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Ulisse Transmedia è una factory indipendente attiva dal 1996. Il gruppo - composto da Ciro Fattorusso, Daniela Mutinelli e Vincenzo Fattorusso - si contraddistingue per una sorta di “artigianato audiovisivo” che si cimenta con varie forme d’arte: musica, grafica, soggetti originali e ovviamente cortometraggi e documentari, ispirati ad una “trasversalità” di linguaggio che percorre le vie tortuose della creatività nel rinnovamento delle potenzialità del mezzo cinematografico. Le produzioni dell’Ulisse Transmedia sono l’espressione di una ricerca a cavallo tra documentario d’arte e cinema di ricerca, con un evidente omaggio all’Ulisse di James Joyce e con il proposito di andare oltre i ‘mezzi di comunicazione di massa’ come li conosciamo oggi. Ciò che segue è il frutto di una conversazione telematica con i tre componenti del gruppo: Intervista a... Ulisse Transmedia Nello spirito di James Joyce… Può raccontarci come sono nati i vostri lavori? Ciro Fattorusso: I percorsi che hanno portato alla realizzazione dei singoli lavori sono, a un tempo, diversi e imparentati; dell’origine di questi accenniamo nel nostro sito Internet, e non vorrei qui, per correttezza, ripetere quanto già presente in rete: tuttavia la sua domanda mi offre la possibilità di sottolinearne alcuni aspetti. Credo che, al di là dello sviluppo di quella che potremmo definire una “intuizione”, alla base ci sia una profonda volontà di raccontare della vita e di confrontarsi: volontà che deriva da un “passato” per noi mai così˚ “presente”. Che poi questa maturi attraverso un percorso durante il quale emergono improvvise spinte verso determinati aspetti, è una questione che non deve riguardare soltanto una delle possibilità espressive di cui disponi, andandoti a rifugiare in una “etichetta”, bensì tutto il ventaglio - circoscrivendone, ovviamente, la gamma. Se, infine, reputiamo che le nostre “visioni” siano degne dei minuti che andremmo a sottrarre alla vita di un altro essere umano, bene, soltanto a quel punto cominciamo a lavorarci sopra. Se una “ricerca” c’è - o, più semplicemente, una nostra maniera di raccontare una storia -, questa è, se mi permette uno sgangherato gioco di parole, sul “genere”, più che sui “generi”. Da un punto di vista produttivo vi muovete in totale autonomia anche per le musiche, la grafica e il bellissimo sito Internet: è una scelta o un percorso obbligato? Daniela Mutinelli: Una necessità, direi. Come gruppo siamo attivi dal 1996, e, autofinanziandoci, abbiamo provato a mettere un passo dopo l’altro. Sapevamo soltanto che non ci interessava correre dietro a questo e a quello: volevamo realizzare una sorta di “artigianato audiovisivo” in cui poter rimescolare le passioni che ci animavano; la sproporzione tra le potenzialità del mezzo e i risultati era fin troppo evidente, ma il lavoro che girava negli studi - quando girava - era quello. Staccarci da tutto questo è costato e costa un prezzo altissimo. L’amicizia e la stima che più volte ci hanno manifestato personaggi come Pupi Avati, Tonino Guerra e tanti altri stanno a dimostrare che il coraggio ha in sé un po’ di magia. Il punto è che non tutti possono permettersi di agire conformemente al proprio pensiero, soprattutto se si tratta di un’attività: strettoie per strettoie, ci teniamo quelle del lavoro che ci dà da vivere. Per noi, in definitiva, “autonomia” è sinonimo di “intergrità”. http://www.shortvillage.com [email protected] www.ulissetransmedia.it

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Ulisse Transmedia è una factory indipendente attiva dal 1996. Il gruppo - compostoda Ciro Fattorusso, Daniela Mutinelli e Vincenzo Fattorusso - si contraddistingue peruna sorta di “artigianato audiovisivo” che si cimenta con varie forme d’arte: musica,grafica, soggetti originali e ovviamente cortometraggi e documentari, ispirati ad una“trasversalità” di linguaggio che percorre le vie tortuose della creatività nel rinnovamentodelle potenzialità del mezzo cinematografico. Le produzioni dell’Ulisse Transmedia sonol’espressione di una ricerca a cavallo tra documentario d’arte e cinema di ricerca, conun evidente omaggio all’Ulisse di James Joyce e con il proposito di andare oltre i ‘mezzid i c o m u n i c a z i o n e d i m a s s a ’ c o m e l i c o n o s c i a m o o g g i .Ciò che segue è il frutto di una conversazione telematica con i tre componentidel gruppo:

Intervista a...Ulisse Transmedia

Nello spirito di James Joyce…

Può raccontarci come sono nati i vostri lavori?Ciro Fattorusso: I percorsi che hanno portato alla realizzazione dei singoli lavori sono,a un tempo, diversi e imparentati; dell’origine di questi accenniamo nel nostro sitoInternet, e non vorrei qui, per correttezza, ripetere quanto già presente in rete: tuttaviala sua domanda mi offre la possibilità di sottolinearne alcuni aspetti. Credo che, al dilà dello sviluppo di quella che potremmo definire una “intuizione”, alla base ci sia unaprofonda volontà di raccontare della vita e di confrontarsi: volontà che deriva da un“passato” per noi mai così  “presente”. Che poi questa maturi attraverso un percorsodurante il quale emergono improvvise spinte verso determinati aspetti, è una questioneche non deve riguardare soltanto una delle possibilità espressive di cui disponi, andandotia rifugiare in una “etichetta”, bensì tutto il ventaglio - circoscrivendone, ovviamente,la gamma. Se, infine, reputiamo che le nostre “visioni” siano degne dei minuti cheandremmo a sottrarre alla vita di un altro essere umano, bene, soltanto a quel puntocominciamo a lavorarci sopra. Se una “ricerca” c’è - o, più semplicemente, una nostramaniera di raccontare una storia -, questa è, se mi permette uno sgangherato giocodi parole, sul “genere”, più che sui “generi”.

Da un punto di vista produttivo vi muovete in totale autonomia anche per lemusiche, la grafica e il bellissimo sito Internet: è una scelta o un percorsoobbligato?Daniela Mutinelli: Una necessità, direi. Come gruppo siamo attivi dal 1996, e,autofinanziandoci, abbiamo provato a mettere un passo dopo l’altro. Sapevamo soltantoche non ci interessava correre dietro a questo e a quello: volevamo realizzare una sortadi “artigianato audiovisivo” in cui poter rimescolare le passioni che ci animavano; lasproporzione tra le potenzialità del mezzo e i risultati era fin troppo evidente, ma illavoro che girava negli studi - quando girava - era quello. Staccarci da tutto questo ècostato e costa un prezzo altissimo. L’amicizia e la stima che più volte ci hannomanifestato personaggi come Pupi Avati, Tonino Guerra e tanti altri stanno a dimostrareche il coraggio ha in sé un po’ di magia. Il punto è che non tutti possono permettersidi agire conformemente al proprio pensiero, soprattutto se si tratta di un’attività:strettoie per strettoie, ci teniamo quelle del lavoro che ci dà da vivere. Per noi, indefinitiva, “autonomia” è sinonimo di “intergrità”.

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Nei vostri documentari scegliete la forma di intervista di artisti come Fioravanti,Guerra. Qual è la vostra idea di documentario d’arte?

Ciro Fattorusso: Nella scelta dei “personaggi” c’è già una prima denotazione. E daquella siamo partiti, per ritrovarci in una più vasta indagine sull’arte, sulle motivazioniche ci spingono verso di essa, sui destini che si intrecciano in suo nome. Debbocandidamente confessare che non saprei dare una definizione di “documentario d’arte”,in quanto non credo d’averne mai fatto uno: Tracce - che è stato acquistato in esclusivadalla RAI - ha ricevuto numerosi riconoscimenti, nazionali e internazionali, e vari premi;ci piace ricordare le due proiezioni al “Curta Santos Festival”, in Brasile, dove hannodefinito Fioravanti “Maestro nelle arti plastiche e nell’arte di vivere”. Bene: nonostantequesto, decine di organizzazioni rifiutano il lavoro giacché non riescono a trovare, dicono,una sezione in cui collocarlo - e la maggior parte tra queste è di manifestazioni sull’arte.Di partenti e saltimbanchi è più “classico”, ma lì l’unicità di Guerra e dell’eventoimponevano un approccio diverso, in punta di piedi.

Nazca  è un cortometraggio molto lirico. Qual è la sua storia e che riscontriavete ricevuto fino a ora?

 Vincenzo Fattorusso: Anni fa, in casa d’altri, mi capitò fra le mani un libriccino conla copertina cartonata. Presi a sfogliarlo, un po’ per maleducazione, un po’ per il titolo:“Come nascono i bambini”. Era una pubblicazione rivolta ai più piccoli, una delle prime,credo, ad affrontare l’argomento. Dopo le pagine di apertura c’era raffigurata unacicogna da abbecedario; l’illustrazione era in parte nascosta da una croce, una x spessae netta, a mo’ di cancellatura. Poco più sotto c’era, in caratteri da tabellone, un: “NO!”.Mi ricordo di quel libretto ogni volta che mi domandano della genesi di un lavoro, diun’idea, di un personaggio: posso, cioè, soltanto escludere, individuare quanto non hafatto parte di quel cammino, di quell’avventura. A parte queste cose - segnate con unacroce non meno vistosa, non meno netta e spessa di quella che annullava l’ignaracicogna del trattatello - resta tutto quello che non potrai mai spiegare. A me pare giàqualcosa. Non credo che al mondo ci sia davvero bisogno di analisi di questo tipo: provoun sincero fastidio verso quanti straparlano di un “processo creativo” - il più delle volteuna scappatoia da gente adusa a mascherare la propria inettitudine, la propria condizionedi privilegiati. Perché faccio un film piuttosto che un altro, io non saprei proprio dirlo.“Le figure che si agiteranno sullo schermo saranno come spalmate, dilatate. Attimi eparticolari dal quotidiano. Assurdo, come sempre. Uomini come ombre senza sole.Niépce non riconosce più la sua invenzione...” I primi appunti sulla faccenda erano diquesto genere. Ma che cosa significavano? A che cosa si riferivano? All’inizio c’erasoltanto il vago sentimento di un’attesa, di un incontro mancato, nutrito dall’abbondanzadi segni vacui, da una comunicazione stanca, distorta, portatrice di contatti improbabiliancor prima di cominciare. Tutta l’evaporazione e lo sfolgorio circense dei nostri tempi,insomma.Eppure non volevo fare del moralismo, non volevo dimostrare nulla: volevoraccontare una storia. Non sapevo, come sempre, dove sarei andato a sbattere. Trauna nota e l’altra - e letture, e sgorbi inestricabili, e mozziconi di sigarette... -, dopochissà quanto tempo ero arrivato a un punto morto. Fu allora che, una notte, su unteleschermo comparvero queste immagini di Nazca: i disegni di enormi dimensionitracciati sul suolo della pampa di Palpa.

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Appena a letto, vidi come tessere di domino scivolare su una parete liscia e metallica,a imbuto: giravano in tondo, un po’ come la pallina sul piatto della roulette, procedendovia via verso il centro, che le inghiottiva. Il tutto avveniva come in una ripresa alrallentatore. Prima di scomparire, sui pezzi balenavano dei segni che non riuscivo adinterpretare, a decifrare - sebbene potessi vederli con chiarezza, in quell’unico istante- bruciati subito dopo da un riflesso. Presi sonno con una facilità che avevo dimenticatoda tempo.Daniela Mutinelli: Il lavoro - che, generosamente, lei definisce “lirico” - sta andandobene: in nove mesi è stato selezionato e proiettato in trentacinque manifestazioni, inItalia (due premi) e all’estero (Germania, Francia, Finlandia, Stati Uniti); di particolarerilievo è stata la partecipazione al “Tiburon International Film Festival”, unico cortometraggioitaliano in concorso. I media non ne hanno parlato, naturalmente, ma poco importa:le reazioni degli spettatori sono state assai stimolanti.

Che cosa state preparando per il futuro?Daniela Mutinelli: Preferiamo pensare al presente: una riedizione su DVD dei lavorifin qui realizzati. Lo scopo è tutt’altro che celebrativo: intanto, questi cortometraggigià esistono, ma in poche centinaia di copie in vhs distribuite tra i vari “addetti ai lavori”;avrebbero diritto di vederli anche tutti gli altri: non abbiamo creato Ulisse Transmediaper una élite. E poi il supporto ci permetterà di sviluppare una linea di pensiero che èvolta anche a una diversa fruizione. Di tutto il resto parleremo a settembre.

Tommaso Casini