torsanlorenzo · La giornalista del Tg3 Lazio Dott.ssa Stefania Giacomini, coordinatrice...

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t o rsanl ore nzo Pubblicazione mensile del Consorzio Verde Torsanlorenzo Sommario P AESAGGISMO Il par co r egionale di Colfiorito 28 NEWS Corsi, mostre, libri 31 Foto di coper tina: L’ingresso del centro congressi dei Vivai Torsanlorenzo Autorizzazione del Tribunale di Velletri n. 15/2003 del 01.09.2003 Pubblicazione mensile del Consor zio Verde Torsanlor enzo Via Campo di Car ne, 51 00040 Tor San Lor enzo - Ardea (Roma) Tel. +39.06.91.01.90.05 Fax +39.06.91.01.16.02 http://www .vivaitorsanlor enzo.it e-mail: info@vivaitorsanlor enzo.it Anno 7 - numero 6 Giugno 2005 - Dif fusione gratuita Direttor e Editoriale: Mario Mar gheriti Direttore Responsabile: Giancarla Massi Comitato di Redazione: Silvana Scaldafer ri, Elisabetta Margheriti, Silvia Mar gheriti, Liana Margheriti Redazione: Via Campo di Car ne 51 00040 Tor San Lor enzo - Ardea (Roma) Tel. +39.06.91.01.90.05 Fax +39.06.91.01.16.02 e-mail: tslinfor ma@vivaitorsanlor enzo.it Realizzazione: Consorzio Verde Torsanlor enzo Antonella Capo Marco Veritiero Stampa: CSR S.r.l. Via di Pietralata 157, 00158 - Roma VEDE PUBBLICO Il Parco del Valentino 24 VIV AISMO L ’or tensia nel giardino giapponese 22 SPECIALE 7 MA GGIO 2005 Premio Internazionale Vivai Torsanlorenzo 2005” III Edizione, Tor San Lorenzo 7 maggio 2005 4 Tavola Rotonda: “la città nel bosco, non il bosco in città” 10 Rosa Maryam Al Noori 21

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torsanlorenzoPubblicazione mensile del Consorzio Verde Torsanlorenzo

Sommario

PAESAGGISMOIl parco regionale di Colfiorito 28

NEWSCorsi, mostre, libri 31Foto di copertina: L’ingresso del centro congressi dei Vivai

Torsanlorenzo

Autorizzazione del Tribunale di Velletri n. 15/2003 del 01.09.2003Pubblicazione mensile del Consorzio Verde TorsanlorenzoVia Campo di Carne, 5100040 Tor San Lorenzo - Ardea (Roma)Tel. +39.06.91.01.90.05Fax +39.06.91.01.16.02http://www.vivaitorsanlorenzo.ite-mail: [email protected]

Anno 7 - numero 6Giugno 2005 - Diffusione gratuita

Direttore Editoriale: Mario MargheritiDirettore Responsabile: Giancarla MassiComitato di Redazione: Silvana Scaldaferri, Elisabetta Margheriti,

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Realizzazione: Consorzio Verde TorsanlorenzoAntonella CapoMarco Veritiero

Stampa: CSR S.r.l.Via di Pietralata 157, 00158 - Roma VEDE PUBBLICO

Il Parco del Valentino 24

VIVAISMOL’ortensia nel giardino giapponese 22

SPECIALE 7 MAGGIO 2005Premio Internazionale Vivai Torsanlorenzo 2005”III Edizione, Tor San Lorenzo 7 maggio 2005 4

Tavola Rotonda: “la città nel bosco, non ilbosco in città” 10

Rosa Maryam Al Noori 21

7 Maggio 2005

“ P remio InternazionaleVivai To r s a n l o re n z o ”

Progetto e Tutela del Paesaggio

“ P remio Pre s t i g i o ”Vivai Torsanlorenzo per l’Ambiente

“ P remio InternazionaleVivai To r s a n l o re n z o ”

Progetto e Tutela del Paesaggio

7 maggio 2005

“ P remio Pre s t i g i o ”Vivai Torsanlorenzo per l’Ambiente

“ P remio InternazionaleVivai To r s a n l o renzo 2005”

Progetto e Tutela del PaesaggioIII Edizione

Tor San Lorenzo - 7 maggio 2005

di Stefania Giacomini - giornalista Tg3 Lazio

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“Il bosco in citta, non la città nel bosco”, tema provoca-tore e stimolante, ha vivacizzato la terza edizione del“Premio Internazionale Vivai Torsanlorenzo” e in effettiqueste parole hanno racchiuso la filosofia che ha anima-to tutta la manifestazione, di anno in anno sempre piùprestigiosa e seguita con interesse non solo dagli addettiai lavori ma da un pubblico più vasto. Ne sono una provaanche il messaggio del Presidente della RepubblicaCarlo Azeglio Ciampi che ha apprezzato i Vi v a iTorsanlorenzo per l’impegno in favore della tutela delpaesaggio e della valorizzazione degli spazi verdi e l’ar-ricchimento di altri enti patrocinanti, come la commis-sione nazionale italiana del-l’UNESCO e l’UIA,l’Unione Internazionale degli Architetti, che si sonoaggiunti ad altri 14 organismi nazionali ed internaziona-li, di categoria e varie istituzioni.

Occuparsi del verde e dell’ambiente non solo garantisceuna migliore qualità della vita ma può anche creareoccupazione, come evidenziato nella mia breve introdu-zione che ha anticipato il saluto di Mario Margheriti, l’i-deatore e promotore di questo premio.L’ imprenditore crede fermamente in questa filosofiatanto da riconoscere ad architetti paesaggisti e altriaddetti ai lavori la loro professionalità e devozione inquella che definirei “l’arte del verde”.E nello spirito di ricerca e valorizzazione di questa artee di una particolare sensibilità al recupero dell’ambientesi è svolta la tavola rotonda il cui tema è stato sempre “ilbosco in città e non la città nel bosco” sostenuto congrande convinzione dall’Assessore all’Ambiente delComune di Roma Dario Esposito. Molto costruttivi gliinterventi specializzati degli architetti, agronomi e stu-diosi del settore (Amedeo Schiattarella, Massimo deVico Fallani, Francesco Ghio, Giancarlo Ius, FrancoPirone, Riccardo Pisanti e prof. Giovanni Serra dellaScuola di Studi Universitari Sant’Anna di Pisa).Se la tavola rotonda è stato un momento di approfondi-mento sui temi dell’ambiente e del verde, non di meno il“Premio Prestigio” ha offerto al più ampio pubblicospunti di riflessione con il conferimento di riconosci-menti a personalità importanti e di grande valore nel set-tore.Una bella novità scoprire che a Dubai da anni lavora unasplendida signora dagli occhi neri Maryam Al Noori,un’imprenditrice di livello internazionale. Da tempo acapo di un’azienda simile all’Interflora dei Paesi Arabi.Per lei è stata realizzata una rosa rossa per gentile con-cessione di Paola Pagani che le è stata consegnata tracalorosi applausi.Ma la simpatica giovane donna si è talmente emoziona-ta tanto da ringraziare più volte gli organizzatori delpremio per il riconoscimento ottenuto e in particolareper la sorpresa di aver ricevuto un bellissimo fiore bre-vettato con il suo nome. A Mario Margheriti ha augura-to la protezione di Dio sulla sua attività futura.Ma il “Premio Prestigio” lo hanno ricevuto anche altre

La giornalista del Tg3 Lazio Dott.ssa Stefania Giacomini,coordinatrice dell’evento.

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personalità di fama mondiale come l’architetto belgaJacques Wirtz, maestro nell’aver realizzato così tantilavori dalle atmosfere straordinarie tali da essere consi-derati ormai punti di riferimento per chi si vuole oggiavvicinare al paesaggismo ma anche il presidentedell’Accademia dei Georgofili, Franco Scaramuzzi, hacontribuito allo sviluppo della politica del verde con unaapprofondita ricerca sul miglioramento genetico di alcu-ne piante legnose da frutto, e ancora il premio è andatoal turco Osman Develioglu, industriale e uomo d’affariche si è impegnato a migliorare la qualità della vita aisuoi cittadini sviluppando la cultura del verde. E poiancora al maltese Peter Calamatta junior che ha intuito ildesiderio di verde dei suoi connazionali ed ha divulgatola progettazione dei giardini mediterranei e che dire delconsigliere del sindaco di Istambul Necmi Kadioclu, cheha ricevuto il premio prestigio per aver cambiato il voltodella città. È sua l’idea di piantare due mlioni di alberiper rendere più confortevole la qualità della vita dellamegalopoli da 14 milioni di abitanti.Anche sua eccellenza Mons. Armando Brambilla dele-gato di Sua Santità Benedetto XVI per la pastorale sani-taria per la Diocesi Regionale e di Roma e responsabilenazionale delle confraternite, che ha ricevuto un premiospeciale, ha invitato il promotore dell’iniziativa a conti-nuare su questa strada visto che il culto dell’armonia, delverde e soprattutto della qualità della vita, avvicina sem-pre di più a Dio.Le altre sezioni dei premi in particolare quelle riguar-danti la progettazione paesaggistica nella trasformazionedel territorio, i giardini e i parchi privati urbani e subur-bani nonchè la cultura del verde urbano hanno vistoassegnare da una giuria internazionale altamente qualifi-cata riconoscimenti e menzioni a professionisti prove-nienti da molti Paesi stranieri: dalla Germania al Cile eal Sudafrica.Ciò che mi ha particolarmente colpito è la partecipazio-ne di giovani architetti paesaggisti: segno che a questosettore si è più attenti rispetto al passato e che si sta svi-luppando anche tra le giovani generazioni la cultura delrispetto dell’ambiente e della sua riqualificazione.Un premio unico nel suo genere che è arrivato alla terzaedizione grazie alla tenacia di Mario Margheriti e di tuttoil suo staff. Ha il merito di sensibilizzare tutta l’opinio-ne pubblica al culto dell’armonia e del bello ed è proprioper questo motivo che l’evento ha voluto fare menzioneanche di programmi televisivi che trattano questi argo-menti: la targa “Greenmedia” è andata a ’Tg3.Agri3’rubrica giornalistica di approfondimento sull’agricolturain collaborazione con il ministero delle politiche agrico-le e forestali, e al canale Alice tv di Sky.Da giornalista non posso che essere orgolgiosa di questicontributi preziosi dei miei colleghi e sono stata lusinga-ta di aver fatto parte per la seconda volta alla riuscita del-l’evento.

Nelle pagine successive :1 Ingresso dello spazio convegni vivaio. 2 sculture per leonoreficenze Premio Prestigio. 3 targhe destinate al PremioInternazionale Vivai Torsanlorenzo. 4 Mario Margheriti,Giancarla Massi, Mons. Armando Brambilla. 5 gruppo diarchitetti paesagisti con Mario e Giuliana Margheriti. 6 - 12angoli in fiore del vivaio. 7 il Sindaco di Ardea Carlo Eufemicon Giovanni Li Volti. 8 Poste Italiane, per l’annullo postale.9 Arch. paesaggista Sachimine Masui. 10 accoglienza ospiti.11 l’allestimento dei progetti in serra. 13 Mario Margheriticon la D.ssa Carmelita Russo. 14 Attilio Margheriti incontraMons. Armando Brambilla. 15 Laura e Giampiero Petiet conil loro bimbo. 16 Silvia Margheriti con sua figlia Virginia. 17Arch. paesaggista Jaques Wirtz con un suo assistente. 18 duegentili ospiti. 1 9 D.ssa Stefania Giacomini. 2 0 S i l v i a ,Elisabetta e Liana Margheriti. 21 Mons. Armando Brambilla,Mario Margheriti e Arch. Jaco Jordaan del progetto Big Bay.22 Arch. Giancarlo Ius. 23 progetto vincitore del premiosezione “A”. 2 4 A rch. Laura Mascari n o , A rch. SandraMicale, Dott. Roberto Ortolani, Arch. Corrado Martini,Mons. Armando Brambilla. 25 - 36 - 38 vari ospiti durante lapremiazione. 26 Mario Margheriti, Arch. Nunzio Dego, Dott.Agr. Giuseppina Rabotti, Dott. Agr. Giancarlo Pisanti. 27Arch. Giancarlo Fantilli riceve il premio consegnato dall’A rch. Jaques Wi rtz. 2 8 D.ssa Paola Ta l à , E l i s ab e t t aMargheriti. 29 Paesaggista Paola Muscari, Arch. AlessandroDel Zotto, Arch. Carlo Bruschi. 30 Arch. Francesco JaquesD i a s , Silvia Marg h e ri t i , A rch. Niccolò Cau. 3 1 M a ri oMargheriti saluta gli ospiti. 32 Mario Margheriti, Arch.Christof Luz. 33 il Sindaco di Ardea Carlo Eufemi. 34 pro-getto vincitore del primo premio sezione “B”. 35 D.ssaStefania Giacomini, Silvana Scaldaferri. 37 angolo in fiore.39 Maryam Al Noori riceve il Premio Prestigio e la rosa a leidedicata. 40 Mario Margheriti, Osman Develioglu, il sinda-co di Ardea Carlo Eufemi. 41 Mario Margheriti, Arch.Jaques Wirtz, Arch. Giancarlo Ius. 42 Mohamed Al Noori,Mario Margheriti, Maryam Al Noori, Silvia, Elisabetta,L i a n a , Giuliana Marg h e ri t i , G i a n c a rla Massi. 4 3 M a ri oMargheriti, D.ssa Paola Sangalli, Miro Mati. 44 scultura inalabastro, riconoscimento del Premio Prestigio. 45 MarioMargheriti, Arch. Peter V. Calamatta, Dott. Arturo Croci. 46D.ssa Stefania Giacomini, Mario Margheriti, Prof. FrancoScaramuzzi, Prof. Giovanni Serra. 47 Mario Margheriti,D.ssa Francesca Topi, Liana Margheriti. 48 Ahmet Bagce,Mario Margheriti. 49 - 55 un angolo con le rose Maryam AlNoori e una rosa in paricolare. 50 Mario Margheriti, D.ssaStefania Giacomini, Erika Pignatti. 51 un angolo in fiore. 52D.ssa Stefania Giacomini, Cav. Riccardo Panci, Cav. MauroTongiorgi. 53 sala convegni, un momento della premiazione.5 4 D.ssa Stefania Giacomini, M a rio Marg h e ri t i , D o t t .Vincenzo Perone, Elisabetta Margheriti. 56 Mons. ArmandoBrambilla. 57 - 61 - 62 - 66 - 68 - 69 - 70 - 73 - 75 - 76 cola-zione e mostra dei progetti in serra. 58 - 65 - 72 - 77 parte delbuffet. 60 Maryam Al Noori con la bimba Virginia. 61 MiroMati, Prof. Franco Scaramuzzi, Arch. Arianna Bechini. 64Dott. Arturo Croci, Luciano Rosati e Marco Consalvi. 67 dalbasso Mohamed e Maryam Al Noori, Ahmet Bagce, GuyIsourd. 71 gruppo hostess. 74 Chef dei vivai FrancescoCapogrossi e Federico Cavese. 78 rose Maryam Al Noori.

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TAVOLA ROTONDA

Il bosco in città, non la città nel bosco.Tor San Lorenzo - 7 maggio 2005

Interventi dei relatori

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A rch. Franco Pirone, Segretario nazionale dell’AIAPP(Associazione Italiana di A rchitettura del Paesaggio)

La maggior parte dei paesi occidentali, negli ultimi duesecoli è stata protagonista del fenomeno del trasferi-mento di grandi quantità di popolazione dalla campa-gna alla città. Una delle conseguenze è stata la perditadel rapporto diretto tra l’uomo e la natura: al giornod’oggi la maggior parte degli individui vive in areedove il verde è carente, mentre prima succedeva l’esat-to contrario: la popolazione era distribuita uniforme-mente in agglomerati urbani immersi nella natura: la“città nel bosco” per quanto riguarda le nostre metro-poli è poco più di un pallido ricordo.Questo fenomeno è ormai irreversibile; sarebbe impen-sabile soprattutto in Italia, pensare a una redistribuzio-ne omogenea della popolazione in un territorio ormaicompromesso da una crescita urbanistica spesso disor-dinata, quindi quello che ci resta da fare, parafrasandola seconda parte del titolo della tavola rotonda, è pen-sare a come ottenere una forte presenza della naturaall’interno del nucleo urbano: “il bosco in città”a p p u n t o .Questo termine deriva da un ormai famoso parco rea-lizzato a Milano più di 30 anni fa su iniziativa di ItaliaNostra. I lavori di realizzazione ebbero inizio il 15Marzo 1974, grazie all’offerta da parte della Forestaledi 30.000 piantine. Tre anni più tardi, nel 1977, sorse ilComitato Amici Del Bosco, per la raccolta di fondidestinati alla gestione del parco, fino a quel momentoesclusivamente a carico di Italia Nostra.Il B o s c o i n c i t t à, negli anni progressivamente ampliato edotato di parcheggi, copre oggi complessivamente unasuperficie di 800.000 mq. È un parco atipico, nel qualela parte boschiva, è nettamenete prevalente rispetto aquella “a prati”. È inoltre ricco d’acqua, percorso inlungo e in largo da diversi fontanili che si intreccianofino a formare un piccolo lago, dotato di rigogliosavegetazione e abbondante fauna. Nella fascia più ester-na del Bosco, contraddistinta da radure aperte, si trova-no anche dei vivai e gli o rti del tempo libero, aree a col-tivazione guidata assegnate per sorteggio.Il punto centrale di riferimento è l’antica Cascina SanRomano, un centro di documentazione e di ricerca,munito di una biblioteca verde. Vi si organizzano atti-vità didattiche e di volontariato, ma è anche un punto di

ristoro e di svago, utilizzabile per manifestazioni divario tipo.Parallelamente a questa esperienza, altre grandi cittàRoma compresa, ha perseguito e raggiunto gli obbietti-vi dettati da standard urbanistici peraltro ormai vecchie superati (i famosi, o meglio famigerati 9 mq di verdeper abitante). Un diverso e migliore approccio alla pia-nificazione urbanistica ha prodotto la nascita di nuoviquartieri periferici ricchi di aree verdi; vorrei ricordarea proposito la battuta di Nanni Moretti nel film “Carodiario” quando in sella alla sua inseparabile vespa sireca a Spinaceto rimanendo piacevolmente sorpreso dicome appariva questo quartiere popolare nella periferiasud di Roma: c’erano si grandi palazzi, ma sempre cir-condati da ampie distese di aree a verde attrezzato, uni-formemente distribuite in tutto il quartiere.Detto questo, non è pensabile ricercare grandi spaziall’interno delle nostre città nei quali perpetrare l’espe-rienza felice di “Boscoincittà”, poichè di questi spazice ne sono ben pochi; dobbiamo viceversa sfruttare almeglio i piccoli spazi che fanno parte del nostro patri-monio ma sono mal risolti (giardini, piazze).Dovremmo cioè pensare al verde in termini qualitativi,e non quantitativi.Ritengo quindi che il vero obbiettivo sia quello di per-seguire l’ottenimento di un “sistema del verde”, grazieal quale i cittadini hanno non solo grandi parchi distan-ti magari un’ora da casa, ma anche una serie articolatadi aree in prossimità delle abitazioni, ciascuna con pro-prie destinazioni funzionali, fruibili a seconda dellediverse esigenze della giornata: una breve passeggiataun po’ di footing etc.Quindi, dando per scontato che le grandi metropolihanno un tessuto urbano intasato, che non permetteinterventi di “forestazione urbana”, se l’obbiettivo equello di portare la natura all’interno delle città, ènecessario che la pubblica amministrazione sappiasfruttare tutte le potenzialità degli spazi esistenti all’in-terno delle città, predisponendo appositi interventi diprogettazione e riqualificazione.Grazie alla corretta progettazione, anche un’area di pic-cole-medie dimensioni può dare ai cittadini la sensa-zione di avere un pezzo di natura vicino casa. E invecespesso la progettazione di queste aree è fatta di preva-lenti spazi a prato, qualche alberatura, e molte areepavimentate. Si spendono soldi in impianti di irrigazio-

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ne che nel giro di pochi mesi smettono di funzionare, eil risultato è lo spettacolo desolante di prati spelacchia-ti, pochissimi cespugli e qualche albero. In questesituazioni chi sta seduto su una panchina, ha la nettasensazione di trovarsi non immerso nella natura, bensìnel bel mezzo del traff i c o .È necessario invece creare un adeguato riparo e filtro alt r a ffico veicolare circostante. Basterebbe adottare crite-ri diversi di progettazione, aumentando le aree a cespu-gli, prevedendo siepi fitte che creano delle vere e pro-prie barriere sia visive, ma anche acustiche, al traff i c ocircostante. Spesso si giustifica la mancata realizzazio-ne di queste barriere con problemi di sicurezza, ma sipotrebbe rispondere facilmente che queste scelte pro-gettuali sono comunemente adottate senza problemi inaltri paesi europei, per esempio Francia e Spagna.Anche la scelta della vegetazione deve seguire dei cri-teri diversi rispetto al passato, non più alberature con-siderate come arredo e ornamento, bensì degli elemen-ti fondamentali allo sviluppo della città. A monte ditutto ciò è necessario un vero e proprio piano del verdeche dia le linee guida per un corretto approccio allaprogettazione, e naturalmente servono dei professioni-sti che abbiano le necessarie competenze disciplinaridal campo naturalistico-ambientale a quello architetto-nico e storico-culturale. E’ utile sottolineare quanto siaimportante tra l’altro la corretta scelta delle varietà edei sesti di impianto di alberi, arbusti ed erbacee, alfine di garantire una crescita sana della vegetazione.

Dobbiamo anche sfruttare le risorse naturali esistentiall’interno della città: penso, nel caso di Roma, alfiume Tevere, che attraversa la città da nord a sud, maè fondamentalmente percepito come un elemento nega-tivo, che divide in due la città e che solo sporadica-mente è sfruttato per alcune manifestazioni, tipo“ Tevere expò”. E invece, grazie alla presenza di unafitta cintura di platani, le banchine del fiume, adeguata-mente piantumate arredate e attrezzate con viali pedo-nali e piste ciclabili, potrebbero soddisfare il bisogno diaree verdi all’interno del centro storico, o addiritturarappresentare un sistema alternativo di spostamentoall’interno del centro storico e dei quartieri limitrofi.Ma il problema del “Bosco in città” può essere aff r o n-tato anche da un’altra ottica: quella che definirei dellanuova cultura del verde.Fino a meno di un secolo fa, un filo rosso legava l’uo-mo alla terra, agli animali, alla natura tutta, in una per-fetta sintonia, in una straordinaria simbiosi ed in unaeccezionale armonia di intenti. Purtroppo le generazio-ni che ci hanno preceduto, nel lento e inesorabile pro-cesso che ha spinto grandi masse di popolazione a emi-grare dalla campagna alla città, hanno subito un vero eproprio sradicamento da tutto ciò. Ora invece abbiamoa che fare con le nuove generazioni che in molti casiconoscono poco e male il significato del vivere a diret-to contatto con la natura. Con questo non voglio direche le nuove generazioni non sentono questa necessità,dico solo che bisogna anche predisporre degli strumen-

Un momento della tavola rotonda tenutasi presso la sede convegnistica dei Vivai Torsanlorenzo il 7 maggio 2005.

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t i che aiutino a diffondere una cultura del verde tra i cit-tadini, a far conoscere quali sono i vantaggi del viverea contatto con la natura nel rispetto delle sue peculiari-tà. Per questo sia la scuola, di ogni ordine e grado, e imass media e manifestazioni come questa di oggi pos-sono dare un importante contributo.

A rch. Massimo de Vico Fallani, Dire t t o re del Serv z i oper la Conservazione dei Parchi e Giardini dellaSoprintendenza A rcheologica di Roma

Il bosco in città – il caso delle alberate - aspetti stori -c o - p a e s a g g i s t i c iI diversi tipi di alberate che oggi adornano le nostrecittà, come i giardini pubblici, rivestono un importanteruolo sotto il profilo storico, e come tipologia di verdepubblico trovano la loro origine e la loro necessità fun-zionale nelle diverse fasi storiche che ne motivarono lanascita.Il modello dell’alberata a filari disposti regolarmentelungo i lati di un percorso fu la risposta alla necessitàdi ombreggiare e consolidare le strade di campagna e,come margine visivo, a quella della configurazione delterritorio. In epoca barocca, i filari di alberi venneronobilitati con l’uso nei grandi parchi principeschi, e diqui, dove dimostrarono di essere un fattore scenografi-co di grande vigore, impiegati nelle vie urbane comestrumento del fasto ufficiale, spesso proprio in occasio-ne dell’allestimento di apparati celebrativi. Si pensialle alberate di Roma fatte realizzare da A l e s s a n d r oChigi a partire dal 1656 dall’Arco di Costantino a S.Gregorio, da S. Croce in Gerusalemme a S. MariaMaggiore, da S. Giovanni a S. Maria Maggiore, nellapiazza di quest’ultima e lungo la Nomentana e la Via diPorta Angelica, e in particolare quella del CampoVaccino allestita lungo il viale che da Paolo III nel1536 era stato realizzato per l’ingresso trionfale diCarlo V.Nel XVIII secolo i Sovrani d’Europa, nel mutato climapolitico e sociale del nuovo clima illuminista, usaronole alberate in filari come struttura portante del nuovotipo delle cosiddette passeggiate pubbliche, sulla scor-ta di precedenti esempi come il St. James Park diLondra o il Cours de la Reine a Parigi, o recuperandoimpianti preesistenti come le Cascine a Firenze, o conrealizzazioni appositamente progettate e realizzatecome la Passeggiata reale di Chiaia a Napoli, voluta daCarlo III di Borbone e disegnata da Carlo Va n v i t e l l i .Forse ancora con un occhio alla grandiosità dei parchireali del XVII e XVIII secolo, nati sotto la suggestionedi Versailles, lo spirito ordinatore e abbellitore dei fran-cesi napoleonici strutturò in sistema le alberate, incer-nierando i filari per mezzo di esedre e di rondò e dandovita ad un raffinato e maneggevole strumento figurati-

vo in grado di dare ordine e disegno anche a situazionicaotiche sotto il profilo urbanistico come quella esem-plare dell’area archeologica centrale di Roma, comedimostra l’incredibile progetto del Jardin du Capitoleredatto dal Berthault, architetto fiduciario diNapoleone, per l’abbellimento di Roma, seconda cittàimperiale del nuovo impero francese. Progetto mai rea-lizzato, ma che lasciò traccia concreta nel Parco delCelio, costruito dopo la caduta dell’impero napoleoni-co su progetto di Giuseppe Camporesi sotto i Papi PioVII e Gregorio XVI, oggi distrutto, e che fu per laRoma di allora il secondo grande giardino urbano dopoil Pincio. Altra eco dei progetti francesi si avverte nellaPasseggiata di Ripetta, attribuibile a Pietro Camporesiil giovane, che potrebbe averla disegnata attorno al1845, anno del suo progetto per il palazzo Camerale-Accademia di Belle Arti voluto da Gregorio XVI, e chefa pensare al precedente piano di una olmata lungo ilTevere tra il ponte Sant’Angelo e il porto di Ripetta,ordinata dal Governatore Generale napoleonicoMiollis, ma rimasto poi sulla carta.Uno spirito, quello francese, ben diverso dall’altro cheanimò l’attività di Monsignor Nicola Maria Nicolai,Presidente delle Strade e Acque dal 1819 al 1823, cui sidebbono le piantate del piazzale delle Terme diDiocleziano e quella dei Cappuccini, secondo il quale:«... sarebbe desiderabile, che nel formare i contratti dirinnovazione, e manutenzione delle strade nazionali eprovinciali, adjacenti ai fondi rustici si stabilisse col-l’impresario delle medesime l’obbligo di vestire e man-tenere di olmi, e morocelsi tutte le strade, come ho ese-guito nelle strade nazionali adiacenti alle terre pontine:e se nell’epoca della mia Presidenza delle strade nonfossero stati pendenti li contratti di manutenzione conmolti impresarj ... avrei in occasione di rinnovazionistabilita questa generale arborizzazione tanto vantag-giosa specialmente per la buon’aria, e per comodo deipasseggeri...». Come si vede, uno spirito ambientalistaante litteram, a sua volta diverso da quello con il qualePio IX, dopo le distruzioni seguite agli eventi bellicidella Repubblica Romana nel 1848, fa ripiantare tuttele alberate quasi completamente distrutte della futuracapitale del regno d’Italia.L’evento fatale della rivoluzione industriale che nellaprima metà dell’Ottocento crea il profondo spartiacquetra mondo antico e mondo moderno mette in crisi ilmodello delle alberate. Alberi e automobili non sonocompatibili come per oltre un millennio furono tra lorocarri e alberi: in via Nazionale a Roma i filari di ligu-stri sono le prime vittime annunciate della nuova era;vengono continuamente danneggiati, e dopo due o tretentativi di ripiantumazione saranno definitivamentee l i m i n a t i .Ciò di cui ora le masse di ex contadini, inurbati comeoperai, hanno bisogno, è piuttosto un sostituto più o

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meno credibile della natura: è il giardino pubblico,luogo ubertoso e alberato, spazio configurato bidimen-sionale e recinto dove si può entrare, stare e passeggia-re sottraendosi per poco tempo al disgusto della nuovacittà rozzamente industrializzata (pensiamo alle descri-zioni di Dickens). Simulacro succedaneo di quella terramadre che per il popolo sarebbe stata a lungo un sognoperduto, il giardino pubblico è comunque la rispostafunzionale alla necessità di verde della città industriale.I filari d’alberi perdono l’identità che li aveva caratte-rizzati fino ad allora. Le piantate che fiancheggiano lestrade dei nuovi quartieri costruiti in Italia durante laseconda metà dell’Ottocento potrebbero far pensare ilcontrario, ma in sostanza non fu così. In realtà quellealberate, con un sesto ridotto, mal assortite, troppo vici-ne ai fabbricati , erano tuttavia il mezzo più usato perfar dimenticare che quei quartieri mancavano di luce,fogne, e spesso addirittura di acqua. L’eccessiva bramadel profitto e la mancanza di cultura orticola impediva-no spesso, a quei tecnici della fine dell’Ottocento, dicapire quanta cura richiedesse quel delicato meccani-smo vivente di riqualificazione ambientale.Ecco cosa pensava Camillo Sitte di quelle asfittichealberate ottocentesche:«Quale costo d’impianto e di manutenzione per questiviali alberati! Le povere piante sono già di per sé sem-pre malate, deboli alle radici a causa dell’acqua rista-gnante nel sottosuolo, deboli alla chioma per la polve-re della strada ... La sostituzione degli alberi morenti si

rende necessaria in misura molto maggiore ... La conti-nua fornitura di piante nuove rientra nel novero dellespese ordinarie del giardiniere municipale, ma cheaspetto triste presenta questo lazzaretto di alberi: inautunno sono i primi a perdere le foglie precocementeappassite: di fogliame fresco e sano non ne mostranomai. A Berlino e a Vienna i frequenti trapianti e le ope-razioni per migliorare le sedi delle radici sono giàcostati ingenti somme...».Questo anticipatorio brano del Sitte porta alla nostraattenzione aspetti che mutano la considerazione com-plessiva del problema così dolorosamente attuale per icrolli e gli schianti di alberi cittadini. Un qualsiasi albe-ro è soltanto la metà apparente dell’intero individuovegetale, che in condizioni ambientali sane, sviluppauna struttura ipogea formalmente e dimensionalmenteomologa a quella epigea. Ma la situazione degli alberiin città è tutt’altro che sana, e questi troppo spesso stra-mazzano a terra anche per sollecitazioni modeste oaddirittura senza motivo apparente. L’esame direttodelle piante cadute svela che nella maggioranza dei casiil crollo non avviene per cedimento del fusto, ma perrotazione di questo sulle radici. Queste si mostranonumerosissime, sottili e poco estese in lunghezza, percui non hanno sufficiente presa nel terreno, o, se resi-stono alla trazione indotta dalle sollecitazioni esterne,cedono con facilità allo strappo. Molto dipende dallesfavorevoli condizioni ambientali e dalla provenienzadai vivai. La preparazione delle piante per il commer-

Mario Margheriti, Dott. Agr. Riccardo Pisanti, Arch. Franco Pirone, Arch. Silvio Riccobelli, Arch. Amedeo Schiattarella,Arch. Massimo de Vico Fallani, Dott. Dario Esposito

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cio avviene con ripetute riduzioni delle radici e la rese-zione finale del fittone per la formazione della zolla,operazioni generalmente eseguite a regola d’arte daivivaisti . Ma nonostante la ripresa che avverrà dopo laposa a dimora definitiva, queste piante porteranno alungo qualche segno di queste mutilazioni iniziali purnecessarie per il trapianto. Il ritorno alle condizioninaturali, sempre lento, è indirettamente proporzionaleall’età dell’albero e alle condizioni ambientali. Unapianta giovane in un giardino, dove la terra é lavorata econcimata, avrà una ripresa vigorosa. Un albero in cittàrimarrà fermo per molto tempo prima di iniziare unaripresa comunque lenta, soprattutto se piantato giàgrande in ossequio al cosiddetto “pronto effetto” utiliz-zato nel verde pubblico, attorno agli anni trenta, e dive-nuto poi quasi regola a partire dagli anni sessanta. Bastiguardare gli stentati e brutti pini di via di San Gregorio,Piantati nel 1939 di oltre dieci metri per fiancheggiareil tratto iniziale della via Imperiale. Almeno fino aglianni cinquanta le alberature stradali si realizzavano perlo più utilizzando piante molto giovani. Si vedevano,allora, quelle gentili griglie in ferro di protezione checon il loro aspetto rassicurante annunciavano la prote-zione dell’alberello. I vecchi giardinieri dicevano: «Sevuoi grande, pianta piccolo»; e ancora: «Ogni pianta èbella quando è sana». Gli studi sulla fisiologia deglio rganismi vegetali hanno confermato questa aff e r m a-zione mostrando una curva di crescita che si impennanei primi venti anni di vita per appiattirsi poi rapida-

mente. Perché non tornare ad utilizzare piante più gio-vani, predisponendo un semplice ma efficiente piano diispezione e di rinnovo che permetta di agire in pre-e m e rgenza, riducendo i rischi di futuri crolli?Sull’orizzonte dell’uso prevalente dei filari in cittàl’Ottocento produce alcune emergenze di un alto valo-re artistico, che anticipano il modello del parco lineare.Il Viale dei Colli a Firenze, progettato nel 1865 daGiuseppe Poggi e da Attilio Pucci, un architetto e ingiardiniere, è la messa in scena del paesaggio fiorenti-no: un viale serpentino che sale verso san Miniato fian-cheggiato da una serie di settori monospecifici di albe-ri che ne variano continuamente l’aspetto, aprendosi incorrispondenza di punti di vista accuratamente studiati,modello per la romana passeggiata del Gianicolo.Anche le diverse proposte del 1886 per il viale d’ac-cesso alla sognata Passeggiata Flaminia, disegnate daAlessandro Viviani, Mario Moretti (autore del progettoper il Gianicolo), dal gruppo composto da FrancescoAzzurri, Gaetano Koch, Francesco Vespignani e CarloTenerani; viale che doveva introdurre la grandiosa areaa verde già completamente espropriata e mai realizzataa causa dell’acquisizione di Villa Borghese, e cheecheggiava la precedente villa Napoleone, o nuovoCampo Marzio, con i progetti dei primi del secolo delVa l a d i e r, del Camporesi, dello Stern, va considerata traqueste emergenze di elevato valore paesaggistico.Il recupero e la sistemazione monumentale dell’AppiaAntica, da un’idea dei primi dell’Ottocento di A n t o n i o

Prof. Giovanni Serra, Arch. Amedeo Schiattarella, Arch. Massimo de Vico Fallani, Dott. Dario Esposito, Prof. FrancescoGhio, Arch. Giancarlo Ius

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Canova e realizzata nella metà dell’Ottocento da LuigiCanina, si risolve in un grandioso museo all’aria aper-ta e nell’apoteosi della campagna romana. I resti mar-morei dei sepolcri, riassemblati su vele murarie erettenei siti stessi del ritrovamento, si alternano pittoresca-mente alle piantate irregolari di pini e cipressi, iniziateda Rodolfo Lanciani e da Giacomo Boni, e proseguitein gran parte, con squisito intento paesaggistico, daAntonio Münoz, il quale dice al proposito:“Preoccupandomi anche del lato pittoresco della stori-ca via, provvidi alla piantagione di 100 pini e di 300cipressi, disposti non regolarmente a filari, ma a grup-pi, specialmente sul lato destro di chi venga da Roma,per non togliere la vista sui monti tuscolani, mentredall’altra parte era opportuno di coprire le fabbricheincontro al Castello Caetani e il Forte A p p i o ” .Ancora a Roma i filari di platani, appositamente impal-cati per diventare procumbenti verso il fiume e atte-nuare il biancore dei muraglioni del Tevere, adombra-no il modello del parco fluviale, che é una versionespeciale del parco lineare.In aggiunta alle alberate disposte in filari, le testimo-nianze antiche evidenziano altri modelli di piantate.Secondo Vitruvio: «Poiché ... nei luoghi aperti gliumori dannosi al corpo vengono asciugati dall’aria ana-logamente a quanto succede alle formazioni nebbioseche si alzano dal suolo, io penso che nelle città siasenza dubbio opportuno costruire sotto l’aperto cielodelle passeggiate molto ampie e ricche di piante orna-mentali. Gli spazi centrali scoperti, compresi fra i por-ticati, devono essere ornati di piante frondose. Le pas-seggiate all’aperto sono infatti molto salubri.... sarannodisposte fra ... due portici, in mezzo a boschi e plata-n i . . . » .Le alberate di cui parla Vitruvio sembrano una precoceanticipazione della contemporanea mentalità ambienta-lista e dell’idea moderna degli squares inglesi dellaseconda metà del Seicento, un modo di utilizzare glialberi in città che prefigura un tessuto urbano a tramacomplessa. Le zone verdi così costituite, grazie allaloro massa, garantiscono un ambiente omogeneo esano. È possibile studiare un rapporto tra le zonecostruite e quelle piantate che permetta ai cittadini diattraversare la città quasi come una città-parco conblocchi edificati alternati a siti di verde integrale dovesostare tutto il tempo desiderato ben al sicuro dallosmog e dal rumore del traffico. Anche per i centri urba-ni già densamente edificati possono essere messi apunto progetti di recupero mirati in tal senso, utilizzan-do piani urbanistici dove gli spazi lasciati liberi dalledemolizioni vengano destinati alle piantate, riqualifi-cando nel tempo la struttura della città. È una “natura-lizzazione” della città, che al di là di qualsiasi genero-so standard urbanistico, concretizza fin d’ora, anche setimidamente, quel ribaltamento dei termini città-natura

per certi aspetti preconizzato già nel 1902 da EbenezerHoward con la sua Città Giardino.Sotto questo aspetto vanno bene le tante piazze-giardi-no che si vedono sorgere in questi ultimi tempi al postodei vecchi giardini a prevalente superficie ubertosa, maperché non ripescare esempi come quello troppo prestodimenticato della festa degli alberi, ripreso alla finedell’Ottocento da Guido Baccelli sull’esempio dell’a-mericano arbor day, grazie al quale abbiamo oggi par-chi alberati come quello delle Tombe Latine, comeMonte Antenne, come la collina di villa Glori. È i nfondo lo stesso criterio del contemporaneo bosco incittà, che non disdegna l’esempio estremo del singoloalbero al centro di una piazza pedonale, e senza alcunpregiudizio per le diverse tematiche del verde pubblicoprivilegia l’obiettivo del risanamento ambientale,anche se con un po’ di ritardo rispetto a MonsignorNicolai, per non parlare di Vi t r u v i o .

Dott. A g r. Riccardo Pisanti, Presidente dell’Ordine deiDottori A g ronomi e Dottori Forestali della Pro v i n c i adi Roma

Nel paesaggio, rurale ed urbano, inteso come insiemedi caratteri e di risorse, l’uomo ha sempre trovato evalorizzato i fattori necessari alla produzione; nell’am-biente cittadino il confronto con la naturalità prendel’aspetto di uno scontro e vede il prevalere della mate-ria inerte sulle componenti biotiche. Simile quadro siripete in tutte le città di stampo europeo, ma non sonoesenti neppure le urbanizzazioni diffuse del NordA m e r i c a .Operando per il soddisfacimento delle necessità prima-rie, l’uomo ha inciso nel paesaggio i segni culturali chel’approccio storico ricerca ed esalta.Segni rimarchevoli nel tessuto urbano sono proprioparchi e giardini, nei quali viene riproposto il paesag-gio più vicino alla natura e slegato dalla funzione disopravvivenza e dall’economia, destinato a soddisfarele sensibilità intellettuali dei fruitori e spesso avulsodalle caratteristiche geografiche e climatiche dell’am-biente circostante la città, sia essa piccolo borgo om e t r o p o l i .Il verde urbano è un elemento dell’ambiente costruitoin fondamentale relazione con il paesaggio “ideale”,nel quale l’uomo ripropone la propria natura primige-nia e per queste sue caratteristiche necessita di onerosie costanti interventi manutentivi da parte dell’uomo.L’auspicabile aumento della superficie di verde dispo-nibile per ogni abitante delle grandi città, indicataanche da Agenda 21 e dalla Carta di A a l b o rg, è un ele-mento di grande importanza per il miglioramento dellaqualità di vita. È necessaria una valutazione attenta dialcune caratteristiche, al fine di migliorarne la fruizio-ne e di favorirne le modalità di gestione, oltre che per

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consentire una razionale pianificazione degli interventidi estensione delle aree verdi.Per questo sarebbe auspicabile che nel maggior nume-ro possibile di Comuni (e non solo in quelli di maggio-ri dimensioni) al piano urbanistico comunale (PUC)fosse affiancato funzionalmente anche il Piano delverde urbano, un documento progettuale oggi pocoutilizzato, la cui assenza produce un rilevante spreco didenaro pubblico e rende di fatto il verde meno disponi-bile per i cittadini.Da considerare, inoltre, una più moderna concezionedel verde pubblico e la possibilità di realizzare aree conbassi costi di manutenzione nonché la diffusione dimodalità di gestione congiunte tra pubblico e privato: ilverde, quindi, se ben concepito e progettato può diven-tare una voce attiva nel bilancio comunale.Così come è indubbio che la trasformazione urbanavede una contrazione degli spazi verdi privati a favoredi parchi con spiccato carattere sociale ed ambientaleche riescano a coniugare i desideri e le aspirazioni deicittadini per un ambiente di vita a misura dei bisogni edella sicurezza collettivi. Siamo quindi consapevoli cheun percorso urbanistico corretto deve necessariamenteprocedere alla definizione di regole attraverso criterilungimiranti, che minimizzino il rischio di “invecchia-mento” delle regole stesse.Si sente affermare da più parti che la programmazioneurbanistica deve considerare il cittadino non solo comeconsumatore e fruitore del territorio, ma come un sog-getto protagonista della sua trasformazione.Ebbene noi ritieniamo che i processi decisionali nonpossono essere esenti dal contributo degli esperti edegli specialisti, cioè da coloro che posseggono com-petenze e professionalità e che, non si dimentichi, sonoa n c h ’ essi cittadini e fruitori.Per questo vanno sostenute tutte le manifestazioni par-tecipate che provengono - si dai cittadini - ma soprat-tutto da chi, per un suo percorso di studio e per la pro-fessionalità acquisita, è in grado di contribuire adaccrescere, mantenere e valorizzare i boschi, i parchi edi giardini delle nostre città.Siamo quindi particolarmente grati a Mario Marg h e r i t iper aver ideato e promosso questa manifestazione, cherappresenta ormai una importante occasione di scambioculturale e di crescita professionale per tutti coloro chesi occupano di paesaggio.

P rof. Giovanni Serra, Ordinario della ScuolaS u p e r i o re di Studi Universitari Sant’Anna di Pisa

La tematica proposta per questa Tavola Rotonda poneun’alternativa suggestiva alla quale, però, se ne puòaggiungere un’altra, forse più efficace: il bosco dellacittà o, se si vuole, per la città. Questo in quanto il

bosco non può essere considerato un elemento isolatoma il sottosistema vegetale del complesso sistemaurbano in cui è integrato, non solo in senso estetico. Dipiù, considerando che le città rappresentano frammen-tazioni della struttura ecologica del territorio, il boscourbano dovrebbe essere concepito in maniera tale datrasformare la città da barriera ecologica a corridoioecologico e collegare così il verde urbano con le areecircostanti con le quali mantenere un insieme direlazioni funzionali e continuità paesaggistica.Un argomento come questo impone a tutti, indipenden-temente dall’angolazione professionale di chi loa ffronta – urbanista, forestale, paesaggista, agronomo,amministratore pubblico e così via – un bel bagno diumiltà. Il bosco, quello urbano in particolare, è un si-stema complesso molto difficile da definire e, in attesache ciascuna Regione provveda, lo Stato dice soltantoc h e . . . si considerano bosco i terreni coperti da vege -tazione forestale arborea associata o meno a quellaarbustiva di origine naturale o artificiale in qualsiasistadio di sviluppo ... estensione non inferiore a 2.000metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20metri e copertura non inferiore al 20 per cento. Ècurioso ricordare a questo proposito che fu chiesto l’in-tervento dell’Autorità Garante della concorrenza perdirimere una questione di pubblicità ingannevole inrelazione al fatto che un albergo viene pubblicizzatocome circondato da un parco incantevole (termine che,secondo la parte richiedente, sarebbe sinonimo dibosco), quando in realtà ... consiste in un giardinointerno ... il complesso è interamente immerso nelverde, che può così definirsi con qualsiasi tipo disostantivo, quale parco, giardino. Infatti, con la parola‘ p a r c o ’ si può intendere, secondo il vocabolario dellalingua italiana, qualsiasi estensione di ‘terreno boscosopiuttosto esteso, spesso recintato e adibito ad uso parti-colare’, mentre nel significato di ‘bosco’ una ‘esten-sione di terreno coperta di alberi, di alto fusto e arbustiselvatici’. Come si vede definizioni approssimativepossono ingenerare contrasti anche di non poco contoper dirimere i quali si ricorre al buon vecchio vocabo-l a r i o .Si lasciano ad Altri considerazioni e valutazioni dicarattere urbanistico, qui ci si limiterà ad osservazionigenerali su alcuni risvolti economici, sociali , igienicilegati alla presenza del bosco in città. Il fatto che tuttisi guardi al verde in città con una visione positiva nonsignifica ignorarne gli innegabili aspetti sfavorevoli ofastidiosi – foglie che possono ostruire gronde o chedevono essere raccolte , rami che possono cadere,uccelli che possono sporcare, strade e tubazioni chepossono venire danneggiate, forme di allergia – la mag-gior parte dei quali possono essere però prevenuti conuna progettazione accorta e una gestione accurata. Ibenefici sono ben noti e qui di seguito si ricordano

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soltanto alcune particolarità e si propongono pochevalutazioni indicative che, naturalmente, devono esserecollocate nel contesto di riferimento.Intanto che differenze si manifestano tra un bosco t o u tc o u rt e un bosco urbano o periurbano? Tante e diff i c i l ida enucleare. Risposte molto interessanti in questosenso si trovano, tra gli altri, in uno studio delle foresteperiurbane di Bruxelles nel quale vengono evidenziatigli effetti sulla vegetazione della transizione verso learee ‘urbanizzate’ causati dai gradienti microclimatici –maggiore luminosità, temperature più elevate manmano che ci si avvicina alle zone costruite, umidità del-l’aria più bassa – che alterano anche la composizionefloristica; contestualmente aumenta l’inquinamentodell’aria e del suolo, inquinanti che le piante assor-bono. Questo ed altri studi sottolineano la difficoltà dimettere in relazione cause ed effetti in quanto domi-nano le interazioni tra i diversi fattori. Ciò che invece èstato quantificato in situazioni diverse sono le enormiquantità di inquinanti che le piante sottraggono dal-l’ambiente; per esempio, 100 alberi sono capaci disequestrare 5 tonnellate di anidride carbonica all’annoe di rimuovere 400 kg di inquinanti fra i quali 150 kgdi ozono e 120 kg di particolati.Sono molte anche le indagini che riguardano aspettiigienico-sanitari e psicologici. Riduzione della violen-za domestica e della durata dei ricoveri negli ospedaliimmersi nel verde e abbassamento del livello di stresssono risultati da diverse indagini condotte ad hoc.Questi stessi effetti , in particolare quelli sul rilassa-

mento, sono stati ben documentati, del resto, anchenegli ambienti di lavoro arredati con piante ornamentalida interno.Per quanto riguarda l’aspetto economico sono state ese-guite diverse ricerche e valutazioni. Il verde aggiungecertamente valore agli immobili ed ai quartieri; qual-cuno conosce certamente la determinazione assuntaqualche anno fa dalla Tax Court americana che valutòla perdita di una quercia nera, Q u e rcus velutina, 15.000dollari in meno per una casa che ne valeva 164.500! Siè calcolato che, in 40 anni, 100 alberi costino 82.000dollari e diano benefici per 225.000 dollari in termini die n e rgia risparmiata, miglioramento della qualità del-l’aria e valore aggiunto degli immobili. Qualche A u t o r estima risparmi di energia dell’ordine del 30% per ilcondizionamento estivo e del 10-25% per il riscalda-mento invernale, valori che, evidentemente, è prudentenon generalizzare. Altri attribuiscono ad ogni metroquadrato di proiezione della chioma un beneficio delvalore di 0,9 dollari all’anno: 0,6 di risparmio di ener-gia, 0,2 di minori effetti negativi dell’inquinamento,0,1 alla migliore qualità e regimazione gestione delleacque piovane. Un altro segnale positivo, infine: inegozi in aree verdi venderebbero il 12% in più rispet-to agli altri!In sintesi, il bosco urbano comunque inteso costituiscel’infrastruttura verde della città e la collega in sensoeste tico e funzionale al territorio circostante. Imolteplici benefici – estetici, igienici, economici –compensano largamente gli innegabili effetti sfa-vorevoli, che peraltro possono essere minimizzati conuna progettazione ed una gestione corrette. I beneficieconomici che porta ai privati cittadini ed allaComunità sono ben superiori ai costi di impianto e dimanutenzione. Un aspetto preme sottolineare: le piantenon devono essere considerate né pattumiere néinceneritori, gli inquinanti che sottraggono all’ambi-ente ne compromettono in forma acuta o cronica, aparte l’anidride carbonica, le funzioni vitali e gliinquinanti, alla lunga, vengono restituiti all’ambiente.Il verde, comunque lo si definisca, è un elementoessenziale della vita cittadina e, anche se è irrealisticopensare a standard di alcune centinaia di metri quadratiper abitante come quelli di certe città del centro-nordEuropa, deve occupare un posto ben più importantenella considerazione dei cittadini e degli amministra-tori delle nostre città.

Prof. Giovanni Serra

ROSA MARYAM AL NOORI

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Questa bellissima rosa da giardino è stata selezionata nel-l'anno 2002.

I suoi genitori sono stati la varietà RT 98164 e la varietà,Ibrido di Thea, Konrad Henkel di colore rosso.

Durante i cinque anni di selezione nella Germania delNord, questa rosa ha impressionato l'ibridatore, la RosenTantau, per la sua eleganza, la sua crescita eretta, il bico-lore di tonalità rosso brillante, la dimensione dei grandifiori e il loro delizioso profumo.

Queste combinazioni unite alla stabilità del colore ed allaestrema vanezza, ha dato l'input a moltiplicare e com-mercializzare grandi numeri di questa rosa.

Durante gli ultimi anni si è scoperto che i fiori della varie-tà Maryam Al Noori sono bellissimi e durano per moltigiorni in vaso.

Questi mostrano tutto il loro charme se sistemati in pic-coli bouquet. Inoltre più gli steli vengono tagliati, più laproduzione di fiori sarà abbondante. Si avrà così una fio-ritura continua con nuovi che continueranno a rifiorirefino al gelo.

Il fogliame è molto robusto e le piante crescono fino araggiungere anche un'altezza di m. 1,20 e i singoli fiorihanno solitamente da due a tre gemme.

L’Ortensia nel Giardino GiapponeseQuel “fiore” bagnato di mistero

di Sachimine Masui - Architetto paesaggista

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Nella zona ovest del Giappone, vicino a Kyoto, l’ortensianormalmente sboccia a metà giugno e continua a fiorire inluglio, il periodo che corrisponde alla stagionedi lunga piog-gia chiamata tsuyu, quando l’umidità appiccicosa, la luceabbassata e il fango sulla terra mettono la gente sotto l’oscu-rità dell’anima. È proprio qua che l’ortensia trova il suoposto per sollevarci con i suoi rinfrescanticolorimisti pastel-lati. Il suo comportamento orgoglioso sotto la pioggia bat-tente ci incoraggia.Al tempio di Yoshimine-dera a Kyoto, la motivazioneiniziale della piantumazione di ortensie era per far sì che lagente che visitava il tempio durante tale stagione, si sentissesollevata guardando l’ortensia in fiore. Yoshimine-dera è si-tuato sulla collina, verso ovest, staccato dal centro di Kyoto.L’ovest è la direzione in cui si trova Jodo o la Terra Pura,dove la gente buddista mira ad arrivare dopo la scomparsa.L’immagine della Terra Pura mostrata sulla sutra buddista èabbondante di colori fluorescenti, riempita dal coro di uccel-li, la pacetotale senzadolore.Yoshimine-dera è sempre statoconsiderato una Terra Pura, lontano dal viavai della cittàcapitale, colorata da vari fiori che sbocciano tutto l’anno se-condo le stagioni. Ma soprattutto in giugno e luglio, il giar-dino di 10.000 mq diventa un luogo di meraviglia di coloriblu, viola, rosa e rosso con circa 10.000 steli di una vastagamma di varietà in specie come: yama-ajisai o Hydrangeaserr ata (Thumb. ex Murray) Ser.; gaku-ajisai o Hydrangeamacro phylla (Thumb. ex Murray) Ser. f. normalis (E.H.Wilson) H.Hara; e seiyo-ajisai o Hydrangea macro phylla(Thumb. ex Murray) Ser.. L’ortensia rispecchia perfetta-mente l’immagine della Terra Pura.Invece nel complesso del tempio di Sukuma-dani Kannon,nella prefettura Wakayama, è stato aperto due anni fa ungiardino dedicato specialmente all’ortensia, chiamato Ajisai

mandala-en o ‘Giardino di Mandala in Ortensia’. È statocosì nominato perché, spiega il segretario generale del tem-pio, il fiore di ortensia, nel suo modo di raccogliersi nellaforma rotonda, assomiglia al disegno di mandala buddhistae in più l’ortensia, con il suo fiore, ci fa ritrovare la pace delcuore come la mandala buddista. Infatti, lo visitano circa3.000 persone solo per godere dell’ortensia in fioritura dagiugno a luglio. Nel giardino di 6.000 mq, ogni anno ven-gono aggiunti più steli, e adesso si trovano circa 10.000 stelidi 95 varietà che espongono varie fioriture. In questo giardi-no con il terreno piuttosto acido, la maggior parte delleortensie fiorisce in blu. Questa zona dell’arcipelago giap-ponese riceve abbondante acqua piovana, in media più di3.000 mm all’anno. La terra è adatta proprio per un giardinodi ortensie.Nella lingua giapponese, il nome comune dell’ortensia è aji -sai. Ci sono varie interpretazioni della sua etimologia; peròuna più attendibile sostiene che aji (o azu) vuol dire ‘rac-cogliersi’ e (s)ai vuol dire ‘blu’, essa si riferisce cioè allamaniera in cui l’ortensia fiorisce: ‘fiori blu che si raccolgo-no’.L’ortensia appartiene alla famiglia delle Hydrangeaceae, algenus Hydrangea. L’ortensia è una pianta originaria delGiappone e del Sud-est asiatico. Le specie di ortensia autoc-tone/selvatiche in Giappone, ancora oggi crescono spon-taneamente, soprattutto in montagna, ad esempio: yama-aji -sai [Hydrangea serr ata (Thumb.ex Murray)Ser.];gaku-aji -sai [Hydrangea macro phylla (Thumb. ex Murray) Ser. f.normalis (E.H. Wilson) H.Hara]; tama-ajisai [Hydrangeainvolucrata Siebold], nori-utsugi [Hydrangea paniculataSiebold et Zucc.], ecc. Queste specie di ortensia hanno ilfiore decorativo a forma di cornice (gaku nel gaku-ajisaivuol dire ‘cornice’) e differiscono da quelle specie con il

Hydrangea macrophylla (Thumb. ex Murray) Ser. e unastatua di budda a Yoshimine-dera

Hydrangea macrophylla (Thumb. ex Murray) Ser. all’in-gresso del padiglione di Jizo-do a Yoshimine-dera

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fiore a forma di palla [Hydrangea macrophylla (Thumb. exMurray) Ser.] diffuse nei paesi occidentali. Queste ultimesono il risultato della coltivazione di quelle ortensie autoc-tone/selvatiche in Giappone, in seguito alla loro impor-tazione in Europa (prima in Francia) dal Giappone attraver-so la Cinaallafine del secolo XVIII. Queste furono poi rein-trodotte in Giappone per divulgazione. Quindi, anche inGiappone, col termine ajisai (ortensia) di solito si immagi-nano innanzitutto questi ultimi tipi di ortensia con la pallafluorescente (ovvero, in realtà, il calice trasformato in‘fiore’decorativo – che, però, in questo articolo chiamiamo sem-plicemente ‘fiore’).Una caratteristica interessante dell’ortensia è la variazionedella forma e la mutazione dei colori fluorescenti.All’interno della sola yama-ajisai [Hydrangea serr ata(Thumb. ex Murray) Ser.] si trovano variazioni notevoli: ilfiore singolo, il fiore doppio, il fiore bianco, il fiore rosa e ilfiore che cambia il colore da bianco a rosa durante la fioritu-ra, ecc. L’ortensia mostra colori svariati a seconda dell’aci-dità (pH) del suolo. Inoltre, lo stesso campione, da un annoall’altro, può mostrare colori diversi. Per questa caratteristi-ca, in Giappone tradizionalmente l’ortensia è anche chiama-ta shichi-henge in cui shichi vuol dire ‘sette’ e henge,‘mutazioni’.Nel giardino della mia famiglia nella campagna giapponesenella parte ovest dell’isola principale, c’era un’ortensiapiantata dal mio bisnonno. Sembrava una specie che si chia-ma hime-ajisai [Hydrangea serr ata (Thumb. ex Murray)

Ser. f. cuspidata (Thumb. ex Murray) Nakai]. Hime vuoldire ‘principessa’, così nominata per la sua forma gentile efemminile. Ma in realtà era un arubusto di multi-steli vi-goroso e assai maschile nel suo comportamento! Se la la-sciavamo crescere, arrivava subito a 2,5 m di altezza. C’erabisogno di una potatura severa dopo la stagione di fioritura.Forse perché cresceva sul suolo ricco di humus accanto alpiccolo corso d’acqua che portava sostanza organica dallacucina. Durante la stagione di pioggia, nell’oscurità grigiadiurna, mentre altri fiori primaverili erano ormai finiti, que-sta principessa robusta irraggiava la luce blu nell’atmosferabagnata. Senza niente da fare sotto la pioggia, io osservavoquesta luce misteriosa.Sebbene l’ortensia sia una pianta autoctona e assai popolarein Giappone, la sua utilizzazione nella progettazione di giar-dini e paesaggi contemporanei non sembra essere statamolto esaminata ed esplorata. Oggi, attraverso il Giappone,ci sono parecchi templi buddisti che ospitano un‘giardino diortensia’ con una vasta collezione di ortensie, per cui ven-gono chiamati comunemente ‘il tempio dell’ortensia’. Neabbiamo visti due esempi all’inizio di questo articolo. Saràinteressante, però, esplorare la sua utilizzazione paesaggisti-ca più libera e stimolante in futuro, reinterpretando la suapotenzialità nel rendere l’atmosfera particolare in associa-zione con la pioggia e la ricca poesia riportata da essa.Tuttavia, è un’incisiva e tranquillizzante scena paesaggisticaquando si trova un’ortensia lavata dalla pioggia con rugiaderimaste sui suoi petali, accanto al pavimento di pietra grigio-scura bagnata deliziosamente di nero, e magari con una poz-zanghera che riflette il cielo parzialmente aperto d’azzuro.

___________________RINGRAZIAMENTI

• Si ringrazia il Rev. Kamon Kosho del tempio di Yoshimine-dera aKyoto per la sua offerta delle immagini di ortensia e il suo raccon-to sul significato dell’ortensia.• Un’altro ringraziamento va al Rev. Morimoto del tempio diSukuma-dani Kannon per la sua spiegazione sull’Ajisai Mandala-en (Giardino di Mandala in Ortensia).• Sono state trovate varie informazioni utili in siti web in giap-ponese, i cui riferimenti e indirizzi sono ommessi.Hydrangea macrophylla (Thumb. ex Murray) Ser. con la

vista del padiglione di Jizo-do a Yoshimine-dera

gaku-ajisai o Hydrangea macrophylla (Thumb. ex Murray)Ser. f. normalis (E.H. Wilson) H.Hara, a Yoshimine-dera

Il Parco del Valentino

di Renato Ronco - coltivatore collezionista

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Torino è definita città d’acqua.Sono ben quatto i fiumi che si sono dati appuntamen-to a Torino; veramente tre sono torrenti, anche sealmeno due meriterebbero la promozione a fiumi, esono: la Stura , la Dora Riparia e il Sangone. Tutti etre confluiscono nel Po proprio nel Comune diTo r i n o .Ma è anche una città con molto verde. A est, per tuttala lunghezza della città si profila la collina, con quat-tro parchi importanti e tanti giardini, anche privati.Ma i vecchi torinesi si riconoscono storicamente nelparco del Valentino, sempre stato molto amato, tantoche una canzone degli anni ‘50 lo ricorda comeromantico luogo di appuntamenti per gli innamorati.Oggi Torino è multie tnica, come quasi tutte le grandicittà e il parco appartiene un po’ meno ai torinesi, èfrequentato da persone che non ne conoscono la sto-ria e forse presi da altri problemi, lo amano meno.Il parco del Valentino (il nome ha origine incerta,a lcuni lo fanno risalire all’epoca romana) gode di unaposizione particolare, si estende sulla sponda sinistradel Po, che scorre maestoso e placido, tanto tranquil-lo che negli anni ‘20, per i primi voli di linea (To r i n o -Trieste), gli Idrovolanti si posavano proprio su questotratto di fiume. Oggi non volano più gli idrovolanti,ma le sue acque sono percorse da numerose imbarca-zioni a remi che fanno capo alle varie società riviera-sche di canottieri; nella bella stagione ci sono duebattelli pubblici che portano coloro che desideranoammirare dal fiume la collina lussureggiante e le

belle sponde alberate.Poi c’è il Borgo Medioevale con il suo Castello;trovo sia un bell’inserimento nel contesto del parcoche si sviluppa intorno e il fiume che scorre ai suoipiedi; ma… non è autentico!Venne progettato dall’archite tto Alfredo D’Andratecon un gruppo di collaboratori, riproducendo unatipologia di insediamento medioevale, in occasionedell’Esposizione Generale Italiana del 1884.L’Andrate, per farlo più ‘vero’ realizzò anche parti appa-rentemente dirute.Il Parco del Valentino, in parte esistente dal 1600, furealizzato, così come lo vediamo noi, verso la metàdel secolo scorso, su un progetto di Jean PierreBarillet-Deschamp ed è uno dei primi grandi parchiurbani italiani in stile romantico.Si estende per 550.000 mq e ospita, oltre al Borg oMedioevale, il Castello del Valentino, mirabilecostruzione (da tempo sottoposta a lavori di restauro)voluta dai Savoia e realizzata nel 1600 dall’arch. A .Castellamonte, con adiacente l’Orto Botanico, natonel 1729.Sembra quasi che i torinesi siano gelosi delle lorobellezze. Dalla sponda opposta del Po è molto diff i-cile per chi transita in auto vedere qualcosa del Borg oMedioevale. Una cortina continua di alberi e unalunga siepe di S p i r a e a , salvo qualche piccolo spira-glio, ne impediscono la vista. A questo propositocredo che sia stato commesso un grosso errore quan-do venne progettata questa parte di parco, ed ora è

Sullo sfondo due Taxodium.Sponda sinistra del Po in veste autun-nale.

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molto difficile porvi rimedio. Come si può proporredi abbattere grandi alberi?Ma voglio parlare di un’area limitata del parco delValentino, dell’area che nel 1961 ha ospitato unagrandiosa e irripetibile mostra denominata ‘FLOR6 1 ’ .L’iniziativa, che diede il via alle celebrazioni delCentenario dell’Unità d’Italia, poté essere realizzatagrazie soprattutto alla volontà e alla tenacia delCavaliere del Lavoro Giuseppe Ratti , grande amantedella natura .La parte più ammirata della mostra occupava cinquesaloni del palazzo esposizioni del Valentino per untotale di 45.000 mq per il periodo 28 aprile - 7 mag-g i o .Una vasta area adiacente, 140.000 mq, venne dedica-

ta alla mostra del giardino, che durò dal 28 aprile al15 giugno. La durata però, si può dire sia stata illimi-tata, poiché gran parte delle piante presentate per l’e-sposizione a fine mostra non vennero rimosse. Perquesto motivo - un insieme di piccole realizzazionimolto curate, presentate da vivaisti di tutto il mondo- questa parte del parco, la più ricca, non ha un pro-getto unitario, un disegno preciso.A distanza di oltre 40 anni non è più riconoscibilenulla di quanto realizzato, mancano le aiuole fiorite,decine di migliaia di tulipani e altre bulbose, ma iltutto è ancora pregevole. Dominano le conifere, miviene da dire: a lla faccia di chi non vuole più usare leconifere nei giardini di To r i n o .Si trova solo più una Araucaria imbricata; nel 1961era quasi sconosciuta, il gruppo presentato dai vivai-

Contrasti autunnali tra conifere e latifoglie.

Il borgo e il castello visti dalla sponda opposta del Po.La severa sagoma del castello vistada sud.

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sti biellesi ottenne un tale successo che questa piantaparticolare da allora compare in molti giardini priva-ti. Personalmente pur riconoscendo la specialità diquesta pianta la trovo di difficile inserimento in uncontesto verde. Adesso questa parte del parco staricevendo una ventata di ossigeno. C’è la volontà did e d i c a rgli maggiore attenzione, e a Torino non è cosada poco.Sono stati appaltati i lavori per rifare l’antico roseto,completamente scomparso da anni, ed è stato poten-ziato il personale addetto alla manutenzione.Spero che non manchino disponibilità e coraggio perrimettere in sesto il giardino roccioso, che aveva rac-colto tanti consensi, dove, a parte le pietre , è rimastoben poco di quanto era stato piantato, e quelle pochepiante che rimangono sono cresciute troppo.Oggi Torino ha la disponibilità di grandi superficilungo le sponde dei suoi fiumi, tuttavia è affondato iltentativo di fare una grande esposizione floreale sullostile di Flor 61, dopo averne pubblicizzato il proget-to per anni.

I terreni lungo i fiumi non sono più trattati come ‘par-chi cittadini’ e come i nostri avi li avevano progetta-ti in funzione estetica, ricercando quelle specie chemaggiormente impreziosivano e richiamavano visita-tori . Oggi c’è il parco fluviale e si piantano solo piùpiante autoctone; praticamente salic i e pioppi. Misembra di assistere a una sorta di medioevo del giar-dino; tutto si sta appiattendo, uniformando.Già da qualche anno sono bandite le conifere, e pensoa quanto mancheranno ai nostri figli gli splendidiTa x o d i u m che noi possiamo ammirare nei giardinistorici; penso a solitari C e d ru s centenari che io miincanto a guardare e che purtroppo prima o poi mori-ranno senza che ce ne siano dei giovani in crescita.In funzione di creare ambienti naturali favorevoli a ivari tipi di uccelli si creano sottoboschi di C r a t a e g u s,E u o n y m u s, si piantano pioppi ibridi per favorire lanidificazione degli a ironi grigi, senza pensare che ils o v r a ffollamento di questi ultimi ha già allontanato lenitticore; ignorando che gli uccelli non sono dei bota-nici. A casa mia, vicino al Po, vengono a nidificare le

Le masse delle conifere caratterizzano l’aspetto invernale. Araucaria imbricata e Chamaecyparisnotkaensis.

Magnolie grandiflora. Il ruscello scorre tra Juniperus e Cotoneaster.

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anatre selvatiche (una volta nelle eriche, poi nel can-neto, un’altra volta in mezzo alle brunnere) e ognisorta di uccelli, e gli alberi che amano di più per nidi-ficare e ‘ciacolare’ sono un fitto boschetto di C h a -m a e c y p a r i s e un grande gruppo di bambù.È ben vero che vedo con inquietudine le ultime rea-lizzazioni di grandi parchi in Europa, dove compareuno stile progettuale più moderno, astratto, dove siutilizzano materiali artificia li, anche colorati, conuna ricerca di soluzioni che sorprendano e stupiscanoil visitatore, a scapito della naturalità .Forse sono io, legato al giardino romantico, a noncapire che anche in questo campo ci debba necessa-riamente essere una evoluzione dello stile, ma oltrealle emozioni visive penso che ben difficilmente que-sti parchi possano trasmettere la serenità di quellia n t i c h i .

L’ingresso nord attraverso il ponte levatoio. Il vicolo interno e la cappella.

Parti apparentemente dirute volute dall’arch. D’Andrate. La passeggiata lungo il fiume, ai piedi del borgo medievale.

Il borgo medievale da sud appare dietro alti alberi.

Il Parco regionale di Colfiorito

a cura dei Pro f. Ettore Orsomando e Prof. Federico Maria Ta rdella - Università degli Studi di CamerinoFoto di Ettore Orsomando (archivio geobotanico)

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Il Parco di Colfiorito, situato a ridosso del confine regionaleUmbria-Marche, nel Comune di Foligno (PG), con i suoi338 ettari di superficie rappresenta la più piccola delle seiaree protette istituite dalla Regione Umbria con la LeggeRegionale n. 9 del 3 marzo 1995. Il suo territorio, costeggia-to e in parte attraversato in direzione nord-est/sud-ovestdalla Strada Statale 77 Val di Chienti che collega Folignocon Macerata, comprende: ad oriente, il settore del Piano diColfiorito o del Casone delimitato dalla linea che uniscel’imbocco della Valle Vaccagna, la Capannaccia e laBasilicadi S. Maria di Plestia; verso il centro il rilievo del MonteOrve (926 m) e l’abitato di Colfiorito e ad occidente laPalude di Colfiorito.Il territorio protetto, compreso tra 735 e 926 m di altitudinee collocato nel tratto centrale della dorsale appenninicaumbro-marchigiana, rappresenta il cuore degli Altipiani diColfiorito, sistema di sette aree pianeggianti, comprese tra750 e 800 m di quota, note topograficamente come: Piano diColfiorito, Piano di Popola e Cesi (in gran parte nelleMarche), Palude di Colfiorito, Piano di Ricciano, Piano diAnnifo, Piano di Arvello e Piano di Colle Croce (inUmbria). Nel loro insieme gli Altipiani, storicamente notianche come Altipiani Plestini, per la presenza dei resti del-l’antica città di Plestia, delimitati in parte da rilievi calcareicollinari e basso-montani, dai profili dolci e semipianeg-gianti nelle loro porzioni sommitali, rappresentano un aspet-to peculiare e particolarmente suggestivo del paesaggiodell’Appennino centrale, segnando un netto contrasto con leforme movimentate, aspre e scoscese delle vette appen-niniche. Le depressioni, di origine tettonica, interessate piùvolte nel corso del Pleistocene e dell’Olocene da estesi laghie ricoperte da sedimenti lacustri e palustri con depositi tor-bosi, sono caratterizzate da processi carsici per lo più sotter-ranei che danno origine ad unaserie di grotte egallerie inter-comunicanti e da limitate manifestazioni superficiali costi-

tuite per lo più da inghiottitoi.L’area degli Altipiani si caratterizza, dal punto di vista idro-logico, per l’assenza di una rete idrica superficiale, fattaeccezione per alcuni fossi a portata stagionale e per la pre-senza di alcune sorgenti. Il livello delle acque della Palude(unica zona non bonificata tra le sette conche in cui l’acquapermaneper tutto l’anno) èperciò condizionato in gran partedall’andamento stagionale delle precipitazioni meteoriche(con massimi in autunno-inverno-primavera e minimiestivi), mentre l’unica forma di drenaggio naturale è rappre-sentata da alcuni inghiottitoi, il maggiore dei quali è dettodel “Molinaccio” per la presenza di un antico mulino, recen-temente ristrutturato.Dei 338 ettari di territorio a Parco, la Palude di Colfioritorappresenta il biotopo dimaggior interesseambientale e pae-saggistico e può essere considerata uno dei siti naturalisticipiù significativi dell’Italia peninsulare. Il suo pregio dalpunto di vista botanico e faunistico è stato infatti riconosci-uto più volte nel corso degli ultimi decenni, inizialmenteattraverso diverse proposte di protezione e successivamente,a partire dagli anni Settanta, con l’attuazione di varie formedi valorizzazione e norme di tutela, sia a livello nazionaleche internazionale, tra cui: l’istituzione di un’Oasi di pro-tezione della fauna il 2 agosto 1971 con decreto delMinistero dell’Agricoltura e delle Foreste; l’inserimento nel-l’elenco delle zone umide italiane di valore internazionaletutelate ai sensi dellaConvenzione Internazionale di Ramsar(Iran, 2 febbraio 1971), finalizzata alla protezione deglihabitat degli uccelli acquatici, in attuazione del D.P.R. n. 448del 13 marzo 1976; l’inclusione tra le aree I.B.A. (ImportantBird Areas, ovvero aree di importanza internazionale per gliuccelli); il riconoscimento da parte della Regione Umbrianell’ambito del Progetto Bioitaly (1995-1997), promossodall’Unione Europea attraverso il Ministero dell’Ambiente edella Tutela del Territorio, di una Z.P.S. (Zona di Protezione

La palude di Colfiorito vista dal Colle di Polveragna, consullo sfondo l’abitato di Colfiorito.

La palude di Colfiorito vista dal monte Orve.

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Speciale) e di un S.I.C. (Sito di Importanza Comunitaria)della Rete Ecologica Europea “Natura 2000”, individuati inattuazione rispettivamente delle Direttive europee79/409/CEE “Uccelli” e 92/43/CEE “Habitat” finalizzatealla tutela degli habitat e delle specie animali e vegetaliminacciate nel territorio dell’Unione Europea.A livello regionale, dopo l’istituzione del Parco, la Palude diColfiorito è entrata a far parte delle “Aree di RilevanteInteresse Naturalistico della Regione Umbria” (D.G.R. n.4271/1998) e delle “Zone di Elevata Diversità Floristico-Vegetazionale” (Piano Urbanistico Territoriale della Regio-ne Umbria, L.R. n. 27 del 24 marzo 2000).La Palude, cheoccupa unasuperficie inferiore alla metà del-l’area a Parco (circa 106 ettari), si contraddistingue soprat-tutto per gli aspetti floristici, vegetazionali e faunistici.La flora della Palude comprende circa 280 entità, 39 dellequali (circa il 14%), sono considerate rare o minacciate diestinzione a livello regionale perché molto localizzate o per-ché appartenenti ad ambienti umidi a rischio a causa di pos-sibili interventi antropici. Tra queste si possono ricordare: lacarice vescicosa (Carex vesicaria), il crescione di Chiana(Rorippa amphibia), l’elleborine palustre (Epipactis palus -tris), l’erba vescica (Utricularia australis), il giunco fiorito(Butomus umbellatus), la ninfea bianca (Nymphaea alba),l’ofioglosso (Ophioglossum vulgatum), l’orchidea acquatica(Orchis laxiflora), l’orchidea palmata (Dactylorhiza incar -nata), il ranuncolo a foglie di ofioglosso (Ranunculusophioglossifolius) e il ranuncolo delle passere (Ranunculusflammula). Attraverso ricerche svolte negli ultimi anni èstato inoltre possibile, constatare il mancato ritrovamento di31 specie, conosciute attraverso dati di letteratura e campio-ni d’erbario, tra cui: carice falso-cipero (Carex pseudocype -ru s), coda di cavallo acquatica (Hippuris vulgaris), pennac-chi a foglie larghe (Eriophorum latifolium), poligono bistor-ta (Polygonum bistort a), soldinella acquatica (Hydro -cotylevulgaris) e trifoglio fibrino (Menyanthes trifoliata).Il territorio del Parco di Colfiorito è caratterizzato anche dauna molteplicità di fitocenosi, oltre 30 comunità vegetali, lamaggiorparte dellequali legata agli ambienti lacustri,palus-tri e prativi umidi falciabili della palude che, nel loro artico-lato mosaico, sono l’espressione naturale, seminaturale e

antropica delle diverse tipologie paesaggistiche.La distribuzione delle diverse comunità vegetali che rive-stono la zona umida è strettamente connessa alla durata delristagno idrico e dalla profondità dell’acqua. Sui terreniinondati solo a seguito di forti piogge soprattutto nel perio-do autunno-inverno-inizio primavera, si sviluppano i pratiumidi falciabili dell’alleanza endemica dell’Appennino cen-tro-meridionale Ranunculion velutini, caratterizzati soprat-tutto da ranuncolo vellutato (Ranunculus velutinus) e orzoperenne (Hordeum secalinum), dell’associazione Hord eo-Ranunculetum velutini, con alcuni lembi dell’associazioneDeschampsio-Caricetum distantis, caratterizzata da miglia-rino maggiore (Deschampsia cespitosa) e carice a spighe di-stanziate (Carex distans). Dove l’acqua permane per unperiodo prolungato (3-5 mesi) e il terreno può disseccaresuperficialmente solo in estate, sono presenti invece dei pratipalustri a dominanza di grandicarici (come Carex acuta e C.elata), attribuiti a numerose associazioni dell’alleanza Ma-gnocaricion elatae. Nei settori dove il terreno rimane rico-perto dall’acqua per periodi ancora più lunghi (almeno 8-10mesi), presentandosi fangoso e umido anche nel periodoestivo, si sviluppano le formazioni di grandi elofite a domi-nanza di cannuccia di palude (Phragmites australis), che sidistingue per la sua estensione, omogeneità e compattezza,giunco lacustre (Schoenoplectus lacustris), lisca maggiore(Typha latifolia), gramignone maggiore (Glyceria maxima)o scagliola palustre (Phalaris aru ndinacea), che danno ori-gine ad associazioni monospecifiche delle alleanzePhragmition australis e Magnocaricion elatae. Infine, neiluoghi dove l’acqua ricopre il terreno tutto l’anno con unaprofondità di almeno alcuni decimetri, è presente una vege-tazione di idrofite radicanti a prevalenza di ninfea bianca(Nymphaea alba) o di millefoglio d’acqua (Myriophyllumspicatum e M. vert icillatum), riferita all’ordine Potametalia.La biodiversità floristica e vegetazionale del territorio non èlegata solo agli ambienti umidi, ma anche alla presenza dialtri habitat, limitrofi alla palude, che contribuiscono adaumentarne il valore ecologico-ambientale. Nel settore cen-trale, tipicamente montuoso, dell’area a Parco, si trovanoinfatti: aree pascolive di origine secondaria xerofile omesofile a forasacco eretto (Bromus ere ctus) dell’ordine

Vistosa fioritura di ninfea bianca (Nymphaea alba) Ofioglosso (Ophioglossum vulgatum), piccola e rara felcedei prati umidi

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Brometalia ere cti, spesso colonizzate da arbusti come laginestra odorosa (Spartium junceum) e il citiso a foglie ses-sili (Cytisus sessilifolius); boschi a prevalenza di carpinonero (Ostrya carpinifolia) e cerro (Quercus cerr is), dell’as-sociazione Aceri obtusati-Quercetum cerr idis, che riguar-dano quasi esclusivamente il versante nord del Monte Orve,nonché limitati tratti del rilievo Croce di Cassicchio (838 m)e rimboschimenti a pino nero (Pinus nigra). Nel settoreoccidentale del Parco, nella fascia che circonda la Palude edin quello orientale, che appartiene al Piano di Colfiorito, siestendono campi coltivati a cereali (frumento, orzo e farro),caratterizzati nei mesi primaverili ed estivi dalle policromefioriture di specie infestanti come il fiordaliso vero(Centaurea cyanus) e il rosolaccio (Papaver rh oeas), la len-ticchia (Lens culinaris), che si distinguono per le fioriture dicolore giallo intenso della senape selvatica (Sinapis arv en -sis) o a patata rossa, cicerchia, ceci e fagioli, spesso avvi-cendati con erbai polifitici. Completano il quadro della veg-etazione del Parco le siepi a prevalenza di prugnolo (Pru nusspinosa), biancospino (Crataegus monogyna) e spino cervi-no (Rhamnus cathart ica), importanti elementi tipici del pae-saggio agrario, di particolare importanza perché off ronorifugio e alimentazione a numerose specie animali sel-vatiche e le formazioni arboree e arbustive igrofile a salici(Salix alba, S. purpure a, S. triandra) epioppo nero (Populusnigra), presenti ai margini dell’area palustre.Alla diversità delle comunità vegetali e alla varietà degliambienti (aree umide, agricole, pascolive e boschive) fariscontro una particolare ricchezza nella comunità faunisti-ca,determinataprincipalmente dall’elevatissima presenza dispecie di uccelli stanziali e migratori, le quali trovano nellaPalude di Colfiorito, in primavera e in autunno, un impor-tante luogo di sosta e di alimentazione. Le specie ornitichecensite ammontano a circa 200, 87 delle quali sono conside-rate minacciate in parte del loro areale europeo. Di partico-lare interesse è la presenza del tarabuso (Botaurus stellaris),ardeide minacciato in tutto il continente europeo, di cui lapalude ospita la popolazione nidificante più importanted’Italia (25-30 esemplari censiti nel 2000 su circa un centi-naio in tutto il Paese) e rappresenta il sito con la maggioredensità in Italia e una delle più alte in Europa. Altre specie

da segnalare sono: la rondine (Hirundo ru stica), per la qualequesto sito rappresenta uno dei tre grandi dormitori italianiutilizzato nel periodo della migrazione autunnale con unnumero di oltre 50.000 esemplari, l’airone cenerino (Ard eacinere a), il tarabusino (Ixobrychus minutus), la nitticora(Nycticoraxnycticorax) e la garzaciuffetto (Ardeola ralloides).Il valore dell’area, tuttavia, non è solo legato agli aspettiprettamente naturalistico-ambientali, ma anche a quelli dicarattere culturale e storico-archeologico. Il territorio delParco, infatti, testimonia la millenaria presenza dell’uomonell’area di Colfiorito, che ha rappresentato un importantecentro nodale in cui convergevano strade appenniniche,come la Strada della Spina, la Via Nucerina, la Via Plestina,la Via Lauretana, la Strada della Bocchetta della Scurosa e laStrada di Val Sant’Angelo. La sua particolare importanzastrategica sul controllo delle vie di comunicazione è testi-moniata dalla presenza sul Monte Orve di resti di un anticocastelliere di età arcaica, insediamento fortificato di formaellissoidale circondato per più di 1 km da grosse mura poli-gonali, occupato anche in età romana e in epoca medievale,con funzione di controllo del valico di Colfiorito. Nell’areapianeggiante situata tra la base del Monte Orve e il Cimiterodi Colfiorito, inoltre, sono presenti resti di una necropoli pre-romana,nella quale sono stati rinvenuti corredi funebri data-bili tra la fine del X e il II secolo a.C.. In località Pistia, incorrispondenza della Basilica di S. Maria di Plestia, nel set-tore più orientale del Parco, è presente anche un’importantearea archeologica dove sono stati riportati alla luce alcuniresti di edifici tardo-repubblicani appartenenti all’antica cittàdi Plestia. Gli edifici romani furono fondati su resti di un vil-laggio dell’Età del Ferro risalente al IX-VII secolo a.C..Per la presenza di tali preziose testimonianze storico-archeo-logiche, parte del territorio del Parco è sottoposta a vincoloai sensi della legge per la tutela delle cose d’interesse artisti-co o storico (L. n. 1089 del 1 giugno 1939). Altri motivi diinteresse consistono nella presenza di testimonianze paleon-tologiche, costituite dai pollini fossili del Postglaciale, con-servati nei depositi torbo-lacustri del Piano e della Palude diColfiorito, e di associazioni a mammiferi, rinvenute neigiacimenti fossiliferi di Colle Curti e Cesi, in prossimità del-l’area Parco, datate tra 700.000 e 900.000 anni fa.Per far conoscere ai visitatori del Parco (scuole, studiosi,escursionisti o semplici turisti) l’eccezionale valore natu-ralistico, storico e archeologico del territorio degliAltipiani Plestini, sta per essere inaugurato il MuseoNaturalistico, situato nell’area ex-Casermette di Colfiorito,composto da 6 Sezioni: Archeologica, Paleontologica,Palinologica, Zoologica, Geobotanica e A n t a r t i d e ,quest’ultima organizzata attraverso la preziosa opera delComitato “Programma Nazionale di Ricerche inAntartide”, più noto con l’acronimo PNRA, che ha apertouna finestra sull’affascinante e lontano continente, l’ultimodel nostro pianeta ad essere sco-perto ed esplorato, fatto dighiaccio e gelide acque, purtroppo sconosciuto ai media eimportante polo di attrazione scientifica e didattica.Osservatorio per l’avifauna.