tsl dicembre 2007 - Gruppo Torsanlorenzo · Direttore Responsabile: Silvia Margheriti In Redazione:...

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torsanlorenzo Sommario Informa Informa Foto di copertina: Ilex aquifolium - Foto di Olivier Gerard Autorizzazione del Tribunale di Velletri n. 15/2003 del 01.09.2003 Pubblicazione mensile di Torsanlorenzo Gruppo Florovivaistico Viale P. Luigi Nervi - Centro Com.le “Latinafiori” - Torre 5 Gigli 04100 Latina Tel. +39.06.91.01.90.05 Fax +39.06.91.01.16.02 http://www .gruppotorsanlorenzo.com e-mail: [email protected] Anno 9 - numero 12 Dicembre 2007 - Diffusione gratuita Direttore Editoriale: Mario Margheriti Direttore Responsabile: Silvia Margheriti In Redazione: Silvana Scaldaferri, Elisabetta Margheriti, Liana Margheriti Redazione: Via Campo di Carne, 51 00040 Tor San Lorenzo - Ardea (Roma) Tel. +39.06.91.01.90.05 Fax +39.06.91.01.16.02 e-mail: [email protected] Realizzazione: Torsanlorenzo Gruppo Florovivaistico Davide Ultimieri Stampa: CSR S.r.l. Via di Pietralata 157, 00158 - Roma Pubblicazione mensile di Torsanlorenzo Gruppo Florovivaistico Bolsena, dove per il verde pubblico impera l’ortensia 18 Storia del paesaggio Agrario Italiano 15 VIVAISMO Frutti da riscoprire 4 Arbutus unedo Juniperus oxycedrus Pistacia lentiscus Myrtus Corsi, Incontri, Libri, 19 I numeri della Rivista Torsanlorenzo Informa sono pubblicati nella sezione “Archivio TSL Informa” del sito www .gruppotorsanlorenzo.com

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torsanlorenzoSommario

InformaInforma

Foto di copertina: Ilex aquifolium - Foto di Olivier Gerard

Autorizzazione del Tribunale di Velletri n. 15/2003 del 01.09.2003

Pubblicazione mensile di Torsanlorenzo Gruppo Florovivaistico

Viale P. Luigi Nervi - Centro Com.le “Latinafiori” - Torre 5 Gigli

04100 Latina

Tel. +39.06.91.01.90.05

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Anno 9 - numero 12

Dicembre 2007 - Diffusione gratuita

Direttore Editoriale: Mario Margheriti

Direttore Responsabile: Silvia Margheriti

In Redazione: Silvana Scaldaferri, Elisabetta Margheriti,

Liana Margheriti

Redazione: Via Campo di Carne, 51

00040 Tor San Lorenzo - Ardea (Roma)

Tel. +39.06.91.01.90.05

Fax +39.06.91.01.16.02

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Realizzazione: Torsanlorenzo Gruppo Florovivaistico

Davide Ultimieri

Stampa: CSR S.r.l.

Via di Pietralata 157, 00158 - Roma

Pubblicazione mensile di Torsanlorenzo Gruppo Florovivaistico

VERDE PUBBLICOBolsena, dove per il verde pubblico

impera l’ortensia 18

PAESAGGISMOStoria del paesaggio Agrario Italiano 15

VIVAISMOFrutti da riscoprire 4

Arbutus unedo

Juniperus oxycedrus

Pistacia lentiscus

Myrtus

NEWSCorsi, Incontri, Libri, 19

AVVISO AI LETTORI

I numeri della Rivista Torsanlorenzo Informa sono

pubblicati nella sezione “Archivio TSL Informa” del sito

www.gruppotorsanlorenzo.com

PREMIO

�D�a�l��n�o�str�o��c�u�or e��v er�d e�u�n��a�u�g�ur�i�o��p er��u�n��2�0�0�8�p�i e�n�o��d�i��s er e�n�it�à� e��s�u�c�c e�s�s�o�.

�D�a�t�utt�i��N�o�i�B�u�o�n e��F e�st e�!

Il corbezzolo è uno degli elementi più tipici della mac-chia mediterranea. Molto noto fin dall’antichità l’Ar-buts unedo L., questo è il suo nome latino, è un arbustosempreverde di medie dimensioni che produce numero-se bacche di color aranciato rossastro, eduli alla maturi-tà. Il corbezzolo presenta un notevole valore paesaggi-stico per la bellezza del suo fogliame e dei frutti e puòessere utilizzato anche a scopo medicinale, industriale,foraggero ed ornamentale.L’etimologia della parola “Arbutus” sembra derivareproprio dal sostantivo molto simile “arbustus”, e lostesso Virgilio sembra essere l’artefice di tale denomi-nazione, anche se altri studi vogliono far derivare“Arbutus” dal celtico “arbois”, cioè “ruvido”, o da “ar”(aspro) e “butus” (cespuglio). Più certa è l’etimologia di“unedo”. Dal latino “unum edo”: ne mangio uno.Tale osservazione è da collegare alla caratteristica gra-nulosità dell’epidermide del frutto, che, talvolta, puòprovocare dei fastidi nella mastificazione. Del resto, diun uso non proprio saltuario ne fa testimonianzaVarrone, il quale annovera tra i mezzi di sostentamentodel mondo antico le ghiande, le prugne, le mele eappunto le corbezzole.Gli antichi greci dedicarono questa specie ed il bianco-spino (Crataegus monogyna L.) a Cadea, custode deibambini. Altri autori greci e latini, tra i quali Aristofane,Dioscoride, Lucrezio, Plinio, Ovidio e Columella han-no narrato delle virtù terapeudiche e dei pregi comepianta ornamentale dell’A. unedo. Più recentemente,durante l’epoca risorgimentale, il corbezzolo fu elevatoa rango di pianta nazionale, per il verde del suo foglia-me, il bianco dei suoi fiori ed il rosso dei suoi frutti. Trai poeti e scrittori contemporanei che lo hanno menzio-nato si ricordano G. Pascoli, G. D’Annunzio, P.Calamandrei e G. Deledda. Tutto ciò testimonia un sem-pre vivo interesse verso questa specie caratteristica delclima mediterraneo. “…Alcuni arbusti di corbezzoloerano così carichi di frutti, che parevano coperti didrappi rossi”. (Grazia Deledda).L’Arbutus unedo appartiene all’ordine Ericales (gamo-petale tetracicliche insieme alle Plumbaginales, Pri-mulates, Ebenales), famiglia delle Ericaceae, divisa asua volta in 2 sezioni: con ovario supero: Ericoideae (Erica arborea, Calluna

vulgaris); Rhodondendroide (Rhododendron spp); Ar-butodeae (Arbus spp.);con ovario infero: Vaccinoideae (Vaccinium myrtillus,Vaccinium vitis idaea); Empetraceae; Epacidaceae;Diapengiaceae.La famiglia delle Ericaceae comprende 87 generi e1.500 specie, distribuite in tutte le latitudini, a volteriunite in formazioni vegetali molto caratteristiche. Al genere Arbutus appartengono 12 specie distribuitenell’Europa sud occidentale e sud-orientale; Asia occi-dentale; Africa boreale; Canada ed America boreale-occidentale.Da segnalare l’esistenza di un ibrido tra A. unedo e A.andrachne: Arbutus x andrachnoides Link.L’origine non risulta essere ben precisata, tuttavia il suo

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Arbutus unedo

ARBUTUS UNEDO

Frutti da riscoprireTesto di Marco Scortichini - Dott. Agronomo

Istituto Sperimentale per la frutticoltura - Roma

areale comprende le zone più influenzate dal climamediterraneo e cioè l’Italia mediterranea, la partecostiera della Francia meriodionale; la Spagna mediter-ranea e le sue coste atlantiche; il Portogallo; le zonecostiere del Marocco, l’Algeria; Tunisia; parte delGolfo della Sirte in Libia; le coste mediterranee dellaTurchia; la Grecia e le coste della Jugoslavia.Esistono anche alcune stazioni disgiunte, nella Georgiasovietica, fra l’Estremadura e la Sierra Morena inSpagna, nei monti dell’Atlante in Marocco ed Algeriaed infine in Siria e Israele.Il corbezzolo è uno degli elementi più tipici della mac-chia mediterranea, forma delle associazioni miste e tal-volta anche delle impenetrabili macchie in purezza(macchia a corbezzolo od Arbution). Le macchie domi-nate dal corbezzolo sono indice dei suoli silicei, sabbio-si ed acidi e di esposizioni fresche, infatti questa specieè tra le meno esigenti in calore tra quelle mediterraneeed è possibile trovarla, più o meno sporadicamente, finoa 800-2.000 m. Da notare che questa specie, grazie allacapacità di emettere polloni, nei casi d’incendio, è lapiù precoce, tra le specie della macchia, a ricostruire lapropria chioma ed a ristabilirsi, quindi sul suolo.Arbusto od albero sempreverde (altezza 1-5 m), concorteccia che si sfalda in placche rossastre; ramificazio-ni numerose ed assurgenti, tortuose, folte; giovani ramidi colore rossastro, leggermente tomentosi; radiciespanse e pollonifere; foglie alterne, obovate o lanceo-late, a margine crenato o seghettato, coriacee, lucentinella pagina superiore, chiare in quella interiore, lun-ghezza media 5-8 cm, larghezza media 2-3 cm, piccio-lo rossastro corto e robusto; fiori in racemi composti,penduli, si formano all’estremità dei rami dell’anno, dicolore bianco o sfumati di verdastro o rosa, ermafrodi-ti, calice con 5 denti, corolla ad arciolo con 5 denti.Altezza media del fiore 6-6,5 mm. Gli stami 10 sono, afilamenti irsuti, con antere a 2 reste apicali, deiscentiper 2 fori. Ovario con 5 logge ciascuna con numerosiovuli; frutto: bacca, dalle seguenti dimensioni medie:altezza cm 1,7 – 2,6; larghezza cm 1,8-2,5; spessore cm1,8-2,5; peso medio gr 5,5-8,3; il frutto è una bacca aforma sferica oblunga, appiattita alla cavità peduncola-re; buccia: di colore aranciato rossastro a maturità,mediamente spessa, con numerosissimi rilievi crestifor-mi (1mm), di colore rosso intenso; polpa: di colore gial-lo aranciato, uniformemente distribuito dall’esternoall’interno, tenera, di sapore dolce a maturità, con gra-devole retrogusto acidulo, numerosi semi all’interno(altezza: mm 2,5; lunghezza: mm 1,0; spessore:mm1,0).Nell’ambito della specie Arbutus unedo L., sono stateindividuate alcune varietà botaniche, che si differenzia-no per i caratteri delle foglie e dei fiori.Secondo A. Fiori, se si prendono in esame la forma e le

dimensioni delle foglie, è possibile distinguere 2 varietà:a) Typica, con foglie sbilunghe od obovate, o, nei pol-loni, largamente ovali subrotonde, caratteristica di tuttol’arenale mediterraneo;b) angustifolia, con foglie lanceolate, larghe 10-15 mm,lunghe 4-6 cm a denti brevi ed irregolari, tipica dellaCorsica.Secondo A. Rehder, nell’ambito delle specie, sono dadistinguere la var. integerrima Sims, con foglie intere, ela var. rubra Ait, e la var. Croomi Hort. (sinonimi per F.Stoker) entrambe con fiori rossi. Esisterebbe, almenonegli Stati Uniti e come pianta ornamentale, la cv.‘Compacta’ (compact strawberry tree). Trattandosi di specie spontanea di grande valore pae-saggistico, ma anche geologico, ogni sfruttamento nonsporadico, peraltro auspicabile in certe aree marginali,andrebbe regolamentato da leggi regionali e da even-tuali programmi di utilizzo.

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Arbutus unedo

Questo arbusto spontaneo, di grande valore paesaggisti-co, dotato di notevole rusticità, forma vere e propriemacchie nelle zone costiere del bacino mediterraneocaratterizzate da terreni sabbiosi. In Italia è presentenelle regioni centro-meridionali e nelle isole. Dallapianta possono essere estratti, per distillazione, l’oliocadino e altri oli essenziali utilizzabili in farmacologia.L’etimologia della parola Juniperus è controversa.Sembra, infatti, derivare o dal latino “junio pario”,‘genero i più giovani’, locuzione legata al fatto che ifrutti di tale ginepro maturano nel corso di due anni eche, quindi, sulla stessa pianta si trovano sia frutti matu-ri, che frutti in via di maturazione od appena allegati.Altri studi vogliono far derivare il vocabolo dal celtico“juneprus”, ‘pungente’, ‘aspro’, caratteristica legataalla forma delle foglie. Del resto anche il nome grecodella pianta “arckenzos” da “arkéo”, respingo, allonta-no, è legato a tale pecularietà. Il nome specifico “oxy-cedrus” è di derivazione greca: ‘cedro rosso’, a causa diuna certa somiglianza con il cedro e per il legno di colo-re rossiccio.Specie legata al clima mediterraneo, il ginepro ossice-dro fornisce fin dall’antichità l’olio di Cade, provenien-te dalla distillazione secca del legno e della radice.Tale olio viene usato come topico nella farmacopeapopolare e medica per la cura delle malattie della pellesia dell’uomo che degli animali domestici. Tale specieveniva comunemente usata nella tradizione contadinaanche per la produzione di “dogherelle” per barili e“botticine da liquori”, nonché per ricavarne vernicedalla resina.Fra i rimedi comuni (i cirurgici) usano ordinariamente“olio di ginepre”. Garzoni T. (secolo XVI).Juniperus oxycedrus L., con le tre sottospecie oxyce-drus, macrocarpa (S.et S.) Ball., transtagana Franco,appartiene all’ordine delle Coniferae, importantissimoraggruppamento sistematico delle Gymnosperme; fami-glia delle Cupressaceae, sottofamiglia delle Cupres-soidee, caratterizzata dalle foglie opposte o verticillatee dalla presenza di strobili legnosi bacciformi. Tale sot-tofamiglia annovera molti generi di grande importanzaeconomica ed ecologica: Thuja, Licedrus, Tetraclinis,Cupressus, Chamaecyparis e Juniperus. A tale genereappartengono una cinquantina di specie distribuite pre-valentemente nelle regioni fredde e/o temperate dell’e-misfero nord.Sulla penisola italiana e sulle isole è possibile trovareallo stato spontaneo i seguenti ginepri: J. communis L.diffuso su tutto il territorio, dal livello del mare a 1.500slm; J. nana Wild., tipico delle brugherie subalpine; J.hemisphaerica Presl., caratteristico delle zone montuo-se dell’ Italia meridionale; J. phoenicea L., largamentepresente nelle macchie litorali e J. sabina L. diffuso

nelle zone rupestri dell’Italia centro-settentrionale.L’arenale del ginepro ossicedro comprende l’arcipelagoegeo e la Grecia, le coste dell’Albania e della Dalmazia,la parte centro-meridionale della penisola italiana e lesue isole, le coste meridionali della Francia, la Spagnaed il Portogallo, l’isola di Madeira, le coste del Ma-rocco, dell’Algeria e della Tunisia, Cipro, la Turchia esi spinge ad est fino alle coste del Mar Caspio, alla partemeridionale del Caucaso e della Crimea. Il ginepro os-sicedro nelle rare stazioni dove ancora conserva unadiffusione consistente (Sardegna), forma delle vere eproprie macchie quasi in purezza, di altezza di 3-4 m,che declinano man mano che si procede all’interno edove il suolo è meno pietroso, verso la lecceta. Ancorapiù tipicamente mediterranea è la sottospecie macro-carpa (ginepro coccolone), tipica delle dune costieredel bacino mediterraneo. Il ginepro ossicedro, con lesue sottospecie, è tipico, quindi, degli ambienti pietrosie sabbiosi e molto spesso è tra le poche specie che sisono adattate a tali condizioni edafiche.Arbusto o piccolo albero sempreverde, cespuglioso, dialtezza variabile tra 1 e 3-4 m (talvolta arriva ad altezzemaggiori). Ramificazioni folte e numerose aperte o eret-te, con piccoli rami corti, con corteccia bruno-rossastra.Germogli dell’anno di colore verde pallido. Fogliealternate in verticilli a tre, lineari-acute, a margine inte-ro, mucronate, con due linee glauche sulla pagina supe-riore, lunghe 20 mm, larghe fino a 2 mm (15 mm dilunghezza e 2,5 mm di altezza, meno pungenti ed affu-solatesi dalla base nella sottospecie macrocarpa); care-na acuta nella pagina inferiore.Fiori dioici; i maschili in amenti singoli, giallastri, diforma ovale, all’ascella delle foglie, ogni verticillo neporta 2-3; i femminili, singoli, protetti da tre brattee,

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Juniperus sabina ‘Tamariscifolia’

JUNIPERUS OXYCEDRUS

all’ascella delle foglie. Frutto: galbula (pseudobacca ostrobilo bacciforme carno), globosa, di colore rossobru-no a maturità, lucida, o appena pruinosa, di 7-11 mm didiametro (di colore brunastro con sfumature violacee,pruinoso, untuoso al tatto, di 9 – 18 mm di diametronella sottospecie macrocarpa), contenente 3 semi dicolore bruno-rossastro, oblungo triangolari.La varietà nella forma delle foglie e del frutto, caratte-ristica comune del genere Juniperus, ha indotto i bota-nici ad individuare delle entità tassonomiche al di sottodella specie non sempre chiaramente interpretabili. Lasottospecie macrocarpa è stata a volte considerata comespecie a sé stante: J. macrocarpa (S. et S.) (Reheder,Dallimore); altre volte, come varietà della specie oxyce-drus (Fiori). Nell’ambito di J. oxycedrus, Franco Ama-ral, oltre alla sottospecie oxycedrus e macrocarpa, citala sottospecie, transtagana Franco, tipica del sud-ovestdel Portogallo, mentre Dallimore cita la varietàbrachyphylla Loret, tipica della Garonna francese.Inoltre, nell’ambito della sottospecie macrocarpa, èpossibile individuare una varietà lobelii Guss, caratte-rizzata dai frutti piriformi anziché giobosi.Allo stato naturale il ginepro ossicedro si riproduce perseme che germina generalmente, al secondo/terzo anno,dopo aver superato una lunga quiescenza endogena edesogena, quest’ultima dovuta alla presenza di un tegu-mento esterno del seme scarsamente permeabile all’ac-qua. Della produzione totale di semi solo il 30% si pre-senta normalmente formato, e di questo solo il 60% èvitale, mentre si riscontrano alte percentuali di semivuoti o fibrosi. Tra i trattamenti che favoriscono la ger-minazione dei semi di ginepro ossicedro si ricordano:una stratificazione in sabbia umida per 1 mese a 25°C esuccessivamente per 3 mesi a 5°C; una stratificazione insabbia umida per 13 mesi a 10°C (Pardos et al.).Quest’ultimo trattamento permette di portare a circal’80% l’umidità del seme e di superare, così, la quie-scenza esogena.Ponendo i semi sprovvisti di tegumento esterno, su unsubstrato Murashige-Skoog agarizzato ed addizionatodi acido gibberellico (GA³) (10mg/l) e mantenuto a10°C, si riesce a superare parzialmente la quiescenzaendogena e ad ottenere dopo 15 mesi un fusticino di 2cm (Pardos et al.). Sconsigliabili sono le scarificazionidel seme con acido solforico, in quanto ne riduconosensibilmente la vitalità.L’hatitus vegetativo di J. oxycedrus varia a seconda del-l’età e della presenza o meno delle immediate vicinan-ze di esemplari della medesima e/o di altre specie.Infatti, la forma delle piante giovani cresciute con moltospazio a disposizione, è tipicamente conica e caratteriz-zata da un asse centrale rivestito da corti rami, nellaparte terminale e da un affastellamento di rami più lun-ghi alla sua base. In esemplari adulti tale forma tende a

divenire più globosa ed espansa, con un certo equilibriotra le parti basali e quella terminale.Tale forma espansaè peculiare anche delle piante cresciute nella macchia astretto contatto con altre specie, dove lo spazio e larichiesta di luce sono i fattori limitanti la crescita. Nellezone ventose prossime al mare sono molto frequenti,inoltre le forme prostrate. L’accrescimento avvienenella parte medio-apicale di molti centri di crescita del-l’intera pianta, di conseguenza, tale specie è caratteriz-zata da ramificazioni molto folte e numerose, a volteimpenetrabili; le foglie, inoltre, permangono sui ramiper più di una stagione vegetativa.Trattandosi di speciespontanea di grande valore paesaggistico, geologico edecologico, ogni sfruttamento non sporatico, peraltroauspicabile in certe aree marginali, andrebbe regola-mentata da leggi regionali e gli eventuali programmi diutilizzazione degli Enti locali del settore agricolo. Lasottospecie macrocarpa, tipica dei litorali mediterraneie molto resistente alla salsedine, si presta molto bene adessere usata nel consolidamento delle dune costiere ecome essenza da frangivento per rimboschimenti retro-stanti.

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Juniperus chinensis ‘Stricta’

Il lentisco era noto nell’antichità per l’oleo-resina cheda esso si ricavava mediante incisioni sul tronco. Il pro-dotto dell’isola greca di Chios era il più rinomato per lenotevoli proprietà balsaniche.L’areale del lentisco è tipicamente quello costiero deipaesi che circondano il Mediterraneo. Di notevole inte-resse paesaggistico, produce drupe di color nerastro dacui si ricava per spremitura un olio destinato all’uso ali-mentare, per l’illuminazione e la preparazione di verni-ci. Dalle foglie può essere ottenuto, in buona percen-tuale il tannino.Il nome di Pistacia lentiscus deriva dal greco pistakia,sostantivo attribuito dai romani al pistacchio e dal lati-no lentescere che significa “divenire vischioso”. Infattinel mondo antico, la notorietà di tale specie era legataalla produzione del mastice di Chios. Dalle incisioniprovocate sulla corteccia di lentisco si ricava un liquidoe da questo un oleo-resina dalle proprietà balsamichedavvero notevoli. In tutta l’ Asia occidentale ed Europasud-orientale veniva, ed in parte viene tutt’ora usatocome profumo da bruciare, come aromatizzante deltabacco, nonché come tonico ed anticatarrale nella far-macopea popolare; le donne greche e musulmane eranosolite masticare tale mastice per profumare l’alito econservare denti bianchi.Il prodotto di Chios, l’isola dell’arcipelago egeo, era ilpiù ricercato per le sue caratteristiche superiori: aitempi della denominazione turca, la produzione più pre-giata era destinata al palazzo del sultano. La raccolta delmastice, in tempi più recenti, è stata persino regola-mentata: le incisioni potevano essere provocate solo ametà luglio ed a fine agosto; la raccolta del liquido che,ispessendosi man mano che fuoriesce, cade a terra sot-toforma di lamine o viene staccato dall’albero, andavadalla fine di luglio a non oltre la metà di novembre.Anche gli altri prodotti del lentisco venivano comune-mente utilizzati dagli antichi popoli mediterranei: gliElleni erano soliti cospargersi il corpo con olio di lenti-sco durante le gare atletiche, mentre le popolazioni del-l’impero romano consumavano i frutti alla stessa treguadel pistacchio o per insaporire le carni.Il suo arenale naturale comprende le zone più influenza-te dal clima mediterraneo. Il lentisco è elemento caratte-ristico dell’associazione vegetale dell’Oleo-Lentiscetum,propria delle stazioni più termofile dell’area mediterra-nea. Di tale associazione fanno parte altre specie moltodiffuse: l’oleastro, le filliree, i ginepri, la palma nana.Tuttavia, il lentisco è presente anche al di fuori del suoclimax, infatti si ritrova abbondantissimo anche in zonesublitoranee dove a volte forma macchie basse quasi inpurezza (Sardegna). Tale specie preferisce i suoli siliceima riesce a vegetare ed a fruttificare anche su suoli cal-carei; si trova diffuso dal livello del mare ad altezze che

difficilmente superano i 600-700 m., a queste altitudinicomincia ad essere sostituito dal terebinto.Arbusto sempreverde a portamento, di norma, cespu-glioso, di altezza variabile tra 0,50 e 2 m (frequenti leforme prostrate), talvolta piccolo albero che raggiunge i3-4 m di altezza.Ramificazioni tortuose, folte e robuste, a volte decu-benti, con corteccia glabra, di colore cinereo. Giovanirami glabri, di colore bruno-rossastro. Foglie alterne,paripennate, con picciolo alato, con 2-6 paia di foglioli-ne piccole, coriacee, oblungo-lanceolate, mucronate(20-40 mm x 8-15 mm). Fiori dioici, apetali, a gruppi di2-4 racemi ascellari verso l’estremità dei rami, i fiorimaschili hanno il calice diviso in 5 lobi triangolari, con5 stami; i fiori femminili hanno calice pentalobato, con3 stili. Ovario tricarpellare, uniloculare con un soloovulo. Frutto a drupa subglobosa, schiacciata a maturi-tà (4-5 mm) di colore rosso-scuro, quasi nero a maturi-tà, oleosa al tatto.Secondo A. Fiori esisterebbero 3 varietà distinguibilisoprattutto dalle dimensioni delle foglie: a) tipica, con 8-10 foglioline ovato-oblunghe, larghe 7-15 mm, con piccolo mucrone all’apice; b) massiliensis Mill: foglioline lineari-bislunghe, larghe4-7 mm, arbusto basso, drupa piccola;

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PISTACIA LENTISCUS

Pistacia lentiscus

c) latifolia Coss.: 4-8 foglioline oblungo-ovate, larghe24-45 mm, smarginate all’apice, drupa più grossa.Secondo P. Zangheri sono distinguibili una varietà lati-folia ed una var. angustifolia DC a foglie più corte e piùstrette che nella specie tipo. Sono altresì segnalate levarietà marginata Eng., falcatula Ch., e la var. chia,tipica dell’ isola di Chios. Da notare l’ibrido naturale P.lentiscus x P. terebinthus Sap. et Mar., segnalato in Ita-lia (Liguria occidentale e Sandegna). Al pari di altreessenze della macchia mediterranea, il lentisco si presta

ottimamente ad essere utilizzato come fronda recisa pervalorizzare le composizioni floreali (Lanteri 1984), co-me portinnesto del pistacchio (P. vera), soprattuttoquando si voglia trasformare un lentisceto naturale inpistacchieto, il suo uso negli impianti specializzati, co-munque, non trova molti fautori a causa dello scarsovigore indotto sull’oggetto e della non longevità del-l’impianto. Il modo migliore per propagare il pistacchiosul lentisco è l’innesto a gemma vegetante a primaverainoltrata, su soggetti giovani.

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Pistacia lentiscus

Pistacia lentiscus

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Fin dall’antichità il mirto è stata una delle piante piùamate dalle civiltà mediterranee. Appartiene alla fami-glia delle Mirtaceae: il suo areale naturale comprende ilbacino mediterraneo dove costituisce uno degli elemen-ti tipici della macchia.Il mirto riveste un valore ornamentale e viene sfruttatoanche per l’estrazione di essenze, in campo medicinalee nelle industrie alimentari.Tra le specie vegetali più conosciute ed amate dalleantiche civiltà mediterranee, il mirto occupa un posto diprimissimo piano. Nella antica Grecia tale specie eraconsacrata al culto di Venere, dea dell’amore, ed i popo-li ellenici usavano cingere il capo al vincitore dei giochielei con una corona di mirto. Anche il sostantivo“myrtus” sembra di origine greca: Myrsine, una ragaz-za invincibile nelle gare atletiche, fu trasformata daPallade nell’albero di mirto, per aver superato un gio-vane in una gara ginnica.Dall’Ellade a culto di Venere fu introdotto nell’anticaRoma e con esso anche il rispetto e l’uso sacro delmirto. La leggenda narra che, ai piedi del Campidoglio,dopo la pacificazione tra Romani e i Sabini, furonopiantati alberi di mirto a ricordo dello storico evento.Tale specie veniva usata largamente anche dal popoloper adornare giardini e ville, anche quando si andòaffievolendo la sacralità del culto di Venere. Ancoraoggi, tuttavia, in alcune zone della Germania il mirtoviene usato come pianta propiziatoria alle nozze, men-tre altri popoli nordici amano coltivarlo in ambientiriparati (Pavari, 1932).Anche la tradizione poetica non è rimasta insensibile alfascino di questa pianta: tra i primissimi e più noti poetisi ricorda Virgilio (“litora myrteti laetissima”). Lo stes-so Dante, nel Purgatorio, lo cita per mezzo del poetaromano Stazio. In seguito Goethe, il Monti eD’Annunzio lo ricordano nelle loro liriche più belle.“Tanto fu dolce mio vocale spirto, che, tolosano, a sé mitrasse Roma, dove mertai le tempie ornar di mirto”.Dante, “La Divina Commedia”, Purgatorio, Canto XXI,88-90.Il Myrtus communis L. appariene all’ordine Myrtalesdialipetale calicifiore come le Rosales e le Umbel-liferales; famiglia delle Myrtaceae, a cui appartengono75 generi e circa 3000 specie, si diffuse prevalentemen-te in zone subtropicali e/o temperate, quali SudAmerica, Australia, Europa meridionale ed Asia mino-re. Tale famiglia annovera numerosi generi e specie digrande interesse frutticolo ed ornamentale: Acca sello-wiana Berg. (fejoia); Psidium guajava L. (guava);Psidium cattleianum Sabine (strawbeyy guava);Eugenia uniflora L. (pitanga); Eugenia jambos L. (me-larosa): Eugenia myrtifolia Sims. (Australian brushcherry); Myrciaria cauliflora Berg. (jabotigaba);

Eugenia klotzshiana Berg. (pera do campo); Eucalyptusspp.; Callistemon spp. (Popenoe, 1934).Al genere Myrtus appartengono circa 100 specie sem-preverdi distribuite nelle regioni temperato-calde e sub-tropicali. Tra le più conosciute si ricordano: Myrtusugni Molina (Chilean guava), dai fiori bianchi con sfu-mature rosate, dal frutto color rosso porpora, edibilecon aroma e gusto molto piacevole, spontaneo nel Cile;M. tormentosa Aiton (downy myrtle) con fiori di colo-re rosa, dai frutti edibili di forma sferica, di colore nero;M. luma (sin. Eugenia apiculata DC) arbusto ornamen-tale con foglie ovali ed appuntite. Spontaneo in Cile;M. arayan HBK dal fogliame lucente e dal frutto rosso,spontaneo in Perù.L’areale naturale comprende le coste del Portogallo,della Spagna e della Francia meridionale, l’Italia medi-terranea, le coste della Jugoslavia, la quasi totalità dellaGrecia, le coste mediterranee della Turchia (dal Bosforoal golfo di Iskenderun), oltre a numerose stazioni dis-giunte sulle coste turche del mar Nero, in Israele,Libano, Iran (Zagros, Belucistan), Afganistan, Libia(Cirenaica), Tunisia, Algeria, Marocco, Madera edAzzorre.

Myrtus communis subsp tarentina

MYRTUS

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Anche il mirto è uno degli elementi tipici della “mac-chia mediterranea” e, talvolta, anche se più raramente dialtre specie (corbezzolo, lentisco), forma delle associa-zioni quasi pure. Lo si trova con più frequenza nellafascia calda dell’Oleo-lentisceto (Giacomini, 1959).In insediamenti prossimi alle coste marine è accompa-gnato da specie xerofile quali Rhamnus alaternus,Daphne gnidium, Cistus parviflorus (Vardar et al.,1973). Pur trattandosi di specie termofila, la crescitadella pianta e la produzione dei frutti sono favorite daposizioni ombreggiate (Hagiladi et al., 1981) con uncontenuto di umidità nel terreno pari al 30-40% involume; mentre la capacità di germinazione dei semiresta invariata (80%) sia in quelli prodotti in stazionicon alto contenuto di umidità nel terreno, che in quellaa scarso contenuto d’acqua (4-10%) (Vardar et al.,1973).Arbusto o piccolo albero sempreverde (0,5-3m), concorteccia rossastra, cinerina negli esemplari adulti, confenditure longitudinali.Ramificazioni numerose, sottili, assurgenti (espansenella var. romana).Giovani rami di colore rossastro. Se si prendono inesame la lunghezza, la larghezza e la forma delle foglie,risulta possibile individuare le seguenti sottospecie evarietà botaniche (Zangheri, 1976):1) foglie lunghe 20-25 mm, larghe 10-15 mm, formaovata-acuta: subsp. communis L. 2) foglie larghe 18-22mm, distribuiti in corti rametti, di forma ovatolanceola-ta: var. baetica L. 3) foglie larghe 30-35 mm, lungheanche 50-60 mm, di forma ovata, tipica dei luoghiombrosi: var. romana L. 4) foglie larghe 6-8 mm, diforma ovato-lanceolata: var. lusitanica L. 5) foglie lun-ghe non più di 20 mm, larghe 4-6 mm, ovali addensatee disposte su 4 file: subsp. tarentina L. Arcangeli. 6)foglie larghe 3-5 mm lanceolate: var. microphylla Wilke Lange. Caratteristiche comuni a tutte le sottospecie evarietà sono: picciolo brevissimo; disposizione oppo-sta; margine intero; di consistenza coriacea, lucentinella pagina superiore, opache in quella inferiore.Fiori solitari, ermafroditi, all’ascella delle foglie, dicolore bianco, talvolta con sfumature rosate, di formarosacea, con 5 petali obovati, portati da peduncoli sotti-li, di lunghezza variabile (8-25 mm), con stipole cadu-che, stami numerosi (circa 50) di colore bianco, conantere gialle, più lunghe dei petali; calice con 5 sepali diforma triangolare, liberi; ovario infero, carpello bilocu-lare con uno stilo.Forma: ovoidea (da subglobosa ad ovoidea nella var.baetica), dimensioni medie: altezza 9 mm, larghezza 10mm, spessore 10 mm; peduncolo: con evidenti resti delcalice fiorale; buccia: di colore viola scuro, pruinosasottile, facilmente separabile dalla polpa; polpa: di colore bianco crema, consistente, di sapore

acidulo ed astringente nei frutti non completamentematuri, aromatica con retrogusto resinoso in quellimaturi; semi: reniformi, in numero variabile (6-7), dicolore nocciola chiaro, lucenti, facilmente separabilidalla polpa. Interessante è la presenza di una varietà afrutti bianchi (M. communis L. var. leucocarpa DC)segnalata nella Francia meridionale, in Libano, in Siria(Trochain et al., 1973), con habitus fastigiato, fogliepiù grandi (30x10 mm), più nettamente acuminate, dicolore più chiaro verdegiallastro) rispetto alla varietà afrutto viola scuro. Il frutto è più grosso (12-14 mmx 9-10 mm) di forma globosa, con buccia bianca, legger-mente verdastra con, talvolta qualche macchia purpureaverso l’apice. Il frutto sormontato dai resti del calicenettamente visibili, il peduncolo è più corto. Tale varie-tà non manifesta nessuna specializzazione ecologica;vegeta, cioè, nelle stesse stazioni che ospitano M. com-munis L.Il portamento del M. communis è generalmente asur-gente. La varietà romana, tuttavia, si discosta piuttostonettamente da questo habitus per assumere uno espan-so. Ad ogni ripresa vegetativa si accrescono, general-

Myrtus pumila

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mente, le gemme formatesi nella parte terminale delgermoglio, per cui la restante parte mediobasale di assevegetativo conserva le sole foglie dell’anno precedente,le quali, una volta esaurito il proprio ciclo, cadono,lasciando spoglio il ramo. La vegetazione, quindi, èsempre presente nella parte terminale delle branche edei rami. Alcune branche, tuttavia, conservano rami obranche di ordine inferiore rivestite da germogli, sem-pre presenti nella loro porzione terminale.Nei casi in cui la pianta viene severamente danneggiatada incendi ed in caso di capitozzatura, dalla ceppaia sisviluppano numerosi e vigorosi succhioni che ben pre-sto ricostituiscono le impalcature soppresse.Tali nuovi assi vegetativi possono differenziare il fiorenella stessa prima stagione di crescita. In questi nuovigermogli molto frequentemente si nota, verso l’inizio dimaggio, l’arresto di crescita della gemma terminale,con conseguente sviluppo delle gemme sottostanti eveloce formazione della nuova struttura vegetativa. Ilgermogliamento avviene tra la fine di marzo ed i primidi aprile. Nelle stazioni più miti ed in concomitanza diinverni temperati, il risveglio vegetativo risulta antici-pato di 2-3 settimane. Nei primi di aprile, maggio e giu-gno l’accrescimento prosegue piuttosto intensamente.In estate, per le condizioni di aridità che caratterizzanotutto il bacino mediterraneo, il mirto cessa di accrescer-si. Agli inizi di settembre, soprattutto in annate caratte-rizzate da piogge autunnali anticipate, può verificarsiuna ripresa vegetativa, che interessa le parti distali deigermogli dell’anno (gemma terminale e gemme ascella-ri delle foglie distali). Tale nuovo accrescimento si pro-trae fino ai primi giorni di novembre. In seguito, conl’abbassarsi della temperatura, cessa ogni crescita dellaparte epigea.L’emissione dei peduncoli fiorali inizia verso la metà dimaggio, fa seguito la fioritura, che inizia a giugno e siprotrae per tutto luglio fino ai primi giorni di agosto. Ladifferenzazione a fiore, di notevole entità, avviene suirami dell’anno ancora in accrescimento ed interessasoprattutto le porzioni medio-basali. Molto interessan-te, in alcune annate, è la seconda fioritura autunnale(metà fine settembre) che avviene sulle porzioni apica-li dei germogli dell’anno.I frutti, dapprima verdi, invaiano alla fine di agosto-primi giorni di settembre colorandosi di rosso-violaceo.La maturazione dei frutti avviene in novembre-dicem-bre (4-5 mesi dopo la fioritura) e non è eccessivamentescalare sulla singola pianta. Trattandosi di specie spontanea di grande valore pae-saggistico, ma anche geologico ed ecologico, ognisfruttamento non sporadico, peraltro austicabile soprat-tutto in certe aree marginali, andrebbe regolarmentatoda leggi regionali e gli eventuali programmi di utilizza-zione impostati con la collaborazione degli Enti locali

del settore agricolo. Interessante è l’uso ornamentaledel M. communis, soprattutto della subsp. tarentina, cheben si presta ad ornare aiuole erbose e giardini.Particolari sono l’abbondante fioritura estiva, il porta-mento assurgente dell’arbusto e la bella colorazioneverso intenso del fogliame. Frequentemente usati sonola varietà tarentina ‘variegata’, con foglie a contornigiallastri, nonché il Myrtus luma a fiori bianco-rosati edil Myrtus ugni a fiori bianchi.

Myrtus communis ssp. tarentina ‘Microphylla’

Myrtus ralphii ‘Kathryn’

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La tipica definizione di paesaggio fornita dai dizionariè: l’insieme dei caratteri fisici e antropici di un territo-rio. Invero, il paesaggio è una realtà più complessa defi-nita da aspetti specifici: economici, sociali, produttivi,estetici ed ecologici. In particolare, il paesaggio agrarioè strettamente legato alle attività umane; in esso, infattisono forti i legami con il mondo del lavoro e con ledinamiche socio-economiche.Negli ultimi decenni il nostro Paese ha cambiato volto:il consumo di 100.000 ettari di suolo all’anno ha travol-to secoli di cultura e intaccato il valore economicoriconducibile agli usi agricoli e naturali del territorio.Lo scorso anno, Italia Nostra per festeggiare i suoi cin-quanta anni, ha lanciato la campagna per la protezionedel paesaggio agrario, che fu descritto magistralmentein Francia da Marc Bloch, agli inizi del secolo scorsonei suoi Caractères originauax de l’histoire rural fran-çais e da Emilio Sereni in Italia, nel testo del 1961, maancora attuale: Storia del paesaggio agrario italiano,edito da Laterza. Con il Progetto Paesaggio Agrario, Italia Nostra propo-ne di rinforzarne la tutela, sia recuperando le opportuni-tà economiche rappresentate dalle produzioni agricoletradizionali e dalla salvaguardia della biodiversità, sia

valorizzando gli effetti benefici del paesaggio sullasalute psico-fisica dell’uomo. Sono chiamati a confron-tarsi le istituzioni, le associazioni e gli studiosi per indi-viduare una definizione più ampia di paesaggio, a parti-re dalla convenzione europea del 2000, e dalle modali-tà di intervento sul territorio nel rispetto della storia,della natura e delle attività umane compatibili.Per avvicinare il lettore al dibattito apertosi, cerchere-mo di analizzare in breve alcuni aspetti della storia delpaesaggio agrario italiano, secondo l’approccio propo-sto da Bloch: “Miei cari amici, come sapete, sono pro-fessore di storia. Il passato costituisce la materia del mio insegnamento.Io vi narro battaglie cui non ho assistito, vi descrivopaesaggi scomparsi ben prima della mia nascita, viparlo di uomini che non ho mai visto. La situazione incui mi trovo è quella di tutti gli storici. Noi non abbia-mo una conoscenza immediata e personale degli avve-nimenti di un tempo, paragonabile a quella che il vostroprofessore di fisica ha, per esempio; dell’elettricità.Non sappiamo nulla, su di essi, se non per i raccontidegli uomini che li videro compiersi. Quando questi racconti ci mancano, la nostra ignoranzaè totale e senza rimedio. Tutti noi storici, i più grandi

Storia del paesaggio Agrario ItalianoTesto di Giovanni Aliotta - Ordinario di Botanica - Facoltà di Scienze, II Università di Napoli

Paesaggio rurale toscano

come i più piccoli, rassomigliamo a un povero fisicocieco e impotente che non fosse informato sui suoiesperimenti altro che dai resoconti dai suoi assistenti.Noi siamo dei giudici istruttori incaricati d’una vastainchiesta sul passato. Come i nostri confratelli delPalazzo di Giustizia, raccogliamo testimonianze conl’aiuto delle quali cerchiamo di ricostruire la realtà”.Fortunatamente, per ciò che concerne il paesaggio agra-rio, abbiamo una famosa ed accurata analisi da parte diEmilio Sereni, storico e politico, autore di una operacapace di dare il senso storico dei mutamenti del pae-saggio e di sottolinearne il contesto agronomico, eco-nomico e culturale in rapporto all’evoluzione dellevicende delle popolazioni, che nel corso dei secolihanno abitato la nostra Penisola. Dal debbio (bruciatura delle stoppie dopo la mietituraper migliorare un terreno) al maggese (campo lasciato ariposo per recuperare la ‘stanchezza’ del suolo), allacenturiazione romana, alle piantate vitate, alle sistema-zioni collinari fino alle opere irrigue. In particolare,Sereni evidenzia come la impostazione e la sistemazio-ne delle colline e dei pendii emerge dalla considerazio-ne elementare che la superficie agraria e forestale ita-liana si estende per il 41% in collina e per il 37% inmontagna.Pertanto, è importante sottolineare i pericoli dei disso-damenti inconsulti e delle sistemazioni inadeguate chefanno violenza alla natura in modo irreparabile, portan-do a gravi degradazioni del paesaggio e a gravissimidanni economici e sociali. Sereni descrive in modo effi-cace lo sviluppo del giardino mediterraneo nel Seicen-to: “Certo è che tra il XVII e XVIII secolo il paesaggiodel giardino mediterraneo continua ad allargarsi edassume già (specie in vicinanza dei centri urbani) formenon molto diverse da quelle odierne: con i suoi piccoliappezzamenti, con i suoi muretti, tra i quali corre l’in-trico delle viuzze incassate tra il biancheggiare dei muridi cinta sormontati dal lucido verde della fronda d’a-rancio.E dalle falde del Vesuvio alla Penisola Sorrentina, dalle

falde dell’ Etna alla Conca d’ Oro, un giro per questeviuzze ed uno sguardo alle date scritte sui cancellibasterà a convincere il lettore della parte che le pianta-gioni del XVI e XVII secolo hanno avuto nell’elabora-zione delle forme di questo paesaggio”. Sereni riporta letestimonianze più varie, dai pittori ai poeti, dagli agro-nomi agli storici e ottiene risultati efficaci.Un’altra testimonianza letteraria è fornita dalla letturadei Promessi Sposi, quando Renzo dopo aver a lungoperegrinato, torna alla sua vigna.“Viti, gelsi, frutti d’ogni sorte, tutto era stato strappato

alla peggio, o tagliato al piede. Si vedevano però anco-ra i vestigi dell’antica coltura: giovani tralci, in righespezzate, ma che pure segnavano la traccia de’ filaridesolati; qua e là, rimessiticci o getti di gelsi, di fichi, dipeschi, di ciliegi, di susini; ma anche questo si vedevasparso, soffogato, in mezzo a una nuova, varia e fittagenerazione, nata e cresciuta senza l’aiuto della mandell’uomo.Era una marmaglia d’ortiche, di felci, di logli, di grami-gne, di farinelli, d’avene salvatiche, d’amaranti verdi, diradicchielle, d’acetoselle, di panicastrelle e d’altrettalipiante; di quelle, voglio dire, di cui il contadino d’ognipaese ha fatto una gran classe a modo suo, denominan-dole erbacce, o qualcosa di simile. Era un guazzabuglio di steli, che facevano a soverchiar-si l’uno con l’altro nell’aria, o a passarsi avanti, stri-sciando sul terreno, a rubarsi in somma il posto per ogniverso; una confusione di foglie, di fiori, di frutti, dicento colori, di cento forme, di cento grandezze: spi-ghette, pannocchiette, ciocche, mazzetti, capolini bian-chi, rossi, gialli, azzurri. Tra questa marmaglia di pian-te ce n’era alcune di più rilevate e vistose, non peròmigliori, almeno la più parte: l’uva turca, più alta ditutte, co’ suoi rami allargati, rosseggianti, co’ suoi pom-posi foglioni verdecupi, alcuni già orlati di porpora, co’suoi grappoli ripiegati, guarniti di bacche paonazze albasso, più su di porporine, poi di verdi, e in cima di fio-rellini biancastri; il tasso barbasso, con le sue granfoglie lanose a terra, e lo stelo diritto all’aria, e le lun-ghe spighe sparse e come stellate di vivi fiori gialli:cardi, ispidi ne’ rami, nelle foglie, ne’ calici, donde usci-vano ciuffetti di fiori bianchi o porporini, ovvero sistaccavano, portati via dal vento, pennacchioli argenteie leggieri. Qui una quantità di vilucchioni arrampicati e avvoltatia’ nuovi rampolli d’un gelso, gli avevan tutti ricopertidelle lor foglie ciondoloni, e spenzolavano dalla cima diquelli le lor campanelle candide e molli: là una zuccasalvatica, co’ suoi chicchi vermigli, s’era avviticchiataai nuovi tralci d’una vite; la quale, cercato invano unpiù saldo sostegno, aveva attaccati a vicenda i suoiviticci a quella; e, mescolando i loro deboli steli e leloro foglie poco diverse, si tiravan giù, pure a vicenda,

Paesaggio laziale

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come accade spesso ai deboli che si prendon l’uno conl’altro per appoggio. Il rovo era per tutto; andava da una pianta all’altra, sali-va, scendeva, ripiegava i rami o gli stendeva, secondogli riuscisse; e, attraversato davanti al limitare stesso,pareva che fosse lì per contrastare il passo anche alpadrone (XXXIII Capitolo). E’ molto improbabile che ilcittadino moderno abbia familiarità con tutte le piantecitate da Manzoni. Infatti, nelle epoche successive esoprattutto nell’ultimo mezzo secolo, lo spazio urbaniz-zato è cresciuto vertiginosamente, divorando il territo-rio libero intorno, agricolo e non. Una conseguenza è che le città italiane mancano distrutture che consentano una facile lettura del paesag-gio. È stato calcolato che, dopo la seconda guerra mon-diale, mentre la popolazione italiana è cresciuta menodel 20 per cento, la superficie urbanizzata è decuplica-ta, è aumentata cioè quasi del 1.000 per cento. Moltisostengono che l’espansione urbana sarebbe ormai fini-ta. Non è vero. Nel decennio 1990 - 2000 la superficie agricola totaledell’Italia si è ridotta di oltre 3 milioni di ha, quantoLiguria e Piemonte messi insieme. In provincia diNapoli, 40 anni fa, la città occupava il 20 per centodello spazio complessivo, oggi occupa quasi il 60%.Con questi ritmi di cambiamento in 50 anni il paesaggioagrario italiano sarà ridotto del 50%. Importanti ambitieconomici in crescita come quelli delle produzioni agri-cole di qualità o del turismo non avranno un territoriosu cui svilupparsi, mentre i problemi legati alla salubri-tà, all’ecologia e alla difesa del suolo si acuiranno.Il paesaggio rurale è, dunque, al tempo stesso un bene

economico, ambientale ed estetico per la sua multifun-zionalità (agricoltura, alimenti di qualità, paesaggio,economia, ecologia, difesa del suolo, salute e cultura),ma è anche la forma visibile del territorio, il luogo dovela collettività vive. Quindi è oggetto di diritti individuali ma soprattutto diun diritto collettivo: non è un caso che la tutela del pae-saggio sia garantita dall’art. 9 della Costituzione. I pianipaesistici, salvo pochissime eccezioni, non hanno svol-to a sufficienza il loro compito di salvaguardia del pae-saggio. Tutto ciò impone di correre ai rimedi con unprovvedimento severo, come quello proposto da ItaliaNostra. Si tratta di una proposta di legge ad hoc per latutela del paesaggio agrario e di tutto il territorio nonurbanizzato (anche i boschi e le foreste, le praterie, ipascoli, le spiagge, le rocce nude, e così di seguito). Inbuona sostanza, obiettivo della legge è il contenimentodel territorio urbanizzato.La proposta di legge è formata da due soli articoli. Ilprimo prevede l’inserimento del territorio non urbaniz-zato nella lista dei beni tutelati dalla Legge Galasso del1985, oggi inclusi nel Codice del paesaggio. Il secondoarticolo riguarda invece il divieto di modificare il pae-saggio dei territori agrari o in prevalenti condizioni dinatura.La proposta è che nelle zone di campagna si possa inter-venire solo per la costruzione di impianti agricoli, vie-tando ogni altro tipo di edificazione, ricostruzione eampliamento di edifici che non siano direttamente con-nessi all’attività agricola, nel rispetto di precisi parame-tri in rapporto alla qualità e all’estensione delle colturepresenti sul territorio.

Azienda Petra Vitis vinifera

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Bolsena è una piacevole cittadina turistica situata inposizione strategica lungo la via Cassia, conosciutaoltre che per la sua millenaria storia e per il suo mera-viglioso lago vulcanico, anche per il miracolo eucaristi-co avvenuto nel 1263 che dette origine nella chiesa cat-tolica alla festa del Corpus Domini. Da diversi anniBolsena è anche conosciuta come città delle ortensiequasi a rimarcare, qualora ce ne fosse ancora bisogno,la vocazione particolare di questa zona ad accoglierenel suo terreno queste piante di rara bellezza nelle lorodiverse varietà. Le prime ortensie a Bolsena furono impiantate agli inizidel 900 su un tratto del lungolago in una zona chiamatala rotonda, erano tutte piante di varietà ‘Otaksa’ ‘OtaksaMostruosa’e ‘Nikko Blue’ la cui caratteristica comune èquella di produrre fiori di colore blu pur non essendotrattati con prodotti chimici. Questo fenomeno si spiegacon il fatto che il terreno di Bolsena, essendo di originevulcanica e con un ph 4,5- 5 è ricco di quegli elementiche fanno virare l’ortensia al blu. Essendo piante seco-lari queste ortensie danno una fioritura abbondante elunga facendo meravigliosamente da cornice alle limpi-dissime acque del lago. Successivamente le ortensiefurono piantumate in diverse aree della città stimolandocosì gli abitanti ad abbellire i loro giardini con qualchepianta di ortensia. Agli inizi degli anni 90, l’alloraAssociazione “Ascotur” - Associazione commercianti eoperatori Turistici, lanciò il progetto “Ortensi…amo lacitta” il cui obiettivo era la messa a dimora di migliaiadi piante in tutti i possibili luoghi pubblici. Già nellafase iniziale del progetto vennero piantumate ortensie inaltri tratti del lungolago, e con il passare degli anni ilbinomio ortensia-Bolsena si è indissulubilmente raffor-zato come dimostra la grande presenza di ortensie sianei giardini pubblici che in quelli privati, prendendoatto dello stretto legame tra ortensie e territorio,l’Amministrazione comunale fece suo il progetto ”or-tensi…amo la città” e continuò a piantumare ortensie acominciare proprio dal meraviglioso Viale Colesantiche dolcemente dalla città conduce al lungolago delimi-tato per tutta la sua lunghezza da platani secolari, furo-no impiatate circa 500 ortensie in 150 varietà, dalle piùcomuni alle più rare e insolite, quercifolia, paniculata,la rampicante anomala petiolaris ‘Merveille Sanguinè’‘Blaumaise’, la nana ‘Tovelit’, aspera, heteromalla,involucrata. Sono ormai migliaia le ortensie sul territo-rio di Bolsena che nel periodo di fioritura diventano unagrande attrazione per i turisti, in quanto conferisconi alpaesaggio una nota di colore di particolare effetto sce-

nico. Nel 1999 ci fu un cambio di amministrazione ma,l’attuale sindaco ing. Paolo Equitani, dopo un primoamore per le rose, decise di proseguire il progetto con-tinuando ad immettere ortensie, nuove varietà sul lun-golago e un abbinamento di ortensie e rose nel centrostorico creando così altri angoli meravigliosi a fiorituracontinua. Sul lungolago, di fronte al porto turistico sonostati creati una decina di cerchi di 4 metri di diametro,monovarietali con una diversificazione di varietà: arbo-rescens ‘Annabelle’ con i suoi bellissimi fiori bianchi,macrophylla ‘Merveille Sanguinè’ la pianta a fiorerosso più bella, ‘Love You Kiss’ con fiori bianchi scre-ziati di rosso, ‘Ayesha’ dai simpatici fiori che sembranodi cera e somigliano ai fiori del lillà; ‘Hanabi’ che igiapponesi chiamano fuochi d’artificio per i suoi fiorel-lini bianchi doppi a fioritura continua, la bellissima ser-rata ‘Blu Deckle’, e la piccola, ma grande nella suaspettacolare fioritura ‘Tovelit’. Successivamente al giàconsistente patrimonio di ortensie che trasformanoBolsena in un grande giardino fiorito, si è aggiunta,sempre sul lungolagola zona denominata “la Pineta” quisono state inserite altre varieta di ortensie in gruppomonovarietale: ‘Variegata’ una bellissima ortensia confoglie verdi variegate di crema ai bordi, ‘IhaMra-yae’ èuna cultivar giapponese purtroppo ancora poco cono-sciuta dal grande publico. Questa pianta ha un portamento maestoso e può rag-giungere i 2 metri di altezza, fiori bianchi doppi lace-caps, paniculata ‘Phanthom’ dai grandissimi fiori apaniculo di colore bianco. Sotto ogni pino è stata messauna pianta di Schizophragma hydrangedoides una ram-picante con fiori molto profumati. L’impatto visivo inquesta zona nel periodo di fioritura è da mozzafiato,colori e profumi diventano inebriante in particolarmodo al tramonto quando il sole color rosso riflette sulmeraviglioso lago blu.

Bolsena, dove per il verde pubblico impera l’ortensia

Testo di Mauro Di SortePresidente Associazione Amici delle Ortensie

Le ortensie del Lago di Bolsena