito – se morrà conme, si modificherà con me nella massa immensa dellecose – e s'egli è immortale! – la sua essenza rimarrà ille-sa.

Oh! a che più lusingo la mia ragione? Non odo la so-lenne voce della Natura? Io ti feci nascere perché tuanelando alla tua felicità cospirassi alla felicità univer-sale; e quindi per istinto ti diedi l'amor della vita, el'orror della morte. Ma se la piena del dolore vincel'istinto, che altro puoi tu fare se non correre verso levie che io ti spiano per fuggir da' tuoi mali? Quale rico-noscenza più t'obbliga meco, se la vita ch'io ti diedi perbeneficio, ti si è convertita in dolore?

Che arroganza! credermi necessario! – gli anni mieisono nello incircoscritto spazio del tempo un attimo im-percettibile. Ecco fiumi di sangue che portano tra i fu-manti lor flutti recenti mucchj d'umani cadaveri: e sonoquesti milioni d'uomini sacrificati a mille pertiche di ter-reno, e a mezzo secolo di fama che due conquistatori sicontendono con la vita de' popoli. E temerò io di immo-

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lare a me stesso que' dì pochi e dolenti che mi sarannoforse rapiti dalle persecuzioni degli uomini, o contami-nati dalle colpe?”

Cercai quasi con religione tutti i vestigi dell'amicomio nelle sue ore supreme, e con pari religione io scrivoquelle cose che ho potuto sapere: però non ti dico, oLettore, se non ciò ch'io vidi, o ciò che mi fu, da chi ilvide, narrato. – Per quanto io m'abbia indagato, nonseppi che abbia egli fatto ne' dì 16, 17, 18 Marzo. Fupiù volte a casa T***; ma non vi si fernò mai. Uscivatutti que' dì quasi innanzi giorno, e si ritirava assai tar-di: cenava senza dire parola: e Michele mi accerta, cheavea notti assai riposate.

La lettera che siegue non ha data, ma fu scritta addì19.

Parmi? o Teresa mi sfugge? – essa essa mi sfugge!Tutti – e le sta sempre al fianco Odoardo. Vorrei vederlasolo una volta; e sappi ch'io mi sarei già partito – tu purem'affretti ognor più! – ma sarei partito, se avessi potutobagnarle una volta la mano di lagrime. Gran silenzio intutta quella famiglia! Salendo le scale temo d'incontrareOdoardo – parlandomi, non mi nomina mai Teresa. Ed èpur poco discreto! sempre, anche dianzi, m'interrogaquando e come partirò. Mi sono arretrato improvvisa-mente da lui – perché davvero mi parea ch'ei sogghi-gnasse; e l'ho fuggito fremendo.

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lare a me stesso que' dì pochi e dolenti che mi sarannoforse rapiti dalle persecuzioni degli uomini, o contami-nati dalle colpe?”

Cercai quasi con religione tutti i vestigi dell'amicomio nelle sue ore supreme, e con pari religione io scrivoquelle cose che ho potuto sapere: però non ti dico, oLettore, se non ciò ch'io vidi, o ciò che mi fu, da chi ilvide, narrato. – Per quanto io m'abbia indagato, nonseppi che abbia egli fatto ne' dì 16, 17, 18 Marzo. Fupiù volte a casa T***; ma non vi si fernò mai. Uscivatutti que' dì quasi innanzi giorno, e si ritirava assai tar-di: cenava senza dire parola: e Michele mi accerta, cheavea notti assai riposate.

La lettera che siegue non ha data, ma fu scritta addì19.

Parmi? o Teresa mi sfugge? – essa essa mi sfugge!Tutti – e le sta sempre al fianco Odoardo. Vorrei vederlasolo una volta; e sappi ch'io mi sarei già partito – tu purem'affretti ognor più! – ma sarei partito, se avessi potutobagnarle una volta la mano di lagrime. Gran silenzio intutta quella famiglia! Salendo le scale temo d'incontrareOdoardo – parlandomi, non mi nomina mai Teresa. Ed èpur poco discreto! sempre, anche dianzi, m'interrogaquando e come partirò. Mi sono arretrato improvvisa-mente da lui – perché davvero mi parea ch'ei sogghi-gnasse; e l'ho fuggito fremendo.

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Torna a spaventarmi quella terribile verità ch'io giàsvelava con raccapriccio – e che mi sono poscia assue-fatto a meditare con rassegnazione: Tutti siamo nemici.Se tu potessi fare il processo de' pensieri di chiunque tisi para davanti, vedresti ch'ei ruota a cerchio una spadaper allontanare tutti dal proprio bene, e per rapirel'altrui. – Lorenzo; comincio a vacillar nuovamente. Maconviene disporsi – e lasciarli in pace.

P.S. Torno da quella donna decrepita di cui parmid'averti narrato una volta. La sconsolata vive ancora!sola, abbandonata spesso gl'interi giorni da tutti che sistancano di ajutarla, vive ancora; ma tutti i suoi sensisono da più mesi nell'orrore e nella battaglia della mor-te.

Seguono due frammenti scritti forse in quella notte; epajono gli ultimi.

“Strappiamo la maschera a questa larva che vuole at-terrirci. – Ho veduto fanciulli raccapricciare e nascon-dersi all'aspetto travisato della loro nutrice. O Morte! ioti guardo e t'interrogo – non le cose ma le loro apparen-ze ci turbano: infiniti uomini che non s'arrischiano dichiamarti, ti affrontano nondimeno intrepidamente! Tupure sei necessario elemento della Natura – per me og-gimai tutto l'orror tuo si dilegua, e mi rassembri simileal sonno della sera, quiete dell'opre.

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Torna a spaventarmi quella terribile verità ch'io giàsvelava con raccapriccio – e che mi sono poscia assue-fatto a meditare con rassegnazione: Tutti siamo nemici.Se tu potessi fare il processo de' pensieri di chiunque tisi para davanti, vedresti ch'ei ruota a cerchio una spadaper allontanare tutti dal proprio bene, e per rapirel'altrui. – Lorenzo; comincio a vacillar nuovamente. Maconviene disporsi – e lasciarli in pace.

P.S. Torno da quella donna decrepita di cui parmid'averti narrato una volta. La sconsolata vive ancora!sola, abbandonata spesso gl'interi giorni da tutti che sistancano di ajutarla, vive ancora; ma tutti i suoi sensisono da più mesi nell'orrore e nella battaglia della mor-te.

Seguono due frammenti scritti forse in quella notte; epajono gli ultimi.

“Strappiamo la maschera a questa larva che vuole at-terrirci. – Ho veduto fanciulli raccapricciare e nascon-dersi all'aspetto travisato della loro nutrice. O Morte! ioti guardo e t'interrogo – non le cose ma le loro apparen-ze ci turbano: infiniti uomini che non s'arrischiano dichiamarti, ti affrontano nondimeno intrepidamente! Tupure sei necessario elemento della Natura – per me og-gimai tutto l'orror tuo si dilegua, e mi rassembri simileal sonno della sera, quiete dell'opre.

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Ecco le spalle di quella sterile rupe che frodano lesottoposte valli del raggio fecondatore dell'anno. – Ache mi sto? Se devo cooperare all'altrui felicità, io inve-ce la turbo: s'io devo consumare la parte di calamità as-segnata ad ogni uomo, io già in ventiquattro anni hovuotato il calice che avria potuto bastarmi per una lun-ghissima vita. E la speranza? – Che monta? conosco ioforse l'avvenire per fidargli i miei giorni? Ahi che ap-punto questa fatale ignoranza accarezza le nostre passio-ni, ed alimenta l'umana infelicità.

Il tempo vola; e col tempo ho perduto nel dolore quel-la parte di vita che due mesi addietro lusingavasi di con-forto. Questa piaga invecchiata è ormai divenuta natura:io la sento nel mio cuore, nel mio cervello, in tutto mestesso; gronda sangue, e sospira come se fosse aperta difresco. – Or basta, Teresa, basta: non ti par di vedere inme un infermo strascinato a lenti passi alla tomba fra ladisperazione e i tormenti, e non sa prevenire con un solcolpo gli strazj del suo destino inevitabile?”

“Tento la punta di questo pugnale: io lo stringo, e sor-rido: qui; in mezzo a questo cuor palpitante – e sarà tut-to compiuto. Ma questo ferro mi sta sempre davanti! –chi chi osa amarti, o Teresa? Chi osò rapirti? – Fuggimidunque; non mi ti accostare, Odoardo! –

O! mi vado strofinando le mani per lavare la macchiadel tuo sangue – le fiuto come se fumassero di delitto.Frattanto eccole immacolate, e in tempo di togliermi inun tratto dal pericolo di vivere un giorno di più – un

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Ecco le spalle di quella sterile rupe che frodano lesottoposte valli del raggio fecondatore dell'anno. – Ache mi sto? Se devo cooperare all'altrui felicità, io inve-ce la turbo: s'io devo consumare la parte di calamità as-segnata ad ogni uomo, io già in ventiquattro anni hovuotato il calice che avria potuto bastarmi per una lun-ghissima vita. E la speranza? – Che monta? conosco ioforse l'avvenire per fidargli i miei giorni? Ahi che ap-punto questa fatale ignoranza accarezza le nostre passio-ni, ed alimenta l'umana infelicità.

Il tempo vola; e col tempo ho perduto nel dolore quel-la parte di vita che due mesi addietro lusingavasi di con-forto. Questa piaga invecchiata è ormai divenuta natura:io la sento nel mio cuore, nel mio cervello, in tutto mestesso; gronda sangue, e sospira come se fosse aperta difresco. – Or basta, Teresa, basta: non ti par di vedere inme un infermo strascinato a lenti passi alla tomba fra ladisperazione e i tormenti, e non sa prevenire con un solcolpo gli strazj del suo destino inevitabile?”

“Tento la punta di questo pugnale: io lo stringo, e sor-rido: qui; in mezzo a questo cuor palpitante – e sarà tut-to compiuto. Ma questo ferro mi sta sempre davanti! –chi chi osa amarti, o Teresa? Chi osò rapirti? – Fuggimidunque; non mi ti accostare, Odoardo! –

O! mi vado strofinando le mani per lavare la macchiadel tuo sangue – le fiuto come se fumassero di delitto.Frattanto eccole immacolate, e in tempo di togliermi inun tratto dal pericolo di vivere un giorno di più – un

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giorno solo; un momento – sciagurato! sarei vissutotroppo.”

20 Marzo, a sera

Io era forte: ma questo fu l'ultimo colpo che ha quasiprostrata la mia fermezza! nondimeno quello ch'è decre-tato è decretato. Ma tu, mio Dio, che miri nel profondo,tu vedi che questo è sacrificio più che di sangue.

Ella era, o Lorenzo, con la sua sorellina; e parea chevolesse scansarmi; ma poi s'assise, e l'Isabellina tuttacompunta se le posò su le ginocchia. Teresa – le dissiaccostandomi e prendendole la mano: – mi riguardò: equella bambina gettando il suo braccio sul collo di Tere-sa, e alzando il viso le parlava sottovoce: Jacopo non miama più. E la intesi – S'io t'amo? e abbassandomi e ab-bracciandola – t'amo, io le diceva, t'amo teneramente;ma tu non mi vedrai più. O mio fratello! Teresa mi con-templava atterrita, e stringeva l'Isabellina, e teneva purgli occhi verso di me: – Tu ci lascierai, mi disse, e que-sta fanciulletta sarà compagna de' miei giorni, e sollievode' miei dolori: le parlerò sempre dell'amico suo –dell'amico mio; e le insegnerò a piangere e a benedirti –e a queste ultime parole, l'anima sua parevami ristoratadi qualche speranza; e le lagrime le pioveano dagli oc-chi; ed io ti scrivo con le mani calde ancor del suo pian-to. – Addio, soggiunse, addio, ma non eternamente; di'?non eternamente – eccoti adempiuta la mia promessa e

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giorno solo; un momento – sciagurato! sarei vissutotroppo.”

20 Marzo, a sera

Io era forte: ma questo fu l'ultimo colpo che ha quasiprostrata la mia fermezza! nondimeno quello ch'è decre-tato è decretato. Ma tu, mio Dio, che miri nel profondo,tu vedi che questo è sacrificio più che di sangue.

Ella era, o Lorenzo, con la sua sorellina; e parea chevolesse scansarmi; ma poi s'assise, e l'Isabellina tuttacompunta se le posò su le ginocchia. Teresa – le dissiaccostandomi e prendendole la mano: – mi riguardò: equella bambina gettando il suo braccio sul collo di Tere-sa, e alzando il viso le parlava sottovoce: Jacopo non miama più. E la intesi – S'io t'amo? e abbassandomi e ab-bracciandola – t'amo, io le diceva, t'amo teneramente;ma tu non mi vedrai più. O mio fratello! Teresa mi con-templava atterrita, e stringeva l'Isabellina, e teneva purgli occhi verso di me: – Tu ci lascierai, mi disse, e que-sta fanciulletta sarà compagna de' miei giorni, e sollievode' miei dolori: le parlerò sempre dell'amico suo –dell'amico mio; e le insegnerò a piangere e a benedirti –e a queste ultime parole, l'anima sua parevami ristoratadi qualche speranza; e le lagrime le pioveano dagli oc-chi; ed io ti scrivo con le mani calde ancor del suo pian-to. – Addio, soggiunse, addio, ma non eternamente; di'?non eternamente – eccoti adempiuta la mia promessa e

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si trasse dal seno il suo ritratto – eccoti adempiuta lamia promessa; addio, va, fuggi, e porta con te la memo-ria di questa sfortunata – è bagnato delle mie lagrime edelle lagrime di mia madre. – E con le sue mani lo ap-pendeva al mio collo, e lo nascondeva dentro al mio pet-to. Io stesi le braccia, e me la strinsi sul cuore, e i suoisospiri confortavano le arse mie labbra, e già la miabocca – ma un pallore di morte si sparse su la sua fac-cia; e, mentre mi respingeva, io toccandole la mano lasentii fredda, tremante, e con voce soffocata e languentemi disse: – Abbi pietà addio – e si abbandonò sul sofà,stringendosi presso quanto poteva la Isabellina, chepiangeva con noi. – Entrava suo padre, e il nostro mise-ro stato avvelenò forse i suoi rimorsi.

Ritornò quella sera tanto costernato che Michele sospettòdi qualche fiero accidente. Ripigliò l'esame delle sue carte;e molte ne faceva ardere senza leggerle. Innanzi alla Rivolu-zione avea scritto un commentario intorno al governo Vene-to in uno stile antiquato, assoluto, con quel motto di Lucanoper epigrafe; Jusque datum sceleri. Una sera dell'anno ad-dietro aveva letto a Teresa la Storia di Lauretta; e Teresa midisse poi, che quei pensieri scuciti, ch'ei m'inviò con la lette-ra de' 29 Aprile, non n'erano il cominciamento, ma bensìsparsi dentro quell'operetta ch'esso aveva finita, narrandoper filo i casi di Lauretta e gli aveva scritti con istile menpassionato. Non perdonò né a questi né a verun altro scritto.Leggeva pochissimi libri, pensava molto, dal bollente tumul-to del mondo fuggiva a un tratto nella solitudine, e quindiscriveva per necessità di sfogarsi. Ma a me non resta se non

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si trasse dal seno il suo ritratto – eccoti adempiuta lamia promessa; addio, va, fuggi, e porta con te la memo-ria di questa sfortunata – è bagnato delle mie lagrime edelle lagrime di mia madre. – E con le sue mani lo ap-pendeva al mio collo, e lo nascondeva dentro al mio pet-to. Io stesi le braccia, e me la strinsi sul cuore, e i suoisospiri confortavano le arse mie labbra, e già la miabocca – ma un pallore di morte si sparse su la sua fac-cia; e, mentre mi respingeva, io toccandole la mano lasentii fredda, tremante, e con voce soffocata e languentemi disse: – Abbi pietà addio – e si abbandonò sul sofà,stringendosi presso quanto poteva la Isabellina, chepiangeva con noi. – Entrava suo padre, e il nostro mise-ro stato avvelenò forse i suoi rimorsi.

Ritornò quella sera tanto costernato che Michele sospettòdi qualche fiero accidente. Ripigliò l'esame delle sue carte;e molte ne faceva ardere senza leggerle. Innanzi alla Rivolu-zione avea scritto un commentario intorno al governo Vene-to in uno stile antiquato, assoluto, con quel motto di Lucanoper epigrafe; Jusque datum sceleri. Una sera dell'anno ad-dietro aveva letto a Teresa la Storia di Lauretta; e Teresa midisse poi, che quei pensieri scuciti, ch'ei m'inviò con la lette-ra de' 29 Aprile, non n'erano il cominciamento, ma bensìsparsi dentro quell'operetta ch'esso aveva finita, narrandoper filo i casi di Lauretta e gli aveva scritti con istile menpassionato. Non perdonò né a questi né a verun altro scritto.Leggeva pochissimi libri, pensava molto, dal bollente tumul-to del mondo fuggiva a un tratto nella solitudine, e quindiscriveva per necessità di sfogarsi. Ma a me non resta se non

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un suo Plutarco zeppo di postille con varj quinterni fram-messi ove sono alcuni discorsi, ed uno assai lungo su lamorte di Nicia; ed un Tacito Bodoniano, con molti squarci,fra gli altri l'intero libro secondo degli annali e gran partedel secondo delle storie, da lui con sommo studio tradotti, econ carattere minutissimo pazientemente ricopiati ne' mar-gini. I frammenti sovra scritti gli ho trascelti da' fogli strac -ciati ch'esso aveva, come di nessun conto, gittati sotto al suotavolino; e a' quali ho probabilmente assegnato le date. –Ma il passo seguente, non so se suo o d'altri quanto alleidee, bensì di stile tutto suo, era stato da lui scritto in calceal libro delle Massime di Marco Aurelio, sotto la data 3Marzo 1794 – e poi lo trovai ricopiato in calce all'esempla -re del Tacito Bodoniano sotto la data 1 Gennaro 1797 – epresso a questa, la data 20 Marzo 1799, cinque dì innanzich'egli morisse – eccolo:

“Io non so né perché venni al mondo; né come; nécosa sia il mondo; né cosa io stesso mi sia. E s'io corroad investigarlo, mi ritorno confuso d'una ignoranza sem-pre più spaventosa. Non so cosa sia il mio corpo, i mieisensi, l'anima mia; e questa stessa parte di me che pensaciò ch'io scrivo, e che medita sopra di tutto e sopra sestessa, non può conoscersi mai. Invano io tento di misu-rare con la mente questi immensi spazj dell'universo chemi circondano. Mi trovo come attaccato a un piccolo an-golo di uno spazio incomprensibile, senza sapere perchésono collocato piuttosto qui che altrove; o perché questobreve tempo della mia esistenza sia assegnato piuttostoa questo momento dell'eternità che a tutti quelli che pre-

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un suo Plutarco zeppo di postille con varj quinterni fram-messi ove sono alcuni discorsi, ed uno assai lungo su lamorte di Nicia; ed un Tacito Bodoniano, con molti squarci,fra gli altri l'intero libro secondo degli annali e gran partedel secondo delle storie, da lui con sommo studio tradotti, econ carattere minutissimo pazientemente ricopiati ne' mar-gini. I frammenti sovra scritti gli ho trascelti da' fogli strac -ciati ch'esso aveva, come di nessun conto, gittati sotto al suotavolino; e a' quali ho probabilmente assegnato le date. –Ma il passo seguente, non so se suo o d'altri quanto alleidee, bensì di stile tutto suo, era stato da lui scritto in calceal libro delle Massime di Marco Aurelio, sotto la data 3Marzo 1794 – e poi lo trovai ricopiato in calce all'esempla -re del Tacito Bodoniano sotto la data 1 Gennaro 1797 – epresso a questa, la data 20 Marzo 1799, cinque dì innanzich'egli morisse – eccolo:

“Io non so né perché venni al mondo; né come; nécosa sia il mondo; né cosa io stesso mi sia. E s'io corroad investigarlo, mi ritorno confuso d'una ignoranza sem-pre più spaventosa. Non so cosa sia il mio corpo, i mieisensi, l'anima mia; e questa stessa parte di me che pensaciò ch'io scrivo, e che medita sopra di tutto e sopra sestessa, non può conoscersi mai. Invano io tento di misu-rare con la mente questi immensi spazj dell'universo chemi circondano. Mi trovo come attaccato a un piccolo an-golo di uno spazio incomprensibile, senza sapere perchésono collocato piuttosto qui che altrove; o perché questobreve tempo della mia esistenza sia assegnato piuttostoa questo momento dell'eternità che a tutti quelli che pre-

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cedevano, e che seguiranno. Io non vedo da tutte le partialtro che infinità le quali mi assorbono come un atomo.”

Poiché in quella notte de' 20 Marzo ebbe ripassato altutto i suoi fogli, chiamò l'ortolano e Michele perchéglieli sgombrassero da' piedi. Poi li mandò a dormire.Pare ch'esso abbia vegliato l'intera notte; perché allorascrisse la lettera precedente, e sul far del giorno andò adestare il ragazzo commettendogli che procacciasse unmesso per Venezia. Poi si sdrajò tutto vestito sul letto;ma per poca ora; da che un villano mi disse d'averloalle 8 di quella mattina incontrato su la strada d'Arquà.Prima di mezzodì era tornato nelle sue stanze. V'entròMichele a dire che il messo era lì pronto: e lo trovò se-duto immobilmente, e come sepolto in tristissime cure:s'alzò; si fe' presso alla soglia di una finestra; e stando-si ritto scrisse sotto la stessa lettera, a caratteri quasiilleggibili.

Verrò ad ogni modo – se potessi scriverle – e volevascrivere: pur se le scrivessi non avrei più cuore di venire– tu le dirai che verrò, che essa vedrà il suo figliuolo; –non altro – non altro: non le straziare di più le viscere;avrei molto da raccomandarti intorno al modo di conte-nerti per l'avvenire con essa e di consolarla. – Ma le mielabbra sono arse; il petto soffocato; un'amarezza, unostringimento – potessi almen sospirare! – Davvero; ungruppo dentro le fauci, e una mano che mi preme e miaffanna il cuore. – Lorenzo, ma che posso più dirti?

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cedevano, e che seguiranno. Io non vedo da tutte le partialtro che infinità le quali mi assorbono come un atomo.”

Poiché in quella notte de' 20 Marzo ebbe ripassato altutto i suoi fogli, chiamò l'ortolano e Michele perchéglieli sgombrassero da' piedi. Poi li mandò a dormire.Pare ch'esso abbia vegliato l'intera notte; perché allorascrisse la lettera precedente, e sul far del giorno andò adestare il ragazzo commettendogli che procacciasse unmesso per Venezia. Poi si sdrajò tutto vestito sul letto;ma per poca ora; da che un villano mi disse d'averloalle 8 di quella mattina incontrato su la strada d'Arquà.Prima di mezzodì era tornato nelle sue stanze. V'entròMichele a dire che il messo era lì pronto: e lo trovò se-duto immobilmente, e come sepolto in tristissime cure:s'alzò; si fe' presso alla soglia di una finestra; e stando-si ritto scrisse sotto la stessa lettera, a caratteri quasiilleggibili.

Verrò ad ogni modo – se potessi scriverle – e volevascrivere: pur se le scrivessi non avrei più cuore di venire– tu le dirai che verrò, che essa vedrà il suo figliuolo; –non altro – non altro: non le straziare di più le viscere;avrei molto da raccomandarti intorno al modo di conte-nerti per l'avvenire con essa e di consolarla. – Ma le mielabbra sono arse; il petto soffocato; un'amarezza, unostringimento – potessi almen sospirare! – Davvero; ungruppo dentro le fauci, e una mano che mi preme e miaffanna il cuore. – Lorenzo, ma che posso più dirti?

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sono uomo – Dio mio, Dio mio, concedimi anche peroggi il refrigerio del pianto.

Sigillò il foglio e lo consegnò senza verun soprascrit-to. Guardò il cielo per gran pezzo; poi s'assise, e incro-ciate le braccia su lo scrittojo, vi posò la fronte: piùvolte il servo gli chiese se voleva altro; ei senza rivol-tarsi, gli fe' cenno con la testa, che no. Quel giorno in-cominciò la seguente lettera per Teresa.

Mercoledì, ore 5

Rassègnati a' decreti del Cielo e troverai qualche feli-cità nella pace domestica, e nella concordia con quellosposo che la sorte ti ha destinato. Tu hai un padre gene-roso e infelice: tu devi riunirlo a tua madre la quale soli-taria e piangente forse chiama te sola: tu devi la tua vitaalla tua fama. Io solo – io solo morendo troverò pace, ela lascierò alla tua casa: ma tu povera sfortunata!

Sono pur assai giorni ch'io prendo a scriverti e nonposso continuare! O sommo Iddio, vedo che tu non miabbandoni nella ora suprema; e questa costanza è mag-giore de' tuoi beneficj. Morirò quando avrò ricevuto labenedizione da mia madre, e gli ultimi abbracciamentidall'amico mio. Da lui tuo padre avrà le tue lettere, e tupure gli darai le mie: saranno testimonio della santitàdel nostro amore. No, cara giovine; non sei tu cagionedella mia morte. Tutte le mie passioni disperate; le di-

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sono uomo – Dio mio, Dio mio, concedimi anche peroggi il refrigerio del pianto.

Sigillò il foglio e lo consegnò senza verun soprascrit-to. Guardò il cielo per gran pezzo; poi s'assise, e incro-ciate le braccia su lo scrittojo, vi posò la fronte: piùvolte il servo gli chiese se voleva altro; ei senza rivol-tarsi, gli fe' cenno con la testa, che no. Quel giorno in-cominciò la seguente lettera per Teresa.

Mercoledì, ore 5

Rassègnati a' decreti del Cielo e troverai qualche feli-cità nella pace domestica, e nella concordia con quellosposo che la sorte ti ha destinato. Tu hai un padre gene-roso e infelice: tu devi riunirlo a tua madre la quale soli-taria e piangente forse chiama te sola: tu devi la tua vitaalla tua fama. Io solo – io solo morendo troverò pace, ela lascierò alla tua casa: ma tu povera sfortunata!

Sono pur assai giorni ch'io prendo a scriverti e nonposso continuare! O sommo Iddio, vedo che tu non miabbandoni nella ora suprema; e questa costanza è mag-giore de' tuoi beneficj. Morirò quando avrò ricevuto labenedizione da mia madre, e gli ultimi abbracciamentidall'amico mio. Da lui tuo padre avrà le tue lettere, e tupure gli darai le mie: saranno testimonio della santitàdel nostro amore. No, cara giovine; non sei tu cagionedella mia morte. Tutte le mie passioni disperate; le di-

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savventure delle persone più necessarie alla vita mia; gliumani delitti; la sicurezza della mia perpetua schiavitù edell'obbrobrio perpetuo della mia patria venduta – tuttoinsomma da più tempo era scritto; e tu, donna angelica,potevi soltanto disacerbare il mio destino; ma non pla-carlo, oh! non mai. Ho veduto in te sola il ristoro di tuttii miei mali; ed osai lusingarmi: e poiché per una irresi-stibile forza tu mi hai amato, il mio cuore ti ha credutatutta sua; tu mi hai amato, e tu m'ami – ed ora che ti per-do, ora chiamo in ajuto la morte. Prega tuo padre di nondimenticarsi di me; non per affliggersi, bensì per mitiga-re con la sua compassione il tuo dolore, e per ricordarsisempre che ha un'altra figlia.

Ma tu no, vera amica di questo sfortunato, tu nonavrai cuore mai di obbliarmi. Rileggi sempre queste mieultime parole ch'io posso dire di scriverti col sangue delmio cuore. La mia memoria ti preserverà forse dallesciagure del vizio. La tua bellezza, la tua gioventù, losplendore della tua fortuna saranno sprone per gli altri,per te, a contaminare quella innocenza alla quale hai sa-crificato la tua prima e cara passione; e che pure ne' tuoimartirj ti fu sempre solo conforto. Quanto mai v'è di lu-singhiero nel mondo congiurerà alla tua rovina; a rapirtila stima di te; ed a confonderti fra la schiera di tante al-tre donne le quali dopo d'avere rinnegato il pudore, fan-no traffico dell'amore e dell'amicizia, ed ostentano cometrionfi le vittime della loro perfidia. Tu no, mia Teresa;la tua virtù risplende nel tuo viso celeste, ed io la ho ri-spettata; e tu sai ch'io t'ho amato adorandoti come cosa

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savventure delle persone più necessarie alla vita mia; gliumani delitti; la sicurezza della mia perpetua schiavitù edell'obbrobrio perpetuo della mia patria venduta – tuttoinsomma da più tempo era scritto; e tu, donna angelica,potevi soltanto disacerbare il mio destino; ma non pla-carlo, oh! non mai. Ho veduto in te sola il ristoro di tuttii miei mali; ed osai lusingarmi: e poiché per una irresi-stibile forza tu mi hai amato, il mio cuore ti ha credutatutta sua; tu mi hai amato, e tu m'ami – ed ora che ti per-do, ora chiamo in ajuto la morte. Prega tuo padre di nondimenticarsi di me; non per affliggersi, bensì per mitiga-re con la sua compassione il tuo dolore, e per ricordarsisempre che ha un'altra figlia.

Ma tu no, vera amica di questo sfortunato, tu nonavrai cuore mai di obbliarmi. Rileggi sempre queste mieultime parole ch'io posso dire di scriverti col sangue delmio cuore. La mia memoria ti preserverà forse dallesciagure del vizio. La tua bellezza, la tua gioventù, losplendore della tua fortuna saranno sprone per gli altri,per te, a contaminare quella innocenza alla quale hai sa-crificato la tua prima e cara passione; e che pure ne' tuoimartirj ti fu sempre solo conforto. Quanto mai v'è di lu-singhiero nel mondo congiurerà alla tua rovina; a rapirtila stima di te; ed a confonderti fra la schiera di tante al-tre donne le quali dopo d'avere rinnegato il pudore, fan-no traffico dell'amore e dell'amicizia, ed ostentano cometrionfi le vittime della loro perfidia. Tu no, mia Teresa;la tua virtù risplende nel tuo viso celeste, ed io la ho ri-spettata; e tu sai ch'io t'ho amato adorandoti come cosa

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sacra. – O divina immagine dell'amica mia! o ultimodono prezioso ch'io contemplo, e che m'infonde più vi-gore, e mi narra tutta la storia de' nostri amori! Tu stavifacendo questo ritratto il primo dì ch'io ti vidi: ripassanoad uno ad uno dinanzi a me tutti que' giorni che furono ipiù affannosi e i più cari della mia vita. E tu l'hai conse-crato questo ritratto attaccandolo bagnato del tuo piantoal mio petto – e così attaccato al mio petto verrà con menel sepolcro. Ti ricordi, o Teresa, le lagrime con cui loaccolsi? Oh! io torno a versarle, e sollevano la trista ani-ma mia. Che se alcuna vita resta dopo l'ultimo sospiro,io la serberò sempre a te sola, e l'amor mio vivrà immor-tale con me. – Ascolta intanto una estrema, unica, sacro-santa raccomandazione; e te ne scongiuro per l'amor no-stro infelice, per le lagrime che abbiamo sparse, per lareligione che tu senti verso i tuoi genitori, a' quali ti seipur immolata vittima volontaria – non lasciare senzaconsolazione la povera madre mia, che forse verrà apiangermi teco in questa solitudine dove cercherà riparodalle tempeste della vita. Tu sola sei degna di compian-gerla e di consolarla. Chi le resta più se tu l'abbandoni?Nel suo dolore, in tutte le sue sventure, nelle infermitàdella sua vecchiaja ricordati sempre ch'essa è mia ma-dre.

A mezzanotte suonata si partì per le poste da' colliEuganei: e arrivato su la marina alle 8 del giorno, si fe'traghettare da una gondola a Venezia sino alla suacasa. Quand'io vi giunsi lo trovai addormentato sopra

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sacra. – O divina immagine dell'amica mia! o ultimodono prezioso ch'io contemplo, e che m'infonde più vi-gore, e mi narra tutta la storia de' nostri amori! Tu stavifacendo questo ritratto il primo dì ch'io ti vidi: ripassanoad uno ad uno dinanzi a me tutti que' giorni che furono ipiù affannosi e i più cari della mia vita. E tu l'hai conse-crato questo ritratto attaccandolo bagnato del tuo piantoal mio petto – e così attaccato al mio petto verrà con menel sepolcro. Ti ricordi, o Teresa, le lagrime con cui loaccolsi? Oh! io torno a versarle, e sollevano la trista ani-ma mia. Che se alcuna vita resta dopo l'ultimo sospiro,io la serberò sempre a te sola, e l'amor mio vivrà immor-tale con me. – Ascolta intanto una estrema, unica, sacro-santa raccomandazione; e te ne scongiuro per l'amor no-stro infelice, per le lagrime che abbiamo sparse, per lareligione che tu senti verso i tuoi genitori, a' quali ti seipur immolata vittima volontaria – non lasciare senzaconsolazione la povera madre mia, che forse verrà apiangermi teco in questa solitudine dove cercherà riparodalle tempeste della vita. Tu sola sei degna di compian-gerla e di consolarla. Chi le resta più se tu l'abbandoni?Nel suo dolore, in tutte le sue sventure, nelle infermitàdella sua vecchiaja ricordati sempre ch'essa è mia ma-dre.

A mezzanotte suonata si partì per le poste da' colliEuganei: e arrivato su la marina alle 8 del giorno, si fe'traghettare da una gondola a Venezia sino alla suacasa. Quand'io vi giunsi lo trovai addormentato sopra

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un sofà e di un sonno tranquillo. Come fu desto, mi pre-gò perché io spicciassi alcune sue faccende, e saldassiun suo debito a certo librajo. Non posso, mi diss'egli,trattenermi qui che tutt'oggi.

Benché fossero quasi due anni ch'io nol vedeva, lasua fisionomia non mi parve tanto alterata quant'iom'aspettava; ma poi m'accorsi che andava lento e comestrascinandosi; la sua voce, un tempo pronta e maschia,usciva a fatica e dal petto profondo. Sforzavasi nondi-meno di discorrere; e rispondendo a sua madre intornoal suo viaggio, sorridea spesso di un mesto sorriso tuttosuo: ma avea un'aria circospetta, insolita in lui. Aven-dogli io detto che certi suoi amici sarebbero venuti queldì a salutarlo, rispose, che non vorrebbe rivedere animanata; anzi scese egli stesso ad avvertire alla porta per-ché si dicesse ch'ei non accoglierebbe visite. E risalen-do mi disse; Spesso ho pensato di non dare né a te né amia madre tanto dolore; ma io avevo pur obbligo e an-che bisogno di rivedervi – e questo, credimi, è l'esperi-mento più forte del mio coraggio.

Poche ore prima di sera, si alzò, come per partire;ma non gli sofferiva il cuore di dirlo. Sua madre gli siapprossimò, e mentr'ei rizzandosi dalla seggiola anda-vale incontro con le braccia aperte, essa con volto ras-segnato gli disse: Hai dunque risoluto, mio caro figliuo-lo?

Sì, sì; le rispose abbracciandola e frenando a stentole lagrime.

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un sofà e di un sonno tranquillo. Come fu desto, mi pre-gò perché io spicciassi alcune sue faccende, e saldassiun suo debito a certo librajo. Non posso, mi diss'egli,trattenermi qui che tutt'oggi.

Benché fossero quasi due anni ch'io nol vedeva, lasua fisionomia non mi parve tanto alterata quant'iom'aspettava; ma poi m'accorsi che andava lento e comestrascinandosi; la sua voce, un tempo pronta e maschia,usciva a fatica e dal petto profondo. Sforzavasi nondi-meno di discorrere; e rispondendo a sua madre intornoal suo viaggio, sorridea spesso di un mesto sorriso tuttosuo: ma avea un'aria circospetta, insolita in lui. Aven-dogli io detto che certi suoi amici sarebbero venuti queldì a salutarlo, rispose, che non vorrebbe rivedere animanata; anzi scese egli stesso ad avvertire alla porta per-ché si dicesse ch'ei non accoglierebbe visite. E risalen-do mi disse; Spesso ho pensato di non dare né a te né amia madre tanto dolore; ma io avevo pur obbligo e an-che bisogno di rivedervi – e questo, credimi, è l'esperi-mento più forte del mio coraggio.

Poche ore prima di sera, si alzò, come per partire;ma non gli sofferiva il cuore di dirlo. Sua madre gli siapprossimò, e mentr'ei rizzandosi dalla seggiola anda-vale incontro con le braccia aperte, essa con volto ras-segnato gli disse: Hai dunque risoluto, mio caro figliuo-lo?

Sì, sì; le rispose abbracciandola e frenando a stentole lagrime.

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Chi sa se potrò più rivederti? io sono oramai vecchiae stanca. –

Ci rivedremo, forse – mia cara madre, consolatevi, cirivedremo – per non lasciarci mai più; ma adesso: – nepuò far fede Lorenzo.

Ella si volse impaurita verso di me, ed io, Pur troppo!le dissi. E le narrai come le persecuzioni tornavano aincrudelire per la guerra imminente; e che il pericolosovrastava a me pure, massime dopo quelle lettere checi furono intercette: (e non erano falsi sospetti; perchédopo pochi mesi fui costretto ad abbandonare la patriamia). Ed essa allora esclamò: Vivi mio figliuolo, ben-ché lontano da me. Dopo la morte di tuo padre non hopiù avuto un'ora di bene; sperava di consolare teco lamia vecchiezza! – ma sia fatta la volontà del Signore.Vivi! io scelgo di piangere senza di te, piuttosto che ve-derti – imprigionato – morto. I singhiozzi le soffocavanola parola.

Jacopo strinse la mano e la guardava come se volesseaffidarle un secreto; ma ben tosto si ricompose, e lechiese la sua benedizione.

Ed ella alzando le palme: Ti benedico – Ti benedico;e piaccia anche a Dio Onnipotente di benedirti.

Avvicinatisi alla scala s'abbracciarono. Quella donnasconsolata appoggiò la testa sul petto del suo figliuolo.Scesero, ed io con loro; la madre come giunsero

all'uscio di casa, e vide l'aria aperta, sollevò gli occhi,e li tenne fissi al cielo per due o tre minuti, e parea chepregasse mentalmente con tutto il fervore dell'anima

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Chi sa se potrò più rivederti? io sono oramai vecchiae stanca. –

Ci rivedremo, forse – mia cara madre, consolatevi, cirivedremo – per non lasciarci mai più; ma adesso: – nepuò far fede Lorenzo.

Ella si volse impaurita verso di me, ed io, Pur troppo!le dissi. E le narrai come le persecuzioni tornavano aincrudelire per la guerra imminente; e che il pericolosovrastava a me pure, massime dopo quelle lettere checi furono intercette: (e non erano falsi sospetti; perchédopo pochi mesi fui costretto ad abbandonare la patriamia). Ed essa allora esclamò: Vivi mio figliuolo, ben-ché lontano da me. Dopo la morte di tuo padre non hopiù avuto un'ora di bene; sperava di consolare teco lamia vecchiezza! – ma sia fatta la volontà del Signore.Vivi! io scelgo di piangere senza di te, piuttosto che ve-derti – imprigionato – morto. I singhiozzi le soffocavanola parola.

Jacopo strinse la mano e la guardava come se volesseaffidarle un secreto; ma ben tosto si ricompose, e lechiese la sua benedizione.

Ed ella alzando le palme: Ti benedico – Ti benedico;e piaccia anche a Dio Onnipotente di benedirti.

Avvicinatisi alla scala s'abbracciarono. Quella donnasconsolata appoggiò la testa sul petto del suo figliuolo.Scesero, ed io con loro; la madre come giunsero

all'uscio di casa, e vide l'aria aperta, sollevò gli occhi,e li tenne fissi al cielo per due o tre minuti, e parea chepregasse mentalmente con tutto il fervore dell'anima

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sua; e che quell'atto le avesse ridato la prima rassegna-zione. E senza versare più lagrima, benedisse di nuovocon voce sicura il figliuolo; ed ei le ribaciò la mano, ela baciò in volto.

Io stava piangente: dopo avermi abbracciato, mi pro-mise di scrivermi, e mosse il passo, dicendomi: Pressoalla madre mia ti sovverrai santamente della nostra ami-cizia. E rivoltosi alla madre, la guardò un pezzo senzafar motto; e partì. Giunto in fondo alla strada, si rivol-se, e ci salutò con la mano e ci mirò mestamente, comese volesse dirci che quello era l'ultimo sguardo.

La povera madre ristette su la porta quasi sperandoch'ei tornasse a risalutarla. Ma togliendo gli occhi la-grimosi dal luogo dond'ei se l'era dileguato, s'appoggiòal mio braccio e risaliva dicendomi: Caro Lorenzo, midice il cuore che non lo rivedremo mai più.

Un vecchio sacerdote di assidua famigliarità nellacasa dell'Ortis, e che gli era stato maestro di greco,venne quella sera e ci narrò, come Jacopo era andatoalla chiesa dove Lauretta fu sotterrata. Trovatola chiu-sa, voleva farsi aprire a ogni patto dal campanaro; e re-galò un fanciullo del vicinato perché andasse a cercaredel sagrestano che aveva le chiavi. S'assise, aspettando,sopra un sasso nel cortile. Poi si levò e s'appoggiò conla testa su la porta della chiesa. Era quasi sera; quandoaccorgendosi di gente nel cortile, senza più aspettare, sidileguò. Il vecchio sacerdote aveva risaputo queste cosedal campanaro. Seppi alcuni giorni dopo, che Jacoposul fare della notte era andato a visitare la madre di

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sua; e che quell'atto le avesse ridato la prima rassegna-zione. E senza versare più lagrima, benedisse di nuovocon voce sicura il figliuolo; ed ei le ribaciò la mano, ela baciò in volto.

Io stava piangente: dopo avermi abbracciato, mi pro-mise di scrivermi, e mosse il passo, dicendomi: Pressoalla madre mia ti sovverrai santamente della nostra ami-cizia. E rivoltosi alla madre, la guardò un pezzo senzafar motto; e partì. Giunto in fondo alla strada, si rivol-se, e ci salutò con la mano e ci mirò mestamente, comese volesse dirci che quello era l'ultimo sguardo.

La povera madre ristette su la porta quasi sperandoch'ei tornasse a risalutarla. Ma togliendo gli occhi la-grimosi dal luogo dond'ei se l'era dileguato, s'appoggiòal mio braccio e risaliva dicendomi: Caro Lorenzo, midice il cuore che non lo rivedremo mai più.

Un vecchio sacerdote di assidua famigliarità nellacasa dell'Ortis, e che gli era stato maestro di greco,venne quella sera e ci narrò, come Jacopo era andatoalla chiesa dove Lauretta fu sotterrata. Trovatola chiu-sa, voleva farsi aprire a ogni patto dal campanaro; e re-galò un fanciullo del vicinato perché andasse a cercaredel sagrestano che aveva le chiavi. S'assise, aspettando,sopra un sasso nel cortile. Poi si levò e s'appoggiò conla testa su la porta della chiesa. Era quasi sera; quandoaccorgendosi di gente nel cortile, senza più aspettare, sidileguò. Il vecchio sacerdote aveva risaputo queste cosedal campanaro. Seppi alcuni giorni dopo, che Jacoposul fare della notte era andato a visitare la madre di

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Lauretta. Era, mi diss'ella, assai tristo; non mi parlò maidella mia povera figliuola, né io l'ho nominata mai pernon accorarlo di più: scendendo le scale, mi disse: An-date, quando potrete, a consolare mia madre.

E intanto la madre di lui fu in quella sera atterrita dipiù fiero presentimento. Io nell'autunno scorso, trovan-domi a' colli Euganei, aveva letto in casa del signoreT*** parte d'una lettera21 nella quale Jacopo tornavacon tutti i pensieri alla sua solitudine paterna. E alloraTeresa rappresentò a chiaroscuro la prospettiva del la-ghetto de' cinque fonti, e accennò sul pendio d'un pog-getto l'amico suo che sdrajato su l'erba contempla iltramontare del Sole. Richiese d'alcun verso per iscrizio-ne il padre suo, e le fu da lui suggerito questo di Dante:

Libertà va cercando ch'è sì cara

Mandò poscia in dono il quadretto alla madre di Ja-copo, raccomandandosi che non gli dicesse mai dondeveniva; infatti egli non l'avea mai risaputo: ma quelgiorno ch'ei fu in Venezia s'accorse del quadretto appe-so, e di chi lo aveva fatto; non ne fe' motto: bensì rima-stosi nella camera tutto solo, smosse il cristallo, e sottoal verso:

Libertà va cercando ch'è sì cara

scrisse l'altro che gli vien dietro:

21 “La lettere di Firenze, 7 settembre.”

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Lauretta. Era, mi diss'ella, assai tristo; non mi parlò maidella mia povera figliuola, né io l'ho nominata mai pernon accorarlo di più: scendendo le scale, mi disse: An-date, quando potrete, a consolare mia madre.

E intanto la madre di lui fu in quella sera atterrita dipiù fiero presentimento. Io nell'autunno scorso, trovan-domi a' colli Euganei, aveva letto in casa del signoreT*** parte d'una lettera21 nella quale Jacopo tornavacon tutti i pensieri alla sua solitudine paterna. E alloraTeresa rappresentò a chiaroscuro la prospettiva del la-ghetto de' cinque fonti, e accennò sul pendio d'un pog-getto l'amico suo che sdrajato su l'erba contempla iltramontare del Sole. Richiese d'alcun verso per iscrizio-ne il padre suo, e le fu da lui suggerito questo di Dante:

Libertà va cercando ch'è sì cara

Mandò poscia in dono il quadretto alla madre di Ja-copo, raccomandandosi che non gli dicesse mai dondeveniva; infatti egli non l'avea mai risaputo: ma quelgiorno ch'ei fu in Venezia s'accorse del quadretto appe-so, e di chi lo aveva fatto; non ne fe' motto: bensì rima-stosi nella camera tutto solo, smosse il cristallo, e sottoal verso:

Libertà va cercando ch'è sì cara

scrisse l'altro che gli vien dietro:

21 “La lettere di Firenze, 7 settembre.”

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Come sa chi per lei vita rifiuta.

E fra il cristallo e la scannellatura di dentro dellacornice trovò una lunga treccia di capelli che Teresa,alcuni giorni prima delle sue nozze, s'era tagliati senzache veruno il sapesse, e ripostili nella cornice in guisache non trasparissero ad occhio vivente. L'Ortis a que'capelli congiunse, quando li vide, una ciocca de' suoi egli annodò insieme col nastro nero che portava attacca-to all'oriuolo; e rimise il quadretto a suo posto. Pocheore dopo, la madre sua vide il verso aggiunto, s'avvideanche della treccia, e della ciocca e del nodo nero ch'eiforse disavvedutamente o per fretta non aveva potutorimpiattare che non paresse. Il dì seguente me ne parlò;ed io vidi come questo accidente le aveva prostrato ilcoraggio con che dianzi essa avea sostenuta la partenzadel suo figliuolo.

Onde per acquetarla mi deliberai di accompagnarlosino ad Ancona; e promisi che le scriverei giornalmen-te. Esso frattanto tornavasi a Padova, e smontò in casadel professore C***, dove riposò il resto della notte. Lamattina accomiatandosi, gli furono dal professore esibi-te lettere per alcuni gentiluomini delle isole già Venete iquali nel tempo addietro gli erano stati discepoli. Jaco-po né le accettò, né le rifiutò. Tornò a piedi a' colli Eu-ganei, e ricominciò a scrivere.

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Come sa chi per lei vita rifiuta.

E fra il cristallo e la scannellatura di dentro dellacornice trovò una lunga treccia di capelli che Teresa,alcuni giorni prima delle sue nozze, s'era tagliati senzache veruno il sapesse, e ripostili nella cornice in guisache non trasparissero ad occhio vivente. L'Ortis a que'capelli congiunse, quando li vide, una ciocca de' suoi egli annodò insieme col nastro nero che portava attacca-to all'oriuolo; e rimise il quadretto a suo posto. Pocheore dopo, la madre sua vide il verso aggiunto, s'avvideanche della treccia, e della ciocca e del nodo nero ch'eiforse disavvedutamente o per fretta non aveva potutorimpiattare che non paresse. Il dì seguente me ne parlò;ed io vidi come questo accidente le aveva prostrato ilcoraggio con che dianzi essa avea sostenuta la partenzadel suo figliuolo.

Onde per acquetarla mi deliberai di accompagnarlosino ad Ancona; e promisi che le scriverei giornalmen-te. Esso frattanto tornavasi a Padova, e smontò in casadel professore C***, dove riposò il resto della notte. Lamattina accomiatandosi, gli furono dal professore esibi-te lettere per alcuni gentiluomini delle isole già Venete iquali nel tempo addietro gli erano stati discepoli. Jaco-po né le accettò, né le rifiutò. Tornò a piedi a' colli Eu-ganei, e ricominciò a scrivere.

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Venerdì, ore 1

E tu, Lorenzo mio – leale e unico amico – perdona.Non ti raccomando mia madre; ben so che avrà in te unaltro figliuolo. O madre mia! ma tu non avrai più il fi-glio sul petto del quale speravi di riposare il tuo capocanuto – né potrai riscaldare queste labbra morenti co'tuoi baci? e forse tu mi seguirai! – Io vacillava o Loren-zo. Or è questa la ricompensa dopo ventiquattro anni disperanze e di cure? Ma sia cosi! Iddio che ha tutto desti-nato non l'abbandonerà – né tu! Ah finché io non brama-va che un amico fedele, io vissi felice. Il cielo te ne ri-meriti! Ma e tu pure non ti aspettavi ch'io ti pagassi dilagrime. Pur troppo ti pagherei a ogni modo di lagrime!or tu non proferire sulle mie ceneri la crudele bestem-mia: Chi vuol morire non ama nessuno – Che non tentaisopra di me? che non feci? che non dissi a Dio? ah lamia vita pur troppo sta tutta nelle mie passioni; e se nonpotessi distruggerle meco – oh a che angosce, a che spa-simi, a quanti pericoli, a quali furori, a che deplorabilececità, a che delitti non mi strascinerebbero a forza! Ungiorno, o Lorenzo, prima ch'io decretassi la morte mia,io stava genuflesso implorando dal Cielo pietà, e le mielagrime pioveano abbondanti – e in quel punto mi sisono improvvisamente inaridite le lagrime, e il cuore mis'è inferocito, e avresti detto che mi venisse mandato ap-punto dal Cielo un delirio ad assalirmi; – e mi rizzai; escrissi alla giovine misera che io me ne andava ad aspet-tarla in un altro mondo, e che non tardasse a raggiunger-

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Venerdì, ore 1

E tu, Lorenzo mio – leale e unico amico – perdona.Non ti raccomando mia madre; ben so che avrà in te unaltro figliuolo. O madre mia! ma tu non avrai più il fi-glio sul petto del quale speravi di riposare il tuo capocanuto – né potrai riscaldare queste labbra morenti co'tuoi baci? e forse tu mi seguirai! – Io vacillava o Loren-zo. Or è questa la ricompensa dopo ventiquattro anni disperanze e di cure? Ma sia cosi! Iddio che ha tutto desti-nato non l'abbandonerà – né tu! Ah finché io non brama-va che un amico fedele, io vissi felice. Il cielo te ne ri-meriti! Ma e tu pure non ti aspettavi ch'io ti pagassi dilagrime. Pur troppo ti pagherei a ogni modo di lagrime!or tu non proferire sulle mie ceneri la crudele bestem-mia: Chi vuol morire non ama nessuno – Che non tentaisopra di me? che non feci? che non dissi a Dio? ah lamia vita pur troppo sta tutta nelle mie passioni; e se nonpotessi distruggerle meco – oh a che angosce, a che spa-simi, a quanti pericoli, a quali furori, a che deplorabilececità, a che delitti non mi strascinerebbero a forza! Ungiorno, o Lorenzo, prima ch'io decretassi la morte mia,io stava genuflesso implorando dal Cielo pietà, e le mielagrime pioveano abbondanti – e in quel punto mi sisono improvvisamente inaridite le lagrime, e il cuore mis'è inferocito, e avresti detto che mi venisse mandato ap-punto dal Cielo un delirio ad assalirmi; – e mi rizzai; escrissi alla giovine misera che io me ne andava ad aspet-tarla in un altro mondo, e che non tardasse a raggiunger-

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mi, e l'ammaestrava del come e del quando e dell'ora. –Ma poi non forse la compassione, non la vergogna, né ilrimorso, né Iddio – bensì l'idea che non è più la verginedi due mesi fa, e che è donna contaminata dalle bracciad'un altro, ha incominciato a farmi pentire di sì atrocedisegno. Vedi come la vita mia, sarebbe a voi tutti piùdolorosa che la mia morte; e infame forse a voi tutti. In-vece se mi divido per sempre da Teresa degno di lei, lamemoria mia serberà certamente il suo cuore degno dime, e benché serva di un altro potrà almeno sperare –speranza forse vanissima – che un dì l'anima sua verràlibera a unirsi per sempre alla mia. – Ma addio. Questecarte le darai tutte al suo padre. Raduna i miei libri eserbali a memoria del tuo Jacopo. Raccogli Michele acui lascio il mio oriuolo, questi miei pochi arredi e i da-nari che tu troverai nel cassettino del mio scrittojo. Vie-ni ad aprirlo tu solo: c'è una lettera per Teresa; e ti pregodi riporla fra le sue mani tu stesso. Addio, addio.

Continuò la lettera per Teresa.

Torno a te mia Teresa. Se mentre io viveva era colpaper te l'ascoltarmi; ascoltami almeno in queste poche oreche mi disgiungono dalla morte; e le ho riserbate tutte ate sola. Avrai questa lettera quando io sarò sotterrato; eda quella ora tutti forse incomincieranno ad obbliarmi,finché niuno più si ricorderà del mio nome – ascoltamicome una voce che vien dal sepolcro. Tu piangerai imiei giorni svaniti al pari di una visione notturna; pian-

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mi, e l'ammaestrava del come e del quando e dell'ora. –Ma poi non forse la compassione, non la vergogna, né ilrimorso, né Iddio – bensì l'idea che non è più la verginedi due mesi fa, e che è donna contaminata dalle bracciad'un altro, ha incominciato a farmi pentire di sì atrocedisegno. Vedi come la vita mia, sarebbe a voi tutti piùdolorosa che la mia morte; e infame forse a voi tutti. In-vece se mi divido per sempre da Teresa degno di lei, lamemoria mia serberà certamente il suo cuore degno dime, e benché serva di un altro potrà almeno sperare –speranza forse vanissima – che un dì l'anima sua verràlibera a unirsi per sempre alla mia. – Ma addio. Questecarte le darai tutte al suo padre. Raduna i miei libri eserbali a memoria del tuo Jacopo. Raccogli Michele acui lascio il mio oriuolo, questi miei pochi arredi e i da-nari che tu troverai nel cassettino del mio scrittojo. Vie-ni ad aprirlo tu solo: c'è una lettera per Teresa; e ti pregodi riporla fra le sue mani tu stesso. Addio, addio.

Continuò la lettera per Teresa.

Torno a te mia Teresa. Se mentre io viveva era colpaper te l'ascoltarmi; ascoltami almeno in queste poche oreche mi disgiungono dalla morte; e le ho riserbate tutte ate sola. Avrai questa lettera quando io sarò sotterrato; eda quella ora tutti forse incomincieranno ad obbliarmi,finché niuno più si ricorderà del mio nome – ascoltamicome una voce che vien dal sepolcro. Tu piangerai imiei giorni svaniti al pari di una visione notturna; pian-

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gerai il nostro amore che fu inutile e mesto come le lam-pade che rischiarano le bare de' morti. – Oh sì, mia Te-resa; dovevano pure una volta finir le mie pene; e la miamano non trema nell'armarsi del ferro liberatore, poichéabbandono la vita mentre tu m'ami, mentre sono ancoradegno di te, e degno del tuo pianto, ed io posso sacrifi-carmi a me solo, ed alla tua virtù. No; allora non ti saràcolpa l'amarmi; e lo pretendo il tuo amore; lo chiedo invigore delle mie sventure, dell'amor mio, e del tremendomio sacrificio. Ah se tu un giorno passassi senza gettareun'occhiata su la terra che coprirà questo giovine scon-solato – me misero! io avrei lasciata dietro di me l'eternadimenticanza anche nel tuo cuore!

Tu credi ch'io parta. Io? – ti lascierò in nuovi contrasticon te medesima, e in continua disperazione? E mentretu m'ami, ed io t'amo, e sento che t'amerò eternamente,ti lascierò per la speranza che la nostra passione s'estin-gua prima de' nostri giorni? No; la morte sola, la morte.Io mi scavo da gran tempo la fossa, e mi sono assuefattoa guardarla giorno e notte, e a misurarla freddamente – eappena in questi estremi la Natura rifugge e grida – maio ti perdo, ed io morrò. Tu stessa, tu mi fuggivi; ci sicontendeano le lagrime. – E non t'avvedevi tu nella miatremenda tranquillità ch'io voleva prendere da te gli ulti-mi congedi, e ch'io ti domandava l'eterno addio?

Che se il Padre degli uomini mi chiamasse a rendi-mento di conti, io gli mostrerò le mie mani pure di san-gue, e puro di delitti il mio cuore. Io dirò: Non ho rapitoil pane agli orfani ed alle vedove; non ho perseguitato

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gerai il nostro amore che fu inutile e mesto come le lam-pade che rischiarano le bare de' morti. – Oh sì, mia Te-resa; dovevano pure una volta finir le mie pene; e la miamano non trema nell'armarsi del ferro liberatore, poichéabbandono la vita mentre tu m'ami, mentre sono ancoradegno di te, e degno del tuo pianto, ed io posso sacrifi-carmi a me solo, ed alla tua virtù. No; allora non ti saràcolpa l'amarmi; e lo pretendo il tuo amore; lo chiedo invigore delle mie sventure, dell'amor mio, e del tremendomio sacrificio. Ah se tu un giorno passassi senza gettareun'occhiata su la terra che coprirà questo giovine scon-solato – me misero! io avrei lasciata dietro di me l'eternadimenticanza anche nel tuo cuore!

Tu credi ch'io parta. Io? – ti lascierò in nuovi contrasticon te medesima, e in continua disperazione? E mentretu m'ami, ed io t'amo, e sento che t'amerò eternamente,ti lascierò per la speranza che la nostra passione s'estin-gua prima de' nostri giorni? No; la morte sola, la morte.Io mi scavo da gran tempo la fossa, e mi sono assuefattoa guardarla giorno e notte, e a misurarla freddamente – eappena in questi estremi la Natura rifugge e grida – maio ti perdo, ed io morrò. Tu stessa, tu mi fuggivi; ci sicontendeano le lagrime. – E non t'avvedevi tu nella miatremenda tranquillità ch'io voleva prendere da te gli ulti-mi congedi, e ch'io ti domandava l'eterno addio?

Che se il Padre degli uomini mi chiamasse a rendi-mento di conti, io gli mostrerò le mie mani pure di san-gue, e puro di delitti il mio cuore. Io dirò: Non ho rapitoil pane agli orfani ed alle vedove; non ho perseguitato

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l'infelice; non ho tradito; non ho abbandonato l'amico;non ho turbata la felicità degli amanti, né contaminatal'innocenza, né inimicati i fratelli, né prostrata la miaanima alle ricchezze. Ho spartito il mio pane con l'indi-gente; ho confuse le mie lagrime alle lagrime dell'afflit-to; ho pianto sempre su le miserie dell'umanità. Se tu miconcedevi una patria, io avrei speso il mio ingegno e ilmio sangue tutto per lei; e nondimeno la mia debolevoce ha gridato coraggiosamente la verità. Corrotto qua-si dal mondo, dopo avere sperimentati tutti i suoi vizj –ma no! i suoi vizj mi hanno per brevi istanti forse conta-minato, ma non mi hanno mai vinto – ho cercato virtùnella solitudine. Ho amato! tu stessa, tu mi hai presenta-ta la felicità; tu l'hai abbellita de' raggi della infinita tualuce; tu mi hai creato un cuore capace di sentirla e diamarla; ma dopo mille speranze ho perduto tutto ed inu-tile agli altri, e dannoso a me, mi sono liberato dalla cer-tezza di una perpetua miseria. Godi tu, Padre, de' gemitidella umanità? pretendi tu che sopporti miserie più po-tenti delle sue forze? o forse hai conceduto al mortale ilpotere di troncare i suoi mali perché poi trascurasse iltuo dono strascinandosi scioperato tra il pianto e le col-pe? Ed io sento in me stesso che agli estremi mali nonresta che la colpa o la morte. – Consolati, Teresa; quelDio a cui tu ricorri con tanta pietà, se degna d'alcunacura la vita e la morte di una umile creatura, non ritireràil suo sguardo neppure da me. Sa ch'io non posso resi-stere più; e ha veduto i combattimenti che ho sostenutoprima di giungere alla risoluzione fatale; ed ha udito con

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l'infelice; non ho tradito; non ho abbandonato l'amico;non ho turbata la felicità degli amanti, né contaminatal'innocenza, né inimicati i fratelli, né prostrata la miaanima alle ricchezze. Ho spartito il mio pane con l'indi-gente; ho confuse le mie lagrime alle lagrime dell'afflit-to; ho pianto sempre su le miserie dell'umanità. Se tu miconcedevi una patria, io avrei speso il mio ingegno e ilmio sangue tutto per lei; e nondimeno la mia debolevoce ha gridato coraggiosamente la verità. Corrotto qua-si dal mondo, dopo avere sperimentati tutti i suoi vizj –ma no! i suoi vizj mi hanno per brevi istanti forse conta-minato, ma non mi hanno mai vinto – ho cercato virtùnella solitudine. Ho amato! tu stessa, tu mi hai presenta-ta la felicità; tu l'hai abbellita de' raggi della infinita tualuce; tu mi hai creato un cuore capace di sentirla e diamarla; ma dopo mille speranze ho perduto tutto ed inu-tile agli altri, e dannoso a me, mi sono liberato dalla cer-tezza di una perpetua miseria. Godi tu, Padre, de' gemitidella umanità? pretendi tu che sopporti miserie più po-tenti delle sue forze? o forse hai conceduto al mortale ilpotere di troncare i suoi mali perché poi trascurasse iltuo dono strascinandosi scioperato tra il pianto e le col-pe? Ed io sento in me stesso che agli estremi mali nonresta che la colpa o la morte. – Consolati, Teresa; quelDio a cui tu ricorri con tanta pietà, se degna d'alcunacura la vita e la morte di una umile creatura, non ritireràil suo sguardo neppure da me. Sa ch'io non posso resi-stere più; e ha veduto i combattimenti che ho sostenutoprima di giungere alla risoluzione fatale; ed ha udito con

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quante preghiere l'ho supplicato perché mi allontanassequesto calice amaro. Addio dunque – addio all'universo!O amica mia! la sorgente delle lagrime è in me dunqueinesausta? io torno a piangere e a tremare ma per poco;tutto in breve sarà annichilito. Ahi! le mie passioni vivo-no, ed ardono, e mi possedono ancora: e quando la notteeterna rapirà il mondo a questi occhi, allora solo seppel-lirò meco i miei desiderj e il mio pianto. Ma gli occhimiei lagrimosi ti cercano ancora prima di chiudersi persempre. Ti vedrò, ti vedrò per l'ultima volta, ti lascierògli ultimi addio, e prenderò da te le tue lagrime, unicofrutto di tanto amore!

Io giungeva alle ore 5 da Venezia, e lo incontrai po-chi passi fuori della sua porta, mentr'ei s'avviava ap-punto per dire addio a Teresa. La mia venuta improvvi-sa lo costernò; e molto più il mio divisamento di accom-pagnarlo sino ad Ancona. Me ne ringraziava affettuosa-mente e tentò ogni via di distormene; ma veggendoch'io persisteva si tacque; e mi chiese di andare seco luifino a casa T***. Lungo il cammino non parlò; andavalento, ed aveva in volto una mestissima sicurezza: ahdoveva io pure avvedermi che in quel momento egli ri-volgeva nell'animo i supremi pensieri! Entrammo pelrastrello del giardino; ed ei soffermandosi, alzò gli oc-chi al cielo, e dopo alcun tempo proruppe guardando-mi: Pare anche a te che oggi la luce sia più bella chemai?

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quante preghiere l'ho supplicato perché mi allontanassequesto calice amaro. Addio dunque – addio all'universo!O amica mia! la sorgente delle lagrime è in me dunqueinesausta? io torno a piangere e a tremare ma per poco;tutto in breve sarà annichilito. Ahi! le mie passioni vivo-no, ed ardono, e mi possedono ancora: e quando la notteeterna rapirà il mondo a questi occhi, allora solo seppel-lirò meco i miei desiderj e il mio pianto. Ma gli occhimiei lagrimosi ti cercano ancora prima di chiudersi persempre. Ti vedrò, ti vedrò per l'ultima volta, ti lascierògli ultimi addio, e prenderò da te le tue lagrime, unicofrutto di tanto amore!

Io giungeva alle ore 5 da Venezia, e lo incontrai po-chi passi fuori della sua porta, mentr'ei s'avviava ap-punto per dire addio a Teresa. La mia venuta improvvi-sa lo costernò; e molto più il mio divisamento di accom-pagnarlo sino ad Ancona. Me ne ringraziava affettuosa-mente e tentò ogni via di distormene; ma veggendoch'io persisteva si tacque; e mi chiese di andare seco luifino a casa T***. Lungo il cammino non parlò; andavalento, ed aveva in volto una mestissima sicurezza: ahdoveva io pure avvedermi che in quel momento egli ri-volgeva nell'animo i supremi pensieri! Entrammo pelrastrello del giardino; ed ei soffermandosi, alzò gli oc-chi al cielo, e dopo alcun tempo proruppe guardando-mi: Pare anche a te che oggi la luce sia più bella chemai?

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Avvicinandosi alle stanze di Teresa, io intesi la vocedi lei: – ma il suo cuore non si può cangiare: – né so seJacopo che m'era dietro uno o due passi, abbia uditoqueste parole; non ne riparlò. Noi vi trovammo il mari-to che passeggiava, e il padre di Teresa seduto nel fon-do della stanza presso ad un tavolino con la fronte su lapalma della mano. Restammo assai tempo tutti muti. Ja-copo finalmente. Domattina, disse, non sarò più qui – erizzandosi, si accostò a Teresa e le baciò la mano, ed iovidi le lagrime su gli occhi di lei; e Jacopo tenendolaancora per mano la pregava perché facesse chiamare laIsabellina. Le strida e il pianto di questa fanciulla furo-no così improvvise ed inconsolabili che niuno di noipoté frenare le lagrime. Appena ella udì ch'ei partiva,gli si attaccò al collo e singhiozzando gli ripeteva: omio Jacopo perché mi lasci? o mio Jacopo torna presto:né potendo egli resistere a tanto pietà, posò l'Isabellinafra le braccia di Teresa che non proferì mai parola –Addio, egli dissele, addio – e uscì. Il signore di T** loaccompagnò sino al limitare della casa e lo abbracciòpiù volte e lo baciò gemendo. Odoardo che gli era alato ne strinse la mano, augurandoci il buon viaggio.Era già notte; e non sì tosto fummo a casa egli coman-

dò a Michele di allestire il forziere, e mi pregò istante-mente perché tornassi a Padova a pigliare le lettere esi-bitegli dal professore C***. E partii sul fatto.Allora sotto la lettera che la mattina avea apparec-

chiata per me, aggiunse questo proscritto:

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Avvicinandosi alle stanze di Teresa, io intesi la vocedi lei: – ma il suo cuore non si può cangiare: – né so seJacopo che m'era dietro uno o due passi, abbia uditoqueste parole; non ne riparlò. Noi vi trovammo il mari-to che passeggiava, e il padre di Teresa seduto nel fon-do della stanza presso ad un tavolino con la fronte su lapalma della mano. Restammo assai tempo tutti muti. Ja-copo finalmente. Domattina, disse, non sarò più qui – erizzandosi, si accostò a Teresa e le baciò la mano, ed iovidi le lagrime su gli occhi di lei; e Jacopo tenendolaancora per mano la pregava perché facesse chiamare laIsabellina. Le strida e il pianto di questa fanciulla furo-no così improvvise ed inconsolabili che niuno di noipoté frenare le lagrime. Appena ella udì ch'ei partiva,gli si attaccò al collo e singhiozzando gli ripeteva: omio Jacopo perché mi lasci? o mio Jacopo torna presto:né potendo egli resistere a tanto pietà, posò l'Isabellinafra le braccia di Teresa che non proferì mai parola –Addio, egli dissele, addio – e uscì. Il signore di T** loaccompagnò sino al limitare della casa e lo abbracciòpiù volte e lo baciò gemendo. Odoardo che gli era alato ne strinse la mano, augurandoci il buon viaggio.Era già notte; e non sì tosto fummo a casa egli coman-

dò a Michele di allestire il forziere, e mi pregò istante-mente perché tornassi a Padova a pigliare le lettere esi-bitegli dal professore C***. E partii sul fatto.Allora sotto la lettera che la mattina avea apparec-

chiata per me, aggiunse questo proscritto:

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Poiché non ho potuto risparmiarti il cordoglio di pre-starmi gli ufficj supremi – e già m'era, prima che tu ve-nissi, risolto di scriverne al parroco – aggiungi anchequesta ultima pietà ai tanti tuoi beneficj. Fa ch'io sia se-polto, così come sarò trovato, in un sito abbandonato, dinotte senza esequie, senza lapide, sotto i pini del colleche guarda la chiesa. Il ritratto di Teresa sia sotterratocol mio cadavere.

25 Marzo, 1799L'amico tuoJACOPO ORTIS

Uscì nuovamente: e trovandosi alle ore 11 appiè diun monte due miglia discosto dalla sua casa, bussò allaporta di un contadino, e lo destò domandandoglidell'acqua, e ne bevve molta.

Ritornato a casa dopo la mezzanotte, uscì tosto distanza, e porse al ragazzo una lettera sigillata per me,raccomandandogli di consegnarla a me solo. E strin-gendogli la mano: Addio Michele! amami; e lo miravaaffettuosamente – poi lasciatolo a un tratto, rientrò,serrandosi dietro la porta. Continuò la lettera per Tere-sa.

Ore 1

Ho visitato le mie montagne, ho visitato il lago de'cinque fonti, ho salutato per sempre le selve, i campi, il

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Poiché non ho potuto risparmiarti il cordoglio di pre-starmi gli ufficj supremi – e già m'era, prima che tu ve-nissi, risolto di scriverne al parroco – aggiungi anchequesta ultima pietà ai tanti tuoi beneficj. Fa ch'io sia se-polto, così come sarò trovato, in un sito abbandonato, dinotte senza esequie, senza lapide, sotto i pini del colleche guarda la chiesa. Il ritratto di Teresa sia sotterratocol mio cadavere.

25 Marzo, 1799L'amico tuoJACOPO ORTIS

Uscì nuovamente: e trovandosi alle ore 11 appiè diun monte due miglia discosto dalla sua casa, bussò allaporta di un contadino, e lo destò domandandoglidell'acqua, e ne bevve molta.

Ritornato a casa dopo la mezzanotte, uscì tosto distanza, e porse al ragazzo una lettera sigillata per me,raccomandandogli di consegnarla a me solo. E strin-gendogli la mano: Addio Michele! amami; e lo miravaaffettuosamente – poi lasciatolo a un tratto, rientrò,serrandosi dietro la porta. Continuò la lettera per Tere-sa.

Ore 1

Ho visitato le mie montagne, ho visitato il lago de'cinque fonti, ho salutato per sempre le selve, i campi, il

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cielo. O mie solitudini! o rivo, che mi hai la prima voltainsegnato la casa di quella fanciulla celeste! quante vol-te ho sparpagliato i fiori su le tue acque che passavanosotto le sue finestre! quante volte ho passeggiato con Te-resa per le tue sponde, mentr'io inebbriandomi della vo-luttà di adorarla, vuotava a gran sorsi il calice della mor-te.

Sacro gelso! ti ho pure adorato; ti ho pure lasciati gliultimi gemiti, e gli ultimi ringraziamenti. Mi sono pro-strato, o mia Teresa, presso a quel tronco; e quell'erba hadianzi bevute le più dolci lagrime ch'io abbia versatomai; mi pareva ancora calda dell'orma del tuo corpo di-vino; mi pareva ancora odorosa. Beata sera! come tu seistampata nel mio petto! – io stava seduto al tuo fianco, oTeresa, e il raggio della luna penetrando fra i rami illu-minava il tuo angelico viso! io vidi scorrere su le tueguance una lagrima; e la ho succhiata, e le nostre labbra,e i nostri respiri, si sono confusi, e l'anima mia si tra-sfondea nel tuo petto. Era la sera de' 13 Maggio eragiorno di giovedì. Da indi in qua non è passato momen-to ch'io non mi sia confortato con la ricordanza di quellasera: mi sono reputato persona sacra, e non ho degnatapiù alcuna donna di un guardo credendola immeritevoledi me – di me che ho sentita tutta la beatitudine di untuo bacio.

T'amai dunque t'amai, e t'amo ancor di un amore chenon si può concepire che da me solo. È poco prezzo, omio angelo, la morte per chi ha potuto udir che tu l'ami,e sentirsi scorrere in tutta l'anima la voluttà del tuo ba-

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cielo. O mie solitudini! o rivo, che mi hai la prima voltainsegnato la casa di quella fanciulla celeste! quante vol-te ho sparpagliato i fiori su le tue acque che passavanosotto le sue finestre! quante volte ho passeggiato con Te-resa per le tue sponde, mentr'io inebbriandomi della vo-luttà di adorarla, vuotava a gran sorsi il calice della mor-te.

Sacro gelso! ti ho pure adorato; ti ho pure lasciati gliultimi gemiti, e gli ultimi ringraziamenti. Mi sono pro-strato, o mia Teresa, presso a quel tronco; e quell'erba hadianzi bevute le più dolci lagrime ch'io abbia versatomai; mi pareva ancora calda dell'orma del tuo corpo di-vino; mi pareva ancora odorosa. Beata sera! come tu seistampata nel mio petto! – io stava seduto al tuo fianco, oTeresa, e il raggio della luna penetrando fra i rami illu-minava il tuo angelico viso! io vidi scorrere su le tueguance una lagrima; e la ho succhiata, e le nostre labbra,e i nostri respiri, si sono confusi, e l'anima mia si tra-sfondea nel tuo petto. Era la sera de' 13 Maggio eragiorno di giovedì. Da indi in qua non è passato momen-to ch'io non mi sia confortato con la ricordanza di quellasera: mi sono reputato persona sacra, e non ho degnatapiù alcuna donna di un guardo credendola immeritevoledi me – di me che ho sentita tutta la beatitudine di untuo bacio.

T'amai dunque t'amai, e t'amo ancor di un amore chenon si può concepire che da me solo. È poco prezzo, omio angelo, la morte per chi ha potuto udir che tu l'ami,e sentirsi scorrere in tutta l'anima la voluttà del tuo ba-

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cio, e piangere teco – io sto col piè nella fossa; eppuretu anche in questo frangente ritorni, come solevi, davan-ti a questi occhi che morendo si fissano in te, in te chesacra risplendi di tutta la tua bellezza. E fra poco! Tuttoè apparecchiato; la notte è già troppo avvanzata – addio– fra poco saremo disgiunti dal nulla, o dalla incom-prensibile eternità. Nel nulla? Sì. – Sì, sì; poiché saròsenza di te, io prego il sommo Iddio, se non ci riserbaalcun luogo ov'io possa riunirmi teco per sempre, le pre-go dalle viscere dell'anima mia, e in questa tremenda oradella morte, perché egli m'abbandoni soltanto nel nulla.Ma io moro incontaminato, e padrone di me stesso, epieno di te, e certo del tuo pianto! Perdonami, Teresa, semai – ah consolati, e vivi per la felicità de' nostri miserigenitori; la tua morte farebbe maledire le mie ceneri.

Che se taluno ardisse incolparti del mio infelice desti-no, confondilo con questo mio giuramento solenne ch'iopronunzio gittandomi nella notte della morte: Teresa èinnocente. – Ora tu accogli l'anima mia.

Il ragazzo, che dormiva nella camera contiguaall'appartamento di Jacopo, fu scosso come da un lungogemito: tese l'orecchio per sincerarsi s'ei lo chiamava;aprì la finestra sospettando ch'io avessi gridatoall'uscio, da che stava avvertito ch'io sarei tornato sulfar del dì; ma chiaritosi che tutto era quiete e la notteancor fitta, tornò a coricarsi e si addormentò. Mi dissepoi che quel gemito gli aveva fatto paura: ma che non

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cio, e piangere teco – io sto col piè nella fossa; eppuretu anche in questo frangente ritorni, come solevi, davan-ti a questi occhi che morendo si fissano in te, in te chesacra risplendi di tutta la tua bellezza. E fra poco! Tuttoè apparecchiato; la notte è già troppo avvanzata – addio– fra poco saremo disgiunti dal nulla, o dalla incom-prensibile eternità. Nel nulla? Sì. – Sì, sì; poiché saròsenza di te, io prego il sommo Iddio, se non ci riserbaalcun luogo ov'io possa riunirmi teco per sempre, le pre-go dalle viscere dell'anima mia, e in questa tremenda oradella morte, perché egli m'abbandoni soltanto nel nulla.Ma io moro incontaminato, e padrone di me stesso, epieno di te, e certo del tuo pianto! Perdonami, Teresa, semai – ah consolati, e vivi per la felicità de' nostri miserigenitori; la tua morte farebbe maledire le mie ceneri.

Che se taluno ardisse incolparti del mio infelice desti-no, confondilo con questo mio giuramento solenne ch'iopronunzio gittandomi nella notte della morte: Teresa èinnocente. – Ora tu accogli l'anima mia.

Il ragazzo, che dormiva nella camera contiguaall'appartamento di Jacopo, fu scosso come da un lungogemito: tese l'orecchio per sincerarsi s'ei lo chiamava;aprì la finestra sospettando ch'io avessi gridatoall'uscio, da che stava avvertito ch'io sarei tornato sulfar del dì; ma chiaritosi che tutto era quiete e la notteancor fitta, tornò a coricarsi e si addormentò. Mi dissepoi che quel gemito gli aveva fatto paura: ma che non

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vi badò più che tanto perché il suo padrone soleva allevolte smaniare fra il sonno.

La mattina, Michele dopo aver bussato e chiamatoun pezzo alla porta, sconficcò il chiavistello; e nonudendosi rispondere nella prima camera, s'innoltrò per-plesso; e al chiarore della lucerna che ardeva tuttavia,gli si affacciò Jacopo agonizzante nel proprio sangue.Spalancò le finestre chiamando gente, e perché nessunoaccorreva, s'affrettò a casa del chirurgo, ma non lo tro-vò perché assisteva a un moribondo; corse al parroco,ed anch'esso era fuori per lo stesso motivo. Entrò an-sante nel giardino di casa T*** mentre Teresa scendevaper uscire di casa con suo marito, il quale appunto di-cevale come dianzi avea risaputo che in quella notte Ja-copo non era altrimenti partito; ed ella sperò di poter-gli dire addio un'altra volta: e scorgendo il servo dalontano voltò il viso verso il cancello donde Jacopo so-leva sempre venire, e con una mano si sgombrò il veloche cadevale sulla fronte, e rimirava intentamente, co-stretta da dolorosa impazienza di accertarsi s'ei pur ve-niva: e le si accostò a un tratto Michele domandandoaiuto, perché il suo padrone s'era ferito, e che non gliparea ancora morto: ed essa ascoltavalo immobile conle pupille fitte sempre verso il cancello: poi senza man-dare lagrima né parola, cascò tramortita fra le bracciadi Odoardo.

Il signore T*** accorse sperando di salvare la vitadel suo misero amico. Lo trovò steso sopra un sofà contutta quasi la faccia nascosta fra' cuscini: immobile, se

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vi badò più che tanto perché il suo padrone soleva allevolte smaniare fra il sonno.

La mattina, Michele dopo aver bussato e chiamatoun pezzo alla porta, sconficcò il chiavistello; e nonudendosi rispondere nella prima camera, s'innoltrò per-plesso; e al chiarore della lucerna che ardeva tuttavia,gli si affacciò Jacopo agonizzante nel proprio sangue.Spalancò le finestre chiamando gente, e perché nessunoaccorreva, s'affrettò a casa del chirurgo, ma non lo tro-vò perché assisteva a un moribondo; corse al parroco,ed anch'esso era fuori per lo stesso motivo. Entrò an-sante nel giardino di casa T*** mentre Teresa scendevaper uscire di casa con suo marito, il quale appunto di-cevale come dianzi avea risaputo che in quella notte Ja-copo non era altrimenti partito; ed ella sperò di poter-gli dire addio un'altra volta: e scorgendo il servo dalontano voltò il viso verso il cancello donde Jacopo so-leva sempre venire, e con una mano si sgombrò il veloche cadevale sulla fronte, e rimirava intentamente, co-stretta da dolorosa impazienza di accertarsi s'ei pur ve-niva: e le si accostò a un tratto Michele domandandoaiuto, perché il suo padrone s'era ferito, e che non gliparea ancora morto: ed essa ascoltavalo immobile conle pupille fitte sempre verso il cancello: poi senza man-dare lagrima né parola, cascò tramortita fra le bracciadi Odoardo.

Il signore T*** accorse sperando di salvare la vitadel suo misero amico. Lo trovò steso sopra un sofà contutta quasi la faccia nascosta fra' cuscini: immobile, se

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non che ad ora ad ora anelava. S'era piantato un pu-guale sotto la mammella sinistra ma se l'era cavato dal-la ferita, e gli era caduto a terra. Il suo abito nero e ilfazzoletto da collo stavano gittati sopra una sedia vici-na. Era vestito del gilè, de' calzoni lunghi e degli stiva-li; e cinto d'una fascia larghissima di seta di cui uncapo pendeva insanguinato, perché forse morendo tentòdi svolgersela dal corpo. Il signore T*** gli sollevavalievemente dal petto la camicia, che tutta inzuppata disangue gli si era rappresa su la ferita. Jacopo si risentì;e sollevò il viso verso di lui; e riguardandolo con gli oc-chi nuotanti nella morte, stese un braccio, come per im-pedirlo, e tentava con l'altro di stringergli la mano – maricascando con la testa su i guanciali, alzò gli occhi alcielo, e spirò.

La ferita era assai larga, e profonda; e sebbene nonavesse colpito il cuore, egli si affrettò la morte lascian-do perdere il sangue che andava a rivi per la stanza.Gli pendeva dal collo il ritratto di Teresa tutto nero disangue, se non che era alquanto polito nel mezzo; e lelabbra insanguinate di Jacopo fanno congetturare ch'einell'agonia baciasse la immagine della sua amica. Sta-va su lo scrittojo la Bibbia chiusa, e sovr'essa l'oriuolo;e presso, varj fogli bianchi; in uno de' quali era scritto:Mia cara madre: e da poche linee cassate, appena si po-tea rilevare, espiazione; e più sotto; di pianto eterno. Inun altro foglio si leggeva soltanto l'indirizzo a sua ma-dre, come se pentitosi della prima lettera ne avesse in-

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non che ad ora ad ora anelava. S'era piantato un pu-guale sotto la mammella sinistra ma se l'era cavato dal-la ferita, e gli era caduto a terra. Il suo abito nero e ilfazzoletto da collo stavano gittati sopra una sedia vici-na. Era vestito del gilè, de' calzoni lunghi e degli stiva-li; e cinto d'una fascia larghissima di seta di cui uncapo pendeva insanguinato, perché forse morendo tentòdi svolgersela dal corpo. Il signore T*** gli sollevavalievemente dal petto la camicia, che tutta inzuppata disangue gli si era rappresa su la ferita. Jacopo si risentì;e sollevò il viso verso di lui; e riguardandolo con gli oc-chi nuotanti nella morte, stese un braccio, come per im-pedirlo, e tentava con l'altro di stringergli la mano – maricascando con la testa su i guanciali, alzò gli occhi alcielo, e spirò.

La ferita era assai larga, e profonda; e sebbene nonavesse colpito il cuore, egli si affrettò la morte lascian-do perdere il sangue che andava a rivi per la stanza.Gli pendeva dal collo il ritratto di Teresa tutto nero disangue, se non che era alquanto polito nel mezzo; e lelabbra insanguinate di Jacopo fanno congetturare ch'einell'agonia baciasse la immagine della sua amica. Sta-va su lo scrittojo la Bibbia chiusa, e sovr'essa l'oriuolo;e presso, varj fogli bianchi; in uno de' quali era scritto:Mia cara madre: e da poche linee cassate, appena si po-tea rilevare, espiazione; e più sotto; di pianto eterno. Inun altro foglio si leggeva soltanto l'indirizzo a sua ma-dre, come se pentitosi della prima lettera ne avesse in-

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cominciata un'altra che non gli bastò il cuore di conti-nuare.

Appena io giunsi da Padova ove m'era convenuto in-dugiare più ch'io non voleva, fui sopraffatto dalla calcade' contadini che s'affollavano muti sotto i portici delcortile; ed altri mi guardavano attoniti, e taluno mi pre-gava che non salissi. Balzai tremando nella stanza, e mis'appresentò il padre di Teresa gettato disperatamentesopra il cadavere; e Michele ginocchione con la facciaper terra. Non so come ebbi tanta forza d'avvicinarmi edi porgli una mano sul cuore presso la ferita; era mor-to, freddo. Mi mancava il pianto e la voce; ed io stavaguardando stupidamente quel sangue: finché venne ilparroco e subito dopo il chirurgo, i quali con alcuni fa-migliari ci strapparono a forza dal fiero spettacolo. Te-resa visse in tutti que' giorni fra il lutto de' suoi in unmortale silenzio. – La notte mi strascinai dietro al cada-vere che da tre lavoratori fu sotterrato sul monte de'pini.

– FINE –

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cominciata un'altra che non gli bastò il cuore di conti-nuare.

Appena io giunsi da Padova ove m'era convenuto in-dugiare più ch'io non voleva, fui sopraffatto dalla calcade' contadini che s'affollavano muti sotto i portici delcortile; ed altri mi guardavano attoniti, e taluno mi pre-gava che non salissi. Balzai tremando nella stanza, e mis'appresentò il padre di Teresa gettato disperatamentesopra il cadavere; e Michele ginocchione con la facciaper terra. Non so come ebbi tanta forza d'avvicinarmi edi porgli una mano sul cuore presso la ferita; era mor-to, freddo. Mi mancava il pianto e la voce; ed io stavaguardando stupidamente quel sangue: finché venne ilparroco e subito dopo il chirurgo, i quali con alcuni fa-migliari ci strapparono a forza dal fiero spettacolo. Te-resa visse in tutti que' giorni fra il lutto de' suoi in unmortale silenzio. – La notte mi strascinai dietro al cada-vere che da tre lavoratori fu sotterrato sul monte de'pini.

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