Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio,...

201
NARCISO E BOCCADORO HERMANN HESSE

Transcript of Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio,...

Page 1: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

NARCISO E BOCCADORO

HERMANN HESSE

Page 2: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

HERMANN HESSE

NARCISO E BOCCADORO

Traduzione di C. Baseggio,

Prima edizione: Berlino 1930,

Prima edizione italiana: Milano 1933.

Page 3: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

INDICE

CAPITOLO I 5

CAPITOLO II 13

CAPITOLO III 21

CAPITOLO IV 29

CAPITOLO V 39

CAPITOLO VI 48

CAPITOLO VII 57

CAPITOLO VIII 66

CAPITOLO IX 83

CAPITOLO X 94

CAPITOLO XI 104

CAPITOLO XII 116

CAPITOLO XIII 126

CAPITOLO XIV 138

CAPITOLO XV 149

CAPITOLO XVI 159

CAPITOLO XVII 169

CAPITOLO XVIII 179

CAPITOLO XIX 189

CAPITOLO XX 197

Page 4: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO I

Davanti all'arco d'ingresso, retto da colonnette gemelle, del

convento di Mariabronn, sul margine della strada c'era un

castagno, un solitario figlio del Sud, che un pellegrino aveva

riportato da Roma in tempi lontani, un nobile castagno dal

tronco vigoroso; la cerchia dei suoi rami si chinava dolcemente

sopra la strada, respirava libera e ampia nel vento; in

primavera, quando intorno tutto era già verde e anche i noci del

monastero mettevano già le loro foglioline rossicce, esso faceva

attendere ancora a lungo le sue fronde, poi quando le notti eran

più brevi, irradiava di tra il fogliame la sua fioritura

esotica, d'un verde bianchiccio e languido, dal profumo aspro e

intenso, pieno di richiami, quasi opprimente; e in ottobre,

quando l'altra frutta era già raccolta e il vino nei tini,

lasciava cadere al vento d'autunno i frutti spinosi dalla corona

ingiallita: non tutti gli anni maturavano; per essi

s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio,

oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del

camino.

Esotico e delicato, il bell'albero faceva stormir la sua chioma

sopra l'ingresso del convento, ospite sensibile e facilmente

infreddolito, originario d'altra zona, misteriosamente

imparentato con le agili colonnette gemelle del portale e con la

decorazione in pietra degli archi delle finestre, dei cornicioni

e dei pilastri, amato da chi aveva sangue latino nelle vene e

guardato con curiosità, come uno straniero, dalla gente del

luogo.

Sotto l'albero esotico eran già passate parecchie generazioni di

scolari: le loro lavagnette sotto il braccio, chiacchierando,

ridendo, giocando, litigando, scalzi o calzati secondo la

stagione, un fiore in bocca, una noce fra i denti o una palla di

neve in mano. Ne venivan sempre di nuovi: ogni paio d'anni erano

altri visi; i più s'assomigliavano: biondi e ricciuti. Parecchi

rimanevano, diventavano novizi, diventavano monaci, ricevevano

la tonsura, portavano tonaca e cordone, leggevano libri,

istruivano i ragazzi, invecchiavano, morivano. Altri, terminati

gli anni di scuola, venivano ricondotti a casa dai genitori: in

castelli feudali, in dimore di commercianti e d'artigiani,

correvano il mondo, dediti ai loro passatempi e alle loro

professioni; ritornavano qualche volta in visita al convento,

fatti uomini portavano i loro figlioletti come scolari ai padri,

sostavano un poco a guardar sorridenti e pensierosi il castagno,

si perdevano di nuovo.

Nelle celle e nelle sale del monastero, fra le pesanti arcate

rotonde delle finestre e le doppie svelte colonne di pietra

rossa, si viveva, s'insegnava, si studiava, si amministrava, si

governava; arti e scienze d'ogni genere, pie e mondane, chiare

ed oscure, erano là coltivate e passavano in retaggio di

generazione in generazione. Si scrivevano e commentavano libri,

si meditavano sistemi, si raccoglievano opere di scrittori

Page 5: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

antichi, si miniavano mano-scritti, si coltivava la fede del

popolo, si sorrideva della fede del popolo. Dottrina e

religiosità, semplicità e scaltrezza, sapienza dei Vangeli e

sapienza dei greci, magia bianca e nera, tutto aveva la sua

fioritura, per tutto c'era posto: per l'isolamento e per la

penitenza come per la vita socievole e per il benessere; il

prevalere di questa o quella tendenza dipendeva dalla persona

dell'abate in carica e dalla corrente dominante del tempo. In

alcuni periodi il convento era rinomato e frequentato per i suoi

esorcisti e conoscitori di demoni, in altri per la sua musica

eccellente, ora per un santo padre che praticava guarigioni e

miracoli, e ora per i suoi intingoli di luccio e per i suoi

pasticci di fegato di cervo: ogni cosa aveva la sua epoca. E

nella schiera dei monaci e degli scolari, di quelli pii e di

quelli tiepidi, degli astinenti e dei prosperosi, fra i tanti

che venivano, vivevano e morivano, c'era sempre stato questo o

quell'individuo singolare, che tutti amavano o che tutti

temevano, uno eletto, `del quale si continuava a parlare a

lungo, quando i suoi contemporanei eran già dimenticati.

Anche in quel momento c'erano nel monastero di Mariabronn due

personalità singolari: un vecchio e un giovane.

Fra i molti frati che sciamavano per i dormitori, per le chiese

e per le aule scolastiche, due ce n'erano di cui tutti

parlavano, a cui tutti guardavano: L'abate Daniele, il vecchio,

e l'allievo Narciso, il giovane, che aveva cominciato da poco il

noviziato, ma per le sue doti particolari, contro

ogni tradizione, era già impiegato come insegnante, specialmente

di greco. Questi due, L'abate e il novizio, avevano autorità nel

convento, attiravano l'attenzione e la curiosità erano ammirati,

invidiati e in segreto anche calunniati.

L'abate era generalmente amato, non aveva nemici; tutto in lui

era bontà, semplicità, umiltà. Solo gli eruditi del convento

mescolavano al loro affetto un pò di degnazione, poiché l'abate

Daniele poteva essere un santo, ma certo un dotto non era. Egli

possedeva quella semplicità che è saggezza, ma il suo latino era

modesto, e il greco non lo sapeva affatto.

Quei pochi che all'occasione sorridevano della semplicità

dell'abate erano tanto più incantati di Narciso, il fanciullo

prodigio, il bel giovane dal greco elegante, dall'inappuntabile

contegno cavalleresco, dallo sguardo calmo e penetrante di

pensatore, dalle labbra severe e ben disegnate. Gli eruditi

amavano in lui la straordinaria conoscenza del greco, quasi

tutti la nobiltà e la finezza; molti ne erano innamorati Ma la

sua taciturnità, il suo dominio sopra se stesso, le sue maniere

eccessivamente compiute urtavano taluni.

Abate e novizio portavano ciascuno a modo suo il destino

dell'eletto, ciascuno a modo suo dominava e soffriva.

Sentivano fra loro un'affinità e un'attrazione reciproca più

forte che verso tutti gli altri ospiti del convento; e tuttavia

non riuscivano ad avvicinarsi, a scaldarsi l'uno accanto

all'altro. L'abate trattava il giovane con la massima

sollecitudine, col massimo riguardo, aveva cura di lui come di

Page 6: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

un fratello eccezionale, delicato, forse precocemente maturo,

forse esposto a pericoli. Il giovane accoglieva con

atteggiamento irreprensibile ogni ordine, ogni consiglio, ogni

elogio dell'abate, non contraddiceva mai, non si mostrava mai

indispettito, e se era vero il giudizio dell'abate su di lui, se

il suo unico difetto era l'orgoglio, sapeva nasconderlo

meravigliosamente. Non si poteva dir nulla contro di lui: era

perfetto, era superiore a tutti. Ma pochi gli diventavano amici

davvero, tranne gli eruditi; la sua distinzione lo circondava

come un'atmosfera di gelo.

--Narciso,--gli disse un giorno l'abate dopo una confessione, --

devo dichiararmi colpevole di un giudizio severo a tuo riguardo.

Ti ho ritenuto spesso orgoglioso e forse ti ho fatto torto. Sei

molto solo, mio giovane fratello, sei isolato, hai ammiratori,

ma non amici. Io vorrei aver occasione di biasimarti qualche

volta, ma non c'è motivo.

Vorrei che tu fossi qualche volta scortese, come lo sono

facilmente i giovani della tua età. Tu non lo sei mai. Qualche

volta sono preoccupato per te, Narciso.

Il giovane alzò i suoi occhi scuri in viso all'abate.

--Io desidero molto, reverendo padre, di non darvi

preoccupazioni. Può essere ch'io sia orgoglioso, reverendo

padre. Vi prego, punitemi. A volte sento io stesso il desiderio

di punirmi. Mandatemi in un eremitaggio, padre, o fatemi

compiere servizi umili.

-- Tanto per una cosa quanto per l'altra sei troppo giovane,

caro fratello, -- disse l'abate. --Inoltre hai attitudini

eccellenti per le lingue e per la speculazione, figliolo;

sarebbe uno sprecare questi doni divini, se io volessi im-porti

dei servizi umili. Probabilmente diventerai un maestro e uno

scienziato. Non lo desideri anche tu?

-- Perdonate, padre, non mi rendo conto con tanta precisione dei

miei desideri. Le scienze mi daranno sempre piacere: come

potrebbe essere altrimenti? Ma non credo che esse debbano

diventare il mio unico campo. Non sono sempre i desideri a

determinare il destino e la missione di un uomo: ci può essere

qualcos'altro, di predestinato.

L'abate ascoltava, facendosi serio. Tuttavia un sorriso

illuminava il suo volto canuto, mentre diceva: --Per quel tanto

che ho imparato a conoscere gli uomini, incliniamo tutti,

specialmente in gioventù, a confondere la provvidenza coi

nostri desideri. Ma poiché tu credi di conoscere fin d'ora la

tua destinazione, dimmi, a che cosa credi di essere destinato?

Narciso socchiuse gli occhi scuri, che scomparvero sotto le

lunghe ciglia nere. Tacque.

--Parla, figliolo, -- ammonì l'abate dopo aver atteso a lungo. A

voce bassa, con lo sguardo chino, Narciso cominciò a parlare.

--Credo di sapere, reverendo padre, che innanzi tutto sono

destinato alla vita claustrale. Diventerò, credo, monaco,

sacerdote, sottopriore e forse abate. Non lo credo perché lo

desideri. Il mio desiderio non mira a cariche. Ma mi verranno

imposte.

Page 7: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Rimasero a lungo silenziosi.

-- Perché hai questa convinzione? -- domandò esitando il vegliardo. --Quale tua particolarità, oltre alla dottrina, ti dà

questa convinzione?

-- La particolarità, -- rispose Narciso lentamente, --

di possedere un'intuizione dell'indole e della vocazione degli

uomini; non solo della mia, ma anche di quella degli altri.

Questa proprietà mi costringe a servire gli altri, do-minandoli.

Se non fossi nato per la vita monastica, dovrei diventare un

giudice o un uomo di stato.

-- Può darsi,--assentì l'abate.--Hai già sperimentato codesta

tua capacità di conoscere gli uomini e il loro destino ?

-- L'ho sperimentata.

--Sei disposto a darmi un esempio?

--Sono disposto.

--Bene. Poiché non vorrei penetrare nei segreti dei nostri

fratelli a loro insaputa, vuoi dirmi che cosa credi di sapere

sul conto mio, sul conto del tuo abate Daniele?

Narciso alzò le palpebre e guardò l'abate negli occhi.

--Lo comandate, reverendo padre?

-- Lo comando.

-- Mi è penoso parlare, padre.

--Anche a me è penoso, mio giovane fratello, costringerti a

parlare. Tuttavia lo faccio. Parla!

Narciso chinò il capo e mormorò: --E poco quello che so di voi,

venerato padre. So che siete un servo di Dio, il quale

preferirebbe custodir le capre o suonare la campanella in un

eremo e ascoltar la confessione dei contadini, anziché dirigere

un grande convento. So che avete un amore particolare per la

santa Madre di Dio e che a lei di preferenza rivolgete le vostre

preghiere. Talvolta pregate, perché le scienze greche e le altre

che si coltivano in questo monastero non rechino turbamento e

pericolo alle anime di coloro che vi sono affidati. Talvolta

pregate, perché non vi scappi la pazienza col sottopriore

Gregorio. Talvolta pregate che vi sia concessa una fine serena.

E sarete esaudito, credo, e avrete una fine serena.

Nel piccolo parlatorio dell'abate si fece silenzio. Finalmente

il vegliardo parlò.

-- Sei un sognatore e hai delle visioni,--disse con

benevolenza.--Anche le visioni pie e buone possono ingannare;

non fidartene, come neppur io me ne fido... Sapresti vedere, o

fratello sognatore, che cosa penso in cuor mio a questo

proposito?

-- Posso vedere, padre, che pensate molto benevolmente in

proposito. Pensate: " Questo giovane scolaro corre qualche

pericolo, ha delle visioni, forse ha meditato troppo. Potrei

imporgli una penitenza, che non gli farà male. Ma quella stessa

penitenza la imporrò anche a me "... Ecco quello che pensate

ora.

L'abate si alzò. Sorridendo fece cenno al novizio di congedarsi.

--Va bene, --disse. --Non prender troppo sul serio le tue

visioni, giovane fratello. Dio richiede qualcos'altro da noi,

Page 8: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

che aver delle visioni. Ammettiamo che tu abbia lusingato un

vecchio, promettendogli una morte benigna.

Ammettiamo che il vecchio abbia per un momento ascoltato

volentieri questa promessa, Ora basta. Reciterai un rosario,

domani dopo la prima messa: lo reciterai con umiltà e devozione,

non superficialmente, e io farò altrettanto. Ora va, Narciso,

abbiamo chiacchierato abbastanza.

Un'altra volta l'abate Daniele dovette comporre un dissidio fra

il più giovane dei padri insegnanti e Narciso, perché non

potevano accordarsi su di un punto del pro-gramma didattico:

Narciso insisteva con molto calore sulla necessità d'introdurre

nell'insegnamento alcuni muta-menti, che sapeva anche

giustificare con ragioni convincenti; ma padre Lorenzo, per una

specie di gelosia, non voleva acconsentire, e a ogni nuova

discussione seguivano giorni di silenzio imbronciato, finché

Narciso, sentendo di aver ragione, ritornava sull'argomento.

Finalmente padre Lorenzo, un pò offeso, disse: --Ebbene,

Narciso, faccia-mola finita con questa discussione. Tu sai che

spetterebbe a me decidere e non a te; tu non sei mio collega, ma

mio assistente e devi uniformarti alla mia volontà. Ma poiché

dai tanta importanza alla cosa e io ti sono bensì superiore per

autorità ma non per sapere e per ingegno, non voglio prendere io

stesso la decisione; esporremo la questione al nostro padre

abate e lasceremo decidere a lui.

Così fecero, e padre Daniele ascoltò con paziente benevolenza la

disputa dei due eruditi sulla loro concezione dell'insegnamento

della grammatica. Quando ebbero esposto minutamente e motivato

ciascuno le proprie idee, il vecchio li guardò sereno, scuotendo

un poco la testa canuta, e disse: -- Cari fratelli, voi non

pensate certo che io di queste cose m'intenda tanto quanto voi.

E lodevole da parte di Narciso che la scuola gli stia così a

cuore e ch'egli aspiri a migliorare i programmi d'insegnamento.

Ma se il suo superiore è di un'altra opinione, Narciso deve

tacere e ubbidire, e tutti i miglioramenti della scuola non

compenserebbero il danno, se per causa loro l'ordine e

l'obbedienza venissero turbati in questa casa. Biasimo Narciso

di non aver saputo cedere. E a tutti e due, miei giovani dotti,

auguro che non vi manchino mai superiori più ignoranti di voi;

non c'è nulla di meglio contro l'orgoglio--. Con questo scherzo

bonario li congedò. Ma non dimenticò nei giorni seguenti di

tener d'occhio i due insegnanti, per vedere se si fosse

ristabilito fra loro un buon accordo.

Or avvenne che un viso nuovo fece la sua comparsa nel convento,

dove di visi se ne vedevan giungere e partire tanti: e il nuovo

ospite non era di quelli che passano inosservati e si

dimenticano presto. Era un ragazzo, che suo padre aveva già

annunciato da tempo e che un giorno di primavera arrivò per

studiare alia scuola del convento. Padre e figlio legarono i

cavalli al castagno e dal portale si fece loro incontro il frate

portinaio.

Il ragazzo guardò su all'albero ancora brullo.--Un albero come

questo, -- disse, -- non l'ho mai veduto. Un bell'albero,

Page 9: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

strano! Mi piacerebbe sapere come si chiama.

Il padre, un signore maturo, dal volto preoccupato e un pò

contratto, non si curò delle parole del figlio. Ma il portinaio,

al quale il ragazzo piacque subito molto, soddisfece la sua

curiosità. Il ragazzo lo ringraziò gentilmente, gli diede la

mano e disse: --Io mi chiamo Boccadoro e debbo venire a scuola

qui --. Il frate sorrise, cordiale, e precedette i nuovi

arrivati sotto il portale e su per la grande scalinata di

pietra. Boccadoro entrò senza sgomento nel monastero: sentiva di

aver incontrato già due esseri di cui poteva farsi amico,

L'albero e il portiere.

I visitatori furono ricevuti prima dal padre direttore della

scuola, e verso sera anche dall'abate. All'uno e all'altro il

padre di Boccadoro, funzionario imperiale, presentò suo figlio;

fu invitato a rimanere qualche tempo ospite del convento, ma

accolse l'invito solo per una notte, dichiarando di dover

ripartire l'indomani. Offerse al convento uno dei suoi due

cavalli, e il dono fu accettato. La conversazione coi monaci si

svolse cortese e fredda; ma tanto l'abate quanto il direttore

guardarono subito con simpatia quel bel ragazzo fine, che taceva

con deferenza. Il giorno seguente lasciarono partire senza

rammarico il padre, e trattennero volentieri il figlio.

Boccadoro fu presentato ai maestri e gli fu assegnato un letto

nel dormitorio degli scolari. Quando il padre ripartì sul suo

cavallo, egli lo salutò rispettoso e col viso rattristato, poi

rimase immobile a seguirlo con gli occhi, fin che scomparve fra

il granaio e il mulino sotto lo stretto portone ad arco del

cortile esterno del convento. Allora si voltò e una lacrima gli

luccicava sulle lunghe ciglia bionde; lo accolse subito il

portiere, battendogli affettuosamente la mano sulla spalla.

-- Signorino,--disse a mò di conforto,--non devi esser triste.

Quasi tutti in principio hanno un pò di nostalgia per il babbo,

per la mamma, per i fratelli. Ma vedrai: si vive anche qui, e

tutt'altro che male.

-- Grazie, frate portinaio, -- rispose il ragazzo. -- Io non ho

né fratelli né mamma, ho solo il babbo.

--In compenso trovi qui compagni, dottrina, musica, nuovi giochi

che non conosci ancora, e una cosa e l'altra, vedrai. E quando

hai bisogno di qualcuno che ti voglia bene, vieni da me.

Boccadoro lo guardò sorridendo. -- Oh, vi ringrazio molto! E se

volete farmi un piacere, mostratemi subito, vi prego, dov'è il

nostro cavallino, che mio padre ha lasciato qui. Vorrei

salutarlo e vedere se sta bene anche lui.

Il portinaio lo accompagnò tosto nella stalla presso il granaio.

Nella penombra tiepida c'era un forte odor di cavalli, di sterco

e d'orzo, e in uno dei reparti Boccadoro trovò il sauro che

l'aveva portato fin lì. Il cavallo aveva già riconosciuto il

padroncino e tendeva la testa verso di lui; il ragazzo mise le

braccia intorno al collo dell'animale, accostò la guancia alla

sua fronte larga e chiazzata di bianco, L'accarezzò

affettuosamente e gli sussurrò all'orecchio: -- Buon giorno,

Bless, cavallino mio, mio bravo; stai be-ne? Mi vuoi bene

Page 10: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

ancora? Hai anche tu da mangiare?

Pensi anche tu a casa? Bless, piccolo, caro, che bella cosa che

tu sia rimasto qui! Verrò spesso a trovarti, a vedere di te--.

Tolse dal risvolto della manica un pezzo di pa-ne che aveva

messo da parte a colazione, lo sbriciolò e lo diede da mangiare

al cavallo. Poi salutò Bless e seguì il portiere attraverso il

cortile, vasto come la piazza del mercato di una grande città e

piantato in parte a tigli. All'ingresso interno ringraziò il

frate e gli diede la mano, ma poi s'accorse di aver dimenticato

la strada che conduceva alla sua aula e che gli avevano mostrata

il giorno prima: rise un poco, arrossì e pregò il portiere di

guidarlo; quegli acconsentì volentieri. Entrò allora nella

classe, dove una dozzina di ragazzi e giovinetti stavan seduti

nei banchi, e l'assistente Narciso si voltò verso di lui.

--Sono Boccadoro, -- disse, -- il nuovo scolaro.

Narciso salutò brevemente, senza sorridere: gl'indicò un posto

nel banco posteriore e proseguì la lezione.

Boccadoro sedette. Era stupito di trovare un insegnante così

giovane, maggiore di lui di pochi anni appena, era stupito e

lieto di trovare questo giovane maestro così bello, così

distinto, così serio e insieme così attraente e amabile. Il

portinaio era stato gentile con lui, L'abate l'aveva accolto

tanto benevolmente, là nella stalla c'era Bless, un pezzetto di

patria: ed ecco ora questo maestro straordinariamente giovane,

serio come un erudito, e fine come un principe, con una voce

così dominata, fredda, positiva, avvincente Pieno di

gratitudine, Boccadoro diede ascolto a quello di cui si parlava,

senza tuttavia comprendere subito. Provò un senso di benessere.

Era arrivato in mezzo a gente buona ed amabile, ed era pronto ad

amarla e a fare di tutto per guadagnarsene l'amicizia. Il

mattino, a letto, appena desto, s'era sentito oppresso, ed era

ancora stanco del lungo viaggio, e alla partenza del padre aveva

pianto un poco. Ma ormai tutto andava bene; era contento.

Continuava ad osservare il giovane maestro, compiacendosi della

sua figura diritta e slanciata, del suo occhio freddo e

lampeggiante, delle sue labbra energiche che spiccavan le

sillabe con precisa chiarezza, della sua voce alata,

instancabile.

Ma quando la lezione fu terminata e gli scolari si alzarono

chiassosi, Boccadoro sussultò e s'accorse un pò confuso di aver

dormito. E non fu il solo ad accorgersene, anche i suoi vicini

di banco l'avevano notato ed avevan passato la parola agli

altri. Non appena il giovane maestro ebbe lasciato l'aula, i

compagni presero a tirare e urtare Boccadoro da tutte le parti.

--Dormito abbastanza? -- domandò uno, sogghignando.

--Uno scolaro scelto!--motteggiò un altro.--Ne verrà fuori un

bel luminare della Chiesa. S'addormenta come un tasso proprio

alla prima lezione!

--Mettetelo a letto, il piccolo,--propose uno; e lo afferrarono

per le braccia e per le gambe per portarlo via fra le risa

generali.

Svegliato da tanto strepito, Boccadoro andò sulle furie;

Page 11: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

cominciò a dibattersi cercando di liberarsi; ricevette cazzotti

e infine fu lasciato cadere, mentre uno lo tratteneva ancora per

un piede. Si liberò da questo con uno strattone, si gettò sul

primo che gli capitò e impegnò subito con lui una lotta

violenta. Il suo avversario era un pezzo di ragazzo e tutti

stettero ad osservare il duello con avida curiosità. Quando

videro che Boccadoro non soccombeva e assestava dei buoni pugni

al colosso, molti fra i compagni gli furono subito amici, prima

ancora ch'egli conoscesse uno di loro per nome Ma a un tratto

tutti si dispersero precipitosamente; erano appena scomparsi che

entrava padre Martino, il direttore, e si trovava di fronte

all'unico ragazzo rimasto. Lo guardò stupito, gli occhi azzurri

del fanciullo brillavano confusi nel viso acceso e un pò pesto.

--Bè, che ti è accaduto?--domandò.--Tu sei Boccadoro, no? Ti

hanno fatto qualcosa, quei furfanti?

--Oh no, -- rispose il ragazzo, -- L'ho messo fuori

combattimento.

--Chi poi?

--Non so. Non conosco ancora nessuno. Uno ha fatto la lotta con

me.

--Ah? Ha cominciato lui?

--Non so. No, credo d'aver cominciato io. Mi hanno canzonato, e

io sono andato in collera.

--Bravo, cominci bene, ragazzo mio! Tieni a mente: se tu fai a

pugni ancora una volta qui in classe, sarai punito. Ed ora

spicciati a venire a cena, avanti!

Sorridendo, seguì con lo sguardo Boccadoro, che correva confuso

e cercava, strada facendo, di ravviarsi con le dita i

biondissimi capelli scompigliati.

Boccadoro era persuaso che la prima azione della sua vita di

convento fosse stata una sciocchezza molto sconveniente; e

quando cercò e raggiunse i suoi compagni a cena, si sentiva

alquanto mortificato. Invece fu accolto con rispetto e

cordialità, si riconciliò cavallerescamente col suo nemico, e si

sentì subito benvenuto in quella cerchia.

INDEX

Page 12: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO II

Pur essendo in buoni rapporti con tutti, Boccadoro stentò a

trovare un vero amico; fra i suoi compagni non c'era nessuno al

quale si sentisse affine o che destasse in lui una particolare

simpatia. Gli altri poi erano sorpresi che l'energico pugilatore

nel quale avevano creduto di trovare un piacevole attaccabrighe

fosse invece un collega molto pacifico, che pareva aspirare

soprattutto alla gloria di scolaro modello.

C'erano due uomini nel convento, che attiravano il cuore di

Boccadoro, che gli piacevano, che occupavano i suoi pensieri e

per i quali sentiva ammirazione, affetto e rispetto: L'abate

Daniele e l'assistente Narciso. L'abate Daniele gli sembrava

quasi un santo: la sua semplicità e la sua bontà, il suo sguardo

chiaro e pieno di sollecitudine il suo modo di comandare e di

governare, umile come se prestasse un servizio, i suoi gesti

calmi e buoni tutto questo lo attirava straordinariamente.

Avrebbe desiderato diventare il servitore personale di quel

sant'uomo, stargli sempre vicino, ubbidiente e servizievole, e

offrire a lui come tributo costante tutto il suo giovanile

ardore di devozione, e imparare da lui una vita pura, nobile,

santa. Poiché Boccadoro aveva intenzione non solo di terminare

la scuola, ma di rimanere possibilmente in convento per sempre e

di con-sacrare la sua vita a Dio; questa era la sua volontà,

questo era il desiderio e il comando di suo padre, e questo

certo era destinato e chiesto anche da Dio. Nessuno pareva

accorgersene guardando quel bel ragazzo fiorente, eppure su di

lui gravava una tara, una tara d'origine, un segreto compito

d'espiazione e di sacrificio. Anche l'abate non se n'accorgeva,

quantunque il padre di Boccadoro gli avesse fatto alcune

allusioni ed espresso chiaramente il desiderio che suo figlio

rimanesse in quel convento per sempre.

Pareva che qualche macchia segreta oscurasse la nascita di

Boccadoro, che qualche colpa taciuta richiedesse espiazione. Ma

il padre era piaciuto poco all'abate, il quale alle parole di

lui e alla sua aria d'importanza aveva contrapposto una cortese

freddezza, senza dare gran peso alle sue allusioni.

L'altro che aveva destato l'affetto di Boccadoro possedeva

occhio più acuto e intuito più penetrante, ma si teneva

riserbato. Narciso aveva subito compreso quale magnifico uccello

d'oro gli fosse volato incontro. Solitario com'era nella sua

superiorità, aveva subito sentito in Boccadoro L'anima affine,

benché sembrasse il suo opposto in tutto.

Se Narciso era scuro e magro, Boccadoro era radioso e florido.

Se Narciso sembrava un pensatore e un analizzatore, Boccadoro

sembrava un sognatore e un'anima di fanciullo.

Ma c'era al di sopra dei contrasti qualcosa che li accomunava:

entrambi erano nature superiori, entrambi si distinguevano dagli

altri per doti e caratteristiche palesi, entrambi avevano

ricevuto un monito particolare dal destino.

Narciso s'interessava vivamente a quella giovane anima, di cui

aveva subito riconosciuto l'indole e la sorte. Boccadoro

Page 13: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

ammirava ardentemente quel suo maestro bello e dall'intelligenza

superiore. Ma Boccadoro era timido; per guadagnarsi le simpatie

di Narciso non trovava altro modo che sforzarsi fino

all'estenuazione d'essere uno scolaro attento e docile. E non lo

tratteneva soltanto la timidezza.

Lo tratteneva anche il senso che Narciso fosse un pericolo per

lui. Egli non poteva avere per ideale e per modello il buono ed

umile abate e insieme il saputo, dotto, perspicace Narciso. E

nondimeno tendeva con tutte le forze spirituali della sua

giovinezza a questi due ideali, inconciliabili. Spesso ne

soffriva. A volte, nei primi mesi della sua vita scolastica, si

sentiva il cuore così turbato e combattuto fra opposti affetti,

che gli veniva una gran tentazione di fuggire o di sfogare con i

compagni il suo tormento e la sua collera interiore. Spesso

bastava una piccola can-zonatura o l'insolenza di un compagno

per farlo montare improvvisamente ui così buono, su tutte le

furie, e solo con uno sforzo estremo riusciva a contenersi e a

voltar le spalle in silenzio, con gli occhi chiusi, pallido come

un cencio Allora andava a cercare nella stalla il cavallo Bless,

appoggiava il capo sul suo collo, lo baciava, piangeva accanto a

lui. A poco a poco la sua sofferenza crebbe e divenne palese. Le

sue guance s'allungavano, spesso il suo sguardo era spento: il

suo riso, a tutti caro, si faceva sempre meno frequente.

Non sapeva egli stesso quel che gli succedeva. Desiderava e

voleva sinceramente essere un bravo scolaro venir ammesso presto

al noviziato e diventar poi un pio e tranquillo fratello dei

padri; era convinto che tutte le sue forze e le sue doti

tendessero a questa meta placida e pia e non conosceva altre

aspirazioni. Perciò gli sembrava strano e triste che questa meta

semplice e bella fosse così difficile da raggiungere. Com'era

stupito e scoraggiato, nel constatare talvolta in se stesso

tendenze e stati d'animo riprovevoli: distrazione e

svogliatezza nello studio, sogni e fantasie o sonnolenza durante

le lezioni, ribellione e anti-patia verso il maestro di latino,

permalosità e irosa impazienza con i compagni! Ma ciò che lo

turbava di più era che il suo affetto per Narciso non riuscisse

a conciliarsi con l'affetto per l'abate Daniele. Intanto qualche

volta gli pareva di sentire con intima certezza che anche

Narciso gli voleva bene, s'interessava a lui, lo sorvegliava.

Narciso pensava infatti al ragazzo più assai che questi non

sospettasse. Desiderava farselo amico, presentiva in quel

giovinetto bello, caro, radioso, il suo opposto e il suo

complemento; avrebbe voluto attirarlo a sé, guidarlo, il-

lummarlo, accrescere le sue forze e portarle a fioritura. Ma si

tratteneva per diverse ragioni, e di quasi tutte si rendeva

conto. In primo luogo lo legava e lo frenava l'orrore per quegli

insegnanti e quei monaci, che non di rado s'innamoravano di

scolari o di novizi. Egli stesso aveva sentito più volte con

ripugnanza sopra di sé cupidi occhi di uomini attempati Più

volte aveva opposto alle loro gentilezze e alle loro moine una

tacita difesa. Ora li comprendeva meglio... anch'egli sentiva la

tentazione d'innamorarsi del bel Boccadoro, di provocare il suo

Page 14: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

riso simpatico, di passare affettuosamente la mano fra i suoi

chiari capelli biondi. Ma non l'avrebbe mai fatto, mai. Inoltre

in qualità dl assistente con funzioni di insegnante, ma senza la

relatlva carica ed autorità, era abituato a comportarsi, di

fronte a quei ragazzi di pochi anni minori di lui, come se fosse

maggiore di vent'anni: era abituato ad astenersi severamente da

ogni preferenza per chicchessia e ad imporsi una particolare

giustizia e sollecitudine verso quelli che gli erano antipatici.

Egli serviva lo spirito, allo spirito dedicava la sua vita

austera, e solo nei momenti di minor vigilanza si permetteva la

compiacenza dell'orgoglio, del saper meglio e dell'essere più

intelligente degli altri. No, per quanta seduzione avesse per

lui un'amicizia con Boccadoro, essa era un pericolo e non doveva

intaccare il nucleo della sua vita. Il nucleo e il senso della

sua vita erano di servire lo spirito, il verbo, erano di guidare

con tranquilla superiorità i suoi scolari - e non solo i suoi

scolari - ad alte mete spirituali, rinunciando al proprio

interesse.

Da più d'un anno ormai Boccadoro era scolaro del convento di

Mariabronn, sotto i tigli del cortile e sotto il bel castagno,

già cento volte aveva giocato coi camerati, a rincorrersi, al

pallone, ai briganti, a lanciar palle di neve; era venuta la

primavera, ma Boccadoro si sentiva stanco e debole, spesso gli

doleva il capo, e a scuola faceva fatica a star desto e attento.

Una sera gli si avvicinò Adolfo, quello scolaro con cui il primo

incontro era stato uno scambio di pugni e insieme al quale

quell'inverno aveva cominciato a studiare Euclide.

Era l'ora di ricreazione dopo cena, in cui era permesso giocare

nei dormitori, chiacchierare nelle aule e anche passeggiare nel

cortile esterno del convento.

--Boccadoro,--gli disse Adolfo, mentre lo trascinava giù per le

scale, -- voglio raccontarti una cosa, una cosa allegra. Ma tu

sei uno scolaro modello e vuoi certo diventar vescovo.. dammi

prima la tua parola che sarai solidale e non mi denuncerai ai

maestri.

Boccadoro diede senz'altro la sua parola. C'era un onore di

convento e c'era un onore di scolari: talvolta si trovavano in

conflitto, egli lo sapeva bene, ma, come sempre, le leggi non

scritte erano più forti di quelle scritte, e Boccadoro non si

sarebbe mai sottratto, fin tanto ch'era scolaro, alle leggi e ai

concetti d'onore della scolaresca.

Adolfo lo trascinò fuori dal portale sotto gli alberi, e gli

bisbigliò che c'era un gruppetto di buoni e arditi compagni, al

quale egli apparteneva, che avevano raccolto dalle generazioni

passate l'usanza di ricordarsi qualche volta che non erano

monaci e di uscire una sera dal convento per recarsi al

villaggio. Era un divertimento e un'avventura, a cui un ragazzo

che si rispetti non doveva sottrarsi; nella notte sarebbero

ritornati.

--Ma allora il portone è chiuso,--obiettò Boccadoro.

Certo, era chiuso, e questo appunto costituiva il divertimento.

Ma sapevano rientrare da vie segrete senza farsi vedere; non era

Page 15: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

la prima volta.

Boccadoro ricordò. La frase " andare al villaggio " era già

arrivata al suo orecchio; con quelle parole s'intendeva una

scappata notturna degli allievi, in cerca di segreti piaceri ed

avventure d'ogni genere ed era severamente proibita e punita

dalla regola del convento. Boccadoro si sgomentò. " Andare al

villaggio " era peccato, era proibito.

Ma egli comprendeva benissimo che appunto per questo, fra

<ragazzi che si rispettano ", poteva far parte dell'onore di uno

scolaro l'affrontare il pericolo, e che era segno di una certa

distinzione essere invitato a quell'avventura.

Avrebbe preferito dir di no, tornare indietro e correre a letto.

Era tanto stanco e non si sentiva bene, aveva avuto mal di capo

tutto il pomeriggio. Ma si vergognava un poco davanti a Adolfo.

E chissà, forse là fuori, nell'avventura, c'era qualcosa di

bello e di nuovo, qualcosa che poteva far dimenticare il dolor

di capo, il torpore ed ogni sorta di malessere. Era una scappata

nel mondo, furtiva e proibita, è vero, non troppo gloriosa, ma

forse una liberazione, un'esperienza. Nicchiò un poco, mentre

Adolfo faceva di tutto per persuaderlo, poi a un tratto scoppiò

a ridere e disse di sì.

Si dileguarono inosservati sotto i tigli nell'ampio cortile già

buio, il cui portone esterno a quell'ora era chiuso. Il compagno

lo condusse nel mulino del convento, dove nel crepuscolo e nel

continuo fragore delle ruote era facile in-trufolarsi senza

farsi udire né vedere. Da una finestra passarono, già in piena

oscurità, su di un umido e sdrucciolevole deposito d'assi di

legno, ne portarono via una, che dovettero gettare sopra il

torrente per passare dall'altra parte. Ed eccoli fuori sulla

strada maestra, che riluceva scialba e scompariva nel bosco

nero. Tutto questo era eccitante e misterioso e piacque molto al

ragazzo.

Al margine del bosco stava già un compagno, Corrado, e dopo una

buona attesa ne giunse a gran passi un altro, il lungo Everardo.

Marciarono così in quattro attraverso il bosco; sopra di loro si

levavano frusciando gli uccelli notturni, qualche stella si

mostrava umida e lucente fra le nubi quiete. Corrado

chiacchierava e faceva dello spirito, gli altri univano di tanto

in tanto le loro risate, ma la notte alitava sopra di loro

solenne e inquietante, accelerando il ritmo dei loro cuori.

Di là dal bosco raggiunsero in un'oretta il villaggio. Tutto

pareva già addormentato; i bassi comignoli emergeva-no più

chiari dai cupi costoloni della travatura: non una luce

brillava. Adolfo precedeva; strisciarono silenziosi attorno ad

alcune case, scavalcarono una siepe, si trovarono in un

giardino, calpestarono la terra molle delle aiuole, in-

cespicarono in alcuni gradini e si fermarono al muro di una

casa. Adolfo bussò ad un'imposta, aspettò, bussò ancora; dentro

si udì del rumore e subito s'accese una luce, L'imposta s'aperse

e l'uno dietro l'altro entrarono in una cucina dal nero camino e

dal pavimento di terracotta. Sul focolare c'era una piccola

lampada ad olio e sull'esiguo lucignolo ardeva una debole fiamma

Page 16: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

vacillante. Una serva di contadini, magra, diede la mano ai

giovani invadenti, e dietro di lei uscì dall'oscurità una

fanciullina dalle lunghe trecce scure. Adolfo aveva portato dei

doni; una mezza pagnotta di pan bianco del convento e

qualcos'altro in un sacchetto di carta: Boccadoro immaginò che

fosse un pò d'incenso rubato o di cera da candele o qualcosa di

simile. La ragazzina dalle trecce uscì senza lume, a tastoni,

dalla porta, rimase via a lungo, poi ritornò con un boccale di

terracotta grigia a fiori azzurri, che porse a Corrado.

Egli bevve e passò il bicchiere agli altri, che seguirono il suo

esempio: era forte mosto di sidro.

Alla minuscola fiamma della lampada sedettero, le due ragazze

sopra duri sgabelli e intorno a loro, per terra, gli scolari.

Parlavano a voce bassa, bevendo di quando in quando il mosto;

Adolfo e Corrado tenevano la conversazione Ogni tanto uno

s'alzava e accarezzava i capelli e la nuca della ragazza magra,

le sussurrava parole all'orecchio; la piccola rimaneva

impassibile. Forse, pensò Boccadoro, la grande era la serva e la

graziosa piccola la figlia di casa.

Del resto, era indifferente, non gli importava nulla, poiché non

sarebbe mai più ritornato lì. La scappata furtiva e la

passeggiata notturna attraverso il bosco erano state belle:

qualcosa d'inconsueto, di eccitante, di misterioso, ma senza

pericoli. Era bensì proibito, ma la trasgressione del divieto

non opprimeva troppo la coscienza. Quello invece che accadeva

lì, quella visita notturna alle ragazze, era cosa più che

proibita, egli lo sentiva, era peccato. Per gli altri forse

anche questo non rappresentava che una piccola marachella, ma

per lui no; a lui, che si sapeva destinato alla vita monastica e

all'ascesi, non era permesso di giocare con le ragazze. No, non

sarebbe più tornato. Ma il suo cuore batteva forte e inquieto

nella penombra della misera cucina.

I suoi compagni facevano gli eroi davanti alle ragazze e si

davano importanza, intercalando alla conversazione frasi latine.

Tutti e tre pareva godessero le grazie della servetta; le si

avvicinavano di quando in quando con le loro piccole goffe

moine, di cui la più tenera era un timido bacio. Pareva che

sapessero esattamente ciò ch'era loro permesso in quel luogo. E

poiché tutta la conversazione doveva svolgersi in tono di

bisbiglio, la scena aveva in verità qualche cosa di comico; ma

Boccadoro non lo sentiva. Se ne stava rannicchiato per terra,

con lo sguardo fisso nella fiammella del lumino sospeso, senza

pronunciare una parola. Talvolta, guardando di traverso con una

certa avidità, afferrava una delle tenerezze che gli altri si

scambiavano. Poi fissava rigido dinanzi a sé. Avrebbe preferito

non guardar altro che la piccola dalle trecce ma questo appunto

proibiva a se stesso. Ogni volta pero che la sua volontà cedeva

e il suo sguardo, sviandosi, andava a posarsi sul dolce viso

silenzioso della fanciulla, trovava immancabilmente gli occhi

scuri di lei che lo fissavano co-me affascinati.

Era passata forse un'ora - Boccadoro non aveva mai Vissuto

un'ora così lunga - le parole e le tenerezze degli scolari erano

Page 17: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

esaurite; si fece silenzio e seguì un certo imbarazzo. Everardo

cominciò a sbadigliare. Allora la ragazza maggiore li invitò a

partire. Tutti s'alzarono, tutti le diedero la mano, Boccadoro

per ultimo. Poi tutti diedero la mano alla piccola, Boccadoro

per ultimo. Poi Corrado saltò per primo dalla finestra, lo

seguirono Everardo e Adolfo. Quando anche Boccadoro stava

scavalcando, si sentì trattenere da una mano sulla spalla: Non

poté fermarsi; solo quando fu fuori e in piedi si voltò

esitante.

Dalla finestra si sporgeva la piccola dalle trecce.

-- Boccadoro! -- sussurrò. Egli rimase immobile.

--Verrai ancora? --domandò lei. La sua voce timida era come un

soffio. .

Boccadoro scosse il capo. Ella stese le mani, gli prese la

testa, egli sentì sulle sue tempie il calore di quelle piccole

mani. Ella si sporse in fuori finché i suoi occhi scuri si

trovarono proprio vicini a quelli di lui.

-- Vieni ancora! -- sussurrò: e la sua bocca sfiorò la bocca di

lui in un bacio infantile.

Egli corse in fretta dietro gli altri, attraversò il

giardinetto, inciampò nelle aiuole, fiutò odor di terra umida e

di concime, si graffiò una mano contro un cespuglio di ro-se,

s'arrampicò sulla siepe e via di galoppo fuori del villaggio,

verso il bosco. "Mai più!" diceva imperiosa la sua volontà.

"Domani ancora!" supplicava il cuore singhiozzante.

Nessuno incontrò i nottambuli, che ritornarono indisturbati a

Mariabronn, attraverso il torrente, il mulino, la piazza dei

tigli, e per vie segrete, di tettoia in tettoia, rientrarono

dalle finestre bifore nel convento e nel dormitorio.

Alla mattina il lungo Everardo dovette essere svegliato coi

pugni, tanto pesante era il suo sonno. Tutti furono puntuali

alla prima messa, alla colazione, in classe; ma Boccadoro aveva

così brutta cera, che padre Martino gli domandò se fosse malato.

Adolfo gli gettò un'occhiata ammonitrice ed egli disse che non

aveva nulla. Ma alla lezione di greco, verso mezzogiorno,

Narciso non gli tolse gli occhi di dosso. Anch'egli s'accorse

che Boccadoro era malato, ma non disse nulla e l'osservò

attentamente.

Finita lezione, lo chiamò a sé. Per non attirar l'attenzione

degli scolari, lo mandò con un incarico in biblioteca. Là lo

seguì.

--Boccadoro,--disse,--posso aiutarti? Vedo che sei angustiato.

Forse sei malato. Allora ti mettiamo a letto, ti mandiamo una

minestrina da malati e un bicchiere di vi-no. Oggi non hai testa

per il greco.

Attese a lungo una risposta. Il ragazzo lo guardava, pallido,

con gli occhi smarriti, chinava il capo, lo rialzava, contraeva

le labbra, voleva parlare, non poteva. A un tratto cadde da un

lato, appoggiò il capo su di un leggio, fra le due piccole teste

d'angelo in legno di quercia che l'ornavano da una parte e

dall'altra, e scoppiò in un tal pianto, che Narciso si sentì

imbarazzato e distolse un momento lo sguardo, prima di sollevare

Page 18: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

il ragazzo singhiozzante.

--Ma sì,--disse in un tono così affettuoso come Boccadoro non

l'aveva mai udito parlare, -- ma sì, ammise, piangi pure, dopo

starai meglio. Qua, siedi, non c'è bisogno che tu parli. Vedo

che non ne puoi più; forse hai faticato tutta mattina a tenerti

su, a non lasciar scorgere nulla; sei stato molto bravo. Ora

piangi pure; è il meglio che tu possa fare. No? Già finito? Già

in piedi? Bene, allora andiamo in infermeria, ti metterai a

letto e questa sera starai molto meglio. Vieni!

Lo condusse, evitando le aule, in una camera per gli ammalati,

gl'indicò uno dei due letti vuoti, e, mentre Boccadoro

cominciava docilmente a svestirsi, uscì per annunciare al

direttore che il ragazzo era malato. Ordinò anche, che aveva

promesso, una minestrina, e un bicchiere di vino

aromatico; questi due beni, molto usati in convento, erano

assai graditi dalla maggior parte dei malati di poco conto.

Boccadoro, disteso sul letto, cercava di rimettersi dal suo

smarrimento. Un'ora prima forse avrebbe saputo spiegarsi quale

fosse la causa di una così indicibile stanchezza quale tremenda

tensione dell'animo gli rendesse la testa vuota e gli facesse

bruciar gli occhi. Era lo sforzo violento, rinnovato ad ogni

istante e ad ogni istante fallito, di dimenticare la sera

precedente... o meglio non la sera, non la folle e bella

scappata dal convento chiuso, non la passeggiata nel bosco né lo

sdrucciolevole ponticello di fortuna sul nero torrente del

mulino, o l'uscire e l'entrare scavalcando siepi e finestre, ma

unicamente quel momento presso la finestra scura della cucina,

il respiro e le parole della fanciulla, il contatto delle sue

mani, il bacio delle sue labbra.

Ma ora s'era aggiunto qualcosa di nuovo, un nuovo sgomento, una

nuova esperienza. Narciso s'era occupato di lui, Narciso gli

voleva bene, Narciso gli aveva dimostrato premura... quel

giovane così fine, distinto, intelligente, dalla bocca sottile e

lievemente beffarda! E lui, lui davanti a quell'essere superiore

s'era lasciato andare, s'era mostrato confuso, balbettante,

singhiozzante! Invece di cattivarselo con le armi più nobili,

col greco, con la filosofia, con l'eroismo dello spirito e la

dignità dello stoicismo, s'era acca-sciato dinanzi a lui, debole

da far pietà! Non se lo sarebbe mai perdonato, non avrebbe più

potuto guardare Narciso negli occhi senza arrossire.

Ma il pianto aveva allentato la grande tensione; il silenzio

della camera solitaria e il buon letto facevano bene, la

disperazione aveva perduto una buona metà della sua forza. Dopo

un'oretta entrò un frate inserviente, recando una minestra di

farina, un pezzetto di pan bianco e un bicchierino di vin rosso,

che gli scolari solevano ricevere solo nei giorni di festa.

Boccadoro mangiò e bevette: vuotò il piatto a metà, lo

allontanò, ricominciò a pensare, ma la testa non funzionava;

riprese il piatto, ingoiò qualche altra cucchiaiata. E quando un

pò più tardi la porta s'aperse piano ed entrò Narciso per vedere

il malato, questi giaceva immerso nel sonno e le sue guance

erano riornate rosee. Narciso l'osservò a lungo, con affetto,

Page 19: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

con curiosità indagatrice ed anche con un pò d'invidia. Vide che

Boccadoro non era malato; L'indomani non sarebbe stato più

necessario mandargli del vino. Ma sentì anche che il ghiaccio

era rotto, che sarebbero diventati amici.

Quel giorno era stato Boccadoro ad aver bisogno di lui, dei suoi

servigi. Un'altra volta forse egli stesso sarebbe stato debole e

avrebbe avuto bisogno di un aiuto, di un affetto. E da quel

ragazzo avrebbe potuto accettarlo, quando fosse venuto il

momento.

INDEX

Page 20: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO III

Strana amicizia fu quella che s'iniziò fra Narciso e Boccadoro;

piaceva a pochi, e talvolta pareva dispiacesse a loro stessi.

Narciso, il pensatore, ebbe da principio la parte più

difficile. Per lui tutto era spirito, anche l'amore; non gli

era dato abbandonarsi spensieratamente ad un'attrazione.

In quell'amicizia egli era lo spirito reggente, e per molto

tempo fu il solo a riconoscerne con chiarezza il destino, la

portata e il significato. Per molto tempo in pieno affetto

egli rimase solitario; sapeva che non sarebbe riuscito a

possedere davvero l'amico se non dopo averlo condotto al-la

conoscenza. Fervido e ardente, Boccadoro s'abbandonava alla

nuova vita come per gioco, senza rendersi conto di nulla;

cosciente e responsabile, Narciso accettava l'alto destino.

Per Boccadoro fu innanzi tutto una liberazione e una guarigione.

Il suo giovanile bisogno d'amore era stato potentemente destato

dalla vista e dal bacio di una graziosa fanciulla, e soffocato

subito senza speranza. Poiché in fondo all'anima egli sentiva

che tutto il sogno della sua vita fino a quel giorno, tutto

quello in cui aveva creduto a cui si riteneva destinato e

chiamato, era stato compro-messo alla radice dallo sguardo di

quegli occhi scuri. Destinato dal padre alla vita monastica,

disposto con tutta la sua volontà ad accettarla, proteso col

fervore del primo slancio giovanile verso un pio ideale di

eroismo ascetico, egli aveva sentito in modo irresistibile, al

primo incontro fugace, al primo appello che la vita aveva

rivolto ai suoi sensi, al primo saluto del sesso femminino, che

lì stava il suo nemico e il suo demone, che la donna era il suo

pericolo. Ed ecco il destino porgergli una salvezza, ecco nel

momento più grave venirgli incontro quell'amicizia e offrire al

suo desiderio un giardino rigoglioso, al suo culto un nuovo

altare. Qui gli era permesso di amare, gli era permesso di darsi

senza peccato, di donare il suo cuore ad un amico ammirato,

maggiore e più saggio di lui, di trasformare e di

spiritualizzare le fiamme pericolose dei sensi in nobili fuochi

d'offerta.

Ma subito nella primavera di quest'amicizia egli si trovò ad

urtare in ostacoli strani, in freddezze inattese ed enigmatiche,

in esigenze che lo sgomentavano. Perché egli era ben lungi dal

considerare l'amico come il suo contrapposto. Gli pareva che

bastasse l'amore, la dedizione sincera, per fare di due esseri

uno solo, per cancellare le differenze, per superare i

contrasti. Ma com'era austero e sicuro, com'era chiaro e

inesorabile quel Narciso! Pareva ch'egli non conoscesse né

desiderasse un innocente abbandono reciproco, un cammino comune

e grato sul terreno dell'amicizia. Pareva ch'egli ignorasse e

non ammettesse vie senza meta, vagabondaggi sognanti. Aveva

bensì mostrato la sua sollecitudine per Boccadoro, quando questi

sembrava malato, e lo aiutava e lo consigliava fedelmente in

tutte le cose di scuola e di studio, gli spiegava difficili

passi di libri, lo illuminava nel campo della grammatica, della

Page 21: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

logica, della teologia; ma non sembrava mai soddisfatto

dell'amico e d'accordo con lui, spesso sembrava perfino che lo

deridesse un poco, che non lo prendesse sul serio. Boccadoro

sentiva bene che non si trattava di semplice pedanteria di

maestro, di un'ostentazione di superiorità da parte del più

anziano e del più assennato; sentiva che c'era qualcosa d'altro,

qualcosa di più profondo, di più importante.

Ma non riusciva ad afferrarlo, e la sua amicizia lo rendeva

spesso triste e perplesso.

In realtà Narciso conosceva perfettamente l'amico, non era cieco

alla sua fiorente bellezza, alla sua forza naturale, alla sua

rigogliosa pienezza di vita. Non era affatto un maestro pedante,

che volesse nutrir di greco una giovane anima fervida e

rispondere con la logica ad un amore innocente Piuttosto amava

troppo il biondo giovinetto, e per lui questo era un pericolo,

perché amare per lui non era uno stato naturale, ma un miracolo.

A lui non era lecito innamorarsi appagarsi della vista gradevole

di quei begli occhi, della vicinanza di quella biondezza

luminosa e florida; egli non doveva permettere al suo amore

d'indugiare anche un solo momento nei sensi. Poiché se Boccadoro

si sentiva destinato a diventar monaco ed asceta e a tendere per

tutta la vita verso la santità, Narciso era veramente destinato

a quella vita. A lui era permesso d'amare in una forma sola,

nella più elevata. Del resto, alla vocazione di Boccadoro per la

vita ascetica Narciso non credeva. Egli aveva una singolare

capacità di leggere nell'animo degli uomini e in questo caso,

amando, leggeva con tanta maggior chiarezza. Vedeva la natura di

Boccadoro e, malgrado fosse l'opposto della sua, la comprendeva

a fondo, perché ne era l'altra metà, la metà perduta. Vedeva

questa natura racchiusa entro una dura corazza d'immaginazioni,

di errori d'educazione, di parole paterne, e da tempo intuiva

tutto il segreto, non complicato, di quella giovane vita. Il suo

compito gli era chiaro: svelare questo segreto a colui che lo

portava in sé, liberarlo dalla sua corazza, restituirgli la sua

vera natura. Sarebbe stato difficile, e la cosa più penosa era

che ciò gli sarebbe forse costato la perdita dell'amico.

Il cammino per accostarsi alla meta fu di una lentezza estrema.

Passarono mesi, prima che fosse possibile anche solo attaccare

seriamente il discorso e giungere ad una discussione

sostanziale. Tanto eran lontani l'uno dall'altro, non ostante

tutta la loro amicizia, tanto era ampio l'arco teso fra di loro!

Un veggente e un cieco: così cammina-vano a fianco; e se il

cieco ignorava la sua cecità, il sollievo era solo suo.

La prima breccia fu aperta da Narciso, quando cercò d'indagare

la vicenda che aveva spinto, in un'ora di debolezza, il ragazzo

sconvolto verso di lui. L'indagine fu meno difficile di quel che

avesse pensato. Boccadoro sentiva da un pezzo il bisogno di

confessare l'esperienza di quella notte; ma non c'era nessuno,

fuorché l'abate, in cui avesse abbastanza confidenza, e l'abate

non era il suo confessore. Quando dunque Narciso, in un momento

che gli parve favorevole, ricordò all'amico quell'inizio della

loro unione ed accennò lievemente al segreto, L'altro disse

Page 22: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

senza ambagi: --Peccato, che tu non abbia ancora ricevuto gli

ordini e non possa ancora confessare; mi sarei liberato

volentieri di quella faccenda in confessione ed avrei accettato

volentieri una penitenza. Ma al mio confessore non sono stato

capace di dirla.

Prudente e scaltro, Narciso continuò a indagare; la traccia era

trovata.

--Ricordi anche tu,--provò a dire,--quella mattina che sembravi

malato; non l'hai dimenticata, poiché allora siamo diventati

amici. Io ho dovuto ripensarci spesso. Forse non te

n'accorgesti, ma io allora rimasi veramente imbarazzato.

--Tu imbarazzato? -- esclamò l'amico incredulo. --

Ma l'imbarazzato ero io! Ero io che stavo lì senza riuscire a

metter fuori una parola e inghiottivo saliva, fin che scoppiai

a piangere come un bambino! Vergogna, ne arrossisco ancora oggi;

credevo che non sarei più stato capace di comparire ai tuoi

occhi. Lasciarmi vedere da te così miseramente debole!

Narciso procedette tastando.

--Capisco, -- disse, -- che sia stata per te una cosa

spiacevole. Un pezzo di ragazzo gagliardo come te, piangere

davanti a un amico, maestro per giunta: non era degno della tua

natura. Ebbene, io allora ti ritenni proprio malato. Anche un

Aristotele, se è sconvolto dalla febbre, può comportarsi in modo

strano. Invece non eri affatto malato! Non c'era ombra di

febbre! E di questo ti vergogni. Nessuno si vergogna di

lasciarsi vincere da una febbre, nevvero? Ti vergogni, perché

avevi ceduto a qualcos'altro, perché qualcos'altro ti aveva

sopraffatto. Era avvenuta dunque una cosa molto strana?

Boccadoro esitò un poco, poi disse lentamente: -- Sì, era

avvenuta una cosa strana. Ammettiamo che tu sia il mio

confessore; una volta bisogna pur che la dica!

A capo chino raccontò all'amico la storia di quella notte.

Narciso osservò sorridendo: --E vero, " andare al villaggio " è

una cosa proibita. Ma tante cose proibite si fanno e poi ci si

ride sopra, oppure si confessano e tutto è finito e uno non ci

pensa più. Perché non avresti dovuto commettere anche tu, come

quasi ogni scolaro, co-deste sciocchezze? E poi così grave?

Boccadoro proruppe adirato, senza ritegno: --Parli proprio come

un maestro di scuola! Sai benissimo di che si tratta!

Naturalmente non vedo un gran peccato nel burlarsi una volta

tanto delle regole del convento e nel partecipare a una

scappata da scolari, per quanto anche questo non sia

precisamente un esercizio preparatorio alla vita monastica.

--Alt! -- esclamò Narciso severo. -- Non sai, amico mio, che per

molti pii padri proprio questi esercizi furono necessari? Non

sai che una vita di libertinaggio può essere una delle vie più

brevi per giungere ad una vita di santo.

--Ah, sta zitto!--protestò Boccadoro.--Volevo dire: non era quel

tantino di disubbidienza che opprimeva la mia coscienza. Era

qualcos'altro. Era ia ragazza. Era un sentimento che non so

descriverti! Sentivo che se avessi ceduto a quell'adescamento,

se avessi solo steso la mano per toccare la ragazza, non avrei

Page 23: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

più potuto tornare indietro, che allora il peccato mi avrebbe

inghiottito come la bocca dell'inferno e non mi avrebbe più

restituito. E

addio bei sogni, addio virtù, addio amore di Dio e del Bene!

Narciso fece un cenno del capo, sopra pensiero.

--L'amore di Dio,--disse lentamente, cercando le parole,--non è

sempre una cosa sola con l'amore del Bene.

Ah, se fosse così semplice! Ciò che è bene, lo sappiamo, sta nei

comandamenti. Ma Dio non è solo nei comandamenti, caro; questi

non sono che la più piccola parte di lui. Tu puoi attenerti ai

comandamenti ed essere lontanissimo da Dio.

--Ma non mi capisci? --gemette Boccadoro.

--Certo che ti capisco. Tu senti nella donna, nel sesso la

quintessenza di ciò che chiami " mondo " e <peccato ".

Di tutti gli altri peccati o ti senti incapace, o ti pare che se

li commettessi non ti opprimerebbero tanto, li potresti

confessare e riparare. Solo quel peccato, no!

--Ecco, proprio così sento.

--Vedi che ti capisco. E non hai tutti i torti: la storia di Eva

e del serpente non è in verità una favola oziosa.

Eppure non hai ragione, caro. Avresti ragione, se fossi l'abate

Daniele o il tuo patrono, san Crisostomo, se fossi un vescovo o

un sacerdote o anche solo un piccolo semplice monaco. Ma tu non

sei nulla di tutto questo. Sei uno scolaro, e se anche hai il

desiderio di rimanere per sempre in convento, o se tuo padre ha

questo desiderio per te, non hai però fatto ancora alcun voto,

non hai preso ancora nessun ordine. Se oggi o domani fossi se-

dotto da una bella ragazza e cedessi alla tentazione, non

romperesti nessun giuramento, non violeresti nessun voto.

--Non un voto scritto! --esclamò Boccadoro eccitato.

-- Ma un voto non scritto, il più sacro che io porti in me. Non

puoi capire che ciò che vale forse per altri, per me non vale?

Neppur tu hai preso gli ordini, neppur tu hai fatto un voto, ma

non ti permetteresti mai di toccare una donna! O m'inganno? Non

sei così? Non sei quello che io ti credevo? Non hai forse fatto

anche tu da un pezzo in cuor tuo il giuramento non ancor

prestato a parole davanti ai superiori, e non ti senti legato da

questo per sempre? Non sei dunque simile a me?

--No, Boccadoro, non sono simile a te, non come tu credi. E vero

che anch'io porto in cuore un voto inespresso, in questo hai

ragione. Ma simile a te non sono affatto.

Ti dico oggi una parola, di cui ti rammenterai un giorno.

Ti dico: la nostra amicizia non ha altro scopo e altro senso che

quello di mostrarti come tu sia completamente dissimile da me!

Boccadoro rimase sconcertato: Narciso aveva parlato con uno

sguardo e con un tono che non ammettevano contraddizione.

Tacque. Ma perché Narciso pronunciava quelle parole? Perché il

voto inespresso di Narciso doveva essere più sacro del suo?

L'amico non lo prendeva dunque sul serio, vedeva in lui soltanto

un fanciullo? I turbamenti e le tristezze di quella singolare

amicizia ricominciavano.

Narciso non aveva più dubbi sulla natura del segreto di

Page 24: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Boccadoro Eva, la madre primigenia, vi era celata. Ma com'era

possibile che in un giovane così bello, sano e fiorente, il

risveglio del sesso urtasse contro un'ostilità tanto accanita?

Ci doveva essere un demone all'opera, un nemico segreto, ch'era

riuscito a scindere quella magnifica natura e a metterla in

contrasto con i suoi istinti. Ebbene, il demone doveva esser

trovato, evocato, messo in luce: poi l'avrebbero vinto. Intanto

Boccadoro era sempre più evitato e lasciato in disparte dai

compagni, o meglio essi si sentivano abbandonati e in certo

modo traditi da lui. Nessuno vedeva di buon occhio la sua

amicizia con Narciso. I maligni la screditavano come contro

natura, ed erano specialmente quelli innamorati di uno dei due

giovani. Ma anche gli altri, per i quali era evidente che non si

poteva sospettare una colpa in quella relazione, scuotevano il

capo. Nessuno voleva concedere a quei due di essere amici;

pareva che unendosi fra di loro essi si fossero orgogliosamente

isolati dagli altri, come aristocratici per i quali gli altri

fossero d'un livello troppo inferiore; e ciò non era collegiale,

non era claustrale, non era cristiano.

All'orecchio dell'abate Daniele giunsero voci, accuse, calunnie.

In oltre quarant'anni di vita claustrale egli aveva assistito a

molte amicizie fra giovani: facevano parte del quadro del

convento, erano un grazioso supplemento, a volte un passatempo,

a volte un pericolo. L'abate si man-tenne in disparte, con gli

occhi aperti, ma senza immischiarsi. Un'amicizia così fervida e

così esclusiva era una cosa rara, certo non scevra di pericolo,

ma, poiché egli non dubitava un istante della sua purezza,

lasciava che gh eventi seguissero il loro corso. Se Narciso non

si fosse trovato in una posizione d'eccezione fra scolari e

insegnanti, L'abate non avrebbe esitato a ordinare una

separazione fra i due. Non era bene per Boccadoro staccarsi dai

compagni, mantenendo stretti rapporti esclusivamente con uno

maggiore di lui, con un maestro. Ma era giusto che Narciso,

il giovane eccezionale dalle doti straordinarie, che gli

altri insegnanti consideravano spiritualmente pari a loro,

anzi superiore, venisse rimosso dalla sua carriera

privilegiata e privato dell'attività didattica? Se non avesse

fatto buona prova come maestro, se la sua amicizia l'avesse

indotto a qualche trascuratezza e parzialità, L'abate lo avrebbe

immediatamente richiamato. Ma non esisteva nulla contro di lui,

nulla fuorché voci, fuorché la gelosa diffidenza degli altri.

Inoltre l'abate sapeva delle singolari attitudini di Narciso a

penetrare e conoscere gli uomini. Non sopravvalutava queste

doti, forse un pò presuntuose, altre gli sarebbero state più

gradite nel giovane; ma non dubitava che questi avesse

riscontrato nello scolaro Boccadoro una individualità

d'eccezione, e che lo conoscesse molto meglio di lui e di

qualsiasi altro. In lui, abate, Boccadoro non aveva suscitato

altra impressione, a parte la grazia seducente della sua

persona, che quella di un certo zelo prematuro perfino un pò

saccente, con cui già allora, ch'era semplice ospite e

scolaro, pareva si sentisse membro del

Page 25: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

convento e già quasi confratello. L'abate non credeva di dover

temere che Narciso favorisse ed eccitasse ancor più quello zelo

commovente, ma im-maturo. Piuttosto c'era da temere per

Boccadoro che l'amico gli comunicasse una certa presunzione

spirituale e un certo orgoglio di erudito; ma, dato lo scolaro,

il pericolo non sembrava grande; si poteva aspettare. Se pensava

quanto era più semplice, più pacifico e più comodo per un

rettore dirigere individui mediocri invece che nature grandi e

forti, doveva sospirare e sorridere insieme. No, non voleva

lasciarsi prendere lui pure dalla diffidenza, non voleva

mostrarsi sconoscente per il privilegio di aver affidate alle

sue cure due nature di eccezione.

Narciso rifletteva molto sul conto dell'amico. La sua

particolare capacità di comprendere e sentire l'indole e la

destinazione degli uomini lo aveva illuminato da un pezzo sulla

natura di Boccadoro. Tutto ciò che vi era di vitale e di radioso

in questo giovane parlava chiaro: egli portava tutti i segni di

un uomo forte, riccamente dotato nei sensi e nell'anima, forse

di un artista, in ogni caso di un individuo straordinariamente

capace di amare, il cui destino e la cui felicità consistevano

nell'essere infiammabile e nel sapersi donare. Perché dunque

questa creatura d'amore, quest'uomo dai sensi fini e ricchi, che

poteva sentire ed amare con tanta intensità il profumo d'un

fiore, un sole mattutino, un cavallo, un volo d'uccello, una

musica, perché dunque aveva la mania d'essere un sacerdote dello

spirito, un asceta? Narciso si stillava il cervello in cerca

d'una spiegazione. Sapeva che il padre di Boccadoro aveva

favorito questa mania. Ma poteva averla suscitata? Con quale

incantesimo aveva stregato il figlio, perché questi credesse ad

una destinazione e ad un dovere simile? Che uomo poteva essere

quel padre? Per quanto egli avesse portato più volte con

intenzione il discorso su di lui, e Boccadoro ne avesse parlato

non poco, Narciso non riusciva ad immaginarsi questo padre, non

riusciva a vederlo. Non era cosa strana e sospetta? Quando

Boccadoro parlava di una trota pescata da ragazzo, quando

descriveva una farfalla, imitava un grido d'uccello, raccontava

di un compagno, di un cane o di un mendicante, Si presentavano

immagini, si vedeva qualche cosa. Quando parlava di suo padre,

non si vedeva nulla. No, se questo

padre fosse stato davvero una figura così importante, potente,

dominante nella vita di Boccadoro, egli lo avrebbe saputo

descrivere in altro modo, avrebbe saputo offrire altre immagini

di lui! A Narciso questo padre non ispirava molta fiducia, non

gli piaceva; talvolta dubitava persino che fosse veramente il

padre di Boccadoro. Era un idolo vuoto Ma donde attingeva tanta

potenza? Come aveva potuto riempire l'anima di Boccadoro di

sogni, ch'erano così estranei alla sua natura intima?

Anche Boccadoro si lambiccava il cervello. Per quanto

si sentisse sicuro dell'affetto cordiale del suo amico, aveva

pur sempre il senso penoso di non essere preso abbastanza sul

serio da lui, di essere sempre trattato un pò come un bambino. E

Page 26: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

che significava l'insistenza dell'amico nel fargli intendere che

non era simile a lui?

Questo travaglio del pensiero non esauriva tuttavia le giornate

di Boccadoro Egli non era capace di stillarsi a lungo il

cervello. C'era altro da fare durante la lunga giornata. Spesso

andava ad appiattarsi accanto al frate portinaio, con cui era in

ottimi rapporti. Riusciva sempre con le preghiere e con

l'astuzia a procurarsi l'occasione di cavalcare un'ora o due sul

suo Bless, ed era molto benvoluto dai pochi vicini del convento,

specialmente dali; spesso col garzone di quest'ultimo appostava

la lontra, oppure cuocevano focacce con la farina fine dei

prelati, che Boccadoro riconosceva ad occhi chiusi fra tutte le

altre qualità di farina, solo dall'odore. Pur stando molto

insieme con Narciso, gli rimanevano parecchie ore da dedicare

alle sue vecchie abitudini e ai suoi piaceri. Anche i servizi

divini erano per lui il più delle volte una gioia; cantava

volentieri nel coro degli scolari, recitava volentieri un

rosario davanti ad un altare preferito, ascoltava il bel latino

solenne della messa, vedeva nelle nubi d'incenso luccicare l'oro

degli arredi e degli ornamenti e sulle colonne le placide e

venerande figure dei santi, gli evangelisti con gli animali e

sant'Jacopo col cappello e la bisaccia da pellegrino.

Da queste figure di pietra e di legno si sentiva attratto amava

pensarle in misterioso rapporto con la sua persona, come una

specie di padrini immortali e onniscienti, di pro-tettori, di

guide della sua vita. Così sentiva un amore e una dolce

relazione segreta con le colonne e i capitelli delle finestre e

delle porte, con gli ornamenti degli altari, con quei tondini e

quelle corone ben profilate, con quei fiori e quelle foglie

lussureggianti, che spuntavan fuori dalla pietra delle colonne e

s'intrecciavano, così parlanti ed espressive. Gli pareva un

mistero intimo e prezioso, che oltre alla natura, alle sue

piante e ai suoi animali ci fosse anche questa seconda natura,

silenziosa, fatta dagli uomini, queste figure umane, questi

animali, queste piante di pietra e di legno. Non di rado passava

una delle sue ore libere a riprodurre sulla carta tali figure e

teste d'animali e fasci di foglie, e talvolta cercava di

disegnare anche dal vero fiori, cavalli, volti umani.

E amava molto i canti liturgici, specialmente gli inni a Maria.

Gli piaceva il ritmo severo e fermo di questi canti, il

ripetersi delle loro invocazioni e delle loro esaltazioni.

Seguiva adorando il loro significato sublime, oppure,

dimenticando il senso, amava le misure solenni di quei versi e

si lasciava invadere tutto da essi, dai suoni profondi e

prolungati, dalle vocali piene e sonore, dai ritornelli pii. In

fondo al cuore non amava l'erudizione, la grammatica e la

logica, quantunque avessero anch'esse la loro bellezza; amava di

più il mondo d'immagini e di suoni della liturgia.

Di tanto in tanto interrompeva anche per qualche momento quello

stato di freddezza che lo separava ormai dai suoi compagni. A

lungo andare lo irritava e lo annoiava sentirsi attorno degli

estranei; ed ora riusciva a far ridere un vicino di banco

Page 27: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

imbronciato, ora a far chiacchierare un vicino di letto

taciturno, e per un pò di tempo si sforzava di essere cordiale e

riguadagnava un paio d'occhi, un paio di visi, un paio di cuori.

Due volte con questi riavvicinamenti ottenne, contro ogni sua

intenzione, di essere di nuovo invitato ad " andare al villaggio

". Sussultò e si ritirò immediatamente. No, non andava più al

villaggio; era riuscito a dimenticare la fanciulla dalle trecce,

a non pensarci più o quasi più.

INDEX

Page 28: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO IV

I tentativi di Narciso per scoprire il segreto di Boccadoro

erano rimasti per molto tempo senza effetto. Per molto tempo

egli si era sforzato apparentemente invano di destare

quell'anima, d'insegnarle il linguaggio con cui il suo segreto

avrebbe potuto comunicarsi.

Quello che l'amico gli aveva raccontato della sua origine e

della sua casa, non aveva dato nessuna immagine concreta. C'era

l'ombra amorfa di un padre rispettato, e poi la leggenda di una

madre già da tempo scomparsa o morta, di cui altro non era

rimasto che un nome scialbo.

A poco a poco Narciso, esperto di legger nelle anime, aveva

riconosciuto nell'amico uno di quegli individui, per i quali un

tratto della loro vita è andato perduto e che sotto la pressione

di una sventura o di un incantesimo sono stati costretti a

dimenticare una parte del loro passato. Egli comprese che in

questo caso il semplice interrogare ed istruire non serviva a

nulla; s'accorse anche di aver creduto troppo nel potere della

ragione, e di aver detto molte cose invano.

Ma non era rimasto vano l'affetto che lo legava all'amico, non

vana la consuetudine dello star molto insieme. Nonostante la

profonda differenza delle loro nature, avevano imparato molto

l'uno dall'altro, a poco a poco era nato fra loro, accanto al

linguaggio della ragione, un linguaggio d'anime e di cenni, così

come fra due residenze può correre una strada maestra per le

vetture e per i cavalieri, ma accanto si formano tante altre

piccole vie laterali: viottoli per i bimbi che giocano, sentieri

nascosti per innamorati, stradelline appena visibili di cani e

di gatti.

A poco a poco l'animata fantasia di Boccadoro s'era insinuata

per magiche vie nei pensieri dell'amico e nel loro linguaggio; e

questi dal canto suo aveva imparato a comprendere e a sentire,

senza parole, molta parte della natura di Boccadoro. Maturavano

lentamente, nella luce dell'amore, nuovi vincoli fra anima ed

anima; le parole vennero dopo. Così un giorno - era vacanza e i

due amici stavano insieme nella biblioteca - s'intavolò fra

loro, inatteso da entrambi, un discorso che li portò a un

tratto nel cuore della loro amicizia e la illuminò di nuove

luci.

Avevano parlato dell'astrologia, che nel convento non si

studiava, anzi era proibita, e Narciso aveva detto che essa era

un tentativo di mettere ordine e sistema nelle molte e diverse

specie di uomini, di destini, di vocazioni.

Boccadoro interruppe: --Tu parli sempre delle diversità...

a poco a poco mi sono convinto che questa è la tua specialità.

Quando parli della grande differenza che c'è ad esempio fra te e

me, mi par sempre ch'essa non consista in altro che nella tua

singolare mania di trovar differenze!

Narciso: -- Certo, tu cogli proprio nel segno. E così!

Per te le differenze non hanno molta importanza, a me invece

sembrano l'unica cosa importante. Io sono per natura un erudito,

Page 29: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

la mia vocazione è la scienza E scienza altro appunto non è, per

citare le tue parole, che la mania di trovar differenze. Non si

potrebbe designare meglio la sua essenza. Per noi uomini di

scienza nulla è importante se non lo stabilire delle diversità:

scienza significa arte di distinguere. Trovare ad esempio in

ogni uomo le caratteristiche che lo distinguono dagli altri

significa conoscerlo.

Boccadoro: -- Va bene. Uno ha delle scarpe da contadino ed è un

contadino, un altro ha una corona in capo ed è un re. Certo sono

differenze. Ma le vedono anche i bambini pur senza tutta la

vostra scienza.

Narciso: --Ma se tanto il contadino quanto il re indossano

vesti d'oro, il bambino non li distingue più.

Boccadoro: -- Neppur la scienza.

Narciso: -- Forse sì. Essa non è certo più intelligente del

bambino, te lo concedo, ma è più paziente; non rileva soltanto

le caratteristiche più grossolane.

Boccadoro: -- Anche un bambino intelligente riconoscerà il re

dallo sguardo o dal portamento. Insomma voi eruditi siete

orgogliosi e ci giudicate sempre più stupidi di voi; si può

essere molto intelligenti anche senza tutta la vostra scienza.

Narciso: -- Mi fa piacere che tu cominci a comprendere questo.

Fra poco comprenderai allora altresì che io non penso

all'intelligenza quando parlo della differenza fra te e me. Non

dico: tu sei più intelligente o più stupido, migliore o

peggiore. Dico soltanto: sei diverso.

Boccadoro: -- Questo si capisce. Ma tu non parli solo di

differenze di caratteristiche, parli anche spesso di differenze

di destino, di vocazione. Perché ad esempio tu dovresti avere

una vocazione diversa dalla mia? Sei un cristiano come me, sei

deciso come me a scegliere la vita monastica, sei figlio come me

del buon Padre che sta in cielo. La nostra meta è la stessa: la

beatitudine eterna.

La nostra destinazione è la stessa: il ritorno a Dio.

Narciso: --Benissimo. Nel trattato della dogmatica certo un uomo

è esattamente uguale all'altro, ma nella vita no. A me pare: il

discepolo prediletto del Redentore, sul petto del quale egli

riposava, e quell'altro discepolo che lo tradì... quei due non

avevano forse la stessa vocazione?

Boccadoro: -- Sei un sofista, Narciso! Per questa via non ci

avviciniamo.

Narciso: -- Per nessuna via ci avviciniamo.

Boccadoro: --Non dir così!

Narciso: -- Parlo sul serio. Non è il nostro compito quello

d'avvicinarci, così come non s'avvicinano fra loro il sole e la

luna, o il mare e la terra. Noi due, caro amico, siamo il sole e

la luna, siamo il mare e la terra.

La nostra meta non è di trasformarci l'uno nell'altro, ma di

conoscerci l'un l'altro e d'imparar a vedere ed a rispettare

nell'altro ciò ch'egli è: il nostro opposto e il nostro

complemento.

Boccadoro, colpito, teneva il capo chino: il suo volto s'era

Page 30: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

fatto triste.

Finalmente disse: -- per questo che tante volte non prendi sul

serio i miei pensieri?

Narciso esitò un poco a rispondere. Poi disse con voce chiara e

dura: --E per questo. Devi abituarti, caro Boccadoro, a che io

prenda sul serio soltanto te stesso. Credimi, io prendo sul

serio ogni suono della tua voce, ogni gesto, ogni sorriso tuo.

Ma i tuoi pensieri, li prendo meno sul serio. Prendo sul serio

quello che riconosco in te di essenziale e di necessario. Perché

vuoi che presti particolare attenzione proprio ai tuoi pensieri,

quando hai tante altre doti?

Boccadoro sorrise con amarezza.--Lo dicevo bene, che mi hai

sempre considerato soltanto un bambino!

Narciso insistette: --Una parte dei tuoi pensieri li considero

infantili. Ricorda quel che dicevamo dianzi: un fanciullo

intelligente non è di necessità più sciocco di un erudito. Ma se

il fanciullo vuol parlare di scienza con l'erudito, questi non

lo prende sul serio.

Boccadoro esclamò con impeto: --Anche quando non parlo di

scienza tu sorridi di me! Tutta la mia religiosità, ad esempio,

i miei sforzi per progredire negli studi, la mia aspirazione

alla vita monastica, per te non sono altro che fanciullaggini!

Narciso lo guardò, grave: -- lo ti prendo sul serio quando sei

Boccadoro. Ma tu non sei sempre Boccadoro.

Io non mi auguro altro se non che tu divenga Boccadoro in tutto

e per tutto. Tu non sei un erudito, tu non sei un monaco... per

far un erudito e un monaco basta una stoffa meno preziosa della

tua. Tu credi che ti giudichi troppo poco erudito, troppo poco

logico, o troppo poco pio. No, per me sei troppo poco te stesso.

Boccadoro s'era ritirato da quel colloquio stupito e persino

offeso, ma pochi giorni dopo mostrò egli stesso il desiderio di

continuarlo. Questa volta Narciso riuscì a dargli, della

differenza fra le loro nature, un'immagine ch'egli poté

comprendere meglio.

Narciso aveva parlato con calore, sentiva l'amico più aperto,

quel giorno, e più pronto ad accogliere le sue parole: sentiva

di far presa su di lui. E si lasciò indurre dal successo a dire

più di quel che fosse nelle sue intenzioni, si lasciò

trasportare dalle sue stesse parole.

--Vedi, -- disse, -- c'è un punto solo in cui ti sono superiore:

io sono sveglio, mentre tu lo sei soltanto a mezzo, anzi a volte

dormi del tutto. Per me, sveglio è chi conosce con l'intelletto

e con la coscienza se stesso, le proprie forze intime e

irrazionali, i propri istinti e le proprie debolezze, e sa

tenerne conto. Questo tu devi imparare: ecco il senso che può

esserci per te nell'avermi incontrato. In te, Boccadoro, lo

spirito e la natura, la coscienza e il mondo dei sogni sono

lontanissimi fra loro.

Hai dimenticato la tua infanzia, e dalle profondità della tua

anima essa ti cerca. Ti farà soffrire finché non le avrai dato

ascolto... Basta! Nell'essere sveglio, ripeto, sono più forte di

te, in questo ti sono superiore e ti posso aiutare; in tutto il

Page 31: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

resto, caro, sei tu superiore a me... o meglio lo sarai non

appena avrai trovato te stesso.

Boccadoro aveva ascoltato con stupore, ma alle parole " hai

dimenticato la tua infanzia " aveva sussultato come colpito da

una freccia. Narciso, che per abitudine, mentre parlava, spesso

teneva a lungo chiusi gli occhi o li fissava innanzi a sé, come

se in tal modo trovasse meglio le parole, non s'era accorto di

nulla. Non aveva veduto il volto dell'amico contrarsi

improvvisamente e come avvizzirsi.

-- Superiore.. io a te! --balbettò Boccadoro tanto per dir

qualcosa; era come irrigidito.

--Certo, -- continuò Narciso. -- Le nature come la tua, dotate

di sensi forti e delicati, gli ispirati, i sognatori, i poeti,

gli amanti sono quasi sempre superiori a noi uomini di pensiero.

La vostra origine è materna. Voi vivete nella pienezza, a voi è

data la forza dell'amore e della esperienza viva Noi spirituali,

che pur sembriamo spesso guidarvi e dirigervi, non viviamo nella

pienezza, viviamo nell'aridità. A voi appartiene la ricchezza

della vita, a voi il succo dei frutti, a voi il giardino

dell'amore, il bel paese dell'arte. La vostra patria è la terra,

la nostra è l'idea. Il vostro pericolo è di affogare nel mondo

dei sensi, il nostro è di asfissiare nel vuoto. Tu sei un

artista, io un pensatore. Tu dormi sul petto della madre, io

veglio nel deserto. A me splende il sole, a te la luna e le

stelle, i tuoi sogni sono di fanciulle, i miei di ragazzi...

Boccadoro aveva ascoltato con gli occhi spalancati, mentre

Narciso parlava in una specie d'inebbriamento oratorio. Molte

delle sue parole l'avevano colpito come spade; alle ultime

impallidì, chiuse gli occhi, e, quando Narciso se n'accorse e lo

interrogò spaventato, rispose pallidissimo, con la voce spenta:

--Mi è capitato una volta di acca-sciarmi e di piangere davanti

a te... ricordi? Non deve ripetersi, non me lo perdonerei mai...

e neppure a te! Ora va via subito e lasciami solo, mi hai detto

parole terribili.

Narciso era costernato. S'era lasciato trasportare dalle sue

parole, aveva avuto la sensazione di parlare meglio del solito.

E s'accorgeva con stupore che qualcuna di queste parole aveva

scosso profondamente l'amico, che in qualche punto egli aveva

toccato sul vivo Gli rincresceva di lasciarlo solo in quel

momento; esitò qualche secondo, ma la fronte corrugata di

Boccadoro gli impose d'uscire, e corse via confuso, per

concedere all'amico la solitudine di cui aveva bisogno.

Questa volta la tensione dell'animo di Boccadoro non si risolse

in lacrime. Con la sensazione di essere ferito profondamente e

senza speranza, come se l'amico gli avesse inferto a un tratto

un pugnale nel petto, rimase immobile, col respiro affannoso,

col cuore mortalmente oppresso, pallido come un cadavere, con le

mani inerti. Era la stessa angoscia d'allora, solo di qualche

grado più intensa, era lo stesso senso di soffocamento

interiore, L'impressione di dover vedere qualcosa di terribile,

di assolutamente insopportabile. Ma nessun singhiozzo liberatore

lo aiutò questa volta a superare l'angoscia. Santa Madre di Dio,

Page 32: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

che era mai? Era avvenuto qualcosa? L'avevano ammazzato? Aveva

egli ucciso? Che cosa era stato detto di terribile?

Respirava a stento, come un avvelenato: aveva una sensazione

quasi straziante di dover liberarsi da qualcosa di micidiale,

che stava in fondo al suo essere. Coi movimenti di uno che

nuoti, si lanciò fuori della stanza, fuggì incosciente negli

angoli più tranquilli e più deserti del convento, per corridoi e

scale, finché uscì fuori all'aperto.

Era giunto nel rifugio più interno del monastero, nel chiostro;

sopra le poche aiuole verdi splendeva luminoso il cielo, un

profumo di rose attraversava in dolci e lente ondate l'aria

umida e fresca emanante dalla pietra.

Narciso, senza immaginarlo, aveva fatto in quell'ora ciò che da

tempo era la meta dei suoi desideri: aveva chiamato per nome il

demone che possedeva il suo amico, lo aveva colto. Qualcuna

delle sue parole aveva toccato nel cuore di Boccadoro il

segreto, ch'era si era alzato in un impeto di dolore selvaggio.

Narciso s'aggirò per il convento in cerca dell'amico, ma non lo

trovò. Boccadoro stava sotto una delle pesanti arcate, che dai

corridoi mettevano nel giardinetto del chiostro; dall'alto di

ciascuna delle colonne tre teste di pietra, teste di cani - o di

lupi, lo fissavano con gli occhi spalancati. La ferita E gli

straziava l'anima. senza trovare una via verso la luce verso

la ragione. Un'angoscia mortale gli stringeva la gola e lo

stomaco. Alzando meccanicamente lo sguardo, vide sopra di sé

uno dei capitelli con le tre teste d'animali, e subito ebbe

l'impressione che i tre mostri fossero nelle sue viscere, coi

loro occhi fissi, e gli abbaiassero dentro.

"Ora devo morire," sentì rabbrividendo. E subito dopo, tremante

d'angoscia: "Ora perdo la ragione, ora le bestiacce mi

mangiano".

Con un sussulto cadde ai piedi della colonna; la sofferenza era

troppo grande, aveva raggiunto il limite estremo.

Lo avvolse un deliquio; il viso infossato sul petto, si per-

dette nei desiderati meandri del non essere.

L'abate Daniele aveva avuto una giornata poco piacevole: due dei

monaci anziani erano andati da lui, eccitati, litigando e

accusandosi a vicenda, furenti l'un contro l'altro per il

ripetersi di vecchie e futili gelosie. Egli li aveva ascoltati,

fin troppo a lungo, li aveva ammoniti, ma senza effetto, infine

li aveva congedati severamente, imponendo a ciascuno una

penitenza abbastanza dura; ma in cuore gli era rimasto il senso

che l'opera sua era stata vana. Esausto, s'era ritirato nella

cappella della chiesa inferiore, aveva pregato, s'era rialzato

senza trovare ristoro.

Poi, attratto dalla mite fragranza delle rose, era entrato un

momento nel chiostro per aspirarne il profumo. E lì trovò lo

scolaro Boccadoro, svenuto sull'impiantito. Lo guardò con

tristezza, spaventato dal pallore esangue di quel volto di

solito fiorente di giovinezza. Cattiva giornata davvero, ci

mancava ancor questo! Tentò di sollevare il ragazzo, ma il peso

era troppo grave per le sue forze. E

Page 33: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

il vecchio se n'andò sospirando, chiamò due frati più giovani,

perché lo portassero su, e mandò insieme a loro padre Anselmo,

esperto in medicina. Intanto fece cercare Narciso, che fu presto

trovato e si presentò.

--Sai già? --gli domandò.

--Di Boccadoro? Sì, reverendo padre, ho sentito or ora che è

ammalato o che gli è capitato un accidente: lo hanno portato su

a braccia.

--Sì, L'ho trovato io nel chiostro, dove veramente non aveva

nulla da cercare. Non gli è capitato nessun accidente, è

svenuto. La cosa non mi piace. Mi sembra che tu debba in qualche

modo esserne a parte: è il tuo intimo.

Perciò ti ho fatto chiamare. Parla.

Narciso, dominando come sempre il suo contegno e le sue parole,

riferì brevemente il colloquio con Boccadoro e l'impressione

violenta, inattesa, che quegli ne aveva ricevuta. L'abate scosse

il capo, non senza un certo malcontento.

-- Sono curiosi colloqui! -- disse, sforzandosi di rimaner

calmo. -- Il discorso che mi hai riferito si potrebbe chiamare

una violazione dell'anima altrui; è un discorso direi, da padre

spirituale. Ma tu non sei il padre spirituale di Boccadoro. Tu

non hai nemmeno cura d'anime, non sei ancora stato ordinato

sacerdote. Come mai assumi con uno scolaro il tono del direttore

di coscienza e gli parli di cose che riguardano solo

quest'ultimo? Le conseguenze, come vedi, sono state cattive.

-- Le conseguenze, -- rispose Narciso in tono mite, ma risoluto,

-- non le conosciamo ancora, reverendo padre. Io sono rimasto un

pò spaventato per l'effetto violento del nostro colloquio ma non

dubito che le conseguenze saranno buone per Boccadoro.

-- Lo vedremo. Ma ora parliamo del tuo operato. Che cosa ti ha

indotto a tenere a Boccadoro simili discorsi?

-- Come sapete, egli è mio amico. Ho una speciale simpatia per

lui e credo di comprenderlo molto bene. Voi dite che io gli ho

parlato come un padre spirituale; no, non ho voluto arrogarmi

nessuna autorità di questo genere, ho creduto soltanto di

conoscerlo meglio di quanto egli si conosca.

L'abate alzò le spalle.

--Lo so che questa è la tua specialità. Speriamo che tu non

abbia provocato nulla di male... E malato, Boccadoro? Voglio

dire, ha qualche disturbo? E cagionevole?

Dorme male? Non mangia? Ha qualche sofferenza?

--No, fino ad oggi era sano. Sano di corpo

--E nel resto?

--Nell'anima è malato, non c'è dubbio. Sapete ch'egli è nell'età

in cui cominciano le lotte con l'istinto sessuale.

--Lo so. Ha diciassette anni?

--Ne ha diciotto.

--Diciotto. Già. Abbastanza tardi. Ma queste lotte sono cosa

naturale, attraverso cui passano tutti. Non si può chiamarlo per

questo malato nell'anima.

--No, reverendo padre, per questo solo no. Ma Boccadoro era già

malato prima, già da tempo, perciò queste lotte sono per lui più

Page 34: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

pericolose che per altri. Egli soffre, credo, perché ha

dimenticato una parte del suo passato.

--Ah? E quale parte?

--Sua madre e tutto quello che si riferisce a lei. Non ne so

nulla neppur io; so soltanto che là dev'essere l'origine della

sua malattia. Boccadoro probabilmente non sa altro di sua madre,

se non che l'ha perduta presto. Ma si ha l'impressione che si

vergogni di lei. Eppure da lei deve aver ereditato la maggior

parte delle sue doti, poiché quello che dice di suo padre non ce

lo fa apparir tale da avere un figlio così bello, così ben

dotato e originale. Tutto questo non mi è stato riferito, lo

arguisco da indizi.

L'abate, il quale da principio aveva sorriso fra sé di quei

discorsi, che gli parevano saccenti e presuntuosi, e a cui tutta

la faccenda riusciva molesta e penosa, cominciò a riflettere.

Ripensò al padre di Boccadoro, a quell'uomo un pò affettato, che

non ispirava troppa fiducia, e, forzando la memoria, ricordò

anche a un tratto come egli avesse parlato a proposito della

moglie. Aveva detto ch'era stato da lei disonorato, che gli era

scappata, e ch'egli si era sforzato di soffocare nel figlioletto

il ricordo materno e i vizi che dalla madre poteva aver

ereditati.

Vi era riuscito: e il ragazzo si dichiarava disposto, per

espiare i falli della mamma, a offrire la sua vita a Dio.

Narciso non era mai piaciuto così poco all'abate come in quel

momento. E tuttavia... come aveva indovinato bene, quel

ruminatore di pensieri, come sembrava conoscer bene davvero

Boccadoro!

Infine, interrogato ancora su ciò ch'era avvenuto quel giorno,

Narciso disse: -- Non era nelle mie intenzioni provocare la

scossa violenta, che oggi ha sopraffatto Boccadoro. Io gli ho

osservato ch'egli non conosce se stesso, che ha dimenticato la

sua infanzia e sua madre. Qualcuna delle mie parole deve averlo

colpito, dev'essere penetrata nella tenebra, contro la quale

lotto già da tanto tempo. Era come esanimato, mi guardava, quasi

non conoscesse più né me né se stesso. Io gli dissi tante volte

che dormiva, che non era desto del tutto. Ora è stato svegliato,

non ne dubito.

Narciso fu congedato, senza ammonizione, ma col divieto, per il

momento, di visitare il malato.

Intanto padre Anselmo aveva fatto coricare lo svenuto su di un

letto e s'era seduto al suo capezzale. Non gli parve

consigliabile richiamarlo bruscamente alla coscienza con mezzi

violenti. L'aspetto del ragazzo non prometteva nulla di buono.

Il vecchio dal volto rugoso e bonario lo guardava benevolmente.

Per il momento si limitò a sentirgli il polso e ad ascoltare il

cuore. Certo, pensò, il ragazzo aveva mangiato qualche

porcheria, del sale d'acetosella o qualche altra sciocchezza;

eran cose che capitavano. La lingua non si poteva vedere. Egli

voleva bene a Boccadoro, ma non poteva soffrire il suo amico,

quel maestro troppo giovane e precoce. Ecco ora i frutti di una

simile amicizia: certo Narciso aveva la sua parte di colpa in

Page 35: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

questa corbelleria. Che bisogno aveva un ragazzo così sano,

dagli occhi chiari, un così caro e schietto figlio della natura,

di mettersi insieme con quell'erudito orgoglioso, con quel

grammatico, per cui il suo greco era più importante di tutto ciò

ch'è vivo al mondo?

Quando dopo parecchio tempo la porta s'aprì ed entrò L'abate, il

padre era ancora seduto, con lo sguardo fisso sul volto del

ragazzo privo di sensi. Che volto simpatico, giovane, ingenuo! E

dovergli ora star accanto per soccorrerlo, e forse non potere!

Certo la causa poteva essere una colica: avrebbe prescritto del

vino caldo, forse del rabarbaro. Ma più guardava quel viso

verdastro e contratto, più i suoi sospetti prendevano un'altra

piega, più preoccupante Padre Anselmo aveva esperienza. Più

d'una volta nel corso della sua lunga vita gli era capitato di

vedere degli ossessi. Esitava a formulare il sospetto perfino in

cuor suo. Avrebbe atteso, sorvegliato. Ma, pensava con

irritazione se quel povero ragazzo era stato davvero

stregato, non dovevano cercar lontano il colpevole: e questi

l'avrebbe vista brutta !

L'abate s'avvicinò, guardò il malato, gli sollevò piano una

palpebra.

--Si può destarlo? -- domandò.

--Vorrei aspettare ancora. Il cuore è sano. Non bisogna

lasciargli avvicinare nessuno.

--C'è pericolo?

--Non credo. Nessuna ferita, nessuna traccia di colpi o di

caduta. E svenuto: forse è stata una colica. I dolori molto

forti fanno perdere i sensi. Se fosse un avvelena-mento,

verrebbe la febbre. No, si risveglierà e rimarrà in vita.

--Non potrebbe derivare da una scossa morale?

--Non dico di no. Si sa qualcosa? Ha avuto forse un forte

spavento? Un annuncio di morte? Una disputa violenta, un'offesa?

Allora tutto sarebbe spiegato.

--Non sappiamo. Badate che nessuno lo avvicini. Vi prego di

rimanere finché è desto. Se peggiorasse, chiama-temi, foss'anche

di notte.

Prima di uscire il vegliardo si chinò ancora una volta sul

malato; pensò a suo padre, pensò al giorno in cui gli avevano

condotto quel bel ragazzo biondo e sereno, che tutti avevano

subito preso a benvolere. Anche a lui aveva fatto un'ottima

impressione. Ma Narciso aveva ragione: quel figliolo non

assomigliava proprio in nulla a suo padre! Ah, quante

preoccupazioni dappertutto! Com'è insufficiente tutta la nostra

opera! Non aveva forse egli stesso trascurato in qualche modo

quel povero ragazzo? Gli aveva dato il confessore adatto? Era

giusto che nessuno in convento conoscesse bene quello scolaro

quanto Narciso?

E poteva giovargli questo amico, che faceva ancora il noviziato,

che non era ancor frate né aveva ricevuto gli ordini e le cui

idee ostentavano tutte una superiorità così sgradevole, quasi

ostile? Dio sa se anche Narciso non aveva avuto da tempo un

trattamento sbagliato? Dio sa se dietro la maschera

Page 36: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

dell'obbedienza egli non celava del male, se non era forse un

pagano? E di quel che i due giovani sarebbero diventati un

giorno, era responsabile anche lui.

Quando Boccadoro rinvenne, era buio. Sentiva la testa vuota e

aveva le vertigini. Sentiva di essere in un letto, ma non sapeva

dove e non stette neppure a pensarci: gli era indifferente. Ma

dov'era stato? Di dove veniva? Da qual mondo strano di

esperienze? Era stato altrove, molto lontano, aveva visto

qualcosa, qualcosa di straordinario di splendido, di terribile e

d'indimenticabile... e tuttavia aveva dimenticato. Ma dove? Che

cos'era spuntato là davanti a lui, così grande, così doloroso,

così delizioso, e poi di nuovo scomparso? Tese l'orecchio verso

il fondo della sua anima, là dove qualcosa si era sprigionato in

quel giorno, dove qualcosa era avvenuto... che cosa? Un confuso

groviglio d'immagini gli turbinò davanti, vide delle teste di

cani, tre teste di cani, ed aspirò il profumo delle rose. Oh,

com'era stato male! Chiuse gli occhi. Si riaddormentò.

Si svegliò di nuovo e, mentre il mondo dei sogni si dileguava

rapidamente, vide, ritrovò l'immagine e trasalì come per una

voluttà dolorosa. Vide: era diventato veggente. Vide Lei. Vide

la grande, radiosa figura dalla bocca fiorente, dai fulgidi

capelli. Vide sua madre. Al tempo stesso credette di udire una

voce: " Hai dimenticato la tua infanzia ". Di chi era quella

voce? Tese l'orecchio, pensò, trovò, Era Narciso. Narciso? E in

un attimo, con un colpo brusco, tutto ritornò presente: ricordò,

seppe. Oh!

mamma, mamma! Montagne di macerie, mari d'oblio erano rimossi,

scomparsi; con superbi occhi azzurri e luminosi la Perduta lo

guardò di nuovo, L'ineffabilmente Amata.

Padre Anselmo, che s'era assopito nella poltrona accanto al

letto, si destò. Udì il malato muoversi, respirare.

S'alzò cauto.

--Chi c'è? -- domandò Boccadoro.

-- Sono io, non aver paura. Faccio luce.

Accese la piccola lampada sospesa e il chiarore si diffuse sopra

il suo volto rugoso e benevolo.

--Sono malato? -- domandò il giovane.

-- Sei svenuto, figliolo mio. Dammi la mano, sentiamo il polso.

Come ti senti?

--Bene. Grazie, padre Anselmo. Siete molto buono.

Non mi sento più nulla, sono solo stanco.

--Certo sarai stanco. Presto ti riaddormenterai; prima bevi un

sorso di vino caldo, è qui pronto. Vuotiamo insieme un

bicchiere, ragazzo mio. Alla nostra buona amicizia!

Aveva avuto cura di tener pronto, entro un recipiente d'acqua

calda, un boccaletto di vino bollito con aromi.

--Abbiamo dormito un bel pezzetto tutti e due! --

disse ridendo il medico. --Un bravo infermiere, penserai, che

non sa tenersi desto! Via, siamo uomini. Ora, piccino, beviamo

un pò di questo filtro magico; nulla di più delizioso che una

piccola bevuta di nascosto nella notte.

Dunque, salute!

Page 37: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Boccadoro rise. toccò il bicchiere e assaggiò. Il vino caldo era

drogato con cannella e garofano e addolcito con lo zucchero;

egli non ne aveva mai bevuto. Gli venne in mente che già una

volta era stato malato e allora s'era occupato di lui Narciso;

questa volta era padre Anselmo a prestargli le sue cure. La cosa

gli piacque molto, era gradevolissimo e curioso essere lì in

letto, alla luce di quella lampadina, e bere col vecchio padre

un bicchiere di dolce vino caldo nel cuor della notte.

--Hai dolor di ventre? -- domandò il vecchio.

--No.

--Tò, pensavo che dovessi avere una colica, Boccadoro. Allora

non è questo. Mostra la lingua. E bella: una volta di più il

vostro vecchio Anselmo non ha capito nulla.

Domani resti a letto tranquillo, poi vengo io e ti visito. E il

tuo vino l'hai già finito? Così, ti faccia buon pro! Lasciami

vedere se ce n'è ancora. Per un mezzo bicchiere ciascuno

basta, se ce lo dividiamo con equità... Ci hai procurato

un bello spavento, Boccadoro! Disteso là nel chiostro come un

cadaverino! Davvero non hai mal di ventre?

Risero e si divisero onestamente il resto del vino aromatico;

padre Anselmo disse le sue barzellette, mentre Boccadoro lo

guardava riconoscente e divertito, con gli occhi ritornati

chiari. Poi il vecchio andò a coricarsi. Boccadoro rimase

sveglio ancora un poco; pian piano le immagini risalirono dal

fondo della sua anima, rifiammeggiarono le parole dell'amico,

riapparve la donna bionda e radiosa, la madre; e la visione lo

percorse tutto come un vento caldo, come una nube di vita, di

ardore, di tenerezza e di monito profondo. O mamma ! Come, come

aveva potuto dimenticarla?

INDEX

Page 38: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO V

Fino allora Boccadoro aveva saputo qualcosa di sua madre, ma

solo dai racconti altrui; L'immagine di lei gli era sfuggita e

del poco che credeva di saperne aveva taciuto a Narciso la

massima parte. La mamma era cosa di cui non si doveva parlare,

di cui ci si vergognava. Era stata una ballerina, una bella e

selvaggia creatura, d'origine distinta, ma pagana e non buona;

il padre di Boccadoro l'aveva raccolta, così raccontava, dalla

miseria e dalla vergogna, nel dubbio che fosse pagana, L'aveva

fatta battezzare e istruire nella religione; L'aveva sposata e

ridotta una donna per bene. Sennonché dopo alcuni anni di

mansuetudine e di vita regolare si era risvegliato in lei il

ricordo delle sue antiche arti ed abitudini ed ella aveva

cominciato a dar scandalo, a sedurre uomini, a rimaner fuori di

casa giornate e settimane intere; aveva acquistato fama di

strega e infine, dopo essere stata più volte raggiunta e

riportata a casa dal marito, era scomparsa per sempre. La sua

fama rimase viva ancora per qualche tempo, fama cattiva,

guizzante come la coda di una cometa, poi si spense. Suo marito

si rimise lentamente da quegli anni d'inquietudine, di spavento,

di vergogna, di continue sorprese, e invece della moglie mal

riuscita, prese a educare il figlioletto, somigliantissimo alla

madre nella figura e nel volto; rimase profondamente

contristato, diventò bi-gotto e coltivò in Boccadoro la

convinzione ch'egli dovesse offrire la sua vita a Dio per

espiare le colpe materne.

Questo era press'a poco ciò che il padre soleva raccontare della

moglie scomparsa, benché non amasse parlarne; e qualche

allusione in proposito aveva fatto anche all'abate

nell'affidargli il figlio. Tutto ciò era noto anche a Boccadoro

come un'orribile leggenda ma egli aveva imparato ad

allontanarla da sé, quasi a dimenticarla. Aveva poi dimenticato

e perduto del tutto l'immagine vera della madre, quella che non

nasceva dai racconti del padre e del servi o dalle voci oscure e

cattive intorno a lei, ma che costituiva il suo ricordo

personale: la madre, quale era stata realmente per lui nella

vita. Ed ecco ora risorgere quell'immagine, L'astro dei suoi

primi anni.

--E incomprensibile come avessi potuto dimenticarla, --disse un

giorno all'amico.--Io non ho mai amato nessuno in vita mia come

mia madre, così incondizionata-mente, così ardentemente, non ho

mai venerato e ammirato nessuno come lei; rappresentava per me

il sole e la luna. Dio sa come fu possibile offuscare nella mia

anima quell'immagine radiosa e trasformarla a poco a poco in

quella strega cattiva, pallida, diafana, ch'ella era per mio

padre e fu durante tanti anni per me.

Narciso aveva finito da poco il suo noviziato e aveva preso

l'abito. Il suo contegno verso Boccadoro s'era singolarmente

mutato. Boccadoro, che prima aveva spesso respinto i cenni e i

moniti dell'amico come una molesta pretesa di saperne di più e

di volerlo migliorare dopo il grande avvenimento era pieno di

Page 39: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

stupita ammirazione per la sua sapienza. Quante parole di lui

s'erano avverate co-me profezie! Come gli aveva visto in fondo

all'animo quello scrutatore inquietante, come aveva indovinato

il segreto della sua vita, la sua ferita nascosta! Con quanta

intelligenza lo aveva guarito!

Il giovane sembrava guarito davvero. Non solo quello Svenimento

non aveva avuto cattive conseguenze, ma si era come dileguato

anche quel certo che di non schietto, dl non serio, di saccente,

che si notava prima nella personalità di Boccadoro, quel

prematuro monachismo, quel credersi obbligato a servir Dio

proprio in convento. Il glovane sembrava diventato più giovane e

al tempo stesso più maturo, da quando aveva trovato se stesso.

Tutto ciò egli doveva a Narciso.

Ma Narciso da qualche tempo teneva con l'amico un contegno

singolarmente cauto; lo guardava con grande modestia, senza più

alcun senso di superiorità, senza più volerlo ammaestrare,

mentre l'altro aveva tanta ammirazione per lui. Vedeva Boccadoro

nutrito da fonti misteriose, di forze che a lui erano estranee;

egli aveva potuto favorire il loro sviluppo, ma non gli era dato

di partecipare ad esse. Vedeva con gioia l'amico liberarsi

dalla sua guida, e pur talvolta era triste. Sentiva di essere un

gradino superato, una scorza che si butta via; vedeva

avvicinarsi la fine di quell'amicizia, ch'era stata tanto per

lui. Sapeva sempre sul conto di Boccadoro più di quel che ne

sapesse Boccadoro stesso; poiché se questi aveva ritrovato la

sua anima ed era pronto a seguirne l'appello, non presentiva

ancora dove essa l'avrebbe condotto; Narciso lo presentiva ed

era impotente; la via del suo beniamino conduceva in paesi, su

cui egli non avrebbe mai posto il piede.

La passione di Boccadoro per le scienze era molto di-minuita.

Anche la sua smania di disputa nei colloqui con l'amico era

passata; si vergognava ripensando a certe loro conversazioni

d'un tempo. Intanto in Narciso sia col compimento del

noviziato, sia in seguito alle vicende con Boccadoro, s'era

destato un bisogno di vita ritirata, di ascesi, di esercizi

spirituali, una tendenza ai digiuni e alle lunghe orazioni, alle

confessioni frequenti, alle penitenze volontarie; e Boccadoro

poteva capire questa tendenza, poteva quasi dividerla. Dopo la

guarigione il suo istinto s'era molto affinato; pur non sapendo

ancor nulla delle sue mete future, sentiva con una chiarezza

sicura, spesso inquietante, che il suo destino si stava

preparando, che un certo periodo d'innocenza e di tranquillità

ben protetta era ormai passato per lui e che tutto in lui era

teso e pronto Spesso il presentimento era delizioso, lo teneva

sveglio metà della notte, come un dolce innamoramento; spesso

anche era cupo e profondamente angoscioso. La madre era

ritornata a lui, colei ch'era da tanto tempo perduta, ed era una

grande felicità. Ma dove lo conduceva il suo richiamo

allettatore? Nell'incerto, in una rete di seduzioni,

nell'angustia, forse nella morte. Indubbiamente non lo conduceva

nella sicurezza placida e silente di una cella monastica, nella

comunità di un chiostro per tutta la vita; il suo appello non

Page 40: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

aveva nulla di comune con quei comandamenti paterni, che per

tanto tempo egli aveva scambiato per suoi propri desideri.

Questo sentimento, spesso forte, angoscioso e scottante come una

violenta sensazione fisica, alimentava la religiosità di

Boccadoro. Ed egli sfogava la piena della sua passione, ch'era

tutta un anelito verso sua madre, in lunghe preghiere alla santa

Madre di Dio. Spesso però le orazioni si perdevano di nuovo in

sogni, sogni splendidi e strani, di giorno, in una specie di

dormiveglia, sogni di lei, a cui tutti i suoi sensi

partecipavano. E lo avvolgeva allora il profumo di quel mondo

materno che guardava misterioso con occhi d'enigma e d'amore,

che mormorava profondo come il mare e come il paradiso, che

vezzeggiando balbettava suoni senza senso, o meglio traboccanti

di senso e lusinganti come carezze, che aveva sapor di zucchero

e di sale, che sfiorava con serica chioma le labbra e gli occhi

anelanti. E non solo tutti gli incanti erano nella madre, non

solo il dolce sguardo azzurro dell'amore, il sorriso soave

promettente felicità, la carezza del conforto; in lei, sotto

veli di grazia erano anche ogni orrore e ogni tenebra, ogni

brama, ogni colpa, ogni miseria, ogni nascita e ogni legge.

Il giovane sprofondava in questi sogni, in queste trame a mille

fili dei suoi sensi animati. Non solo risorgeva in essi con

tutto il suo fascino il passato diletto: infanzia e amor

materno, radioso e aureo mattino di vita, ma s'ergeva anche

minaccioso e promettente, allettante e pericoloso, L'avvenire. A

volte quei sogni, in cui la madre, la Madonna e l'amante eran

tutt'uno, gli apparivano poi co-me orrendi delitti e sacrilegi,

come peccati mortali ine-spiabili; altre volte trovava in essi

ogni redenzione, ogni armonia. La vita lo fissava piena di

mistero, mondo tenebroso e imperscrutabile, selva aspra e

spinosa, irta di fantastici pericoli... ma eran misteri della

madre, venivano da lei, conducevano a lei, erano il piccolo

cerchio scuro, piccolo abisso minaccioso entro il suo occhio

fulgido.

Molta infanzia obliata riaffiorava in questi sogni materni; da

profondità infinite e perdute sbocciavano i fiorellini del

ricordo, splendevan lucenti, olezzavan presaghi: ricordi di

sentimenti, forse di esperienze, forse di sogni dell’età

infantile. Talvolta si sognava di pesci, che nuotavano verso di

lui neri e argentei, freddi e lucidi, gli entravano nel corpo,

lo attraversavano e venivano da un mondo più bello, messaggeri

di liete novelle di felicità poi scomparivano come guizzanti

fantasmi, non c'eran più e invece di un messaggio avevano

portato nuovi misteri.

Spesso sognava pesci che nuotavano e uccelli che volavano, ed

ogni pesce od uccello era una sua creatura, dipendeva da lui,

docile, come il suo respiro, raggiava da lui come uno sguardo,

come un pensiero, e ritornava a lui. Spesso sognava un giardino,

un giardino incantato, con alberi favolosi, fiori giganteschi,

grotte azzurre cupe e profonde; fra l'erbe occhieggiavano

pupille scintillanti d'animali sconosciuti, sui rami

strisciavano viscidi e nervosi serpenti; dai tralci e dai

Page 41: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

cespugli pendevano bacche enormi, umide e brillanti, che a

coglierle gli si gonfiavano nella mano e spandevano un succo

caldo come sangue, oppure avevano occhi e li movevano con astuto

languore; s'appoggiava ad un albero tastando, afferrava un ramo

e vedeva, sentiva fra il ramo e il tronco un incresparsi

aggrovigliato e folto di peli, come quelli che s'annidano nella

cavità d'una ascella. Una volta sognò di se stesso, o del santo

di cui portava il nome, sognò di Crisostomo dalla bocca d'oro; e

dalla bocca d'oro uscivan parole e le parole erano uccellini

sciamanti, che volavano via a stormi agitando l'ali.

Una volta sognò d'essere adulto, ma seduto per terra come un

bimbo: aveva dinanzi dell'argilla e come un bimbo la impastava

foggiando figure: un cavallino, un toro, un ometto, una donnina.

Il gioco lo divertiva, e a quegli animali e a quegli uomini

faceva delle parti geni-tali ridicolmente grandi: in sogno gli

pareva una cosa molto spiritosa. Poi si stancò e camminò oltre;

ma sentì dietro di sé qualcosa che viveva, qualcosa di grande e

di silenzioso che s'avvicinava; si voltò e con profondo stupore,

con spavento, ma non senza gioia, vide che le sue piccole figure

d'argilla eran diventate grandi e vive. Come enormi e muti

giganti gli passaron di fianco e continuarono la loro marcia,

ingrandendo sempre, giganteschi e silenziosi, e inoltrandosi nel

mondo, alti come torri.

In questo mondo di sogni Boccadoro viveva più che in quello

della realtà. Il mondo reale (aula scolastica, cortile del

convento, biblioteca, dormitorio e cappella) non era che una

superficie, una sottile membrana tremante sopra il mondo

trascendente delle immagini e dei sogni. Un nulla bastava a

forare questa membrana sottile: qualcosa di misterioso nel suono

di una parola greca in mezzo ad un'arida lezione un'ondata di

profumo dalla bisaccia in cui padre Anselmo raccoglieva erbe per

i suoi studi botanici, la vista d'un tralcio di pietra che

spuntava dal capitello della colonna d'un arco di finestra...

bastavano questi piccoli stimoli per forare la membrana della

realtà e per scatenare, dietro la placida aridità di questa, il

tumulto d'abissi, di fiumane e di vie lattee, che s'agitava in

quel mondo immaginario dell'anima. Una iniziale latina diventava

il volto olezzante della madre, un tono prolungato nell'Ave

diventava la porta del paradiso, una lettera greca si

trasformava in un cavallo in corsa, in un serpente che

s'inalbera e poi striscia via quieto in mezzo ai fiori: ed ecco

già ritornare al suo posto l'arida pagina della grammatica .

Boccadoro parlava raramente di questo suo mondo di sogni; solo

poche volte ne fece cenno a Narciso.

--lo credo, -- gli disse un giorno, -- che un petalo di fiore o

un vermiciattolo sul nostro cammino dica e con-tenga molto più

di tutti i libri dell'intera biblioteca. Con le lettere e con le

parole non si può dir nulla. Talvolta scrivo una lettera greca,

un thera o un omega, e girando appena un pochino la penna vedo

la lettera che guizza

e un pesce, ml ricorda in un attimo tutti i ruscelli e i fiumi

del mondo, tutto ciò ch'esiste di fresco è di umido l'oceano

di Omero e l'acqua su cui camminava Pietro, oppure la lettera

diventa un uccello, mette la coda, rizza le penne, si gonfia,

ride, vola via.. Ebbene, Narciso, tu non dai molta importanza a

Page 42: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

lettere di questo genere, vero?

Ma io ti dico: con esse Dio scrisse il mondo.

-- Do loro molta importanza, -- disse Narciso con tristezza. --

Sono lettere magiche: con esse si possono scongiurare tutti i

demoni. Certo, per l'uso delle scienze non vanno. Lo spirito ama

ciò che è saldo, formato, vuole poter essere sicuro dei suoi

segni, ama ciò che è, non ciò che diviene, il reale e non il

possibile. Non tollera che un omega diventi un serpente o un

uccello Lo spirito non può vivere nella natura, ma solo di

fronte ad essa, come suo contrapposto. Mi credi ora, Boccadoro,

che tu non diverrai mai un erudito?

Oh sì, Boccadoro lo credeva da un pezzo, era perfettamente

d'accordo.

--Non ho più affatto il ticchio di aspirare al vostro spirito, -

- disse quasi ridendo.--Mi avviene con lo spirito e con la

dottrina presso a poco come m'è avvenuto con mio padre: credevo

di amarlo molto, di essere simile a lui, giuravo su quello che

diceva. Ma non appena mia madre fu di nuovo presente alla mia

anima, tornai a sapere ciò che è davvero l'amore, e di fronte

all'immagine di lei quella di mio padre divenne a un tratto

piccina, triste, quasi ingrata. Ed ora io tendo a considerare

paterno, contrario e ostile alla madre, tutto ciò che è

spirituale, e lo disprezzo un poco.

Parlava scherzando, ma non riuscì a rasserenare il volto triste

dell'amico. Narciso lo guardava in silenzio, il suo sguardo era

come una carezza. Poi disse: -- Ti capisco bene. Ora non abbiamo

più bisogno di disputare; tu ti sei svegliato e ora hai anche

riconosciuto la differenza fra te e me, la differenza fra

origini materne e paterne, fra anima e spirito. E presto

riconoscerai anche che la tua vita in convento, che la tua

aspirazione a una vita monastica era un errore, una trovata di

tuo padre, il quale voleva con ciò purificare la memoria di tua

madre o anche solo vendicarsi di lei. O credi ancora che la tua

vocazione sia di rimanere tutta la vita in un chiostro?

Boccadoro osservava pensieroso le mani del suo amico, quelle

mani aristocratiche, rigide e pur delicate, magre e bianche.

Nessuno poteva mettere in dubbio che fossero mani d'asceta e di

scienziato.

--Non so, -- disse con quella voce cantante, un pò lenta, che

gli era venuta da qualche tempo e che indugiava a lungo su ogni

suono.--Non so davvero. Tu giudichi un pò severamente mio padre.

Egli non ha avuto la vita facile. Ma forse hai ragione anche in

questo. Sono qui da più di tre anni e non è ancora venuto a

trovarmi.

Spera che io rimanga qui per sempre. Forse sarebbe il meglio,

L'ho sempre desiderato anch'io. Ma oggi non so più che cosa

veramente voglia e desideri. Prima tutto era semplice, semplice

come le lettere dell'alfabeto nel libro di lettura. Ora nulla

Page 43: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

più è semplice, neppur le lettere. Tutto ha acquistato più

significati e più volti. Non so che sarà di me, non posso

pensare ora a queste cose.

--E non devi nemmeno, -- soggiunse Narciso. -- Si vedrà bene

dove conduce la tua strada. Ha cominciato a riportarti verso tua

madre e ti avvicinerà ancor più a lei.

Quanto poi a tuo padre, non lo giudico troppo severamente.

Vorresti ritornare da lui?

--No, Narciso, no certo. Altrimenti lo farei appena terminata la

scuola, o già ora. Poiché se non devo diventare uno scienziato,

di latino, greco e matematica ho già studiato abbastanza. No,

non voglio ritornare da mio padre.. .

Guardò pensieroso davanti a sé e a un tratto esclamò: -- Ma come

fai tu a dirmi sempre delle parole, o a rivolgermi delle domande

che m'illuminano e mi rendono chiaro a me stesso? Anche ora è

stata la tua domanda, se vorrei ritornare da mio padre, a farmi

improvvisamente sentire che non voglio. Come fai? Sembra che tu

sappia tutto. Spesso mi hai detto, sul conto tuo e mio, parole

che al momento non ho compreso affatto e che poi hanno

acquistato tanta importanza per me! Sei stato tu a chiamare

materna la mia origine, a scoprire che io ero sotto un

incantesimo e avevo dimenticato la mia infanzia!

Chi t'ha appreso a conoscere gli uomini così bene? Non posso

impararlo anch'io?

Narciso scosse il capo sorridendo.

--No, caro, tu non puoi. Ci sono uomini che possono Imparare

molte cose, ma tu non sei di quelli. Tu non sarai mai uno

studioso. E a che scopo del resto? Non ne hai bisogno. Tu hai

altre doti. Sei più ricco di me e sei anche più debole; tu avrai

una strada più bella e più difficile della mia. Talvolta non

volevi capirmi, spesso t'impennavi come un puledro, non fu

sempre facile con te, e dovetti anche farti del male. Dovetti

destarti, perché dormivi. Anche quando ti ricordai tua madre,

questo a tutta prima ti fece male, molto male, e ti trovarono

per terra come morto nel chiostro. Era necessario... No, non

carezzarmi i capelli! Lascia stare! Non posso sopportarlo.

--Dunque io non posso imparare nulla? Rimarrò sempre ignorante,

come un bambino?

--Ci saranno altri, da cui potrai imparare. Quello che potevi

imparare da me, o bambino, è finito.

--Oh no!--esclamò Boccadoro.--Non siamo diventati amici per

questo! Che amicizia sarebbe, se dopo un breve periodo di tempo

avesse raggiunto il suo scopo e potesse cessare senz'altro? Ne

hai dunque abbastanza di me? Ti son forse venuto in uggia?

Narciso passeggiava concitato in su e in giù, con gli occhi a

terra; poi si fermò davanti all'amico.

--Lascia andare, -- disse con dolcezza, -- sai bene che non mi

sei venuto in uggia.

Lo guardò esitante, poi riprese a passeggiare avanti e indietro,

s'arrestò un'altra volta e fissò Boccadoro, con lo sguardo fermo

nel volto duro e scarno. E con voce sommessa, ma ferma e dura,

disse: -- Ascolta, Boccadoro!

Page 44: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

La nostra amicizia è stata buona; ha avuto uno scopo e l'ha

raggiunto, ti ha destato. Io spero che non sia finita; spero che

si rinnoverà ancora e sempre e condurrà a nuove mete. Per il

momento una meta non c'è. La tua è incerta, io non posso né

guidarti né accompagnarti verso di essa. Interroga tua madre,

interroga la sua immagine, ascoltala! La mia meta invece non è

incerta, è quinel convento, mi chiama a ogni ora. Io posso

essere tuo amico, ma non posso essere innamorato. Sono monaco,

ho fatto il voto. Prima di essere consacrato mi farò esonerare

per molte settimane dall'insegnamento e ml ritirerò a fare

esercizi e astinenza. In questo periodo non parlerò di cose del

mondo, neanche con te.

Boccadoro capì. Disse con tristezza -- Farai dunque quello che

avrei fatto anch'io, se fossi entrato nell'ordine per sempre. E

quando avrai terminato gli esercizi, quando avrai digiunato e

pregato e vegliato abbastanza... quale sarà poi la tua meta?

-- Lo sai, -- rispose Narciso.

--Va bene. Fra qualche anno sarai primo maestro, forse anche già

direttore di scuola. Migliorerai l'istruzione, ingrandirai la

biblioteca. Forse scriverai libri anche tu?

No? Ebbene, no. Ma dove sarà la meta?

Narciso sorrise appena. -- La meta? Forse morirò direttore di

scuola, o abate, o vescovo. E indifferente. La meta è questa:

mettermi sempre là dove io possa servir meglio, dove la mia

indole, la mia qualità, le mie doti trovino il terreno migliore,

il più largo campo d'azione.

Non c'è altra meta.

Boccadoro: -- Non c'è altra meta per un monaco?

Narciso: -- Oh sì, ce ne sono Per un monaco può essere scopo

della vita studiar l'ebraico, commentare Aristotele, o decorare

la chiesa del convento, o ritirarsi a meditare, o cento altre

cose. Per me queste non sono me-te. Io non voglio né accrescere

la ricchezza del convento, né riformare l'Ordine o la Chiesa. Io

voglio nei limiti delle mie possibilità servire lo spirito, così

come lo intendo lo, null'altro. Non è una meta?

Boccadoro meditò a lungo la risposta.

--Hai ragione, -- disse. -- Ti sono stato molto di ostacolo nel

cammino che ti conduce alla meta ?

-- D'ostacolo? O Boccadoro, nessuno mi ha aiutato più di te Mi

hai presentato delle difficoltà, ma io non sono nemico delle

difficoltà. Ho imparato da esse, in parte le ho superate.

Boccadoro lo interruppe, quasi scherzando: -- Le hai superate in

un modo curioso! Ma dimmi un pò: quando mi hai aiutato, guidato,

liberato, quando hai risanato la mia anima... hai servito

davvero lo spirito? Forse hai sottratto al convento un novizio

zelante e volonteroso, e hai creato allo spirito un avversario,

uno che farà e crederà e Si sforzerà di raggiungere proprio il

contrario di quello che tu giudichi buono!

--Perché no? -- disse Narciso con serietà profonda.

--Amico mio, mi conosci ancora così poco! Ho distrutto forse in

te un futuro monaco e in compenso ti ho aperto una via per un

destino non comune. Se anche domani tu dessi fuoco a tutto il

Page 45: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

nostro convento o proclamassi nel mondo qualche pazza dottrina

eterodossa, io non mi pentirei neppure un momento di averti

aiutato a trovare quella via.

Posò affettuosamente le mani sulle spalle dell'amico.

--Vedi, piccolo Boccadoro, la mia meta comprende anche questo:

divenga io maestro o abate, confessore o altro, non vorrei mai

trovarmi nella condizione d'incontrare un uomo forte, valente e

singolare, e di non comprenderlo dl non saperlo aiutare a

schiudersi, a prosperare. E ti dico ancora: qualunque cosa

avvenga di te e di me, comunque si svolga la nostra vita, non

accadrà mai che, nel momento in cui mi chiami seriamente e senta

d'aver bisogno di me, ml trovi sordo al tuo appello. Mai!

Suonavano come parole d'addio ed era infatti quasi una

pregustazione del congedo. Boccadoro, osservando l'amico che gli

stava dinnanzi, il volto risoluto, L'occhio fisso a una meta,

ebbe la sensazione precisa che ormai non eran più f ratelli,

camera pari: che le loro vie si erano già separate. Quel

giovane che gli stava dinanzi non era un sognatore in attesa

di un appello del destino; era un monaco, si era impegnato,

apparteneva a un ordinamento e a un dovere preciso, era un

servo e un soldato dell'Ordine, della Chiesa, dello Spirito.

Egli invece - la cosa gli era diventata ormai chiara - non

apparteneva a quel mondo, egli era senza patria, lo attendeva

un mondo sconosciuto. Così era capitato un giorno anche a sua

madre.

Aveva abbandonato la casa e il focolare, il marito e il figlio,

la comunità e l'ordine, il dovere e l'onore, e s'era lanciata

alla ventura; forse da un pezzo era naufragata.

Ella non aveva avuto una meta, come non ne aveva lui.

Le mete eran riservate ad altri, a lui no. Oh, come Narciso

aveva visto bene tutto questo già da tanto tempo, come aveva

avuto ragione!

Poco dopo quel giorno Narciso era come scomparso, sembrava

divenuto a un tratto invisibile. Un altro maestro impartiva le

sue lezioni, il suo leggio in biblioteca rimaneva vuoto. C'era

ancora, non era invisibile-del tutto, a volte si poteva

scorgerlo attraversare il chiostro, a volte si poteva udirlo

mormorar preghiere in una delle cappelle, inginocchiato sul

pavimento di pietra; si sapeva che aveva iniziato i grandi

esercizi, che digiunava e nella notte s'alzava tre volte a

pregare. C'era ancora, eppure era passato in un altro mondo; si

poteva vederlo, di ra-do, ma non raggiungerlo, non aver nulla di

comune con lui, non parlargli. Boccadoro sapeva: Narciso sarebbe

ricomparso, avrebbe ripreso il suo posto di lavoro, il suo

seggio in refettorio, avrebbe ricominciato a parlare... ma del

passato non sarebbe ritornato nulla, Narciso non gli avrebbe

appartenuto più. Meditando questi pensieri, si rendeva conto

anche di un'altra cosa: che solo in virtù di Narciso egli aveva

apprezzato e amato il convento e la vita monastica, la

grammatica e la logica, lo studio e lo spirito. Lo aveva

allettato il suo esempio: diventare come Narciso era stato il

suo ideale. C'era, è vero, anche l'abate, anche lui egli aveva

venerato, amato, anche in lui aveva visto un esempio sublime. Ma

Page 46: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

gli altri, i maestri, i compagni, il dormitorio, il refettorio,

la scuola, gli esercizi, i servizi divini, tutto il convento...

senza Narciso non gll importava più nulla. Che faceva ancora lì?

Aspettava: rimaneva sotto il tetto del convento come un

viandante indeciso si ferma, quando piove, sotto un tetto od un

albero, solo per aspettare, solo come ospite, solo per timore

dell'inospitalità di una terra straniera.

La vita di Boccadoro in quel periodo non era più che un

indugiare e un prender congedo. Visitava tutti i luoghi che gli

erano diventati cari o che avevano un significato per lui.

S'accorgeva con singolare sorpresa come pochi fossero gli uomini

e i volti dai quali gli riuscisse penoso staccarsi C'era

Narciso, c'era il vecchio abate Daniele, ed anche il caro e buon

padre Anselmo, e forse anche il gioviale portiere e l'allegro

vicino, il mugnaio... ma anche questi erano già diventati quasi

irreali. Più penoso gli sarebbe stato prender congedo dalla

grande Madonna di pietra nella cappella, dagli apostoli del

portale. Si fermava a lungo davanti a loro, ed anche davanti ai

begli intagli del coro, al pozzo nel chiostro, alla colonna con

le tre teste d'animali; s'appoggiava ai tigli del cortile, al

grande castagno. Tutto questo un giorno sarebbe stato per lui un

ricordo, un piccolo libro illustrato nel cuore. Già allora,

mentre ci viveva ancora in mezzo, cominciava a sfuggirgli,

perdeva di realtà, diventava fantasma, si trasformava in

passato. Con padre Anselmo, che se lo teneva volentieri al

fianco, andava in cerca d'erbe, presso il mugnaio del convento

osservava il lavoro dei garzoni e si lasciava talvolta invitar a

bere un bicchier di vino e a mangiar pesci fritti; ma tutto era

già estraneo e quasi un ricordo. Così come il suo amico Narciso

s'aggirava bensì nel crepuscolo della chiesa e viveva nella

cella della penitenza, ma per lui era diventato un'ombra, tutto

quello che gli stava intorno non aveva più realtà, sapeva

d'autunno e di passato.

Di vivo e di reale non c'era più nulla fuorché la sua vita

interiore, il battito ansioso del cuore, il doloroso pun-golo

della nostalgia, le delizie e le angosce dei suoi sogni.

A loro apparteneva, a loro s'abbandonava. In piena lettura o in

pieno studio, in mezzo ai suoi compagni di scuola, egli poteva

immergersi in se stesso e dimenticar tutto abbandonandosi alle

correnti e alle voci della sua anima che lo trasportavano

lontano, in pozzi profondi pieni di cupe melodie, in abissi

variopinti pieni di favolose avventure, dove i suoni risonavano

tutti come la voce della madre, dove i mille occhi eran tutti

gli occhi della madre.

INDEX

Page 47: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO VI

Un giorno padre Anselmo chiamò Boccadoro nella sua farmacia, il

grazioso sempliciario deliziosamente profuma-to. Boccadoro era

pratico del luogo. Il padre gli mostrò una pianta seccata, ben

custodita fra due fogli di carta e gli domandò se la conoscesse

e se sapesse descrivere esattamente come si presentava fuori nei

campi. Sì, Boccadoro sapeva: si chiamava erba di san Giovanni.

Dovette descriverne minutamente tutte le caratteristiche. Il

vecchio monaco fu soddisfatto e diede al giovane l'incarico di

raccogliere nel pomeriggio un bel fascio di quell'erba,

indicandogli i luoghi dove cresceva di preferenza.

--In compenso guadagni un pomeriggio di vacanza, mio caro; credo

che non avrai nulla in contrario e che non ci perderai nulla.

Anche la conoscenza della natura è una scienza, non soltanto la

vostra insulsa grammatica.

Boccadoro fu molto riconoscente per il graditissimo incarico di

erborizzare un paio d'ore, invece di starsene seduto sui banchi

della scuola. Perché la gioia fosse completa, ottenne dal frate

stalliere il cavallo Bless, e subito dopo la mensa andò a

prendere nella stalla l'animale, che lo salutò festosamente,

montò in sella e partì al trotto, felice, nella giornata calda e

luminosa. Cavalcò un'oretta o più senza meta, godendo l'aria e

il profumo dei campi, e sopra tutto la gioia del cavalcare, poi

si ricordò del suo compito e cercò uno dei posti che padre

Anselmo gli aveva descritti. Ivi sotto un acero ombroso legò il

cavallo, chiacchierò con lui, gli diede del pane, poi si mise

alla ricerca delle piante. Alcuni tratti di campo eran tenuti in

maggese, coperti di erbacce d'ogni genere; piccole piante stente

di papavero, con gli ultimi fiori pallidi e già molte capsule di

semi mature, spuntavano in mezzo a rami secchi di vecce, a

cicoria azzurra e rigogliosa e a poligono scolorito; qualche

mucchio di ciottoli ammonticchiato fra un campo e l'altro era

abitato da lucertole, ed ecco i primi arbusti gialli e fioriti

dell'erba di san Giovanni. Boccadoro cominciò a coglierli.

Quando n'ebbe in mano un bel fascio, sedette sulle pietre a

riposare. Faceva caldo ed egli volgeva lo sguardo con desiderio

all'oscurità ombrosa di un bosco lontano, ma non voleva

scostarsi troppo dalle sue piante e dal cavallo, che, di lì

dov'era, poteva scorgere ancora. Rimase seduto sui ciottoli

caldi, si tenne quieto quieto per veder ricomparire le lucertole

fuggite, annusò l'erba di san Giovanni e guardò contro luce le

foglioline per osservarne i cento minuscoli trafori.

Curioso! pensò; in ciascuna delle mille piccole foglioline è

trapunto questo minuscolo firmamento, fine come un ricamo!

Curioso e incomprensibile tutto, le lucertole, le piante, anche

le pietre, tutto! Padre Anselmo, che aveva per lui tanta

simpatia, non poteva andare ormai più a cogliersi l'erba di san

Giovanni; aveva le gambe malate, e certi giorni non poteva

muoversi: la sua arte medica non era in grado di guarirlo. Forse

sarebbe morto presto e le erbe avrebbero continuato a profumare,

ma il vecchio padre non ci sarebbe stato più.

Forse invece sarebbe vissuto ancora a lungo, dieci, vent'anni, e

avrebbe avuto sempre i suoi capelli bianchi e radi e quel

curiosi fasci di rughe intorno agli occhi, ma di lui, Boccadoro,

Page 48: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

che sarebbe stato fra venti anni? Ah come tutto era

incomprensibile e triste in fondo, anche se era bello! Non si

sapeva nulla. Si viveva, si vagava sulla terra, si cavalcava per

i boschi, e tante cose guardavano così provocanti e

promettenti e ispiratrici di desiderio: una stella serotina, una

campanula azzurra, un lago verde di canne, L'occhio di un uomo o

di una mucca, e a volte era come se qualcosa di non mai veduto e

pur da tanto tempo agognato dovesse avvenire a un tratto e un

velo cadere; ma poi tutto passava e non avveniva nulla e

l'enigma non era risolto e il segreto incanto non era rotto e

infine si diventava vecchi e si appariva scaltriti come padre

Anselmo o saggi come l'abate Daniele e forse non si sapeva

ancora nulla e si aspettava sempre, con l'orecchio teso.

Raccolse un guscio di chiocciola vuoto, che tinnì lievemente fra

i ciottoli, tutto caldo dal sole. Boccadoro contemplò assorto le

curve della conchiglia, la spirale intaccata, il capriccioso

assottigliamento della coroncina, la cavità vuota coi suoi

riflessi madreperlacei. Chiuse gli occhi per sentire le forme

solo col tocco delle dita; era una sua vecchia abitudine, un suo

gioco favorito. Girando la chiocciola fra le dita sciolte, la

tastava, carezzandone le forme, senza premere, incantato dalla

meraviglia della struttura, dalla magia del corporeo. Questa,

pensava come in sogno, era una delle deficienze della scuola e

della dottrina: una tendenza dello spirito pareva quella di

vedere e rappresentare tutto come se fosse piano e avesse solo

due dimensioni. Gli sembrava che ciò designasse in certo modo

una insufficienza e una mancanza di valore di tutta la facoltà

intellettuale, ma non seppe fissare più oltre il pensiero: la

chiocciola gli sfuggì dalle dita, ed egli si sentì stanco e

assonnato. Con la testa piegata sulle sue erbe, che appassendo

cominciavano a diffondere un profumo sempre più intenso,

s'addormentò al sole. Sulle sue scarpe correvano le lucertole,

sulle sue ginocchia avvizzivano le piante sotto l'acero Bless

impaziente attendeva.

Dal bosco lontano s'avanzava qualcuno: una giovane donna con un

vestito azzurro stinto, un fazzoletto rosso legato intorno ai

capelli neri, un viso abbronzato dal sole estivo. La donna

s'avvicinava, un fascio d'erbe in mano, un piccolo garofano

selvatico rosso vivo in bocca. Vide il giovane seduto, L'osservò

a lungo di lontano, curiosa e diffidente, s'accorse che dormiva,

s'avvicinò cauta sui bruni piedi nudi, si fermò proprio davanti

a Boccadoro e lo esaminò La sua diffidenza sparì: il bel ragazzo

dormente non mostrava nulla di pericoloso, le piaceva molto...

come mai era capitato lì sui maggesi? Vide sorridendo che aveva

colto fiori: eran già quasi appassiti.

Boccadoro aprì gli occhi, ritornando da foreste di sogno.

La sua testa era appoggiata mollemente sul grembo di una donna,

nei suoi occhi assonnati e stupiti guardavan da vicino altri

Page 49: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

occhi, caldi e bruni. Non si spaventò, non c'era pericolo, dai

due astri caldi e bruni scendeva una luce benigna. La donna

allora sorrise al suo sguardo attonito, sorrise affettuosa, e

lentamente cominciò a sorridere anche lui. Sulle sue labbra

sorridenti scese la bocca di lei, si salutarono con un dolce

bacio, che richiamò improvviso a Boccadoro il ricordo di quella

sera nel villaggio e della fanciulletta dalle trecce. Ma il

bacio non finiva.

La bocca della donna indugiava sulla sua, continuava il gioco,

stuzzicando, adescando, finché afferrò le labbra di lui con

bramosa violenza e gli scosse il sangue, destandolo fin nel

profondo. Nel gioco lungo e muto la donna bruna ammaestro a poco

a poco il ragazzo e si diede a lui, lo lasciò cercare e trovare,

lo fece ardere e placò il suo ardore. La breve incantevole

beatitudine dell'amore s'inarcò sopra di lui, s'accese come una

vampa d'oro, declinò e si spense. Egli giacque con gli occhi

chiusi, la testa abbandonata in seno alla donna. Non una parola

era stata pro-nunciata. La donna stette quieta, gli carezzò i

capelli, lo lasclò ritornare a poco a poco in sé. Finalmente

egli aprì.

--Tu! -- disse. -- Tu! Chi sei?

--Sono la Lisa, --rispose.

--Lisa, -- ripeté lui, gustando il nome. -- Lisa sei cara.

Ella avvicinò la bocca al suo orecchio e vi sussurrò -- Dì, è

stata la prima volta? Prima di me non hai ancor voluto bene a

nessuna?

Egli scosse il capo. Poi a un tratto balzò in piedi, gettò uno

sguardo intorno a sé, sui campi e in cielo.

--Oh, -- esclamò, --il sole è già basso. Debbo tornare indietro.

--E dove?

--Al convento, da padre Anselmo.

--A Mariabronn? Sei di là? Non vuoi dunque rimanere con me?

--Mi piacerebbe molto.

--E rimani allora!

--No sarebbe scorretto.

--Vivi dunque al convento?

--Sì, sono scolaro. Ma non ci voglio più restare. Posso venir da

te, Lisa? Dove abiti, dove stai di casa?

--Non abito in nessun luogo, tesoro. Ma non vorresti dirmi il

tuo nome?... Ah, Boccadoro ti chiami? Dammi ancora un bacio,

piccolo Boccadoro, e poi va pure.

--Non abiti in nessun luogo? E dove dormi allora?

--Se vuoi, con te nel bosco o sul fieno. Vieni stanotte?

--Oh, sì! Dove? Dove ti trovo?

--Sai fare il grido di una civettina?

--Non ho mai provato.

--Prova!

Egli provò. Ella rise, soddisfatta.

--Allora stanotte esci dal convento e fa questo grido, io sarò

nelle vicinanze. Ti piaccio dunque, piccolo Boccadoro,

bambinello mio?

--Ah, mi piaci molto, Lisa. Verrò Addio, ora debbo andare.

Page 50: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Boccadoro giunse al convento nel crepuscolo, sul cavallo

fumante. Fu lieto di trovare padre Anselmo molto affaccendato,

perché a un frate che s'era divertito a guazzare scalzo nel

ruscello era entrato un COCCIO nel piede.

Ora si trattava di trovare Narciso. Interrogò uno dei frati che

servivano nel refettorio. No, gli dissero, Narciso non veniva a

cena, era giorno di digiuno per lui e in quel momento

probabilmente dormiva, perché di notte osservava le vigilie.

Boccadoro corse. Durante i lunghi esercizi il suo amico dormiva

in una delle celle per i penitenti nell'interno del convento.

Senza riflettere un attimo egli corse là. Origliò alla porta:

non si udiva nulla. Entrò piano. Era severamente proibito, ma in

quel momento non importava.

Sullo stretto giaciglio era disteso Narciso. Nella luce

crepuscolare somigliava a un morto, così coricato come era sul

dorso, rigido, il volto pallido e affilato, le braccia

incrociate sul petto: ma non dormiva e aveva gli occhi aperti.

Guardò Boccadoro in silenzio, senza un rimprovero, ma senza

muoversi ed evidentemente così assorto in un altro tempo e in un

altro mondo, che faticò a riconoscere l'amico ed a comprendere

le sue parole.

--Narciso! Perdonami, perdonami, caro; se ti disturbo, non è per

un capriccio. So che tu non dovresti parlare con me in questo

momento, ma fallo ugualmente, te ne prego.

Narciso ritornò in sé, batté un momento le palpebre, come se

facesse uno sforzo per svegliarsi.

-- E necessario? --domandò con voce spenta.

--Sì, è necessario. Vengo per dirti addio.

--Allora è necessario. Non voglio che tu sia venuto invano. Qua,

siediti accanto a me. C'è un quarto d'ora di tempo, poi comincia

la prima vigilia.

S'era drizzato a sedere, sparuto, sul nudo tavolaccio; Boccadoro

gli si mise vicino.

-- Perdonami! --disse, sentendosi rimorder la coscienza. La

cella, il misero giaciglio, il volto di Narciso estenuato dalle

veglie e dalle penitenze, il suo sguardo semi-assente, tutto gli

mostrava chiaramente quanto egli sto-nasse in quel luogo.

--Non c'è nulla da perdonare. Non farti riguardo per me, io sto

bene. Vuoi prendere congedo, dici? Vai via dunque?

--Vado, oggi stesso. Ah non posso raccontartelo! Tutto si è

deciso così all'improvviso!

--C'è qui tuo padre, o un suo messaggio?

-- No, nulla. La vita stessa è venuta a me. Me ne va-do, senza

padre, senza permesso. Ti faccio disonore, Narciso, scappo.

Narciso chinò gli occhi sulle proprie dita lunghe e bianche, che

uscivano affilate e spettrali dalle maniche della tonaca. Non

nel volto, severo ed esausto, ma nella voce si poteva indovinare

un sorriso, mentre diceva: --Abbiamo pochissimo tempo, caro. Dl'

solo il necessario e dillo con chiarezza e brevità... O debbo

dirtelo io, quel che ti è capitato?

-- Dillo, -- pregò Boccadoro.

Page 51: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

-- Sei innamorato, piccolo mio, hai conosciuto una donna.

--Come fai a sapere anche questo?

--Me lo faciliti tu stesso. Il tuo stato, amico, ha tutte le

caratteristiche di quel genere di ebbrezza, che si chiama

innamoramento. Ma ora parla, ti prego.

Boccadoro appoggiò timidamente la mano sulla spalla dell’amico.

--Ormai l'hai detto. Ma questa volta non l'hai detto bene,

Narciso, non è esatto. E tutt'altra cosa. Ero fuori nei campi e

dormivo sotto la canicola, quando mi svegliai e mi trovai con

la testa sulle ginocchia di una bella donna; sentii subito che

mia madre era venuta per por-tarmi con sé. Non che io abbia

preso questa donna per mia madre: aveva gli occhi castani scuri

e i capelli neri, mentre mia madre era bionda come me e aveva

tutt'altro aspetto. Ma pure era lei, era il suo appello, era un

messaggio suo. Uscita come dai sogni del mio cuore, ecco a un

tratto una bella donna straniera, che mi tiene il capo in grembo

e mi sorride come un fiore ed è tanto affettuosa con me: al

primo suo bacio mi sentii struggere e provai una sofferenza

strana. Tutta la mia nostalgia, tutti i miei sogni, ogni mia

dolce ansia, ogni segreto in me assopito si destò, e tutto fu

trasformato, incantato: tutto aveva acquistato un senso. Mi ha

insegnato che cos'è una donna e qual è il suo mistero. In una

mezz'ora mi ha reso di parecchi anni più maturo. Ora so molte

cose. Anche di questo mi sono reso conto a un tratto: che non

posso rimanere più in questa casa, neppur un giorno. Me ne vado

appena vien notte.

Narciso ascoltò e fece un cenno affermativo.

--è venuto all'improvviso, -- disse, -- ma è press'a poco quello

che io m'aspettavo. Penserò molto a te. Mi mancherai, amico.

Posso fare qualche cosa per te?

--Se ti è possibile, dl' una parola al nostro abate, che non mi

condanni del tutto. E l'unico nel convento, oltre a te, il cui

giudizio non mi sia indifferente. Lui e tu.

--Lo so... Hai qualche altro desiderio?

--Una preghiera, sì. Se penserai a me in seguito, prega qualche

volta per me! E... grazie!

--Di che, Boccadoro?

-- Della tua amicizia, della tua pazienza, di tutto. Anche di

avermi ascoltato oggi, che pur è penoso per te. Anche di non

aver tentato di trattenermi.

--Com'era possibile che ti volessi trattenere? Sai qual è il mio

pensiero... Ma dove andrai, Boccadoro? Hai una meta? Vai da

quella donna?

--Vado con lei, sì. Una meta non l'ho. E una straniera, una

vagabonda, a quanto pare, forse una zingara.

-- Bene Ma dimmi, caro, sai che il tuo cammino insieme con lei

sarà forse brevissimo? Non dovresti far troppo assegnamento,

credo, su quella donna. Può aver dei parenti, un marito; chissà

come verrai accolto!

Boccadoro si appoggiò all'amico.

--Lo so, -- disse, -- quantunque finora non ci abbia ancor

Page 52: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

pensato. Te l'ho già detto: una meta non l'ho.

Anche quella donna, ch'è stata tanto affettuosa con me, non è la

mia meta. Vado da lei, ma non vado per lei.

Vado, perché devo, perché una voce mi chiama.

Tacque e sospirò, e rimasero così seduti, L'uno appoggiato

all'altro, tristi e pur felici nel sentimento della loro

amicizia indistruttibile. Poi Boccadoro continuò: -- Non devi

credere che io sia del tutto cieco e ignaro. No. Vado

volentieri, perché sento ch'è necessario e perché oggi ho avuto

una così meravigliosa esperienza. Ma non m'immagino certo di

correre incontro soltanto alla felicità e al piacere. Penso che

il cammino sarà difficile. Ma sarà anche bello, spero. E tanto

bello appartenere a una donna, darsi a lei! Non rider di me, se

par sciocco quello che dico. Ma vedi: amare una donna, darsi a

lei, avvolgerla tutta in sé e sentirsi avvolti da lei, non è la

stessa cosa che tu chiami " essere innamorati ", e che un

pochino schernisci. Non è da schernire. Per me è la via che

conduce alla vita, al senso della vita... Ah, Narciso, debbo

lasciarti! Ti ringrazio di avermi sacrificato oggi un poco del

tuo sonno. Mi fa tanta pena staccarmi da te!

--Non affliggere il tuo cuore e il mio! Non ti dimenticherò mai.

Ritornerai: te ne prego, ti aspetto. Se un giorno dovessi

trovarti a mal partito, vieni da me o chiama-mi... Addio,

Boccadoro, Dio sia con te!

Si era alzato. Boccadoro lo abbracciò. Conoscendo la ritrosia

dell'amico per le tenerezze, non lo baciò, gli carezzò soltanto

le mani.

La notte calava: Narciso chiuse la cella dietro di sé e s'avviò

alla chiesa: i suoi sandali risonavano sull'impiantito.

Boccadoro seguì con occhio affettuoso la figura allampanata

fino in capo al corridoio, dove scomparve come un'ombra,

inghiottita dalla tenebra della porta che metteva nella chiesa,

assorbita e reclamata da esercizi, da doveri e da virtù.

Oh, com'era curioso, com'era infinitamente strano, confuso e

sconcertante tutto questo! Venire dall'amico col cuore

traboccante, con tutta l'effervescenza dell'ebbrezza d'amore,

proprio nell'ora in cui egli, assorto in meditazioni, consumato

dai digiuni, e dalle veglie, crocefiggeva e sacrificava la sua

gioventù, il suo cuore, i suoi sensi, e si sottoponeva alla più

severa scuola d'obbedienza, per servire soltanto lo spirito e

diventare veramente ver-bili vini! Narciso era là disteso,

spossato e spento, con il volto pallido e le mani dimagrite, un

morto a vederlo; eppure come aveva accolto subito l'amico, con

la mente chiara e il gesto affettuoso, e all'innamorato, che

aveva ancora indosso il profumo di una donna, aveva prestato

l'orecchio e sacrificato lo scarso riposo fra due penitenze!

Strano e meravigliosamente bello era che ci fosse anche questo

genere d'amore, così disinteressato, così spiritualizzato. Come

diverso da quell'altro amore, là, sul campo inondato di sole,

quel gioco dei sensi ebbro e irresponsabile! Eppure l'uno e

l'altro erano amore. Ah, ed ora Narciso era scomparso, dopo

avergli mostrato ancora una volta in quell'ultima ora, e

Page 53: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

chiaramente, come erano diversi l'uno dall'altro, come non si

assomigliavano. Narciso stava prostrato davanti all'altare sulle

ginocchia stanche, preparato e purificato per una notte di

preghiera e di contemplazione, in cui non gli erano concesse più

di due ore di riposo e di sonno, mentre lui, Boccadoro, fuggiva

per trovare in qualche luogo sotto gli alberi la sua Lisa e

ripetere con lei quei giochi dolci e bruti! Narciso avrebbe

saputo dire cose interessanti in proposito. Ebbene: lui,

Boccadoro, non era Narciso. A lui non spettava indagare questi

intricati enigmi belli e terribili, e dir su di essi cose

importanti. A lui non spettava altro che proseguire per le sue

folli vie alla ventura. A lui non spettava altro che darsi ed

amare, amare l'amico orante nella chiesa notturna, non meno

della bella donna giovane e ardente che lo attendeva.

Quando, col cuore agitato da mille sentimenti in lotta,

s'allontanò furtivo sotto i tigli del cortile cercando l'uscita

attraverso il mulino, non poté far a meno di sorridere

all'improvviso ricordo della sera in cui per la stessa via

segreta aveva lasciato il convento insieme a Corrado, per "

andare al villaggio ". Con quanta agitazione e segreta paura

s'era indotto allora alla piccola scappata proibita! Ed ecco che

ormai s'allontanava per sempre, seguendo vie ben più proibite e

pericolose, e non aveva paura, non pensava al portiere né

all'abate né ai maestri.

Questa volta non c'erano assi presso il torrentello; dovette

passare senza ponte. Si spogliò e gettò i vestiti sull'altra

sponda, quindi scese nell'acqua fredda che gli saliva fino al

petto e attraversò a guado la forte corrente.

Mentre dall'altra parte si rivestiva, i suoi pensieri tornarono

a Narciso. Sentì con chiarezza umiliante che in quel momento

egli faceva precisamente ciò che l'altro aveva preveduto e a cui

l'aveva condotto. Rivide con straordinaria lucidità quel Narciso

saggio e un pò beffardo che lo aveva sentito dire tante

sciocchezze; quello che in un'ora grave, facendolo soffrire, gli

aveva aperto gli occhi. Alcune delle parole che Narciso gli

aveva dette allora gli risonarono distintamente all'orecchio:

"Tu dormi sul petto della madre, io veglio nel deserto. I tuoi

sogni sono di fanciulle, i miei di ragazzi".

Il suo cuore rabbrividì un attimo, era così terribilmente solo,

lì nella notte! Dietro di lui stava il convento: appena una

parvenza di patria, ma pur cara per lunga consuetudine!

Sentì però anche un'altra cosa: che ormai Narciso non era più

per lui la guida ammonitrice e sapiente il risvegliatore. Ormai

sentiva di aver varcato la soglia di un paese, in cui avrebbe

trovato da sé la sua vita, in cui nessun Narciso poteva guidarlo

più. Fu lieto di questa nuova coscienza; era stato penoso e

umiliante per lui il ricordo di quel periodo di soggezione!

Ormai era veggente non era più un fanciullo e uno scolaro. Come

faceva be-ne questo sentimento! Eppure... com'era doloroso

prender congedo! Sapere l'amico inginocchiato nella chiesa non

potergli dare nulla, non poterlo aiutare, essere qualcosa per

lui! E per tanto tempo, forse per sempre esser separato da lui,

Page 54: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

non saperne nulla, non udir più la sua voce, non veder più il

suo occhio nobile e bello!

Si strappò di là e seguì il viottolo sassoso. Quando si fu

allontanato d'un centinaio di passi dalle mura del convento, si

fermò, prese fiato e lanciò meglio che poté Il grido della

civetta Un grido uguale rispose, giù per il torrente, da

lontano.

"Ci chiamiamo come gli animali," non poté far a me-no di

pensare: e ricordò l'ora d'amore passata nel pomeriggio; solo

allora si rese conto che fra lui e Lisa non erano state

scambiate parole che da ultimo, alla fine delle loro tenerezze,

e anche allora pochissime e insignificanti. Che lunghi colloqui

invece aveva avuto con Narciso! Ma ormai, così gli parve, era

entrato in un mondo dove non si parlava, dove ci si attirava

l'un l'altro col grido della civetta, dove le parole non avevano

significato. Era contento, non aveva più bisogno di parole o di

pensieri, solo di Lisa aveva bisogno, di quel palpare e frugar

cieco e muto, di quello struggimento anelante...

Lisa era là. Già gli veniva incontro dal bosco. Egli stese le

mani per sentirla, le tastò con tenerezza il capo, i capelli, il

collo e la nuca, la vita snella e le anche ro-buste. La cinse

con un braccio e continuò il cammino con lei senza parlare,

senza domandare: dove? Ella procedeva sicura nella foresta

notturna, sì ch'egli le stava al fianco a fatica; pareva ci

vedesse nel buio come una volpe o una martora; camminava senza

urtare, senza inciampare Egli si lasciava condurre, nella

notte, nel bosco, nel paese cieco e misterioso, senza parole,

senza pensieri. Non pensava più, neppure al convento

abbandonato, neppure a Narciso.

Percorsero silenziosi un tratto di selva buia, a volte sopra un

morbido cuscino di musco, a volte su dure coste di radici; a

volte fra rade chiome d'albero brillava sopra di loro il cielo

sereno, a volte era tenebra fitta; gli battevan sul volto i rami

dei cespugli, i rovi gli trattenevan le vesti. Ella sapeva

cavarsela sempre, di rado si fermava, di rado indugiava. Dopo un

lungo tratto giunsero fra alcuni pini isolati e distanti gli uni

dagli altri; il pallido cielo notturno si stendeva libero e

vasto, il bosco era finito, una valle prativa li accolse, con un

dolce profumo di fieno. Passarono a guado un piccolo ruscello

che scorreva tacito; lì all'aperto il silenzio era ancora più

intenso che nella foresta: non più fruscii di cespugli, non più

guizzi d'animali notturni, non più scricchiolio di legni

secchi.

Presso un grosso fastello di fieno Lisa si fermò.

--Restiamo qui--disse.

Sedettero entrambi sul fieno, tirando finalmente il fiato e

godendo il riposo, perché erano un pò stanchi. Si coricarono,

ascoltarono il silenzio, sentirono le loro fronti asciugarsi e

i loro volti rinfrescarsi a poco a poco.

Boccadoro se ne stava rannicchiato, gustando quella gradevole

sensazione di stanchezza, piegava e stendeva le ginocchia per

gioco, aspirava in lunghe boccate la notte e l'aroma del fieno,

Page 55: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

non pensava né al passato né all'avvenire solo a grado a grado

si lasciò attirare e ammaliare dal profumo e dal calore della

sua bella e rispose via via alle carezze delle sue mani e sentì

felice ch'ella cominciava a infiammarsi e gli si stringeva

sempre più vicina No, qui non c'era bisogno di parole né di

pensiero. Egli sentiva chiaramente tutto ciò ch'era bello e

importante, la forza della giovinezza e la bellezza semplice e

sana di un corpo di donna, il suo scaldarsi e il suo fremere di

desiderio; sentiva anche chiaramente che questa volta ella

voleva essere amata in un modo diverso dalla prima, che non

voleva sedurlo e istruirlo, ma aspettare il suo attacco e la sua

brama. In silenzio si lasciò percorrere tutto da quelle

correnti, sentì felice il divampar tacito e lento del fuoco che

s'era acceso in loro e che faceva del loro piccolo giaciglio il

centro palpitante e ardente di tutta la notte silenziosa.

Quando si chinò sul volto di Lisa e cominciò a baciare nel buio

le sue labbra, vide a un tratto gli occhi e la fronte di lei

rilucere in un mite chiarore osservò stupito e s'accorse che la

luce crepuscolare si diffondeva e s'intensificava. Allora

comprese e si voltò: dal margine dei boschi neri ed immensi

saliva la luna. Vide la luce bianca e dolce spandersi

meravigliosamente sulla fronte e sulle gote, sul collo chiaro e

florido della donna, e mormorò incantato: -- Come sei bella!

Ella sorrise come di un dono; egli si drizzò a sedere le scostò

delicatamente la veste dal collo, l'aiutò a liberarsene, finché

le spalle e il seno brillarono nel fresco chiaror lunare. Con

gli occhi e con le labbra seguì estasiato le ombre delicate,

contemplando e baciando; vinta dal fascino, ella rimaneva

immobile, con lo sguardo chino e un'espressione solenne, come se

in quel momento la sua bellezza si rivelasse per la prima volta

anche a lei.

INDEX

Page 56: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO VII

Mentre nella campagna l'aria si faceva fresca e d'ora in ora la

luna saliva più alta, gli amanti riposavano sul loro giaciglio

dolcemente illuminato, perduti nei loro giochi, e insieme

s'assopivano e s'addormentavano, e al risveglio si volgevano di

nuovo l'uno all'altro, riaccendendosi e riallacciandosi, poi

s'addormentavano di nuovo.

Dopo l'ultimo amplesso giacquero esausti; Lisa, affondata nel

fieno respirava penosamente, Boccadoro, supino, fissava immobile

il pallido cielo lunare; saliva dall'anima d'entrambi la grande

tristezza, alla quale trovarono rifugio nel sonno. Dormirono

profondamente, disperatamente, dormirono con avidità, come se

fosse per l'ultima volta, come se fossero condannati a essere

poi svegli in eterno e dovessero in quelle ore raccogliere in sé

tutto il sonno dell'universo.

Destandosi, Boccadoro vide Lisa intenta a ravviarsi i capelli

neri. La guardò, distratto e ancora in dormiveglia.

--Sei già desta? -- disse infine.

Ella si voltò di scatto, come spaventata.

--Debbo andarmene ora, -- disse un pò oppressa e imbarazzata.--

Non volevo svegliarti.

--Ma ora sono sveglio. Dobbiamo già incamminarci.

Abbiamo forse una patria?

-- Io no, -- disse Lisa. -- Ma tu appartieni al convento.

--Non appartengo più al convento, sono come te, so-no solo e non

ho meta. Verrò con te, si capisce.

Ella guardò da un lato.

--Boccadoro tu non puoi venire con me. Io devo andare da mio

marito; mi batterà perché sono rimasta fuori la notte. Gli dirò

che mi sono smarrita. Ma naturalmente non lo crederà.

In quel momento Boccadoro ricordò che Narciso gliel’aveva

predetto. Ed era proprio così.

S'alzò e le diede la mano.

--Ho sbagliato i miei conti, -- disse, -- avevo creduto che

saremmo rimasti insieme... Ma davvero volevi lasciarmi dormire e

scappar via senza dirmi addio?

--Ah, credevo che saresti andato in collera e che forse mi

avresti battuta. Che mi batta mio marito, si sa, è giusto. Ma

non volevo prender busse anche da te.

Egli trattenne la sua mano.

--Lisa,--disse,--io non ti batterò né oggi né mai.

Non vorresti rimanere con me invece che con tuo marito, se egli

ti dà le busse?

Ella diede uno strappone per liberarsi la mano.

--No, no, no, --gridò con voce piagnucolosa. E poiché Boccadoro

sentì che il cuore della donna anelava a staccarsi da lui e

ch'ella preferiva ricever percosse dall'altro che da lui buone

parole, lasciò andare la mano; ella cominciò a piangere. Ma

intanto si mise a correre. Con le mani sugli occhi lacrimosi,

corse via. Egli non disse più nulla e la seguì con lo sguardo.

Gli faceva pena vederla fuggire così sui prati falciati,

Page 57: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

chiamata e attirata da qualche potenza, da una potenza

sconosciuta, che gli diede parecchio da pensare.

Gli faceva pena, ma anche per se stesso sentiva un poco pietà;

non aveva avuto fortuna, a quanto pareva; eccolo lì solo e un pò

intontito, abbandonato, piantato in asso. E intanto era ancora

stanco e avido di sonno, non si era mai sentito così esausto.

C'era tempo anche più tardi di sentirsi infelice. E già s'era

riaddormentato. Non ritornò a se stesso che quando il sole già

alto gli bruciò le membra.

Ormai aveva riposato; s'alzò in fretta, corse al ruscello, si

lavò e bevve. Molti ricordi allora gli affollarono la mente,

molte immagini di quella notte d'amore, molte sensazioni tenere

e deliziose lo avvolsero del loro profumo come fiori esotici. E

vi ripensava mentre inizia-va gagliardo la sua marcia, e

risentiva tutto, gustava, odorava, tastava tutto ancora, ancora.

Quanti sogni la bruna donna straniera gli aveva tradotto in

realtà, quante gemme aveva fatto sbocciare, quanti desideri

ardenti aveva placati e quanti ne aveva destati!

Davanti a lui si stendevano campi e lande, maggesi inariditi e

boschi cupi; forse al di là c'erano cascine e mulini, forse un

villaggio, una città. Per la prima volta il mondo gli si apriva

dinanzi, in attesa, pronto ad accoglierlo, a fargli del bene e

a fargli del male. Egli non era più uno scolaro che vede il

mondo dalla finestra, il suo cammino non era più una passeggiata

che finisce immancabilmente nel ritorno. Il grande mondo era

finalmente diventato reale, egli era una parte di esso, in esso

stava il suo destino; cielo e clima del mondo eran cielo e clima

suoi. Ed egli era piccolo nel grande universo e correva, piccolo

come una lepre, come un insetto, attraverso il suo azzurro e il

suo verde infinito. Non più campana che chiamasse alla levata,

all'entrata in chiesa, alla lezione, alla mensa!

Oh, come aveva fame! Una mezza pagnotta di pan d'orzo, una

scodella di latte, una minestra di farina... magici ricordi! Il

suo stomaco s'era destato come un lupo.

Passò accanto ad un campo di grano: le spighe eran quasi mature,

le sgranò con le dita e coi denti, masticò con avidità i piccoli

chicchi lubrici ne colse ancora, se ne riempì le tasche. Poi

trovò de;le nocciole ancora molto verdi e addentò con gioia i

gusci, schiantandoli; anche di queste fece provvista.

Ricominciava la foresta, una pineta interrotta da querce e da

frassini; c'eran mirtilli in quantità; qui sostò, mangiò, si

rinfrescò. Fra l'erba rada e dura del bosco spuntavano campanule

azzurre; farfalle brune e lucenti s'alzavano a volo e

scomparivano capricciose a zig-zag.

In un bosco simile aveva abitato santa Genoveffa. La sua storia

gli era sempre piaciuta. Oh, come l'avrebbe incontrata

volentieri! Oppure ci poteva essere nel bosco qualche eremo, con

un vecchio padre barbuto in una caverna o in una capanna di

corteccia. Forse in quel bosco abitavano anche i carbonai; li

avrebbe salutati volentieri.

Ci potevano essere perfino dei briganti, a lui non avrebbero

fatto nulla. Sarebbe stato bello incontrare un essere umano,

Page 58: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

chiunque fosse. Ma lo sapeva bene: forse poteva camminare a

lungo nel bosco, tutto quel giorno e poi l indomani e poi più

giorni ancora, senza incontrare nessuno. Anche questo bisognava

accettare, se era destino.

Non si poteva pensar molto, bisognava lasciar venire ogni cosa

come voleva.

Udì il batter d'un picchio e tentò di sorprenderlo; do-po

essersi affaticato a lungo invano, finalmente riuscì ad

avvistarlo e stette per qualche tempo a osservarlo, mentre

solitario, attaccato a un tronco, lo martellava muovendo avanti

e indietro la testina operosa. Peccato non poter parlare con gli

animali! Sarebbe stato bello chiamare il picchio e dirgli

qualche parola gentile e forse apprendere qualche cosa della sua

vita fra gli alberi, del suo lavoro, della sua gioia. Oh,

potersi trasformare! Gli venne in mente che tante volte nelle

ore d'ozio aveva disegnato e tracciato col gesso figure sulla

sua lavagna, fiori, foglie, alberi, animali, teste umane. E

spesso aveva giocato a lungo così, creando, come un piccolo dio,

creature secondo la sua volontà: nel calice d'un fiore aveva

disegnato gli occhi e una bocca, ad un ciuffo di foglie che

spuntavano fuori da un ramo aveva dato forma di dita, in cima ad

un albero aveva messo una testa. E in questo gioco aveva passato

spesso ore felici, incantato, incantatore, tracciando linee e

lasciandosi sorprendere egli stesso da quel che ne usciva: la

foglia d'un albero, il muso d'un pesce, la coda d'una volpe, il

sopracciglio d'un uomo. Oh, pensava, potersi trasformare come

si trasforma-vano allora le linee disegnate per gioco sulla sua

tavoletta! Boccadoro sarebbe diventato così volentieri un

picchio, forse per un giorno, forse per un mese: avrebbe abitato

sulle cime, sarebbe corso su per i tronchi lisci, avrebbe

picchiato col becco forte nella corteccia, facendosi puntello

con le penne della coda, avrebbe parlato il linguaggio dei

picchi e tratto tante buone cose dalla corteccia. Come sonava

dolce e vigoroso il martellar del picchio nel legno risonante!

Molti animali si trovarono sul cammino di Boccadoro.

Incontrò lepri, che al suo avvicinarsi sbucavano a un tratto dal

fogliame, lo fissavano, poi via di corsa con le orecchie

abbassate e un chiaror di pelo sotto la coda. In una piccola

radura trovò una lunga serpe, che non fuggì: non era viva, c'era

soltanto la sua pelle vuota; egli la raccolse e l'osservò: un

bel disegno grigio e marrone correva sul dorso e i raggi del

sole la traversavano; era sottile come una ragnatela. Vide merli

neri col becco giallo, che guardavano fisso, concentrando gli

occhi neri rotondi e impauriti, e fuggivano radendo terra.

Pettirossi e fringuelli volavano in quantità. A un certo punto

nel bosco c'era una buca, una pozza piena d'acqua verde e densa,

sulla quale correvano alla rinfusa, affaccendati e come

ossessi, ragni dalle gambe lunghe, che parevano intenti a un

gioco incomprensibile; e sopra si li-bravano alcune libellule

con l'ali d'un azzurro cupo. E

una volta, già verso sera, vide qualcosa... o meglio non vide

nulla fuorché un agitarsi e un grufolar tra il fogliame, udì uno

Page 59: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

schiantar di rami, uno sguazzar nella terra umida e un grosso

animale dalla corporatura pesante correr via quasi invisibile,

frangendo la sterpaglia: forse un cervo, forse una scrofa, non

sapeva. Rimase a lungo immobile, ansante per lo spavento, seguì

con l'orecchio, agitato, la corsa dell'animale e restò un pezzo

in ascolto col batticuore, dopo che tutto era tornato quieto.

Non trovò modo d'uscire dalla foresta, dovette pernottarvi.

Mentre si cercava un giaciglio e si fabbricava un letto di

musco, si sforzava d'immaginare che sarebbe avvenuto, se non

avesse più trovato una via d'uscita dai boschi e avesse dovuto

rimaner dentro per sempre. E pensò che sarebbe stata una grande

disgrazia. Viver di bacche era possibile e anche dormire sul

musco: inoltre sarebbe certo riuscito a fabbricarsi una capanna,

forse anche a far fuoco. Ma restar sempre e poi sempre solo e

abitare fra gli alberi che dormono silenziosi e vivere fra gli

animali che fuggono e con cui non si può parlare, doveva essere

insopportabilmente triste. Non vedere anima viva, non dir

buongiorno e buonanotte a nessuno, non poter guardare nel viso e

negli occhi di un proprio simile, non contemplar più donne e

fanciulle, non sentire più un bacio, non abbandonarsi più al

delizioso gioco segreto delle labbra e delle membra, oh, era

inconcepibile!

Se questo fosse stato il suo destino, pensava avrebbe tentato di

diventare un animale, un orso o un cervo, sia pur rinunciando

alla beatitudine eterna. Essere un orso e amare un'orsa non

sarebbe poi male, molto meglio per lo meno che conservare

ragione, linguaggio e tutto il resto, e con ciò passar la vita

solo e triste e senz'amore.

Nel suo letto di musco, prima d'addormentarsi, ascoltava curioso

e inquieto i mille rumori notturni, misteriosi e

incomprensibili della foresta. Erano ormai i suoi camerati,

doveva viver con loro, abituarsi a loro, con loro misurarsi e

andar d'accordo; apparteneva ormai alla famiglia delle volpi e

dei caprioli, degli abeti e dei pini, con loro doveva vivere,

con loro dividere l'aria e il sole e aspettare il giorno e patir

la fame, essere insomma loro ospite.

Poi s'addormentò e sognò bestie e uomini: egli era un orso, che

divorava Lisa fra baci e carezze. Nel cuor della notte si

svegliò spaventato, non sapeva perché: sentiva un'angoscia

infinita e ne cercò a lungo la ragione, turbato. Gli venne in

mente che quel giorno e il giorno innanzi aveva dimenticato la

preghiera della sera. S'alzò, s'inginocchiò presso il giaciglio

e recitò due volte la sua orazione, per quel giorno e per quello

precedente. Poco dopo era riaddormentato.

Al mattino si guardò intorno nel bosco, stupito: aveva

dimenticato dov'era. La paura della foresta incominciò a

scemare, con nuova gioia s'affidò a quella vita, pur continuando

a camminare e regolandosi col sole. Una volta giunse in un

tratto di selva perfettamente piano, con pochi alberi a basso

fusto; gli altri eran tutti grossi abeti bianchi, annosi e

diritti. Dopo aver marciato un poco fra quelle colonne, gli

vennero in mente le colonne della grande chiesa del convento, di

Page 60: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

quella chiesa sotto il cui portale nero aveva visto scomparire

il suo amico Narciso... Quanto tempo era passato? Proprio due

giorni soltanto?

Solo dopo due giorni e due notti giunse in capo alla foresta.

Riconobbe con gioia i segni della vicinanza umana: terra

coltivata, strisce di campo a segala e ad avena, prati

attraversati qua e là da stretti sentieri per breve tratto

visibili. Boccadoro colse della segala e la masticò; la campagna

lavorata lo guardava sorridente, tutto gli faceva un'impressione

umana e cordiale dopo il lungo andare per la selva incolta: il

sentierino, l'avena i fiordalisi sfioriti e sbiancati.

Finalmente avrebbe riveduto gli uomini. Dopo un'oretta passò

vicino ad un campo, sul ciglio era drizzata una croce:

s'inginocchiò e pregò. svoltando dalla sporgenza di un colle si

trovò all'improvviso davanti a un tiglio ombroso, udì

estasiato la melodia d'una fontana, che da un tubo di legno

versava la sua acqua entro un lungo trogolo pure di legno;

bevette l'acqua fresca, squisita, e vide con gioia spuntar su

dai sambuchi, che avevan già le bacche scure, alcuni tetti di

paglia. Ma più di tutti questi segni amichevoli, lo commosse il

muggito di una mucca, che gli sonò all'orecchio dolce, caldo e

ospitale come un saluto e un benvenuto.

S'avvicinò esplorando alla capanna dalla quale era partito il

muggito. Davanti alla porta di casa sedeva nella polvere un

ragazzetto dai capelli rossicci e dagli occhi celesti, con

accanto un vaso di terracotta pieno d'acqua: e con la polvere e

con l'acqua faceva una pasta, che già aveva inzaccherato le sue

gambe nude. Serio e felice, premeva quella poltiglia fra le

mani, la guardava colar fuori dalle dita, ne faceva delle palle

e per impastare e plasmare s'aiutava anche col mento.

--Buongiorno, piccolo,--disse Boccadoro cordialmente. Ma il

bambino, appena levati gli occhi e scorto uno straniero,

spalancò la boccuccia, contrasse il visetto ton-do e strillando

si precipitò carponi nella capanna. Boccadoro lo seguì nella

cucina; era così buia che a lui, che veniva dalla luce viva del

mezzodì, da principio non riuscì di scorgere nulla. A ogni buon

conto fece un saluto cortese, ma non ebbe risposta; a poco a

poco però sopra gli strilli del bimbo spaventato si fece udire

una tenue voce senile, che cercava di consolare il piccolo.

Infine si alzò nell'ombra e s:avvicinò una vecchietta, che,

riparan-dosi gli occhi con la mano, osservò l'ospite.

-- Salute, mamma, -- disse Boccadoro, -- e che tutti i santi

benedicano la tua faccia buona; son tre giorni che non vedo un

viso umano.

La vecchietta guardava melensa, con occhi presbiti.

--Che vuoi?--domandò incerta.

Boccadoro le diede la mano e carezzò un poco la sua.

-- Salutarti voglio, nonnina, e riposare un tantino e aiutarti

ad accendere il fuoco. Se mi vuoi dare un pezzo di pane, non lo

rifiuto, ma non c'è fretta per questo.

Vide una panca di legno addossata alla parete e sedette, mentre

la vecchia tagliava una fetta di pane per il bambino, che

Page 61: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

guardava ora lo straniero con curiosa attenzione pronto però ad

ogni istante a piangere e a correr via. La vecchia tagliò

un'altra fetta della pagnotta e la portò a Boccadoro.

--Grazie mille,--disse questi.--Dio ti compenserà.

--Hai lo stomaco vuoto? -- domandò la donna.

--Questo no, è pieno di mirtilli.

--Bè, mangia allora! Da dove vieni?

--Da Mariabronn, dal convento.

-- Sei un prete?

-- Questo no. Uno scolaro. In viaggio.

Ella lo guardò fra tonta e canzonatoria e scosse un po-co la

testa sul collo magro e rugoso. Lo lasciò masticare un paio di

bocconi e riportò fuori il piccolo al sole. Poi tornò, curiosa,

e domandò: -- Sai qualche novità?

--Non un gran che. Conosci padre Anselmo?

--No, che c'è di lui?

-- E malato.

--Malato? deve morire?

- Non so. Ha male alle gambe. Non può camminar

- Deve morire?

--Non so, forse.

--Bè, lascialo morire. Io devo cuocere la minestra.

Aiutami a tagliare trucioli. -- Gli diede un ciocco d'abete

asciugato per bene sul focolare, e un coltello. Egli le tagliò

trucioli quanti ne volle e stette a guardare, mentre ella li

metteva nella cenere e si chinava sopra e s'affannava a somare,

finché prendevano fuoco; poi accatastò secondo un suo ordine

segreto e preciso legni d'abete e di faggio, il fuoco divampò

luminoso sul focolare aperto, ella mise sulle fiamme una grande

pentola nera, che, appesa ad una catena fuligginosa, penzolava

dalla cappa del camino.

Boccadoro, dietro suo ordine, andò ad attinger acqua alla

fontana, spannò la scodella del latte, sedette di nuovo nella

penombra fumosa e stette a guardare il gioco delle fiamme, sopra

le quali appariva e spariva nel rosso bagliore il viso rugoso ed

ossuto della vecchia; intanto udiva dietro un assito la mucca

che frugava e tirava colpi nella greppia. Gli piaceva molto. Il

tiglio, la fontana, il guizzar delle fiamme sotto la pentola, lo

sbuffare e il ruminar della mucca e i suoi colpi contro la

parete, la stanza semibuia con la tavola e la panca,

L'affaccendarsi della vecchietta, tutto questo era bello e

buono sapeva di cibo e di pace, di esseri umani e di calore, dii

patria.

Anche due capre c'erano, e la donna gli disse che dietro avevano

anche un porcile; e la vecchia era la nonna del contadino e la

bisnonna del piccolo. Questi si chiamava Kuno, di tanto in tanto

entrava in cucina e, benché non dicesse una parola e guardasse

un pò impaurito, non piangeva mai.

Venne il contadino con sua moglie; furono molto stupiti di

trovare uno straniero in casa. Il contadino stava già per

gridare e, diffidente, trasse il giovane per un braccio sulla

porta, per vedere il suo volto alla luce del giorno; ma poi

Page 62: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

rise, gli batté benevolo la mano sulla spalla e lo invitò a

mangiare. Sedettero e ciascuno intinse il suo pane nella comune

scodella di latte, finché il latte diminuì e il contadino vuotò

il resto.

Boccadoro domandò se poteva rimanere fino all'indomani e dormire

sotto il loro tetto. No, rispose l'uomo, perché non c'era posto,

ma fuori c'era ancora tanto fieno dappertutto, avrebbe trovato

certo un giaciglio.

La contadina aveva il piccolo accanto e non partecipava alla

conversazione, ma durante il pasto i suoi occhi curiosi presero

possesso del giovane straniero. I capelli e lo sguardo di lui le

avevano fatto subito impressione, poi osservò con piacere il suo

collo bianco e fine, le sue mani distinte e lisce e i loro

movimenti agili e armoniosi.

Come era bello e aristocratico quello straniero, e così giovane!

Ma quello che più l'attirava e la innamorava era la voce di lui,

quella voce giovane e maschia, che cantava misteriosamente, che

irradiava calore, che seduceva blanda, che sonava come una

carezza. Avrebbe voluto sentire quella voce ancora per un pezzo.

Dopo mangiato, il contadino s'affaccendò nella stalla; Boccadoro

era uscito dalla casa, s'era lavato le mani al-la fontana e

sedeva sul bordo basso, rinfrescandosi e ascoltando l'acqua. Era

indeciso; non aveva più nulla da cercare lì, eppure gli

rincresceva di doversene andare. Allora venne fuori la contadina

con un secchio in mano, lo mise sotto lo zampillo, finché

traboccò. Disse a mezza vo-ce: --Se stasera sei ancora qui

vicino, ti porterò da mangiare Laggiù, dietro quel lungo campo

d'orzo, c'è del fieno, che raccoglieranno solo domani. Vuoi

fermarti là?

Egli le guardò il viso lentigginoso, vide le sue braccia forti

afferrare il secchio, sentì lo sguardo caldo dei suoi grandi

occhi chiari. Le sorrise e accennò di sì. Già ella se n'andava

col secchio pieno e scompariva nel buio della porta. Egli rimase

seduto, grato e contento, ascoltando l'acqua corrente. Un pò più

tardi entrò nella cucina, cercò il contadino, diede la mano a

lui e alla nonna e ringraziò. C'era odor di fuoco nella capanna,

di fuliggine e di latte. Poc'anzi era per lui ancora un asilo,

un focolare domestico, e già ridiventava terra straniera. Salutò

e uscì.

Al di là delle capanne trovò una cappella e vicino un bel

boschetto, un gruppo di forti querce annose, sotto le quali

l'erba era bassa. Rimase lì all'ombra, passeggiando in su e in

giù fra i grossi tronchi. Strana cosa, pensava, eran le donne e

l'amore; non avevan bisogno davvero di parole. Alla contadina

n'era occorsa una sola per indicargli il luogo

dell'appuntamento, tutto il resto non l'aveva detto con parole.

E con che allora? Con gli occhi, sì, e con un certo suono nella

voce un pò velata e con qualche altra cosa ancora, con un

profumo forse, con una emanazione delicata e sottile della

pelle, dalla quale uomini e donne riconoscono subito la

reciproca brama. Curioso: era una specie di delicato linguaggio

segreto; e come l'aveva imparato presto! Si rallegrava pensando

Page 63: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

al-la sera, si domandava con curiosità come sarebbe stata quella

donna alta e bionda, che sguardi, che toni, che membra, che

doti, che baci avrebbe avuto... Certo tutt'altri che Lisa.

Dov'era in quel momento la Lisa, coi suoi capelli neri e lisci,

con la sua pelle bruna, con i suoi brevi sospiri? L'aveva

picchiata il marito? Pensava ancora a lui? Aveva già trovato un

nuovo amante com'egli aveva trovato una nuova donna? Come tutto

andava veloce, e da ogni parte si trovava la felicità, come

tutto era bello e caldo e stranamente fugace! Era peccato, era

adulterio; poc'anzi si sarebbe lasciato uccidere piuttosto che

commettere un peccato simile. Ed ecco la seconda donna che egli

attendeva, e la sua coscienza era tranquilla.

Cioè, tranquilla forse no; ma non l'adulterio, non la voluttà di

quando in quando la turbavano e la opprime-vano. Era

qualcos'altro, non sapeva definirlo con un no-me. Era il

sentimento di una colpa che non si è commessa, ma che si è

portata al mondo con la nascita. Forse era questo ciò che nella

teologia si chiamava peccato originale? Poteva darsi. Sì, la

vita stessa portava con sé qualcosa come una colpa... perché,

altrimenti, un essere così puro e così sapiente come Narciso si

sarebbe sotto-posto a penitenze come un condannato? E perché

egli stesso, Boccadoro, avrebbe dovuto sentire in qualche

segreto recesso della sua anima questa colpa? Non era forse

felice? Non era giovane e sano, non era libero come l'uccello

nell'aria? Non lo amavano le donne, non era bello sentire di

poter dare loro come amante lo stesso profondo piacere ch'egli

provava? E perché allora non era felice del tutto? Perché nella

sua giovane felicità, come nella virtù e nella saggezza di

Narciso, doveva insinuarsi di quando in quando questa strana

sofferenza, quest'ansia sommessa, questo rammarico per la

transitorietà umana? Perché doveva tante volte tormentarsi il

cervello a forza di pensare, pur sapendo di non essere un

pensatore?

Eppure era bello vivere. Colse nell'erba un fiorellino violetto,

lo avvicinò all'occhio, guardò entro il piccolo calice, dove

scorrevano vene e vivevano minuscoli sottilissimi organi; come

nel grembo di una donna o nel cervello di un pensatore, fremeva

la vita tremava la gioia.

Oh, perché non si sapeva proprio nulla? Perché non si poteva

parlare con quel fiore? Ma se neppure due uomini riuscivano a

parlarsi davvero, e ci voleva già per questo un caso fortunato,

una particolare amicizia e disposizione! No, era fortuna che

l'amore non avesse bisogno di parole, altrimenti sarebbe stato

pieno di malintesi e di pazzie. Ah, come l'occhio di Lisa,

socchiuso nella pienezza della voluttà, era quasi franto e non

mostrava più che un pò di bianco nel taglio delle palpebre

convulse... mille parole di dotti e di poeti non sarebbero

riuscite ad esprimerlo! Nulla, nulla si poteva esprimere,

escogitare e tuttavia si aveva sempre in sé il bisogno

prepotente di parlare, L'eterno impulso a pensare!

Osservò con quanta grazia e con quanta intelligenza le foglie

della piantina erano ordinate intorno allo stelo. I versi di

Page 64: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Virgilio eran belli, egli li amava; ma più d'uno non aveva

neppur la metà della chiarezza e della sapienza dell'ingegnosa

bellezza di quella spirale, secondo cui le minuscole foglioline

si ordinavano su per lo stelo. Quale godimento, quale felicità,

che opera incantevole, nobile, ingegnosa, se un uomo fosse stato

capace di creare un solo fiore come quello! Ma nessuno era

capace, nessun eroe e nessun imperatore, nessun papa e nessun

santo.

Quando il sole calò, si mise in cammino per cercare il luogo

indicato dalla contadina. Là aspettò. Era bello aspettare così,

sapendo che una donna era in istrada e non recava altro che

amore. Ella giunse con un panno di lino, in cui aveva avvolto un

grosso pezzo di pane e una fetta di lardo. Lo snodò e glielo

mise davanti.

--Per te, --disse.--Mangia!

--Dopo, --rispose lui. --Non ho fame di pane, ho fame di te Oh,

mostra ciò che mi hai portato di bello!

Molto di bello gli aveva portato: labbra forti e asse-tate,

denti forti e brillanti, braccia forti, arrossate dal so-le; ma

sotto il collo e giù per la persona era bianca e tenera. Parole

ne sapeva poche, ma in fondo alla sua gola cantava una musica

dolce e allettatrice; e quando sentì sul suo corpo le mani di

lui, mani delicate, affettuose e sensibili, qualor non aveva mai

conosciute, la sua pelle rabbrividì e nella sua gola si modulò

un suono come quello di un gatto che fa le fusa. Sapeva pochi

giochi, me-no i Lisa, ma era meravigliosamente vigorosa,

stringeva come se volesse spezzare il collo al suo amante. Era

un amore infantile e cupido, semplice e, malgrado tutta la

forza, ancora pudico; Boccadoro fu felice con lei.

Poi ella se n'andò sospirando, si staccò con pena, non poteva

rimanere.

Boccadoro restò solo, felice e triste insieme. Solo più tardi si

ricordò del pane e del lardo e mangiò in solitudine; era già

notte alta.

INDEX

Page 65: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO VIII

Boccadoro aveva già camminato a lungo, di rado per-nottando due

volte nello stesso luogo, dappertutto desiderato e favorito

dalle donne, abbronzato dal sole, dimagrito dal vagabondaggio e

dalla scarsità del cibo. Molte donne l'avevano lasciato all'alba

e alcune se n'erano andate piangendo; più d'una volta egli aveva

pensato: "Perché nessuna rimane con me? Perché, se mi amano e

per una notte d'amore violano la fede coniugale... perché

ritornano subito tutte ai loro mariti, dai quali spesso te-mono

d'esser picchiate?". Nessuna l'aveva pregato sul serio di

rimanere, nessuna l'aveva mai pregato di prenderla seco ed era

stata pronta per amore a dividere con lui le gioie e le angustie

della vita errabonda. Veramente egli non aveva rivolto a nessuna

quell'invito, a nessuna aveva suggerito quell'idea; se

interrogava il suo cuore, vedeva che la libertà gli era cara e

non ricordava una donna amata, di cui avesse sentito ancora la

nostalgia fra le braccia di quella che le era succeduta. E

tuttavia gli riusciva strano e un poco triste che l'amore si

mostrasse sempre così fugace, quello delle donne come il suo, e

con la stessa rapidità con cui divampava fosse anche sazio. Era

giusto questo? Era così sempre e dappertutto? O dipendeva da

lui, forse era nella sua natura che le donne lo desiderassero e

lo trovassero bello, ma non aspirassero ad altra comunanza con

lui che non fosse quella breve e senza parole di una notte nel

fieno o sul musco? Era perché viveva da vagabondo e i sedentari

provavano orrore per la vita dei senza-patria? O dipendeva

proprio solo da lui, dalla sua persona, che le donne lo

desiderassero come una bella bambola, ma poi ritornassero ai

loro uomini, anche se là le attendevano le busse?

Non si stancava d'imparar dalle donne. Più l'attiravano le

fanciulle, le giovanissime, che non avevano ancora marito e non

sapevano nulla; di esse poteva innamorarsi con ardore; ma erano

quasi sempre irraggiungibili, così amate, timide e ben protette!

Ma imparava volentieri anche dalle donne. Ognuna gli lasciava

qualcosa, un gesto, un modo di baciare, un gioco speciale una

particolare maniera di darsi o di difendersi. Boccadoro

accondiscendeva a tutto, era insaziabile e docile come un

bimbo, aperto a ogni seduzione: e per questo appunto seducente

egli stesso. La sua bellezza da sola non sarebbe bastata a

condurgli così facilmente le donne, era quel suo candore

infantile, quella sua innocenza curiosa della brama,

quell'essere aperto e meravigliosamente pronto a ciò che una

donna poteva desiderare da lui.

Senza saperlo, egli era presso ogni donna amata proprio così

come essa lo desiderava e lo sognava, con l'una delicato e

paziente nell'attesa, con l'altra impetuoso e intraprendente,

ora ingenuo come un ragazzo iniziato per la prima volta, ora

esperto. Era pronto al gioco e alla lotta, al sospiro e al riso,

al pudore e alla spudoratezza; non faceva nulla a una donna

ch'ella non bramasse, nulla ch'ella non provocasse da lui.

Questo era ciò che ogni donna dai sensi accorti intuiva subito

Page 66: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

in Boccadoro, questo lo rendeva il suo beniamino.

Egli intanto imparava. In breve non imparò solo molte qualità e

molte arti d'amore, accogliendo in sé le esperienze di molte

amanti. Imparò anche a vedere le donne nella loro varietà, a

sentirle, a tastarle, a odorarle: acquistò un orecchio finissimo

per ogni sorta di voce e più d'una volta dal suo semplice suono

sapeva indovinare con sicurezza il genere della donna e la sua

capacità d'amare. Con sempre nuovo rapimento contemplava gli in-

finiti modi diversi come una testa poteva reggersi sul collo,

una capigliatura staccarsi dalla fronte, una rotula muoversi

entro il ginocchio. Al buio, ad occhi chiusi, col tatto delicato

delle dita imparava a distinguere una chioma femminile o una

qualità di pelle o di pelurie dall'altra.

Cominciò per tempo ad accorgersi che forse il senso del suo

vagabondaggio stava proprio in questo, che forse egli era

sospinto da una donna all'altra appunto perché potesse Imparare

a esercitare con sempre maggior finezza,

varietà e profondità, questa capacità di conoscere e di

distinguere. Forse era questo il suo destino: imparare a

conoscere le donne e l'amore in mille modi e in mille forme

diverse fino alla perfezione, così come taluni musicisti sanno

sonare non un solo strumento, ma tre, quattro, molti. A quale

scopo ciò dovesse servire, dove conducesse, certo non sapeva;

sentiva solo di essere in cammino. Se per il latino e per la

logica aveva certe attitudini - non però doti rare, singolari e

sorprendenti - per l'amore, per il gioco con le donne era

eccezionalmente dotato; qui imparava senza fatica, qui non

dimenticava nulla, qui le esperienze si accumulavano e si

ordinavano da sé.

Un giorno, quando già da un anno o due vagava per il mondo,

Boccadoro giunse al castello di un agiato cavaliere, che aveva

due figlie giovani e belle. Era il principio d'autunno, presto

le notti sarebbero diventate fredde; nell'autunno e nell'inverno

passati aveva fatto la sua esperienza, e non senza

preoccupazione pensava ai mesi venturi, nell'inverno la vita del

vagabondo era dura. Chiese cibo e asilo per la notte. Fu accolto

cortesemente, e quando il cavaliere udì che lo straniero aveva

studiato e sapeva il greco, lo fece passare dalla tavola dei

servi alla sua e lo trattò quasi come suo pari. Le due figlie

tenevano gli occhi bassi: la maggiore aveva diciotto anni, la

minore sedici appena: Lidia e Giulia.

Il giorno dopo Boccadoro voleva proseguire: non c'era per lui

nessuna speranza di poter conquistare una di quelle belle e

bionde damigelle, e altre donne, per cui rimanere, non se ne

vedevano. Ma dopo la prima colazione il cavaliere lo prese da

parte e lo condusse in una stanza, ch'egli si era arredata per

scopi speciali. Il vecchio parlò con modestia al giovane della

sua passione per la dottrina e per i libri, gli mostrò un

piccolo cofano pieno di scritti, da lui raccolti, uno scrittoio

che s'era fatto costruire e una provvista di bella carta e

pergamena. Questo bravo cavaliere era stato a scuola in

gioventù: poi, come Boccadoro venne a sapere a poco a poco, si

Page 67: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

era dato tutto alla vita guerresca e mondana, finché, grave-

mente malato, un avvertimento divino l'aveva indotto a unirsi a

una schiera di pellegrini e ad espiare così la sua gioventù

peccaminosa. Era andato a Roma e perfino a Costantinopoli, al

ritorno aveva trovato il padre morto e la casa vuota, vi aveva

fissato la sua dimora, s'era sposato, aveva perduto la moglie e

allevato le figliole, e, poiché ormai cominciava la vecchiaia,

s'era accinto a scrivere una relazione del suo pellegrinaggio.

Aveva già messo insieme parecchi capitoli, ma - confessò al

giovane - Il suo latino era molto deficiente e lo inceppa-va ad

ogni passo Offerse dunque a Boccadoro un abito nuovo e libero

asilo, se voleva correggergli in bella copia ciò che aveva

scritto fino allora, e poi aiutarlo a continuare.

Era autunno: Boccadoro sapeva quel che ciò significava per un

vagabondo. Anche l'abito nuovo era assai desiderabile. Ma sopra

tutto piacque al giovane la prospettiva di rimanere ancora a

lungo nella stessa casa con le due belle sorelle. Accettò senza

esitare. Dopo pochi giorni la dispensiera del castello doveva

aprire l'arma-dio delle stoffe; trovarono un bel panno marrone,

con CUI fecero confezionare un abito ed un berretto per

Boccadoro. Veramente il cavaliere aveva pensato al nero, ad una

specie di veste da magister, ma il suo ospite non ne volle

sapere e riuscì a dissuaderlo. Venne fuori così un grazioso

costume, un pò da paggio e un pò da cacciatore, che gli stava

benissimo

Anche col latino non andò male. Rilessero insieme ciò ch'era

stato scritto fino allora, e Boccadoro non solo corresse i molti

vocaboli inesatti ed errati, ma qua e là trasformò anche le

brevi frasi impacciate in eleganti periodi latini, con solide

costruzioni e una perfetta consecutio temporum. Procurò così un

gran godimento al cavaliere, che non gli era avaro di lodi. Ogni

giorno passavano almeno due ore a quel lavoro.

Nel castello - una specie di grande masseria fortificata -

Boccadoro trovò più d'un passatempo: prese parte alla caccia e

dal cacciatore Enrico imparò a tirar con la balestra, fece

amicizia coi cani e poté cavalcare a suo piacimento. Di rado lo

si vedeva solo; o parlava con un cane o con un cavallo, oppure

col cacciatore Enrico o con la dispensiera Lea, una grossa

vecchia che aveva una voce maschile e una gran voglia di ridere

e di scherzare, o infine col guardiano dei cani o con un

pastore. Con la moglie del mugnaio, che abitava vicinissima, non

sarebbe stato difficile fare all'amore, ma egli si teneva

riserbato e faceva l'ingenuo.

Delle due figlie del cavaliere era entusiasta. La minore era la

più bella, ma così sdegnosa che non diceva quasi una parola con

Boccadoro. Egli trattava ambedue col massimo riguardo ed

ossequio, ma l'una e l'altra sentivano la sua vicinanza come una

corte assidua. La più giovane si chiudeva tutta, fiera per

timidezza. La maggiore, Lidia, aveva trovato con lui un tono

speciale, fra rispettoso e canzonatorio, e lo trattava come una

bestia rara d'erudito, rivolgendogli molte domande curiose, in-

formandosi della vita del convento, ma sempre con un fare da

Page 68: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

gran dama superiore e un pò beffarda. Egli accondiscendeva a

tutto; trattava Lidia come una dama, Giulia come una monachella,

e quando, dopo cena, riusciva con la sua conversazione a

trattenere le fanciulle a tavola un pò più a lungo del solito, o

quando Lidia in cortile o in giardino gli rivolgeva talvolta la

parola e si permetteva qualche piccolo scherzo, era contento e

sentiva d'aver fatto un progresso.

In quell'autunno le foglie indugiarono a lungo sugli alti

frassini del cortile, in giardino rimasero fioriti a lungo gli

asteri e le rose. Un giorno arrivò una visita; giunsero a

cavallo un signore di un possedimento vicino, con sua moglie ed

un palafreniere; la giornata mite li aveva indotti ad una gita

più lunga del consueto e così erano arrivati fin là e chiedevano

alloggio per la notte. Furono accolti molto cortesemente e

subito il letto di Boccadoro fu trasportato dalla camera dei

forestieri nello studio, la camera fu messa in ordine per i

visitatori, vennero ammazzati alcuni polli e cercati pesci al

mulino. Boccadoro partecipò con gioia al festoso trambusto e

subito s'accorse d'attirare l'attenzione della signora

straniera. La vo-ce e qualcosa nello sguardo di lei gli avevano

appena n-velato la sua compiacenza e la sua brama, che egli notò

anche, con crescente attenzione, operarsi un mutamento in Lidia:

diventò chiusa e taciturna e cominciò a osservare lui e la dama.

Quando durante la cena festosa il piede della signora prese a

giocare sotto la tavola col piede di Boccadoro, egli rimase

incantato non tanto di quel gioco quanto dell'ansia cupa e

silenziosa, con cui Lidia lo seguiva con occhi curiosi e

fiammeggianti. Infine egli lasciò cadere con intenzione un

coltello per terra, si chinò sotto la tavola e sfiorò con una

carezza il piede e la gamba della dama: vide Lidia impallidire e

mordersi le labbra; continuò a raccontare aneddoti di convento

e sentì che la straniera più che le storie ascoltava

intensamente la sua voce insinuante. Anche gli altri stavano

attenti, il suo padrone con benevolenza, L'ospite con volto

impassibile, ma toccato anch'egli dal fuoco che ardeva nel

giovane. Lidia non l'aveva mai udito parlare cosi: era come

sbocciato, c'era un fremito di voluttà nell' aria, I suoi occhi

brillavano, nella sua voce cantava la felicita, implorava

l'amore. Le tre donne lo sentivano, ciascuna in modo diverso: la

piccola Giulia con violenta riluttanza e resistenza; la moglie

del cavaliere con soddisfazione raggiante; Lidia con un doloroso

tumulto del cuore, che ondeggiava fra l'intimo desiderio, una

blanda resistenza e la più viva gelosia, e che le allungava il

volto e le faceva ardere gli occhi. Boccadoro sentiva tutte

queste ondate che rifluivano a lui come risposte segrete alle

sue seduzioni; i pensieri d'amore, di dedizione, di resistenza,

di lotta reciproca gli volavano intorno come uccelli.

Dopo cena Giulia si ritirò; era già notte avanzata, con la sua

candela nel candeliere di terracotta lasciò il terrazzo, fredda

come una piccola monaca. Gli altri rimasero ancora un'ora, e

mentre i due signori parlavano del raccolto, dell'imperatore e

del vescovo, Lidia ascoltava tutta accesa, un negligente

Page 69: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

chiacchierio, a proposito di nulla, fra Boccadoro e la dama, e

vedeva intessersi fra i suoi fili lenti una fitta e dolce rete

di domande e di risposte, di sguardi, di accenti, di piccoli

gesti, ciascuno dei quali era carico di significato e rovente di

ardore. La fanciulla aspirava l'atmosfera con avidità e insieme

con orrore, e, quando scorgeva o intuiva che il ginocchio di

Boccadoro sfiorava sotto la tavola quello della straniera,

sentlva il contatto sul suo proprio corpo e sussultava.

Poi non dormì, e per metà della notte stette in ascolto col

batticuore, convinta che i due si sarebbero trovati insieme.

Completò nella sua immaginazione quello che a loro era vietato,

li vide abbracciati, udì i loro baci, e tremò persino

d'agitazione, temendo e desiderando al tempo stesso che il

cavaliere ingannato sorprendesse gli amanti e trafiggesse col

suo pugnale il cuore di quell'abominevole Boccadoro.

La mattina seguente il cielo era coperto, sofffiavan vento

umido, e l'ospite, respingendo ogni invito di rimanere più a

lungo, insistette per partire subito. Lidia era presente quando

gli ospiti salirono a cavallo, strinse loro la mano, disse

parole d'addio: ma non sapeva quel che faceva, tutti i suoi

sensi erano concentrati nello sguardo con cui osservò la dama

posare il piede, mentre monta-va in sella, fra le mani di

Boccadoro, e la destra di lui, larga e ferma, afferrare la

scarpa e stringere per un momento con forza il piede della

donna.

Partiti gli ospiti, Boccadoro dovette ritirarsi nello studio a

lavorare. Dopo una mezz'ora udì risonare In basso la voce

imperiosa di Lidia e condurre innanzi un cavallo; il cavaliere

s'affacciò alla finestra e guardò giù sorridendo e scuotendo la

testa; poi entrambi seguirono con lo sguardo Lidia, mentre

usciva a cavallo dal cortile.

Quel giorno il loro latino non avanzò di molto; Boccadoro era

distratto; il suo signore, benevolo, lo congedò prima del

solito.

Sceso nel cortile, uscì inosservato sul suo cavallo, incontro al

vento d'autunno fresco ed umido, nella campagna scolorita,

serrando sempre più il trotto, sentì il cavallo scaldarsi sotto

di sé e il suo stesso sangue info-carsi. Per campi di stoppie e

di maggese, per la landa e per tratti di palude coperti di canne

e setoloni, cavalcò respirando a pieni polmoni nella giornata

grigia, traversando vallette di ontani e pinete imporrite, poi

di nuovo sulla landa bruna e deserta.

Sulla cresta alta di un colle, nitida contro il cielo nuvoloso

color di cenere, scoperse la figura di Lidia, eretta sopra il

cavallo che trottava lento. Egli si lanciò verso di lei; appena

ella si vide inseguita, spronò il suo cavallo e si diede alla

fuga. Ora scompariva, ora riappariva con capelli al vento, Egli

le dava la caccia come ad una preda, e gli rideva il cuore,

mentre con piccoli gridi affettuosi eccitava il cavallo, con

occhi sereni coglieva a volo le caratteristiche del paesaggio, i

campi acquattati, i boschetti di ontani, i gruppi d'aceri, le

rive fangose degli stagni; ma poi riconduceva lo sguardo alla

Page 70: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

sua meta, alla bella fuggitiva. Presto l'avrebbe raggiunta.

Quando Lidia lo sentì vicino, rinunciò alla fuga e mi-se il

cavallo al passo. Non si voltò verso l'inseguitore.

Fiera, apparentemente indifferente, continuò a cavalcare come se

nulla fosse stato, come se fosse sola. Egli spinse il cavallo

accanto al suo e i due animali proseguirono tranquilli l'uno di

fianco all'altro, ma cavalli e cavalieri erano riscaldati dalla

corsa.

--Lidia! chiamò sottovoce.

Ella non diede risposta.

--Lidia!

Ella rimase muta.

--Com'era bello, Lidia, vederti cavalcare da lontano I tuoi

capelli volavano dietro di te come una saetta d'o ro. Com'era

bello! Ah, che meraviglia che tu sia fuggita da me! Così ho

veduto per la prima volta che mi vuoi un pò di bene. Non lo

sapevo, ancora ieri sera ero in dubbio. Solo quando hai cercato

di sfuggirmi, L'ho capito a un tratto Bella, cara, devi essere

stanca, smontiamo!

Balzo rapido dal cavallo e nello stesso istante afferrò le

redini di lei, perché non gli scappasse un'altra volta.

Ella lo guardò pallidissima e, quand'egli la depose a terra,

scoppiò in lacrime. Con ogni riguardo egli la condusse qualche

passo avanti, la fece sedere sull'erba inaridita e le

s'inginocchiò accanto. Ella lottava coi singhiozzi, lottava

energicamente, finché riuscì a dominarli.

-- Ah, come sei cattivo!--cominciò, quando poté parlare.

Riusciva a stento a metter fuori le parole.

--Sono così cattivo?

-- Sei un seduttore di donne, Boccadoro. Lasciami dimenticare

quello che mi hai detto dianzi erano parole impertinenti, a

te non s'addice di parlarmi così. Come puoi credere che io ti

voglia bene ? Dimentichiamo questo! Ma come posso dimenticare

ciò che ho dovuto vedere ieri sera?

--Ieri sera? E che cos'hai veduto?

--Ah, non far così, non mentire così! Era orribile e impudente

quello che facevi con quella signora davanti ai miei occhi! Non

hai vergogna? Perfino la gamba le accarezza sotto la tavola,

sotto la nostra tavola! Davanti a me, davanti ai miei occhi! E

ora che quella se n'è andata, vieni a tender la{ci a me! Non sai

davvero che co-sa sia la vergogna,

Già da un pò Boccadoro si era pentito delle parole che le aveva

dette prima di farla scender da cavallo. Che sciocchezza era

stata! Le parole non erano necessarie nell'amore, avrebbe dovuto

tacere.

Non disse più nulla. Rimase inginocchiato davanti a lei, e,

poiché lo sguardo con cui ella lo fissava era così bello e

infelice, il dolore di lei gli si comunicò; anch'egli sentì che

c'era qualcosa di cui dolersi. Ma non ostante tutto ciò ch'ella

aveva detto, egli vedeva nel suo occhio l'amore; e anche la

sofferenza che le contraeva le labbra era amore. Egli credeva al

suo occhio più che alle sue parole.

Page 71: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Ma Lidia aveva atteso una risposta. Poiché non venne, le sue

labbra si fecero ancor più sdegnose; lo guardò con gli occhi

umidi e ripeté:

--Non hai dunque proprio pudore?

-- Perdona, -- rispose lui umile, -- noi parliamo ora di cose di

cui non si dovrebbe parlare. E colpa mia, perdonami! Tu domandi

se non ho pudore. Sì, certo ne ho.

Ma ti voglio bene, vedi, e l'amore non conosce pudore.

Non essere in collera!

Pareva quasi ch'ella non udisse. Immobile, faceva quella bocca

amara e fissava lo sguardo lontano, come se fosse sola. Egli non

si era mai trovato in una situazione simile. Dipendeva dall'aver

parlato.

Appoggiò dolcemente il volto sul ginocchio di lei e il contatto

gli fece subito bene. Ma era un pò perplesso e triste e

anch'ella continuava ad apparire triste: sedeva immobile, taceva

e guardava lontano. Quanto imbarazzo, quanta mestizia! Ma il

ginocchio accolse benevolo la sua guancia, non lo respinse. E il

suo volto rimase, con gli occhi chiusi, su quel ginocchio, la

cui forma nobile e al-lungata gli s'impresse dentro a poco a

poco. Boccadoro pensava con gioia e commozione alla

corrispondenza che esisteva fra la forma elegante e giovanile

del ginocchio di Lidia e le unghie, belle, fortemente arcuate

delle sue dita. Riconoscente si strinse a quel ginocchio, lasciò

che la sua guancia e la sua bocca parlassero con lui.

Allora sentì la mano di lei posarsi timida e lieve come una

piuma sopra i suoi capelli. Cara mano! pensò mentre sentiva sul

suo caPo la carezza delicata, infantile. Egli r aveva già più

volte osservato e ammirato quella mano, la conosceva quasi come

la propria, conosceva le dita lunghe e agili dalle unghie lunghe

rosee e ben arcuate. In quel momento le dita lunghe e tenere

parlavano timide con le ciocche dei suoi capelli. Il loro

linguaggio era infantile e trepido, ma era amore. Riconoscente,

egli affondò il capo in quella mano, ne sentì la palma con la

nuca, con le guance.

Allora ella disse: --E ora d'andare!

Egli sollevò il capo, la guardò teneramente, baciò con dolcezza

le sue dita sottili.

--Ti prego, alzati, -- disse lei, -- dobbiamo andare a casa.

Egli obbedì subito, si alzarono, salirono sui loro cavalli,

partirono.

Il cuore di Boccadoro era al colmo della felicità. Co-me era

bella Lidia, così infantilmente pura e delicata!

Non l'aveva ancora baciata, eppure gli pareva d'aver ricevuto un

dono ed era tutto pieno di lei. Andarono di galoppo, e solo

quand'erano già quasi a casa e stavano per entrare nel cortile

ella esclamò sgomenta: -- Non avremmo dovuto arrivare tutti e

due insieme. Che sciocchi.

E all'ultimo istante, mentre scendevano dai cavalli e già

accorreva un garzone di stalla, sussurrò all'orecchio di

Boccadoro, rapida e ardente:

--Dimmi se stanotte sei stato presso quella donna! --

Page 72: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Egli scosse ripetutamente la testa e s'accinse a toglier le

redini dal suo cavallo.

Nel pomeriggio, quando il padre fu uscito, ella comparve nello

studio.

--E proprio vero? -- domandò subito con passione; ed egli capì

immediatamente ciò che intendeva.

--Perché allora hai giocato con lei, così vergognosa-mente, e

l'hai fatta innamorare?

--Tutto era diretto a te,--diss'egli.--Credimi, avrei preferito

mille volte carezzare il tuo piede che il suo. Ma il tuo piede

non è mai venuto a me sotto la tavola, non mi hai domandato se

ti voglio bene.

--Mi vuoi bene davvero, Boccadoro?

--Oh sì!

--Ma come andrà a finire?

--Non lo so, Lidia. E neppur me ne curo. Sono felice di

amarti... Come andrà a finire? Io non Cl penso.

Sono contento quando ti vedo cavalcare e quando sento la tua

voce e quando le tue dita mi accarezzano i capelli. Sarò

contento quando ti potrò baciare.

--Si può baciare solo la propria sposa, Boccadoro.

Non ci hai mai pensato?

--No, non ci ho mai pensato. E perché dovrei? Tu sai come me che

non puoi diventare mia sposa.

--E così. E poiché tu non puoi diventare mio marito e rimanere

sempre con me, hai fatto molto male a parlarmi d'amore. Hai

forse creduto di potermi sedurre?

--Non ho creduto e pensato nulla, Lidia; io penso in genere

molto meno di quel che tu creda. Non desidero altro se non che

tu mi voglia baciare. Parliamo troppo. Gli amanti non parlano.

Io credo che non mi vuoi bene.

-- Stamattina hai detto il contrario.

-- E tu hai fatto il contrario!

-- Io ? Che vuoi dire ?

-- Prima di tutto sei scappata di galoppo quando mi hai visto

giungere. Allora io ho creduto che tu mi amassi. Poi non hai

potuto fare a meno di piangere, e io ho creduto che fosse perché

mi volessi bene. Poi, quando la mia testa era appoggiata al tuo

ginocchio, mi hai ac-carezzato, e io ho creduto che fosse amore.

Ma ora non dimostri di volermi bene.

--Io non sono come la donna di cui ieri accarezzavi il piede; tu

sembri abituato a donne di quella fatta.

--No, grazie a Dio, tu sei molto più bella e più fine di lei.

- Non voglio dir questo.

- Oh, ma è così. Sai tu come sei bella?

--Ho uno specchio.

--Ci hai mai veduto la tua fronte, Lidia, e poi le spalle, e poi

le unghie, e poi le ginocchia? E hai veduto co-me tutto questo

si assomiglia ed è in armonia, come tutto ha la stessa forma,

una forma lunga, distesa, definita e molto slanciata? L'hai

veduto?

--Come parli! Veramente non l'ho mai veduto, ma ora che lo dici

Page 73: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

so ciò che intendi. Senti, sei un gran seduttore, ora tenti di

rendermi vana.

-- Peccato, non riesco proprio a contentarti. Ma perché debbo

tenerci a renderti vana ? Sei bella e vorrei mostrarti che te ne

sono grato, Tu mi costringi a dirtelo a parole; potrei dirtelo

mille volte meglio che con le parole. A parole non ti posso dar

nulla. A parole non posso neppure imparar nulla da te, né tu da

me.

--E che cosa dovrei imparare da te?

--Io da te, Lidia, e tu da me. Ma non vuoi. Tu vuoi amare solo

colui di cui sarai sposa. Egli riderà, quando vedrà che non hai

imparato nulla, neppure a baciare.

--Ah, nel baciare dunque vorresti istruirmi, signor magister?

Egli le sorrise. Se anche le sue parole non gli piacevano,

poteva tuttavia sentire dietro quel tono saputo, un po violento

e artificioso, la sua verginità che, assalita dalla

concupiscenza, se ne difendeva con sgomento.

Egli non rispose più. Le sorrise, cattivò con gli occhi lo

sguardo inquieto di lei, mentr'ella non senza resistenza cedeva

al fascino, avvicinò lentamente il proprio volto al suo, finché

le labbra si toccarono. Sfiorò lieve la bocca di lei, che

rispose con un piccolo bacio infantile e poi s'aperse come in

doloroso stupore, quand'egli non le permise di staccarsi. Con

dolce insistenza egli seguì la bocca che fuggiva, finché questa

ritornò esitante verso di lui; e, senza violenza, insegnò alla

fanciulla ammaliata come si riceve e come si dà un bacio, finché

ella, esausta, lasciò cadere Il VISO sulla sua spalla. Egli non

la scosse, aspirò felice il profumo dei suoi folti capelli

biondi, le mormorò all'orecchio parole tenere e consolanti e in

quel momento si rammentò del giorno in cui, scolaro ignaro, era

stato iniziato al mistero dalla zingara Lisa. Come erano neri i

suoi capelli, com'era bruna la sua pelle e come bruciava il

sole, e l'erba vizza di san Giovanni come odorava! Quanto tempo

era passato, da quale lontananza gli ribalenava davanti! Com'era

appassito presto ciò che poc'anzi fioriva ancora !

Lidia si drizzò lentamente, col viso trasformato, i suoi occhi

innamorati lo guardavano grandi e seri.

--Lasciami andare, Boccadoro, -- disse, --sono stata tanto tempo

con te. Oh, caro, caro!

Ogni giorno trovarono la loro ora segreta, e Boccadoro Si

lasciava guidare interamente dall'amante: quell'amore di

fanciulla lo rendeva meravigliosamente felice e lo commoveva.

Talvolta per un'ora intera ella non voleva far altro che tenere

le mani di lui nelle sue e guardarlo negli occhi, poi si

congedava con un bacio infantile. Altre volte baciava con

abbandono, insaziabile, ma non tollerava di essere toccata. Una

volta, arrossendo intensamente e con uno sforzo su se stessa,

nel desiderio di procurargli una grande gioia gli lasciò

contemplare un seno; lo estrasse timida dalla veste; quand'egli,

in ginocchio, L'ebbe ba-ciato, lo ricoperse con cura, sempre

rossa fino ai capelli.

Parlavano anche, ma in un modo nuovo, non più come il primo

Page 74: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

giorno; inventavano nomi l'uno per l'altro, ella gli raccontava

volentieri della sua infanzia, dei suoi sogni e dei suoi giochi.

Spesso parlava anche di quel loro amore, che le sembrava

ingiusto, poiché egli non poteva sposarla; ne parlava triste e

rassegnata e adornava il suo amore col segreto di quella

tristezza come un velo nero. Per la prima volta Boccadoro si

sentiva non solo desiderato, ma amato da una donna.

Un giorno Lidia disse: --Sei tanto bello e sembri tanto sereno,

ma in fondo ai tuoi occhi non c'è serenità, c'è solo tristezza;

come se i tuoi occhi sapessero che la felicità non esiste, che

ogni cosa bella e cara non rimane a lungo presso di noi. Tu hai

gli occhi più belli che ci possano essere e i più tristi. Credo

che sia perché non hai patria.

Sei venuto a me dai boschi, un giorno riprenderai il tuo cammino

e tornerai a dormire sul musco e a vagare per il mondo... Ma la

mia patria dov'è? Quando partirai, avrò bensì ancora un padre e

una sorella, una camera ed una finestra, dove sedere pensando a

te; ma una vera patria non l'avrò più.

Egli la lasciava dire, a volte sorrideva, a volte rimaneva

turbato. Non la consolava mai con parole, solo con lievi

carezze, tenendo la testa di lei sul suo petto e mormorando

sommesso magici suoni vuoti di senso, come quelli che le nutrici

mormorano ai bimbi per acquetarli, quando piangono.

Un giorno Lidia disse: -- Vorrei un pò sapere, Boccadoro, che

cos'avverrà di te; tante volte ci penso. Non avrai una vita

comune né facile. Ah, pur che ti vada bene!

Qualche volta penso che dovresti diventar poeta, uno che ha

soglli e visioni e sa esprimerli bene. Ah, tu girerai tutto il

mondo, e tutte le donne ti ameranno, ma tu resterai solo.

Ritorna piuttosto al convento dall'amico di cui mi hai

raccontato tante cose! Io pregherò per te, perché tu non debba

un giorno morire solo nel bosco.

Così parlava talvolta, seria e pensosa, gli occhi smarriti. Ma

poi sapeva ridere ancora e cavalcare con lui per la campagna

nell'autunno avanzato, o proporgli indovinelli scherzosi e

tempestarlo di fronde secche e di ghiande lucenti.

Una sera Boccadoro era nel suo letto, in attesa del sonno. Il

suo cuore era greve: greve e forte gli pulsava nel petto, con

una sensazione dolce e dolorosa, traboccante d'amore,

traboccante di tristezza e di perplessità.

Sentiva il vento novembrino scuotere il tetto; era ormai

abituato ad aspettare a lungo prima che giungesse il sonno.

Recitava fra sé, come soleva ogni sera, un inno a Maria:

Tota pulchra es, Maria

Et macula originalis non es in te.

Tu laetitia Israel,

Tu advocata peccatorum!

L'inno penetrava nella sua anima con la sua musica placida,

mentre fuori cantava il vento, cantava del peregrinar senza

pace, della foresta, dell'autunno, della vita dei vagabondi.

Page 75: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Egli pensava a Lidia e pensava a Narciso e a sua madre; gonfio

ed oppresso era il suo cuore inquieto.

A un tratto sussultò e sbarrò gli occhi incredulo: la porta

della camera s'era aperta, nel buio entrava una figura avvolta

in una lunga camicia bianca, entrava silenziosa Lidia, a piedi

nudi sull'impiantito, chiudeva piano la porta e si metteva a

sedere sul suo letto.

--Lidia -- bisbigliò lui, -- colombina mia, mio fiorellino

bianco! Lidia, che fai?

--Vengo da te, -- rispose, -- solo per un momento.

Voglio vedere una volta come sta nel suo lettino il mio

Boccadoro, il mio cuor d'oro.

Si coricò accanto a lui e rimasero in silenzio, mentre i loro

cuori battevano forte. Ella si lasciò baciare, lasciò che le

mani di lui giocassero ammirate con le sue membra: di più non

era permesso. Dopo un poco allontano

dolcemente da sé quelle mani, lo baciò sugli occhi, si alzò

tacita e sparì. La porta cigolò, nell'armatura del tetto il

vento scricchiolava. Tutto era pieno di magia, di mistero,

di ansietà, di promessa, di minaccia. Boccadoro non sapeva

quel che pensasse o facesse. Quando dopo un assopimento

inquieto si ridestò, il suo guanciale era bagnato di lacrime.

Ritornò dopo alcuni giorni, il dolce fantasma bianco, e rimase

presso di lui un quarto d'ora, come la prima volta. Cinta dalle

sue braccia, gli sussurrava all'orecchio: aveva tante cose da

dire, che le facevano pena. Egli l'ascoltava affettuoso,

sostenendo il corpo di lei col braccio sinistro e carezzandole

con la destra le ginocchia.

-- Mio Boccadoro, --diss'ella con voce smorzata e con la bocca

sulla guancia di lui, -- è così triste che io non possa

diventare mai tua! Non durerà più a lungo la nostra piccola

felicità, il nostro piccolo segreto. Giulia ha già qualche

sospetto, presto mi costringerà a rivelarglielo. Oppure se

n'accorgerà il babbo. Se egli mi trovasse qui vicino a te, mio

uccellino d'oro, la tua Lidia la vedrebbe brutta; se ne

rimarrebbe con gli occhi pieni di lacrime a guardar su verso gli

alberi e vedrebbe il suo diletto, appeso là in alto, ciondolare

al vento. Ah, senti, fuggi piuttosto, fuggi subito, prima che

mio padre ti faccia legare e impiccare.

Ho già visto impiccare un uomo, un ladro. Non voglio veder te,

fuggi piuttosto e dimenticami; pur che tu non debba morire.

Doruccio, che gli uccelli non vengano a beccare i tuoi occhi

azzurri! Ma no, mio tesoro, non devi andartene... ah, che farò

se mi lasci sola?

--Non vuoi venire con me, Lidia? Fuggiamo insieme, il mondo è

grande!

-- Sarebbe molto bello, -- disse lei con voce dolente, -- ah,

tanto bello percorrere con te il mondo intero! Ma non posso. Non

posso dormire nel bosco e vivere da vagabonda e avere fili di

paglia nei capelli; non posso.

E non posso nemmeno disonorare mio padre... No, non dir nulla,

non sono immaginazioni. Non posso! Non sarei capace come non

Page 76: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

potrei mangiare in un piatto sudicio o dormire nel letto di un

lebbroso. Ahimè, a noi è vietato tutto ciò che sarebbe buono e

bello, noi due siamo nati per soffrire. Doruccio, mio povero

piccolo, dovrò finire col vederti impiccato. Ed io, io verrò

rinchiusa e poi mandata in un convento. Mio caro, devi lasciarmi

e tornar a dormire con le zingare e con le contadine. Ah, va, va

prima che ti prendano e ti leghino! Non saremo mai felici, mai.

Egli le sfiorava lieve le ginocchia e tentando una delicata e

intima carezza chiedeva: --Fiorellino mio, potremmo essere tanto

felici! Non me lo permetti?

Ella respinse la mano di lui, senza indignazione ma con forza, e

si scostò un poco.

--No, -- disse, --- no, questo non ti è permesso. A me è

proibito. Tu, piccolo zingaro, forse non lo capisci.

Io faccio male, sono una ragazza cattiva, io reco disonore a

tutta la casa. Ma in qualche segreto recesso della mia anima

sono ancora fiera, e là nessuno può entrare.

Devi lasciarmi questo, altrimenti non potrò più venire qui in

camera tua.

Egli non avrebbe mai trasgredito un divieto, un desiderio, un

cenno suo. Era meravigliato egli stesso di quanto potere ella

avesse su di lui. Ma soffriva. I suoi sensi restavano inappagati

e il suo cuore si ribellava spesso con violenza a quella

soggezione. Talvolta si sforzava di liberarsi. Talvolta faceva

la corte con ricercata galanteria alla piccola Giulia; e del

resto era assolutamente necessario mantenere buoni rapporti con

questa persona importante, ingannandola fin dov'era possibile.

Curiosa l'impressione che gli faceva questa Giulia, che ora

aveva l'ingenuità di una bambina e ora pareva onnisciente! Senza

dubbio era più bella di Lidia, era di una bellezza non comune, e

questa, unita con quella sua ingenuità infantile un pò saccente,

aveva per Boccadoro una grande attrattiva: spesso era vivamente

innamorato di Giulia. E proprio da questa forte attrattiva che

la sorella esercitava sui suoi sensi, egli riconosceva spesso

con stupore la differenza fra la brama e l'amore. Da principio

aveva guardato le due sorelle con gli stessi occhi, entrambe gli

erano parse appetibili, ma Giulia più bella e più seducente; ad

entrambe senza distinzione aveva fatto la corte, da entrambe non

aveva tolto gli occhi di dosso. Ma poi quale potere aveva

acquistato Lidia su di lui! Ormai egli l'amava tanto, da

rinunciare per amore perfino a possederla interamente. L'anima

della fanciulla gli si era rivelata e gli era diventata cara:

nell'infantilità, nella tenerezza, nell'inclinazione alla

tristezza pareva simile alla sua; spesso era profondamente

stupito e incantato nel constatare come quell'anima

corrispondesse al corpo che l'ospitava; qualunque cosa Lidia

facesse, qualunque desiderio o giudizio esprimesse, la sua

parola e l'atteggiamento della sua anima erano perfettamente

improntati al taglio dei suoi occhi e alla forma delle sue dita!

Questi momenti, in cui egli credeva di scorgere le forme

fondamentali e le leggi secondo cui era plasmato l'essere di

Page 77: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Lidia, anima e corpo, avevano spesso suscitato in Boccadoro il

desiderio di fissare e riprodurre qualcosa di quella figura; e

aveva tentato di disegnare a memoria, con tratti di penna, sopra

foglietti che teneva ben celati, il profilo della sua testa, la

linea delle sue sopracciglia, la sua mano, il suo ginocchio.

Con Giulia la situazione s'era fatta un pò critica.

Evidentemente ella intuiva l'ondata d'amore in cui nuotava la

sorella maggiore, e i suoi sensi si volgevano pieni di curiosità

e di desiderio a quel paradiso, senza che il suo intelletto

caparbio volesse ammetterlo. A Boccadoro mostrava una freddezza

e un'avversione esagerata, ma nei momenti d'oblio poteva

guardarlo con ammirazione e cupida curiosità. Con Lidia era

spesso molto affettuosa, talvolta andava perfino a trovarla nel

letto e respirava allora con segreta avidità nella zona

dell'amore e del sesso, sfiorando maliziosa il mistero proibito

e vagheggiato. Altre volte invece lasciava capire in modo quasi

offensivo che sapeva del fallo segreto di Lidia e lo

disprezzava. Provocante e perturbatrice, la bella e capricciosa

creatura guizzava fra i due amanti come una fiamma irrequieta;

nei sogni avidi gustava furtivamente della loro intimità, ora si

fingeva ignara, ora lasciava scorgere una pericolosa con-

- sapevolezza; in brevissimo tempo s'era trasformata da una

bambina in una potenza. Chi ne soffriva di più era Lidia;

Boccadoro, fuorché ai pasti, vedeva di rado la piccola.

Lidia inoltre non poteva non accorgersi che Boccadoro non era

insensibile alle grazie di Giulia, talvolta vedeva lo sguardo di

lui posarsi sulla sorella con un godimento pieno

d'ammirazione non osava dir nulla, tutto era così scabroso, così

pericoloso! Specialmente non bisognava contrariare e offendere

Giulia; ah, ogni giorno ed ogni ora.

-il loro amore poteva essere scoperto e la loro felicità, così

difficile e inquieta. avere una fine, forse terribile.

A volte Boccadoro si meravigliava di non essersene andato da un

pezzo. Era difficile vivere così come viveva allora: amato, ma

senza speranza, né di una felicità per-messa e durevole, né di

quei facili appagamenti, a cui erano stati fino allora abituati

i suoi desideri amorosi; con gli istinti sempre eccitati e

affamati, ma non mai placati, e per di più in continuo pericolo.

Perché rimaneva lì e sopportava tutto, tutte quelle

complicazioni e quei sentimenti aggrovigliati ? Non erano

sentimenti, esperienze e stati d'animo da sedentari, da

legittimi, da gente amante delle stanze riscaldate? Non aveva

egli il diritto del vagabondo senza esigenze, di sottrarsi a

quelle complicate delicatezze e di ridersene? Sì, aveva questo

diritto, ed era un pazzo a cercare lì una specie di patria e a

pagarla con tante sofferenze, con tanti imbarazzi. E tuttavia lo

faceva e soffriva, soffriva volentieri, e in cuor suo si sentiva

felice. Era sciocco e diffficile, complicato e faticoso vivere

in quel modo, eppure era una meraviglia! Meravigliosa era la

tristezza cupa e pur bella di quell'amore, la sua follia senza

speranza; belle quelle notti insonni, con la mente agitata e col

cuore oppresso; bello e delizioso tutto, come l'espressione

Page 78: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

dolorosa delle labbra di Lidia, come il suono perduto,

rassegnato della sua voce, quando parlava del suo amore e della

sua ansia. In poche settimane quell'espressione di dolore s'era

diffusa sul suo volto giovanile, e gli era diventata consueta;

Boccadoro avrebbe tanto voluto ritrarre le linee di quel volto;

e sentiva che anch'egli in quelle poche settimane era diventato

diverso e più uomo: non più saggio di prima, ma più esperto; non

più felice, ma più maturo e più ricco nell'anima. Non era più un

ragazzo.

Con la sua voce dolce e smarrita Lidia gli diceva: --

Non devi esser triste, non devi esserlo per causa mia; io vorrei

solo farti lieto e vederti felice. Perdonami d'averti reso

triste, d'averti comunicato la mia ansia e la mia pena!

Di notte faccio sogni così strani! Cammino sempre in un deserto,

così vasto e così tetro che non so dire; cammino e cammino e ti

cerco, ma tu non ci sei e io so che ti ho perduto e che sempre,

sempre dovrò andare così, sola. Poi, quando mi sveglio, penso:

oh gioia! oh meraviglia! egli è qui, lo vedrò ancora, forse per

qualche settimana, forse per qualche giorno, non importa, ma è

ancora qui!

Una mattina Boccadoro si destò nel suo letto poco dopo l'alba e

rimase un pezzo a meditare, mentre ancora gli aleggiavano

intorno, sconnesse, le immagini d'un sogno.

Aveva sognato di sua madre e di Narciso: vedeva ancora

distintamente le due figure. Quando si fu liberato dalle fila

del sogno, lo colpì una luce strana, un chiarore nuovo, che

entrava dalla stretta apertura della finestra.

Balzò in piedi e corse al davanzale: vide questo il tetto della

scuderia, L'ingresso del cortile e tutta la campagna fuori

risplender bianchi azzurrognoli nel manto della prima neve

dell'anno. Lo colpì il contrasto fra l'inquietudine del suo

cuore e la placida rassegnazione del mondo invernale: come campi

e boschi, colli e lande s'abbandonavano tranquilli, con

mansuetudine commovente, al sole al vento, alla pioggia, alla

siccità, alla neve; con che dolce e bella pazienza aceri e

frassini portavano il loro carico invernale! Non era possibile

divèntar come loro, imparare da loro? Uscì pensieroso nel

cortile, guazzò nella neve, la tastò con le mani, passò nel

giardino e guardò di là dalla siepe imbiancata, ai rosai curvi

sotto l'insolito peso.

A colazione mangiarono una minestra di farina; tutti parlavano

della prima neve, tutti, anche le ragazze erano già state fuori.

Quell'anno la neve giungeva tardi, era già vicino Natale. Il

cavaliere raccontava dei paesi del Sud, dove la neve non cadeva

mai. Ma ciò che doveva rendere indimenticabile a Boccadoro quel

primo giorno d'inverno accadde quando già s'era fatta notte da

un pezzo.

Le due sorelle quel giorno avevano avuto un litigio, di cui

Boccadoro non sapeva nulla. La notte, quando tutta la casa fu

immersa nel silenzio e nella tenebra, Lidia venne da lui come al

solito, gli si mise accanto senza dir parola e gli appoggiò la

testa sul petto, per sentir battere il suo cuore e per attinger

Page 79: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

conforto dalla sua vicinanza.

Era turbata e inquieta, temeva che Giulia la tradisse, ma non

sapeva decidersi a parlarne al suo diletto e a metterlo in

ansia. Giaceva così silenziosa sul cuore di lui, lo udiva

sussurrare di tanto in tanto qualche parolina affettuosa e

sentiva la sua mano fra i capelli.

Ma a un tratto - non era ancor passato molto tempo - ella

sussultò atterrita e si drizzò a sedere con gli occhi sbarrati

Anche Boccadoro si spaventò non poco, quando vide aprirsi la

porta della camera ed entrare una figura, che nello sgomento non

riconobbe subito. Solo quando l'apparizione fu vicina al letto e

si chinò sopra. di esso, vide col cuore oppresso che era Giulia.

Ella scivolò fuori da un mantello, gettato sopra la semplice

camicia, e lo lasciò cadere in terra Con un gemito, come se

avesse ricevuto una coltellata, Lidia ricadde indietro,

aggrappandosi a Boccadoro.

Giulia, con un tono di scherno e di gioia maligna, ma con voce

malsicura, disse: -- Non mi piace restare in camera così sola. O

mi prendete con voi e stiamo a letto in tre, o vado a svegliare

il babbo.

-- Ma sì, vieni pure, -- disse Boccadoro gettando indietro la

coperta. --Altrimenti ti gelano i piedi. -- Ella salì sul

lettino stretto ed egli riuscì a farle un pò di posto a stento,

perché Lidia aveva affondato il viso nel cuscino e giaceva

immobile. Alfine furono coricati tutti e tre, Boccadoro con una

fanciulla per parte, e per un momento egli non poté esimersi dal

pensare quanto quella situazione, solo poco tempo prima, avrebbe

corrisposto ai suoi desideri. Con una strana inquietudine, ma

con segreta voluttà, sentiva il contatto dei fianchi di Giulia.

-- Dovevo pur vedere una volta, -- ricominciò lei, --

come si sta nel tuo letto, che mia sorella visita tanto

volentieri.

Boccadoro per acquetarla le sfiorò i capelli con la guancia e

con mano lieve le carezzò le anche e le ginocchia, come si fa

con un gattino; ed ella s'abbandonò tacita e curiosa a quella

mano tentatrice, avvinta e raccolta ne sentì il fascino, non

oppose resistenza. Intanto però, durante questa specie di

scongiuro, egli si preoccupava di Lidia, le mormorava

all'orecchio le consuete, sommesse note d'amore, inducendola

così a poco a poco a sollevare almeno il viso e a volgerlo verso

di lui. Allora, senza far rumore, le baciò la bocca e gli occhi,

mentre dall'altra parte la sua mano teneva la sorella sotto

l'incantesimo, e la coscienza di quanto fosse penosa e bizzarra

tutta la situazione cresceva in lui fino a diventare

insopportabile.

Quella mano gl'insegnava tante cose! Mentre faceva conoscenza

con le belle membra di Giulia, immobili nelL'attesa, egli

sentiva per la prima volta non solo la bellezza senza speranza

del suo amore per Lidia, ma anche il lato ridicolo di esso. Egli

avrebbe dovuto, così gli pareva mentre con le labbra sfiorava

Lidia e con là mano Giulia, avrebbe dovuto costringere Lidia a

darglisi, oppure proseguire per il suo cammino. Amarla e

Page 80: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

rinunciare a lei era stata un'assurdità e un'ingiustizia.

--Cuor mio, --le sussurrò all'orecchio, --noi soffriamo delle

pene inutili. Come potremmo esser felici tutti e tre! Facciamo

dunque quello che vuole il nostro sangue!

Ella si ritrasse con orrore e la brama di lui cercò rifugio

presso la sorella; questa, lusingata dalla sua mano, rispose con

un lungo sospiro tremante di voluttà.

A quel sospiro, il cuore di Lidia si contrasse di gelosia come

se vi avessero stillato dentro veleno. Ella si rizzò a un

tratto, gettò via le coperte, balzò in piedi ed esclamò: --

Giulia, andiamo!

Giulia trasalì; la violenza incauta di quel grido, che poteva

tradirli tutti, bastò a mostrarle il pericolo; s'alzò in

silenzio.

Ma Boccadoro, offeso e deluso in tutti i suoi istinti,

L'abbracciò in fretta, la baciò e le sussurrò con ardore: --

Domani, Giulia, domani!

Lidia attendeva ritta e scalza, mentre le dita dei piedi le si

contraevano per il freddo sul pavimento di pietra.

Raccolse da terra il mantello di Giulia e glielo avvolse intorno

alle spalle, con un gesto umile e sofferente, che malgrado

l'oscurità non sfuggì all'altra, la commosse e la conciliò. Le

due sorelle guizzarono via dalla camera, tacite e furtive.

Boccadoro le seguì con l'orecchio, combattuto da opposti

sentimenti, e respirò quando la casa risprofondò nel silenzio.

Così i tre giovani, dopo essere stati insieme in una situazione

strana e contro natura. si ritrovarono soli e pensosi; giacché

anche le due sorelle, raggiunta la loro camera, non si sentirono

di venire ad una spiegazione, ma rimasero sveglie ciascuna nel

suo letto, silenziose e sdegnose.

Pareva che uno spirito di sventura e di contraddizione, che il

demone dell'assurdità, dell'isolamento e dello smarrimento si

fosse impadronito della casa. Boccadoro s'addormentò solo dopo

mezzanotte, Giulia verso il mattino.

Lidia rimase desta ed angustiata finché la luce scialba del

giorno si diffuse sopra la neve. Tosto s'alzò, si vestì, s'in-

ginocchio davanti al suo piccolo Redentore di legno e pregò a

lungo; appena udì sulle scale il passo di suo padre, uscì e gli

chiese un colloquio. Senza tentar di distinguere fra la

preoccupazione per la virtù adolescente di Giulia e la propria

gelosia, s'era risolta a por fine ad ogni cosa. Boccadoro e

Giulia dormivano ancora, che già il cavaliere sapeva tutto ciò

che Lidia aveva creduto di comunicargli. Della partecipazione di

Giulia all'avventura non aveva detto nulla.

Quando Boccadoro si presentò nello studio all'ora consueta, vide

che il cavaliere, di solito intento alle sue scritture, in

scarpe da casa e abito di feltro, s'era messo gli stivali, la

giubba ed aveva cinto la spada; capì subito di che si trattava.

--Mettiti il berretto,--disse il cavaliere,--debbo fare un giro

con te.

Boccadoro prese dal chiodo il berretto e seguì il suo signore

giù per le scale, attraverso il cortile e fuori del portone. Le

Page 81: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

loro suole scricchiolavano sulla neve lievemente gelata, in

cielo indugiava ancora l'aurora. Il cavaliere precedeva in

silenzio, il giovane seguiva, volgendo più volte gli occhi

indietro verso il castello, verso la finestra della sua camera,

verso il tetto ripido, coperto di neve, finché tutto scomparve e

non poté scorgere più nulla.

Mai più avrebbe riveduto quel tetto e quelle finestre, mai più

quello studio e quella camera da letto, mai più le due sorelle.

Da tempo s'era abituato all'idea di una partenza improvvisa,

tuttavia il cuore gli si stringeva dolorosamente. Quel distacco

gli riusciva amaro, gli faceva male.

Camminarono così per un'ora, il signore davanti, entrambi senza

parlare. Boccadoro cominciò a pensare al suo destino. Il

cavaliere era armato, forse lo avrebbe ucciso. Ma egli non ci

credeva. Il pericolo era minimo; non aveva che da scappare e il

vecchio sarebbe rimasto là con la sua spada, senza poter far

nulla. No, la sua vita non era in pericolo. Ma quell'andare così

in silenzio dietro quell'uomo solenne e offeso, quell'esser

condotto via così, senza una parola, gli diventava di passo in

passo più penoso. Finalmente il cavaliere s'arrestò.

--Ora continuerai solo,--disse con voce spezzata,--

sempre in questa direzione, e riprenderai la tua vita di

vagabondo, alla quale eri già abituato. Se dovessi un giorno

ricomparire nelle vicinanze della mia casa, saresti ucciso. Non

voglio vendicarmi; avrei dovuto essere più prudente e non

lasciare un uomo così giovane a contatto con le mie figliole. Ma

se tu osassi ritornare, la tua vita sarebbe perduta. E ora va,

che Dio ti perdoni!

Rimase così, e nella luce scialba del mattino nevoso il suo viso

incorniciato dalla barba grigia sembrava spento.

Rimase come un fantasma e non si mosse, fin che Boccadoro fu

scomparso dietro la cresta del primo colle. I bagliori rosati

nel cielo nuvoloso erano svaniti; il sole non spuntò, cominciò a

nevicare lentamente a piccoli fiocchi esitanti.

INDEX

Page 82: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO IX

Boccadoro conosceva la regione, percorsa tante volte a cavallo:

sapeva ch-di là dalla palude gelata c'era un granaio del

cavaliere, e più oltre una casa colonica, dove era conosciuto;

in uno di questi due luoghi avrebbe potuto sostare e pernottare.

Per dopo avrebbe provveduto il domani. A poco a poco lo

riprendeva quel senso della libertà e della terra straniera, a

cui da qualche tempo s'era disabituato. Molto allettante non

era, la terra straniera, in quella giornata d'inverno gelida e

accigliata, sapeva di stento, di fame, di tribolazione, e

tuttavia dalla sua vastità, dalla sua grandezza ed inesorabile

asperità veniva al cuore viziato e sconvolto di Boccadoro un

suono ras-sicurante e quasi di conforto.

Camminò finché fu stanco. ``Ho ormai finito d'andare a cavallo"

pensò. Oh, mondo immenso! La neve cadeva rada, lontano i dossi

selvosi e le nubi si confondevano in un solo grigiore; regnava

un silenzio immobile e infinito, fino in capo all'universo. Che

n'era mai di Lidia, di quel povero timido cuore? Gli faceva

tanta pena; pensava a lei con tenerezza, mentre, seduto in mezzo

alla palude deserta, sostava sotto un frassino brullo e

solitario.

Infine il freddo lo cacciò via; s'alzò con le gambe irrigidite,

le costrinse a poco a poco ad un passo di marcia; la scarsa luce

della giornata fosca pareva già declinare.

Nella lunga corsa per la campagna deserta gli vennero meno i

pensieri. Non era più il caso di pensare o di col-tivar

sentimenti, per quanto dolci e belli fossero; bisognava mantener

caldo il corpo, raggiungere un asilo per la notte, sopravvivere

in quel freddo inospitale, come una martora o una volpe, e

possibilmente non morire subito lì nell'aperta campagna; tutto

il resto non era importante.

Credette d'udire in lontananza uno scalpitar di cavallo e si

guardò attorno stupito. Possibile che lo inseguissero?

Afferrò il piccolo coltello da caccia che teneva in tasca e

preparò aperto il fodero di legno. In quel momento scorse il

cavaliere e riconobbe da lontano un cavallo della stalla del suo

signore, che puntava ostinatamente su di lui. Fuggire sarebbe

stato inutile, rimase dunque in attesa, senza vera e propria

paura, ma con ansiosa curiosità e con un certo batticuore.

Un'idea fulminea gli traversò la mente: "Se riuscissi ad

uccidere questo cavaliere, sarei un signore avrei un cavallo e

mi sentirei padrone del mondo!". Ma quando nel cavaliere

riconobbe il giovane stalliere Gianni con quegli occhi azzurri

chiari come l'acqua e con quei viso di buon ragazzo impacciato,

non poté fare a meno dl ridere; per ammazzare quel caro e buon

figliolone, bisognava avere un cuore di sasso! Lo salutò con

cordialità e salutò anche affettuosamente il cavallo Annibale

che lo riconobbe subito; gli accarezzò il collo umido e caldo.

-- Dove vai, Gianni? -- domandò.

-- Da te, -- rise il ragazzo coi denti brillanti. -- Hai già

fatto un bel pezzo di strada! Ecco, non posso fermarmi, debbo

Page 83: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

solo salutarti e consegnarti questo.

-- Salutarmi da parte di chi?

-- Della signorina Lidia. Una bella giornata ci hai procurato,

magister Boccadoro! Sono contento di essermela svignata per un

poco. Ma il signore non deve accorgersi che sono uscito, e con

questa commissione! Mi costerebbe la testa! Prendi dunque!

Gli porse un pacchetto, che Boccadoro ritirò.

-- Dì, Gianni, non hai in tasca per caso un pezzo di pane?

Dammelo!

--Pane? Una crosta debbo avercela ancora.-- Si frugò nelle

tasche e ne cavò fuori un pezzo di pan nero. Poi fece per

ripartire.

--E che cosa fa la signorina? -- domandò Boccadoro.

--Non ti ha incaricato di nulla? Non hai una letterina?

--Nulla. L'ho veduta un momento solo. Temporale in casa, sai; il

signore corre in su e in giù, come re Saul.

Dunque, ho da consegnarti codesto pacchetto, null'altro.

Debbo tornare indietro.

-- Senti ancora un momento solo! Tu, Gianni, non potresti

cedermi il tuo coltello da caccia ? Io ne ho uno piccolo. Se

vengono i lupi, o che so io... sarebbe meglio che avessi in mano

qualcosa di solido.

Ma di questo Gianni non volle assolutamente sapere.

Gli rincresceva moltissimo che potesse capitar qualcosa a

magister Boccadoro, ma il suo coltello, no, non lo avrebbe

ceduto mai, neanche per denaro, neanche in cambio d'un altro, oh

no, glielo avesse chiesto perfino santa Genoveffa! Ecco, e ora

doveva andare, e gli augurava buona fortuna, e gli rincresceva

tanto.

Si strinsero la mano, il ragazzo ripartì a cavallo, Boccadoro lo

seguì con gli occhi e con una strana sensazione di dolore al

cuore. Poi sciolse l'involto, rallegrandosi della bella cinghia

di cuoio con cui era legato. Dentro trovò un giubbetto a maglia

di lana grigia e forte, evidentemente un lavoro che Lidia aveva

fatto per lui; e, ben avvolto nella lana, c'era anche qualcosa

di duro, un pezzo di prosciutto, e nel prosciutto era aperta una

piccola fessura, in cui stava un ducato d'oro lucente. Di

scritto nulla. Boccadoro rimase lì nella neve, coi doni di Lidia

in mano, perplesso, poi si tolse la giacca e s'infilò il

giubbetto di lana: teneva un bel caldo gradevole. Rimise in

fretta la giacca, nascose la moneta d'oro nella tasca più

sicura, si allacciò la cinghia intorno e continuò il suo cammino

attraverso i campi; era ora di raggiungere un luogo di sosta, si

sentiva stanco. Ma dal contadino non voleva andare, sebbene là

avrebbe avuto più caldo e certo anche del latte; non aveva

voglia di chiacchierare e di essere interrogato. Passò la notte

nel granaio e il mattino per tempo riprese la marcia, sospinto

dal freddo e dal vento gelido. Per molte notti sognò il

cavaliere e la sua spada e le due sorelle; per molti giorni la

solitudine e la tristezza gli oppressero il cuore.

Una delle notti seguenti trovò asilo in un villaggio presso

poveri contadini, che non avevano pane ma una zuppa di miglio.

Page 84: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Qui l'aspettavano nuove esperienze. La contadina di cui era

ospite partorì nella notte e Boccadoro assistette: eran corsi a

chiamarlo sul suo pagliericcio, perché prestasse aiuto; in

realtà non trovò altro da fare che tener il lume mentre la

levatrice s'affaccendava.

Era la prima volta ch'egli assisteva ad un parto; fissava con

occhi ardenti e stupiti il volto della donna e si sentì

arricchito a un tratto di una nuova esperienza. Ciò che scorse

in quel volto di partoriente parve almeno a lui degno del più

vivo interesse. Alla luce della fiaccola di pinastro, mentre

osservava con grande curiosità il volto della donna in preda

alle doglie, ebbe una rivelazione inattesa: le linee di quel

volto contratto che gridava erano ben poco dissimili da quelle

ch'egli aveva viste in altri volti di donne nel momento

dell'ebbrezza d'amore! L'espressione della grande sofferenza nel

volto umano era più violenta e più sfigurante che l'espressione

di un grande godimento... ma in fondo non era diversa: lo stesso

contrarsi in una specie di smorfia, lo stesso accendersi e

spegnersi. Questa rivelazione, che dolore e piacere potessero

essere simili come fratelli, lo sorprese in modo strano, senza

che ne comprendesse il perché.

Qualcos'altro ancora gli capitò in quel villaggio. Per amor di

una vicina, incontrata la mattina dopo la notte del parto e che

rispose subito all'interrogazione dei suoi occhi innamorati,

rimase un'altra notte nel villaggio e rese felice la donna,

poiché era la prima volta dopo tanto tempo, dopo tutti gli amori

eccitanti delle ultime settimane e le loro delusioni, che il suo

istinto si trovava di nuovo appagato. Quell'indugio condusse a

una nuova vicenda; perché il giorno seguente nello stesso

villaggio incontrò un compagno, un perticone avventuroso di nome

Vittore, dall'aspetto fra il prete e il brigante, che lo salutò

con squarci di latino e si presentò per un goliardo vagante,

quantunque l'età dello studente l'avesse passata da un pezzo.

Quest'uomo dalla barbetta aguzza salutò dunque Boccadoro con una

certa cordialità e con quel gaio spirito del vagabondo, che

conquistò subito il giovane camerata. Alla sua domanda dove

fosse stato scolaro e qual meta avesse il suo viaggio, il

curioso fratello esclamò:

--Di accademie ne ho frequentate abbastanza, per l'anima mia

poveretta; sono stato a Colonia ed a Parigi, e sulla metafisica

della salsiccia di fegato poche volte furono dette cose così

sostanziali come le esposi io nella mia tesi di laurea a Leida.

Da allora, amica, corro come un misero porco per le terre

tedesche, con la cara anima torturata da fame e sete

incommensurabili; sono chiamato lo spauracchio dei contadini, e

la mia professione è d'insegnare il latino alle donne giovani e

di far passare per incanto le salsicce dal camino nel mio

ventre. La mia meta è il letto della moglie del sindaco, e, se

non sarò mangiato prima dalle cornacchie, difficilmente mi sarà

risparmiato l'obbligo di dedicarmi alla fastidiosa carriera

dell'arcivescovo. Ma è meglio, mio piccolo collega, vivere

giorno per giorno, e in fin dei conti un arrosto di lepre non

Page 85: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

s'è mai sentito così bene come nel mio povero stomaco. Il re di

Boemia è mio fratello, e il padre di noi tutti nutre lui come

me; il più però lo lascia fare a me, e l'altro ieri, spietato

come sono i padri, voleva adoperarmi malamente per salvare la

vita a un lupo semi-affamato. Se non avessi ammazzato la belva,

signor collega, non ti sarebbe mai toccato l'onore di fare la

mia simpatica conoscenza. In saecula saeculorum, amen.

Boccadoro, ancora poco avvezzo a quell'allegria disperata e al

latino dei goliardi vaganti, aveva una certa paura di quel lungo

tanghero ispido e delle risate poco gradevoli con cui

accompagnava i propri scherzi; tuttavia c'era in quel vagabondo

indurito alle fatiche qualcosa che gli piaceva; e si lasciò

facilmente persuadere a continuare il cammino insieme, perché,

vera o sballata che fosse la storia del lupo ammazzato, in ogni

caso in due si era più forti e c'era meno da temere. Ma prima di

proseguire, frate Vittore voleva parlar latino coi contadini,

come diceva lui, e prese alloggio nella modesta casa d'uno di

loro. Egli non faceva come aveva fatto fino allora Boccadoro

nelle sue peregrinazioni, quand'era stato ospite nei casolari o

nei villaggi; egli girava di capanna in capanna, attaccava

discorso con ogni donna, ficcava il naso in ogni stalla e in

ogni cucina e non pareva disposto a lasciar la borgata prima che

ciascuna casa gli avesse pagato il suo tributo. Raccontava ai

contadini della guerra in Italia e cantava presso il focolare la

canzone della battaglia di Pavia, raccomandava alle nonne rimedi

contro la gotta e contro la caduta dei denti, pareva che sapesse

tutto, che fosse stato dappertutto, e intanto si riempiva la

camicia sopra la cintura, fino a farla scoppiare, di pezzi di

pane, di noci, di fette di pera regalate. Boccadoro lo guardava

stupito compiere instancabile la sua campagna e ora spa-ventare

la gente, ora conquistarla con le lusinghe, far lo spaccone per

sbalordire, storpiar latino e atteggiarsi a scienziato,

impressionare con un linguaggio pittoresco e impudente da

ciurmatore, e, intanto che raccontava o spacciava discorsi

eruditi, registrarsi con gli occhi acuti e vigili ogni volto,

ogni cassetto che si apriva, ogni scodella e ogni pagnotta.

Boccadoro s'accorgeva ch'era un vagabondo navigato e scaltrito,

un uomo che aveva molto veduto e vissuto, che aveva patito la

fame e il freddo e nella dura lotta per una misera vita

pericolante s'era fatto accorto e sfrontato. Tali dunque

diventavano quelli che vivevano a lungo da vagabondi, sarebbe un

giorno divenuto anch'egli così?

L'indomani si misero in cammino e per la prima volta Boccadoro

sperimentò il vagabondaggio in due. Dopo tre giorni di marcia in

comune, aveva imparato diverse cose da Vittore. L'abitudine

divenuta istinto di riferir tutto ai tre grandi bisogni del

vagabondo.- assicurarsi contro il pericolo della vita, trovare

un asilo per la notte e procurarsi il cibo - aveva insegnato

molte cose a quell'uomo che girava il mondo da tanti anni.

Riconoscere la vicinanza di abitazioni umane dai segni meno

appariscenti, anche d'inverno, anche di notte, ed esplorare

palmo a palmo ogni angolo di bosco e di campagna in cerca di un

Page 86: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

luogo adatto per sostare o per dormire, fiutare istantaneamente,

appena varcata la soglia di una stanza, il grado di benessere o

di miseria del proprietario, come pure il grado del suo buon

cuore, o della sua curiosità, o della sua paura: eran tutte arti

in cui Vittore era diventato maestro. E così istruiva spesso il

suo giovane compagno Un giorno questi gli rispose che a lui non

piaceva avvicinarsi alla gente con riflessione così calcolata e

che, sebbene non conoscesse tutte quelle arti, poche volte alla

sua preghiera cortese gli era stato negato il diritto

d'ospitalità; il lungo Vittore si mise a ridere e gli disse in

tono bonario: -- Vedi, piccolo Boccadoro, a te può darsi che

vada bene, sei giovane, bello e hai un aspetto così innocente,

ch'è un ottimo biglietto d'alloggio. Piaci alle donne, e gli

uomini pensano: << O Dio, costui è innocuo, costui non fa male a

nessuno! ". Ma guarda, fratellino, che si diventa vecchi, che

sulla faccia da bambino cresce la barba e si formano le rughe,

che i pantaloni si lacerano, e all'improvviSo ci s'accorge

d'essere ospiti brutti e sgraditi, e invece della giovinezza e

dell'innocenza non parla più dagli occhi che la fame: allora uno

dev'essersi indurito e aver imparato qualcosa dal mondo,

altrimenti ben presto giace sul letamaio e i cani gli orinano

addosso. Del resto, non mi pare che tu sia destinato a

girovagare un pezzo, hai mani troppo fini e riccioli troppo

belli, tornerai ad appiattarti in qualche luogo dove si vive più

comoda-mente, in un dolce e tiepido talamo, o in un bel

conventino grasso, o in uno studio ben riscaldato. Vesti anche

abiti così eleganti, che ti si potrebbe prendere per un giovane

gentiluomo.

E ridendo sempre, passò la mano sui vestiti di Boccadoro; questi

la sentì cercare e tastare su tutte le tasche e le cuciture; si

ritrasse, pensando al suo ducato. Raccontò del soggiorno in casa

del cavaliere e come avesse guadagnato il bell'abito-scrivendo

latino. Ma Vittore volle sapere perché aveva lasciato un nido

così caldo proprio nel cuore del rigido inverno, e Boccadoro,

non abituato a mentire, gli narrò un poco delle due figlie del

cavaliere.

Scoppiò allora il primo dissidio fra i due compagni. Vittore

dichiarava che Boccadoro era stato un asino senza pari ad

andarsene così e ad abbandonare il castello con le ragazze al

buon Dio. Bisognava rimediare, ci avrebbe pensato lui. Avrebbero

ricercato il castello, naturalmente Boccadoro non doveva farsi

vedere, ma lasciasse pur provvedere a lui. Bastava che scrivesse

una letterina a Lidia, così e così, e con questa egli, Vittore,

sarebbe andato al castello e, per le ferite del Redentore, non

ne sarebbe uscito senza portar fuori qualcosa di denaro e di

viveri.

E via dicendo. Boccadoro protestò e finì con l'andar sulle

furie; si rifiutò di ascoltare una parola di più su

quell'argomento o di rivelare al compagno il nome del cavaliere

e la via per arrivare a lui.

Vittore, vedendolo così adirato, tornò a ridere e prese un fare

bonario.

Page 87: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

--Bè, -- disse, -- non romperti i denti! lo ti dico solo che ci

lasci sfuggire un buon bottino, ragazzo mio, e questo in verità

non è molto gentile e collegiale da parte tua. Ma tu non vuoi,

basta, tu sei un nobiluomo, ritornerai a cavallo nel tuo

castello e ti sposerai la signorina! Ragazzo, quante nobili

sciocchezze hai per la testa!

Bè, andiamo pure avanti e geliamoci le dita dei piedi!

Boccadoro rimase di cattivo umore e taciturno fino a sera, ma,

poiché in quel giorno non avevano trovato alcuna abitazione o

traccia d'uomo, fu grato a Vittore quando lo vide cercare un

posto per passar la notte e costruire fra due tronchi sul

margine del bosco una specie di riparo allestendo un giaciglio

di rami d'abete accatastati. Mangiarono pane e formaggio dalle

tasche piene di Vittore, Boccadoro si vergognò della sua collera

e si mostrò gentile e servizievole; offerse al compagno la sua

giacca di lana per la notte e stabilirono insieme di far la

guardia a turno, per via degli animali; e Boccadoro volle

vegliare per primo, mentre l'altro si coricava sui rami d'abete.

Rimase a lungo appoggiato a un tronco di pino, senza muoversi,

per non impedire all'altro di addormentarsi. Poi cominciò a

camminare in su e in giù, perché aveva freddo.

E percorse così distanze sempre maggiori, mentre vedeva le cime

degli abeti puntarsi aguzze contro il cielo pallido e sentiva

con solennità e con un poco d'inquietudine il silenzio profondo

della notte invernale e il battito solitario del suo cuore caldo

e vivo nella quiete fredda e muta; poi, ritornando senza far

rumore, ascoltava il respiro del compagno dormiente. Più forte

che mai lo penetrò il sentimento del vagabondo, che non ha

costruito mura di case, di castelli o di conventi fra sé e la

grande paura, che cammina solo soletto per il mondo

incomprensibile ed ostile, solo fra le stelle fredde e beffarde,

fra gli animali in agguato, fra gli alberi pazienti e fermi.

No, pensava, egli non sarebbe mai diventato come Vittore, anche

se avesse continuato per un pezzo la vita del girovago. Quel

modo di difendersi dall'ignoto spaventoso non avrebbe potuto

impararlo, né quell'insinuarsi astuto e furtivo, e neppure quel

genere di buffoneria chiassosa e sfacciata, quell'allegria

disperata e parolaia del fanfarone. Forse quell'uomo accorto e

sfrontato aveva ragione, forse Boccadoro non sarebbe diventato

mai del tutto simile a lui, un vero e proprio giramondo, e un

giorno si sarebbe rincantucciato entro delle mura. E tuttavia

sarebbe rimasto sempre senza patria e senza meta, non si sarebbe

sentito mai veramente protetto e sicuro, il mondo lo avrebbe

sempre circondato con la sua bellezza enigmatica e inquietante,

sempre egli avrebbe dovuto tender l'orecchio a quel silenzio, in

mezzo al quale il battito del cuore era così timido e fragile.

Poche stelle si scorge-vano in cielo; non un alito di vento; ma

in alto le nubi parevano agitate.

Dopo parecchio tempo Vittore si svegliò - egli non aveva voluto

destarlo - e lo chiamò.

--Vieni, -- gridò, -- ora devi dormire tu, altrimenti domani non

sei in gamba.

Page 88: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Boccadoro ubbidì, si coricò sul giaciglio e chiuse gli occhi.

Era stanco, ma non dormì: lo tenevano desto i pensieri, e oltre

ai pensieri un senso che non confessava a se stesso, un senso

d'inquietudine e di diffidenza, che gl'ispirava il suo compagno.

Gli pareva incomprensibile di aver potuto parlare di Lidia a

quell'uomo rozzo dal riso sguaiato, a quel burlone, a quello

sfacciato mendicante!

Era irritato contro di lui e contro se stesso e andava pensando

al modo e all'occasione migliori di separarsi da lui.

Doveva però essersi un poco assopito, perché sussultò sorpreso

nel sentire su di sé le mani di Vittore, che gli tastavano caute

i vestiti. In una tasca aveva il suo coltello, nell'altra il

ducato; Vittore avrebbe senza dubbio rubato l'uno e l'altro, se

li avesse trovati. Egli finse di dormire, si girò e rigirò come

in preda al sonno, agitò le braccia e Vittore si ritirò.

Boccadoro rimase irritatissimo contro di lui e decise di

lasciarlo l'indomani.

Ma quando, forse un'ora dopo, Vittore si chinò di nuovo sopra

Boccadoro e ricominciò a tastare, quegli divenne freddo

dall'ira. Senza muoversi aprì gli occhi e disse con disprezzo: -

- Vattene ora, qui non c'è nulla da rubare.

Nello spavento del sentirsi apostrofato, il ladro afferrò il

collo di Boccadoro e cominciò a stringere. Poiché questi si

difendeva e si ribellava, L'altro strinse più forte,

inginocchiandoglisi sul petto. Boccadoro, che non poteva più

respirare, si dibatteva violentemente con tutto il corpo, ma,

non riuscendo a liberarsi, fu colto a un tratto dal terrore

della morte, che lo rese chiaro ed accorto. Mise la mano in

tasca, estrasse, mentre l'altro continuava a stringere, il

piccolo coltello da caccia e lo inferse bruscamente e alla

cieca, più volte, nell'individuo inginocchiato sopra di lui.

Dopo un momento le mani di Vittore si al-lentarono, Boccadoro

respirò e tirando il fiato profondamente, assaporò la sua vita

salva Cercò allora d'alzarsi e il lungo corpo del compagno s

abbatté su di lui floscio e molle, con un terribile gemito,

mentre il suo sangue inondava il volto di Boccadoro. Allora

finalmente questi riuscì a levarsi in piedi. E nella grigia

luce notturna vide il lungo compagno stramazzato al suolo;

quando fece per toccarlo, le sue dita guazzarono nel sangue. Gli

alzò il capo, ma esso ricadde pesante e molle come un sacco.

Dal petto e dal collo continuava a grondar sangue, dalla bocca

la vita se ne andava in gemiti vaghi, sempre più fiochi.

"Ora ho ammazzato un uomo" pensò Boccadoro: e continuò a

ripeterselo, mentre, inginocchiato sul morente, vedeva

diffonderglisi sul volto il pallore. -- Cara Madre di Dio, ora

l'ho ucciso, -- sentì la sua voce mormorare.

Improvvisamente gli divenne insopportabile rimanere in quel

luogo. Raccolse il suo coltello, lo asciugò nella maglia che

l'altro indossava e ch'era stata lavorata-dalle mani di Lidia

per il suo diletto, lo ripose nel fodero di legno, quindi in

tasca, balzò in piedi e corse via con quanta forza aveva nei

Page 89: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

garretti.

La morte dell'allegro goliardo gli pesava sull'anima; appena fu

giorno, si lavò via con la neve, rabbrividendo, tutto il sangue

che aveva versato e vagò ancora un giorno e una notte senza meta

e in preda all'angoscia. Ma infine la sofferenza del corpo lo

scosse e pose termine al suo pentimento affannoso.

Sperduto nella regione deserta e sepolta sotto la neve, senza

tetto, senza via, senza cibo e quasi senza sonno, egli si trovò

in grave angustia: la fame urlava nel suo corpo come una belva

feroce; più d'una volta si gettò per terra esausto in mezzo alla

campagna, chiuse gli occhi e si diede perduto, non aveva più

altro desiderio che di addormentarsi e morire nella neve. Ma poi

si sentiva di nuovo sospinto innanzi e correva avido e disperato

in cerca della vita, e nella miseria più penosa lo ristorava e

lo inebriava la forza insensata e selvaggia di chi non vuol

morire, la straordinaria potenza del puro e semplice istinto

della vita. Dal ginepro coperto di neve coglieva con le mani

livide dal gelo le piccole bacche inaridite e masticava quel

cibo crudo e amaro, mescolato con gli aghi degli abeti; aveva un

sapore aspro ed eccitante; poi ingoiava neve a manate per

placar la sete. Ansante, soffiandosi sulle mani irrigidite,

sedeva in cima a un colle per una breve sosta e scrutava avido

da ogni parte: nulla si vedeva fuor che landa e selva, nessuna

traccia d'uomo.

Qualche cornacchia volava sopra di lui, egli le seguiva con lo

sguardo irato. No, non dovevano averlo in pasto, no, fin tanto

che un resto di forza gli rimaneva nelle gambe e una scintilla

di calore nel sangue. S'alzava e riprendeva la gara inesorabile

con la morte. Correva e correva e nella febbre dell'esaurimento

e dell'ultimo sforzo strani pensieri s'impossessavano di lui;

teneva folli dialoghi con se stesso, ora taciti, ora ad alta

voce Parlava con Vittore l'ucciso, gli parlava aspro e beffardo!

" Bè, o astuto fratello, come va? Ti splende la luna attraverso

alle budella giovanotto, ti tiran le orecchie le volpi? Dici

d'aver ucciso un lupo? Gli hai morsicato la gola o gli hai

strappato la coda eh? Volevi rubare il mio ducato, vecchio

ingordo!

Ma guarda un pò, il piccolo Boccadoro ti ha sorpreso, eh vecchio

mio, e ti ha fatto solletico alle costole? E avevi ancora tutti

i sacchi pieni di pane, di salsiccia e di formaggio, porco,

mangione! " Simili discorsi scherzosi sputava e abbaiava per

conto suo, ingiuriava il morto, trionfava di lui, lo scherniva

per essersi lasciata ammazzare, il babbeo, lo stupido spaccone!

Ma poi i suoi pensieri ed i suoi discorsi s'allontanavano dal

povero e lungo Vittore. E si vedeva davanti Giulia, la bella

piccola Giulia, così come l'aveva lasciata quella notte; le

gridava un'infinità di parole tenere e cercava di sedurla con

moine insensate e spudorate: che venisse da lui, che si

lasciasse cadere la camicina, che salisse con lui in cielo,

un'ora ancora prima della morte, un momentino prima ch'egli

crepasse miseramente. Parlava, supplichevole e provocante, coi

piccoli seni di lei, con le sue gambe, con la peluria bionda e

Page 90: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

crespa sotto le sue ascelle.

Poi, mentre procedeva rigido e inciampando nell'erica secca e

coperta di neve, ebbro di sofferenza, trionfante grazie al

divampare a sprazzi della bramosia di vivere, ricominciava a

bisbigliare; e allora parlava con Narciso e gli comunicava le

sue nuove idee, la sua nuova sapienza, i suoi scherzi.

" Hai paura, Narciso, " gli diceva " hai orrore, hai veduto

qualcosa? Sì, reverendo, il mondo è pieno di morte, pieno di

morte; essa sta su ogni siepe, dietro ogni albero e non vi giova

costruir mura e dormitori e cappelle e chiese, essa guarda

dentro dalla finestra e ride e conosce perfettamente ciascuno di

voi, nel cuor della notte la sentite ridere dietro le vostre

finestre e pronunciare i vostri nomi Cantate pure i vostri salmi

e bruciate per bene le candele sull'altare e recitate i vostri

vespri e i vostri mattutini e raccogliete erbe nel laboratorio e

raccogliete libri nella biblioteca! Digiuni, amico? Ti privi del

sonno?

Ti aiuterà ben lei, madonna Morte, e ti priverà di tutto, fino

alle ossa. Corri, carissimo, corri in fretta, là sul campo c'è

il babau, corri e tieni bene insieme le ossa, vogliono

staccarsi, non rimarranno con noi Ah, le nostre povere ossa! Ah,

la nostra povera gola e il nostro stomaco! Ah, quel povero

briciolo di cervello che abbiamo sotto il cranio! Tutto se

n'andrà, tutto al diavolo, sull'albero stanno le cornacchie, le

brutte tonache nere. "

Per un pezzo il misero errante non seppe più dove andasse, dove

fosse, che dicesse, se giacesse per terra o stesse in piedi.

Cadeva sui cespugli, correva contro gli alberi, precipitava

nella neve e fra le spine. Ma l'istinto in lui era forte e lo

spingeva avanti, continuamente, nella sua fuga cieca. Quando

stramazzò per l'ultima volta e rimase disteso per terra, era

nello stesso piccolo villaggio dove alcuni giorni prima aveva

incontrato il goliardo vagante, dove di notte aveva tenuto la

fiaccola di pinastro sopra la donna partoriente. Là rimase

disteso e la gente accorse e fece circolo intorno e chiacchierò;

egli non udiva più nulla. La donna che gli aveva concesso il suo

amore lo riconobbe e si spaventò vedendolo in quello stato, ebbe

compassione di lui, lasciò gridare il marito e trascinò

Boccadoro mezzo morto nella stalla.

Non passò molto tempo che Boccadoro fu di nuovo in gamba e

pronto a riprendere il cammino. Il calore della stalla, il

sonno, e il latte di capra, che la donna gli portava da bere,

gli ridiedero la coscienza e il vigore; solo che tutto quanto

gli era capitato in quegli ultimi tempi si era come allontanato

in un passato remoto. La marcia con Vittore, la notte fredda e

paurosa nel bosco sotto quegli abeti, la lotta terribile sul

giaciglio, la morte spaventosa del compagno, i giorni e le notti

di freddo, di fame e di delirio, tutto era ormai lontano, quasi

dimenticato; ma dimenticato non era, solo superato, solo

passato. Qualcosa rimaneva che non si poteva esprimere, qualcosa

di terribile e anche di prezioso, qualcosa di sprofondato ma

d'inobliabile, un'esperienza, un gusto sulla lingua, un cerchio

Page 91: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

intorno al cuore. In due anni appena egli aveva conosciuto sino

in fondo la gioia e il dolore della vita vagabonda: la

solitudine, la libertà, L'ansioso tender l'orecchio ai rumori

della foresta e degli animali, L'amore girovago e infedele,

L'amarezza spesso mortale degli stenti. Per giornate intere era

stato ospite dei campi estivi, giornate e settimane aveva

passato nella foresta, giornate nella ne-ve, giornate

nell'attesa paurosa della morte e nella vicinanza della morte, e

di tutte queste esperienze la più forte, la più strana era stata

quella di difendersi contro la morte, di sapersi piccolo, misero

e minacciato, eppure di sentire in sé nell'ultima lotta

disperata quella forza bella e terribile, quella meravigliosa

tenacità della vita. Questo aveva lasciato un'eco, questo gli

era rimasto scritto nel cuore, come i gesti e le espressioni

della voluttà, ch'eran così simili a quelli di una partoriente e

di un morente.

Come aveva gridato e contratto il viso quella partoriente, e

com'era stramazzato il compagno Vittore, versando a fiotti il

suo sangue, così rapido e silenzioso! Oh, ed egli stesso come

aveva sentito la morte in agguato intorno a sé nei giorni di

fame, e che male gli aveva fatto la fame, e che freddo aveva

avuto, che freddo! E come aveva lottato contro la morte, che

colpi le aveva dato, con quale angoscia e con quale irata

voluttà s'era difeso! Gli pareva che dopo queste esperienze non

ci fosse più gran che da imparare. Con Narciso avrebbe forse

potuto parlarne, con nessun altro.

Quando Boccadoro, sul suo pagliericcio nella stalla, ritornò per

la prima volta completamente in sé, s'accorse che non aveva più

il ducato in tasca. L'aveva forse perduto nella marcia

spaventosa, barcollante e quasi incosciente dell'ultima

giornata di fame? Ci pensò e ripensò a lungo. Quel ducato gli

era caro, non voleva darlo perduto. Il denaro per lui non aveva

molta importanza, egli non ne conosceva quasi il valore. Ma

quella moneta d'oro gli era preziosa per due ragioni. Era

l'unico regalo di Lidia che gli fosse rimasto, perché la giacca

di lana era là con Vittore nella foresta, inzuppata di sangue. E

poi era stata proprio quella moneta d'oro ch'egli non aveva

voluto lasciarsi rubare, per essa si era difeso contro Vittore,

per essa, posto alle strette, lo aveva ucciso. Se ora il ducato

era perduto, tutta l'avventura di quella notte orrenda perdeva

in certo modo ogni senso e ogni valore. Dopo aver riflettuto a

lungo, fece le sue confidenze alla contadina.

-- Cristina, -- le sussurrò, -- io avevo in tasca una moneta

d'oro ed ora non c'è più.

--Ah, te ne sei accorto? --fece lei con un sorriso singolarmente

affettuoso e furbo insieme; egli ne rimase così incantato, che

non ostante la debolezza le gettò le braccia al collo.

--Che curioso ragazzo sei mai, -- disse la donna con tenerezza,-

-così intelligente e fine, e al tempo stesso così stupido! Si

gira il mondo con un ducato sciolto nella tasca aperta? O

bambino, caro pazzerello! La tua moneta d'oro la trovai io,

Page 92: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

appena ti ebbi coricato qui sulla paglia.

-- Tu? E dov'è ora?

--Cercala, --rispose quella ridendo; e lo lasciò cercare davvero

un bel pò, prima di mostrargli il punto della giacca dove glielo

aveva solidamente cucito. Aggiunse una buona dose di consigli

materni, ch'egli s'affrettò a dimenticare; ma non dimenticò quel

servizio d'amore e quel sorriso furbo e bonario nel volto di

contadina. Fece di tutto per mostrarle la sua gratitudine, e,

quando dopo breve tempo fu di nuovo in grado di marciare e volle

riprendere il cammino, ella lo trattenne, perché in quei giorni

cambiava la luna e certo il tempo si sarebbe fatto più mite.

Così avvenne. Quand'egli ripartì, la neve giaceva sul suolo

grigia e malata, L'aria era pregna d'umidità, in alto si sentiva

gemere il vento australe.

INDEX

Page 93: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO X

Il ghiaccio ricominciò a spingere i fiumi in basso, sotto le

foglie morte tornarono ad olezzar le viole, Boccadoro riprese la

sua corsa in mezzo all'alternarsi vivace delle stagioni, si

riempì gli occhi insaziabili di boschi di monti e di nubi,

camminò di casolare in casolare, di villaggio in villaggio, di

donna in donna, più d'una volta nella sera fresca sedette col

cuore oppresso e triste ai piedi d'una finestra illuminata, il

cui rosso bagliore irradiava, dolce e irraggiungibile per lui,

tutto ciò che poteva esservi sulla terra di felicità, di calore

domestico, di pace. Tutto si ripeteva ciò ch'egli credeva ormai

di conoscere bene, eppure tutto a ogni ritorno appariva diverso:

il lungo vagare per campi e lande o per strade sassose, il

dormire d'estate nella foresta, il gironzolar nei villaggi

dietro le schiere delle giovanette, che tenendosi per mano

ritornavano a casa dopo aver voltato il fieno o colto i luppoli,

il primo brivido dell'autunno, i primi freddi cattivi... tutto

ritornava, una volta, due volte, e il nastro variopinto scorreva

davanti ai suoi occhi infinito.

Molte piogge e molte nevi eran cadute su Boccadoro, quando un

giorno, salito su per un bosco di faggi diradato ma già verde

di tenere gemme, dall'alto della cresta di un monte vide

stendersi dinanzi a sé un nuovo paesaggio, che rallegrò i suoi

occhi e suscitò nel suo cuore un'ondata di presentimenti, di

desideri e di speranze. Da giorni egli si sapeva vicino a questa

regione e l'aspettava; in quell'ora meridiana essa lo sorprese e

ciò che l'occhio raccolse in quel primo incontro confermò e

rafforzò le sue aspettative. Fra i tronchi grigi e i rami

lievemente ondeggianti vide giù una valle bruna e verde, in

mezzo alla quale luccicava vitreo e azzurrognolo un grande fiume

Ormai, egli lo sapeva, era finito per un pezzo quel girovagare

senza strade per regioni tutte landa, foresta e solitudine, dove

solo di rado si poteva incontrare un casolare o un piccolo

povero villaggio. Laggiù scorreva il fiume e lo fiancheggiava

una delle strade più belle e più celebri della Germania, laggiù

c'era un paese ricco e ubertoso, là navigavano zattere e barche

e la strada conduceva a bei villaggi, castelli, conventi e

ricche città, e chi voleva poteva viaggiare per giorni e

settimane su quella strada, senza temere ch'essa si perdesse a

un tratto, come le misere straducole di campagna, in una selva

o in un'umida palude. Veniva qualcosa di nuovo e Boccadoro se ne

rallegrò.

Già la sera di quel giorno era in un bel villaggio, sulla strada

maestra tra il fiume e i rossi vigneti; le graziose travature

delle case a comignolo eran dipinte di rosso, c'erano portoni

d'ingresso a volta e viottoli di pietra in scalinata, una fucina

gettava sulla strada rosso baglior di fuoco e sonori rintocchi

d'incudine. Il nuovo arrivato si aggirò curioso in ogni via e in

ogni angolo, fiutò alle porte delle cantine l'odor di botti e di

vino e sulla riva del fiume il profumo fresco dell'acqua che sa

di pesce, osservò la casa di Dio e il camposanto e non mancò di

Page 94: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

guardarsi attorno in cerca d'un buon granaio, dove salire

eventualmente per la notte. Prima però volle provare a chieder

cibo nella casa parrocchiale. Trovò un parroco grassotto, con la

testa rossa, che lo interrogò e al quale, con alcune omissioni e

con un pò di fantasia, egli raccontò la sua vita; dopo di che fu

accolto gentilmente, nutrito di buon cibo e di buon vino, e

dovette passar la sera in lunghi conversari col sacerdote. Il

giorno dopo continuò il suo viaggio sulla strada che seguiva il

fiume. Vide zattere e barconi, raggiunse veicoli, alcuni lo

raccolsero per un tratto, e le giornate primaverili fuggivano

rapide e fitte d'immagini, L'ospitavano villaggi e cittadine,

sorridevano donne dietro siepi e giardini o, inginocchiate sulla

terra bruna, attendevano alla piantagione, e a sera cantavano

fanciulle per le strade dei villaggi.

In un mulino una servetta gli piacque tanto, che rimase due

giorni sul luogo a farle la corte. Ella rideva e chiacchierava

volentieri e a lui pareva che la più bella cosa sarebbe stata

diventar garzone mugnaio e rimanere sempre là. Sedeva coi

pescatori, aiutava i carrettieri a dar da mangiare ai cavalli ed

a strigliarli, riceveva in compenso pane e carne e il permesso

di viaggiare con loro. Dopo tanta solitudine quel mondo

socievole di gente che viaggiava, dopo tanto meditar fra sé e

sé quella serenità in mezzo a uomini loquaci e soddisfatti, dopo

tanta indigenza quel saziarsi ogni giorno di cibo abbondante,

gli faceva bene, e si lasciava portar volentieri da quell'onda

lieta.

Essa lo prendeva con sé, e più s'avvicinava alla città vescovile

più la strada si faceva popolosa ed allegra.

Un giorno ch'era in un villaggio, sull'imbrunire andò a fare una

passeggiata in riva al fiume, sotto gli alberi già coperti di

foglie. L'acqua scorreva calma e maestosa, sotto le radici delle

piante rumoreggiava e gemeva la corrente, su dal colle sorgeva

la luna, gettando luci sul fiume ed ombre sotto gli alberi.

Trovò una ragazza seduta che piangeva: aveva litigato con

l'innamorato, che se n'era andato, lasciandola sola. Boccadoro

le si sedette accanto e ascoltò i suoi lagni, le accarezzò la

mano, le raccontò della foresta e dei caprioli, la consolò un

poco, riuscì a farla sorridere, finché ella accettò anche un

bacio. Ma a questo punto ritornò l'amato bene a cercarla; si era

calmato e pentito del litigio. Appena vide Boccadoro seduto

accanto alla ragazza, si lanciò su di lui coi pugni tesi e

quegli ebbe da fare a difendersi; finalmente però Boccadoro mise

l'avversarlo fuori combattimento e il giovanotto corse al

villaggio imprecando; la ragazza era scappata da un pezzo.

Boccadoro, che non aveva troppa fiducia nella pace, lascio in

asso il suo asilo notturno e proseguì il cammino per metà della

notte al chiaro di luna, in un mondo di argento e di silenzio,

contento, lieto delle sue gambe ro-buste, fin che la rugiada gli

lavò via dalle scarpe la polvere bianca ed egli, stanco a un

tratto, si coricò sotto l'albero più vicino e s'addormentò. Era

giorno da un pezzo, quando lo svegliò un solletico sul volto,

Page 95: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

assonnato, vi passò sopra la mano e si riaddormentò; poco dopo

fu di nuovo svegliato dallo stesso solletico; era una ragazza di

contadini, che lo guardava e lo stuzzicava con la punta dl un

salciuolo. Egli s'alzò barcollando, si sorrisero ed ella lo

condusse in una rimessa, dove si poteva dormir meglio.

Lì dormirono un poco l'uno accanto all'altra, poi ella corse via

e ritornò con un secchiello di latte, ancora caldo della mucca.

Egli le donò un nastro azzurro per i capelli, che aveva trovato

poco prima lungo la strada e s'era messo in tasca, si baciarono

ancora una volta, poi egli ripartì.

La ragazza si chiamava Francesca; gli rincrebbe d'abbandonarla.

La sera di quel giorno trovò asilo in un convento; la mattina

assistette alla messa; il cuore gli si gonfiò stranamente di

mille ricordi, L'aria fredda della pietra, spirante dalle volte,

sapeva di patria e lo commoveva, come il rumore dei sandali

sugl'impiantiti. Finita la messa e fattosi silenzio nella chiesa

del convento, Boccadoro rimase in ginocchio, con una strana

agitazione in cuore; di notte aveva fatto molti sogni. Sentiva

il desiderio di sgravarsi in qualche modo del suo passato, di

mutar vita in qualche modo, non sapeva perché; forse lo

commoveva solo il ricordo di Mariabronn e della sua gioventù

pia. Sentì il bisogno di confessarsi e di purificarsi; aveva

tanti piccoli peccati, tanti piccoli vizi, ma più grave di tutto

gli pesava sulla coscienza la morte di Vittore, perito per ma-no

sua. Trovò un padre e gli fece la sua confessione, parlò di

questo e di quello, ma sopra tutto delle coltellate nel collo e

nella schiena del povero Vittore, Oh, da quanto tempo non si

confessava! Il numero e la gravità dei suoi peccati gli parevano

notevoli, era pronto ad accettare una severa penitenza. Ma il

confessore pareva conoscere la vita del vagabondo; non

inorridì, ascoltò tranquillo, biasimò e ammonì serio e benevolo,

senza pensare a condanna.

Boccadoro s'alzò alleggerito, recitò all'altare le orazioni

prescrittegli dal padre e già stava per lasciare la chiesa,

quando un raggio di sole penetrò dalla finestra nel tempio;

egli lo seguì con lo sguardo e vide allora in una cappella

laterale una figura, che gli parlò e lo attirò

straordinariamente; si volse ad essa con occhi innamorati e la

contemplò con devota e profonda commozione. Era una Madre di Dio

in legno; la delicata soavità con cui stava china, il modo come

il manto azzurro le cadeva giù dalle spalle esili, com'ella

stendeva la mano fine e virginea, come gli occhi brillavano e la

bella fronte s'incurvava sopra una bocca dolorosa, tutto questo

era così vivo, così bello, profondo e animato, come gli pareva

di non aver veduto mai. Non si saziava di contemplare quella

bocca, quel movimento dolce e affettuoso del collo. Gli pareva

di vedere là realizzato qualcosa che già tante e tante volte

aveva veduto nei sogni e nei presentimenti, a cui tante e tante

volte aveva anelato. Si voltava per andarsene, ma poi era

costretto a tornare indietro.

Quando finalmente volle andare davvero, si trovò alle spalle il

padre, da cui s'era confessato.

Page 96: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

--Ti sembra bella? --domandò amichevolmente.

--Ineffabilmente bella, -- rispose Boccadoro.

--Molti lo dicono, -- disse il sacerdote. -- Altri invece

sostengono che non è una vera Madre di Dio, che è troppo moderna

e mondana e che tutto è esagerato e non è vero Si sentono molte

dispute in proposito. A te piace dunque, sono contento. Si trova

solo da un anno nella nostra chiesa, L'ha donata un benefattore

del nostro convento fatta da maestro Nicola.

--Maestro Nicola? Chi è, dov'è? Lo conoscete? Oh, vi prego,

ditemi qualcosa di lui! Dev'essere un uomo meravigliosamente

dotato chi sa creare un'opera simile.

--Non so molto di lui. intagliatore in legno nella nostra città

vescovile, a una giornata di viaggio da qui, e ha gran fama come

artista. Gli artisti di solito non sono santi, e anch'egli

probabilmente non lo è, ma un uomo dotato e di grande ingegno,

certo. Io l'ho veduto qualche volta...

--Oh, L'avete veduto! Oh, che aspetto ha?

--Figlio mio, mi sembri addirittura entusiasta di lui.

Ebbene, va a cercarlo e portagli un saluto di padre Bonifacio.

Boccadoro ringraziò con effusione. Il padre se n'andò

sorridendo, egli invece rimase ancora a lungo davanti a quella

figura misteriosa, il cui petto sembrava respirasse e nel cui

volto c'erano insieme tanto dolore e tanta dolcezza, ch'egli si

sentiva stringere il cuore.

Uscì dalla chiesa trasformato, i suoi passi lo portarono in un

mondo completamente mutato. Dal momento in cui aveva ammirato la

dolce e santa figura di legno, Boccadoro possedeva quello che

non aveva posseduto mai, che tante volte aveva deriso negli

altri, oppure invidiato: una meta! Aveva una meta e forse

l'avrebbe raggiunta, e allora forse tutta la sua vita dissoluta

avrebbe acquistato un alto significato e un valore. Questo nuovo

sentimento lo penetrava di gioia e di timore e gli dava ali ai

piedi.

La bella e allegra strada maestra su cui camminava non era più

quello ch'era stata il giorno innanzi, un teatro festoso ed una

comoda dimora, non era più che una strada, la via che conduceva

alla città, la via che conduceva al maestro. Egli correva

impaziente. Giunse prima ancora di sera, vide spiccar le torri

dietro le mura, vide stemmi scolpiti ed insegne dipinte sopra

la porta, entrò col cuore palpitante, senza quasi badare al

chiasso e al lieto tumulto delle strade, ai cavalieri in sella,

ai carri e alle carrozze.

Cavalieri e cocchi, città e vescovo non gl'importavano.

Alla prima persona che incontrò sotto la porta domandò dove

abitava maestro Nicola, e rimase molto deluso che quella non ne

sapesse nulla.

Giunse in una piazza circondata di case fastose, molte delle

quali eran dipinte od ornate di decorazioni plastiche.

Sopra la porta d'una di esse stava grande e pomposa la figura di

un lanzichenecco, a colori forti e brillanti. Non era bella come

la figura che aveva veduto in quella chiesa di convento, ma

aveva un certo atteggiamento e un modo di gonfiare i polpacci e

Page 97: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

di sporgere innanzi il mento barbuto, che Boccadoro pensò

potesse essere dello stesso maestro. Entrò nella casa, bussò a

diverse porte, salì scale... finalmente s'imbatté in un signore

vestito di velluto con risvolti di pelliccia e gli domandò dove

poteva trovare maestro Nicola. Che mai voleva da lui? domandò il

signore di rimando; e Boccadoro riuscì a stento a dominarsi e a

rispondere solo che aveva una commissione da fargli. Il signore

gli disse allora il nome della via dove abitava il maestro, e

quando Boccadoro, a forza di domandare, riuscì a trovarla, s'era

fatta notte. Affannato ma felice, si fermò dinanzi alla casa del

maestro, guardò su alle finestre e poco mancò che non corresse

dentro. Ma gli venne in mente ch'era già tardi, ch'egli era

tutto su-dato e impolverato dalla marcia della giornata, si

dominò e attese Ma rimase ancora a lungo davanti alla casa.

Vide una finestra illuminarsi e, proprio quando si voltava per

andarsene, scorse una figura che s'avvicinava al davanzale, una

bellissima fanciulla bionda, coi capelli illuminati dalla luce

mite della lampada che pendeva dietro di lei.

La mattina dopo, quando la città si ridestò e ricominciarono i

suoi mille rumori, Boccadoro si lavò viso e mani, nel convento

dov'era stato ospite quella notte, si scosse la polvere dai

vestiti e dalle scarpe, ricercò la via del maestro e bussò al

portone di casa. Venne una domestica, che non voleva introdurlo

subito, ma egli riuscì a intenerire la vecchia, finchè ella lo

condusse dentro. In una piccola sala, ch'era la sua officina,

stava il maestro in grembiule da lavoro: un uomo alto e barbuto,

che a Boccadoro parve avere quaranta o cinquant'anni. Egli

guardò il forestiero con gli occhi azzurri chiari e penetranti

e domandò brevemente che cosa desiderasse. Boccadoro riferì il

saluto del padre Bonifacio.

--Nient'altro?

-- Maestro, -- disse Boccadoro col fiato oppresso, --

ho visto là nel convento la vostra Madonna. Ah non guardatemi

così arcigno; null'altro che amore e venerazione mi conducono da

voi. Io non sono pauroso, ho vissuto a lungo da vagabondo, ho

sperimentato la foresta, la neve e la fame, non c'è uomo di cui

possa aver paura.

Ma di voi ho paura. Oh, ho un desiderio solo e grande che mi

riempie il cuore così da farmi male.

-- Che sorta di desiderio?

--Vorrei diventare vostro scolaro e imparare da voi.

-- Non sei il solo, giovanotto, ad avere questo desiderio. Ma a

me non piace tenere apprendisti e due aiutanti li ho già. Da

dove vieni tu, e chi sono i tuoi genitori?

--Non ho genitori, non vengo da nessun luogo. Fui scolaro in un

convento, dove imparai il latino e il greco poi scappai, e per

anni ed anni ho girato il mondo, fino a oggi.

--E perché pensi di diventare un intagliatore? Hai già provato a

far qualcosa di simile? Hai dei disegni?

-- Ho fatto molti disegni, ma non li ho più. Vi posso però dire

perché vorrei imparare quest'arte. Mi sono fatto molte idee, ho

Page 98: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

visto molti volti e molte figure, ci ho ripensato a lungo e

alcun: di questi pensieri hanno continuato a tormentarmi e non

mi hanno lasciato pace. Sono rimasto colpito nell'osservare come

in una figura ritorni sempre in tutte le sue parti una certa

forma, una certa linea, come una fronte corrisponda al

ginocchio, una spalla all'anca, e come tutto questo in fondo sia

una cosa sola con l'essenza e con l'anima dell'uomo, che ha quel

dato ginocchio, quella data spalla e quella fronte. E un'altra

cosa mi ha colpito, me n'accorsi una notte in cui dovetti

prestar aiuto presso una partoriente: che la massima sofferenza

e la suprema voluttà hanno un'espressione perfettamente simile.

Il maestro guardò lo straniero con occhio penetrante.

--Sai quello che dici?

-- Sì, maestro, lo so. Proprio questo fu ciò che trovai espresso

con mio sommo incanto e stupore nella vostra Madonna; per questo

sono venuto. Oh, su quel viso bello e soave c'è tanto dolore, ma

quel dolore s'è trasformato al tempo stesso in pura felicità e

in sorriso. Quando vidi quel volto, passò come una vampata nelle

mie membra, tutti i miei pensieri e i miei sogni di tanti anni

mi apparvero confermati e all'improvviso non furon più vani, io

seppi a un tratto quello che dovevo fare e dove dovevo andare.

Caro maestro Nicola, vi prego con tutto il cuore, lasciatemi

imparare da voi!

Nicola, senza mutare l'espressione arcigna del volto, aveva

ascoltato attentamente.

--Giovanotto,--disse,--tu sai parlare d'arte in mo-do

sorprendente, e mi stupisce anche che alla tua età tu possa dire

tante cose sulla voluttà e sulla sofferenza. Mi piacerebbe

discorrere una sera con te di queste cose davanti a un bicchier

di vino. Ma vedi: scambiare conversazioni piacevoli e

intelligenti non è lo stesso che vivere e lavorare insieme un

paio d'anni. Questa è un'officina e qui si lavora, non si

chiacchiera; qui non importa ciò che uno ha meditato e sa dire,

importa solo ciò che uno sa fare con le sue mani. Mi pare che le

tue intenzioni siano serie, perciò non voglio mandarti via così

senz'altro. Vediamo se sai fare qualche cosa. Hai già plasmato

con la creta o con la cera?

Boccadoro pensò subito a un sogno di molto tempo prima, in cui

aveva impastato con la creta delle figurine, che poi s'erano

alzate ed eran diventate giganti. Ma non ne disse nulla e

dichiarò che non s'era mai provato in simili lavori.

Bene. Allora disegnerai qualche cosa. Là c'è una tavola, vedi,

della carta e del carbone. Siediti e disegna; non aver fretta;

puoi rimanere fino a mezzogiorno o anche fino a sera. Forse

allora potrò vedere quali sono le tue attitudini. Ecco, ora

abbiamo parlato abbastanza; io vado al mio lavoro, tu va al tuo.

Boccadoro sedette sulla seggiola che Nicola gli aveva indicata,

davanti alla tavola da disegno. Non s'affrettò, prima stette ad

aspettare, quieto come uno scolaro timido, osservando con

affettuosa curiosità il maestro, che gli volgeva quasi le spalle

e continuava a lavorare a una figurina di creta. Guardava

attentamente quell'uomo che, nella testa severa e già un pò

Page 99: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

incanutita e nelle mani d'artefice, dure ma nobili e vive,

possedeva così meravigliose forze magiche. Aveva un aspetto

diverso da quello che Boccadoro s'era immaginato; più vecchio,

più modesto, più freddo, molto meno raggiante e cattivante, e

nient'affatto felice. Lo sguardo scrutatore, inesorabilmente

acuto, era rivolto in quel momento al suo lavoro, e Boccadoro,

liberato da esso, poteva abbracciare la figura del maestro in

ogni suo particolare. Quell'uomo, pensava, avrebbe potuto essere

anche uno scienziato, uno studioso taciturno e austero,

dedicatosi a un'opera che molti suoi predecessori avevano

iniziata e ch'egli doveva un giorno lasciare ai suoi posteri,

un'opera tenace, duratura, infinita, in cui eran raccolti il

lavoro e la dedizione di molte generazioni.

Questo almeno era ciò che l'osservatore leggeva nella testa del

maestro; molta pazienza, molto studio e riflessione, molta

modestia e conoscenza del dubbio valore d'ogni lavoro umano vi

stavano scritti, ma anche fede nel proprio compito. Il

linguaggio delle mani invece era diverso: fra esse e la testa

c'era un contrasto. Quelle mani s'affonda-vano nella creta che

plasmavano, con dita ferme ma sensibilissime, trattavano

l'argilla come le mani di un amante trattano la donna amata che

gli s'abbandona: innamorate, piene di un sentimento delicato e

vibrante, bramose, senza tuttavia far distinzione fra il

prendere e il dare, cupide e pie al tempo stesso, e sicure,

magistrali, come per antichissima e profonda esperienza.

Boccadoro osservava rapito e ammirato quelle mani benedette.

Avrebbe volentieri disegnato il maestro, se non ci fosse stato

quel contrasto

fra il volto e le mani, che lo paralizzava.

Dopo ch'ebbe contemplato per un'ora buona l'artista che lavorava

dinanzi a lui, cercando d'indagarne il mistero, un'altra

immagine cominciò a delinearsi nella sua anima e diventar

visibile, L'immagine dell'uomo ch'egli conosceva meglio di

tutti, che aveva molto amato e profondamente ammirato; e

quest'immagine era tutta d'un pezzo, senza contraddizioni,

quantunque avesse anch'essa varietà di tratti e rivelasse molte

lotte. Era l'immagine del suo amico Narciso. Sempre più si

concretava in unità e pienezza sempre più chiara si manifestava

la legge intima di quell'essere amato: la nobile testa foggiata

dallo spirito, la bella bocca serrata e l'occhio un pò triste

resi energici e aristocratici dall'assoluta dedizione allo

spirito, le spalle esili, il collo lungo, le mani delicate e

fini, animate dalla lotta per spiritualizzarsi. Da allora, da

quando s'era staccato dal convento, non aveva mai visto l'amico

con tanta chiarezza, non aveva mai posseduto in sé così completa

l'immagine di lui.

Come in sogno, senza volontà, eppure animato da una preparazione

e da una necessità intima, Boccadoro cominciò a disegnare cauto,

delineò con dita amorose e rispettose la figura che aveva in

cuore, e dimenticò il maestro, se stesso e il luogo dov'era. Non

s'accorse che la luce nella stanza si spostava a poco a poco,

che il maestro gli gettava di tanto in tanto un'occhiata. Come

Page 100: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

un atto di offerta eseguiva il compito che gli era toccato, che

il suo cuore gli aveva imposto: innalzare l'immagine dell'amico

e conservarla così, come viveva in quel momento nella sua anima.

Senza farci sopra dei pensieri, sentiva l'opera sua come il

pagamento di un debito, come un ringraziamento.

Nicola s'avvicinò alla tavola da disegno, dicendo: --E

mezzogiorno; io vado a tavola, puoi venire con me. Lascia

vedere... hai disegnato qualche cosa?

Si mise dietro a Boccadoro e gettò lo sguardo sul grande foglio

disegnato, poi, spingendo il giovane da una parte, lo prese con

cura fra le mani esperte. Boccadoro s'era destato dal suo sogno

e fissava il maestro con ansiosa aspettativa. Questi era là, col

disegno fra le mani, e l'osservava attentamente con lo sguardo

acuto dei suoi chiari occhi azzurri e severi.

--Chi è questo che hai disegnato? -- domandò dopo qualche tempo.

--E il mio amico, un giovane monaco ed erudito.

Bene, lavati le mani, là in cortile c'è la fontana. Poi andiamo

a mangiare. I miei aiutanti non sono qui, lavorano altrove.

Boccadoro ubbidì, trovò il cortile e la fontana, si lavò le mani

e chissà che cosa avrebbe dato per conoscere i pensieri del

maestro. Quando ritornò, questi era uscito; lo udì affaccendarsi

nella stanza accanto; poi ricomparve, s'era lavato anche lui e

invece del grembiule indossava una bella giubba di panno, che

gli dava un aspetto maestoso e solenne. Precedette Boccadoro su

per una scala con la balaustra di noce, le cui colonnette

portavano piccole teste d'angelo scolpite; attraversò un atrio

pieno di statue antiche e moderne ed entrò in una bella stanza

col pavimento, le pareti e il soffitto di legno duro;

nell'angolo della finestra c'era una tavola apparecchiata. Entrò

di corsa una giovinetta che Boccadoro riconobbe: era la bella

fanciulla della sera prima.

--Elisabetta, -- disse il maestro, -- devi mettere un posto di

più, ho condotto un ospite. E... veramente il suo nome non lo so

ancora.

Boccadoro lo disse.

--Boccadoro, dunque. Possiamo mangiare?

-- Subito, babbo.

La fanciulla mise un piatto, uscì e ritornò poco dopo con la

domestica che portava il pranzo: carne di maiale, lenticchie e

pan bianco. Durante il pasto il padre parlò di questo e di

quello con la fanciulla, Boccadoro rimase silenzioso, mangiò un

poco e si sentì malsicuro ed oppresso. La ragazza gli piaceva

molto: era una bella figura imponente, alta quasi come suo

padre, ma se ne stava tutta pudica e inaccessibile come in una

campana di vetro e non rivolgeva né una parola né uno sguardo al

forestiero.

Dopo mangiato il maestro disse: -- Io voglio riposare ancora

mezz'ora. Tu va nell'officina o fa un giretto fuori, poi

parleremo di quella faccenda.

Boccadoro salutò e uscì. Era passata un'ora e più da che il

maestro aveva visto il suo disegno, e non ne aveva ancora detto

una parola. E dover aspettare ancora mezz'ora! Bè, non c'era

Page 101: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

altri abiteranno nella sua casa, altri mangeranno alla sua tavola... ma la sua opera rimarrà, nella tacita chiesa del

niente da fare, aspettò. Non andò nell'officina, non

voleva rivedere il suo disegno in quel momento. Scese in

cortile, sedette sulla vasca della fontana e stette a guardare

il filo d'acqua che scorreva ininterrottamente dalla canna e

cadeva nella profonda vasca di pietra, sollevando minuscole

onde e portando seco continuamente un poco d'aria, che

continuamente ripullulava dal fondo alla superficie in bianche

perle. Nello specchio scuro della fontana vide la propria

immagine e pensò che quel Boccadoro che lo guardava dall'acqua

non era più da un pezzo il Boccadoro del convento o quello di

Lidia e neppur più il Boccadoro delle foreste. Pensò che ogni

uomo corre senza posa e si trasforma e infine si dissolve,

mentre la sua immagine creata dall'artista rimane sempre

immutabilmente la stessa. Forse, pensò, la radice d'ogni

arte, e fors'anche d'ogni spirito, è la paura della morte.

Noi la temiamo, abbiamo orrore della caducità, vediamo con

tristezza i fiori appassire e le foglie cadere e sentiamo nel

nostro cuore la certezza che anche noi siamo caduchi e presto

avvizziremo.

Se dunque come artisti creiamo figure o come pensatori cerchiamo

leggi e formuliamo pensieri, lo facciamo per salvare qualche

cosa della grande danza macabra, per stabilire qualche cosa che

abbia una durata più lunga di noi stessi. La donna che ha

servito di modello al maestro per la sua bella Madre di Dio è

forse già avvizzita o morta, e presto sarà morto anche lui;

convento brillerà ancora dopo cent'anni e più e resterà sempre

bella e sorriderà sempre con la stessa bocca, che è così

fiorente e triste insieme.

Udì il maestro che scendeva la scala e corse nell'officina.

Maestro Nicola passeggiò in su e in giù, guardò più volte il

disegno di Boccadoro, si fermò infine alla finestra e disse col

suo fare un pò esitante ed asciutto: -- Da noi l'usanza è che un

apprendista studi per lo meno quattro anni e che suo padre paghi

al maestro una somma per l'insegnamento.

Poiché fece una pausa, Boccadoro pensò che il maestro temesse di

non ricever denaro da lui. Immediatamente trasse di tasca il suo

coltello, tagliò la cucitura intorno al ducato nascosto e lo

cavò fuori. Nicola lo guardò stupito e, quando Boccadoro gli

porse la moneta, si mise a ridere.

--Ah, questo intendevi? --disse ridendo.--No, giovanotto puoi

tenere il tuo denaro. Ascoltami. Ti ho detto qual è l'usanza per

gli apprendisti nella nostra corporazione. Ma né io sono un

maestro comune, né tu un apprendista comune. Questi sogliono

cominciare la loro scuola a tredici, quattordici o al massimo

quindici anni, e la metà del tempo che passano presso il maestro

debbono servire come garzoni e far da bidelli. Ma tu sei già un

giovanotto e per l'età potresti da un pezzo essere lavorante e

anche già maestro. Un apprendista con la barba nella nostra

corporazione non s'è ancor veduto. E poi t'ho già detto che io

non voglio tenere apprendisti in casa. Tu non mi sembri del

resto uno che si lasci dar ordini e mandare in giro.

Page 102: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

L'impazienza di Boccadoro era giunta al colmo, ciascuna delle

parole assennate del maestro lo metteva alla tortura e gli

sembrava terribilmente noiosa e pedante. Gridò con veemenza: --

Perché mi dite tutto questo, se non avete alcuna intenzione di

prendermi alla vostra scuola?

Il maestro continuò impassibile nel tono di prima: --

Io ho riflettuto per un'ora sulla tua richiesta, adesso anche tu

devi avere la pazienza di ascoltarmi. Ho visto il tuo disegno.

Ha dei difetti ma, non ostante questi, è bello.

Se non lo fosse, ti avrei regalato un mezzo fiorino e ti avrei

congedato e dimenticato. Del disegno non voglio dire di più.

Vorrei aiutarti a diventare un artista, forse ci sei destinato.

Ma apprendista non puoi ormai più diventare. E chi non è stato

apprendista e non ha compiuto i suoi anni di scuola, nella

nostra corporazione non può neppure diventare lavorante e

maestro. Questo ti sia detto prima. Ma un tentativo puoi farlo.

Se ti è possibile rimanere qualche tempo qui in città, puoi

venire da me e imparare qualche cosa. Senza impegno e senza

contratto, puoi andartene quando vuoi. Puoi rompere nella mia

officina un paio di coltelli da intaglio e rovinare un paio di

ceppi, e se si vedrà che non sei un intagliatore ti volgerai ad

altro. Sei contento?

Boccadoro aveva ascoltato confuso e commosso.

--Vi ringrazio di cuore, -- esclamò. -- Sono vagabondo e saprò

cavarmela qui in città come fuori nei boschi. Capisco che non

vogliate prendervi cure e responsabilità per me come per uno

scolaretto. Ritengo gran fortuna poter imparare da voi. Vi

ringrazio di cuore di volermelo concedere.

INDEX

Page 103: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO XI

Nuove immagini circondarono Boccadoro nella città e una nuova

vita cominciò per lui. Come la regione e la città lo avevano

accolto gaie, seducenti e rigogliose, così lo accolse la nuova

vita, piena di letizia e di promesse.

Se anche il fondo di tristezza e di sapere della sua anima

rimaneva intatto, alla superficie la vita giocava per lui in

tutti i suoi colori. Cominciò per Boccadoro il periodo più lieto

e più puro. Di fuori gli veniva incontro la ricca città

vescovile con tutte le sue arti, le sue donne, con mille giochi

e mille visioni gradite; di dentro la sua natura d'artista,

destandosi, gli donava nuovi sentimenti e nuove speranze. Con

l'aiuto del maestro trovò alloggio nella casa di un doratore

sulla piazza del mercato del pesce, e dal maestro e dal doratore

imparò l'arte di trattare il legno e il gesso, i colori, la

vernice e l'orpello.

Boccadoro non era di quegli artisti infelici, che pur possedendo

alte doti non trovano mai i mezzi buoni per manifestarle. Ci

sono infatti di quelli, a cui è dato sentire con profondità e

intensità la bellezza del mondo e portare nella loro anima

immagini nobili e sublimi, ma che non trovano la via di

estrinsecare queste immagini e di comunicarle per la gioia degli

altri. Boccadoro non soffriva di questa deficienza. Gli riusciva

facile e lo divertiva adoperare le mani e apprendere le

abilità del mestiere, così come gli riusciva facile nelle ore

serali imparare da alcuni compagni a sonare il liuto e a danzare

la domenica sulle piazze dei villaggi. Imparava con facilità,

gli veniva naturale. Certo nell'intaglio doveva mettere tutto il

suo impegno e incontrava difficoltà e delusioni e talvolta gli

capitava di rovinare un bel pezzo di legno e di tagliarsi le

dita con energia. Ma superò presto i principi e acquistò

destrezza. Spesso però il maestro era malcontento di lui e gli

diceva: -- Fortuna che non sei mio apprendista o lavorante,

Boccadoro. Fortuna che sappiamo che vieni dalla strada e dai

boschi e che un giorno ci ritornerai. Chi non sapesse che non

sei un cittadino e un artigiano, bensì un vagabondo e un

fannullone, potrebbe facilmente aver la tentazione di pretendere

da te quello che ogni maestro pretende dai suoi dipendenti. Tu

sei un ottimo lavoratore, se hai la luna buona. Ma la settimana

scorsa sei andato a zonzo due giorni. Ieri nell'officina del

cortile, dove dovevi ripulire i due angeli, hai dormito metà

della giornata.

Aveva ragione di rimproverarlo così e Boccadoro lo ascoltava in

silenzio, senza giustificarsi. Sapeva egli stesso di non essere

un uomo diligente, del quale ci si potesse fidare. Fin tanto che

un lavoro lo interessava, gli imponeva compiti difficili o gli

dava la coscienza e la gioia della sua capacità, era un

lavoratore zelante. Ma al pesante lavoro manuale si sottoponeva

malvolentieri e quegli altri lavori non difficili, ma

richiedenti tempo e diligenza, che fanno pur parte del mestiere

e voglion essere eseguiti con costanza e pazienza, gli erano

Page 104: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

spesso insopportabili. Egli stesso a volte se ne meravigliava.

Eran bastati quei pochi anni di vagabondaggio a renderlo pigro

e incostante? Era l'eredità di sua madre che cresceva in lui e

prendeva il sopravvento? O dov'era la deficienza ? Ricordava

benissimo i suoi primi anni in convento quand'era un ottimo e

diligente scolaro. Perché allora si applicava con tanta

pazienza, mentre ora non ne aveva più, perché era riuscito a

dedicarsi con instancabile zelo alla sintassi latina e a

imparare tutti quegli simboli greci, che in fondo al cuore non

gl'importavano proprio nulla? Ci pensava spesso. Era stato

l'amore allora a temprarlo e a dargli ali; il suo studio altro

non era stato se non uno sforzo costante per cattivarsi l'animo

di Narciso, giacché l'affetto di lui non si poteva conquistare

che attraverso la stima e l'approvazione. Allora per una

occhiata d'approvazione dell'amato maestro poteva affaticarsi

per ore, per giornate intere. Poi la meta agognata era stata

raggiunta. Narciso era diventato suo amico e, cosa strana,

proprio il dotto Narciso gli aveva mostrato la sua inettitudine

a diventar scienziato e aveva evocato in lui l'immagine della

madre perduta. Invece della dottrina, della vita claustrale e

della virtù, i potenti istinti originari della sua natura

s'erano impadroniti di lui: sesso, amor di donne, bisogno

d'indipendenza, spirito vagabondo. Infine aveva visto quella

figura di Maria scolpita dal maestro, aveva scoperto in sé un

artista, si era messo su di una nuova via ed era ritornato

sedentario.

Ed ora? Dove conduceva la sua strada? Donde venivano gli

ostacoli?

Per il momento non poteva riconoscerlo. Solo questo poteva

capire: che ammirava bensì maestro Nicola, ma non lo amava come

un tempo aveva amato Narciso, talvolta anzi si compiaceva di

deluderlo e d'indispettirlo.

Ciò dipendeva a parer suo dal dissidio che riscontrava nella

personalità del maestro. Le figure create dalle mani di Nicola,

le migliori per lo meno, erano per Boccadoro modelli venerati,

ma il maestro in se stesso non era un modello per lui.

Accanto all'artista che aveva scolpito quella Madonna dalla

bocca più bella e più dolorosa che si potesse immaginare,

accanto al veggente e al sapiente, le cui mani sapevano

trasformare per incanto in figure visibili presentimenti ed

esperienze profonde, vi era in maestro Nicola un altro uomo: un

padre di famiglia e un maestro di corporazione un pò rigido e

meticoloso, un vedovo, che viveva silenzioso e dimesso nella sua

casa tranquilla con la figlia e con una brutta servente, un uomo

che resisteva energicamente ai più forti istinti di Boccadoro e

che si era adagiato in una vita quieta, moderata, regolarissima

e decorosa.

Quantunque Boccadoro onorasse il suo maestro e non si

permettesse d'interrogare altri sul conto di lui o di giudicarlo

in faccia ad altri, in capo a un anno egli sapeva fino al minimo

particolare tutto quello che si poteva sapere di Nicola. Questo

maestro era per lui una persona importante, amata e altrettanto

Page 105: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

odiata, che non gli lasciava requie; e lo scolaro penetrava con

amore e con diffidenza, con curiosità sempre desta, nei segreti

dell'indole e della vita di lui. Vedeva che egli non teneva in

casa né apprendisti né lavoranti, benché ci fosse abbastanza

spazio. Vedeva che usciva solo di rado e di rado invitava ospiti

a casa sua. Osservava che nutriva per la sua bella figliola un

affetto commovente e geloso e cercava di tenerla nascosta a

tutti. Sapeva anche che dietro la severa e precoce astinenza del

vedovo c'erano ancora in gioco istinti vivi e che, quando un

incarico di fuori lo costringeva a mettersi in viaggio, poche

giornate potevano talvolta trasformarlo e ringiovanirlo in mo-do

strano. E una volta aveva anche osservato che Nicola, in una

cittadina straniera dove ponevano in opera un pulpito scolpito,

una sera aveva visitato di nascosto una prostituta, e poi per

parecchi giorni era rimasto inquieto e di cattivo umore.

Con l'andar del tempo oltre a questa curiosità c'era

qualcos'altro che tratteneva Boccadoro in casa del maestro e gli

dava da fare. Era la bella figliola, Elisabetta, che gli piaceva

molto. Riusciva di rado a vederla; ella non entrava mai

nell'officina ed egli non sapeva capire se la sua ritrosia di

fronte agli uomini le fosse solo imposta dal padre, o se

corrispondesse anche alla sua natura. Non poteva far a meno di

notare che il maestro non l'aveva più invitato a tavola e che

cercava d'osta-colargli ogni incontro con lei. Elisabetta era

una fanciulla molto preziosa e custodita, lo vedeva bene, e per

un amore senza nozze non c'era speranza; chi poi volesse

sposarla doveva innanzi tutto esser figlio di buona famiglia,

membro di una delle corporazioni superiori e possibilmente

posseder anche denaro e una casa.

La bellezza di Elisabetta, così diversa da quella delle donne

vagabonde e delle contadine, aveva attirato fin dal primo giorno

l'attenzione di Boccadoro. C'era qualcosa in lei che ancora gli

era rimasto ignoto, qualcosa di strano, che lo attraeva

violentemente, ma gl'ispirava al tempo stesso diffidenza e

perfino dispetto: una grande calma ed innocenza, un'onestà e una

purezza, che non eran tuttavia ingenuità; dietro tutta la sua

cortesia e il suo decoro si celava una certa freddezza, un

orgoglio, per cui quell'innocenza non lo commoveva e non lo

disarmava (egli non sarebbe mai stato capace di sedurre una

bambina), ma anzi lo eccitava e lo provocava. Non appena la

figura di lei gli divenne un poco familiare come immagine

intima, sentì il desiderio di rappresentarla, ma non com'era

allora, bensì coi tratti ridesti, sensibili e sofferenti, non

una piccola vergine ma una Maddalena.

Talvolta la sua brama avrebbe voluto vedere quel volto calmo,

bello e immobile, contrarsi e sfogliarsi, sia nella voluttà, sia

nella sofferenza, e rivelare così il suo segreto.

Vi era poi un altro volto, che dimorava nella sua anima ma non

gli apparteneva del tutto, un volto ch'egli desiderava

ardentemente di riuscir a cogliere e rappresentare da artista,

ma che continuamente gli sfuggiva e gli si velava. Era il volto

della madre. Già da tempo esso non era più quello che gli era

Page 106: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

ricomparso un giorno dalle perdute profondità della memoria dopo

i colloqui con Narciso. Nelle giornate di vagabondaggio, nelle

notti d'amore, nei momenti di nostalgia, nei momenti di pericolo

e di vicinanza della morte il volto della madre si era a poco a

poco trasformato e arricchito, era diventato più profondo e più

vario; non era più l'immagine della propria madre, ma dai tratti

e dai colori di questa si era svolta a poco a poco un'immagine

materna impersona-le, L'immagine di un'Eva, di una madre

dell'umanità. Co-me maestro Nicola in alcune Madonne aveva

rappresentato l'immagine della Madre di Dio addolorata con una

perfezione ed una forza espressiva che a Boccadoro parevano

insuperabili, così egli stesso sperava di raffigurare un

giorno, quando fosse più maturo e più sicuro della sua capacità,

L'immagine della madre del mondo, Eva, quale egli la portava nel

cuore come la cosa più sacra, più antica e più amata. Ma questa

immagine intima, che un tempo era stata solo il ricordo della

madre sua e del suo amore per lei, continuava a trasformarsi e

ad arricchirsi. In essa si erano impressi i tratti della zingara

Lisa, di Lidia, la figlia del cavaliere, e molti altri volti di

donna; e non solo i volti delle donne amate avevano cooperato a

trasformare quell'immagine originaria e a darle tratti nuovi, ma

anche ogni emozione, ogni esperienza ed ogni avventura. Questa

figura infatti, se un giorno fosse riuscito a renderla visibile,

non doveva rappresentare una donna particolare, ma la vita

stessa come madre primigenia. Spesso credeva di vederla,

talvolta gli appariva in sogno. Ma di questo volto d'Eva e di

quello che doveva esprimere egli non avrebbe saputo dir altro,

se non che doveva mostrare la voluttà della vita nella sua

intima parentela col dolore e con la morte.

Nel corso di un anno Boccadoro aveva imparato molto. Nel disegno

aveva raggiunto presto una grande sicurezza e oltre all'intaglio

Nicola gli faceva talvolta provare anche a modellar la creta. La

sua prima opera riuscita fu appunto una statuetta di creta alta

due buone spanne: la figura graziosa e seducente della piccola

Giulia, della sorella di Lidia. Il maestro lodò il lavoro, ma

non esaudì il desiderio espresso da Boccadoro di farla fondere

in metallo; la figura gli sembrava troppo impudica e mondana,

perché egli volesse farle da padrino.

Poi cominciò il lavoro intorno alla statua di Narciso; Boccadoro

la eseguì in legno sotto le spoglie del discepolo Giovanni,

perché, se riusciva, Nicola voleva metterla in un gruppo della

crocefissione, che gli era stato ordinato e al quale lavoravano

da tempo esclusivamente i suoi due aiutanti, per lasciare poi al

maestro l'ultimo tocco.

Boccadoro lavorava alla figura di Narciso con grande amore; in

questo lavoro ritrovava se stesso, la sua natura d'artista e ]a

sua anima, ogni volta ch'era uscito di carreggiata, e non

avveniva di rado: amori, feste da ballo, bicchierate coi

compagni, gioco di dadi e anche risse frequenti lo travolgevano

così che per uno o più giorni egli disertava l'officina, oppure

lavorava distratto e a malincuore. Ma al suo apostolo Giovanni,

la cui figura amata e pensosa gli usciva dal legno sempre più

Page 107: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

pura, egli lavorava solo nelle ore in cui si sentiva preparato,

con dedizione e umiltà. In queste ore non era né lieto né

triste, non pensava né alla gioia né alla caducità della vita;

gli ritornava in cuore quel sentimento di rispetto puro e

luminoso, col quale un tempo si era dato all'amico, lieto di

lasciarsi guidare da lui. Non era Boccadoro che crea-va una

figura di sua propria volontà; era l'altro piuttosto, era

Narciso che si serviva delle mani dell'artista per uscire dalla

transitorietà e mutabilità della vita e per rappresentare

l'immagine pura del suo essere.

Così, Boccadoro sentiva talvolta con un brivido, nascevano le

vere opere. Così era nata la Madonna indimenticabile del

maestro, che più d'una domenica egli era tornato a visitare nel

convento. Così, in questo modo sacro e misterioso, erano nate le

due o tre statue antiche più belle, che il maestro aveva su nel

vestibolo. Così sarebbe nata un giorno anche quell'immagine,

quell'altra, quell'unica, per lui più misteriosa e più veneranda

ancora, L'immagine della madre dell'umanità. Oh, se dalle mani

dell'uomo uscissero solo di queste opere d'arte, immagini

sante, necessarie, non profanate da una volontà e da una vanità!

Ma non era così, egli lo sapeva da un pezzo. Si potevano creare

anche altre figure, cose graziose e squisite, fatte con grande

maestria, gioia degli amatori d'arte, ornamento delle chiese e

delle sale di consiglio... belle cose certo, ma non sacre, non

vere immagini dell'anima. Egli conosceva parecchie di queste

opere, che con tutta la loro grazia d'invenzione e malgrado

tutta la cura dell'esecuzione non erano in fondo che giochi. E

non solo di Nicola e di altri maestri; con sua propria

confusione e tristezza, nel suo cuore stesso, nelle sue stesse

mani egli aveva sentito come un artista possa mettere al mondo

simili cose graziose per il piacere della propria abilità, per

vanità, per trastullo.

La prima volta che si rese conto di questo si sentì

desolatamente triste. Ah, per fare graziose figurine d'angeli o

altri giochetti, sian pur carini, non valeva la pena di essere

artisti. Per altri forse, per artigiani, per cittadini, per

anime tranquille e soddisfatte poteva anche valer la pena, ma

per lui no. Per lui arte ed artisti non valevan nulla, se non

ardevano come il sole e non avevano la potenza delle tempeste,

se non portavano che piacere, gradimento, piccola felicità.

Egli cercava altro. Dorare con lucente orpello una corona di

Maria elegante come un merletto non era lavoro per lui, anche se

ben pagato.

Perché maestro Nicola prendeva tutte queste commissioni? Perché

si teneva due aiutanti? Perché stava ad ascoltare per ore ed

ore, con le misure in mano, quei sena-tori e quei preposti,

quando gli ordinavano un portale o un pulpito? Per due ragioni,

due ragioni meschine: perché teneva a essere l'artista celebre e

coperto di commissioni e perché voleva accumular denaro, denaro

non per grandi imprese o grandi piaceri, ma denaro per sua

figlia, ch'era già da un pezzo una fanciulla ricca, denaro per

il corredo di lei, per colletti di pizzo e vesti di broccato,

Page 108: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

per un letto matrimoniale in noce, pieno di coperte e di

lenzuola preziose! Come se la bella ragazza non potesse

sperimentare l'amore altrettanto bene in un fienile qualsiasi!

In quelle ore di meditazione s'agitava profondo in Boccadoro il

sangue della madre, L'orgoglio e il disprezzo del vagabondo per

i sedentari e i possidenti. A volte il mestiere e il maestro gli

erano odiosi come i fagiolini col filo, spesso era sul punto di

scappare.

Anche il maestro s'era già pentito più d'una volta e amaramente

di aver aderito alla preghiera - di quel giovanotto dal

carattere difficile, su cui non si poteva far conto e che aveva

messo a dura prova la sua pazienza.

Ciò ch'era venuto a sapere del tenore di vita di Boccadoro,

della sua indifferenza per il denaro e per la proprietà, della

sua prodigalità, dei suoi molti amori, delle sue risse

frequenti, non poteva indurlo a maggior mitezza: s'era preso in

casa uno zingaro, un compagno infido. Inoltre non gli era

sfuggito con che occhi quel vagabondo guardasse sua figlia

Elisabetta. Se tuttavia esercitava con lui maggior pazienza di

quel che gli fosse agevole, non lo faceva per senso di dovere o

per imbarazzo; ma per amore dell'apostolo Giovanni, che vedeva

nascere sotto i suoi occhi. Con un sentimento di amore e di

affinità spirituale che non confessava del tutto a se stesso, il

maestro osservava quello zingaro, venuto a lui dai boschi,

scolpire a poco a poco, capricciosamente ma con tenacia

infallibile, su quel primo disegno così commovente e così bello

malgrado la sua inesperienza, grazie al quale allora egli

l'aveva tenuto presso di sé, la figura in legno del discepolo.

Non ostante tutti i capricci e le interruzioni, un giorno essa

sarebbe giunta a compimento, il maestro non ne dubitava, e

allora sarebbe stata un'opera quale nessuno dei suoi lavoranti

avrebbe mai potuto fare, quale poche volte riesce anche ai

grandi maestri. Per quante cose egli disapprovasse nel suo

scolaro, per quanti rimproveri gli rivolgesse, per quanto fosse

spesso furente contro di lui, del suo Giovanni non gli diceva

mai una parola.

Quel resto di grazia adolescente e d'ingenuità fanciullesca, che

aveva attirato a Boccadoro tante simpatie, era andato a poco a

poco perdendosi negli ultimi anni. Egli era diventato un

bell'uomo forte, molto ambito dalle donne, poco amato dagli

uomini. Anche il suo animo, il suo aspetto intimo, si era molto

mutato, da quando Narciso l'aveva destato dal dolce sonno dei

suoi anni di convento, da quando l'avevano plasmato il mondo e

la vita vagabonda. Il grazioso scolaro mite e benvoluto da

tutti, pio e servizievole, s'era trasformato da tempo in

tutt'altro uomo. Narciso l'aveva destato, le donne lo avevan

reso sapiente, il vagabondaggio gli aveva fatto perder le grazie

della prima giovinezza. Amici non ne aveva, il suo cuore

apparteneva alle donne. Queste potevano conquistarlo

facilmente, bastava uno sguardo di desiderio. Era difficile

ch'egli sapesse resistere a una donna; rispondeva alla minima

seduzione. E sebbene avesse un senso molto delicato della

Page 109: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

bellezza e amasse sopra tutto le fanciulle giovanissime, nello

sboccio della loro primavera, si lasciava tuttavia commuovere e

sedurre anche dalle donne meno belle e non più giovani. Nelle

sale da ballo rimaneva talvolta accanto ad una ragazza matura e

sco-raggiata, che nessuno voleva e che lo conquistava per le vie

della compassione non solo, ma anche di una curiosità sempre

desta. E appena cominciava a darsi ad una donna - fosse per

settimane o soltanto per qualche ora - essa diventava bella per

lui ed egli le si dava tutto.

L'esperienza gli aveva insegnato che ogni donna è bella e può

donare felicità, che quella meno appariscente e di-sprezzata

dagli uomini è capace di un ardore e di una dedizione inaudite,

che quella sfiorita è ricca di una tenerezza dolce e malinconica

più che materna, che ogni donna ha il suo segreto e il suo

fascino, la cui rivelazione può render felici. In questo tutte

le donne erano, uguali. Ogni mancanza di giovinezza e di

bellezza era compensata da qualche atteggiamento particolare.

Certo non tutte potevano tenerlo avvinto per un'ugual durata di

tempo. Verso la più giovane e la più bella egli non era di

un'ombra più affettuoso o più grato che verso la brutta, non

amava mai a metà. Ma c'erano donne che cominciavano veramente ad

avvincerlo dopo tre o dopo dieci notti d'amore, e altre che già

dopo la prima volta erano esaurite e dimenticate.

Amore e voluttà gli parevano l'unica cosa che potesse davvero

scaldare la vita, e darle un valore. L'ambizione gli era

sconosciuta, per lui un vescovo o un mendicante valevano lo

stesso; anche il guadagno e la proprietà non riuscivano ad

interessarlo; li disprezzava, non avrebbe mai fatto per essi il

minimo sacrificio e gettava via spensieratamente il denaro, che

in certi periodi guadagnava in abbondanza. L'amore delle donne,

il gioco dei sessi stava per lui in cima a tutto e il fondo

della sua frequente tendenza alla malinconia e al disgusto aveva

origine nell'esperienza di quanto sia instabile e fugace la

voluttà.

L'accendersi repentino e incantevole del piacere amoroso, il suo

breve ardere appassionato, il suo rapido spegnersi: ecco ciò che

per lui conteneva il nocciolo di ogni esperienza, ciò che

diventava per lui l'immagine di ogni delizia e di ogni dolore

della vita. A quella tristezza e al brivido provocato dalla

fugacità del piacere egli poteva abbandonarsi con la stessa

dedizione che all'amore, e anche quella malinconia era amore.

Come l'estasi d'amore nel momento della sua massima tensione e

felicità è sicura di dover scomparire e morire l'istante

appresso, co-sì l'intima solitudine e l'abbandono alla tristezza

eran sicuri d'essere a un tratto inghiottiti dal desiderio, da

un nuovo volgersi al lato luminoso della vita. Morte e voluttà

erano una cosa sola. La madre della vita si poteva chiamare

amore o piacere, si poteva chiamare anche tomba e corruzione. La

madre era Eva, era la fonte della felicità e la fonte della

morte, generava eternamente, uccideva eternamente, in lei amore

e crudeltà erano una cosa sola, e più egli portava in sé la sua

figura, più essa diventava per lui un simbolo sacro. Egli

Page 110: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

sapeva, non con le parole e con la coscienza, ma con la voce più

profonda del sangue, che la sua vita conduceva alla madre, al-la

voluttà e alla morte. Il lato paterno della vita, lo spirito, la

volontà non erano la sua patria. Quella era la patria di

Narciso, e solo allora Boccadoro comprendeva a fondo le parole

dell'amico e vedeva in lui il proprio contrapposto e questo

appunto voleva rappresentare e rendere visibile nella sua figura

di Giovanni. Si poteva sentire fino alle lacrime la nostalgia di

Narciso, si poteva sognare meravigliosamente di lui... ma

raggiungerlo, diventare come lui, non si poteva.

Con un senso misterioso Boccadoro presentiva anche il segreto

della sua natura d'artista, del suo profondo amore per l'arte e

a volte del suo odio violento contro di es-sa. Intuiva, senza

pensiero, col sentimento, in molteplici immagini, che l'arte era

un'unione del mondo paterno e materno, dello spirito e del

sangue; poteva cominciare nella sfera più sensuale e condurlo in

quella più astratta, o anche prender le mosse in un puro mondo

d'idee e finire nella carne più sanguigna. Tutte quelle opere

d'ar-te, ch'erano veramente sublimi e non solo bei giochetti di

prestigiatore, quelle che erano pregne dell'eterno mistero, per

esempio quella Madonna del maestro, tutte le opere genuine e

indubbie di un artista avevano questo duplice aspetto pericoloso

e sorridente, questo carattere maschile e femminile, questo

insieme d'istinto e di pura spiritualità Ma più di tutte la

Madre Eva avrebbe mostrato un giorno questo doppio volto, se un

giorno egli fosse riuscito a rappresentarla.

Nell'arte e nell'essere artista stava per Boccadoro la

possibilità di una conciliazione dei suoi contrasti più

profondi, oppure di una figurazione simbolica splendida e sempre

nuova del dissidio della sua natura, Ma l'arte non era un puro

dono, non si poteva avere per niente, costava moltissimo,

esigeva sacrifici. Per più di tre anni Boccadoro le aveva

sacrificato ciò ch'egli conosceva di più alto e di più

indispensabile accanto alla voluttà dell'amore: la libertà.

L'essere libero, il vagare nell'infinito, L'arbitrio della vita

. errabonda, la solitudine e l'indipendenza, tutto questo egli

aveva gettato da sé. Gli altri potevano giudicarlo capriccioso

insubordinato e prepotente, quando talvolta abbandonava

infuriato l'officina e il lavoro: per lui quella vita era una

schiavitù, che spesso lo amareggiava fino a diventargli

insopportabile. Non al maestro egli doveva ubbidire, né

all'avvenire, né al bisogno, ma all'arte. L'arte, questa dea

apparentemente così spirituale aveva d'uopo di tante cose

futili! Di un tetto sopra il capo, di strumenti, di legni, di

creta, di colori, di oro: esigeva lavoro e pazienza. Ad essa

egli aveva sacrificato la libertà selvaggia dei boschi,

L'ebbrezza dello spazio, l'aspra voluttà del pericolo,

L'orgoglio della miseria e doveva rinnovare continuamente il

sacrificio, con la goia strozzata e la bava alla bocca.

Ritrovava una parte di ciò che sacrificava, e si vendi-cava un

poco della schiavitù di quella vita ordinata e sedentaria, in

alcune avventure che si collegavano con l'amore, nelle risse coi

Page 111: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

rivali. Tutta l'impetuosità frenata, tutta la forza repressa

della sua natura si sfogava da quella valvola; egli divenne un

noto e temuto rissaiolo.

In istrada per recarsi da una ragazza o di ritorno dal ballo,

essere assalito a un tratto in un viottolo scuro, ricevere un

paio di bastonate, rivoltarsi fulmineo e passare dalla difesa

all'attacco, stringere ansando il nemico boccheggiante,

mettergli il pugno sotto il mento, prenderlo per i capelli o

afferrarlo energicamente alla gola, era cosa che gli piaceva

moltissimo e guariva per un pò di tempo i suoi umori tetri. E

piaceva anche alle donne.

Tutto ciò riempiva le sue giornate e tutto aveva anche un senso,

fin che durava il lavoro intorno al discepolo Giovanni. Questo

si protrasse a lungo e gli ultimi tocchi delicati alla

modellazione del volto e delle mani furono da-ti in un

raccoglimento paziente e solenne. Portò a termine il suo lavoro

in uno stanzino per il deposito dei legni dietro l'officina dei

lavoranti. Venne finalmente la mattina in cui la figura fu

pronta. Boccadoro prese una scopa, spazzò con cura lo stanzino,

tolse delicatamente col pennello l'ultima polvere di legno dai

capelli del suo Giovanni e rimase a lungo davanti ad esso,

un'ora e più, in-vaso dal sentimento solenne di un avvenimento

grande e raro, che poteva forse ripetersi ancora una volta nella

sua vita, ma forse poteva anche rimanere unico. Un uo-mo nel

giorno delle sue nozze o in cui venga armato cavaliere, una

donna dopo il primo parto deve sentire qualcosa di simile

agitarsi nel suo cuore, un'alta consacra-zione, una serietà

profonda e insieme già il timore segreto di quel momento, in cui

anche quest'esperienza unica e sublime sia vissuta, passata,

classificata ed inghiottita dal corso normale della vita.

Immobile guardava l'amico Narciso, la guida dei suoi anni

giovanili, lì davanti a lui, con la testa alta in ascolto, nella

veste del bel discepolo favorito, con un'espressione di calma,

di dedizione e di pietà ch'era come il germoglio d'un sorriso.

A quel volto bello, pio e spirituale, a quella figura slanciata,

quasi librata, a quelle mani lunghe, levate in un pio gesto di

grazia, il dolore e la morte non erano ignoti, quantunque

fossero pieni di giovinezza e di musica intima; ma ignoti erano

loro la disperazione, il disordine, la rivolta. Lieta o triste

che fosse l'anima dietro quei nobili lineamenti, era intonata a

purezza, non tollerava dissonanze.

Boccadoro, immobile, osservava l'opera sua. La contemplazione,

cominciata come un'adorazione al monumento della sua prima

giovinezza e della sua amicizia, finì con una tempesta di ansie

e di pensieri gravi. Ecco lì la sua opera: il bel discepolo

sarebbe rimasto e la sua fioritura delicata non avrebbe mai

avuto fine. Egli invece, che l'aveva creato, doveva ormai

prender congedo dalla propria opera, già l'indomani essa non gli

apparterrebbe più, non aspetterebbe più le sue mani, non

crescerebbe e fiorirebbe più sotto di esse, non sarebbe più per

lui rifugio, conforto e senso della vita. Egli rimaneva vuoto. E

gli pareva che il meglio sarebbe stato prender congedo quel

Page 112: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

giorno stesso non solo dal suo Giovanni, ma anche dal maestro,

dalla città e dall'arte. Egli non aveva più nulla da fare in

quel luogo; non c'erano immagini nella sua anima, che potesse

rappresentare. La vagheggiata immagine delle immagini, la figura

della Madre degli uomini non gli era ancora raggiungibile, e per

lungo tempo. Doveva rimettersi a lustrare figurine d'angelo, o a

intagliare ornamenti?

Si strappò di là e passò nell'officina del maestro. Entrò piano

e rimase sulla soglia, finché Nicola lo vide e lo chiamò.--Che

c'è Boccadoro?

-- La mia statua è finita. Potreste forse venir un momento a

guardarla prima d'andare a tavola.

--Volentieri, vengo subito.

Passarono insieme nello stanzino, lasciando la porta aperta

perché ci fosse più luce. Nicola non aveva visto la figura da

parecchio tempo e aveva lasciato lavorare Boccadoro senza

disturbarlo. Ora osservava l'opera con silenziosa attenzione, e

il suo volto chiuso si faceva bello e luminoso: Boccadoro vide i

suoi occhi azzurri e severi diventare sereni.

-- Bene, -- disse il maestro. -- Molto bene. E la tua prova

d'esame, Boccadoro: ora hai finito d'imparare. Mostrerò la tua

figura a quelli della corporazione e chiederò che ti diano un

diploma di maestro: L'hai meritato.

Boccadoro dava poca importanza alla corporazione, ma sapeva

quale elogio significassero le parole del maestro, e ne fu

lieto.

Nicola, rigirando lentamente intorno alla statua del Giovanni,

disse con un sospiro: -- Questa figura è piena di religiosità e

di chiarezza, è seria, ma ricca di felicità e di pace. Si

direbbe fatta da un uomo che ha in cuore molta luce, molta

serenità.

Boccadoro sorrise.

-- Sapete che in questa figura io non ho rappresenta-to me

stesso, ma il mio più caro amico. Egli vi ha portato la

chiarezza e la pace, non io. Non sono stato io a creare

quell'immagine, egli me l'ha messa nell'anima.

--Può darsi, --disse Nicola.--E un mistero, in che modo nasca

una figura come questa. Io non sono precisamente umile, ma debbo

dire: ho fatto molte opere che sono di gran lunga inferiori alla

tua, non per arte e per accuratezza, ma per verità. Via, lo sai

tu stesso, un'opera simile non si ripete. E un mistero.

--Sì, -- disse Boccadoro, -- quando ebbi terminata la figura e

la guardai, pensai fra me: un'opera come questa non ti riuscirà

una seconda volta. Perciò, maestro, credo che presto ritornerò

alla vita del vagabondo.

Nicola lo guardò stupito e malcontento.

--Ne riparleremo. Il lavoro per te dovrebbe cominciare proprio

ora, non è questo davvero il momento di scappare. Ma per oggi

fai vacanza, e a mezzogiorno sarai mio ospite.

A mezzogiorno Boccadoro arrivò, pettinato e lavato, con l'abito

della festa. Questa volta sapeva quanta importanza avesse e che

raro favore fosse un invito alla mensa del maestro. Ma, mentre

Page 113: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

saliva la scala che conduceva al vestibolo tutto adorno di

statue, era ben lungi dal sentire in sé il rispetto e la

timida gioia dell'altra volta, quando era entrato col

batticuore in quelle belle stanze silenziose. Anche

Elisabetta era elegante, con una catena ornata di pietre

preziose intorno al collo; e a tavola, oltre al carpione e al

vino, ci fu un'altra sorpresa: il maestro gli regalò

un borsellino di cuoio con due monete d'oro: il suo compenso

per la statua eseguita. Questa volta egli non rimase

muto, mentre padre e figlia chiacchieravano fra loro.

Entrambi gli rivolgevano la parola e fu fatto un brindisi.

Gli occhi di Boccadoro non stavano oziosi; coglieva

l'occasione per osservare attentamente la bella ragazza dal

viso aristocratico e un poco altero, e i suoi sguardi non

dissimulavano quanto gli piacesse. Ella si mostrava gentile

con lui, senza però arrossire, né riscaldarsi, e ciò lo

lasciava deluso. Egli tornava a sentir vivo il desiderio di

costringere quel bel volto immobile a parlare e a rivelare il

suo segreto. Dopo tavola ringraziò, rimase un poco ad

ammirare le sculture in legno del vestibolo, poi passò il

pomeriggio a zonzo per la città, indeciso e sfaccendato.

Era stato molto onorato dal maestro, oltre ogni

aspettativa. Perché ciò non lo rendeva lieto? Perché

tutto quell'onore sapeva così poco di festa per lui?

Gli venne un'ispirazione e la seguì: prese a nolo un

cavallo e si diresse verso il convento, dove un giorno aveva

visto per la prima volta l'opera del maestro e udito il nome

di lui. Eran passati due anni e gli pareva un tempo

infinito. Nella chiesa del convento visitò e contemplò la

Madre di Dio, che ancora una volta lo soggiogò e lo rapì;

era più bella del suo Giovanni, pari per profondità intima

e misteriosa, ma superiore per arte, per libero slancio

etereo. Egli scorgeva ora nell'opera particolari che solo

l'artista vede, movimenti lievi e delicati nella veste,

arditezze nella formazione delle lunghe mani e delle

dita, fini accorgimenti nello sfruttare le accidentalità

nella struttura del legno... tutte queste bellezze non erano

nulla in confronto dell'insieme, della semplicità e sincerità

della visione ma esistevano ed erano molto belle, e anche

nell'artista più ispirato eran possibili solo quando

conoscesse a fondo il suo mestiere. Per raggiungere di questi

effetti, uno doveva avere non soltanto l'anima ricca

d'immagini, ma anche gli occhi e le mani meravigliosamente

addestrati ed esercitati. Forse valeva dunque la pena di

metter tutta la propria vita al servizio dell'arte, a

prezzo della libertà, a prezzo delle grandi esperienze,

pur di riuscir a produrre qualcosa di così bello, non solo

vissuto, contemplato e concepito in amore, ma anche eseguito

con sicura maestria fin nell'ultimo particolare? Era una

grande questione. Boccadoro ritornò in città a notte tarda

col cavallo stanco. C'era ancora aperta un'osteria: mangiò

del pane e bevette del vino, poi salì nella sua camera in

piazza del mercato del pesce; era in disaccordo con se

stesso, pieno di domande, pieno di dubbi.

INDEX

Page 114: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO XII

Il giorno dopo Boccadoro non seppe decidersi ad andare

all'officina. Come già in tante altre giornate di cattivo umore,

camminò a zonzo per la città. Vide le donne e le ragazze che

andavano al mercato, sostò specialmente presso la fontana,

osservando i mercanti di pesce e le loro donne vigorose, mentre

offrivano in vendita e decantavano la loro merce, mentre

estraevano dai loro tini i pesci freddi e argentei, alcuni dei

quali s'arrendevano quieti alla morte, con la bocca

dolorosamente aperta e gli occhi d'oro fissi in un'espressione

d'angoscia, altri invece si ribellavano furenti e disperati.

Come già tante volte, lo prendeva una viva compassione per

quelle bestie e una triste indignazione contro gli uomini;

perché questi erano così ottusi e rozzi e inconcepibilmente

stolti e miopi, perché tutti quanti non vedevano nulla, né i

pescatori né le pescivendole né i compratori che tiravan sul

prezzo; perché non vedevano quelle bocche, quegli occhi

spaventati a morte e quelle code che si dibattevano

violentemente, non vedevano quella tremenda lotta disperata e

vana, quell'insopportabile trasformazione dei misteriosi

animali così meravigliosamente belli che rabbrividivano

nell'ultimo lieve tremito sulla pelle morente e poi giacevano

morti e spenti, lunghi e tirati, miseri pezzi di carne per la

tavola del ghiottone soddisfatto? Nulla vedevano questi uomini,

nulla sapevano e osservavano, nulla parlava loro! Che importava

se un povero grazioso animale s'irrigidiva sotto i loro occhi, o

se un maestro rendeva visibile in un volto santo la speranza,

tutta la nobiltà, tutto il dolore e tutta la cupa, stringente

angoscia della vita umana, fino a darne il brivido?... Nulla

vedevano, nulla li commoveva! Tutti erano soddisfatti o

affaccendati, avevano interesse, avevano fretta, gridavano,

ridevano, si ruttavano in faccia, facevan chiasso, facevan dello

spirito, urlavano per due soldi, e tutti stavano bene, tutti

erano in regola, soddisfattissimi di sé e del mondo.

Porci erano, ah, molto peggio, molto più sozzi dei porci!

Anch'egli, è vero, era stato spesso in mezzo a loro e s'era

sentito contento fra i suoi simili e aveva fatto la corte alle

ragazze e aveva mangiato ridendo senza orrore i pesci arrostiti.

Ma poi sempre, talora tutt'a un tratto come per incanto, la

gioia e la tranquillità l'avevano abbandonato e quell'illusione

grassa e corpacciuta era caduta dal suo spirito, quella

soddisfazione di sé, quell'importanza e quella calma stagnante

dell'anima, e s'era sentito trascinar via nella solitudine e

nella fantasticheria tormentata, spinto alla vita vagabonda,

alla contemplazione del dolore, della morte, dell'incertezza

d'ogni attività, costretto a fissar gli occhi nell'abisso.

Talvolta allora da quel suo disperato abbandono alla visione

dell'assurdo e del pauroso gli era sbocciata una gioia

improvvisa, un innamoramento appassionato, la voglia di cantare

una bella canzone o di disegnare; oppure, odorando un fiore,

giocando con un gatto, gli era tornato l'accordo ingenuo con la

Page 115: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

vita. Anche questa volta sarebbe tornato, domani o dopodomani, e

il mondo sarebbe stato di nuovo buono e meraviglioso: fino a

quando non ritornasse un'altra volta la tristezza, la

fantasticheria tormentosa, L'amore opprimente e senza speranza

per i pesci moribondi, per i fiori che appassiscono, L'orrore

per il quieto vivere degli uomini, sozzo ed ottuso, per il loro

star a bocca aperta e non vedere. In questi momenti il suo

pensiero riandava sempre con penosa curiosità e con angoscia

profonda a Vittore, al goliardo vagante, a cui un giorno aveva

piantato il coltello fra le costole e che aveva abbandonato,

coperto di sangue, sui rami d'abete; e pensava e ripensava che

mai poteva esser avvenuto di quel Vittore: se gli animali

l'avevano divorato del tutto, o se qualcosa di lui era rimasto.

Sì, rimaste eran certo le ossa e forse qualche ciuffo di

capelli. E le ossa... che avverrebbe di loro, quanto tempo

dovrebbe passare, decenni o solo anni, prima che anch'esse

perdessero la loro forma e diventassero terra?

Ecco, in quel momento, mentre guardava i pesci con compassione e

la gente del mercato con disgusto il cuore gonfio d'inquieta

tristezza e di amara ostilità per il mondo e per se stesso,

doveva pensare a Vittore. Forse era stato trovato e sepolto? E

se ciò era avvenuto... la sua carne s'era ormai staccata tutta

dalle ossa, tutto era ormai putrefatto, tutto avevano divorato i

vermi? C'erano ancora capelli sul suo cranio e sopracciglia

sopra le sue orbite? E della vita di Vittore, ch'era pur stata

piena d'avventure e di storie, e del gioco fantastico dei suoi

scherzi e delle sue curiose barzellette... che n'era rimasto?

Oltre ai pochi ricordi che conservava di lui il suo ucci-sore,

sopravviveva ancora qualcosa di quell'esistenza umana, che pure

non era stata delle più comuni? C'era ancora un Vittore nei

sogni delle donne che l'avevano amato? Ah, tutto probabilmente

finito e dileguato! E questa era la sorte di tutti e di tutto,

fiorire in fretta ed in fretta appassire: poi cadeva sopra la

neve. Che magnifico rigoglio c'era stato in lui stesso,

Boccadoro, quando pochi anni prima era giunto in quella città,

con l'anima piena d'aspirazioni artistiche e di timida e

profonda venerazione per il maestro Nicola! E che cosa era

rimasto di tutto questo? Nulla, nulla più di quanto rimanesse

della lunga figura di brigante del povero Vittore. Se allora

qualcuno gli avesse detto che sarebbe venuto un giorno in cui

Nicola lo avrebbe riconosciuto suo pari e avrebbe chiesto per

lui alla corporazione il diploma di maestro, egli avrebbe

creduto di aver fra le mani tutta la felicità del mondo. Ed ecco

che questo non era ormai più che un fiore avvizzito, una cosa

arida e senza gioia.

Mentre era immerso in questi pensieri, Boccadoro, ebbe

all'improvviso una visione. Fu un momento solo, il lampeggiar

d'un baleno: vide il volto della Madre primigenia, chino sopra

l'abisso della vita, con un sorriso vago e uno sguardo bello e

crudele, lo vide sorridere alle na-scite, alle morti, ai fiori,

alle foglie crepitanti dell'autunno, sorridere all'arte

sorridere alla putrefazione.

Page 116: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Tutto aveva lo stesso valore per la Madre dei viventi sopra

tutto vagava, come la luna, il suo sorriso inquietante, a lei

era altrettanto caro Boccadoro con le sue malinconiche

meditazioni quanto il carpione morente sul selciato del mercato

dei pesci, era altrettanto cara la superba e fredda signorina

Elisabetta quanto le ossa, disperse nella foresta, di quel

Vittore che un giorno gli avrebbe rubato tanto volentieri il suo

ducato.

Già il lampo s'era spento e il misterioso volto della Madre era

scomparso. Ma il suo bagliore scialbo guizzava ancora in fondo

all'anima di Boccadoro, e un'ondata di vita, di dolore, di

opprimente nostalgia tumultuava nel suo cuore. No, no, egli non

voleva la felicità e la sazietà degli altri, dei compratori di

pesce, dei cittadini, della gente affaccendata. Che il diavolo

li portasse! Ah, quel viso pallido e balenante, quella bocca

piena, matura, d'estate avanzata, sulle cui labbra grevi era

passato come una folata di vento e come un raggio di luna

quell'indefinibile sorriso di morte!

Boccadoro andò a casa del maestro: era verso mezzogiorno, attese

fin che udì Nicola lasciar il lavoro e lavar-si le mani. Allora

entrò da lui.

-- Permettetemi di dirvi due parole, maestro: posso farlo mentre

vi lavate le mani e indossate la giubba. Ho sete d'una boccata

di verità, vorrei dirvi qualcosa che forse ora so dire e poi non

più. Mi trovo in uno stato, in cui bisogna che parli con

qualcuno, e voi siete il solo che forse mi può capire. Non parlo

all'uomo che possiede un'officina famosa e riceve onorevoli

incarichi da città e da conventi e ha due assistenti e una casa

bella e ricca. Parlo al maestro che ha fatto quella Madonna

laggiù nel chiostro, la più bella figura che io conosca.

Quest'uomo io ho amato e venerato, diventar suo pari mi sembrava

la meta più alta di questa terra. Ora ho creato anch'io una

figura, il Giovanni, non l'ho saputa fa-re così perfetta come la

vostra Madre di Dio, ma insomma è quel che è. Non ne ho un'altra

da fare, non c'è nessuna immagine che mi chiami, che mi

costringa a rappresentarla. O meglio, ce n'è una, una sacra

immagine lontana, che un giorno dovrò, ma che oggi non posso

ancora rappresentare. Per riuscirvi debbo vivere ancora molto e

arricchirmi d'altre esperienze. Forse potrò fra tre, quattro

anni, o fra dieci, o più tardi ancora, o anche mai. Ma fino a

quel momento, maestro, non voglio esercitar il mestiere e

verniciar figure e intagliar pulpiti e condurre una vita

d'artigiano nell'officina e guadagnar denaro e diventar simile a

tutti gli artigiani; non voglio questo, io voglio vivere e

girovagare, sentire l'estate e l'inverno, guardare il mondo,

sperimentare la sua bellezza e il suo orrore. Io voglio soffrire

la fame e la sete e voglio dimenticarmi, liberarmi di tutto

quello che ho vissuto e imparato qui da voi. Desidererei bensì

di poter fa-re un giorno qualcosa di così profondamente

commovente come la vostra Madre di Dio... ma diventare co-me

voi, vivere come voi vivete non voglio.

Il maestro che s'era lavato e asciugato le mani, si voltò verso

Page 117: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Boccadoro e lo guardò. Il suo volto era severo, ma non in

collera.

-- Tu hai parlato, -- disse, -- e io ho ascoltato. Basta così.

Non ti aspetto al lavoro, quantunque ci sia molto da fare. Non

ti considero come un mio aiutante: tu hai bisogno di libertà.

Vorrei discutere di alcune cose con te, caro Boccadoro: non ora,

fra qualche giorno; intanto puoi passare il tempo come ti pare.

Vedi, io sono molto più vecchio di te e ho parecchie esperienze.

Penso in un altro modo, ma ti capisco e so quello che intendi.

Fra un pò di giorni ti farò chiamare. Parleremo del tuo

avvenire: ho diversi progetti. Fino allora abbi pazienza!

So bene quel che si prova quando si è terminata un'opera che

stava a cuore, conosco codesto senso di vuoto. Passa, credimi.

Boccadoro se n'andò insoddisfatto. Il maestro era ben

intenzionato verso di lui, ma come poteva aiutarlo?

Egli conosceva un punto del fiume, dove l'acqua non era alta e

scorreva sopra un fondo pieno di rottami e di rifiuti; dalle

case del sobborgo dei pescatori vi gettavano dentro ogni sorta

d'immondizie. Si recò là, sedette sul muro di sponda e guardò

giù nell'acqua. Egli amava molto l'acqua, ogni acqua lo

attraeva. E guardando di lassù, attraverso la corrente

cristallina, il fondo cupo e indistinto, si vedevan qua e là

luccicare e scintillare, con un baglior d'oro smorzato e

suggestivo, cose irriconoscibili, forse un vecchio coccio di

piatto, o una falce storta gettata via, o un tegolo smaltato,

talvolta poteva essere anche uno di quei pesci che vivono nella

melma, un grosso capitone od una lasca, che si voltolava laggiù

e riceveva per un attimo sulle chiare pinne del ventre e sulle

scaglie un raggio di luce... non si poteva mai riconoscere con

precisione di che si trattasse, ma aveva sempre un fascino

magico e suggestivo quel subitaneo e smorzato scintillar d'aurei

tesori, immersi nel fondo umido e nero. Simili a questo piccolo

mistero dell'acqua gli pareva che fossero tutti i misteri veri,

tutte le immagini reali dell'anima: non avevano contorno, non

avevano forma, la lasciavano solo presentire come una bella

possibilità lontana, erano velati ed ambigui. Come là nella

penombra della verde profondità fluviale brillava col guizzo

d'un baleno qualcosa d'indefinibile fra l'oro e l'argento, un

nulla e pur ricco delle più liete promesse, così il profilo vago

d'un uomo, veduto di scorcio, poteva talvolta annunciare

qualcosa d'infinitamente bello o d'immensa-mente triste; oppure

come nella notte sotto un carro da trasporto pendeva una

lanterna e proiettava sui muri le ombre giganti e gigantesche

dei raggi delle ruote, questo gioco d'ombre poteva per la durata

d'un minuto esser pieno di visioni, d'avvenimenti e di storie

come tutto Virgilio. Della stessa stoffa magica e irreale eran

tessuti i sogni notturni, un nulla che conteneva in sé tutte le

immagini del mondo, un'acqua nel cui cristallo stavano le forme

di tutti gli uomini, di tutti gli animali, degli angeli e dei

demoni, come possibilità sempre deste.

Boccadoro si sprofondò di nuovo in quel gioco, fissò

perdutamente il fiume che scorreva, vide tremare sul fondo

Page 118: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

bagliori informi, immaginò corone regali e bianche spalle di

donne. Una volta, a Mariabronn, si rammentava d'aver veduto

nelle lettere latine e greche simili forme di sogno, simili

trasfigurazioni magiche; non ne aveva parlato con Narciso allora

? Ah, quando era stato, quante centinaia d'anni addietro? Ah,

Narciso! Per veder lui, per parlare un'ora con lui, per tenere

la sua ma-no, per udire la sua voce calma e saggia, avrebbe dato

volentieri i suoi due ducati d'oro.

Ma perché queste cose erano così belle, questo rilucer d'oro

sotto l'acqua, queste ombre e queste intuizioni, tutte queste

visioni irreali e fatate... perché erano così ineffabilmente

belle e davano tanta felicità, se erano proprio il contrario di

ciò che di bello può fare un artista?

Giacché, se la bellezza di quelle cose indefinibili era senza

forma e stava soltanto nel mistero, nelle opere dell'arte

avveniva precisamente il contrario, esse eran tutte forma,

parlavano perfettamente chiaro. Nulla era più inesorabilmente

chiaro e definito della linea di una testa o di una bocca

disegnata o scolpita nel legno. Con una precisione matematica

egli avrebbe saputo riprodurre in un disegno il labbro inferiore

o le palpebre della Madonna di Nicola; là non c'era nulla

d'indefinito, d'illusorio, d'evanescente.

Boccadoro s'abbandonava tutto a queste riflessioni. Non riusciva

a spiegarsi come fosse possibile che quanto si poteva pensare di

più determinato e di più formato agisse sull'anima allo stesso

modo come ciò che v'era di più inafferrabile e di più informe.

Una cosa però gli si rivelò in questa meditazione: perché tante

opere d'arte inappuntabili e ben fatte non gli piacessero e,

non ostante una certa bellezza, gli riuscissero noiose quasi

odiose. Officine, chiese e palazzi erano pieni di queste opere

insopportabili, egli stesso aveva lavorato ad alcune di esse.

Davano una delusione profonda, perché mancava loro l'essenziale:

il mistero. Questo era ciò che avevano in comune il sogno e

l'opera d'arte più perfetta: il mistero.

Boccadoro pensava ancora: un mistero è appunto quello che io

amo, che io inseguo, che più volte ho veduto balenarmi dinanzi e

che, se mi sarà possibile un giorno, vorrei rappresentare da

artista e costringere a rivelarsi. E

la figura della grande generatrice, della Madre primigenia: e il

suo mistero non sta, come quello di un'altra figura, in questa o

quella singolarità, in una particolare pienezza o magrezza,

solidità od eleganza, forza o grazia, bensì nell'aver riuniti in

sé e pacificati i più grandi contrasti, altrimenti

inconciliabili nel mondo: nascita e morte, bontà e crudeltà,

vita e annientamento. Se io avessi escogitato da me questa

figura, se fosse solo un gioco del mio pensiero o un ambizioso

desiderio d'artista, poco importerebbe, io potrei capire le sue

manchevolezze e dimenticarla. Ma la Madre primigenia non è un

pensiero, perché l'ho inventata io, L'ho veduta! Essa vive in

me, L'ho ripetutamente incontrata. La presentii la prima volta,

quando in un villaggio, una notte d'inverno, dovetti tenere il

lume sopra il letto di una contadina partoriente: allora

Page 119: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

l'immagine cominciò a vivere in me. Spesso è stata lontana e

perduta, lungo tempo, ma poi a un tratto mi ribalena davanti,

anche oggi. L'immagine della mia propria madre, un tempo la più

cara per me, si è completamente trasformata in questa nuova e vi

sta dentro come il nocciolo in una ciliegia.

Sentiva poi chiaramente la sua situazione attuale, innanzi a una

decisione. Non meno d'allora, quando aveva detto addio a Narciso

e al convento, si trovava su di una via importante: la via verso

la Madre. Forse un giorno dalla Madre sarebbe uscita una figura

plasmata e a tutti visibile, un'opera delle sue mani. Forse là

stava la meta, là era celato il senso della sua vita. Forse;

non lo sapeva. Ma una cosa sapeva: seguire la Madre, essere

in cammino verso di lei, attratto, chiamato da lei, era bene,

era vita. Forse non avrebbe mai saputo rappresentare la sua

immagine, forse sarebbe rimasta sempre sogno, presentimento,

attrattiva, aureo balenio di un sacro mistero. Ebbene, in ogni

caso egli doveva seguirla, a lei doveva affidare il suo destino,

era lei la sua stella.

Ed ecco che la decisione s'era fatta imminente, tutto era

diventato chiaro. L'arte era una bella cosa, ma non era una dea

né una meta, non lo era per lui; non l'arte egli doveva seguire,

solo il richiamo della Madre. A che poteva giovare render sempre

più abili le sue dita? In maestro Nicola si poteva vedere dove

ciò conducesse. Conduceva alla gloria e alla fama, al denaro e

alla vita sedentaria, e a un inaridimento e intristimento di

quei sensi interiori, ai quali soltanto è accessibile il

mistero. Conduceva alla fattura di leggiadri e preziosi

trastulli, a ricchi altari e pulpiti d'ogni sorta, a immagini di

san Seba-stiano e a testine d'angelo graziosamente ricciute,

quattro talleri al pezzo. Oh, L'oro nell'occhio d'un carpione e

la delicata, sottile peluria argentea sull'orlo di un'ala di

farfalla erano infinitamente più belli, più vivi, più deliziosi

di tutta una sala piena di quelle opere d'arte.

Un ragazzo scendeva cantando per la strada in riva al fiume;

talvolta il suo canto ammutoliva ed egli addentava un grosso

pezzo di pan bianco, che aveva in mano.

Boccadoro lo vide e gli chiese un pezzetto del suo pane, ne

trasse fuori con due dita un pò di mollica e ne formò delle

pallottole. Sporgendosi dal parapetto, gettò nell'acqua

lentamente l'una dopo l'altra le palline di pane, le vide

affondare chiare nell'acqua scura, le vide circondate da teste

di pesci accorsi in fretta a sciami, poi scomparire in una di

quelle bocche. A una a una le vide affondare e scomparire, con

viva soddisfazione. Poi sentì fame e andò a cercare una delle

sue belle, che serviva in casa d'un macellaio e ch'egli chiamava

" signora delle salsicce e dei prosciutti ". Col fischio

consueto l'attirò al-la finestra della cucina; aveva intenzione

di farsi dare da lei qualche cosa da mangiare, intascarla e

consumarla poi di là dal fiume, in uno di quei vigneti la cui

terra rossa e pingue splendeva così viva sotto i pampini

rigogliosi e dove in primavera fiorivano i piccoli giacinti

azzurri dal delicato profumo della frutta a nocciolo.

Page 120: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Ma pareva che fosse il giorno delle decisioni e delle intuizioni

profonde. Quando Caterina comparve alla finestra e sorrise dal

viso sodo e un pò rozzo, quando già egli tendeva la mano per

darle il consueto segnale, all'improvviso si rammentò di tutte

le altre volte ch'era stato lì così ad aspettare. E con una

chiarezza tediosa vide in precedenza tutto quello che sarebbe

avvenuto nei momenti successivi: come ella avrebbe riconosciuto

il suo segnale e si sarebbe ritratta, per ricomparire poco dopo

al-la porta di servizio, con in mano della carne affumicata che

egli avrebbe preso, accarezzando un poco la ragazza e

stringendola a sé, com'ella s'aspettava... e gli parve a un

tratto infinitamente stupido e brutto quel provocare ancora una

volta tutto un succedersi meccanico di cose già vissute e

rappresentarvi la solita parte: ricever la salsiccia, sentirsi

premer contro il petto quel seno robusto e premerlo a sua volta

un poco in cambio del dono.

A un tratto credette di scorgere nel volto buono e rozzo di lei

un'espressione di consuetudine priva d'anima, nel suo sorriso

cordiale qualcosa che aveva visto troppo spesso, qualcosa di

meccanico, senza mistero indegno di lui. Non descrisse fino in

fondo il gesto abituale con la mano, sul volto si gelò il

sorriso. L'amava egli ancora, la desiderava sul serio? No, già

troppe volte era stato Iì, troppe volte aveva veduto quel

sorriso sempre uguale e l'aveva ricambiato senza l'impulso del

cuore. Ciò che il giorno innanzi. avrebbe ancora potuto fare

spensieratamente, a un tratto non gli era più possibile. La

ragazza era ancora alla finestra a guardare, ed egli aveva già

voltato le spalle ed era scomparso in fondo al vicolo, deciso a

non mostrarsi mai più. Accarezzasse un altro quel seno!

Mangiasse un altro quelle buone salsicce! Quanto si divorava e

si dissipava ogni giorno in quella pingue città soddisfatta!

Com'eran pigri viziati, schifiltosi quei grassi cittadini, per i

quali ogni giorno s'ammazzavano tanti maiali e tanti vitelli e

si tiravan su dal fiume tanti poveri e bei pesci! Ed egli

stesso... come s'era viziato e guastato anche lui, com'era

diventato schifosamente simile a quei pingui cittadini! In giro

per il mondo, nella campagna coperta di neve, una prugna secca o

una crosta di pan vecchio erano ben più appetitose che lì nel

benessere tutto il pranzo di una corporazione. O vita errabonda,

o libertà, o landa rischiarata dalla luna, o traccia d'animali

cautamente osservata nell'erba umida e grigia del mattino! Lì in

città, presso i sedentari, tutto riusciva così facile e costava

così poco, perfino l'amore. A un tratto ne aveva abbastanza, ci

sputava sopra. La vita lì aveva perduto il suo significato, era

un osso senza midollo. Era stata bella e aveva avuto un senso

fin che il maestro era stato un modello, Elisabetta una

principessa; era stata sopportabile, fin ch'egli aveva lavorato

al suo Giovanni. Ormai era finita, il profumo s'era dileguato,

il fiorellino era appassito. Con un'ondata violenta lo afferrò

il sentimento della caducità, che tante volte poteva tormentarlo

così profondamente e così profondamente inebriarlo. Tutto

sfioriva presto, presto era esaurito ogni piacere e nulla

Page 121: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

rimaneva fuor che ossa e polvere. Ma no, una cosa rimaneva: la

Madre eterna, antichissima ed eternamente giovane, col sorriso

d'amore triste e crudele.

La rivedeva a momenti: gigantesca con le stelle nei capelli,

seduta a sognare sul margine del mondo, coglieva giocando con la

mano un fiore dopo l'altro, una vita dopo l'altra e lentamente

li lasciava cadere nell'abisso senza fondo.

In quei giorni, mentre Boccadoro vedeva impallidire dietro di sé

un tratto di vita sfiorito e vagava per la regione familiare in

una triste ebbrezza d'addio, maestro Nicola si dava gran pena

per provvedere al suo avvenire e per rendere sedentario per

sempre quell'ospite inquieto.

Persuase la corporazione ad assegnare a Boccadoro il diploma di

maestro e meditò il progetto di legarlo durevolmente a sé non

come subalterno ma come collaboratore, di discutere e d eseguire

con lui tutte le grandi commissioni che riceveva e di

associarlo al loro reddito. Forse era un rischio, anche per

Elisabetta, poiché naturalmente il giovane sarebbe diventato

presto suo genero. Ma una figura come il Giovanni anche il

migliore di tutti gli assistenti assoldati da Nicola non

l'avrebbe mai saputa fare, ed egli stesso diventava vecchio e le

sue ispirazioni e la sua forza creatrice impoverivano; né egli

voleva vedere la sua celebre officina decadere ad una volgare

industria manuale. Sarebbe stato difficile con quel Boccadoro;

ma bisognava osare.

Così il maestro faceva accuratamente i suoi calcoli.

Avrebbe fatto restaurare e ingrandire per Boccadoro la parte

posteriore dell'officina, gli avrebbe messo in ordine la stanza

sotto tetto, gli avrebbe regalato anche dei bei vestiti nuovi

per il suo ricevimento nella corporazione.

Chiese poi con cautela l'opinione di Elisabetta, che da quel

pranzo in poi s'aspettava qualcosa di simile. E guarda,

Elisabetta non era contraria. Se il giovanotto era costretto a

fissare la sua dimora e se il maestro voleva, ella era contenta.

Anche qui dunque nessun ostacolo. E se maestro Nicola e la

professione non erano ancora riusciti del tutto a domare quello

zingaro, Elisabetta avrebbe saputo compiere l'opera.

Così tutte le fila eran tirate e l'esca appesa dietro il laccio

per accalappiare l'uccello. E un giorno Boccadoro, che non s'era

più lasciato vedere, fu mandato a chiamare e invitato di nuovo a

mensa. Ricomparve spazzolato e pettinato, sedette di nuovo nella

bella stanza un pò troppo solenne, toccò di nuovo il bicchiere

col maestro e con la figliola del maestro, finché questa si

allontanò e Nicola venne fuori col suo progetto e con la sua

proposta.

--Mi hai inteso, --aggiunse alle sue sorprendenti

comunicazioni,--e non ho bisogno di dirti che non s'è mai dato

che un giovane, senza neppur aver assolto il periodo di

scuola prescritto, sia diventato così presto maestro e abbia

trovato subito il nido caldo. La tua fortuna è fatta, Boccadoro.

Boccadoro guardava il suo maestro, meravigliato e col cuore

oppresso; allontanò da sé il bicchiere, ancora semi-pieno. S'era

Page 122: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

atteso che Nicola lo rimproverasse un poco per i giorni

trascorsi in ozio e poi gli proponesse di rimaner con lui come

assistente. Ecco invece come stavano le cose. Si sentiva triste

e imbarazzato di sedere così di fronte a quell'uomo. Non trovò

subito una risposta.

Il maestro, con un volto già un pò teso e deluso nel non veder

subito accettata con gioia e con umiltà la sua

o norevole offerta, s'alzò dicendo:

--Dunque la mia proposta ti giunge inattesa, forse prima vuoi

pensarci su. Mi spiace un poco, avevo creduto di procurarti una

gran gioia. Ma per conto mio, prenditi pur tempo per

riflettere.

--Maestro, -- disse Boccadoro, cercando a fatica le parole, --

non abbiatevene a male! Vi ringrazio con tutto il cuore della

vostra benevolenza e vi ringrazio ancor più della pazienza con

cui m'avete trattato come scolaro. Non dimenticherò mai quale

debito ho verso di voi.

Ma non ho bisogno di tempo per riflettere, mi sono già deciso da

un pezzo.

-- Deciso a che?

--Era già cosa stabilita in me prima che accettassi il vostro

invito e che avessi la minima idea delle vostre onorevoli

offerte. Io non rimango più qui, torno a girare il mondo.

Nicola impallidì e lo guardò con occhi cupi.

--Maestro, -- supplicò Boccadoro, -- credetemi, non voglio

offendervi! Vi ho detto la mia decisione. Non si può più mutare.

Debbo andarmene, debbo viaggiare, debbo ritrovare la libertà.

Permettete che vi ringrazi ancora una volta di cuore, e

separiamoci da amici.

Con le lacrime agli occhi, gli tese la mano. Nicola non la

prese; s'era sbiancato in volto e cominciò a camminare in su e

in giù per la stanza, sempre più rapidamente; i suoi passi

rintronavano dalla collera. Boccadoro non l'aveva mai veduto

così.

Poi il maestro s'arrestò a un tratto, si dominò con un terribile

sforzo e, senza guardare Boccadoro, sibilò fra i denti:.--Bene,

allora va! Ma va subito! Che non ti riveda più, affinché io non

faccia e non dica qualche cosa, di cui potrei pentirmi un

giorno. Va!

Boccadoro gli tese ancora la mano. Il maestro fece l'atto di

sputarci sopra. Allora Boccadoro, ch'era pure diventato pallido,

voltò le spalle, uscì piano dalla stanza.

fuori si mise il berretto, scivolò giù dalla scala lasciando

scorrer la mano sulle teste scolpite delle colonnette, da basso

entrò nella piccola officina del cortile, rimase un poco davanti

al suo Giovanni per prender congedo, e lasciò la casa con

un'amarezza in cuore, più profonda di quella provata, un giorno,

nel lasciare il castello del cavaliere e la povera Lidia.

"Se non altro è stata una cosa rapida! Se non altro non si son

dette parole inutili!" Questo era l'unico pensiero che lo

confortava, mentre varcava la soglia per uscire, e la strada e

la città lo guardavano a un tratto con quel volto mutato ed

Page 123: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

estraneo, che prendono le cose consuete quando il nostro cuore

ha detto loro addio. Si volse a guardare la porta di quella

casa... era ormai la porta di una casa straniera e chiusa per

lui.

Giunto nella sua camera, Boccadoro cominciò i preparativi per la

partenza. Veramente non c'era molto da preparare; non c'era

altro da fare che prender congedo.

Appeso alla parete era un quadro dipinto da lui, una dolce

Madonna; intorno c'eran cose che gli appartenevano: un cappello

della festa, un paio di scarpe da ballo, un ro-tolo di disegni,

un piccolo liuto, una serie di figurine di creta plasmate da

lui, alcuni regali delle sue belle: un mazzo di fiori

artificiali, un bicchiere color rosso rubino, un vecchio

panforte indurito in forma di cuore ed altre simili bazzecole,

ognuna delle quali aveva il suo significato e la sua storia e

gli era stata cara; ormai era tutta cianfrusaglia importuna,

poiché nulla gli era consentito di portare con sé. Poté almeno

barattare col padrone di casa il bicchiere color rubino contro

un forte e buon coltello da caccia, che affilò sulla cote in

cortile; sbriciolò il panforte e lo diede in pasto ai polli del

cortile vicino, I regalò la Madonna alla padrona di casa e

n'ebbe in cambio un dono utile: un vecchio sacco da viaggio in

cuoio e un'abbondante provianda per il viaggio. Nel sacco mise

alcune camicie che possedeva e qualche disegno più piccolo

rotolato intorno a un pezzo di manico di. scopa, poi le

provvigioni. Il resto della roba dovette rimaner là.

C'erano parecchie donne nella città, da cui sarebbe stato

conveniente prender commiato; presso una di queste aveva dormito

ancora la notte innanzi, senza dirle nulla dei suoi progetti.

Sì, c'era sempre qualcosa che s'attaccava alle calcagna, quando

uno voleva mettersi in viaggio. Non bisognava darvi importanza.

Egli non disse addio a nessuno, fuorché alla gente di casa. Lo

fece sera, per poter partire all'alba.

Tuttavia al mattino qualcuno s'era alzato, che, mentr'egli

stava per lasciar la casa senza far rumore, lo ir vitò in cucina

a bere una zuppa di latte. Era la figli di casa, una bambina di

quindici anni, una creatura quiete e malaticcia con dei begli

occhi, ma con un difetto a: L'articolazione del femore, che la

faceva zoppicare. Si chiamava Maria. Con un viso affaticato

dalla veglia, pallidissima, ma vestita e ravviata con cura, gli

servì in cucina del latte caldo e del pane, e pareva molto

triste pe la sua partenza. Egli la ringraziò e nel dirle addio

la ba ciò pietoso sulla bocca sottile. Devotamente, con gli chi

chiusi. ella ricevette il bacio.

INDEX

Page 124: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO XIII

Nei primi tempi del suo nuovo vagabondaggio, nella prima avida

ebbrezza della riconquistata libertà, Boccadoro dovette tornar

ad imparare la vita senza patria e senza tempo del giramondo.

Non soggetti ad alcuno, dipendenti solo dalle vicende

dell'atmosfera e della stagione, senza una meta dinanzi a sé,

senza un tetto sopra di sé, in possesso di nulla, esposti a

tutti gli eventi, i vagabondi conducono la loro vita semplice e

coraggiosa, misera e forte. Sono i figli di Adamo, dell'uomo

cacciato dal Paradiso, e sono i fratelli degli animali,

degl'innocenti. Dalla mano del cielo prendono ora per ora ciò

che vien loro dato: sole, pioggia, nebbia, neve, caldo e freddo,

benessere e indigenza; per loro non esiste il tempo, la storia,

non esiste una mira, e neppur quell'idolo dello sviluppo e del

progresso, nel quale credono così disperatamente quelli che

hanno una casa. Un vagabondo può essere delicato o rozzo,

ingegnoso o melenso, coraggioso o pauroso, ma nel cuore è sempre

un fanciullo, vive sempre come al primo giorno, avanti l'inizio

di ogni storia universale, e la sua vita sarà sempre guidata da

pochi, semplici istinti e bisogni. Può essere intelligente o

sciocco; avere coscienza profonda della fragilità e caducità

d'ogni vita, della povertà e ansietà con cui ogni essere porta

il suo tantino di sangue caldo attraverso il ghiaccio degli

spazi, o solo seguire puerilmente e avidamente i comandi del suo

povero stomaco... sempre egli è il contrapposto e il nemico del

possidente e del sedentario, che lo odia, lo disprezza e lo

teme, perché non vuole che gli si rammenti tutto questo: la

fugacità d'ogni esistenza, il continuo avvizzire d'ogni vita, la

morte gelida e inesorabile, che riempie intorno a noi

l'universo.

La semplicità fanciullesca della vita girovaga, la sua origine

materna, il suo staccarsi dalla legge e dallo spirito, il suo

abbandonarsi al destino, la vicinanza segreta e costante della

morte, avevano preso da un pezzo l'anima di Boccadoro

imprimendole il loro marchio profondo. Ma in lui albergavano

anche lo spirito e la volontà egli era un artista, e ciò rendeva

la sua vita più ricca e più difficile. Solo la scissione e il

contrasto rendono ricca e fiorente una vita. Che sarebbero la

ragione e la temperanza senza la conoscenza dell'ebbrezza, che

sarebbe il piacere dei sensi, se dietro di esso non stesse la

morte e che sarebbe l'amore senza l'eterna mortale ostilità dei

sessi?

Estate e autunno declinarono, vennero i mesi magri in cui

Boccadoro tirò innanzi fra gli stenti, per poi camminare

inebriato nella dolce primavera olezzante; le stagioni

passavano così rapidamente e l'alto sole estivo ritornava ogni

volta a declinare. Un anno succedeva all'altro e Boccadoro

pareva aver dimenticato che ci fosse altro sulla terra fuorché

fame ed amore e quella corsa tacita e inquietante delle

stagioni; pareva ch'egli fosse completamente sprofondato nel

materno mondo primitivo degli istinti. Ma in ogni sogno, in ogni

Page 125: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

sosta pensierosa con lo sguardo aperto sulle valli fiorite e

sfiorite, egli era tutto contemplazione, era artista, soffriva

del tormentoso desiderio di scongiurare con lo spirito

l'incantevole non-senso della vita che passa, e di trasformarlo

in senso.

Un giorno Boccadoro, che dopo l'avventura cruenta con Vittore

aveva sempre vagato da solo, s'incontrò in un compagno, che gli

si unì senza quasi ch'egli se ne accorgesse e di cui non si

liberò per un pezzo. Questo non era però del genere di Vittore;

era un uomo ancor giovane, in veste e cappello da pellegrino,

che si chiamava Roberto e aveva la sua residenza sul lago di

Costanza. Figlio d'artigiani, era andato per qualche tempo a

scuola dai monaci di San Gallo e fin da ragazzo s'era messo in

testa di compiere un pellegrinaggio a Roma; aveva continuato ad

accarezzare questo pensiero, fin che aveva colto la prima

occasione di attuarlo. Questa occasione era stata la morte del

padre, nella cui officina egli aveva lavorato fino allora da

falegname. Appena il vecchio fu sotto terra, Roberto dichiarò a

sua madre e a sua sorella che nulla poteva trattenerlo

dall'intraprendere subito il pellegrinaggio a Roma, per appagare

il suo impulso e per espiare i peccati suoi e di suo padre

Invano le donne piansero, invano lo rampognarono, egli fu

irremovibile, e invece di provvedere alla madre e alla sorella

si mise in viaggio senza la benedizione dell'una e fra le irate

invettive dell'altra. Lo spingeva innanzi tutto la voglia di

girare il mondo, a cui s'univa una specie di religiosità

superficiale, cioè una tendenza a dimorare in vicinanza di

chiese e d'istituzioni ecclesiastiche, una passione per il

servizio divino, per i battesimi, i funerali, le messe,

L'incenso e la fiamma delle candele. Sapeva un pò di latino, ma

non era la dottrina la meta delle sue aspirazioni infantili,

bensì la contemplazione e l'esaltazione tranquilla all'ombra

della volta d'una chiesa. Da ragazzo era stato chierico ed aveva

servito messa con passione.

Boccadoro non lo prendeva molto sul serio, ma aveva una certa

simpatia per lui, si sentiva un poco affine nell'istintiva

tendenza al vagabondaggio e a correr terre straniere. Roberto

dunque era partito contento ed era giunto anche a Roma; aveva

chiesto l'ospitalità d'innumere-voli conventi e parrocchie,

aveva contemplato le Alpi e il Mezzogiorno, e a Roma s'era

sentito perfettamente a suo agio fra tutte quelle chiese e

quelle istituzioni pie, aveva ascoltato centinaia di messe e

fatto devozioni nei luoghi più celebri e più sacri e ricevuto

sacramenti e respirato più incenso di quel che fosse necessario

per i suoi piccoli peccati di gioventù e per quelli di suo

padre. Era rimasto via un anno e più, e, quando infine era

tornato alla casetta paterna, non era stato certo ricevuto come

il figliol prodigo: la sorella nel frattempo s'era assunta tutti

i doveri e i diritti domestici, aveva preso a servizio e poi

sposato un bravo garzone falegname e governava così

perfettamente la casa e l'officina che il reduce, dopo un breve

soggiorno, si riconobbe del tutto superfluo, e, quando poco dopo

Page 126: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

parlò di nuovo d'andarsene e di viaggiare, nessuno lo invitò a

rimanere. Egli non se ne crucciò, si fece dare dalla madre

qualche quattrino, tornò a indossare la veste del pellegrino e

iniziò un nuovo pellegrinaggio senza meta attraverso la

Germania, viandante fra laico ed ecclesiastico. Gli tintinnavano

addosso medaglie di rame, ricordo di noti luoghi di

pellegrinaggio, e rosari consacrati.

Così s'imbatté in Boccadoro, camminò un giorno con lui, con lui

scambiò le esperienze del vagabondo, si smarrì nella cittadina

più vicina, lo incontrò ancora qua e là e finì col rimanergli a

fianco, compagno di viaggio pacifico e servizievole. Boccadoro

gli piaceva molto; cercava di cattivarselo con piccoli servigi;

ammirava il suo sapere, la sua audacia, il suo spirito e amava

la sua salute, la sua forza e la sua sincerità. Si abituarono

l'uno all'altro, poiché anche Boccadoro aveva un buon carattere.

Una cosa sola non tollerava: quando era colto dalla sua

tristezza o dalle sue fantasticherie, taceva ostinatamente e

neppure guardava l'altro, come se non esistesse; allora non si

poteva chiacchierare, né interrogare, né consolare: bisognava

lasciarlo fare e tacere. Roberto l'aveva imparato presto. Da

quando s'era accorto che Boccadoro sapeva a memoria una quantità

di versi latini e di canti, da quando lo aveva sentito

analizzare davanti al portale d'una cattedrale le statue in

pietra, da quando l'aveva veduto disegnare con la matita rossa,

a grandi e rapidi tratti, delle figure in grandezza naturale su

di un muro liscio, presso il quale essi riposavano, egli

considerava il suo compagno un prediletto da Dio e quasi un

mago.

Roberto s'accorse poi che Boccadoro era anche un beniamino delle

donne e che ne conquistava parecchie con un'occhiata e con un

sorriso; ciò gli piaceva meno, ma non poteva esimersi

dall'ammirarlo.

Il loro viaggio fu interrotto un giorno in modo inatteso.

Giunti in vicinanza d'un villaggio, furono accolti da un

gruppetto di contadini armati di randelli, stanghe e

correggiati; e il capo gridò loro da lontano di ritornare subito

sui loro passi e di andarsene senza lasciarsi più vedere, al

diavolo, altrimenti li avrebbero ammazzati.

Mentre Boccadoro si fermava, desideroso di sapere che cosa ci

fosse, una sassata lo colpiva al petto. Si voltò in cerca di

Roberto, ma questi se l'era data a gambe come un ossesso. I

contadini avanzavano minacciosi, e a Boccadoro non rimase altro

da fare che seguire a passo più lento il fuggiasco. Roberto lo

aspettava tremante sotto un crocefisso che sorgeva in mezzo alla

campagna.

Sei scappato come un eroe! --disse ridendo Boccadoro. --Ma che

cos'hanno nei loro testoni quegli zotici?

C'è forse la guerra? Mettono guardie armate davanti al loro nido

e non vogliono lasciar entrare nessuno! Mi fa meraviglia; che

cosa ci può esser sotto?

Né l'uno né l'altro lo sapeva. Solo il mattino seguente in una

masseria isolata fecero alcune esperienze, cominciarono a

Page 127: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

indovinare il mistero. Questa masseria, composta di capanna,

stalla e granaio e circondata da un cortile verdeggiante d'erba

alta e con molti alberi da frutta, giaceva stranamente

silenziosa e addormentata: non una voce umana, non un passo, non

un grido di bimbo, non un affilar di falce, nulla s'udiva; nella

corte c'era sull'erba una mucca che muggiva; si capiva ch'era

ora di mun-gerla. S'avvicinarono alla casa, bussarono alla

porta, non ottennero risposta; andarono verso la stalla, era

aperta e vuota; andarono al granaio, sul cui tetto di paglia

luccicava al sole il musco verde chiaro: anche là non trovarono

anima viva. Ritornarono alla casa, meravigliati e colpiti dalla

desolata solitudine di quella dimora; batterono ancora coi pugni

contro la porta: di nuovo nessuna risposta. Boccadoro provò ad

aprire e trovò con stupore che la porta non era chiusa; la

spinse verso l'interno ed entrò nella stanza buia. --

Buongiorno, -- gridò forte.

--Non c'è nessuno?--Ma tutto restò silenzioso. Roberto era

rimasto davanti alla porta. Curioso, Boccadoro s'inoltrò. Nella

capanna c'era cattivo odore, un odore strano e ripugnante. Il

focolare era pieno di cenere, egli vi soffiò dentro; sul fondo,

nei ciocchi carbonizzati covavano ancora le scintille. Allora

nella penombra vide qualcuno sul sedile di fondo del camino;

qualcuno era là seduto e dormiva; pareva una vecchia. Gridare

non serviva a nulla, la casa sembrava incantata. Toccò

amichevolmente sulla spalla la donna seduta, ella non si mosse;

s'accorse allora ch'era avvolta in una ragnatela, coi fili in

parte fissati ai capelli e alle ginocchia. "Costei è morta"

pensò Boccadoro con un lieve brivido; e per convincersi

s'affaccendò intorno al fuoco, attizzò e soffiò, fin che si levò

una fiamma ed egli poté accendere una lunga scheggia di legno.

Con questa illuminò il volto della donna seduta. Vide sotto i

capelli grigi un cadaverico viso violaceo con un occhio aperto

che luccicava vuoto e plumbeo. La donna era morta lì, seduta

sulla seggiola. Via, non si poteva più soccorrerla.

Con la scheggia ardente in mano Boccadoro continuò a cercare, e

nella stessa stanza, sulla soglia che metteva nella camera

posteriore, trovò disteso un altro cadavere un ragazzo di forse

otto o nove anni, col volto gonfio e sfigurato, vestito della

sola camicia. Giaceva col ventre sulla traversa, e le due mani

facevan dei piccoli pugni stretti ed irati. "Questo è il

secondo" pensò Boccadoro come in un brutto sogno andò avanti,

nella retrocamera le imposte qui erano aperte e la luce del

giorno entrava chiara. Egli spense con precauzione la sua

fiaccola e calpestò le scintille sul pavimento.

C'erano tre letti. Uno era vuoto, sotto il lenzuolo grigio e

ruvido spuntava la paglia. Nel secondo era disteso un altro

corpo, un uomo con la barba, rigido, sul dorso, con la testa

appoggiata indietro e il mento e la barba volti all'insù; doveva

essere il contadino. Il suo viso infossato riluceva scialbo nei

colori inconsueti della morte, un braccio pendeva fino a terra,

dove giaceva rovesciata una brocca di terracotta; L'acqua

sparsa, non ancora del tutto assorbita dal suolo, era corsa

Page 128: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

verso una conca, nella quale rimaneva ancora una piccola pozza.

Nell'altro letto giaceva, tutt'avviluppata e sepolta nel

lenzuolo e nella ruvida coperta, una donna grande e robusta; il

suo volto era affondato nel letto, i capelli ruvidi e biondi

come paglia brillavano nella luce chiara. Accanto a lei e con

lei abbracciata, come presa e strozzata nel lenzuolo sconvolto,

giaceva una giovinetta bionda come la madre, con macchie grigio

azzurre sul volto cadaverico.

Lo sguardo di Boccadoro andava da un morto all'altro. Nel volto

della fanciulla, quantunque già molto sfigurato, c'era ancora

una traccia dello spavento disperato della morte. Nella nuca e

nei capelli della madre, che s'era avvoltolata tutta così

violentemente nel giaciglio, si leggeva il furore, L'angoscia,

un'appassionata volontà di fuga. Specialmente la chioma indomita

non poteva assolutamente rassegnarsi alla morte. Nel volto del

contadino c'era fierezza e tetro dolore; si vedeva ch'era morto

con pena, ma con virile dignità; il suo viso barbuto si

profilava nell'aria rigido e fermo, come quello d'un

guerriero disteso sul campo di battaglia.

Quest'atteggiamento calmo e fiero nella sua rigidità, un pò

sdegnato, era bello; certo non era stato meschino e codardo un

uomo che aveva ricevuto la morte a quel modo. Ma commovente

era il piccolo cadavere del fanciullo, prono sul ventre

attraverso la soglia; il suo volto non diceva nulla, ma la sua

posizione lì sull'uscio e i suoi piccoli pugni stretti

rivelavano molto: un dolore smarrito, un disperato difendersi

contro sofferenze inaudite. Proprio vicino al suo capo c'era un

foro praticato nella porta. Boccadoro osservava tutto

attentamente. Senza dubbio l'aspetto della capanna era orrendo

e il puzzo di cadavere nauseava; eppure tutto questo aveva

per Boccadoro una forza profonda d'attrazione, tutto era

pregno di grandiosità e di destino, così vero, così non

simulato; qualcosa in tutto questo cattivava il suo amore e gli

penetrava nell'anima.

Fuori, intanto, Roberto cominciava a gridare impaziente e

inquieto. Boccadoro aveva simpatia per Roberto, ma in quel

momento pensava quanto quell'uomo vivo fosse meschino nella sua

paura, nella sua curiosità, in tutta la sua puerilità, a

paragone dei morti. Non gli rispose; si diede tutto alla

contemplazione dei morti, con quella strana mescolanza

d'interesse cordiale e di fredda osservazione, che hanno gli

artisti. Guardava attentamente le figure giacenti e anche quella

seduta, le teste, le mani, L'atteggiamento in cui s'erano

irrigidite. Che silenzio in quella capanna incantata! Che odore

strano e terribile!

Com'era triste e spettrale quella piccola dimora umana, in cui

covava ancora sul camino un resto di fuoco, abitata da cadaveri,

tutta pervasa dalla morte! Presto a quelle tacite figure la

carne sarebbe caduta dalle guance e i topi avrebbero roso loro

le dita. Quello che gli altri compivano nella bara e nella

tomba, ben nascosti ed invisibili, L'ultima funzione e la più

misera, la decomposizione e la putrefazione, quei cinque la

compivano lì in casa, nelle loro stanze, alla luce del giorno,

Page 129: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

con la porta aperta, in-curanti, senza pudori, senza ripari.

Boccadoro aveva già visto più di un cadavere, ma un'immagine

simile del lavoro inesorabile della morte non l'aveva mai

incontrata.

E se la fissò profondamente nell'anima.

Finalmente le grida di Roberto fuori della porta lo

disturbarono: uscì. Il compagno lo guardò inquieto.

--Che c'è? -- domandò piano, con la voce tremante di paura. --

Non c'è dunque nessuno in casa? Oh, che occhi fai! Ma parla!

Boccadoro lo misurò con una fredda occhiata.

--Entra e guardati attorno, è una curiosa casa colonica. Dopo

mungeremo la bella mucca che è là. Avanti!

Roberto entrò incerto nella capanna, andò difilato al focolare,

scoprì la vecchia seduta e appena s'accorse ch'era morta gettò

un urlo. Tornò indietro di corsa con gli occhi sbarrati.

--Per amor di Dio! C'è una donna morta seduta al camino. Che

vuol dire? Perché non c'è nessuno vicino a lei? Perché non la

seppelliscono? Oh, Dio! Si sente già il fetore.

Boccadoro sorrise.

--Sei un grande eroe, Roberto; ma sei tornato indietro troppo

presto. Una vecchia morta, quando è seduta così su di una

seggiola, è certo uno spettacolo strano; ma se vai avanti due

passi, puoi vedere cose ancora più strane. I cadaveri sono

cinque, Roberto. Sui letti ne sono distesi tre, e un ragazzino

giace morto attraverso la soglia.

Tutti sono morti. L'intera famiglia è là irrigidita, la casa è

spopolata. Ecco perché nessuno ha munto la mucca.

L'altro lo guardò inorridito, poi a un tratto gridò con voce

soffocata: -- Oh, adesso capisco anche i contadini, che ieri non

vollero lasciarci entrare nel loro villaggio.

Oh Dio, ora tutto mi si spiega. E la peste! Per la mia povera

anima, è la peste, Boccadoro! E tu sei stato tanto tempo là

dentro, e magari hai toccato i morti! Via, non avvicinarti a me,

certo sei infetto. Mi rincresce, Boccadoro, ma io debbo

andarmene, non posso rimanere accanto a te.

Stava già per darsela a gambe, ma fu trattenuto per la falda del

suo mantello di pellegrino. Boccadoro lo guardò severo con un

muto rimprovero e lo tenne inesorabilmente stretto, mentre

quegli si dibatteva e si ribellava.

-- Ragazzo mio, -- disse in tono fra amichevole e beffardo, --

sei più intelligente di quel che si crederebbe; forse hai

ragione. Ebbene, lo sapremo alla prossima masseria o al

villaggio. probabile che in questa regione ci sia la peste.

Vedremo se noi riusciremo a cavarcela. Ma lasciarti scappare,

piccolo Roberto, non posso. Guarda, io sono un uomo

compassionevole, il mio cuore è troppo tenero; e se penso che tu

potresti aver preso là dentro il contagio e qualora io ti

lasciassi andare tu ti butteresti per terra in qualche campo a

morire, così tutto solo, e nessuno ti chiuderebbe gli occhi e

nessuno ti farebbe una tomba e ti getterebbe un pò di terra...

no, caro amico, la pietà mi stringe la gola. Dunque sta attento

e mettiti bene in mente quello che dico, non intendo ripeterlo:

Page 130: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

noi due siamo nello stesso pericolo, può toccare a te o a me.

Rimarremo dunque insieme; o periremo tutti e due, o sfuggiremo a

questa maledetta peste. Se tu ti ammalerai e morirai, sarai

sepolto da me, puoi star sicuro.

E se sarò io a morire, allora fa quello che vuoi, seppelliscimi

o svignatela, per me fa lo stesso. Ma prima, caro, non si

scappa, tienitelo bene a mente! Avremo bisogno l'uno dell'altro.

E ora lingua in bocca! Non voglio udir nulla; cerca un secchio

da qualche parte nella stalla, che possiamo finalmente mungere

la mucca.

Così avvenne; e da quel momento Boccadoro comandò e Roberto

ubbidì, e fu bene per tutti e due. Roberto non tentò più di

fuggire. Disse solo in tono conciliante: --

Per un attimo ebbi paura di te. Il tuo volto non mi piacque,

quando uscisti da quella casa di morti. Credetti che ti fossi

preso la peste. Ma se anche non è la peste, il tuo volto è

cambiato. Era così terribile quello che vedesti là dentro?

-- Non era terribile, -- disse Boccadoro esitando. --

Non vidi là dentro nulla fuorché quello che aspetta me, te e

tutti, anche se non prendiamo la peste.

Proseguendo il loro cammino s'imbatterono presto dappertutto

nella morte nera, che regnava nel paese. Parecchi villaggi non

lasciavano entrare i forestieri; in altri essi potevano

camminare indisturbati per tutte le strade. Molti casolari erano

abbandonati, molti morti non sepolti imputridivano sui campi o

nelle stanze. Nelle stalle muggivano le mucche affamate o non

munte, oppure il bestiame correva selvaggio per la campagna.

Essi munsero e diedero da mangiare a più d'una mucca e d'una

capra, ammazzarono e arrostirono sul margine del bosco capretti

e porcellini, bevvero vino e mosto preso in cantine ormai senza

padrone. Avevano una buona vita, regnava l'abbondanza. Ma non la

gustavano che a metà. Roberto viveva nella paura costante della

peste, e alla vista dei cadaveri si sentiva male, spesso era

tutto scombussolato dal terrore; credeva continuamente d'aver

preso il contagio, teneva a lungo la testa e le mani nel fumo

dei loro fuochi da bivacco (ciò era ritenuto salutare), perfin

nel sonno si tastava il corpo per sentire se non ci fossero

bubboni sulle gambe, sulle braccia, sotto le ascelle.

Boccadoro a volte lo sgridava, a volte lo scherniva. Non

divideva la sua paura e neppure la sua ripugnanza; andava

attento e cupo per il paese della morte, terribilmente attratto

dallo spettacolo di quel grandioso morire, L'anima piena di quel

grande autunno, il cuore gonfio del canto della falce

mietitrice. Talvolta gli riappariva l'immagine dell'eterna

Madre, viso pallido e gigantesco con occhi di Medusa, con un

sorriso grave, pieno di dolore e di morte.

Un giorno arrivarono ad una piccola città fortificata dalla

porta un baluardo dell'altezza delle case correva tutt'intorno

alla cinta, ma nessuna guardia stava lassù e nessuna vigilava la

porta aperta. Roberto si rifiutò d'entrare e scongiurò anche il

compagno di non farlo. In quel mentre udirono una campana e

dalla porta della città uscì un sacerdote con una croce in mano,

Page 131: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

seguito da tre carri, due tirati da cavalli ed uno da una coppia

di buoi; erano carichi di cadaveri. Un paio d'inservienti

avvolti in strani mantelli, coi cappucci calati sopra il viso,

correvano accanto, spronando gli animali.

Roberto, pallido in volto, si dileguò; Boccadoro seguì a breve

distanza i carri funebri; avanzarono qualche centinaio di passi,

ed ecco non già un camposanto, ma una buca scavata in mezzo alla

landa deserta, profonda non più di tre vangate, ma grande come

una sala. Boccadoro si fermò e vide gl'inservienti tirar giù i

morti dai carri con pertiche e anghiere e ammucchiarli nella

grande buca; il sacerdote mormorando vi fece sopra il segno

della croce e se n'andò; i becchini allora accesero da tutte le

parti di quella tomba a fior di terra grandi fuochi e senza far

parola ritornarono di corsa in città, nessuno si curò di coprire

la fossa. Boccadoro guardò dentro; potevan esservi cinquanta o

più cadaveri gettati l'uno sull'altro, molti dei quali nudi. Qua

e là un braccio o una gamba sporgevan rigidi contro il cielo,

quasi in atto d'accusa; una camicia fluttuava lieve al vento.

Quando Boccadoro tornò presso Roberto, questi lo supplicò in

ginocchio di proseguire al più presto il loro cammino. Aveva ben

ragione di supplicare: nello sguardo assente di Boccadoro egli

scorgeva quella fissità assorta, quell'inclinazione alle visioni

orrende, quella terribile curiosità, che gli eran già fin troppo

note. Non riuscì a trattenere l'amico. Boccadoro, solo s'avviò

verso la città.

Entrò per la porta incustodita, e, mentre udiva il suo passo

risonare sul selciato, gli tornavano alla memoria tante altre

cittadine e tante porte per cui era passato, e ricordava le

grida dei bimbi, i giochi dei ragazzi, i litigi delle donne, il

martellar dei fabbri sulle incudini sonore, il fragore dei carri

e tanti altri rumori, delicati ed aspri, che intrecciati alla

rinfusa come in una rete annunciavano la varietà del lavoro,

delle occupazioni, della gioia, della socievolezza umana. Lì

invece, sotto quella porta aperta, in quella via solitaria, non

un suono, non un riso, non un grido; tutto giaceva irrigidito in

un silenzio di morte, nel quale la melodia chiacchierina d'una

fontana zampillante sonava già troppo forte, quasi chiassosa.

Dietro una finestra aperta si vedeva un fornaio in mezzo alle

sue pagnotte e ai suoi panini; Boccadoro indicò uno di questi e

il fornaio glielo spinse fuori con precauzione sopra un

infornapane, attese che l'altro gli mettesse il denaro sulla

pala, poi chiuse il suo finestrino, indispettito ma senza

proteste, quando vide lo straniero addentare il panino e andar

oltre senza pagare. Sui davanzali di una bella casa c'era una

fila di vasi di terracotta, che un tempo erano stati fioriti e

ormai apparivano vuoti, con qualche foglia secca spiovente. Da

un'altra casa uscivano singhiozzi e grida lamentose di bambini.

Ma nella strada attigua Boccadoro vide dietro una finestra una

graziosa fanciulla che si pettinava; stette a contemplarla fin

che quella sentì il suo sguardo ed a sua volta guardò giù,

arrossì e, poiché egli le sorrideva amichevolmente, anche sul

volto acceso di lei passò lento e languido un sorriso.

Page 132: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

--Quasi pettinata? --le gridò. Ella sporse il volto luminoso e

sorridente dal vano della finestra.

--Non ancora malata? --domandò lui, ed ella scosse il capo. --

Allora vieni con me fuori da questa città di morte, andiamo nei

boschi e avremo una buona vita.

Ella interrogò con gli occhi.

-- Non pensarci su troppo, parlo sul serio -- gridò Boccadoro.--

Sei in casa di babbo e mamma, o a servizio da estranei?... Da

estranei dunque. Allora vieni, bimba cara; lascia morire i

vecchi, noi siamo giovani e sani e vogliamo passarcela bene

ancora un pò. Vieni, brunetta, dico sul serio.

Ella lo esaminò, esitante, stupita. Egli proseguì a passi lenti,

bighellonò per una strada deserta, poi per un'altra e tornò

indietro pian piano. La fanciulla stava ancora alla finestra,

sporta in fuori, e fu lieta di vederlo ritornare.

Gli fece cenno: egli continuò lentamente il suo cammino e poco

dopo ella lo raggiunse, prima ancora d'arrivare alla porta, con

un piccolo fardello in mano e un fazzoletto rosso intorno al

capo.

--Come ti chiami? --le domandò Boccadoro.

--Lena. Vengo con te. Oh, è così brutto qui in città!

Muoiono tutti. Via, via!

Poco lontano dalla porta Roberto, di cattivo umore, stava

rannicchiato per terra. All'arrivo di Boccadoro balzò in piedi e

spalancò tanto d'occhi alla vista della ragazza.

Questa volta non si arrese subito, protestò, fece scene.

Che si portasse fuori una persona da quella maledetta tana

appestata e che si pretendesse da lui di tollerare una simile

compagnia era più che una pazzia, era un tentar Dio, ed egli si

rifiutava, non restava più insieme, la sua pazienza era al

termine.

Boccadoro lo lasciò imprecare e protestare, fin che si acquetò.

--Bene,--disse,--ce n'hai cantate abbastanza. Adesso verrai con

noi e sarai contento di avere una compagnia così graziosa. Si

chiama Lena e resta con me. Ma ti voglio dare anche una gioia,

Roberto, ascolta: per un pò di tempo vogliamo vivere in pace e

in buona salute e star lontani dalla pestilenza. Ci

cercheremo un bel posticino con una capanna vuota o ce ne

costruiremo una da noi, io e Lena saremo il padrone e la padrona

di casa e tu sarai il nostro amico e vivrai con noi. Vogliamo

avere un tantino di vita serena e piacevole. D'accordo?

Oh sì, Roberto era pienamente d'accordo. Purché non si

pretendesse da lui che desse la mano a Lena o toccasse le sue

vesti...

--No -- disse Boccadoro, --questo non si pretende.

Ti è anzi severamente proibito di mettere un dito addosso a

Lena. Che non ti passi neppur per la mente!

Marciarono così in tre, dapprima in silenzio; poi a poco a poco

la ragazza cominciò a parlare, a esprimere la sua gioia di

rivedere il cielo, gli alberi e i prati: era stato così orribile

là dentro, nella città appestata, da non dirsi. E

cominciò a raccontare e a liberarsi l'animo delle immagini

Page 133: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

tristi e mostruose, che le era toccato vedere. Narrò diverse

storie, brutte storie; la piccola città doveva essere un

inferno. Dei due medici uno era morto, l'altro andava soltanto

dai ricchi e in molte case i morti imputridivano, perché nessuno

li andava a prendere; in altre i becchini rubavano, crapulavano,

bordellavano e spesso insieme coi cadaveri tiravan fuori dai

letti anche i malati ancora in vita e li gettavano sui carri da

boia e poi insieme coi morti giù nelle fosse. Tante cose orrende

aveva da raccontare; nessuno la interrompeva. Roberto ascoltava

inorridito e avido, Boccadoro rimaneva silenzioso e

indifferente, lasciava che tutto quell'orrore si riversasse e

non diceva nulla. E che mai si poteva dire? Infine Lena si

stancò, il fiume di parole s'inaridì. Allora Boccadoro si mise a

camminare più adagio e prese a cantare sommesso una canzone di

molte strofe, e a ogni strofa la sua voce si faceva più piena;

Lena cominciò a sorridere e Roberto ascoltò con piacere e

meraviglia: fin allora non aveva mai udito Boccadoro cantare.

Tutto sapeva fare quel Boccadoro! Eccolo che ora camminava e

cantava, quell'uomo eccezionale! Cantava con arte e

perfettamente intonato, ma in sordina. Già alla seconda canzone

Lena prese ad accompagnarlo a mezza voce, poi a voce spiegata.

S'avvicinava la sera; lontano, oltre la landa, si stendevano i

boschi neri e, dietro quelli, basse montagne azzurre, che

diventavano sempre più azzurre, come per l'intensificarsi di una

luce interiore. Ora lieto, ora solenne, il canto accompagnava il

ritmo dei loro passi.

--Come sei contento oggi! -- disse Roberto.

--Sì, sono contento oggi, è naturale, ho trovato una compagnia

così carina! Ah Lena, che bella cosa che i becchini ti abbiano

lasciata per me! Domani troveremo la nostra casetta e ce la

passeremo bene e saremo felici che la nostra carne e le nostre

ossa stiano ancora così bene insieme. Lena, hai già visto

qualche volta in autunno nei boschi quel fungo grosso, che piace

tanto alle lumache e che si può mangiare?

--Certo, -- rise lei, -- L'ho visto tante volte.

--I tuoi capelli hanno lo stesso color bruno, Lena. Ed anche lo

stesso buon profumo. Cantiamo ancora qualche cosa? O forse hai

fame? Nella mia bisaccia c'è ancora qualcosa di buono.

Il giorno seguente trovarono quello che cercavano. In un

boschetto di betulle c'era una capanna di tronchi greggi,

costruita forse un tempo da spaccalegna o da cacciatori. Era

vuota; la porta si lasciò forzare e anche a Roberto la capanna

parve comoda e la regione sana. Cammin facendo avevano

incontrato delle capre che giravano senza pastore, e ne avevano

presa una con loro.

--Su, Roberto, -- disse Boccadoro, -- se anche non sei

carpentiere, una volta però lavoravi da falegname. Noi vogliamo

abitar qui, tu devi fabbricare nel nostro castello una parete

divisoria, in modo che abbiamo due camere, una per Lena e per

me, L'altra per te e per la capra. Da mangiare non c'è più gran

che: oggi dobbiamo contentarci di latte di capra, tanto o poco

che sia. Tu costruisci dunque la parete e noi due prepariamo il

Page 134: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

giaciglio per tutti. Domani poi andrò in cerca di cibo.

Tutti si misero subito al lavoro. Boccadoro e Lena si diedero a

cercar paglia, felci e musco per il giaciglio, e Roberto affilò

il suo coltello su un ciottolo, per tagliare piccoli tronchi e

fabbricare la parete. Ma non poté finire in un giorno e la sera

andò a dormire all'aperto. Boccadoro trovò in Lena una cara

compagna, timida e inesperta, ma tutt'amore. Se la prese

dolcemente fra le braccia e vegliò ancora a lungo ascoltando il

battito del suo cuore, quand'ella stanca e sazia s'era già

addormentata da un pezzo. Aspirò il profumo dei suoi capelli

bruni, e mentre si stringeva a lei pensava a quella gran fossa a

fior di terra, in cui quei diavoli mascherati avevano rovesciato

tutti i loro carri pieni di cadaveri. Bella era la vita, bella e

fugace la felicità, bella e presto appassita la giovinezza !

La parete divisoria della capanna divenne assai carina, e alla

fine vi lavorarono tutti e tre. Roberto voleva mostrare la sua

abilità e parlava con molto zelo di tutto ciò che avrebbe voluto

costruire, se avesse avuto un banco per piallare, arnesi,

squadra e chiodi. Siccome non aveva che il suo coltello e le sue

mani, si contentò di tagliare una dozzina di piccoli tronchi di

betulla e ne fece un solido e greggio steccato infisso nel suolo

della capanna. Gli spazi intermedi dovevano essere riempiti da

un graticcio di ginestre. Ciò richiese del tempo, ma divenne

bello e pittoresco: tutti vi collaborarono. Intanto Lena doveva

andare a cercar bacche e badare alla capra; Boccadoro faceva

piccole escursioni per esplorare la regione, per trovar cibo, e

portava a casa dai dintorni ora una cosa ora l'altra. Nelle

vicinanze non c'era anima viva, e di ciò era soddisfatto

specialmente Roberto: si era sicuri tanto dal contagio quanto

dai nemici; ma il guaio era che si trovava pochissimo da

mangiare. Non molto lontano c'era una casupola di contadini

abbandonata, questa volta senza morti dentro, e Boccadoro

propose di sceglierla come quartiere invece della loro capanna

di tronchi d'albero; ma Roberto si rifiutò inorridito e vide

anche di malocchio che Boccadoro entrasse in quella casa vuota;

ogni cosa che egli portò di là dovette essere affumicata e

lavata, prima che Roberto la toccasse. Non era molto ciò che

Boccadoro aveva trovato: due sgabelli, un secchio per il latte,

qualche vaso di terracotta, una scure; e un giorno prese due

polli che fuggivano per la campagna. Lena era innamorata e

felice, e tutti e tre si divertivano a lavorare intorno alla

loro piccola dimora ed a renderla ogni giorno un pochino più

bella. Il pane mancava: in compenso presero un'altra capra e

trovarono anche un campicello di rape. Un giorno passava dopo

l'altro, la parete intrecciata era finita, i giacigli furono

perfezionati e fu costruito un focolare. Non lontano scorreva un

ruscello dall'acqua chiara e dolce.

Spesso lavorando cantavano.

Un giorno che bevevano insieme il loro latte e vanta-vano la

loro vita domestica, Lena disse a un tratto come in sogno: --Che

sarà poi, quando verrà l'inverno?

Nessuno diede risposta. Roberto rise, Boccadoro guardò innanzi a

Page 135: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

sé in modo strano. A poco a poco Lena s'accorse che nessuno

pensava all'inverno, che nessuno pensava sul serio a rimanere

tanto tempo nello stesso luogo, che quella loro casa non era una

fissa dimora, ch'ella si trovava insieme a dei vagabondi. Chinò

la testa.

Allora Boccadoro le disse in tono scherzoso e incoraggiante,

come a una bambina: -- Tu sei figlia di contadini, Lena, quelli

sono molto previdenti. Non aver paura, ritornerai a casa quando

sarà finita questa pestilenza, che non durerà poi in eterno.

Allora andrai dai tuoi genitori o da chi altri hai, o ritornerai

a servire in città e avrai il tuo pane. Ma adesso è ancora

estate e dappertutto nella regione si muore; qui invece è bello

e stiamo bene. Perciò restiamo qui, fin tanto che ci piace.

-- E poi? -- gridò Lena con veemenza. -- Poi tutto è finito? E

tu te n'andrai? Ed io?

Boccadoro le afferrò la treccia e gliela tirò un poco.--

Sciocchina, -- disse, -- hai già dimenticato i beccamorti e le

case deserte e la gran buca fuori porta, dove ardono i fuochi?

Devi esser lieta di non giacere là in quella fossa, e che non ti

cada la pioggia sulla camicina. Devi pensare che sei sfuggita,

che hai ancora nelle membra la tua cara vita, che puoi ancora

ridere e cantare.

Ella non era ancora soddisfatta.

--Ma io non voglio andarmene, --gemette, --e non voglio

lasciarti andare, no. Non si può esser contenti, quando si sa

che presto tutto sarà finito!

Boccadoro rispose ancora, affettuoso, ma con un tono di celata

minaccia nella voce:

--Su questo, piccola Lena, si son già rotti la testa tutti i

saggi e tutti i santi. Non c'è una felicità che duri a lungo. Ma

se quello che abbiamo ora non ti basta e non ti dà più gioia, io

appicco il fuoco in questo stesso istante alla capanna, e

ciascuno di noi se ne va per la sua strada.

Stà buona, Lena, abbiamo parlato abbastanza.

Così rimasero le cose. Ella s'arrese, ma un'ombra era caduta

sulla sua gioia.

INDEX

Page 136: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO XIV

Prima ancora che l'estate fosse sfiorita del tutto, la vita

nella capanna ebbe la sua fine, diversa da quella che avevano

pensato. Un giorno Boccadoro s'aggirava per la regione con una

fionda, nella speranza di acchiappare una pernice o altra

selvaggina, perché il cibo s'era fatto alquanto scarso. Lena

raccoglieva bacche poco lontano e ogni tanto Boccadoro rasentava

il bosco dov'ella si trovava e di là dal cespuglio vedeva

sporgere fuori il suo capo dalla camicia di lino sul collo

bruno, o l'udiva cantare; una volta assaggiò qualche bacca

vicino a lei, poi girovagò più lontano e per un pò di tempo non

la vide più. Pensava a lei, fra tenero e irritato, perché ella

era tornata a parlare dell'autunno e dell'avvenire, dicendo che

si credeva incinta e che non voleva lasciarlo partire. "Presto

tutto finirà," pensava Boccadoro, "presto sarà ora di troncare,

ed io mi metterò in cammino da solo e lascerò indietro anche

Roberto; voglio far in modo di ritornare per l'inizio

dell'inverno alla grande città, da maestro Nicola; passerò là

l'inverno e nella primavera ventura mi comprerò un buon paio di

scarpe nuove, e via, tirerò avanti fin che arriverò al nostro

convento di Mariabronn e potrò salutare Narciso; saranno ben

dieci anni che non lo vedo.

Debbo rivederlo, foss'anche solo per un giorno o due."

Un suono inconsueto lo destò dai suoi pensieri, e al-

L'improvviso s'accorse che pensieri e desideri l'avevano tratto

assai lontano. Tese l'orecchio: quel suono angoscioso si ripeté,

egli credette di riconoscere la voce di Lena e la seguì,

quantunque non gli piacesse essere chiamato. In breve fu

abbastanza vicino: sì, era Lena, e gridava il suo nome come se

si trovasse in grande pericolo. Egli affrettò la corsa, sempre

ancora un pò irritato, ma al ripetersi di quelle grida la

compassione e l'ansia presero in lui il sopravvento. Quando

infine riuscì a vederla, ella era seduta o inginocchiata in

mezzo alla landa, con la camicia tutta stracciata, e gridando

lottava con un uomo, che voleva farle violenza. A lunghi balzi

Boccadoro s'avvicinò, e tutta L'irritazione, L'inquietudine e la

tristezza che erano in lui si sfogarono in una collera furente

contro l'attentatore straniero. Lo sorprese mentre stava per

abbattere completamente Lena contro il suolo, il petto nudo di

lei sanguinava: lo straniero, cupido, la teneva attanagliata.

Boccadoro si gettò su di lui, con mani furenti, e gli strinse la

gola magra e muscolosa, coperta di una barba lanuta, serrando

con voluttà, fin che l'altro lasciò andare la ragazza e gli

rimase floscio fra le mani; continuando a stringere, Boccadoro

lo trascinò per un pezzo sul terreno, privo dl forze e quasi

esamine, fino ad alcune rocce grigie che sporgevano nude

dal suolo. Qui sollevò il vinto con tutto il suo peso, due, tre

volte, e gli fece batter la testa contro le rocce angolose. Poi

scagliò via il corpo con la nuca spezzata; la sua collera non

era ancor sazia, avrebbe voluto continuare a maltrattarlo.

Lena guardava raggiante. Il suo petto sanguinava, ella tremava

Page 137: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

ancora in tutto il corpo e respirava affannosa-mente, ma s'era

subito messa in piedi e guardava con occhi rapiti, pieni di

voluttà e d'ammirazione, il suo forte amante, che trascinava

l'intruso, lo strozzava, gli rompeva la nuca e scagliava il

cadavere lungi da sé. Eccolo là per terra come un serpente

ammazzato, floscio e contorto, il suo viso grigio dalla barba

arruffata e dai radi capelli penzolava miseramente rovesciato

all'indietro. Lena si drizzò giubilante e cadde sul cuore di

Boccadoro, ma impallidì a un tratto: lo spavento le tremava

ancora nelle membra si sentì male e cadde esausta fra i

mirtilli. Poco dopo però poté ritornare con Boccadoro alla

capanna. Egli le lavò il petto graffiato; una mammella aveva

anche un morso di quel mostro.

Roberto, molto impressionato dall'avventura, chiese con avidità

i particolari della lotta.

--Rotto la nuca, dici? Grandioso! Boccadoro, c'è di che temerti!

Ma Boccadoro non aveva voglia di parlarne oltre: il suo furore

era sbollito, e nell'allontanarsi dal morto egli non aveva

potuto far a meno di pensare a quel povero brigante d'un

Vittore: era dunque il secondo uomo che moriva per mano sua. Per

liberarsi di Roberto, disse: --

Ora potresti fare qualche cosa anche tu. Va laggiù e cerca di

portar via il cadavere. Se è troppo faticoso fargli una buca,

gettalo giù nello stagno, oppure coprilo bene di terra e di

pietre --. Ma Roberto rifiutò: non voleva aver a che fare con

cadaveri; non si sa mai, potevano avere indosso il veleno della

peste.

Lena si era coricata nella capanna. Il morso al petto le doleva,

presto però si sentì meglio, si alzò, attizzò il fuoco e fece

bollire il latte per la cena; era di ottimo umore, ma fu mandata

a letto presto. Ubbidì come un agnello, tanta era la sua

ammirazione per Boccadoro. Questi si mostrava taciturno e cupo;

Roberto, che conosceva quegli stati d'animo, lo lasciò in pace.

Quando più tardi Boccadoro andò nel suo pagliericcio, si chinò

verso Lena, in ascolto. Dormiva. Egli si sentiva inquieto,

pensava a Vittore, provava un'ansia, un desiderio di riprendere

la vita del vagabondo; intuiva che il gioco della vita domestica

era finito. Ma una cosa specialmente gli dava da riflettere.

Aveva colto lo sguardo di Lena, mentr'egli squassava e gettava

lontano il cadavere di quell'individuo, uno sguardo singolare, e

sentiva che non lo avrebbe più dimenticato; in quegli occhi

sbarrati, inorriditi e rapiti, era balenato un raggio di

fierezza e di trionfo, una gioia profonda e appassionatamente

partecipe alla vendetta e all'uccisione, quale egli non aveva

mai veduta né immaginata in un volto di donna. Senza quello

sguardo, pensava, forse un giorno, col passar degli anni, egli

avrebbe dimenticato il volto di Lena. Ma quello sguardo aveva

reso grande, bello e terribile il suo viso di ragazza

campagnola. Da mesi gli occhi di Boccadoro non avevano colto

nulla, che gli desse il lampo del desiderio: "Bisognerebbe

disegnarlo!". A quello sguardo egli aveva risentito il desiderio

guizzare dentro di sé, con una specie di sgomento.

Page 138: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Non potendo dormire, finì per alzarsi ed uscire dalla capanna.

Era fresco, una lieve brezza giocava fra le betulle. Egli

camminò su e giù nell'oscurità, poi sedette su di una pietra e

s'immerse in pensieri di una tristezza profonda. Sentiva pena

per Vittore, sentiva pena per l'uomo che aveva ammazzato quel

giorno, sentiva pena per la perduta innocenza dell'anima sua.

Per questo era fuggito dal convento, aveva abbandonato Narciso,

aveva offeso maestro Nicola e rinunciato alla bella

Elisabetta... per accamparsi poi in una landa e aspettare al

varco gli animali vagabondi, e per uccidere là fra le pietre

quel povero diavolo? Aveva un senso tutto questo, valeva la pena

d'esser vissuto? Il cuore gli si stringeva per l'assurdità e per

il disprezzo di se stesso. Si lasciò cadere indietro e rimase là

supino, con gli occhi fissi nella scialba nuvolaglia notturna,

finché nella fissità prolungata i suoi pensieri svanirono; non

sapeva più se fissasse le nubi del cielo o il suo torbido mondo

interiore. A un tratto, nell'istante in cui s'addormentava

dolcemente sulla pietra, fra il rincorrersi delle nubi guizzò

come un lampo un volto grande e pallido, il volto di Eva; aveva

lo sguardo greve e velato, ma all'improvviso spalancò gli occhi,

grandi occhi pieni di voluttà e avidi di sangue. Boccadoro dormì

fin che lo bagnò la rugiada.

Il giorno dopo Lena era malata. La fecero star a letto.

Ci fu molto da fare: Roberto la mattina aveva incontrato nel

boschetto due pecore che, alla sua vista, erano subito fuggite.

Corse a chiamare Boccadoro e cacciarono più di mezza giornata,

fin che ne catturarono una, quando verso sera ritornarono a casa

con la bestia, erano molto stanchi.

Lena si sentiva male. Boccadoro la esaminò, la tastò e trovò i

bubboni della peste. Non disse nulla ma Roberto, appena sentì

che Lena era ancora malata, fu colto dal sospetto e non rimase

nella capanna. Disse che si sarebbe cercato fuori un posto per

dormire e che prendeva la capra con sé: anch'essa poteva

contrarre il male.

--E vattene al diavolo!--gli gridò Boccadoro furente.

-- Non ti voglio più rivedere. -- Afferrò la capra e la tirò

dalla sua parte dietro la parete di ginestre. Roberto si dileguò

senza rumore, senza capra, sentendosi male dalla paura: paura

della peste, paura di Boccadoro, paura della solitudine e della

notte. Si coricò in vicinanza della capanna.

Boccadoro disse a Lena: --lo resto con te, non preoccuparti.

Guarirai.

Ella scosse il capo.

--Stà in guardia, caro, di non prendere la malattia anche tu;

non devi venirmi così vicino. Non affannarti a con-solarmi. Devo

morire, e preferisco morire, piuttosto che vedere un giorno il

tuo giaciglio vuoto e sapere che mi hai abbandonata. Tutte le

mattine mi svegliavo con questo pensiero e con questo timore.

No, preferisco morire.

L'indomani stava già male. Boccadoro le aveva dato di tanto in

tanto un sorso d'acqua, e negl'intervalli aveva dormito qualche

ora. Al primo albeggiare riconobbe nel volto di lei i chiari

Page 139: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

segni della morte vicina: era già appassito e frollo. Egli uscì

un momento dalla capanna per prender aria e guardare il cielo.

Sul margine del bosco qualche tronco rosso e contorto di

pinastro era già illuminato dal sole; L'aria era fresca e buona,

le colline lontane non si discernevano ancora nella nuvolaglia

mattutina. Egli camminò per un tratto, distese le membra

stanche e respirò profondo. Il mondo era bello in quel triste

mattino. Presto sarebbe ricominciata la vita vagabonda.

Bisognava prender congedo.

Dal bosco lo chiamò Roberto. Andava meglio? Se non si trattava

di peste, egli sarebbe rimasto. Boccadoro non doveva essere in

collera con lui, intanto egli aveva custodito la pecora.

--Va al diavolo tu e la tua pecora!--gli gridò Boccadoro.--Lena

muore e ho preso il contagio anch'io.

Quest'ultima era una bugia; la disse per liberarsi dell'altro.

Per quanto quel Roberto potesse essere un buon diavolo,

Boccadoro ne aveva abbastanza; troppo vile e troppo meschino,

troppo in contrasto con quell'epoca grandiosa di sconvolgimenti

e di fato. Roberto si dileguò e non ritornò più. Il sole sorse

luminoso.

Quando Boccadoro tornò presso Lena, ella dormiva. Anch'egli

s'addormentò di nuovo e vide in sogno il suo cavallo d'un tempo,

Bless, e il bel castagno del convento; gli pareva di riguardare

indietro, da una lontananza infinita e deserta, ad una dolce

patria perduta; e quando si destò, sulla barba bionda che gli

copriva le guance scorrevan due lacrime. Udì Lena che parlava

con voce fioca; credette che lo chiamasse e si rizzò sul

giaciglio, ma ella non parlava a nessuno, balbettava solo parole

fra sé e sé, parole di tenerezza e d'invettiva; rise un attimo,

poi cominciò a sospirare profondamente ed a singhiozzare, e a

poco a poco ridivenne quieta. Boccadoro s'alzò, si chinò sopra

quel volto già sfigurato, il suo occhio seguì con amara

curiosità le linee che si contraevano e si confondevano così

miseramente sotto il soffio bruciante della morte.

Cara Lena, gridò il suo cuore, cara bambina buona, vuoi già

lasciarmi anche tu? Ne hai già abbastanza di me?

Sarebbe fuggito volentieri. Vagare, vagare, marciare, respirare,

stancarsi, vedere nuove immagini gli avrebbe fatto bene, avrebbe

forse sollevato il suo abbattimento profondo.

Ma non poteva, non gli era possibile lasciar lì quella creatura

sola a morire. Osava appena uscire un pochino ogni due ore, per

respirare aria fresca. Siccome Lena non prendeva più latte, ne

beveva lui a sazietà, non c'era nient'altro da mangiare. Qualche

volta portava fuori anche la capra, perché mangiasse, bevesse

acqua e si muovesse. Poi ritornava presso Lena, le mormorava

parole affettuose, fissava immobile il suo volto e assisteva

sconfortato, ma attento, al suo morire. Ella era cosciente, ogni

tanto dormiva, e quando si destava non apriva più gli occhi che

a metà, le sue palpebre erano stanche e afflosciate. Intorno

agli occhi ed al naso la fanciulla appariva d'ora in ora più

vecchia, sul collo fresco e giovane c'era un viso di nonna che

avvizziva rapidamente. Solo di rado pronunciava una parola,

Page 140: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

diceva " Boccadoro " o " caro ", e cercava d'inumidir con la

lingua le labbra gonfie e bluastre. Allora egli le dava qualche

goccia d'acqua.

Nella notte seguente Lena morì. Morì senza lamento: un breve

sussulto, poi il respiro s'arrestò e un brivido le percorse la

pelle: a quella vista Boccadoro si sentì gonfiare il cuore, e

gli vennero in mente i pesci morenti, che tante volte aveva

veduti e compianti in piazza del mercato: così si spegnevano

anch'essi, con un moto convulso e con un lieve brivido doloroso,

che correva sulla loro pelle portandone via lo splendore e la

vita. Rimase ancora un poco in ginocchio accanto a Lena, poi

uscì all'aperto e sedette fra i cespugli d'erica. Gli venne in

mente la capra, tornò dentro, la prese con sé, e la bestia, dopo

aver cercato un poco attorno, si distese per terra. Egli le si

coricò vicino, con la testa sul suo fianco, e dormì fino

all'alba. Allora entrò per l'ultima volta nella capanna, dietro

la parete intrecciata, e per l'ultima volta guardò il povero

viso della morta. Gli ripugnava lasciarla così. Uscì, raccolse

qualche bracciata di legna secca e di sterpi, gettò tutto nella

capanna e appiccò il fuoco. Non prese fuori nulla, tranne

l'acciarino. In un attimo la parete di ginestra secca divampò.

Egli rimase fuori a guardare, col viso arroventato dal fuoco,

fin che tutto il tetto fu in fiamme e le prime travi

precipitarono. La capra saltava impaurita e gemente. Sarebbe

stato logico uccidere l'animale, arrostirne un pezzo e

mangiare, per acquistar forza sul punto di mettersi in cammino.

Ma non gli fu possibile; spinse la capra nella landa e se ne

andò. Il fumo dell'incendio lo seguì fin dentro il bosco. Non

aveva mai iniziato una peregrinazione con tanto sconforto.

Ma ciò che l'aspettava era peggio ancora di quanto si fosse

immaginato. Cominciò alle prime masserie e ai primi villaggi e

continuò, sempre più terribile quanto più avanzava. Tutta la

regione, tutto il vasto paese stava sotto un nembo di morte,

sotto un velo d'orrore, d'angoscia, di ottenebramento degli

spiriti; e il peggio non erano le case deserte, i cani da

guardia morti di fame e imputriditi alla catena, i morti rimasti

insepolti, i bambini mendicanti, le tombe in massa davanti alle

città. Il peggio erano i vivi, che sembrava avessero perduto

occhi e anima sotto il peso dello spavento e dell'ansia della

morte. Dappertutto il viandante udiva e vedeva cose strane ed

orrende.

Genitori che avevano abbandonato i figli colti dal male, mariti

che avevano abbandonato le mogli. I monatti e gli sbirri

d'ospedale dominavano come carnefici, predavano nelle case

lasciate vuote dalla morte, a loro capriccio ora lasciavano i

cadaveri insepolti, ora strappavano dai letti i vivi prima che

avessero esalato l'ultimo respiro e li gettavano sui carri

funebri. Fuggiaschi vagavano solitari, abbrutiti, evitando ogni

contatto con gli uomini, cacciati dalla paura della morte. Altri

si riunivano in una gioia di vivere eccitata e sgomenta,

tenevano orge e celebra-ii vano feste da ballo e d'amore, in cui

la morte sonava la viola. Altri, trascurati nella persona,

Page 141: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

piangenti o imprecanti, con gli occhi smarriti, stavano

accovacciati davanti ai cimiteri o alle loro case spopolate. E

peggio di tutto: ognuno cercava per quell'insopportabile

calamità un capro espiatorio, ognuno affermava di conoscere gli

scellerati ch'erano i colpevoli e malvagi promotori della

pestilenza.

Uomini diabolici, si diceva, provvedevano con gioia maligna alla

propagazione della strage, prendendo il veleno dai cadaveri

degli appestati e fregandolo sui muri e sulle

maniglie delle porte, o avvelenando le fontane e il bestiame.

Chi cadeva in sospetto di compiere tale mostruosità era perduto

se, avvisato in tempo, non riusciva a fuggire; era punito con la

morte dalla giustizia o dalla plebe. Inoltre i ricchi davano la

colpa ai poveri e vice-versa, oppure si diceva che i colpevoli

erano gli ebrei o i latini o i medici. In una città Boccadoro,

col cuore indignato, vide ardere tutta la via degli ebrei, una

casa dopo l'altra, mentre intorno il popolo urlava e i

fuggiaschi atterriti venivano ricacciati nel fuoco con la forza

delle armi. Nella follia della paura e dell'esasperazione,

dappertutto si uccidevano, si bruciavano e si torturavano

innocenti. Boccadoro assisteva con furore e disgusto: il mondo

pareva sovvertito e avvelenato, pareva che non esistessero più

gioia, innocenza e amore sulla terra. A volte si rifugiava

nelle feste turbolente di chi voleva godere la vita.

Dappertutto sonava la viola della morte; egli imparò presto a

conoscerne il suono; a volte prendeva parte a quei festini

disperati, a volte sonava anch'egli il liuto o ballava alla luce

delle torce a vento, nelle notti febbrili.

Paura non ne sentiva. Una volta aveva provato l'ansia della

morte, in quella notte d'inverno sotto gli abeti, mentre le dita

di Vittore gli stringevano la gola, e anche in altre due

giornate del suo vagabondaggio, nella neve e nella fame. Quella

era una morte con cui si poteva combattere, da cui ci si poteva

difendere, ed egli si era difeso, con le mani e i piedi

tremanti, con lo stomaco vuoto, con le membra esauste; si era

difeso, aveva vinto, era sfuggito.

Ma con la morte causata dalla peste non si poteva lottare

bisognava lasciarla infuriare ed arrendersi, e Boccadoro si era

arreso da un pezzo. Non aveva paura, sembrava che non

gl'importasse più nulla della vita, da quando aveva lasciato

Lena nella capanna ardente, da quando avanzava giorno per giorno

nel paese devastato dalla morte.

Ma una straordinaria curiosità lo spingeva e lo teneva desto;

era instancabile nel contemplare la grande mietitrice,

nell’ascoltare il canto della caducità; non si tirava mai da

parte, sempre lo afferrava la stessa tacita passione d'essere

presente e di camminare con gli occhi aperti attraverso

l'inferno. Mangiava pane ammuffito nelle case spopolate, cantava

e trincava nelle orge folli, coglieva il fiore del

piacere presto appassito, guardava negli occhi fissi ed ebbri

delle donne, guardava negli occhi fissi e melensi degli

ubriachi, guardava negli occhi che si spegnevano dei

morenti, amava le donne disperate e febbricitanti, per un

piatto di minestra aiutava a portar via i morti, per pochi

quattrini aiutava a gettar terra sopra i cadaveri nudi. Tetro e

Page 142: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

selvaggio s'era fatto il mondo, la morte cantava urlando la sua

canzone, Boccadoro ascoltava con l'orecchio teso, con passione

ardente.

La sua meta era la città di maestro Nicola, là lo chiamava la

voce del suo cuore. Lunga era la via e piena di morte, di

avvizzimento e di strage. Egli avanzava triste, inebriato dal

canto funebre, tutto proteso verso il dolore urlante del mondo,

triste e pur ardente, coi sensi aperti.

In un convento vide un affresco recente e dovette contemplarlo

a lungo. C'era dipinta su di una parete la danza macabra: la

morte pallida e ossuta portava via ballando gli uomini dalla

vita, il re, il vescovo, L'abate, il conte, il cavaliere, il

medico, il contadino, il lanzichenecco, tutti prendeva con sé, e

dei musicanti scheletriti accompagna-vano la danza sonando su

ossa cave. Gli occhi curiosi di Boccadoro assorbirono

profondamente quella visione. Un ignoto collega aveva tratto

l'insegnamento da quello ch'egli aveva visto della morte nera e

gridava squillante all'orecchio degli uomini la predica amara

del dover morire. Il quadro era buono, era una buona predica,

quel collega sconosciuto non aveva visto e fissato male la cosa,

dalla sua figurazione truce usciva un suono d'ossa e d'orrore.

E tuttavia non era quello che egli, Boccadoro, aveva veduto e

vissuto. Lì era dipinta la necessità della morte, severa e

inesorabile. Ma Boccadoro avrebbe desiderato un'altra

rappresentazione; in lui il canto selvaggio della morte sonava

diverso, non severo e macabro, ma dolce e seducente, come un

richiamo alla patria, materno. Là dove la morte protendeva la

sua mano nella vita, non echeggiava solo un grido stridulo e

guerriero, ma anche un suono profondo e amoroso, un suono pieno,

autunnale, e vicino alla morte il lumino della vita ardeva più

chiaro e più fervido. Ad altri la morte poteva apparire come un

guerriero, un giudice o un carnefice, come un padre severo: per

lui la morte era anche una madre e un'amante, il suo appello era

un richiamo d'amore, il suo contatto un brivido d'amore.

Quando Boccadoro riprese il suo cammino, dopo aver contemplato

il dipinto della danza macabra, una forza nuova lo attirava

verso il maestro e verso la creazione.

Ma dappertutto erano soste, nuove immagini e nuove esperienze;

con le narici vibranti egli aspirava l'aria di morte;

dappertutto la compassione o la curiosità gli chiedevano un'ora,

un giorno. Per tre giorni ebbe con sé un contadinello

piagnucolante, lo portò per ore ed ore sulle spalle: un cosino

mezz'affamato di cinque o sei anni, che gli diede molto da fare

e di cui stentò a liberarsi. Finalmente glielo prese la moglie

di un carbonaio, a cui era morto il marito e che voleva avere

ancora intorno a sé qualche cosa di vivo. Per diversi giorni lo

accompagnò un cane senza padrone, che mangiava nella sua mano e

lo scaldava nel sonno; ma un mattino scomparve. Ciò rincrebbe a

Boccadoro: si era abituato a parlare con quel cane; per mezz'ora

di seguito gli rivolgeva discorsi e fantasticherie sulla

Page 143: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

malvagità degli uomini, sull'esistenza di Dio, sull'arte, sul

seno e sulle anche d'una giovane figlia di cavaliere di nome

Giulia, che aveva conosciuta in gioventù. Perché naturalmente

nel suo pellegrinaggio attraverso la morte Boccadoro era

diventato un pochino pazzo: tutti nel territorio colpito dalla

peste erano un poco pazzi e molti lo erano del tutto. Un pochino

pazza era forse anche la giovane ebrea Rebecca, la bella

fanciulla dai capelli neri e dagli occhi ardenti, con la quale

s'attardò due giorni.

La trovò nella campagna davanti ad una piccola città,

accovacciata presso un mucchio di macerie carbonizzate; urlava,

si batteva il volto e si strappava i neri capelli.

Boccadoro ebbe compassione di quei capelli così belli, e afferrò

quelle mani infuriate, le tenne ferme, parlò alla fanciulla e

s'accorse allora che anche il viso e la persona erano

bellissimi. Ella piangeva perché suo padre era stato bruciato e

ridotto in cenere insieme ad altri quattordici ebrei, per ordine

dell'autorità; ella era riuscita a fuggire, ma poi era ritornata

disperata e s'accusava di non essersi fatta bruciare insieme al

padre. Con molta pazienza egli le tenne ferme le mani convulse,

le parlò con dolcezza, le mormorò espressioni di pietà

protettrice, le offerse aiuto.

Ella gli chiese di aiutarla a seppellire suo padre ed allora

raccolsero tutte le ossa traendole dalla cenere ancor calda e

le portarono in un luogo nascosto in mezzo ai campi, dove le

coprirono di terra. Intanto s'era fatta sera e Boccadoro cercò

un posto per dormire, preparò alla fanciulla un giaciglio in un

boschetto di querce, le promise di vegliare, e la sentì piangere

ancora e singhiozzare, fin che si fu addormentata. Allora dormì

un poco anche lui e alla mattina cominciò la sua corte. Le disse

che non poteva rimanere così sola, che l'avrebbero riconosciuta

per ebrea e uccisa, o che qualche dissoluto vagabondo l'avrebbe

maltrattata, e che nella foresta c'erano lupi e zingari.

Egli invece l'avrebbe presa con sé e protetta dai lupi e dagli

uomini, perché gli faceva pena e le voleva molto bene: egli

aveva gli occhi aperti e sapeva che cos'è la bellezza, e non

avrebbe mai tollerato che quelle dolci palpebre intelligenti e

quelle belle spalle fossero divorate dagli animali o arse sul

rogo. Ella lo ascoltò cupa, poi balzò in piedi e fuggì. Egli

dovette rincorrerla e tenerla stretta, prima di poter

proseguire.

--Rebecca, -- disse, -- vedi bene che non ho cattive intenzioni

verso di te. Ora sei afflitta, pensi a tuo padre, non vuoi

saperne d'amore. Ma domani o dopodomani o più tardi io

t'interrogherò di nuovo; fino allora ti proteggerò, ti porterò

da mangiare e non ti toccherò. Sii triste fin che è necessario.

Con me potrai esser triste o lieta, potrai fare sempre e

soltanto ciò che ti darà piacere.

Ma eran tutte parole dette al vento. Ella non voleva far nulla

che desse piacere - affermava tetra e furente -

voleva fare ciò che dà dolore, mai più avrebbe pensato a

qualcosa che potesse somigliare alla gioia, e quanto più presto

Page 144: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

l'avrebbe divorata il lupo, tanto meglio per lei. Egli doveva

andarsene, non c'era nulla da fare, avevan già parlato troppo.

--Ascolta, -- disse Boccadoro, -- non vedi che dappertutto è la

morte, che in tutte le case e le città si muore, che tutto è

pieno d'angoscia? Anche il furore di quegli uomini stolti, che

hanno bruciato tuo padre, altro non è se non miseria e

disperazione, se non conseguenza di una sofferenza troppo

grande. Guarda, presto la morte prenderà anche noi ed anche noi

imputridiremo nei campi e con le nostre ossa giocherà la talpa.

Lascia che prima viviamo ancora un poco e ci vogliamo bene. Ah,

sarebbe un tal peccato per il tuo collo bianco, per il tuo

piccolo piede! Cara bella fanciulla, vieni con me, non ti

toccherò, voglio solo vederti e provvedere a te.

Supplicò ancora a lungo e a un tratto sentì egli stesso quanto

fosse inutile cercare di conquistarla con parole e ragionamenti.

Tacque e la guardò triste: il volto fiero e regale di lei era

rigido di ripulsa.

--Ecco come siete, -- disse infine Rebecca con voce piena d'odio

e di disprezzo, -- ecco come siete voi cristiani! Prima aiuti

una figlia a seppellir suo padre che la tua gente ha assassinato

e di cui l'unghia dell'ultimo dito vale più di te, e subito dopo

la ragazza dev'esser tua e far con te all'amore. Ecco come

siete! A tutta prima pensai che forse tu eri un uomo buono. Ma

come potevi esser buono? Ah, siete dei porci!

Mentre parlava così, Boccadoro vedeva ardere nei suoi occhi,

dietro l'odio, qualcosa che lo commoveva e lo confondeva e gli

penetrava nel cuore. Vedeva nei suoi occhi la morte, ma non il

dover morire, bensì il voler morire, il diritto di morire, la

tacita dedizione e obbedienza all'appello della madre della

terra.

--Rebecca,--disse,--forse hai ragione. Io non sono un uomo

buono, quantunque verso di te le mie intenzioni fossero buone.

Perdonami. Solo ora ti ho compresa.

Toltosi il berretto, la salutò profondamente come una

principessa e se n'andò col cuore oppresso; doveva lasciarla

perire. Rimase a lungo turbato, non aveva voglia di parlare con

nessuno. Per quanto poco si assomigliassero, quella fiera e

povera fanciulla israelita gli ricordava in certo modo Lidia, la

figlia del cavaliere. Amare donne come quelle era fonte di

dolore. Ma per qualche tempo gli parve di non aver mai amato

altre che queste due, la povera, inquieta Lidia e l'ombrosa,

amara israelita.

Per parecchi giorni ancora pensò alla focosa fanciulla dai

capelli neri, e per parecchie notti sognò la bellezza slanciata

e ardente del suo corpo, che pareva destinato alla felicità e

alla prosperità ed era invece già votato alla morte. Oh, perché

quelle labbra e quel seno dovevano diventar preda dei " porci "

e imputridire nei campi? Non c'era qualche potenza, qualche

magia, per salvare questi fiori preziosi? Sì, c'era una magia:

far sì che continuassero a vivere nella sua anima, dar loro

forma e conservarli così. Egli sentiva con sgomento e con

entusiasmo la sua anima piena d'immagini, sentiva che quel lungo

Page 145: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

peregrinare attraverso il paese della morte l'aveva tutta

popolata di figure. Tanta ricchezza gli gonfiava il cuore ed

egli sentiva un desiderio invincibile di raccogliersi su di

essa, di darle sfogo, di trasformarla in immagini dura-ture. E

continuava il suo cammino con impulso sempre più avido e

fervente, sempre con gli occhi aperti e coi sensi curiosi, ma

con un appassionato desiderio di carta e stilo, di creta e

legno, di officina e di lavoro.

L'estate era passata. Molti assicuravano che con l'autunno o col

principio dell'inverno, la pestilenza sarebbe cessata. Era un

autunno senza gioia. Boccadoro attraversava regioni, in cui non

c'era più nessuno per coglier la frutta che cadeva dagli alberi

e marciva nell'erba; in altri luoghi orde di gente

inselvatichita, proveniente dalle città in barbare escursioni,

la saccheggiava e la sperperava.

Boccadoro s'avvicinava a poco a poco alla sua meta e in

quell'ultimo tempo lo coglieva spesso il timore di poter

prendere ancora la peste e di dover morire in qualche stalla. E

non voleva più morire, prima d'aver gustato la felicità d'essere

ancora in un'officina e di dedicarsi alla creazione artistica.

Per la prima volta in vita sua il mondo gli pareva troppo vasto,

la terra germanica troppo grande.

Nessuna graziosa piccola città poteva più allettarlo a sostare,

nessuna graziosa contadinella lo tratteneva più a lungo di una

notte.

Ma una volta passò davanti ad una chiesa, sotto il cui portale

stavano entro nicchie profonde, sorrette da colon-nine

ornamentali, molte statue in pietra di epoca antichissima,

figure d'angeli, apostoli e martiri, come ne aveva già vedute

altre volte; anche nel suo convento di Mariabronn c'erano

parecchie statue di quel genere. Un tempo, da giovinetto, le

aveva contemplate con piacere, ma senza passione; gli parevano

belle e maestose, ma un pò troppo solenni e un pò rigide e

antiquate. Più tardi, quando alla fine della sua prima grande

peregrinazione era stato tanto commosso e rapito da quella dolce

e triste Madonna di maestro Nicola, quelle figure di pietra

solenni ed arcaiche gli erano parse troppo pesanti, rigide e

straniere, le aveva contemplate con un certo altero disprezzo e

nella nuova maniera del suo maestro aveva veduto un'arte molto

più viva, più intima e più animata. Ora

che ritornava dal mondo con l'anima piena d'immagini, segnata

dalle cicatrici e dalle tracce di avventure e di esperienze

violente, con un doloroso e appassionato desiderio di

raccoglimento e di nuova creazione, quelle figure antiche ed

austere commovevano a un tratto il suo cuore con straordinaria

potenza. Stava devotamente dinanzi a quelle statue venerande, in

cui viveva ancora il cuore di un'epoca da lungo tempo trascorsa,

e le angosce e le estasi di generazioni scomparse da un pezzo,

irrigidite nella pietra, sfidavano ancora da secoli la caducità.

Nel suo cuore inselvatichito sorgeva tremante e umile il

sentimento della venerazione e un orrore per la sua vita

sciupata e consumata. Fece quello che da gran tempo non faceva,

Page 146: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

cercò un confessionale, per confessarsi e per farsi punire.

Ma se nella chiesa c'erano confessionali, in nessuno si trovava

un prete; erano morti, giacevano all'ospedale, erano fuggiti,

temevano il contagio. La chiesa era deserta, i passi di

Boccadoro risonavano cupi sotto la volta di pietra.

Egli s'inginocchiò davanti ad uno dei confessionali vuoti,

chiuse gli occhi e mormorò dentro la grata: --Buon Dio, vedi ciò

ch'è avvenuto di me. Ritorno dal mondo e sono diventato un uomo

cattivo ed inutile, ho sprecato i miei anni di gioventù come un

dissipatore, ben poco si è salvato. Ho ucciso, ho rubato, ho

fornicato, ho vissuto in ozio e mangiato il pane degli altri.

Buon Dio, perché ci hai creati così, perché ci conduci per vie

simili? Non siamo noi tuoi figli? Il Figlio tuo non è morto per

noi?

Non ci sono santi e angeli per giudicarci? O sono tutte belle

storie inventate, che si raccontano ai bambini e di cui ridono i

preti stessi? Io ho perduto la fiducia in te, Padre, hai creato

male il mondo, lo tieni in ordine male.

Ho veduto case e strade piene di morti, ho veduto ricchi

barricarsi nelle loro case o fuggire, e i poveri lasciare i loro

fratelli insepolti, e gli uni diventare sospetti agli altri e

ammazzare gli ebrei come bestie. Ho veduto tanti innocenti

soffrire e perire e tanti malvagi nuotare nel benessere. Ci hai

dunque del tutto dimenticati e abbandonati, la tua creazione t'è

venuta in uggia, vuoi lasciarci andare tutti alla malora?

Sospirando uscì dall'alto portale e vide le statue di pietra

silenziose, angeli e santi, magri ed alti nei rigidi drappeggi

delle loro vesti, immobili, irraggiungibili, sovrumani e pur

creati da mano umana e da spirito umano.

Stavano lassù nelle loro nicchie ristrette, severi e sordi,

inaccessibili a preghiere e a domande, eppure erano un infinito

conforto, erano una vittoria trionfante sulla morte e sulla

disperazione, nella loro maestà e nella loro bellezza

sopravviventi all'estinguersi di una generazione umana do-po

l'altra. Ah, se ci fosse stata là anche la bella ebrea Rebecca e

la povera Lena arsa insieme alla capanna e la povera Lidia e

maestro Nicola! Ma un giorno ci sarebbero stati e avrebbero

avuto vita duratura, egli stesso li avrebbe presentati, e le

loro figure, che in quel momento significavano per lui amore e

tormento, ansia e passione, si sarebbero erette un giorno

davanti ai posteri, senza nome e senza storia, pacati e taciti

simboli della vita umana.

INDEX

Page 147: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO XV

Finalmente la meta fu raggiunta e Boccadoro entrò nelL'ambita

città per la medesima porta per cui un giorno, tanti anni prima,

era passato la prima volta in cerca del suo maestro. Già per

strada mentre si avvicinava alla città vescovile, parecchie

notizie l'avevano raggiunto; sapeva che anche là c'era stata la

peste e forse vi regnava ancora, gli avevano raccontato di

disordini e di rivolte popolari, e che un governatore imperiale

era venuto per mettere ordine, per dare leggi eccezionali e

proteggere la proprietà e la vita dei cittadini. Perché il

vescovo aveva lasciato la città appena scoppiata la peste e

risiedeva lontano in uno dei suoi castelli in campagna. Di tutte

queste notizie il viandante si era interessato poco. Purché ci

fosse ancora la città, con le officine in cui egli voleva

lavorare!

Tutto il resto non gli importava. Quando arrivò, L'epidemia era

spenta, si aspettava il ritorno del vescovo e ci si rallegrava

della partenza del governatore e della ripresa della pacifica

vita normale.

Quando Boccadoro rivide la città, un'ondata di ricordi, un senso

di ritrovar la sua patria, quale non aveva mai provato prima,

gli gonfiò il cuore, e per dominarsi contrasse il volto in una

maschera di severità inconsueta. Oh, c'era ancora tutto: le

porte, le belle fontane, il vecchio campanile massiccio della

cattedrale e quello nuovo e slanciato della chiesa di Santa

Maria, le campane sonore di San Lorenzo, la grande piazza

luminosa del mercato! Oh, che gioia che tutto questo lo avesse

aspettato! Non aveva sognato un giorno, cammin facendo, di

arrivar lì e di trovar tutto straniero e mutato, parte distrutto

e in rovina, parte irriconoscibile per nuove costruzioni e per

strani segni spiacevoli ? Aveva le lacrime agli occhi, mentre

camminava per le strade e riconosceva le case a una a una.

In fin dei conti non erano invidiabili i sedentari nelle loro

belle case sicure, nella loro pacifica vita borghese, nel loro

sentimento tranquillante e fortificante di avere una patria, di

essere a casa propria nella stanza e nell'officina, fra moglie e

figli, servitù e vicini?

Era tardo pomeriggio e dalla parte della strada illuminata dal

sole le case, le insegne delle osterie e delle corporazioni, le

porte scolpite e i vasi di hori splendevano nel raggio caldo, e

nulla faceva pensare che anche in quella città avessero regnato

la furia della morte e la folle paura degli uomini. Fresco,

verde e azzurro chiaro scorreva sotto le volte sonore del ponte

il fiume lucente; Boccadoro sedette un momento sul parapetto

dell'argine: sotto guizzavano ancora nel verde cristallo le

ombre scure dei pesci, o stavano immobili coi musi rivolti

contro la corrente; ancora scintillava qua e là nel crepuscolo

del fondo quel tenue bagliore d'oro, che promette tanto e fa-

vorisce i sogni. Ciò accadeva anche in altre acque, anche altri

ponti ed altre città eran belli a vedere, e tuttavia gli pareva

di non aver più visto e sentito da tanto tempo nulla di simile.

Page 148: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Passarono due garzoni di macellaio, che spingevano ridendo un

vitello, e scambiarono occhiate e scherzi con una ragazza, che

raccoglieva il bucato in una pergola sopra di loro. Come tutto

passava presto! Poco tempo innanzi bruciavano ancora i fuochi

della peste e infierivano i terribili monatti; ed ecco che la

vita riprendeva il suo corso, si rideva e si scherzava; a lui

capitava lo stesso: eccolo lì seduto, entusiasta di rivedere

ogni cosa, riconoscente, tenero perfino verso i sedentari, come

se non ci fossero state né miseria né morte, né una Lena né una

principessa israelita. S'alzò sorridendo e proseguì; solo quando

s'avvicinò alla strada di maestro Nicola e ripercorse quel

cammino, che un tempo aveva fatto ogni giorno per un anno intero

recandosi al lavoro, il suo cuore cominciò a sentirsi oppresso e

inquieto. Affrettò il passo; voleva presentarsi quel giorno

stesso al maestro e aver notizie, non era più il caso di

differire, gli sarebbe parso

addirittura impossibile aspettare fino all’indomani. Il

maestro sarebbe stato ancora in collera con lui? Era

passato tanto tempo, non poteva più avere importanza; e se

anche lo fosse stato, egli avrebbe placato la sua collera.

Purché il maestro fosse ancora là, lui e la sua officina, poi

tutto sarebbe andato bene. In fretta, come se all'ultimo momento

potesse perdere ancora qualcosa, s'avvicinò alla casa ben nota,

afferrò la maniglia della porta e sussultò, trovandola chiusa.

Era forse un cattivo segno? Una volta non avveniva mai che

quella porta fosse tenuta chiusa in pieno giorno. Lasciò cadere

il battaglio con strepito e aspettò. Di colpo gli era entrata

una grande ansia in cuore.

Venne la stessa vecchia servente che l'aveva ricevuto al suo

primo ingresso in quella casa. Non era diventata più brutta, ma

più vecchia e più sgarbata; non riconobbe Boccadoro. Con voce

ansiosa egli chiese del maestro. Ella lo guardò inebetita e

diffidente.

--Maestro? Qui non c'è nessun maestro. Andate pure giovanotto.

Non si riceve nessuno.

Voleva cacciarlo fuori dalla porta: egli la prese per un braccio

e le gridò: --Ma parla dunque, Margherita in nome di Dio! Io

sono Boccadoro, non mi conosci debbo andare da maestro Nicola.

Negli occhi presbiti e semispenti non brillò alcun segno di

benvenuto.

-- Qui non c'è più nessun maestro Nicola, -- disse

respingendolo;--quello è morto. Andatevene, io non posso star

qui a chiacchierare.

Boccadoro che sentiva crollare tutto dentro di sé, spinse da una

parte la vecchia, che gli corse dietro gridando, e si precipitò

per il corridoio buio verso l'officina. Era chiusa. Seguito

dalla vecchia, che protestava e inveiva, corse su per la scala,

vide nella penombra del noto vestibolo le statue che Nicola

aveva raccolte. Chiamò a voce alta la signorina Elisabetta.

La porta della stanza s'aprì e comparve Elisabetta; quando, solo

alla seconda occhiata, egli la riconobbe si sentì stringere il

cuore. Se già tutto in quella casa, dal momento in cui aveva

Page 149: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

trovato con spavento la porta chiusa, appariva spettrale e

incantato come in un sogno angoscioso, alla vista di Elisabetta

un vero brivido gli percorse la schiena. Della bella e superba

Elisabetta era rimasta una ragazza spaurita e curva, con un viso

giallo e malaticcio, in un vestito nero e disadorno, con lo

sguardo incerto e l'atteggiamento inquieto.

-- Perdonate, -- fece lui, -- Margherita non voleva lasciarmi

entrare. Non mi riconoscete? Ma sono Boccadoro. Ah, ditemi: è

proprio vero che vostro padre è morto ?

Dallo sguardo di lei capì che in quel momento lo riconosceva e

vide anche subito ch'egli non doveva aver lasciato buon ricordo

di sé.

--Ah, siete Boccadoro? -- disse; e nella voce di lei egli

riconobbe qualcosa della fierezza d'un tempo. -- Vi siete

affaticato a salire per nulla. Mio padre è morto.

--E l'officina? -- gli uscì dal petto.

--L'officina? E chiusa. Se cercate lavoro, dovete andare

altrove.

Egli cercò di dominarsi.

-- Signorina Elisabetta, -- disse cortesemente, -- io non cerco

lavoro, volevo solo salutare il maestro e voi.

Sono molto addolorato di dover udire questo! Vedo che avete

passato dei giorni gravi. Se uno scolaro riconoscente di vostro

padre può rendervi qualche servigio, ditelo, sarebbe una gioia

per me. Ah, signorina Elisabetta, mi si spezza il cuore a

trovarvi così... così immersa nel dolore.

Ella si ritirò dietro la porta della stanza.

--Grazie, -- disse esitante, -- non potete più render nessun

servigio a lui e neppure a me. Margherita vi condurrà fuori.

La voce risonava dura, fra irata e timorosa. Egli sentì che, se

avesse avuto coraggio, lo avrebbe cacciato fuori con

un'ingiuria.

Già era sceso in istrada, già la vecchia aveva sbarrato dietro

di lui la porta di casa e messo i chiavistelli. Udì ancora il

colpo secco dei catenacci, che gli sonò all'orecchio come la

chiusura del coperchio di una bara.

Ritornò a passi lenti in riva al fiume e sedette di nuovo sul

muro nel posto d'un tempo. Il sole era tramontato, dall'acqua

saliva un alito freddo, fredda era la pietra sulla quale sedeva.

La via che fiancheggiava il fiume s'era fatta silenziosa, contro

i pilastri del ponte mormorava la corrente, cupo appariva il

fondo, nessun bagliore d'oro luccicava più. "Oh" pensava "se ora

cadessi giù dal mu-ro e scomparissi nel fiume!" Il mondo era di

nuovo pieno di morte. Passò un'ora e il crepuscolo era diventato

notte. Finalmente poteva piangere. Stava seduto e piangeva, le

gocce calde gli cadevano sulle mani e sulle ginocchia. Piangeva

per il maestro morto, piangeva per la perduta bellezza di

Elisabetta, piangeva per Lena per Roberto, per la fanciulla

ebrea, per la sua propria giovinezza appassita e sciupata.

Più tardi entrò in un'osteria, dove una volta trincava spesso

coi compagni. L'ostessa lo riconobbe; egli le chiese un pezzo di

pane, ella glielo diede e gli offerse insieme gentilmente anche

Page 150: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

un bicchier di vino. Egli non riuscì a ingoiare né il pane né il

vino. Sopra una panca dell'osteria dormì la notte. L'ostessa lo

svegliò il mattino, egli ringraziò e se n'andò; per via mangiò

il suo pezzo di pane.

Andò in piazza del mercato: là c'era la casa in cui una volta

aveva la sua camera. Accanto alla fontana alcune pescivendole

offrivano la loro merce viva; egli guardò dentro i barili i

begli animali lucenti. Tante volte li aveva visti in passato, e

gli tornò alla mente che spesso aveva avuto compassione di loro

e s'era sentito acceso d'ira contro le pescivendole e i

compratori. Una volta, ricordava in un'altra mattina s'era

aggirato per quella piazza am-mirando e compiangendo i pesci ed

era stato molto triste: quanto tempo era passato da allora e

quant'acqua sotto i ponti! Era stato molto triste, se ne

rammentava be-ne, ma non sapeva perché. Era proprio così: anche

le cose tristi passavano, anche i dolori e le disperazioni, co-

me le gioie, impallidivano, perdevano la loro profondità e il

loro valore, fin che veniva un momento in cui non ci si poteva

più ricordare che cos'era stato a far tanto male.

Anche i dolori sfiorivano e appassivano. Anche il suo dolore di

quel giorno sarebbe dunque appassito e divenuto insignificante,

anche la sua disperazione per la morte del maestro, che se n'era

andato in collera con lui. E perché non gli era più aperta

un'officina, dove gustare la felicità della creazione e

scaricare dall'anima il peso delle immagini? Sì, senza dubbio,

anche questa sofferenza, anche l'amarezza di diventare vecchio e

stanco, anche questa avrebbe dimenticato. Nulla aveva

consistenza, neppure il dolore.

Mentre fissava i pesci, tutto assorto in questi pensieri, udì

una voce sommessa pronunciare affettuosamente il suo nome.

-- Boccadoro, -- chiamava timida; e voltandosi, egli vide una

giovinetta delicata e patita, ma con grandi occhi scuri. Non la

conosceva.

-- Boccadoro! Sei proprio tu? -- disse la timida voce.

-- Da quando sei tornato in città? Non mi conosci più?

Sono Maria.

Ma egli non la conosceva. Dovette raccontargli che era la figlia

dei suoi padroni di casa d'un tempo e che un giorno, in

quell'alba prima della sua partenza, gli aveva fatto scaldare

una tazza di latte in cucina. Arrossì, mentre raccontava.

Sì, era Maria, era la bimba esile dal femore malato, che allora

s'era presa cura di lui con tanta timida tenerezza. Ora egli

ricordava tutto: Maria lo aveva aspettato nel mattino freddo e

s'era mostrata così triste della sua partenza, gli aveva fatto

scaldare il latte ed egli le aveva dato un bacio, che ella aveva

ricevuto con tacita solennità, come un sacramento. Non aveva più

pensato a lei.

Allora era una bimba. Ora s'era fatta alta, aveva dei bellissimi

occhi, ma zoppicava sempre e appariva un pò emaciata. Le diede

la mano. Gli faceva piacere che qualcuno in quella città lo

conoscesse ancora e gli volesse bene.

Maria lo condusse con sé, egli non oppose quasi resistenza.

Page 151: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Dovette pranzare a mezzogiorno coi genitori di lei, nella stanza

dove pendeva ancora dalla parete il suo quadro e sul bordo del

camino spiccava il suo bicchiere color rubino; fu invitato a

rimanere qualche giorno, erano tanto lieti di rivederlo. Qui

apprese ciò ch'era avvenuto in casa del suo maestro. Nicola non

era morto di peste, ma la bella Elisabetta aveva preso il

contagio ed era stata gravissima; suo padre l'aveva curata fino

a logorarsi, ed era morto prima ancora ch'ella fosse del tutto

guarita. Fu salvata, ma la sua bellezza se n'era andata per

sempre.

--L'officina è vuota, -- disse il padrone di casa, --

e per un bravo intagliatore ci sarebbe lì un bel nido pronto e

denaro a sufficienza. Pensaci, Boccadoro! La ragazza non direbbe

di no. Non ha più da scegliere.

Venne anche a sapere diversi particolari dell'epoca della peste:

che la plebe aveva prima incendiato un ospedale e poi assalito e

saccheggiato alcune case di ricchi; che per un pò di tempo,

essendo fuggito il vescovo, non c'eran più stati né ordine né

sicurezza in città. Allora l'imperatore, che si trovava in quel

momento nelle vicinanze, aveva mandato un governatore, il conte

Enrico. Un uomo energico senza dubbio; coi suoi pochi cavalieri

e soldati aveva ristabilito l'ordine nella città. Ma ormai era

tempo che quel regime cessasse; si aspettava il ritorno del

vescovo. Il conte aveva preteso molto dai cittadini e anche

della sua concubina se n'aveva abbastanza, dell'Agnese quella

era una birba matricolata! Bè, presto se ne sarebbero andati. Il

Consiglio comunale era arcistufo di aver alle costole, invece

del suo buon vescovo un cortigiano e un guerriero come quello,

un favorito dell'imperatore, che riceveva continuamente

ambasciate e delegazioni come un principe.

Poi anche l'ospite fu interrogato sulle sue avventure.--

Ah!--disse egli con tristezza,--non parliamo di queste.

Ho camminato e camminato e dappertutto c'era la pestilenza e

intorno giacevano i morti, e dappertutto la gente era impazzita

e malvagia per paura. Io sono rimasto in vita, forse un giorno

tutto questo sarà dimenticato. Ora ritorno e il mio maestro è

morto! Lasciatemi qui un paio di giorni a riposare, poi

riprenderò il mio cammino.

Non rimase per riposare. Rimase perché era deluso e indeciso,

perché il ricordo di tempi più felici gli rendeva cara quella

città, e perché l'amore della povera Maria gli faceva bene. Egli

non poteva ricambiarlo, non poteva darle altro che amicizia e

compassione; ma quella sua adorazione tacita e umile lo

riscaldava. Più di tutto poi lo tratteneva in quel luogo il

bisogno ardente di ridiventare artista, anche senza officina,

anche solo con dei ripieghi.

Per un paio di giorni Boccadoro non fece altro che disegnare.

Maria gli aveva procurato carta e penna ed egli sedeva nella sua

camera e disegnava per ore ed ore e riempiva i grandi fogli, ora

con figure scarabocchiate in fretta, ora con altre delicate e

curate amorosamente, e così lasciava che il libro delle

immagini, che gli riempivano l'animo, passasse da questo sulla

Page 152: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

carta. Disegnò molte volte il viso di Lena, con quel suo sorriso

pieno di soddisfazione d'amore e di voluttà di sangue, che le

aveva veduto dopo la morte del vagabondo, e anche come gli era

apparso nell'ultima notte, già sul punto di disfarsi

nell'informe, nel ritorno alla terra. Disegnò un contadinello,

che un giorno aveva visto morto, disteso sulla soglia della

camera dei suoi genitori, coi piccoli pugni serrati.

Disegnò un carro pieno di cadaveri, tirato a stento da tre

ronzini, e di fianco gli sgherri con le lunghe stanghe, con gli

occhi biechi che sbirciavano dalle fessure delle maschere nere.

Disegnò più volte Rebecca, la fanciulla ebrea dagli occhi neri e

dalla figura slanciata, la sua bocca sottile e fiera, il suo

volto pieno di dolore e d'indignazione, il suo corpo giovane e

bello che pareva fatto per l'amore, la sua bocca altera e amara.

Disegnò se stesso come viandante, amante, fuggiasco dalla morte

mietitrice, ballerino nelle orge degli affamati di vita durante

la peste. Chino ed assorto sopra la carta bianca, schizzò il

viso fermo e orgoglioso della signorina Elisabetta, come l'aveva

conosciuta un tempo, la smorfia della vecchia serva Margherita,

il volto amato e temuto di maestro Nicola. Più di una volta

anche abbozzò con tratti lievi e presaghi una grande figura

femminile, la Madre della terra, seduta con le mani in grembo e

un barlume di sorriso nel volto sotto gli occhi tristi. Questo

fluire d'immagini, questo sentimento vibrante nella mano che

disegnava, questo dominio che egli acquistava sulle proprie

visioni gli faceva un bene infinito. In pochi giorni riempì dei

suoi disegni tutti i fogli che Maria gli aveva procurati.

Dall'ultimo tagliò via un pezzo e vi disegnò chiaro, a tratti

sobri, il viso di Maria, coi suoi begli occhi e nella bocca

un'espressione di rinuncia. Glielo donò.

Disegnando aveva sciolto e liberato la sua anima da quel senso

di pesantezza, d'ingorgo, di eccessiva pienezza che l'opprimeva.

Fin tanto che disegnava, non sapeva dov'era, il suo mondo non

consisteva d'altro che della tavola, della carta bianca e, la

sera, della candela. Poi si destò, si rammentò delle avventure

più recenti: vide dinanzi a sé, inesorabile, la ripresa della

vita errabonda e cominciò a vagare per la città, col cuore

stranamente diviso fra il senso di rivedere e quello di prender

congedo.

In uno di questi giri incontrò una donna, la cui vista diede a

tutti i suoi sentimenti sconvolti un nuovo centro.

Era una donna a cavallo, alta e biondissima, con occhi azzurri

curiosi e un pò freddi, membra solide ed energiche e un viso

arido, spirante gioia di godimento e di potenza, sicurezza di sé

e curiosità dei sensi all'erta. Si ergeva sul cavallo bruno un

pò altera e imperiosa abituata al comando, ma non chiusa e in

atteggiamento difensivo: sotto i suoi occhi un pò freddi

vibravano narici mobili, aperte a tutti i profumi del mondo, e

la bocca grande e carnosa sembrava fatta per prendere e per

dare.

Nell'istante in cui Boccadoro la vide, si destò viva in lui la

brama di misurarsi con quella donna superba. Conquistarla gli

Page 153: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

parve un nobile scopo e rompersi il collo per raggiungerla non

gli sarebbe sembrata una brutta morte.

Sentì subito che quella bionda leonessa era sua pari, ricca di

sensi e d'anima, accessibile a tutte le tempeste, delicata e

selvaggia, esperta di passioni per antica eredità di sangue.

Passò a cavallo, egli la seguì con lo sguardo: fra la chioma

bionda e ricciuta e il colletto di velluto azzurro verde

spuntare una nuca salda, forte e fiera, ma avvolta della più

tenera pelle infantile. Gli parve la donna più bella che

avesse mai veduta. Egli voleva stringer quella nuca nelle sue

mani e strappare a quegli occhi il loro freddo segreto

azzurro. Non gli fu difficile informarsi chi fosse. Seppe

subito che abitava nel castello ed era Agnese l'amante del

governatore; non se ne stupì, avrebbe potuto essere

l'imperatrice in persona. Si fermò presso la vasca di una

fontana e cercò nell'acqua la sua immagine. S'accordava con

quella della bionda signora come una sorella ma era troppo

incolta. Immediatamente andò a cercare un barbiere che

conosceva, e con belle parole lo indusse a tagliargli barba

e capelli e a pettinarlo per bene.

L'inseguimento durò due giorni. Agnese usciva dal castello e il

biondo straniero stava al portone e la guardava negli occhi,

ammirato. Agnese cavalcava intorno al bastione e di fra gli

ontani sbucava lo straniero. Agnese era dall'orefice e all'uscir

dall'officina incontrava lo straniero.

Ella lo fulminava un istante coi suoi occhi imperiosi mentre un

lieve tremito le palpitava intorno alle narici La mattina dopo,

ritrovandolo pronto alla sua prima uscita a cavallo, gli lanciò

la sua sfida con un sorriso. Egli vide anche il conte, il

governatore era un uomo imponente e ardito, da prender sul

serio, ma aveva già del grigio fra i capelli e delle

preoccupazioni sul volto, Boccadoro si sentiva superiore.

Quei due giorni lo resero felice; raggiava di giovinezza

riconquistata. Era bello mostrarsi a quella donna e sfidarla a

battaglia. Era bello perdere la propria libertà per quella

bellezza. Bella ed eccitante era la sensazione di mettere la

propria vita su quell'unico dado.

La mattina del terzo giorno Agnese uscì a cavallo dal portone

del castello, accompagnata da un palafreniere. I suoi occhi

cercarono subito il corteggiatore, smaniosi di lotta e un pò

inquieti. Bene, era là. Ella mandò via il servo con una

commissione e proseguì sola a passo lento; uscì dalla porta

inferiore che metteva sul ponte e lo attraversò. Allora soltanto

guardò indietro. Vide che lo straniero la seguiva. Sulla strada

che conduceva alla chiesa di San Vito, meta di pellegrinaggi, in

quell'epoca quasi deserta, lo aspettò. Dovette aspettare una

mezz'ora: lo straniero camminava adagio, non voleva arrivare

trafe-lato. Giunse fresco e sorridente, in bocca un ramoscello

con una coccola di rosa canina. Ella era scesa da cavallo e,

legato l'animale, stava appoggiata all'edera che s'ar-rampicava

sul muro, guardando alla volta dell'inseguitore. Egli si fermò

davanti a lei, gli occhi negli occhi, e si tolse il berretto.

-- Perché mi corri dietro?--domandò lei.--Che vuoi da me?

Page 154: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

-- Oh, -- fece Boccadoro, -- preferirei molto regalarti qualche

cosa piuttosto che riceverla da te. Vorrei offrirti in dono me

stesso, bella signora; fa di me ciò che vuoi.

-- Bene, voglio vedere che cosa si può fare di te. Ma se hai

pensato di poter cogliere qui fuori un fiorellino senza

pericolo, ti sei ingannato. Io posso amare solo uomini che sanno

al bisogno arrischiare la loro vita.

---Non hai che da comandarmi.

Ella si tolse lentamente dal collo una catenella d'oro e gliela

consegnò.

--Come ti chiami?

-- Boccadoro.

-- Bene, Boccadoro; proverò di che oro è la tua bocca.

Ascoltami bene: verso sera tu verrai al castello e mostrerai

questa catena, dicendo che l'hai trovata. Ma non deve uscire

dalle tue mani, desidero riaverla da te. Verrai così come sei,

ti prendano pure per un mendicante. Se qualcuno della servitù ti

apostroferà insolentemente, rimarrai tranquillo. Devi sapere che

io ho solo due persone sicure nel castello: il palafreniere Max

e la mia cameriera Berta.

Devi raggiungere uno dei due e farti introdurre da me.

Con tutti gli altri del castello, compreso il conte, sii cauto:

sono nemici. Sei avvisato. Può costarti la vita.

Gli stese la mano; egli la prese sorridendo, la baciò

delicatamente, la sfiorò lieve con la guancia. Poi intascò la

catena e se n'andò, scendendo lungo il fiume verso la città. I

vigneti erano già spogli, dagli alberi volavano via le foglie ad

una ad una. Boccadoro guardò giù la città, che gli apparve

seducente e arnica scosse il capo sorridendo. Solo pochi giorni

prima egli era così triste, triste perfino che anche il dolore e

la sofferenza fossero caduchi Ed ecco che in realtà sofferenza e

dolore erano già passati, staccati da lui come dal ramo le

foglie d'oro. Gli pareva che l'amore non gli avesse mai sorriso

così luminoso come da quella donna, la cui alta figura, la cui

bionda e lieta floridezza gli ricordavano l'immagine di sua

madre, così come l'aveva portata in cuore da ragazzo a

Mariabronn. Solo due giorni prima egli non avrebbe creduto

possibile che il mondo gli potesse sorridere ancora con tanta

letizia, ch'egli potesse ancora sentirsi correre nel sangue con

tanta pienezza e tanto impeto il flutto della vita, della gioia,

della giovinezza. Che felicità essere ancora vivo! che in tutti

quei mesi tremendi la morte l'avesse risparmiato!

La sera si recò al castello. Nel cortile c'era molta

animazione, si dissellavano cavalli, correvano messi: un

piccolo corteo di sacerdoti e di dignitari della Chiesa

veniva introdotto dai servi per la porta interna su per lo

scalone. Boccadoro voleva seguirli, il portiere lo trattenne.

Egli trasse fuori la catena d'oro e disse che aveva

l'ordine di non consegnarla a nessuno fuorché alla signora o

alla sua cameriera. Lo fecero accompagnare da un servo, e

dovette aspettare a lungo nei corridoi. Finalmente comparve una

donna svelta e graziosa, che passandogli accanto domandò

piano: --Siete Boccadoro? --egli fece segno di seguirla:

scomparve in silenzio dietro una porta, ricomparve dopo poco e

gli accennò d'entrare.

Page 155: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Egli si trovò in una piccola stanza, in cui c'era un forte

sentore di pelliccia e di dolci profumi; dalle pareti pendevano

vestiti e mantelli, su supporti di legno stavano cappelli

femminili e in una cassetta aperta ogni sorta di calzature. Lì

rimase ad attendere una buona mezz'ora, fiutando i vestiti

profumati, accarezzando le pellicce e sorridendo curioso di

tutte le belle cose che gli pendevano intorno.

Finalmente la porta interna s'aprì e comparve non più la

cameriera, ma Agnese stessa, in un vestito azzurro chiaro,

guarnito al collo di pelliccia bianca. S'avanzò lenta verso di

lui, passo passo, guardandolo seria coi suoi freddi occhi

azzurri.

--Hai dovuto aspettare,--disse piano. --Credo che ora siamo

sicuri. C'è una delegazione di sacerdoti dal conte, egli pranza

con loro e avrà certo ancora lunghe trattative: le sedute coi

preti durano sempre molto. Quest'ora è per te e per me. Sii

benvenuto, Boccadoro.

Si chinò verso di lui, le belle labbra piene di desiderio

s'avvicinarono alle sue; e i due si salutarono in silenzio nel

primo bacio. Egli passò lentamente la sua mano intorno al collo

di lei. Ella lo condusse nella sua camera da letto, alta e tutta

illuminata da candele. Su di una tavola era preparata una cena;

sedettero, ella gli offerse premurosamente pane, burro e un pò

di carne e gli versò vin bianco in un bel bicchiere

azzurrognolo. Mangiarono e bevettero entrambi dallo stesso

calice, le loro mani giocarono insieme, come per provarsi.

--Di dove sei volato giù,--domandò lei,--mio bell'uccello? Sei

un guerriero, o un musico, o solo un povero vagabondo?

--Sono tutto quello che vuoi tu,--rise egli sommesso, --sono

tuo. Sono un musico, se vuoi, e tu sei il mio dolce liuto; e se

metto le dita intorno al tuo collo e suono su di te, sentiamo

cantare gli angeli. Vieni, cuor mio, non sono qui per mangiare i

tuoi buoni pasticcini e per bere il tuo buon vino bianco, sono

venuto solo per te.

Le scostò delicatamente dal collo la pelliccia bianca e le vesti

dal corpo, con mano adulatrice. Fuori cortigiani e preti

potevano tenere tutti i loro consigli, e i servi camminar quatti

quatti, e la falce sottile della luna scomparire completamente

dietro gli alberi: gli amanti non ne sapevano nulla. Per loro

fioriva il paradiso; attratti l'una verso l'altro e insieme

abbracciati, si perdevano nella sua notte profumata, vedevano

spuntare nella penombra i fiori bianchi dei suoi misteri,

coglievano con mani tenere e grate i suoi frutti agognati. Il

musico non aveva mai sonato un liuto come quello, il liuto non

aveva mai vibrato sotto dita così forti ed esperte.

--Boccadoro,--bisbigliava lei con ardore al suo orecchio, -- oh,

che mago sei! Da te, mio dolce pesciolino d'oro, vorrei avere un

figlio. E più ancora vorrei morire di te. Succhiami, caro,

struggimi, uccidimi!

In fondo alla gola di Boccadoro tremava un mormorio di felicità,

Page 156: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

mentre vedeva fondersi e affievolirsi la durezza di quegli occhi

freddi. Nella profondità di quegli occhi passava come un fremito

di tenerezza e di morte, che si spegneva come il brivido

argenteo sulla pelle di un pesce morente, con un pallido baglior

d'oro simile a quel magico balenar di scintille in fondo al

fiume. Sembrava a Boccadoro che tutta la felicità possibile per

un essere umano affluisse a lui in quel momento.

Subito dopo, mentr'ella giaceva tremante con gli occhi chiusi,

egli s'alzò piano e si vestì. Le disse all'orecchio con un

sorriso: -- Mio bel tesoro, ti lascio. Non ho voglia di morire,

non ho voglia di essere ucciso dal conte. Prima desidero far

felice ancora una volta te e me, come lo siamo stati oggi.

Ancora una volta te e me, come lo siamo stati oggi. Ancora una

volta, ancora molte volte!

Ella rimase distesa in silenzio, finché fu vestito. Allora egli

la coperse piano e le baciò gli occhi.

--Boccadoro, -- disse Agnese, --oh, perché devi andartene? Torna

domani! Se c'è pericolo, ti faccio avvertire.

Torna, torna domani!

Tirò il cordone di un campanello. Sulla porta dello spogliatoio

la cameriera ricevette Boccadoro e lo condusse fuori del

castello. Egli le avrebbe dato volentieri una moneta d'oro; per

un momento si vergognò della sua povertà.

Verso mezzanotte. era in piazza del mercato del pesce e guardava

su alla sua casa. Era tardi, nessuno più sarebbe stato sveglio,

probabilmente avrebbe dovuto passare la notte fuori. Con sua

meraviglia trovò la porta di casa aperta. Scivolò dentro e la

chiuse dietro di sé. Per andare in camera sua doveva passare

dalla cucina. Qui c'era luce.

Accanto ad una minuscola lampada a olio Maria stava seduta

davanti alla tavola. S'era appena appisolata, dopo aver atteso

due, tre ore. Al suo entrare sussultò e balzò in piedi.

--Oh, -- disse Boccadoro, -- Maria, sei ancora alzata ?

--Sono alzata,--rispose lei.--Altrimenti avresti trovato chiusa

la porta.

--Mi rincresce, Maria, che tu abbia aspettato. S'è fatto così

tardi! Non essere in collera con me!

--Non sono mai in collera con te, Boccadoro. Sono solo un pò

triste.

--Non devi essere triste. E perché triste?

--Ah, Boccadoro, vorrei tanto essere sana e bella e forte.

Allora tu non dovresti andare di notte in case straniere ad

amare altre donne. Allora rimarresti anche qualche volta vicino

a me e mi vorresti un pò di bene.

Nella sua voce dolce non sonava alcuna speranza, alcuna

animosità, solo tristezza. Egli le stava accanto imbarazzato,

sentiva pietà, non sapeva dir nulla. Con mano cauta le prese la

testa e le carezzò i capelli; ella rimase immobile, rabbrividì

sotto la sua mano, pianse un poco, poi si drizzò e disse

timidamente: --Va a letto ora, Boccadoro. Ho detto delle

sciocchezze, ero così assonnata! Buona notte.

INDEX

Page 157: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO XVI

Boccadoro passò una giornata di felice impazienza sui colli. Se

avesse avuto un cavallo, sarebbe andato al convento a trovare la

bella Madonna del suo maestro: sentiva un gran desiderio di

vederla ancora, e poi gli pareva d'essersi sognato, quella

notte, di maestro Nicola. Ebbene, un'altra volta! Quella

felicità d'amore con Agnese sarebbe forse durata poco, forse

sarebbe finita male... ma in quel momento era in pieno sboccio,

egli non doveva lasciarsene sfuggir nulla. Quel giorno non

voleva veder nessuno, non voleva esser distratto. Avrebbe

passato la mite giornata d'autunno fuori, sotto gli alberi e

sotto le nubi. Disse a Maria che aveva intenzione di fare una

passeggiata in campagna e sarebbe probabilmente ritornato tardi,

la pregò di dargli un bel pezzo di pane e di non aspettarlo la

sera. Ella non rispose nulla, gli riempì la bisaccia di pane e

di mele, gli passò la spazzola sul vestito logoro, di cui già il

primo giorno aveva rattoppato i buchi, e lo lasciò partire.

Passò dall'altra parte del fiume e prese a salire su per le

ripide gradinate a traverso i vigneti deserti, poi si per-dette

nel bosco e non s'arrestò fin ch'ebbe raggiunto l'ultima cresta.

Là il sole splendeva tiepido in mezzo ai tronchi degli alberi

brulli; ai suoi passi i merli fuggivano nella macchia,

s'accovacciavano timidi, guardando dal fitto dei rami con occhi

neri lucenti, e in basso scorreva il fiume con un ampio arco

azzurro e la città appariva piccola come un giocattolo; di lassù

non si sentiva più nessun suono, fuorché le campane nelle ore di

preghiera. C'erano lassù piccole valli e tumuli ricoperti

d'erba, avanzi di antichi templi pagani, forse fortificazioni,

forse tombe. Egli sedette su uno di questi tumuli; la crepitante

erba d'autunno offriva un sedile asciutto e l'occhio dominava

tutta l'ampia valle e di là dal fiume le colline e le montagne,

catene dietro catene, fin dove cielo e monti s'incontravano in

un gioco di luci azzurrognole e non si distinguevano più. Tutto

questo vasto paese, più oltre ancora di dove l'occhio potesse

giungere, egli l'aveva percorso a piedi; tutte queste regioni,

che ormai si perdevano nella lontananza e nel ricordo, erano

state un giorno vicine e presenti. In quei boschi egli aveva

dormito cento volte, mangiato mirtilli, patito la fame e il

freddo; su quelle creste di montagne e strisce di landa aveva

camminato, lieto e triste, fresco di forze e stanco. In qualche

punto di quella lontananza, oltre l'orizzonte, giacevano le ossa

bruciate della buona Lena, altrove continuava forse la sua

marcia vagabonda il compagno Roberto, se non l'aveva colto la

peste; in qualche luogo laggiù giaceva l'ucciso Vittore, e in

qualche altro luogo, lontano e incantato, il convento della sua

adolescenza; da una parte sorgeva il castello del cavaliere

dalle belle figliole, dall'altra correva misera e inseguita la

povera Rebecca, o era perita. Tutti questi luoghi dispersi,

lande e boschi, città e villaggi, castelli e conventi, tutte

queste persone, vive o morte che fossero, esistevano dentro di

lui, unite fra loro, nel suo ricordo, nel suo amore, nel suo

Page 158: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

pentimento, nella sua nostalgia. E se il giorno dopo la morte

avesse colto anche lui, tutto questo si sarebbe di nuovo

disperso, dileguato, tutto il suo libro di figure, così pieno di

donne e d'amore, di mattini estivi e di notti invernali! Oh,

doveva affrettarsi ancora a fare qualcosa, a creare e a lasciare

dietro di sé qualcosa che gli sopravvivesse.

Di tutta la sua vita, delle sue peregrinazioni, di tutti gli

anni trascorsi dal giorno in cui s'era lanciato nel mondo, poco

frutto era rimasto. Eran rimaste quelle due o tre figure, da lui

foggiate una volta nell'officina, specialmente l'apostolo

Giovanni, e poi quel libro d'immagini, quel mondo irreale che

viveva nella sua mente, il mondo bello e doloroso dei ricordi.

Sarebbe riuscito a salvare qualcosa di questo mondo intimo e a

tradurlo nell'esterno ? O

avrebbe continuato sempre ad andare così: sempre nuove città,

nuovi paesi, nuove donne, nuove vicende, nuove immagini, L'una

sopra l'altra, di cui non portava con sé che questa inquieta,

traboccante pienezza del cuore, tanto bella quanto tormentosa?

Era una cosa terribile essere burlati così dalla vita, c'era da

riderne e da piangerne! O si viveva lasciando giocare i propri

sensi, succhiando perdutamente al petto dell'antica Madre Eva: e

allora si gustavano bensì piaceri sublimi, ma nulla salvava

dalla caducità; si era allora come un fungo nel bosco, oggi

rigoglioso e di colori vivaci, domani marcito. Oppure si cercava

di difendersi, ci si chiudeva nell'officina e ci si sforzava di

costruire un monumento alla vita fugace: e allora bisognava

rinunciare alla vita, allora non si era più che strumenti,

allora si serviva bensì l'immortalità, ma intanto ci s'inaridiva

e si perdeva la libertà, la pienezza, la gioia della vita. Così

era avvenuto a maestro Nicola.

Ah, eppure tutta questa vita aveva un senso soltanto se l'uno e

l'altro scopo si potevano raggiungere, se non c'era questa

scissione provocata da un arido aut aut! Creare, ma non a prezzo

della vita! Vivere, ma senza rinunciare alla nobiltà della

creazione! Non era dunque possibile?

Forse c'erano uomini a cui era possibile. Forse c'erano mariti e

padri di famiglia, che serbando la fedeltà non perdevano il

piacere dei sensi? Forse c'erano sedentari, a cui la mancanza di

libertà e di pericolo non faceva ina-ridire il cuore? Forse.

Egli non ne aveva visti ancora.

Pareva che tutta l'esistenza fosse basata sulla duplicità, sul

contrasto: donna o uomo, vagabondo o borghesuccio, uomo

d'intelletto o di sentimento; aspirare ed espirare insieme,

essere uomo e donna, conciliare libertà ed ordine, istinto e

spirito, non era possibile; bisognava sempre pagare l'una cosa

con la perdita dell'altra e sempre l'una era altrettanto

importante e desiderabile quanto l'altra! Le donne forse avevano

in questo la via più facile.

In loro la natura aveva fatto in modo che il piacere portasse da

sé il suo frutto e che dalla felicità dell'amore nascesse il

figlio. Nell'uomo in luogo di questa semplice fecondità c'era

l'eterna aspirazione. Il Dio che aveva creato tutto questo era

Page 159: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

dunque cattivo od ostile, rideva forse con gioia maligna della

sua propria creazione? No, non poteva essere cattivo, se aveva

creato i caprioli e i cervi, i pesci e gli uccelli, il bosco, i

fiori, le stagioni. Ma c'era una scissione nella sua creazione,

sia che questa fosse mal riuscita e imperfetta, sia che Dio

lasciando nell'esistenza umana tale lacuna e tale aspirazione

insoddisfatta avesse intenzioni sue particolari, sia che ciò

fosse il seme del nemico, il peccato originale. Ma perché

quest'aspirazione insoddisfatta doveva esser peccato? Non

nasceva da essa tutto ciò che di bello e di santo l'uomo aveva

creato e reso a Dio come un'offerta di gratitudine?

Oppresso da questi pensieri, Boccadoro volse lo sguardo sulla

città, cercò il mercato grande e quello del pesce, i ponti, le

chiese, il municipio. Ed ecco anche il castello il superbo

vescovado, in cui allora governava Agnese, la sua bella amante

regale, dall'aspetto tanto orgoglioso eppure così abbandonata e

immemore di sé nell'amore. Pensò a lei con gioia, con gioia e

con riconoscenza ricordò la notte trascorsa. Per vivere la

felicità di quella notte per saper rendere così felice quella

donna meravigliosa era stata necessaria tutta la sua vita, tutto

l'ammaestramento delle donne, tutto il suo vagabondaggio, la sua

miseria, le notti passate a errar nella neve, L'amicizia e la

dimestichezza con gli animali, i fiori, gli alberi, le acque, i

pesci le farfalle. Ci volevano i sensi affinati nella voluttà e

nei pericolo, la vita senza patria, tutto il mondo d'immagini

accumulate in tanti anni nel suo spirito. Fin tanto che la sua

vita era un giardino in cui sbocciavano fiori magici come

Agnese, egli non aveva il diritto di lamentarsi.

Passò tutta la giornata sulle alture carezzate dall'autunno,

camminando, sostando, mangiando pane, pensando ad Agnese e alla

sera. Al calar della notte era di nuovo in città e s'avvicinava

al castello. L'aria s'era fatta fresca e le case guardavano con

gli occhi rossi e quieti delle loro finestre; gli venne incontro

una piccola schiera di ragazzi che cantavano, portando in cima a

bacchette delle rape incavate, in cui avevano intagliato delle

facce e infisso candele accese. La piccola mascherata recava un

profumo d'inverno, e, sorridendo, Boccadoro la seguì con lo

sguardo. S'aggirò a lungo davanti al castello. La delegazione

dei preti era sempre là, ora a una finestra ora all'altra si

vedeva comparire un sacerdote. Finalmente egli riuscì a

insinuarsi nell'interno e a trovare Berta, la cameriera.

Fu di nuovo nascosto nello spogliatoio, fin che comparve Agnese

e lo introdusse affettuosamente in camera sua. Il bel volto era

affettuoso, ma non lieto. Agnese era triste, preoccupata,

inquieta. Boccadoro dovette darsi molta pena per rasserenarla un

poco. Lentamente, sotto i suoi baci e le sue parole d'amore,

ella acquistò un pò di fiducia.

--Tu sai essere tanto caro, -- disse riconoscente. --

Hai note così profonde nella tua gola, uccello mio, quando sei

affettuoso e tubi e chiacchieri. Ti voglio bene, Boccadoro. Ma

se fossimo lontani di qui! Qui non mi piace più; del resto fra

poco sarà finita, il conte è già richiamato, presto ritornerà

Page 160: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

quello stupido vescovo. Il conte oggi è irritato i preti l'hanno

infastidito. Ah, Boccadoro, che tu non gli capiti sott'occhio!

Non vivresti un'ora di più. Ho tanta paura per te.

Nella memoria di Boccadoro risalivano suoni quasi estinti... non

aveva egli già udito una volta, tanto tempo addietro, questa

canzone? Così gli aveva parlato Lidia un giorno, con lo stesso

amore ansioso, con la stessa tenerezza triste. Così era venuta

di notte in camera sua, piena d'amore e d'inquietudine,

preoccupata, agitata dalle immagini spaventose della paura. Egli

ascoltava volentieri la canzone della tenerezza ansiosa. Che

sarebbe l'amore senza la necessità di nascondersi? Che sarebbe

l'amore senza pericolo?

Attirò a sé Agnese con dolcezza, L'accarezzò, le tenne la mano,

le mormorò all'orecchio sommesse lusinghe, le ba-ciò le

sopracciglia. Era commosso e rapito di vederla così inquieta e

preoccupata per lui. Ella riceveva le sue carezze riconoscente,

quasi umile, si stringeva a lui piena d'amore, ma non si

rasserenava.

E a un tratto sussultò bruscamente: si udì chiudere una porta

vicina e rapidi passi s'avvicinarono alla camera.

--Per amor di Dio, è lui, --gridò Agnese disperata, --è il

conte. Presto, per lo spogliatoio puoi fuggire. Presto! Non

tradirmi!

Già l'aveva spinto nello stanzino attiguo, dov'egli si trovò

solo; tastò esitante nel buio. Udì dall'altra parte il conte,

che parlava forte con Agnese. Cercò a tentoni fra gli abiti la

porta d'uscita; avanzava un piede dopo l'altro senza far rumore.

Eccolo alla porta che metteva nel corridoio; fece per aprirla

piano. Solo allora, trovandola chiusa dall'esterno, anch'egli si

spaventò e il suo cuore cominciò a battere con dolorosa

violenza. Poteva essere che, per un caso disgraziato, qualcuno

avesse chiuso quella porta dopo la sua venuta. Ma non ci

credeva. Era caduto in una trappola, era perduto; qualcuno

doveva averlo visto quando s'era insinuato là dentro. Gli

sarebbe costato la testa. Mentre stava tremante nel buio, gli

vennero in mente le parole di congedo d'Agnese: "Non tradirmi!".

No, non l'avrebbe tradita. Il suo cuore martellava, ma la

decisione gli diede forza; strinse i denti in atto di sfida.

Tutto questo era avvenuto in pochi minuti. La porta della camera

d'Agnese s'aperse ed entrò il conte, con un candeliere nella

sinistra e la spada sguainata nella destra.

Nello stesso istante Boccadoro con rapida mossa afferrò alcuni

dei vestiti e dei mantelli che pendevano intorno a lui e li

prese sul braccio. Dovevano crederlo un ladro, forse era una

scappatoia.

Il conte l'aveva visto subito. S'avvicinò lentamente.

--Chi siamo? Che facciamo qui? Rispondere, o colpisco.

--Perdonate, -- mormorò Boccadoro, -- sono un povero uomo e voi

siete così ricchi! Restituisco tutto quello che ho preso,

signore, vedete!

E depose i mantelli per terra.

--Ah, hai rubato dunque! Non sei stato furbo ad arrischiar la

Page 161: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

vita per un mantello vecchio. Sei un cittadino?

--No, signore, sono un vagabondo. Sono un pover'uomo, sarete

indulgente...

--Smettila! Vorrei un pò sapere se eri così sfacciato da voler

importunare la signora. Ma poiché sarai impiccato lo stesso, non

abbiamo bisogno d'indagarlo. Basta il furto.

Bussò con forza contro la porta chiusa, gridando: --

Siete costì! Aprite!

La porta fu aperta dall'esterno: tre sgherri erano pronti con le

lame sguainate.

--Legatelo bene, -- gridò il conte con voce stridente di scherno

e di arroganza.--un vagabondo che ha rubato. Mettetelo al sicuro

e domattina all'alba impiccate il furfante alla forca.

A Boccadoro furono legate le mani, senza ch'egli si difendesse.

Così fu condotto via per il lungo corridoio, giù per le scale,

attraverso il cortile interno; un servo precedeva con una

torcia a vento. Davanti alla porta rotonda di una cantina,

guarnita di ferro, gli sgherri si fermarono.

Discussero fra loro e inveirono: mancava la chiave della porta.

Una guardia prese la torcia, il servo corse indietro in cerca

della chiave. Così rimasero, i tre uomini armati e quello

legato, in attesa davanti alla porta. Lo sgherro che teneva il

lume l'accostò curioso al volto del prigioniero. In quel momento

passavano due sacerdoti dei tanti che erano ospiti al castello;

venivano dalla cappella e si fermarono davanti al gruppo-

entrambi osservarono attentamente quella scena notturna: le tre

guardie, L'uomo legato, là in piedi, in attesa.

Boccadoro non guardava né i sacerdoti, né le sue guardie. Non

poteva veder nulla, fuorché la luce tremolante che gli tenevano

proprio davanti al viso e che lo abbagliava. E dietro la luce,

in una penombra piena d'orrore, vedeva qualcosa ancora, qualcosa

d'informe, di grande, di spettrale: L'abisso, la fine, la morte.

Stava con gli occhi fissi, senza vedere e udir nulla. Uno dei

sacerdoti bisbigliò con premura qualche parola alle guardie.

Quando udì che l'uomo doveva morire ed era un ladro, domandò se

aveva avuto un confessore. No, fu risposto, era stato colto in

flagrante.

--Allora,--disse il sacerdote,--domattina avanti la prima messa

verrò io da lui coi Santi Sacramenti e ascolterò la confessione.

Voi mi siete garanti che non sarà condotto via prima. Col signor

conte parlerò io oggi stesso.

Quest'uomo sarà un ladro; ma ha diritto come ogni cristiano al

confessore e ai sacramenti.

Le guardie non osarono far obiezioni. Conoscevano il sacerdote:

era uno dei dignitari della delegazione, lo avevano visto più

d'una volta alla tavola del conte. E poi, perché non concedere

la confessione al povero vagabondo?

I sacerdoti s'allontanarono. Boccadoro era sempre immobile con

gli occhi fissi. Finalmente arrivò il servo con le chiavi e

aprì. Il prigioniero fu introdotto in una cantina a volta e

scese i pochi gradini inciampando e vacillando.

C'erano intorno un paio di seggiole a tre gambe senza spalliera

Page 162: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

e una tavola; era il locale che precedeva la cantina dove

tenevano il vino. Accostarono alla tavola un seggiolino e

dissero a Boccadoro di sedere.

--Domani all'alba verrà un prete, potrai ancora confessarti, --

gli disse una delle guardie. Poi uscirono e chiusero con cura la

porta pesante.

-- Lasciami qui il lume, camerata, -- pregò Boccadoro.

--No, fratellino, potresti combinare qualche malanno.

Andrà anche così Sii bravo e rassegnati. E poi quanto dura

acceso un lume come questo? Fra un'ora sarebbe spento. Buona

notte.

Eccolo solo nel buio, seduto sul seggiolino con la testa

appoggiata sulla tavola. Era brutto sedere così: i legacci ai

polsi gli facevano male, tuttavia di queste sensazioni si rese

conto solo più tardi. Da principio rimase seduto là con la testa

sulla tavola come su di un ceppo; sentiva ii bisogno di fare col

corpo e con i sensi quello ch'era imposto allora al suo cuore:

arrendersi all'inevitabile, rassegnarsi a dover morire.

Rimase così un'eternità, angosciosamente piegato, tentando di

accettare il destino incombente, di respirarlo di comprenderlo,

di saziarsene. Era sera, cominciava la notte e la fine di quella

notte avrebbe portato anche la sua fine.

Questo doveva cercar di comprendere. Domani non vivrà più. Sara

la Impiccato, sarà una cosa su cui si poseranno gli uccelli a

beccare, sarà quello che era maestro Nicola, quello che era Lena

nella capanna arsa, quello che erano tutti coloro ch'egli aveva

veduti distesi nelle case deva-state dalla morte e sui convogli

zeppi di cadaveri. Non era facile comprendere questo e

capacitarsene. Era addirittura impossibile. C'erano troppe cose,

da cui non si era staccato ancora, da cui non aveva ancora preso

congedo.

Le ore di quella notte gli erano date appunto per questo.

Doveva prender congedo dalla bella Agnese, non avrebbe mai più

veduto la sua figura alta, la sua chioma luminosa, i suoi freddi

occhi azzurri, mai più l'affievolirsi e il tremare dell'orgoglio

in quegli occhi, mai più la dolce peluria d'oro sulla sua pelle

profumata. Addio occhi azzurri, addio bocca umida e fremente! E

aveva sperato di baciarla ancora tante volte! Oh, quel giorno

stesso, sui colli, al sole del tardo autunno, come aveva pensato

a lei, com'era stato suo, come l'aveva desiderata! Ma anche dai

colli doveva prender congedo, dal sole, dal cielo azzurro

cosparso di nuvole bianche, dagli alberi e dai boschi, dalla

vita errabonda, dalle ore del giorno e dalle stagioni dell'anno.

In quel momento forse Maria era ancora alzata, la povera Maria

dai buoni occhi affettuosi e dall'andatura zoppicante, e

aspettava seduta e s'addormentava nella sua cucina e si

risvegliava e nessun Boccadoro tornava più a casa.

Ah, la carta e il lapis, e la speranza in tutte quelle figure

che voleva creare ancora! Finito, finito! E la speranza di

riveder Narciso, il caro apostolo Giovanni, anche a questa

doveva rinunciare!

E dalle sue proprie mani doveva prender congedo, dai suoi propri

Page 163: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

occhi, dalla fame e dalla sete, da cibo e bevanda, dall'amore,

dal suono del suo liuto, dal sonno e dalla veglia, da tutto.

L'indomani un uccello volava per l'aria e Boccadoro non lo

vedeva più, una fanciulla cantava alla finestra ed egli non

l'udiva più, il fiume continuava a scorrere e i pesci scuri a

guizzar dentro, muti, soffiava il vento spazzando le foglie

gialle sul terreno, brillava il sole, il cielo stellato, i

giovani andavano a ballare, un primo spruzzo di neve imbiancava

le montagne lontane... e tutto andava avanti, tutti gli alberi

proietta-vano la loro ombra, tutti gli uomini guardavano con

occhi lieti o tristi, e i cani abbaiavano, e le mucche muggivano

nelle stalle dei villaggi; e tutto senza di lui, nulla gli

apparteneva più, egli era strappato da tutto.

Fiutò il profumo mattutino della landa, gustò il dolce vino

giovane e le giovani noci dure; un ricordo, un ri-flesso

luminoso di tutto il mondo variopinto passò come un lampo nel

suo cuore oppresso, tutta la bella vita tumultuosa brillò ancora

una volta attraverso i suoi sensi in una luce di tramonto e

d'addio, egli si contrasse nel prorompere della sofferenza e

sentì sgorgare a una a una le lacrime dagli occhi. S'abbandonò

singhiozzando a quell'ondata violenta di pianto, affranto si

diede tutto in balia di quel dolore infinito. Oh, valli e monti

boscosi, ruscelli nella verde ombra degli ontani, fanciulle,

sere di luna sui ponti, o bel mondo radioso d'immagini, come ti

posso

asciare! Giaceva piangente sulla tavola come un fanciullo

sconsolato. Dall'angoscia del suo cuore salì un sospiro, un

semplice appello lamentoso: "O mamma, o mamma!".

E mentre pronunciava il magico nome, gli rispondeva

un'immagine dalla profondità dei suoi ricordi, L'immagine della

madre. Non era la figura materna dei suoi pensieri e dei suoi

sogni d'artista, era l'immagine della mamma sua, bella e viva

come non l'aveva più veduta dai tempi del convento.

A lei rivolse il suo lamento, a lei il suo pianto per quel

dolore insopportabile di dover morire; a lei s'abbandonò, a lei,

nelle sue mani materne, rese il bosco, il sole gli occhi, le

mani, tutto il suo essere e la sua vita.

Fra le lacrime s'addormentò; la prostrazione e il sonno lo

accolsero maternamente nelle loro braccia. Dormì un'ora o due e

fu sottratto all'angoscia.

Svegliatosi, sentì dolori violenti. I polsi legati gli

bruciavano, fitte dolorose gli attraversavano la schiena e la

nuca. Si drizzò a fatica, ritornò in sé, riconobbe la sua

posizione. Intorno a lui era buio fitto, non sapeva quanto tempo

avesse dormito, non sapeva quante ore gli rimanessero ancora da

vivere. Forse fra un minuto sarebbero venuti a portarlo via, per

morire. Allora si rammentò che gli avevano promesso un

sacerdote. Egli non credeva che i Sacramenti di costui gli

potessero giovar molto. Non sapeva se anche la più completa

assoluzione e remissione dei peccati avrebbe potuto condurlo in

paradiso. Non sapeva se ci fosse un paradiso e un Padre celeste

e un giudizio divio e un'eternità. Di queste cose aveva perduto

Page 164: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

da un pezzo ogni certezza.

Ma ci fosse o non ci fosse un'eternità, egli non la desiderava,

egli non voleva altro che questa vita incerta, fugace, questo

respiro, questo sentirsi bene nella propria pelle, non voleva

altro che vivere, S'alzò furente, barcollò tentoni nell'oscurità

fino al muro, s'appoggiò con tutta la persona alla parete e

cominciò a riflettere. Ci doveva pur essere una salvezza! Forse

il sacerdote era la salvezza, forse poteva convincersi della sua

innocenza, metter una buona parola per lui, o aiutarlo a

ottenere una proroga o a fuggire? Si sprofondò sempre più in

questi pensieri. E se questo non riusciva, non voleva ancora

rinunciare, la partita non poteva ancora essere perduta.

Avrebbe dunque tentato innanzi tutto di cattivarsi il sacerdote,

avrebbe fatto ogni sforzo per ammaliarlo, per riscaldarlo, per

convincerlo, per lusingarlo. Il sacerdote era l'unica carta

buona nella sua partita, tutte le altre possibilità erano sogni.

Ad ogni modo ci potevan sempre essere dei casi, delle

combinazioni; al boia poteva venire una colica, la forca poteva

rompersi, si poteva presentare una possibilità di fuga, prima

inconcepibile. In tutti i casi Boccadoro si rifiutava di morire;

aveva tentato invano di adattarsi a questa sorte e di

accettarla, non c'era riuscito. Si sarebbe difeso, avrebbe

lottato fino all'ultimo, avrebbe dato lo sgambetto alla guardia,

si sarebbe lanciato a corsa gettando a terra il boia avrebbe

difeso la sua vita fino all'ultimo istante con ogni goccia del

suo sangue... Oh, se avesse potuto indurre il prete a

sciogliergli le mani! Sarebbe stato un gran passo innanzi.

Intanto senza badare alle sofferenze, cercava di lavorare coi

denti intorno alle funi. Con uno sforzo furioso riuscì dopo un

tempo terribilmente lungo a ottenere che gli sembrassero un poco

allentate. Stava ansante nella notte della sua prigione, le

braccia e le mani gonfie gli facevano male. Quando riprese

fiato, strisciò tastando lungo il muro, esplorò passo passo la

parete umida della cantina in cerca di qualche canto sporgente.

Allora gli vennero in mente i gradini, nei quali aveva

inciampato entrando in quella prigione. Cercò e li trovò.

Inginocchia-tosi, tentò di logorare la corda fregandola contro

uno degli spigoli di pietra dei gradini. Fu un'impresa

difficile, invece della corda si fregavano sulla pietra le

nocche delle sue mani, e gli bruciavano come fuoco; sentiva

scorrere il sangue. Ma non cedette. Quando fra la porta e la

soglia già si scorgeva un filo sottilissimo di grigia luce

mattutina, aveva raggiunto il suo scopo. La corda si era

logorata, egli riuscì a scioglierla, ebbe le mani libere! Ma

poi non poteva quasi muovere un dito, le mani erano gonfia-te e

paralizzate e le braccia, fino alle spalle, rigide e con-tratte

in uno spasimo. Dovette costringerle all'esercizio, al

movimento, perché il sangue tornasse a scorrervi. Ormai aveva un

piano, che gli sembrava buono.

Se non avesse potuto ottenere che il prete l'aiutasse, allora,

pur che lo lasciassero un attimo solo con lui, L'avrebbe ucciso.

Con una seggiola sarebbe riuscito. Strozzarlo non poteva, non

Page 165: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

aveva forza sufficiente nelle mani e nelle braccia.

Dunque ucciderlo, indossare in fretta la Sua veste sacerdotale e

con essa fuggire! Prima che gli altri trovassero il cadavere,

egli doveva esser fuori dal castello e poi correre, correre!

Maria l'avrebbe lasciato entrare di nascosto. Doveva tentare.

Era possibile.

Boccadoro non aveva mai osservato, atteso, agognato, eppur

temuto tanto l'alba come in quell'ora. Tremante di tensione e di

risolutezza, guardava con l'occhio di cacciatore l'esigua

fessura di luce sotto la porta rischiararsi a poco a poco.

Ritornò presso la tavola e si esercitò a star accoccolato sullo

sgabello con le mani fra le ginocchia, in modo che non si

potesse scorgere subito la mancanza delle funi. Da quando le sue

mani erano libere, non credeva più alla morte. Era deciso a

spuntarla, dovesse andare a rotoli anche tutto il mondo. Era

deciso a vivere, ad ogni costo. Le sue narici tremavano nella

brama di libertà e di vita. E chi sa, forse gli sarebbero venuti

in aiuto dal di fuori? Agnese era una donna e il suo potere non

arrivava lontano, forse neppure il suo coraggio; era possibile

ch'ella lo abbandonasse al suo destino. Ma lo amava, forse

poteva anche fare qualcosa. Forse fuori strisciava furtiva la

cameriera Berta... e non c'era anche un palafreniere, di cui

ella credeva di potersi fidare? E se nessuno compariva, se non

gli davano nessun segnale, ebbene, allora avrebbe eseguito il

suo piano. Se falliva, avrebbe ucciso con la sedia i guardiani,

due o tre o quanti fossero. Di un vantaggio era sicuro: i suoi

occhi si erano abituati all'oscurità, ormai nella penombra

indovinava e riconosceva forme e misure, mentre gli altri da

principio sarebbero stati completamente ciechi.

Accoccolato davanti alla tavola, febbricitante, pensava e

ripensava ciò che doveva dire al sacerdote per guadagnarsi il

suo aiuto, perché bisognava cominciare da questo. Intanto

osservava con avidità il crescer moderato della luce nella

fessura. Il momento, che poche ore innanzi aveva tanto temuto,

era diventato meta dei suoi desideri più ardenti; non poteva

quasi più aspettare, la terribile tensione si faceva a lungo

andare insopportabile.

Poi le sue forze, la sua attenzione, la sua risolutezza e

vigilanza sarebbero a poco a poco scemate. Il guardiano col

sacerdote doveva venir presto, finch'era ancora viva questa

esaltazione, questa decisa volontà di salvezza.

Finalmente il mondo fuori si destò, finalmente il nemico

s'avvicinò. Risonarono passi sul selciato del cortile, la chiave

fu introdotta e girata nella toppa, ciascuno di questi suoni

dopo il lungo silenzio di morte echeggiò come un tuono.

La porta pesante s'aperse un poco, lentamente, stridendo sui

cardini. Entrò un sacerdote senz'accompagnamento, senza

guardie. Entrò solo, reggendo un doppiere con due candele. Tutto

succedeva diversamente da come il prigioniero si era immaginato.

E che strana commozione! Il sacerdote, dietro il quale mani

invisibili avevano richiuso la porta, indossava l'abito del

convento di Mariabronn, L'abito ben noto e familiare, quale

Page 166: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

avevano indossato un giorno l'abate Daniele, padre Anselmo e

padre Martino!

Quella vista gli diede uno strano colpo al cuore, dovette

distogliere gli occhi. L'apparizione di quell'abito monacale

pareva una buona promessa, un buon segno. Ma forse non c'era

ugualmente altra via d'uscita che l'assassinio, Strinse i

denti. Gli sarebbe stato molto difficile uccider quel frate.

INDEX

Page 167: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO XVII

--Sia lodato Gesù Cristo, -- disse il padre deponen-do il

candeliere sulla tavola. Boccadoro rispose a mezza voce, con gli

occhi fissi per terra.

Il sacerdote taceva. Aspettava e taceva, fino a che Boccadoro,

inquieto, alzò gli occhi indagatori sull'uomo che gli stava

dinanzi. Quest'uomo, s'accorse allora con sua confusione, non

portava solo l'abito dei padri di Mariabronn, ma anche le

insegne della carica di abate.

Guardò l'abate in faccia. Era un viso scarno, dal taglio netto e

marcato, dalle labbra sottilissime. Era un viso ch'egli

conosceva. Pareva plasmato dallo spirito e dalla volontà:

Boccadoro lo guardava ammaliato. Con mano incerta afferrò il

candeliere e lo avvicinò a quel vi-so straniero, per potervi

scorgere gli occhi. Li vide, e il candeliere gli tremò nella

mano, mentre lo rimetteva sulla tavola.

--Narciso! -- mormorò in tono quasi impercettibile.

Tutto cominciò a turbinare intorno a lui.

--Sì, Boccadoro, una volta ero Narciso, ma già da molto tempo ho

deposto quel nome, forse te ne sei dimenticato. Dal giorno della

mia vestizione mi chiamo Giovanni.

Boccadoro era scosso fino in fondo al cuore. Tutto il mondo

s'era mutato a un tratto, e il crollo improvviso della sua

tensione sovrumana minacciava di soffocarlo; tremava e un senso

di vertigine gli dava l'impressione che la sua testa fosse una

bolla vuota, il suo stomaco si contraeva. Dietro gli occhi

sentiva un bruciore, come un impeto di pianto. Singhiozzare e

cadere in deliquio fra le lacrime: tutto in lui tendeva in quel

momento a un tal abbandono.

Ma dalla profondità dei ricordi dell'adolescenza, evocati dalla

vista di Narciso, salì un monito: una volta, da ragazzo, egli

aveva pianto e s'era lasciato andare davanti a quel volto bello

e severo, a quegli occhi scuri e onniscienti. Ciò non doveva più

ripetersi. Come un fantasma, nel momento più singolare della sua

vita, quel Narciso gli ricompariva dinanzi, probabilmente per

salvargli la vita,,. ed egli doveva un'altra volta scoppiare in

singhiozzi o cadere in deliquio dinanzi a lui? No, no, no.

Si trattenne. Frenò il suo cuore, fece violenza al suo stomaco,

scacciò la vertigine dalla testa. Non doveva mostrare in quel

momento la sua debolezza.

Con voce artificiosamente dominata riuscì a dire: --

Devi permettermi di chiamarti ancora Narciso.

--Chiamami così, caro. E non vuoi darmi la mano?

Boccadoro fece un nuovo sforzo su se stesso. Con un tono un pò

fanciullescamente arrogante e lievemente beffardo, a cui soleva

ricorrere qualche volta negli anni di scuola, mise fuori la sua

risposta.

-- Scusa, Narciso, -- disse freddo, ostentando una certa

indifferenza a ogni cosa. --Vedo che sei diventato abate. Io

invece sono sempre un vagabondo. E poi il nostro colloquio, per

quanto gradito mi sia, non potrà durare a lungo. Perché vedi,

Page 168: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Narciso, io sono condannato alla forca e fra un'ora o anche

prima sarò probabilmente impiccato. Te lo dico solo per

chiarirti la situazione.

Il volto di Narciso rimase impassibile. Quel tantino di

millanteria fanciullesca nel contegno dell'amico lo divertiva

moltissimo e insieme lo commoveva. Ma comprendeva e approvava in

cuor suo la fierezza che si celava là sotto e che impediva a

Boccadoro di cadergli sul petto piangendo, Veramente anch'egli

s'era immaginato diverso il loro incontro, ma era ben disposto

ad assecondare quella piccola commedia. Nulla avrebbe giovato di

più a Boccadoro pc-r riconquistare subito il cuore dell'amico.

-- Sicuro, -- disse fingendosi anch'egli indifferente. --

Del resto quanto alla forca ti posso tranquillare. Sei graziato

Ho l'incarico di comunicartelo e di condurti con me. Perché qui

in città non puoi rimanere. Avremo dunque tempo sufficiente per

raccontarci tante cose. Ma dì un pò: vuoi darmi la mano ora?

Si diedero la mano e se la tennero stretta a lungo,

profondamente commossi; ma nelle loro parole il riserbo e la

commedia durarono ancora per un poco.

--Bene, Narciso, lasceremo dunque questo poco onorevole asilo,

e io mi unirò al tuo seguito. Ritorni a Mariabronn? Sì?

Benissimo. E come? A cavallo? Ottima-mente. Bisognerà dunque

trovare un cavallo anche per me.

--Lo troveremo, e partiremo fra due ore. Oh, ma che mani hai!

Per amor di Dio, tutte scorticate, gonfie e sanguinanti! O

Boccadoro, come ti hanno trattato!

--Lascia andare, Narciso. Io stesso me le sono ridotte così.

Ero legato e dovevo liberarmi. Ti dico io che non fu facile. Tu

del resto sei stato molto coraggioso ad entrare da me così senza

scorta.

--Perché coraggioso? Non c'era nessun pericolo.

--Oh, c'era solo il piccolo pericolo di essere ucciso da me.

Cioè, il mio progetto era questo. M'era stato detto che sarebbe

venuto un sacerdote. Io l'avrei ammazzato e sarei fuggito nelle

sue vesti. Un bel piano.

--Non volevi morire dunque? Volevi difenderti?

--Certo volevo. Che proprio tu saresti stato il sacerdote,

questo non potevo naturalmente immaginarlo.

--Ad ogni modo, -- disse Narciso con qualche esita-zione,--era

veramente un bruttissimo piano. Avresti potuto davvero uccidere

un sacerdote, che fosse venuto a te come confessore?

-- Te no, Narciso, no certo, e forse neppure uno dei tuoi padri,

se avesse portato la tonaca di Mariabronn.

Ma un altro sacerdote qualsiasi, oh sì, puoi esserne sicuro.

A un tratto la sua voce divenne triste e cupa.

--Non sarebbe stato il primo uomo, che avrei ucciso.

Tacquero. Provavano entrambi un senso di pena.

--Bene, di queste cose, -- disse Narciso con voce fredda, --

parleremo più tardi. Potrai farmi un giorno la tua confessione,

se vorrai. Oppure raccontarmi così semplicemente della tua vita.

Anch'io ho diverse cose da raccontarti. E me ne rallegro.

Vogliamo andare?

Page 169: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

--Un momento ancora, Narciso! Mi è venuta in mente una cosa: che

già una volta ti ho chiamato Giovanni.

--Non ti capisco.

--No, è naturale. Non sai ancora nulla. Parecchi an-ni fa ti ho

dato una volta il nome di Giovanni, e ti rimarrà per sempre.

Devi sapere che sono stato scultore e intagliatore di figure, e

intendo ridiventarlo. E la miglior figura che abbia scolpito

allora, un giovane di grandezza naturale, in legno, è la tua

immagine, ma non si chiama Narciso, si chiama Giovanni.,

L'apostolo Giovanni sotto la croce.

S'alzò e andò alla porta.

--Hai dunque pensato ancora a me?--domandò Narciso sottovoce.

Altrettanto sottovoce Boccadoro rispose: --Oh sì, Narciso, ho

pensato a te. Sempre, sempre.

Spinse con forza la porta pesante, la luce scialba del mattino

entrò. Non dissero più nulla. Narciso lo condusse con sé nella

camera in cui era ospitato. Un giovane monaco che l'accompagnava

era intento a preparare i bagagli per il viaggio. Boccadoro

ricevette da mangiare, le sue mani furono lavate e in parte

fasciate. Poco dopo vennero condotti i cavalli.

Mentre salivano in sella, Boccadoro disse: -- Ho ancora una

preghiera. Prendiamo la via che passa dal mercato del pesce,

avrei là qualcosa ancora da sbrigare.

Partirono e Boccadoro guardò a tutte le finestre del castello,

se a una per caso non si vedesse Agnese. Non riuscì a scorgerla.

Cavalcarono per il mercato del pesce; Maria era stata molto in

pena per lui. Egli si congedò da lei e dai suoi genitori,

ringraziò mille volte, promise di ritornare un giorno e partì.

Maria rimase sotto la porta di casa fin che i cavalieri furono

scomparsi. Poi rientrò a passo lento, zoppicando.

Cavalcavano in quattro: Narciso, Boccadoro, il giovane monaco e

un palafreniere armato.

--Ti ricordi ancora del mio cavallino Bless, -- domandò

Boccadoro, -- ch'era nella stalla del vostro convento?

--Certo. Non lo troverai più e probabilmente non ti aspettavi

neppure di rivederlo. Sette od otto anni fa dovemmo ammazzarlo.

--E te ne ricordi?

--Oh sì, mi ricordo.

Boccadoro non si rattristò della morte del piccolo Bless.

Gli fece piacere che Narciso ne fosse così ben informato, egli

che non si era mai curato degli animali e certo non aveva mai

conosciuto per nome nessun altro cavallo del convento. Ciò gli

fece molto piacere.

--Ti parrà ridicolo, -- ricominciò, -- che il primo essere del

vostro convento di cui ho chiesto sia stato il povero cavallino.

Non è gentile da parte mia. Veramente volevo chiedere di

tutt'altro, innanzi tutto del nostro abate Daniele. Ma potevo

immaginarmi che è morto, poiché tu sei il suo successore. E

volevo evitare di parlare per prima cosa di morti. In questo

momento non vedo di buon occhio la morte, per causa della notte

passata, e anche per causa della peste, di cui ho veduto troppo.

Ma ormai ci siamo; e una volta bisogna pur parlarne. Dimmi

Page 170: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

quando è morto l'abate Daniele, che io veneravo molto. E dimmi

anche se i padri Anselmo e Martino sono ancora in vita. Sono

preparato al peggio. Ma sono contento che la peste abbia almeno

risparmiato te. Veramente non ho mai pensato che tu potessi

esser morto, ho creduto fermamente che ci saremmo rivisti. Ma la

fe-de può ingannare, ne ho fatto l'esperienza purtroppo. Anche

il' mio maestro Nicola, L'intagliatore in legno, non potevo

figurarmelo morto, ero sicuro di ritrovarlo e di lavorare di

nuovo con lui. Eppure era morto, quando ritornai.

--E presto raccontato, -- disse Narciso. -- L'abate Daniele è

morto già otto anni fa, senza malattia né sofferenze. Io non

sono il suo successore, sono abate solo da un anno. Il suo

successore fu padre Martino, una volta nostro direttore di

scuola; egli morì l'anno scorso, non ancora settantenne. Anche

padre Anselmo non è più in vita. Ti voleva bene, parlava ancora

spesso di te. Negli ultimi tempi non poteva più camminare e lo

stare a letto era per lui un grande tormento; morì d'idropisia.

Sicuro, e la peste venne anche da noi, ne sono morti molti. Non

ne parliamo! Hai altre domande da rivolgermi?

-- Certo, molte. Innanzitutto: come mai sei venuto qui, nella

residenza del vescovo e dal governatore?

-- E una storia lunga e ti annoierebbe; si tratta di po-litica.

Il conte è un favorito dell'imperatore e in molte cose il suo

plenipotenziario; ora in questo momento ci so-no parecchie

questioni da appianare fra l'imperatore e il nostro ordine.

Questo mi ha assegnato a una delegazione, che doveva svolgere

trattative col conte. Il risultato è stato minimo.

Tacque, e Boccadoro non chiese oltre. Non c'era del resto nessun

bisogno che sapesse che la sera innanzi, quando Narciso aveva

chiesto al conte la vita di Boccadoro, questa vita aveva dovuto

esser pagata al duro governatore con alcune concessioni.

Continuavano a cavalcare; Boccadoro si sentì presto stanco; si

teneva in sella a fatica.

Dopo un bel pò Narciso domandò: -- E vero che eri stato

arrestato per furto? Il conte dichiarò che ti eri introdotto nel

castello e nelle stanze interne e là avevi rubato.

Boccadoro rise. -- Sì, c'era veramente tutta l'apparenza che

fossi un ladro. Ma io avevo un convegno con l'amante del conte;

senza dubbio egli sapeva anche questo. Mi stupisce molto che mi

abbia lasciato andare.

-- Eh, s'è mostrato trattabile.

Non riuscirono a percorrere il tratto di cammino pro-gettato per

la giornata. Boccadoro era troppo sfinito, le sue mani non

potevano più tenere le briglie. Presero quartiere in un

villaggio; egli fu messo a letto, ebbe un pò di febbre e rimase

coricato anche il giorno seguente, ma poi poté proseguire. E

quando poco dopo le sue mani furono guarite, cominciò a godere

molto di quel viaggio a cavallo. Da quanto tempo non cavalcava!

Si sentì rivive-re, ritornò giovane e vivace; a volte faceva

gare di galoppo col palafreniere e nei momenti d'espansione

assediava l'amico Narciso di cento domande impazienti. Narciso

lo accontentava calmo, ma lieto; era di nuovo affascinato da

Page 171: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Boccadoro, amava le sue domande così irruenti, così infantili,

così piene d'illimitata fiducia nello spirito e nella saggezza

dell'amico.

--Una domanda, Narciso: avete bruciato anche voi qualche volta

gli ebrei?

--Bruciato gli ebrei? E come? Non ci sono ebrei da noi.

-- E vero. Ma dimmi: saresti capace tu di bruciare degli ebrei?

Puoi immaginarti possibile un caso simile?

--No, perché dovrei farlo? Mi credi un fanatico?

--Comprendimi Narciso! Voglio dire: puoi pensare che in qualche

caso sapresti dare l'ordine di uccidere degli ebrei, oppure il

tuo consenso? Tanti duchi, borgomastri, vescovi e altre

autorità hanno dato di questi ordini.

--lo non darei un ordine di questo genere. Ma posso pensare al

caso che mi toccasse di assistere a una tale crudeltà e di

tollerarla.

--La tollereresti dunque?

-- Certo, se non avessi il potere d'impedirla. Tu hai assistito

qualche volta ad un rogo di ebrei, Boccadoro?

--Ah, sì.

-- Ebbene, L'hai impedito?... No?... Vedi.

Boccadoro raccontò minutamente la storia di Rebecca, e nel

racconto si riscaldò, si appassionò.

--Ebbene, -- concluse con veemenza, -- che mondo è questo, in

cui dobbiamo vivere? Non è un inferno?

Non è rivoltante e mostruoso?

--Certo. Il mondo è così.

-- Ah! --esclamò Boccadoro con ira.--E quante volte in passato

mi affermasti che il mondo è divino, che è una grande armonia di

sfere nel cui centro troneggia il Creatore, e che tutto ciò che

esiste è buono, e così via.

Dicevi che questo si trovava in Aristotele o in san Tomaso. Sono

ansioso di sentire come spieghi questa contraddizione.

Narciso rise.

--- La tua memoria è stupefacente, eppure ti ha un pò ingannato

lo ho sempre venerato la perfezione del Creatore, ma non mai

della creazione. Non ho mai negato il male nel mondo. Che la

vita sulla terra sia armonica e giusta e che l'uomo sia buono,

questo, mio caro, nessun vero pensatore l'ha mai affermato. Che

invece i sentimenti e le aspirazioni del cuore umano siano

cattivi, è espresso nella Sacra Scrittura e lo vediamo

confermato ogni giorno.

-- Benissimo. Vedo finalmente come la pensate voi eruditi.

L'uomo dunque è malvagio, e la vita sulla terra è piena di

volgarità e di sconcezza, questo lo concedete. Ma dietro, nei

vostri pensieri e nei vostri trattati, esistono la giustizia e

la perfezione. Ci sono, si possono dimostrare, solo non se ne f

a alcun uso.

-- Hai accumulato molto rancore contro noi teologi, caro amico!

Ma non sei ancora diventato un pensatore; tu getti tutto alla

rinfusa. Dovrai imparare ancora qualche cosa. Ma perché dici che

non facciamo nessun uso dell'idea della giustizia? Lo facciamo

Page 172: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

ogni giorno e ogni ora. Io, per esempio, sono abate e ho un

convento da dirigere, e in esso ci sono altrettante imperfezioni

e colpe quante se ne incontrano fuori nel mondo. Tuttavia noi

contrapponiamo sempre e costantemente al peccato originale

l'idea della giustizia e cerchiamo di misurare con essa la

nostra vita imperfetta e di correggere il male e di metterci in

rapporto costante con Dio.

--Oh sì, Narciso. Non voglio dire di te e che tu non sia un buon

abate. Ma penso a Rebecca, agli ebrei arsi, alle tombe in massa,

a quel gran morire, alle strade e alle stanze dove giacevano

fetenti i cadaveri degli appestati, a tutto quello spaventoso

deserto, ai fanciulli de-relitti rimasti soli al mondo, ai cani

di guardia morti di fame alle loro catene... e quando penso a

tutto questo e rivedo innanzi a me queste immagini, il cuore mi

fa male e mi pare che le nostre mamme ci abbiano generati in un

mondo disperatamente crudele e diabolico, e che sarebbe meglio

non l'avessero fatto e Dio non avesse creato questo mondo

orrendo, e che il Redentore non si fosse fatto crocifiggere per

esso invano.

Narciso fece all'amico un cenno di affettuosa approvazione.

-- Hai perfettamente ragione, -- disse con calore, --

sfogati pure, dimmi tutto. Ma in una cosa t'inganni: tu credi

che tutto questo che dici sia pensiero. No, sono sentimenti!

Sono i sentimenti di un uomo preoccupato dall'orrore

dell'esistenza. Ma non dimenticare che a questi sentimenti

tristi e disperati se ne, contrappongono ben altri! Quando sul

tuo cavallo tu provi un senso di benessere, attraversando una

bella regione, o quando, con una certa leggerezza, t'introduci

di sera nel castello per fare la corte all'amante del conte,

allora il mondo ti appare tutto diverso, e le case appestate e

gli ebrei bruciati non t'impediscono punto di cercare il tuo

piacere. Non è così?

--Certo, è così. Poiché il mondo è così pieno di morte e

d'orrore, io cerco continuamente di confortare il mio cuore e di

cogliere i bei fiori che sbocciano in mezzo a questo inferno.

Trovo piacere e dimentico per un'ora l'orrore. Ma non per questo

esso cessa d'esistere.

-- Hai detto molto bene. Dunque tu ti trovi nel mondo circondato

di morte e d'orrore e per sfuggire ad es-so cerchi il piacere,

Ma il piacere non dura e ti rilascia poi nel deserto.

-- Sì, proprio così.

--Così avviene alla maggior parte degli uomini, ma pochi lo

sentono con la tua forza e con la tua veemenza, e pochi hanno il

bisogno di rendersi conto di questi sentimenti, Ma dimmi un pò:

oltre a questa disperata alternativa fra il piacere e l'orrore,

fra la gioia di vivere e il senso della morte.,. oltre a questo,

non hai sperimentato qualche altra via?

--Oh sì, certo. Ho provato la via dell'arte. Ti ho già detto che

fra l'altro sono diventato anche artista. Un giorno, eran forse

tre anni che vivevo fuori nel mondo e quasi sempre vagabondando,

trovai in una chiesa di convento una Madonna di legno; era così

bella e la sua vista mi colpì tanto, che chiesi del maestro che

Page 173: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

l'aveva fatta e lo cercai. Lo trovai: era un maestro celebre;

divenni suo scolaro e lavorai alcuni anni con lui.

-- Di questo mi racconterai ancora in seguito. Ma quale fu per

te il frutto, il significato dell'arte?

--Fu il superamento della caducità. Vidi che della farsa e della

danza macabra della vita umana qualcosa rimaneva e durava: le

opere d'arte. Certo anch'esse un giorno o l'altro passano,

bruciano o si rovinano o vengono distrutte. Ma a ogni modo

durano parecchie generazioni e formano al di là del momento un

quieto regno d'immagini e di cose sacre. Collaborare a questo mi

pare un be-ne e un conforto, perché è quasi un rendere eterno

ciò ch'è transitorio.

--Questo mi piace molto Boccadoro. Spero che tu farai altre

belle opere; io ho grande fiducia nella tua forza e spero che

sarai per un pezzo mio ospite a Mariabronn e mi permetterai di

allestirti un'officina; da molto tempo il nostro convento non ha

più un artista. Io credo però che con la tua definizione tu non

hai esaurito ciò che vi è di meraviglioso nell'arte. Credo che

l'arte non consiste solo nello strappare alla morte e portar a

più lunga durata, con la pietra, col legno e coi colori,

qualcosa che esiste ma è mortale. Io ho veduto più di un'opera

d'arte, certi santi e certe Madonne, che non credo siano solo

fedeli riproduzioni in un singolo essere umano, vissuto un

giorno, di cui l'artista ha conservato le forme o i colori.

--Hai ragione, -- esclamò Boccadoro con fervore, --

non avrei creduto che tu conoscessi l'arte così a fondò!

L'immagine originaria di una buona opera d'arte non è una figura

reale, viva, quantunque questa possa esserne l'occasione

determinante. L'immagine originaria non è carne e sangue, è

spirituale. E un'immagine che ha la sua dimora nell'anima

dell'artista. Anche in me, Narciso, vivono di queste immagini,

che spero di rappresentare e di mostrarti un giorno.

--Magnifico! Ora, mio caro, senza saperlo, tu ti sei addentrato

nella filosofia e hai espresso uno dei suoi misteri.

--Ti prendi gioco di me.

--Oh no! Tu hai parlato d'immagini originarie, d'immagini dunque

che non esistono in nessun luogo fuorché nello spirito creatore,

ma che possono essere attuate e re-se visibili nella materia.

Molto prima che una figura artistica diventi visibile e acquisti

realtà, essa esiste come immagine nell'anima dell'artista!

Questa immagine originaria è esattamente ciò che gli antichi

filosofi chiamano " idea ".

--Sì, questo mi sembra convincente.

--Ebbene, riconoscendo l'esistenza delle idee e delle immagini

originarie tu entri nel mondo spirituale, nel nostro mondo di

filosofi e di teologi, e ammetti che fra la confusione e i

dolori di quel campo di battaglia che è la vita, in questa danza

macabra senza fine e senza senso dell'esistenza corporea, esiste

lo spirito creatore. Vedi, a questo spirito in te io mi sono

sempre rivolto, da quando, ragazzo, ti avvicinasti a me. Questo

spirito in te non è quello di un pensatore, è quello di un

artista. Ma è spirito, ed esso ti mostrerà la via per uscire dal

Page 174: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

torbido garbuglio della vita dei sensi, dalla eterna

alternativa fra piacere e disperazione. Ah, mio caro, sono

felice di aver udito da te questa confessione. L'ho aspettata...

da allora, da quando tu abbandonasti il tuo maestro Narciso e

trovasti il coraggio di essere te stesso. Ora possiamo esser di

nuovo amici.

In quel momento parve a Boccadoro che la sua vita avesse

acquistato un senso, come se egli la guardasse dall'alto e ne

vedesse chiaramente le tre grandi tappe: la dipendenza da

Narciso, la liberazione - il periodo della vita libera e

vagabonda - e il ritorno, il riposo, L'inizio della maturità e

del raccolto.

La visione si dileguò. Ma egli aveva trovato finalmente con

Narciso il rapporto che gli conveniva, non più di dipendenza, ma

di libertà e di reciprocità. Poteva ormai essere ospite di

quello spirito superiore senza umiltà, poiché l'altro aveva

riconosciuto in lui il suo pari, il creatore. Mostrarsi a

Narciso, rendergli visibile nelle opere il proprio mondo

interiore era ormai il sogno che carezzava con gioia e desiderio

crescente durante quel viaggio. Ma talvolta gli venivano anche

degli scrupoli.

-- Narciso, -- ammoniva, -- io temo che tu non sappia chi porti

con te nel tuo convento. Io non sono un monaco e non voglio

nemmeno diventarlo. Conosco i tre grandi voti, e alla povertà mi

adatto volentieri, ma non amo né la castità né l'ubbidienza;

queste virtù non mi sembrano neppure veramente virili. E quanto

a religiosità, non è rimasto più nulla in me, da anni non mi

confesso, non prego e non mi comunico.

Narciso non si scompose. -- Si direbbe che sei diventato un

pagano. Ma per questo non abbiamo timori. Non c'è bisogno che tu

ti vanti più dei tuoi molti peccati. Hai condotto la solita vita

mondana, hai guardato i porci co-me il figliol prodigo, non sai

più che cosa siano la legge e l'ordine. Certo diventeresti un

pessimo monaco, ma io non t'invito affatto a entrare

nell'ordine; t'invito solo a essere nostro ospite e ad

allestirti una officina nel nostro convento. E un'altra cosa:

non dimenticare che allora, nei nostri anni d'adolescenza, fui

io a destarti e a lasciarti avventurare nella vita del mondo.

Bene o male che ne sia derivato, insieme con te sono

responsabile io. Voglio vedere quel che sei diventato; me lo

mostrerai nelle parole, nella vita, nelle tue opere. Quando

l'avrai mostrato, e qualora io riconoscessi che la nostra casa

non è luogo per te, sarò il primo a pregarti di lasciarla

un'altra volta.

Boccadoro era pieno d'ammirazione ogni volta che il suo amico

parlava così, che si mostrava nella sua funzione d'abate, con

quella sicurezza tranquilla e con quella sfumatura di scherno

per la gente e per la vita del mondo; perché allora gli si

rivelava quello che Narciso era diventato: un uomo. Un uomo

dello spirito senza dubbio e della Chiesa, dalle mani delicate e

dal volto di erudito, ma un uomo pieno di sicurezza e di

coraggio, un condottiero, uno che assumeva le sue

responsabilità. Quest'uomo, Narciso, non era più il giovane

Page 175: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

d'allora, non era più il dolce e fervido discepolo Giovanni, e

questo nuovo Narciso, virile e cavalleresco, Boccadoro voleva

rappresentare con le sue mani. Molte figure l'aspettavano:

Narciso, L'abate Daniele, il padre Anselmo, il maestro Nicola,

la bella Rebecca, la bella Agnese e tanti altri ancora, amici e

nemici, vivi e morti. No, egli non voleva diventare un frate, né

pio né erudito, voleva creare opere; e che l'asilo della sua

giovinezza diventasse l'asilo delle sue opere lo rendeva felice.

Cavalcavano nella frescura dell'autunno avanzato e, un mattino

che gli alberi brulli erano ricoperti di brina, attraversarono

un paese vasto e ondulato con paludi rossicce e deserte, le cui

lunghe linee di colli apparvero a Boccadoro come uno strano e

noto richiamo; venne un bosco d'alti frassini, e un torrente, e

un antico granaio, al-la cui vista il cuore di Boccadoro

cominciò a dolere di lieta ansietà; riconobbe i colli che un

giorno aveva per-corsi a cavallo con Lidia, la figlia del

cavaliere, e la landa che un giorno, scacciato e profondamente

triste, aveva attraversato allontanandosi sotto la neve fine.

Spuntarono i gruppi di ontani e il mulino e il castello; con

una strana sofferenza egli riconobbe la finestra dello studio in

cui allora, nei tempi leggendari della giovinezza, aveva udito

il cavaliere raccontare del suo pellegrinaggio ed aveva dovuto

correggergli il suo latino.

Entrarono nel cortile, era una delle stazioni prestabilite del

loro viaggio. Boccadoro pregò l'abate di non pronunciare il suo

nome in quel luogo e di lasciarlo mangiare insieme al

palafreniere con la servitù. Così avvenne.

Nessun vecchio cavaliere, nessuna Lidia c'era più, ma ancora

qualcuno dei cacciatori e dei servi, e nella casa viveva e

governava una bellissima, superba e dispotica gentildonna

Giulia, a fianco di un consorte. Ella appariva tuttora

meravigliosamente bella, bella e un pò cattiva: né da lei né

dalla servitù Boccadoro venne riconosciuto.

Dopo uno spuntino, nel crepuscolo sgattaiolò in giardino, guardò

di là dalla siepe le aiuole già invernali, s'avvicinò pian piano

alla porta della stalla e sbirciò i cavalli ch'eran dentro.

Dormì sulla paglia col palafreniere, e il peso dei ricordi gli

gravava sul petto; si destò più volte. Che vita smembrata e

infeconda aveva dietro di sé, ricca d'immagini splendide, ma

tutta in pezzi, così povera di valore, così povera d'amore! La

mattina partendo guardò su, ansioso, alle finestre, se per caso

non scorgesse ancora una volta Giulia. Così poco prima s'era

guardato attorno nel cortile del vescovado, per vedere se Agnese

si mostrasse ancora una volta. Ella non era comparsa e neppure

Giulia si mostrò più. Così era stata tutta la sua vita: prender

congedo, fuggire, esser dimenticato, rimanere a mani vuote e col

cuore gelato. Questa impressione lo seguì tutto il giorno; egli

non disse una parola, cu-po in sella, con la testa china.

Narciso lo lasciò stare.

Ormai s'avvicinavano alla meta e dopo qualche giorno la

raggiunsero. Poco prima che la torre e i tetti del convento

divenissero visibili, attraversarono quei maggesi sassosi,

Page 176: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

dov'egli un giorno - oh, da quanto tempo! -

aveva cercato l'erba di san Giovanni per padre Anselmo, e la

zingara Lisa aveva fatto di lui un uomo. Finalmente entrarono

sotto il portone di Mariabronn e scesero da cavallo sotto il

castagno del mezzogiorno. Boccadoro sfiorò dolcemente il tronco

e si chinò verso uno dei ricci spinosi e spaccati, che giacevano

bruni e secchi sul terreno.

INDEX

Page 177: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO XVIII

I primi giorni Boccadoro abitò nel convento stesso, in una delle

celle per gli ospiti. Poi, dietro sua preghiera, fu alloggiato

in uno degli edifici d'amministrazione che circondavano il

grande cortile come una piazza del mercato, di fronte alla

fucina.

Il fascino delle cose che rivedeva lo prese con tanta violenza,

ch'egli stesso a volte se ne meravigliava. Nessuno lo conosceva

fuorch`é l'abate, nessuno sapeva chi fosse; gli uomini del

convento, frati e laici, vivevano in un ordine rigido e

laborioso e lo lasciavano in pace. Ma lo conoscevano gli alberi

del cortile, lo conoscevano i portali e le finestre, il mulino e

la sua ruota, le piastrelle dei corridoi, i roseti avvizziti nel

chiostro, i nidi delle cicogne sul granaio e sul refettorio. Da

ogni angolo gli alitava incontro dolce e commovente il passato,

la sua prima giovinezza; amore lo spingeva a rivedere tutto, a

risentire tutti i suoni, il rintocco del vespro e lo scampanio

domenicale, il gorgoglio dello scuro torrente del mulino fra gli

stretti argini muscosi, il rumore dei sandali sull'impiantito,

il tintinnio serale del mazzo di chiavi, quando il frate

portiere andava a chiudere. Accanto alle cu-nette di pietra, in

cui cadeva l'acqua piovana dal tetto del refettorio dei laici,

crescevano ancora le stesse piccole erbe, e il vecchio melo nel

giardino della fucina stendeva ancora i suoi grandi rami

contorti. Ma più di tutto lo commoveva la campanella della

scuola, la vista degli scolari quando nell'ora di ricreazione

scendevano le scale e si lanciavano schiamazzando nel cortile.

Com'erano giovani e sempliciotti e graziosi i loro visi

fanciulleschi... Era stato davvero anche lui così giovane, così

goffo, così grazioso e puerile?

Ma oltre a questo ben noto convento egli ne ritrovava uno quasi

sconosciuto; già nei primi giorni gli balzò all'occhio,

acquistò sempre più importanza per lui e solo a poco a poco si

congiunse con quello già conosciuto.

Poiché, se nulla di nuovo si era aggiunto, se tutto era rimasto

uguale come nei suoi anni di scuola, come cento e più anni

prima, egli non lo vedeva più con gli occhi dello scolaro.

Vedeva e sentiva le proporzioni degli edifici, le volte della

chiesa, le vecchie pitture, le statue di pietra e di legno sugli

altari, nei portali, e sebbene non vedesse nulla che non fosse

già stato al suo posto anche allora, solo ora capiva la bellezza

di queste cose e lo spirito che le aveva create. Vedeva l'antica

Madonna di pietra nella cappella superiore; anche da ragazzo gli

piaceva e l'aveva disegnata, ma solo ora la vedeva con occhi

svegli e s'accorgeva ch'era un opera meravigliosa, che anche col

suo migliore e più riuscito lavoro egli non avrebbe mai potuto

superare. E di queste cose meravigliose ce n'eran parecchie, e

ciascuna non stava a sé e non era un caso, ma proveniva dal

medesimo spirito e stava in mezzo alle vecchie mura, fra le

colonne e le volte, come nella sua dimora naturale. Quello che

in un paio di secoli era stato costruito, scolpito, dipinto,

Page 178: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

vissuto, pensato e insegnato in quel luogo, era di un'origine

sola, di un solo spirito e s'accordava insieme come i rami di un

albero.

In mezzo a questo mondo, a questa unità potente e tranquilla,

Boccadoro si sentiva molto piccolo, sopra tutto quando vedeva

l'abate Giovanni, il suo amico Narciso, governare e regnare in

quell'ordine grandioso e pur placido e sereno. Per quanta

differenza di persona ci fosse fra il dotto abate Giovanni dalle

labbra sottili e il semplice bonario abate Daniele, ciascuno di

loro serviva però la stessa unità, lo stesso pensiero, lo stesso

ordine, e da questo otteneva la sua dignità, a questo

sacrificava la sua persona. Ciò li rendeva simili, come l'abito

che vestiva entrambi.

In mezzo a questo suo convento Narciso diventava agli occhi di

Boccadoro di una grandezza inquietante, quantunque il suo

atteggiamento verso di lui fosse quello di un buon camerata e di

un ospite cordiale. Ben presto Boccadoro non osava quasi più

dargli del tu e chiamarlo " Narciso ".

-- Senti, abate Giovanni, -- gli disse una volta, -- a poco a

poco dovrò pure abituarmi al tuo nuovo nome.

Debbo dirti che qui da voi mi trovo benissimo, avrei quasi

voglia di farti una confessione generale e di pregarti, dopo la

penitenza, d'accogliermi come frate laico. Ma ve-di, allora la

nostra amicizia sarebbe finita, tu saresti l'abate e io il frate

laico. D'altra parte vivere così accanto a te e vedere il tuo

lavoro e non essere e non fare nulla io stesso, è cosa che non

sopporto più a lungo. Vorrei lavorare anch'io e mostrarti quello

che sono e che so fare, affinché tu possa vedere se è valsa la

pena di salvarmi dalla forca.

-- Questo mi fa piacere, -- disse Narciso formulando le sue

parole con più precisione ancora del solito. --

Puoi cominciare quando vuoi ad allestirti la tua officina io

darò subito ordine al fabbro e al falegname di mettersi a tua

disposizione. Serviti pure di tutto il materiale di lavoro che

si può raccogliere qui sul posto. Per quello che bisogna far

venire da fuori a mezzo dei carrettieri, prepara una lista. E

ora ascolta quello che io penso di te e delle tue intenzioni.

Devi concedermi un pò di tempo per esprimermi: io sono un

erudito e vorrei tentare di presentarti la cosa coi mezzi che mi

offre il mio mondo di pensiero non ho altro linguaggio che

questo. Dunque seguimi ancora una volta, come facevi con tanta

pazienza quando eri ragazzo.

--Tenterò di seguirti. Parla pure.

--Ricordati che già ai nostri tempi di scuola io ti dissi più

volte che ti ritenevo un artista. Allora mi pareva che tu

potessi diventare un poeta; avevi nel leggere e nello scrivere

una certa avversione per i concetti astratti e prediligevi nel

linguaggio le parole e i suoni che avevano qualità poetiche

sensibili, parole dunque con cui ci si potesse rappresentare

qualche cosa.

Boccadoro interruppe: --Scusa, ma i concetti e le astrazioni

che tu preferisci non sono anch'essi rappresentazioni, immagini?

Page 179: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

o per pensare ti occorrono e ti piacciono proprio le parole con

cui non ci si può rappresentare nulla? Si può forse pensare

senza rappresentarsi qualche cosa?

-- Fai bene a domandare! Ma certo si può pensare senza

rappresentazioni! Il pensiero non ha proprio nulla a che fare

con le rappresentazioni. Esso non si compie in immagini, ma in

concetti e in forme. Proprio là dove cessano le immagini

comincia la filosofia. Questo era appunto l'oggetto delle nostre

dispute frequenti, quando eravamo giovani: per te il mondo

consisteva d'immagini, per me di concetti. Ti dissi sempre che

non eri fatto per diventare un pensatore, ma aggiunsi anche che

questa non era una deficienza, che in compenso tu eri un

dominatore nel campo delle immagini. Stà attento, ti spiegherò.

Se allora invece di lanciarti nel mondo tu fossi diventato un

pensatore, avresti potuto provocare qualche guaio. Saresti cioè

diventato un mistico. I mistici sono, per dirla in breve e un pò

grossolanamente, quei pensatori che non sanno staccarsi dalle

rappresentazioni, quindi non sono per nulla pensatori. Sono

artisti segreti: poeti senza versi, pittori senza pennello

musicisti senza note. Ci sono fra loro spiriti nobili e

altamente dotati, ma sono tutti, senza eccezione, degli uomini

infelici. Tu avresti potuto diventare uno di questi. Invece,

grazie a Dio, sei diventato un artista, padrone del mondo delle

immagini, dove puoi essere creatore e signore, mentre come

pensatore saresti rimasto ad un grado d'insufficienza.

--Temo, -- disse Boccadoro, --che non riuscirò mai a farmi

un'idea del tuo mondo di pensiero, dove si pensa senza immagini.

--Ma sì, ci riuscirai subito. Ascolta: il pensatore cerca di

conoscere e di rappresentare l'essenza del mondo con la logica.

Egli sa che il nostro intelletto e il suo strumento, la logica,

sono imperfetti, così come un artista intelligente sa benissimo

che i suoi pennelli o scalpelli non potranno mai esprimere

perfettamente l'essenza radiosa di un angelo o di un santo.

Tuttavia tentano entrambi, il pensatore come l'artista, a loro

modo. Non possono e non debbono fare altrimenti. Perché quando

un uomo cerca di attuarsi con le doti che la natura gli ha date,

fa ciò che può fare di più alto ed esclusivamente assennato.

Perciò una volta ti ripetevo sempre: non cercar d'imitare il

pensatore o l'asceta, ma sii te stesso, cerca di attuare te

stesso!

--Ti capisco così a metà. Ma che cosa significa propriamente:

attuarsi?

-- E un concetto filosofico, non posso esprimerlo altrimenti.

Per noi scolari di Aristotele e di san Tomaso il più alto di

tutti i concetti è: L'essere perfetto. L'essere perfetto è Dio.

Tutto quello che c'è d'altro è solo a mezzo, è parziale, è in

divenire, è mescolato, consiste di possibilità.

Dio invece non è eterogeneo, è una cosa sola, non ha

possibilità, è tutto realtà. Ma noi siamo transitori, noi siamo

esseri che divengono, noi siamo possibilità, per noi non c'è

perfezione, non c'è l'essere completo. Quando però pro-cediamo

dalla potenza all'azione, dalla possibilità all'attuazione,

Page 180: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

partecipiamo al vero essere, siamo di un grado più simili al

perfetto e al divino. Questo significa: attuarsi. Tu devi

conoscere questo processo dalla tua propria esperienza. Tu sei

artista e hai creato più di una statua.

Quando una di queste figure ti è veramente riuscita, quando tu

hai liberato l'immagine di un uomo dalle contingenze e l'hai

ridotta ad una forma pura, allora tu hai, come artista, attuato

quell'immagine umana.

-- Ho capito.

--Tu mi vedi, o amico Boccadoro, in un luogo e in un ufficio, in

cui è reso facile in certo modo alla mia natura attuarsi. Mi

vedi vivere in una comunità e in una tradizione, che mi

corrispondono e mi aiutano. Un convento non è un paradiso, è

pieno d'imperfezione, tuttavia una vita claustrale condotta

decorosamente è per uomini della mia indole infinitamente più

feconda di progresso che non la vita mondana. Non voglio parlare

del lato morale, ma anche solo praticamente il pensiero puro,

che io ho il compito di esercitare e d'insegnare, richiede una

certa protezione dal mondo. Quindi per me, qui nella nostra

casa, è stato molto più facile attuarmi di quello che non sia

stato per te. Che malgrado ciò tu abbia trovato una via e sia

diventato un artista, suscita tutta la mia ammirazione. Perché

il tuo cammino è stato ben più difficile.

Boccadoro arrossì d'imbarazzo per quella lode, ed anche di

gioia. Per sviare il discorso, interruppe l'amico: --La maggior

parte di quello che volevi dire sono riuscito a capirlo. Ma una

cosa ancora non mi vuol entrare in testa: quello che tu chiami "

il pensiero puro " il tuo così detto pensare senza immagini e

operare con parole.

con cui non si può rappresentarsi nulla.

-- Bene, puoi spiegartelo con un esempio. Pensa alla matematica!

Quali rappresentazioni contengono i numeri? O i segni pie meno?

Che immagini contiene un'equazione? Nessuna! Quando tu risolvi

un problema aritmetico o algebrico, non ti aiuta nessuna

rappresentazione, tu eseguisci un compito formale entro forme di

pensiero che hai apprese.

-- E vero, Narciso. Se mi scrivi davanti una serie di numeri e

di segni, io posso cavarmela senza nessuna rappresentazione,

posso lasciarmi guidare dal pie dal me-no, dai quadrati, dalle

parentesi e così via, e posso risolvere il problema. Cioè: lo

potevo una volta, oggi non ne sarei più capace. Ma non posso

immaginarmi che il risolvere simili problemi formali abbia altro

valore che quello di un'esercitazione intellettuale per scolari.

Imparare a calcolare è una bellissima cosa. Ma mi parrebbe

assurdo e puerile che un uomo passasse la sua vita chino sopra

simili problemi aritmetici, a coprire eternamente la carta di

serie numeriche.

--T'inganni, Boccadoro. Tu immagini che questo zelante

calcolatore risolva sempre nuovi problemi scolastici, impostigli

da un maestro. Ma egli può porsi i problemi anche da sé, essi

possono sorgere in lui come forze impellenti. Bisogna aver

calcolato e misurato matematica-mente più di uno spazio reale e

Page 181: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

fittizio, prima che ci si possa arrischiare come pensatori al

problema dello spazio.

--Va bene. Ma anche il problema dello spazio, come puro problema

di pensiero, non mi sembra in realtà l'oggetto intorno a cui un

uomo debba prodigare il suo lavoro e i suoi anni. La parola "

spazio " per me non è nulla, non è degna di un pensiero, fin che

io non mi rap-presento con essa uno spazio reale, per esempio lo

spazio stellato; osservare e misurare questo mi pare senza

dubbio un compito non indegno.

Narciso interruppe sorridendo: -- Tu vuoi dire che non tieni

alcun conto del pensiero, bensì dell'applicazione del pensiero

al mondo pratico e visibile. Ti posso rispondere: le occasioni

di applicare il nostro pensiero e la volontà di farlo non

mancano affatto. Il pensatore Narciso, ad esempio, ha applicato

cento volte i risultati del suo pensiero, tanto sul suo amico

Boccadoro, quanto su ciascuno dei suoi monaci, e lo fa ad ogni

ora. Ma come potrebbe " applicare " qualche cosa, se non

l'avesse prima imparata ed esercitata? Anche l'artista esercita

continuamente il suo occhio e la sua fantasia, e noi approviamo

tale esercizio, anche se questo non rivela i suoi effetti che in

poche opere reali. Tu non puoi disprezzare il pensiero come tale

ed approvare la sua " applicazione "!

La contraddizione è chiara. Dunque lasciami pensare in pace e

giudica il mio pensiero dai suoi effetti, così come io

giudicherò la tua arte dalle tue opere. Tu ora sei inquieto ed

eccitato, perché fra te e le tue opere ci sono ancora degli

ostacoli. Allontanali, cercati o fabbricati un'officina e

mettiti al lavoro! Molti problemi si risolveranno allora da sé.

Boccadoro non desiderava niente di meglio.

Trovò un locale accanto al portone del cortile, che in quel

momento era vuoto e s'adattava bene ad officina. Ordinò al

falegname una tavola da disegno e altri arnesi, di cui gli diede

lo schizzo preciso. Stese una lista degli oggetti che i

carrettieri del convento dovevano portargli a poco a poco dalle

città vicine, una lunga lista. Esaminò dal falegname e nel bosco

tutte le provviste di legna tagliata e scelse per sé alcuni

pezzi, che fece portare l'uno dopo l'altro nel prato dietro le

sua officina, dove li collocò all'asciutto, costruendovi sopra

con le proprie mani una tettoia. Ebbe poi molto da fare anche

col fabbro, il cui figliolo, un giovane sognatore, fu da lui

affascinato e conquistato. Con lui passava mezze giornate alla

fucina, all'incudine, al trogolo per tuffare il ferro rovente,

all'affilatoio; là mettevano tutti i coltelli da intaglio,

curvi e diritti, gli scalpelli, i succhielli e i raschietti,

ch'egli adoperava per la lavorazione del legno.

Eric, il figlio del fabbro, giovane di circa vent'anni, divenne

l'amico di Boccadoro, lo aiutava dappertutto, pieno di fervido

interesse e di curiosità. Boccadoro gli promise d'insegnargli a

sonare il liuto, cosa ch'egli desiderava vivamente, poi gli

avrebbe fatto provare anche l'intaglio.

Quando talvolta, nel convento e accanto a Narciso, Boccadoro si

sentiva inutile e oppresso, poteva rianimarsi con Eric, che lo

Page 182: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

amava timidamente ed aveva per lui una venerazione infinita.

Spesso Eric lo pregava di raccontargli di maestro Nicola e della

città vescovile; qualche volta Boccadoro lo faceva volentieri e

poi si meravigliava a un tratto di trovarsi lì seduto, come un

vecchio, a raccontare di viaggi e di vicende del passato, mentre

la sua vita doveva cominciare proprio allora.

Nessuno poteva accorgersi che negli ultimi tempi egli era

profondamente mutato e invecchiato oltre i suoi an-ni: non

l'avevano conosciuto prima. Le miserie della vita instabile ed

errabonda l'avevano forse già logorato, ma poi la pestilenza e i

suoi molti orrori e infine la prigionia nel castello del conte

e quella notte orrenda nella cantina lo avevano scosso nelle

fibre più intime, lasciando qualche traccia: peli grigi nella

barba bionda, rughe sottili sul volto, periodi d'insonnia, e a

volte in fondo al cuore una certa stanchezza, un illanguidimento

del piacere e della curiosità, un senso grigio e tiepido di

sazietà.

Nei preparativi del lavoro, nelle conversazioni con Eric nel

trafficare dal fabbro e dal falegname, si sgelava, si animava;

tutti lo ammiravano e gli volevano bene, ma fra una attività e

l'altra non di rado rimaneva seduto per mezz'ore e per ore

intere, stanco, sorridente e trasognato, in preda all'apatia e

all'indifferenza.

Una questione molto importante per lui era con quale soggetto

dovesse cominciare il suo lavoro. La prima opera che voleva

eseguire, con la quale intendeva pagare l'ospitalità del

convento, non doveva essere un'opera casuale da esporsi in un

luogo qualsiasi per curiosità, doveva, co-me le antiche opere

del convento, diventare una parte della sua costruzione e della

sua vita. Gli sarebbe piaciuto sopra tutto fare un altare o

anche un pulpito, ma non ce n'era né il bisogno né il posto.

Trovò invece dell'altro. Nel refettorio dei padri c'era una

nicchia elevata, in cui, durante i pasti, soleva leggere un

frate giovane. Questa nicchia non aveva ornamenti. Boccadoro

decise di rivestire l'accesso al leggio e il leggio stesso di

una decorazione in legno simile a quella di un pulpito, con

figure a bassorilievo e alcune quasi isolate. Comunicò il

progetto all'abate, che lo approvò e mostrò di gradirlo molto.

Quando finalmente il lavoro poté cominciare - cadeva la neve ed

era già passato Natale-la vita di Boccadoro prese un nuovo

aspetto. Per il convento era come scomparso, nessuno lo vedeva

più, non aspettava più la schiera degli scolari alla fine delle

lezioni, non vagava più nel bosco, non camminava più nel

chiostro. Prendeva i suoi pasti dal mugnaio, che non era più

quello ch'egli era andato a trovare tante volte da ragazzo. E

nella sua officina non lasciava entrare nessuno, fuorché il suo

aiutante Eric; e anche questi in certi giorni non gli sentiva

dire una parola.

Per la sua prima opera, la tribuna per i lettori, aveva

escogitato dopo lunghe riflessioni questo progetto: delle due

parti che la costituivano, L'una doveva rappresentare il mondo,

L'altra la parola divina. La parte inferiore, la scala, che

Page 183: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

usciva da un forte tronco di quercia e girava intorno ad esso,

doveva rappresentare la creazione, immagini della natura e della

semplice vita dei patriarchi. La parte superiore, il parapetto,

avrebbe portato le statue dei quattro evangelisti. A uno di

questi voleva dare la figura del defunto abate Daniele, a un

altro quella del defunto padre Martino, suo successore, e nella

figura di Luca voleva immortalare il suo maestro Nicola.

S'imbatté in gravi difficoltà, più gravi di quanto non avesse

pensato. Gli diedero preoccupazioni, ma erano dolci

preoccupazioni. Egli faceva la corte alla sua opera con

disperato entusiasmo, come a una donna ritrosa, lottava con

essa, ora irritato ed ora tenero, come un pescatore all'amo

lotta con un gran luccio; ogni ostacolo lo ammaestrava e

affinava i suoi sensi. Dimenticò tutto il resto, dimenticò il

convento, dimenticò quasi Narciso. Questi veniva qualche volta a

trovarlo, ma egli non gli mostrava che disegni.

In compenso Boccadoro lo sorprese un giorno col pregarlo di

voler ascoltare la sua confessione.

--Non mi son saputo decidere finora, --disse,--mi sembrava di

essere troppo piccino, mi sentivo già abbastanza umiliato

davanti a te. Ora va meglio, ora ho il mio lavoro e non sono più

una nullità. E dal momento che vi-vo in un convento, vorrei

conformarmi all'ordine.

Si sentiva all'altezza dell'ora e non voleva aspettare più a

lungo. Nella vita contemplativa delle prime settimane, nel

rivedere e nel ricordare tutte le cose della sua gioventù, e

anche nei racconti che Eric gli chiedeva, la visione della sua

vita passata aveva acquistato un certo ordine e una certa

chiarezza.

Narciso lo accolse alla confessione senz'alcuna solennità: essa

durò circa due ore. L'abate ascoltò con volto impassibile le

avventure, le sofferenze, le colpe del suo amico; pose diverse

domande, non interruppe mai e ascoltò impassibile anche quella

parte della confessione, in cui Boccadoro dichiarava la

scomparsa della sua fede nella giustizia e nella bontà di Dio.

Fu colpito da parecchie confessioni del penitente; vedeva

com'egli era stato scosso e spaventato, come talvolta era stato

vicino alla perdi-zione. Poi doveva tornar a sorridere, commosso

dall'ingenuità dell'amico rimasto fanciullo, poiché lo trovava

preoccupato e pentito per certi pensieri irreligiosi, che in

confronto ai suoi propri dubbi e agli abissi del suo pensiero

erano veramente innocenti.

Con meraviglia, anzi con delusione di Boccadoro, il confessore

non attribuì una gravità eccessiva ai suoi peccati veri e

propri, lo ammonì e lo punì invece senza indulgenza per aver

trascurato di pregare, di confessarsi e di comunicarsi. Gli

impose come penitenza di vivere ca-sto e moderato per quattro

settimane prima di ricevere la comunione, di ascoltare ogni

mattina la prima messa e di recitare ogni sera tre Pater noster

e un inno a Maria.

Poi gli disse: --Ti ammonisco e ti prego di non prendere alla

leggera questa penitenza. Non so se tu conosca ancora

Page 184: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

esattamente il testo della messa. Devi seguirlo parola per

parola e abbandonarti tutto al suo significato. Oggi stesso

reciterò con te il Pater noster e alcuni inni e ti accennerò a

quali parole e a quali significati tu debba rivolgere

particolarmente la tua attenzione. Non devi pronunciare e

ascoltare le parole sacre come si pronunciano e si ascoltano le

parole umane. Ogni volta che ti sorprendi a ripetere quelle

parole come un organetto, e ciò avverrà più spesso di quel che

tu non creda, ricordati di questa ora e del mio ammonimento,

ricomincia da capo e recitale e falle entrare nel tuo cuore come

io t'indicherò.

Fosse un caso fortunato, o avesse la psicologia dell'abate tanta

profondità, fatto sta che da questa confessione e da questa

penitenza derivò per Boccadoro un periodo di soddisfazione e di

pace, che lo rese profondamente felice. Fra le tensioni, le

preoccupazioni e le soddisfazioni del suo lavoro, ogni mattina

ed ogni sera, nei facili esercizi spirituali ch'eseguiva

coscienziosamente, egli si sentiva liberato dalle agitazioni

della giornata e rinviato con tutto il suo essere a un ordine

superiore, che lo strappava alla pericolosa solitudine di colui

che crea, facendolo rientrare qual figlio nel regno di Dio. Se a

superare la lotta per la creazione della sua opera egli doveva

esser solo e ad essa doveva dare tutta la passione dei suoi

sensi e della sua anima, L'ora della devozione lo riconduceva

sempre ad uno stato d'innocenza. Durante il lavoro fumava spesso

per ira e per impazienza, a volte si estasiava fino alla

voluttà, ma negli esercizi di pietà si tuffava come in un'acqua

fresca e profonda, che gli lavava via l'orgoglio

dell'entusiasmo come pure l'orgoglio della disperazione.

Non sempre riusciva. Talvolta alla sera, dopo ore di lavoro

febbrile, non trovava la quiete e il raccoglimento, dimenticava

gli esercizi, e spesso, quando si sforzava di concentrarsi, lo

impediva e lo tormentava il pensiero che in fin dei conti il

recitar preghiere era un affannarsi puerile per un Dio che non

esisteva affatto, o che per lo me-no non poteva aiutarlo. Se ne

dolse con l'amico.

--Continua,--disse Narciso; --hai promesso e devi mantenere. Non

devi star a pensar se Dio ascolta la tua preghiera, o se il Dio

che ti piace di raffigurarti esista o meno. Non devi neppure

preoccuparti se le tue pratiche siano puerili. In confronto di

colui al quale si rivolgono le nostre preghiere, tutte le nostre

azioni sono puerili. Tu devi assolutamente inibirti durante

l'esercizio questi sciocchi pensieri da bambino. Devi recitare

il tuo Pater noster e il tuo inno a Maria abbandonandoti tutto

alle loro parole e riempiendoti di esse, così come, quando canti

o suoni il liuto, non insegui nessun saggio pensiero, nessuna

speculazione, ma eseguisci una nota e un movimento dopo l'altro

con la maggior purezza e perfezione possibili. Mentre si canta,

non si pensa se il canto sia utile o no: si canta. Così devi

pregare.

E di nuovo riusciva. Di nuovo il suo " io " teso e avido si

smorzava nell'ordine immenso, di nuovo le parole venerabili

Page 185: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

passavano su di lui e attraverso lui come stelle

L'abate notò con grande soddisfazione che Boccadoro, scaduto il

termine del periodo di penitenza e ricevuti i Sacramenti,

continuò per settimane e mesi i suoi esercizi quotidiani Intanto

la sua opera procedeva. Dal sostegno massiccio della scala a

chiocciola usciva un piccolo mondo di figure, di piante, di

animali e di uomini, nel centro un padre Noè fra pampini e

grappoli, un libro illustrato, un inno di gloria alla creazione

e alla sua bellezza, libero nel gioco artistico, ma guidato da

un ordine e da una disciplina segreta. Durante tutti quei mesi

nessuno vide l'opera fuorché Eric, che aveva il permesso di dare

una mano e non carezzava altro pensiero di quello di poter

dlventare un artista. In certi giorni neppure a lui era lecito

entrare nell'officina. Altre volte invece Boccadoro si occupava

di lui, gl'insegnava, lo lasciava provare, lieto di avere un

fedele e uno scolaro. Quando l'opera fosse terminata e riuscita,

pensava di richiedere il giovane a suo padre e d'istruirlo come

assistente fisso.

Alle figure degli evangelisti lavorava nei suoi giorni migliori,

quando tutto era in armonia e nessun dubbio l'oscurava. La

figura che gli pareva riuscisse meglio era quella a cui dava I

tratti dell'abate Daniele; L'amava molto, dal viso di essa

raggiava innocenza e bontà. Della figura di maestro Nicola era

meno soddisfatto, quantunque Eric l'ammirasse più delle altre.

Essa rivelava dissidio e tristezza, sembrava piena d'alti

progetti di creazione e insieme di una disperata certezza della

vanità d'ogni creazione, piena di rimpianto per un'unità e

un'innocenza perdute.

Quando l'abate Daniele fu terminato, Boccadoro ordinò ad Eric di

far pulizia nell'officina. Velò di panni il resto dell'opera e

mise in luce solo quella figura. Poi andò da Narciso, ed essendo

questi occupato aspettò pazientemente fino al giorno dopo.

Nell'ora del mezzodì condusse l'amico nella sua officina davanti

alla statua.

Narciso ristette e contemplò. Contemplò senza fretta, con

l'attenzione e la cura dello scienziato. Boccadoro stava dietro

di lui, in silenzio, e cercava di dominare il tumulto del suo

cuore. "Oh," pensò, "se ora uno di noi non regge alla prova, è

un gran male. Se la mia opera non è abbastanza buona o se egli

non sa comprenderla, tutto il mio lavoro qui ha perduto il suo

valore. Avrei dovuto aspettare ancora."

I minuti gli parevano ore; pensò a quella volta che maestro

Nicola aveva tenuto in mano il suo primo disegno.

Strinse l'una contro l'altra le mani umide e ardenti di

tensione.

Narciso si voltò verso di lui, e subito egli si sentì liberato.

Vide nel volto affilato dell'amico rifiorire qualcosa, che non

vi fioriva più dagli anni della fanciullezza: un sorriso, un

sorriso quasi timido in quel volto tutto spirito e volontà, un

sorriso d'amore e d'abbandono, una scintilla, come se la

solitudine e la fierezza di quel volto fossero per un istante

squarciate e da esso non trasparisse più altro che un cuore

Page 186: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

pieno d'amore.

--Boccadoro,--disse Narciso pianissimo, pesando anche in quel

momento le parole, --tu non ti aspetti certo da me che diventi a

un tratto un conoscitore d'arte. Non lo sono, lo sai. Della tua

arte non saprei dire nulla, che non ti sembri ridicolo. Ma

lasciami dirti una cosa sola: alla prima occhiata ho

riconosciuto in questo apostolo il nostro abate Daniele, e non

lui soltanto, ma anche tutto quello ch'egli allora rappresentava

per noi: la dignità, la bontà, la semplicità. Come il povero

padre Daniele stava davanti alla nostra venerazione giovanile,

così egli sta ancora qui davanti a me e con lui tutto ciò che

allora ci era sacro e ciò che ci rende indimenticabile

quell'epoca.

Con questa visione tu mi hai fatto un gran dono, amico mio: non

soltanto mi hai reso il nostro abate Daniele, mi hai rivelato

per la prima volta tutto te stesso. Ora so chi sei. Non ne

parliamo più, non ne ho il diritto. O Boccadoro benedetta

quest'ora!

Nel grande locale si fece silenzio. Boccadoro vide che il suo

amico era commosso in fondo al cuore. Un imbarazzo gli strozzava

il respiro.

-- Bene, -- disse brevemente, -- sono contento. Ma, forse, è ora

che tu vada a tavola.

INDEX

Page 187: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO XIX

Boccadoro lavorò a quell'opera due anni, e nel secondo anno Eric

gli fu affidato come vero e proprio scolaro Nell' intaglio della

scala Boccadoro compose un piccolo paradiso, raffigurò con

intenso piacere un delizioso groviglio d'alberi, di foglie e

d'erbe, con uccelli fra i rami, e da ogni parte sbucavano teste

e corpi di animali. In mezzo a questo placido, rigoglioso

giardino primordiale rappresento alcune scene della vita dei

patriarchi. Di rado questa solerte attività subiva

un'interruzione. Di rado veniva un giorno, in cui il lavoro gli

era impossibile, in cui un senso d'inquietudine e di sazietà

glielo rendeva fastidioso.

Allora assegnava un compito allo scolaro e faceva una

passeggiata o una cavalcata in campagna, respirando nel bosco il

profumo che gli ricordava la libertà e la vita vagabonda;

cercava qua o là una ragazza di contadini, o andava a caccia e

se ne stava per ore e ore coricato nel verde, fissando la volta

formata dalle chiome degli alberi o il rigoglio selvaggio delle

felci e delle ginestre. Non rimaneva mai lontano più d'un giorno

o due. Poi ritornava all’opera con nuova passione, intagliava

con voluttà le piante che germogliavan rigogliose sotto le sue

dita ricavava dal legno con mano lieve e delicata le teste

umane scolpiva una bocca dal taglio vigoroso, un occhio, una

barba crespa. Oltre a Eric, solo Narciso conosceva l'opera e

veniva spesso nell'officina, che qualche volta diventava per lui

il luogo più gradito del convento. Osservava con gioia e

stupore. Lì fioriva quello che l'amico aveva portato un giorno

nel suo inquieto e fiero cuore di fanciullo, cresceva e fioriva

una creazione, un piccolo mondo zampillante: un gioco forse, ma

certo non meno buono del gioco della logica, della grammatica e

della teologia.

Una volta Narciso disse pensieroso: -- Imparo molto da te,

Boccadoro. Comincio a comprendere che cos'è l'arte.

Prima mi pareva che, in confronto col pensiero e con la scienza,

non fosse da prendere troppo sul serio. Pensavo press'a poco

così: poiché l'uomo è una dubbia mescolanza di spirito e di

materia, poiché lo spirito gli schiude la conoscenza

dell'eterno, mentre la materia lo trascina in basso e lo

incatena a ciò ch'è transitorio, egli dovrebbe cercare di

staccarsi dai sensi e di entrare nel mondo spirituale, per

elevare la sua vita e darle un significato. Affermavo bensì di

apprezzare altamente l'arte, per consuetudine, ma in realtà ero

superbo e la guardavo dall'alto in basso. Ora soltanto vedo

quante vie ci sono per giungere alla conoscenza, e quella dello

spirito non è l'unica e forse neppur la migliore. E la mia vita,

certo: e rimarrò in essa. Ma ti vedo per la via opposta, la via

dei sensi, cogliere il mistero dell'essere altrettanto

profondamente, ed esprimerlo con molta più vivezza di quel che

lo possano la maggior parte dei pensatori.

--Capisci ora,--disse Boccadoro,--che io non posso intendere che

cosa significhi pensare senza rappresentazioni.

Page 188: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

-- L'ho capito da un pezzo. Il nostro pensare è un continuo

astrarre, un prescindere dal mondo sensibile, un tentativo di

costruzione d'un mondo puramente spirituale. Tu invece cogli nel

cuore ciò che vi è di più instabile e mortale e riveli il senso

del mondo proprio in quello ch'è transitorio. Tu non prescindi

da questo, ti dai tutto ad esso, e per questa tua dedizione esso

diventa ciò che vi è di più alto: il simbolo dell'eterno. Noi

pensatori cerchiamo di avvicinarci a Dio staccando il mondo da

lui. Tu ti avvicini a lui amando e ricreando la sua creazione.

Sono entrambe opere umane e inadeguate, ma l'arte è più

innocente.

--Non so, Narciso. Voi pensatori e teologi però mi pare

riusciate meglio a spuntarla con la vita, a difendervi dalla

disperazione. Io non t'invidio più da un pezzo, amico mio, per

la tua scienza, ma t'invidio per la tua tranquillità, per la tua

equanimità, per la tua pace.

--Non dovresti invidiarmi, Boccadoro. Non c'è una pa-ce così

come tu la intendi. C'è la pace, senza dubbio, ma non una pace

che alberghi durevolmente in noi e non ci

abbandoni più. C'è solo una pace che si conquista continuamente

con lotte senza tregua, e tale conquista dev'essere rinnovata

giorno per giorno. Tu non mi vedi lottare, non conosci le mie

battaglie nello studio e neppur quelle nella cella delle

preghiere. E bene che tu non le conosca.

Tu vedi solo che io sono soggetto meno di te agli umori

variabili e credi che ciò sia pace. Ma è lotta, è lotta e

sacrificio, come ogni vera vita, come anche la tua.

--Non discutiamo. Neppur tu vedi tutte le mie lotte.

E non so se puoi capire quello che io sento in cuore al-L'idea

che presto quest'opera sarà finita. La si porta via, la si mette

a posto, mi si fa qualche elogio, e poi io ritorno in

un'officina vuota e nuda, triste per tutto quello che nella mia

opera non mi è riuscito e che voialtri non potete affatto

vedere; e la mia anima è vuota e spogliata, come l'officina.

--Può darsi, -- disse Narciso, -- e nessuno di noi è in grado di

comprendere l'altro sinc in fondo. Ma questo hanno in comune

tutti gli uomini di buona volontà: che le nostre opere finiscono

per lasciarci umiliati, che dobbiamo sempre ricominciare da

capo, che l'offerta dev'essere rinnovata.

Qualche settimana dopo il grande lavoro di Boccadoro era finito

e posto in opera. Si ripeté quello che già gli era toccato tanto

tempo prima: la sua opera passò in possesso degli altri, fu

contemplata, giudicata, lodata, egli ricevette encomi e onori;

ma il suo cuore e la sua officina rimasero vuoti; non sapeva più

se l'opera valesse il sacrificio. Il giorno dello scoprimento

era invitato a tavola dai padri: c'era banchetto, festeggiato

col vino più vecchio del convento. Boccadoro inghiottì il buon

pesce e la selvaggina, e più del vin vecchio lo riscaldarono

l'interessamento e la gioia con cui Narciso salutò la sua opera

e gli onori che gli furono tributati.

Un nuovo lavoro desiderato e ordinato dall'abate era già

abbozzato, un altare per la cappella di Maria a Neu-zell, che

Page 189: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

apparteneva al convento e dove officiava un padre di Mariabronn.

Per questo altare Boccadoro voleva fare una statua di Maria e

immortalare in essa una delle figure indimenticabili della sua

giovinezza, Lidia, la bella e timorosa figlia del cavaliere. Nel

resto quest'incarico non aveva molta importanza per lui, ma gli

sembrava l'occasione buona per far fare a Eric la sua prova di

aiutante. Se Eric si mostrava all'altezza del compito, egli

avrebbe avuto in lui per sempre un buon collaboratore, il quale

poteva sostituirlo e lasciarlo libero per quei lavori che soli

gli stavano ancora a cuore. Scelse con Eric il legname per

l'altare e glielo fece preparare. Spesso Boccadoro lo lasciava

solo, aveva ripreso il suo girovagare e le lunghe passeggiate

nei boschi; una volta che rimase via parecchi giorni Eric ne

informò l'abate e anche questi temette un poco che Boccadoro

potesse essersene andato per sempre. Ma ritornò, lavorò una

settimana alla figura di Lidia, poi ricominciò a vagare.

Era preoccupato; da quando aveva terminato il grande lavoro, la

sua vita era in disordine: trascurava la prima messa, si sentiva

profondamente inquieto e scontento. Pensava molto a maestro

Nicola, e se egli stesso non sarebbe diventato presto come lui,

diligente e virtuoso e abile, ma non più libero, non più

giovane. Una piccola avventura recente gli aveva dato da

pensare. Nelle sue scorri-bande aveva trovato una giovane

contadina di nome Francesca, che gli piaceva molto, e si era

dato ogni pena per ammaliarla, usando tutte le sue antiche arti

di seduzione.

La ragazza ascoltava volentieri le sue chiacchiere, rideva

divertita ai suoi scherzi, ma respingeva le sue seduzioni, e per

la prima volta egli sentì che a una donna giovane egli appariva

vecchio. Non ci era andato più, ma non aveva dimenticato.

Francesca aveva ragione; era diventato un altro, lo sentiva egli

stesso; e non erano quei pochi capelli precocemente grigi e quel

pò di rughe intorno agli occhi, era qualcosa di più nel suo

essere, nel suo animo; si sentiva vecchio, si sentiva divenuto

simile in modo inquietante a maestro Nicola. Osservava se stesso

sdegnosamente e scrollava le spalle con disprezzo aveva perduto

la libertà, era diventato sedentario: non più aquila e lepre, ma

animale domestico. Quando girovagava, più che nuovi cammini e

nuova libertà cercava il profumo del passato, il ricordo delle

sue peregrinazioni d'un tempo; la sua ricerca era piena di

nostalgia e di diffidenza, come l'annusar di un cane in cerca di

una traccia perduta. E

quando era stato fuori un giorno o due ed era andato un poco a

zonzo in vacanza, un impulso irresistibile lo richiamava

indietro, la coscienza lo rimordeva, sentiva che l'officina

l'aspettava, ch'egli aveva una responsabilità per l'altare

cominciato, per il legno preparato, per l'aiutante Eric.

Non era più libero, non era più giovane. Fece allora un fermo

proponimento: quando fosse terminata la Lidia-Maria avrebbe

intrapreso un viaggio, avrebbe ritentato la vita del vagabondo.

Non era bene vivere così a lungo in un convento, e con soli

uomini. Per monaci poteva esser bene, ma non per lui. Con gli

Page 190: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

uomini si potevano fare discorsi belli e saggi; essi avevano

comprensione per il lavoro di un artista; ma tutto il resto, le

chiacchiere, le tenerezze, il gioco, L'amore, il beato ozio

senza pensieri tutto questo non prosperava fra gli uomini; per

questo ci volevano donne, vita all'aperto senza meta, e sempre

nuove immagini. Tutto lì intorno a lui era un poco grigio e

serio, un poco grave e maschile, ed egli aveva subito il

contagio, gli era penetrato nel sangue.

Il pensiero del viaggio lo consolava, attendeva brava-mente al

suo lavoro per esser libero più presto. E mentre a poco a poco

la figura di Lidia gli usciva dal legno, mentre dalle nobili

ginocchia di quella egli faceva scendere le pieghe severe della

veste, lo rapiva una gioia intima e dolorosa, si sentiva

malinconicamente innamorato di quell'immagine, di quella bella e

timida figura di fanciulla, del ricordo d'allora, del suo primo

amore, dei suoi primi viaggi, della sua gioventù. Lavorava con

devozione all'immagine delicata, la sentiva una cosa sola con

ciò che v'era di meglio in lui, con la sua giovinezza, con le

sue più dolci memorie. Era una felicità per lui scolpire quel

collo chino, quella bocca triste e affettuosa, quelle mani

nobili, le dita lunghe, le estremità ben arcuate delle unghie.

Anche Eric contemplava la figura ogni volta che poteva, con

ammirazione e con rispettoso amore.

Quando fu quasi terminata, la mostrò all'abate. Narciso disse:

--Questa è la tua opera più bella, caro, non abbiamo nulla in

tutto il convento che le stia a pari.

Debbo confessarti che in questi ultimi mesi sono stato qualche

volta preoccupato per te. Ti vedevo inquieto e sofferente, e

quando scomparivi e rimanevi assente più di un giorno pensavo

talora con ansia: forse non torna più.

E invece hai fatto questa statua meravigliosa! Sono contento e

sono fiero di te!

--Sì, -- disse Boccadoro, -- la statua è riuscita proprio bene.

Ma ora ascoltami, Narciso! Perché questa figura riuscisse bene,

era necessaria tutta la mia giovinezza, la mia vita vagabonda i

miei innamoramenti, i miei corteggiamenti alle donne. Questo è

il pozzo a cui ho attinto.

Il pozzo sarà presto vuoto, il cuore mi s'inaridisce. Terminerò

questa Maria e poi prenderò congedo per un bel pò di tempo non

so per quanto, e ricercherò la mia giovinezza e tutto quello che

una volta mi fu così caro. Puoi tu capirlo?... Bene. Sai ch'ero

qui tuo ospite e non ho mai preso compensi per il mio lavoro...

--Te li ho offerti più volte -- interruppe Narciso.

--Sì, e ora li accetto. Mi farò fare nuovi abiti e quando

saranno pronti ti chiederò un cavallo e qualche tallero, poi

partirò per il mondo. Non dir nulla, Narciso, e non

rattristarti. Non è che qui non mi piaccia, in nessun altro

luogo potrei aver di meglio. Si tratta d'altro. Esaudirai il mio

desiderio?

Poche parole furono scambiate ancora sull'argomento.

Boccadoro si fece fare un semplice abito da cavaliere e un paio

di stivali, e mentre s'avvicinava l'estate portò a termine la

Page 191: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

figura di Maria, come se fosse l'ultima sua opera con cura

affettuosa diede l'ultimo tocco alle mani, al voito, ai capelli.

Poteva perfino sembrare ch'egli pro-crastinasse la partenza,

come se si lasciasse volentieri trattenere ancora da quegli

ultimi delicati lavori intorno alla sua statua. Passava un

giorno dopo l'altro ed egli aveva ancora sempre qualche cosa da

accomodare. Narciso, quantunque il distacco imminente gli

riuscisse penoso, talvolta sorrideva un poco dell'innamoramento

di Boccadoro e della sua incapacità a staccarsi dalla figura di

Maria.

Ma un giorno Boccadoro lo sorprese, recandosi a un tratto da lui

per congedarsi. Aveva preso la sua decisione nella notte. Nel

suo abito nuovo, con un nuovo berretto, venne da Narciso a

prender commiato. Già qualche tempo prima si era confessato e

comunicato: ora veniva a dire addio e a ricevere la benedizione

per il viaggio. Il distacco riuscì penoso a entrambi; Boccadoro

si mostrò più brusco e più calmo di quel che non fosse in cuore.

--Ti rivedrò? -- domandò Narciso.

-- Oh sì: se il tuo bel cavallo non mi romperà il collo, mi

rivedrai certamente. Altrimenti non ci sarebbe più nessuno a

chiamarti Narciso e a darti preoccupazioni. Puoi star sicuro Non

dimenticare di tenere un occhio su Eric.

E che nessuno mi tocchi la mia figura! Essa rimarrà nella mia

camera, come ho detto, e la chiave non deve uscire dalla tua

mano.

--Sei contento d'intraprendere questo viaggio?

Boccadoro strizzò gli occhi.

-- Ecco, sOno stato contento, è già qualche cosa. Ma ora che

debbo partire, mi sembra meno allegro di quel che si potrebbe

credere. Tu riderai di me, ma la separa-zione non mi riesce

punto facile e questo attaccamento non mi piace. E come una

malattia: le persone giovani e sane non l'hanno. Anche maestro

Nicola era così. Ah non facciamo chiacchiere inutili!

Benedicimi, caro, voglio partire.

E se n'andò sul suo cavallo.

Narciso pensava molto all'amico, era in ansia per lui e ne aveva

la nostalgia. Gli sarebbe ritornato un giorno l'uccello fuggito,

il caro spensierato? Quell'uomo singolare e difetto aveva

ripreso la sua vita tortuosa e senza volontà, girava di nuovo il

mondo, avido e curioso, seguendo i SUOI oscuri e forti istinti,

tempestoso e insaziabile: un grande fanciullo. Che Dio sia con

lui, ch'egli ritorni sano e salvo! Ora volava di nuovo qua e là

come una farfalla, peccava di nuovo, seduceva le donne

assecondava le sue voglie; forse gli capitava ancora di

uccidere, cadeva in pericolo e in prigione, e vi periva. Quante

ansie dava quel ragazzo biondo, che si doleva d'invecchiare e

guardava con occhi così infantili! Come bisognava star

inquieti per lui! E tuttavia Narciso, in cuor suo, era contento

dell'amico. In fondo gli piaceva molto che quel ragazzo

baldanzoso fosse così difficile da domare, che avesse

simili grilli, che fosse scappato un'altra volta e un'altra

volta si rompesse le corna. Ogni giorno in qualche ora i

pensieri dell'abate ritornavano all'amico, con affetto e

nostalgia, con riconoscenza, con ansia, talvolta anche con

qualche scrupolo e qualche rimprovero a se stesso. Non avrebbe

Page 192: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

forse dovuto rivelare maggiormente all'amico quanto egli lo

amasse, come non lo desiderasse diverso, come fosse diventato

ricco in grazia sua e della sua arte? Gli aveva detto poco,

troppo poco forse... Chi sa allora se non l'avrebbe potuto

trattenere?

Egli però non era diventato solo più ricco, per merito di

Boccadoro: era anche diventato più povero: più povero e più

debole, e certo era bene che non l'avesse mostrato all'amico. Il

mondo in cui viveva ed aveva la sua patria, il suo mondo, la sua

vita claustrale, il suo ufficio, la sua dottrina, L'edificio

così ben organizzato dei suoi pensieri, erano stati spesso

scossi e resi incerti dall'amico.

Senza dubbio, dal punto di vista del convento, della ragione e

della morale, la vita dell'abate era migliore, più giusta, più

costante, più ordinata e più esemplare, era una vita di ordine e

di servizio rigoroso, un sacrificio continuo, uno sforzo sempre

nuovo verso la chiarezza e la giustizia, era molto più pura e

più buona che la vita di un artista, di un vagabondo e di un

seduttore di donne. Ma da un punto di vista più alto, dal punto

di vista di Dio, L'ordine e la disciplina di una vita esemplare,

la rinuncia al mondo e alla felicità dei sensi, la lontananza

dal fango e dal sangue, il ritiro nella filosofia e nella

devozione, erano davvero meglio che la vita di Boccadoro? L'uomo

era davvero creato per condurre una vita regolata, di CUI ogni

ora e ogni azione fossero annunciate dalla campana che chiama

alla preghiera? L'uomo era davvero creato per studiare

Aristotele e Tomaso d'Aquino, per sapere il greco, per

mortificare i propri sensi e per fuggire il mondo?

Non era egli creato da Dio con sensi e istinti, con oscurità

sanguigne, con la capacità del peccato, del piacere, della

disperazione? Intorno a queste domande s'aggiravano i pensieri

dell'abate quando eran volti al suo amico.

Sì, e forse non era soltanto più ingenuo e più umano condurre

una vita come quella di Boccadoro; in fin dei conti era forse

anche più coraggioso e più grande affidarsi alla corrente

crudele e tumultuosa, commetter peccati e prender su di sé le

loro amare conseguenze, anziché condurre una vita pulita in

disparte dal mondo, con le mani lavate, e formarsi un bel

giardino di pensieri pieno d'armonia, e camminare senza peccato

fra le aiuole ben protette. Era forse più difficile, più

valoroso e più nobile camminare con le scarpe logore per i

boschi e per le strade maestre, soffrire il sole e la pioggia,

la fame e la miseria, giocare coi piaceri dei sensi e pagarli

con le sofferenze.

In ogni caso Boccadoro gli aveva mostrato che un uomo destinato

all'alto può scendere molto giù nel groviglio ebbro e sanguinoso

della vita e insozzarsi di molta polvere e di sangue, senza

tuttavia diventare meschino e volgare senza uccidere in sé il

divino; gli aveva mostrato che poteva errare per profondi

ottenebramenti, senza che nel sa-crario della sua anima si

Page 193: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

spegnessero la luce divina e la forza creatrice. Narciso aveva

guardato in fondo alla vita disordinata del suo amico, e né il

suo affetto né la sua stima per lui erano diminuiti. Oh no, e da

quando aveva visto uscire dalle mani macchiate di Boccadoro

quelle figure meravigliosamente vive nella loro placidità

trasfigurate dalla forma e dall'ordine interiori, quei volti

profondi illuminati dall'anima, quelle piante e quei fiori

innocenti, quelle mani supplici o benedette, tutti quegli

atteggiamenti arditi o soavi, fieri o sacri, da allora egli

sapeva che in quel cuore incostante di artista e di seduttore

c'era una pienezza di luce e di grazia divina.

A lui era stato facile, nei loro colloqui, apparire superiore

all'amico, contrapporre alla sua passione la propria disciplina

e l'ordine dei propri pensieri. Ma ogni piccolo atteggiamento

d'una figura di Boccadoro, ogni occhio, ogni bocca, ogni tralcio

e ogni piega di veste non era più reale, più viva e più

insostituibile di tutto quello che poteva dare un pensatore?

Questo artista, dal cuore pieno di contrasti e di miserie, non

aveva creato per un numero infinito di uomini, presenti e

futuri, dei simboli della loro miseria e della loro aspirazione,

delle figure, a cui potevano rivolgersi la devozione e la

venerazione, L'angoscia e la nostalgia d'infinite creature, e

trovare in esse conforto, appoggio e incoraggiamento?

Narciso ricordava, sorridendo con malinconia, tutte le scene in

cui, dalla prima giovinezza in poi, aveva guidato e ammaestrato

l'amico. Questi aveva accettato con gratitudine, riconoscendo

sempre la sua superiorità e la sua guida. E poi in silenzio

aveva presentato le opere create dalla tempesta e dalla

sofferenza della sua vita sferzata: non parole, non

teorie, non spiegazioni, non ammonimenti, ma vita vera ed

elevata. Com'era povero egli stesso, L'abate, in confronto, col

suo sapere, con la sua disciplina claustrale, con la sua

dialettica!

Queste erano le questioni, intorno a cui s'aggiravano i SUOI

pensieri. Come tanti anni prima egli aveva influito sulla

giovinezza di Boccadoro, scuotendola e ammonendola, ed aveva

posto la vita di lui su di un nuovo piano, così l'amico dopo il

suo ritorno gli aveva dato da fare, lo aveva scosso e costretto

ad esaminare se stesso e a dubitare. Era suo pari; nulla gli

aveva dato Narciso, ch'egli non gli avesse reso e moltiplicato.

L'amico lontano gli lasciò tempo per le sue meditazioni.

Le settimane passavano, il castagno era fiorito da un pezzo, le

foglie dei faggi, d'un verde tenero e lattiginoso, erano

diventate scure e dure, le cicogne avevano covato da un pezzo

sulla torre del portone ed eran loro nati i piccoli, a cui

avevano insegnato a volare. Quanto più Boccadoro rimaneva

assente, tanto più Narciso sentiva quello che l'amico era stato

per lui. Nel convento l'abate aveva alcuni padri scienziati, un

conoscitore di Platone, un eccellente grammatico, uno o due

sottili teologi. Aveva fra i monaci alcune anime fedeli e rette,

che facevano sul serio.

Ma non aveva nessuno come lui, nessuno con cui si potesse

veramente misurare. Questo bene insostituibile gliel'aveva dato

Page 194: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

solo Boccadoro. Esserne di nuovo privato gli riusciva penoso.

Pensava all'assente con nostalgia.

Spesso andava nell'officina, incoraggiava l'assistente Eric, che

continuava a lavorare all'altare e aspettava ansiosa-mente il

ritorno del suo maestro. Talvolta l'abate apriva la camera di

Boccadoro, dove c'era la statua di Maria, sollevava cautamente

il panno che la copriva e s'indugiava a contemplarla. Nulla

sapeva della sua origine: Boccadoro non gli aveva mai raccontato

la storia di Lidia. Ma egli sentiva tutto, capiva che quella

figura di fanciulla aveva vissuto a lungo nel cuore del suo

amico. Forse egli l'aveva sedotta, forse ingannata e

abbandonata. Ma l'aveva portata con sé e custodita nella sua

anima, più fedele che il migliore dei mariti, finché, forse dopo

molti anni da che non l'aveva più veduta, aveva scolpito quella

bella e commovente figura di fanciulla, racchiudendo nel suo

viso, nel suo atteggiamento, nelle sue mani, tutta la tenerezza,

L'ammirazione e la nostalgia di un amante. Anche nelle statue

della tribuna per la lettura, nel refettorio, egli leggeva

diversi episodi della storia del suo amico. Era la storia di un

vagabondo e di un uomo d'istinto, di un senza patria e senza

fede, ma ciò ch'era rimasto lì era tutto buono e fedele, era

pieno di amore vivo. Come era misteriosa quella vita, come

scorrevano torbide e travolgenti le sue correnti, e com'erano

nobili e limpidi i risultati!

Narciso lottava. Si dominava, non veniva meno ai compiti della

sua carriera, non trascurava nulla del suo servizio rigoroso. Ma

soffriva della perdita e soffriva di constatare quanto il suo

cuore, che pur avrebbe dovuto appartenere soltanto a Dio e al

suo ufficio, fosse affezionato a quell'amico.

INDEX

Page 195: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

CAPITOLO XX

L'estate passava: papaveri e fiordalisi, nigelle ed asteri

avvizzivano e scomparivano, le rane diventavano silenziose nella

peschiera, le cicogne volavano alte e si preparavano alla

partenza. Allora ritornò Boccadoro!

Arrivò un pomeriggio sotto una pioggia fine, e non entrò nel

convento, andò direttamente dalla porta alla sua officina. Era a

piedi, senza cavallo.

Eric si spaventò, quando lo vide entrare. Lo riconobbe bensì

alla prima occhiata e il suo cuore esultò incontro a lui, ma gli

parve che colui che era tornato fosse tutt'altro uomo: un falso

Boccadoro, di molti anni più vecchio, con un volto semispento,

grigio e terreo, con lineamenti cascanti, malati e sofferenti,

in cui però non stava scritto un dolore, ma piuttosto un

sorriso, un sorriso bonario, paziente, vecchio. Camminava a

stento, si trascinava, sembrava malato e molto stanco.

Questo Boccadoro strano e mutato, guardò il suo giovane aiutante

negli occhi, con un'espressione singolare. Non fece gran caso

del proprio ritorno pareva che venisse dalla camera attigua e

fosse stato lì poco prima. Diede la mano senza dir nulla: non un

saluto, non una domanda, non un racconto. Disse solo: --Devo

dormire--.

Pareva terribilmente stanco. Mandò via Eric ed entrò in camera

sua, accanto all'officina. Qui si tolse il berretto e lo lasciò

cadere, si tolse le scarpe e s'avvicinò al letto.

In fondo alla stanza vide la sua Madonna sotto i panni; le fece

un cenno, ma non andò a scoprirla e a salutarla.

Invece si trascinò fino alla finestrina, vide fuori Eric che

attendeva costernato e gli gridò: -- Eric, non c'è bisogno che

tu dica a nessuno che sono arrivato. Sono molto stanco C'è tempo

fino a domani.

Poi si coricò vestito sul letto. Dopo un poco, non avendo

ancora trovato il sonno, s'alzò, s'avvicinò pesantemente alla

parete, dov'era appeso un piccolo specchio, e vi si guardò.

Osservò attentamente quel Boccadoro che lo guardava: un

Boccadoro stanco, un uomo invecchiato e avvizzito, con la barba

molto incanutita. Un uomo vecchio e alquanto trascurato lo

guardava dal piccolo specchio torbido, un volto ben noto, ma

divenuto estraneo; pareva che non fosse veramente presente, che

quasi nulla ormai gl'importasse. Gli ricordava questo o quel

volto conosciuto in passato, un pò maestro Nicola, un pò il

vecchio cavaliere che un giorno gli aveva fatto confezionare un

vestito da paggio, un pò anche il san Giacomo ch'era in chiesa,

il vecchio san Giacomo con la barba, che appariva così antico e

grigio sotto il suo cappello da pellegrino, ma pur sereno e

buono.

Nel volto che lo specchio gli presentava leggeva attentamente,

come se gli fosse premuto di sapere qualcosa di quello

straniero. Gli fece un cenno e lo riconobbe: sì, era proprio

lui, corrispondeva al sentimento ch'egli aveva di se stesso. Dal

viaggio era tornato un vecchio molto stanco e diventato un poco

Page 196: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

ottuso, un uomo sparuto, che non faceva certo bella figura, e

tuttavia non gli era punto antipatico, anzi gli piaceva: aveva

nel volto qualcosa che il bel Boccadoro di un tempo non aveva

avuto, in tutta quella stanchezza e decadenza c'era un tratto di

contentezza, oppure di equilibrio interiore. Rise un poco fra

sé e vide ridere anche l'immagine dello specchio: un bel tipo

aveva riportato a casa dal viaggio! Ben abbronzato ritornava

dalla sua breve cavalcata, e non solo ci aveva lasciato

il suo cavallo, la sua borsa da viaggio e i suoi talleri,

qualcos'altro gli era andato perduto e l'aveva abbandonato: la

giovinezza, la salute, la fiducia in se stesso, il rosso sulle

guance e la forza nello sguardo.

Tuttavia quell'immagine gli piaceva: quel povero diavolo vecchio

e debole lì nello specchio gli era più caro del Boccadoro

ch'egli era stato per tanto tempo. Era più vecchio, più debole,

più miserando, ma era più innocente, più contento, più

trattabile. Rise e abbassò una delle palpebre divenute rugose.

Poi si rimise sul letto e finalmente s'addormentò.

Il giorno dopo era seduto in camera sua, chino sopra la tavola,

e tentava di disegnare un poco, quando venne a trovarlo Narciso.

Si fermò sulla porta, dicendo: -- Mi hanno riferito che sei

tornato. Dio sia ringraziato, sono tanto contento. Poiché non

sei venuto a cercarmi, vengo io da te. Ti disturbo nel tuo

lavoro?

S'avvicinò. Boccadoro si sollevò dal suo foglio e gli stese la

mano. Quantunque Eric l'avesse preparato, la vista dell'amico

spaventò l'abate sino in fondo al cuore. L'altro gli sorrise

affettuosamente.

-- Sì, sono di nuovo qui, Ti saluto, Narciso, non ci vediamo da

un pezzo. Perdonami di non essere ancora venuto a trovarti.

Narciso lo guardò negli occhi. Anch'egli vide non solo l'aspetto

miseramente avvizzito e spento di quel volto, ma anche

quell'altra espressione strana e simpatica di equilibrio,

d'indifferenza persino, di rassegnazione e di senile bonarietà.

Esperto nella lettura dei visi umani, vide anche che quel

Boccadoro così straniato e mutato non era del tutto presente,

che la sua anima si era allontanata di molto dalla realtà e

camminava sulle vie del sogno, oppure si trovava già alla porta

che conduce nell'aldilà.

--Sei malato? -- domandò cauto.

--Sì, sono anche malato. Mi ammalai già all'inizio del mio

viaggio, già nei primi giorni. Ma tu capisci che non volevo

tornare indietro subito. Avreste riso di me, se mi aveste veduto

ricomparire così presto e togliermi già i miei stivali di

cavaliere. No, questo non mi piaceva. An-dai avanti, girai

ancora un pochino: mi vergognavo che il viaggio mi fosse

riuscito male. Ero stato uno spaccone.

Insomma, mi vergognavo. Ebbene, tu capisci, vero? sei un uomo

così intelligente! Scusa, hai domandato qualche cosa?

Mi par d'essere stregato, dimentico continuamente quello di cui

si sta parlando. Ma a proposito di mia madre, facesti bene

allora. Fu una gran sofferenza, ma...

Page 197: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

Il mormorio si spense in un sorriso.

--Ti faremo guarire, Boccadoro, non ti lasceremo man-car nulla.

Ma perché non ritornare subito, quando cominciasti a star male?

Davanti a noi non è proprio il caso che tu ti vergogni. Avresti

dovuto ritornare subito.

Boccadoro rise.

-- Sì, adesso mi ricordo. Non mi sentivo di ritornare così

senz'altro. Sarebbe stata una vergogna. Ma ora sono venuto. Ora

sto di nuovo bene.

-- Hai avuto molte sofferenze ?

-- Sofferenze? Sì, abbastanza. Ma vedi, le sofferenze sono una

bellissima cosa, mi hanno ricondotto alla ragione. Ora non mi

vergogno più, nemmeno di fronte a te.

Allora, quando mi venisti a trovare nella prigione per salvarmi

la vita, allora sì dovetti stringere i denti, perché mi

vergognavo davanti a te. Ora è tutto passato.

Narciso pose una mano sul braccio di lui: subito egli tacque e

chiuse gli occhi sorridendo. S'addormentò placidamente. L'abate

uscì costernato e corse a chiamare il medico del convento, padre

Antonio, perché visitasse il malato. Quando ritornarono,

Boccadoro dormiva seduto alla sua tavola da disegno. Lo

portarono a letto, e il medico rimase presso di lui. Lo trovò

malato senza speranza. Lo trasportarono in una delle camere

destinate agli ammalati, e gli assegnarono Eric come infermiere

fisso.

Tutta la storia del suo ultimo viaggio non venne mai in luce.

Egli raccontò qualche particolare, qualche altro si poté

indovinare. Spesso giaceva insensibile, talvolta aveva la febbre

e delirava, tal altra era cosciente e allora veniva subito

chiamato Narciso, al quale quegli ultimi colloqui con Boccadoro

stavano molto a cuore.

Alcuni frammenti dei racconti e delle confessioni di Boccadoro

furono tramandati da Narciso, altri da Eric.

-- Quando cominciarono le sofferenze? Ancora in principio del

mio viaggio. Cavalcavo nella foresta e precipitai col cavallo in

un torrente; rimasi tutta la notte nell'acqua fredda. Là dentro,

dove mi ruppi le costole, là cominciarono i miei dolori. Allora

non ero ancora molto lontano di qui, ma non volevo tornare

indietro: era puerile, lo so, ma pensavo che la cosa dovesse

parer comica. Continuai dunque a cavalcare, e quando non potei

più, perché mi faceva troppo male, vendetti il cavallino; poi

giacqui a lungo in un ospedale. Ora rimango qui, Narciso, ho

finito di cavalcare. Ho finito di girare il mondo. Ho finito di

ballare e di amar le donne. Ah, se non fosse così, sarei stato

via ancora un pezzo, ancora anni ed anni. Ma quando m'avvidi che

fuori, nel mondo, non c'era più gioia per me, pensai: prima di

morire voglio disegnare ancora un poco e fare un paio di statue;

qualche piacere si vuol pure averlo.

Narciso gli disse: -- Sono così contento che tu sia ritornato!

Mi sei mancato tanto, ho pensato a te ogni giorno e spesso avevo

paura che tu non volessi ritornare più.

Boccadoro scosse la testa: -- Via, la perdita non sarebbe stata

Page 198: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

grande.

Narciso, a cui bruciava il cuore di dolore e di affetto si chinò

lentamente verso di lui e fece quello che in tanti anni della

loro amicizia non aveva mai fatto, sfiorò con le sue labbra i

capelli e la fronte di Boccadoro. Questi s'accorse di ciò che

accadeva, prima con stupore, poi con commozione.

-- Boccadoro, -- gli sussurrò l'amico all'orecchio, --

perdonami di non avertelo saputo dire prima. Avrei dovuto

dirtelo allora, quando venni a cercarti nella tua prigione,

nella residenza del vescovo, o quando vidi le tue prime figure,

o qualche altra volta. Lascia che te lo dica oggi quanto ti

voglio bene, quanto tu sei stato sempre per me, come hai

arricchito la mia vita. Per te non avrà molta importanza. Tu sei

abituato all'amore, esso non è nulla di strano per te, sei stato

amato e viziato da tante donne. Per me è un'altra cosa. La mia

vita è stata povera d'amore, mi è mancato il meglio. Il nostro

abate Daniele mi diceva un giorno ch'io gli sembravo orgoglioso:

forse aveva ragione, lo non sono ingiusto verso gli uomini, mi

sforzo di essere giusto e paziente con loro, ma non li ho mai

amati. Di due eruditi che ci siano nel convento, il più erudito

mi è più caro; a un debole scienziato non ho mai potuto voler

bene, passando sopra alla sua debolezza. Se tuttavia so che

cos'è l'amore, è per merito tuo. Te ho potuto amare, te solo fra

gli uomini. Tu non puoi misurare ciò che significhi. Significa

la sorgente in un deserto, L'albero fiorito in un terreno

selvaggio. A te solo debbo che il mio cuore non sia inaridito,

che sia rimasto in me un punto accessibile alla grazia.

Boccadoro sorrise lieto e un pò imbarazzato. Con la voce calma e

sommessa che aveva nelle ore di lucidità disse: -- Quando mi

avevi liberato dalla forca e ritor-navamo al convento, io ti

chiesi notizie del mio cavallo Bless e tu me le desti. Allora

vidi che tu, che di solito non distingui quasi nemmeno un

cavallo dall'altro, ti eri interessato del cavallino Bless.

Compresi che l'avevi fatto per me e ne fui molto lieto. Ora vedo

ch'era proprio così e che mi vuoi bene davvero. Anch'io ti ho

sempre voluto bene, Narciso: la metà della mia vita è stata uno

sforzo continuo per guadagnarsi l'animo tuo. Sapevo che anche tu

avevi dell'affetto per me, ma non avrei mai sperato che me lo

dicessi un giorno, uomo superbo! Ora me l'hai detto, in questo

momento in cui non ho più nient'altro, in cui la vita errabonda

e la libertà, il mondo e le donne mi hanno lasciato in asso.

L'accetto, te ne ringrazio.

La Lidia-Madonna era nella camera e guardava.

--Pensi sempre a morire? -- domandò Narciso.

-- Sì, ci penso, e penso a quello ch'è diventata la mia vita.

Quand'ero giovinetto e ancora tuo scolaro, avevo il desiderio di

diventare una persona spirituale come te. Tu mi hai mostrato che

non era la mia vocazione. Allora mi sono gettato dall'altra

parte della vita, quella dei sensi, e le donne mi hanno aiutato

a trovar lì il mio piacere: sono così volonterose e avide! Ma

non vorrei parlar di loro con disprezzo e neppure del piacere

sensuale; sono stato spesso molto felice. E ho avuto anche la

Page 199: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

fortuna di sperimentare come la sensualità possa venir animata.

Di qui nasce l'arte. Ma ora le due fiamme sono spente. Non ho

più la felicità bruta della voluttà... e non l'avrei nemmeno se

le donne mi corressero dietro ancora. E anche creare opere

d'arte non è più il mio desiderio; di statue ne ho fatte

abbastanza, non è il numero che conta. Perciò è ora per me di

morire. Sono pronto e curioso della morte.

-- Perché curioso? -- domandò Narciso.

-- Mah, è forse un pò sciocco da parte mia. Eppure sono davvero

curioso. Non dell'aldilà, Narciso, di questo mi do poco pensiero

e, se mi è lecito dirlo apertamente non ci credo più. Non c'è un

aldilà. L'albero disseccato è morto per sempre, L'uccello

assiderato non torna più in vita e così pure l'uomo quando è

morto. Si può pensare a lui per qualche tempo, dopo che se n'è

andato, ma anche questo non dura a lungo. No, sono curioso della

morte, perché la mia fede o il mio sogno è sempre di essere in

cammino verso mia madre. Spero che la morte sia una grande

felicità, una felicità grande come quella del primo appagamento

dell'amore. Non posso staccarmi dal pensiero che, invece della

morte armata di falce, sarà mia madre a riprendermi con sé e a

ricondurmi nel nulla e nell'innocenza.

In una delle sue ultime visite, dopo parecchi giorni che

Boccadoro non parlava più, Narciso lo trovò di nuovo sveglio e

loquace.

-- Padre Antonio pensa che tu devi avere spesso grandi

sofferenze. Come fai, Boccadoro, a sopportarle con tanta

tranquillità? Mi sembra che ora tu abbia trovato la pace.

-- Intendi la pace con Dio? No, questa non l'ho trovata. Non

voglio far pace con lui. Egli ha creato male il mondo, non c'è

bisogno che noi lo esaltiamo, e anche a lui importerà poco che

io lo esalti o no. Ha creato male il mondo. Ma con le sofferenze

nel mio petto ho fatto la pace, questo è vero. Prima non sapevo

sopportar bene i dolori, e, quantunque talvolta fossi del parere

che la morte mi sarebbe stata lieve, era un errore. Quando

dovevo morire sul serio, quella notte nella prigione del conte

Enrico, ne ebbi la rivelazione: non potevo assolutamente morire

ero ancora troppo forte e troppo indomito, avrebbero dovuto

ammazzare due volte ogni membro del mio corpo.

Ma ora è un'altra cosa.

Parlare lo stancava, la sua voce s'affievoliva. Narciso lo pregò

di aversi riguardo.

--No,--insisté,--voglio raccontarlo. Prima mi sarei vergognato a

dirtelo. Dovrai ridere. Quel giorno che salii sul mio cavallo e

partii di qui, non fu proprio senza uno scopo. Avevo sentito

dire che il conte Enrico era ancora nel paese e con lui la sua

amante, Agnese. Ebbene, questo non ti sembra importante, e

neppure a me oggi sembra importante. Ma allora la notizia mi

bruciò sul vivo, non pensai più che ad Agnese; era la più bella

donna che avessi conosciuta e amata, volevo rivederla, volevo

essere felice ancora una volta con lei. Dopo una settimana di

cavalcate, la trovai. Là, in quell'ora, avvenne la mia

trasformazione. Trovai dunque Agnese: non era meno bella d'un

Page 200: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

tempo ed ebbi anche occasione di mostrarmi a lei e di parlarle.

E pensa, Narciso; non voleva più saperne di me! Ero diventato

troppo vecchio per lei, non ero più abbastanza bello e gaio, non

si riprometteva più nulla da me. Con ciò il mio viaggio era

propriamente finito. Con-tlnuai a cavalcare; non volevo

ritornare da voi così deluso e ridicolo, e, mentre cavalcavo

così, la forza, la giovinezza, il senno mi avevano già

abbandonato, poiché precipitai col mio cavallo in una gola e in

un torrente, mi ruppi le costole e rimasi nell'acqua. Allora per

la prima volta conobbi le vere sofferenze. Cadendo sentii subito

spez-zarsi qualcosa dentro il mio petto e quello spezarsi mi

fece piacere, lo sentii volentieri, ne fui contento. Rimasi

nell'acqua e compresi che dovevo morire, ma tutto era diverso da

allora quand'ero nella prigione. Non avevo nulla in contrario,

la morte non mi pareva più un male. Sentii quei dolori violenti,

che da allora ho riavuti spesso, ed ebbi un sogno o una visione,

come vuoi chiamarla. Ero là disteso e il petto mi bruciava

dolorosamente ed io volevo difendermi e gridare, ma a un tratto

udii una voce che rideva, una voce che non avevo più udita dalla

mia infanzia. Era la voce di mia madre, una voce femminile

profonda, piena di voluttà e d'amore. E allora vidi ch'era lei,

che mia madre era presso di me e mi aveva sul suo grembo e mi

apriva il petto e affondava le sue dita fra le mie costole, per

liberarne il cuore. Quando vidi e compresi questo, non sentii

più male. Anche ora, quando i dolori mi ritornano, non sono

dolori, non sono nemici; sono le dita della madre, che mi

prendono fuori il cuore.

Ella è zelante nell'opera sua. Talvolta preme e geme, co-me in

voluttà. Talvolta ride e mormora suoni teneri. Talvolta non è

accanto a me, ma su in cielo: io vedo fra le nubi il suo volto,

grande come una nube, là essa vaga e sorride con tristezzA, e il

suo triste sorriso mi sugge il cuore dal petto.

Tornava sempre a parlare di lei, della madre.

--Ricordi ancora? -- domandò uno degli ultimi giorni. --Una

volta avevo dimenticato mia madre, ma tu la rievocasti. Anche

allora mi fece molto male, come se fauci di belve mi divorassero

le viscere. Allora eravamo ancora giovinetti, eravamo dei bei

ragazz. Ma già allora la madre mi aveva chiamato e io dovetti

seguirla. Ella è dappertutto. Era la zingara Lisa, era la bella

Madonna di maestro Nicola, era la vita, L'amore, la voluttà, era

anche l'angoscia, la fame, L'istinto. Ora è la morte, ha le sue

dita nel mio petto.

--Non parlar troppo, caro,--pregò Narciso,--aspetta fino a

domani.

Boccadoro lo guardò negli occhi col suo sorriso, con quel

sorriso nuovo che aveva riportato dal suo viaggio, che appariva

così vecchio e malato e a volte sembrava un pò ebete, a volte

era tutto luce di bontà e di saggezza.

--Mio caro, -- bisbigliò, -- non posso aspettare fino a domani.

Debbo prender congedo da te e come congedo debbo dirti ancora

tutto. Ascoltami un momento ancora.

Volevo raccontarti della madre, che mi tiene le dita strette

Page 201: Narciso e Boccadoro - atlas1.it · s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua sul fuoco del ... un fiore in

intorno al cuore. Da molti anni, creare una figura della madre è

stato il mio sogno più caro e più misterioso, era per me la più

santa di tutte le immagini, me la portai sempre in cuore, una

figura piena d'amore e piena di mistero. Ancora poco tempo fa mi

sarebbe stato insopportabile il pensiero di dover morire senza

aver realizzto questo mio sogno; tutta la mia vita mi sarebbe

apparsa inutile. Ed ora guarda che strano destino: invece

d'esser le mie mani a formarla e plasmarla, è lei a formare ed a

plasmare me. Ha le sue mani intorno al mio cuore e lo stacca dal

mio corpo e mi svuota; mi ha allettato a morire, e con me muore

anche il mio sogno, la bella figura, L'immagine della grande

Eva-Madre. La vedo ancora e, se avessi forza nelle mani, potrei

darle forma. Ma essa non vuole, non vuole che io renda visibile

il suo mistero.

Preferisce che io muoia. Muoio volentieri: essa mi rende facile

il trapasso.

Narciso ascoltava costernato quelle parole e dovette chi-narsi

fin sul volto dell'amico per poter afferrarle ancora.

Alcune gli giunsero indistinte, altre chiare, ma il loro

significato gli rimase nascosto.

Poi il malato spalancò gli occhi ancora una volta e fissò a

lungo il viso dell'amico. Con gli occhi prese congedo da lui. E

con un movimento, quasi tentasse di scuotere la testa, sussurrò:

--Ma come vuoi morire un giorno, Narciso, se non hai una madre?

Senza madre non si può amare. Senza madre non si può morire.

Ciò che mormorò ancora in seguito non fu più comprensibile. Le

due ultime giornate Narciso rimase seduto al suo letto giorno e

notte, e lo guardò spegnersi. Le ultime parole di Boccadoro gli

bruciavano nel cuore come fuoco.

INDEX