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>> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Troppo corti Sotto il profilo dei contenuti, nonostante l’impianto economico e commerciale già solido, il cinema è ancora in gran parte impigliato con i trucchi e le gag degli esordi, con i drammi ispirati alla cronaca, in film confusi e molto brevi (dai 6 ai 15 minuti), dall’articolazione narrativa elementare e incerta.

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Troppo corti

Sotto il profilo dei contenuti, nonostante l’impianto economico

e commerciale già solido, il cinema è ancora in gran parte

impigliato con i trucchi e le gag degli esordi, con i drammi

ispirati alla cronaca, in film confusi e molto brevi (dai 6 ai 15

minuti), dall’articolazione narrativa elementare e incerta.

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Nuovi contenuti

L’aumento della leggibilità (esplicitezza e disintermediazione)

che accompagna il consumo in sala incontra il favore del

pubblico, indotto a reclamare film sempre più lunghi. Allo

sforzo che sforna i primi lungometraggi si accompagna quindi

un lavoro per variare e rinnovare i contenuti e conferire ai

prodotti nuovi un più intrigante tessuto narrativo.

Wharton Inc. studio, 1915

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Come abbiamo visto, il successo dei nickelodeon in America

scatena il desiderio di film migliori, accompagnato, fra il 1906 e

il 1909, dalla pressione dei moralisti per individuare ciò che è

più opportuno reprimere, in nome del “buon gusto” e dei valori

borghesi.

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Molti cronisti dell’epoca, tra cui il celebre W. Stephen Bush,

«vendono» la crociata come una forma di protezione delle

classi lavoratrici dall’oscenità e dalla violenza. In realtà, i film

che mostrano una società urbana cruda, dominata dal crimine,

sono un pugno nello stomaco per i benpensanti, e uindi si

tratta semmai di proteggere i «nuovi clienti», con la complicità

dei produttori disposti a praticare forme di autocensura che

dureranno cinquant’anni pur di accattivarsene le simpatie.

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La produzione preferisce pertanto orientarsi su una

drammaturgia rassicurante, sull’idealizzazione di un ordine

familiare e comunitario “perfetto”, solo momentaneamente

turbato da qualche evento drammatico; uno sforzo costante

che, secondo molti autori, produrrà nel tempo un vero e

proprio occultamento del reale.

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Colpo di teatro

Per smuovere i ceti di condizione medio-alta, ancora diffidenti

verso il cinema, non bastano più gl’intrecci ridanciani o gli

effetti «a sorpresa»; per eccitare una domanda più raffinata

occorre un miglioramento globale del prodotto-film. Onde

abbattere la cattiva reputazione del cinema e farne «il grande

educatore del popolo», ma anche per portare in sala il

pubblico del teatro e dell’opera, in Francia si ricorre all’aiuto

della Comédie française.

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La Film d’Art Nel 1908, i fratelli Paul e André Lafitte,

banchieri, ispirano – dopo una rumorosa

campagna sui giornali parigini che reclama

film migliori, con la partecipazione dei più

grandi maestri del teatro - la fondazione

della Film d’art, società che dichiara il suo

obiettivo fin dal nome e, con un capitale

iniziale di 500 mila franchi, in breve tempo

crea un proprio studio a Neuilly. Affidata la

direzione artistica al regista teatrale Charles

Le Bargy, si propongono scelte produttive

di nuova concezione.

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La Film d’Art Per la prima volta si cercano sul

serio i favori del pubblico

borghese e intellettuale,

commissionando soggetti a

grandi scrittori (Rostand, Sardou,

Anatole France) e offrendo a

celebri attori teatrali le parti nei

film tratti dal repertorio

drammatico e letterario, che

comprende tragedie classiche e

testi letterari, trasposti con intenti

divulgativi e d’intrattenimento.

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Il figliol prodigo

Il 20 giugno 1907, intanto, al Théâtre des Variétés di Montmartre,

viene presentato a Parigi quello che molti considerano il primo

lungometraggio della storia del cinema: L’Enfant prodigue, girato

a maggio presso la Gaumont da Michel Carré, che ha adattato

per lo schermo una sua omonima pantomima del 1890.

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Il figliol prodigo

Il film, di lunghezza insolita (90 minuti), è un perfetto esempio di

teatro filmato che associa il cinema a un evento “culturale” e

spiana il terreno alla successiva ascesa della Film d’art.

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L’assassinat

ll 17 novembre 1908 viene presentato il primo frutto del progetto

Film d’Art: una pellicola diretta dallo stesso Le Bargy e da André

Calmettes, anch’egli, come molti degli interpreti della pellicola,

proveniente dalla Comédie française. Il titolo è L’assassinat du

duc de Guise (L’assassinio del duca di Guisa), trasposizione di

una dramma di Henri Lavedan, accademico di Francia,

accompagnata da una partitura originale di Camille Saint-Saëns.

André Calmettes

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Misura Riflettendo sulla recitazione muta

del cinema, Le Bargy ha scelto di

contenere i movimenti del corpo

entro una mimica misurata che

enfatizzi le espressioni del viso,

rifiutando il gesticolare eccessivo

dei palcoscenici e imponendo a

se stesso e alla troupe, nota

Sadoul, «gesti lenti, misurati,

espressivi. Una quasi immobilità

in contrasto con l’agitazione dei

personaggi di Méliès».

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Drammaturgia

I costumi e gli arredi sono assai curati, tanto da creare una

specie di «estetica della scena». Le immagini sono riprese, come

d’abitudine, con una camera fissa in piano medio, mantenendo

un’impostazione visuale teatrale. Ma sorprende la volontà di

instaurare una drammaturgica verosimiglianza dentro l’arte

cinematografica e, nella scena dell’assassinio come nella

tensione che lo precede, si scorgono i prodromi del film d’azione.

Paul Delaroche, L’assassinat du duc de Guise, 1834

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La critica

Il film ha un clamoroso successo di pubblico, ma non convince

i critici, che esprimono giudizi contrastanti: il montaggio è

banale, le scenografie troppo teatrali, la recitazione manierata,

inadatta allo schermo.

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Tuttavia la serata, secondo Georges Sadoul, segna uno

spartiacque nella storia del cinema.

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Teatralità

Henri Langlois, riprende l’ipotesi di Sadoul secondo cui la

«teatralità» è stata importante nell’evoluzione del «linguaggio

cinematografico» permettendo di costruire codici spaziali e

gestuali che lo spazio all’aperto non consente; ma Sadoul

(Revue de filmologie n° 1, 1947) portava ad esempio Méliès,

mentre Langlois (Revue du cinéma de 1948) la applica invece

al film sul duca di Guisa, che Sadoul invece rimprovera di

restare impigliato nella teatralità di Méliès, esaurendone le

capacità innovative.

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Teatralità

Langlois non è tenero con l’Assassinat ma poi vi vede

anch’egli una «svolta nella storia del cinema mondiale» per la

qualità della narrazione impostata da Lavedan che «non si è

contentato, come gli altri, d’inventare una storia, di farne una

serie di quadri», ma stabilisce «una continuità in cui tutto è

concepito al fine di collegare il movimento degli attori allo

sviluppo della trama». Deplorando infine che il cinema

francese non abbia tirato le conclusioni che apriranno a

Griffith la strada del futuro.

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L’interesse suscitato induce comunque gli altri produttori a

varare esperienze simili e avvia il saccheggio di grandi autori

come Shakespeare, Victor Hugo, Tolstoi, Dickens, così come

di numerose opere liriche e balletti.

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Contenuto

Si attinge perciò con approssimazione entusiasta alla

letteratura e al teatro, mettendo in scena in compendio

romanzi e commedie, poemi e tragedie, senza risparmiare

l’epica e la storia, personaggi reali o immaginari incarnati in

attori e attrici che galvanizzano e incantano il pubblico.

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La Gaumont lancia i

Films esthétiques e la

Pathé la SCAGL

(Société

cinématografique des

auteurs et gens de

lettres), in combutta

con André Calmettes.

Impara l’arte…

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I miserabili

Nel 1912 la versione SCAGL de I miserabili, diretta da Albert

Capellani, arriva nella versione integrale a 5 ore, ma riporta un

grande successo.

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Sarah Bernhardt

Il nuovo pubblico è disposto a spendere per avere film più lunghi.

Lo capisce bene Adolph Zukor, che compra i diritti per gli Stati

Uniti de La Reine Elisabeth (Louis Mercanton, 1912): 50 minuti

per 4 rulli e un dollaro d’entrata per vedere in azione la “divina”

Sarah Bernhardt quasi settantenne. Col ricavato può fondare

la Famous Players Film Company, poi Paramount Pictures.

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L’Italia si desta Ma è in Italia che l’idea del film

d’arte trova il terreno più fertile. La

Pathé infatti, preoccupata per la

concorrenza delle case italiane, si

avventura anche nella penisola, con

la fondazione a Roma (2 marzo

1909) della Società Anonima Italiana

per Film d’Arte, direttore generale

Adolfo Re Riccardi, e impianta un

suo stabilimento, anche per smaltire

la pellicola vergine in eccesso

prodotta a Vincennes.

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L’Italia si desta La sede e la produzione, sorte

inizialmente nella zona del

Colosseo, vengono poi trasferite in

un più pratico capannanone sulla

via Nomentana. Anche la

consociata romana scrittura i

maggiori interpreti del teatro (Re

Riccardi è un noto impresario e il

direttore artistico Ugo Falena un

commediografo) e si orienta verso

produzioni ispirata a opere

letterarie.

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L’Italia si desta

S’inizia con Shakespeare (tra il 1909 e il 1912 troviamo Otello,

Re Lear, Il mercante di Venezia, Romeo e Giulietta) e si

prosegue con drammi storici e commedie, prevalentemente

ispirati da Falena.

Il Trovatore, 1910

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L’Italia si desta

La presenza in Italia di un prestigioso patrimonio di letteratura

e arte e il volto un po’ mecenatistico del nostro cinema

favoriscono questa tendenza che, mentre spalanca uno

sterminato repertorio, consente di posare a «protettori della

cultura», guadagnandoci anche sopra. Alla pretesa artistica si

accompagna un forte interesse per la storia, avviando un

timbro cinematografico particolare che sarà famoso nel

mondo e costituirà uno dei driver del cinema hollywoodiano.

Maria Jacobini in Cesare Borgia (1912)

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Il film storico Al 1905 rimonta il primo «vero»

film prodotto in Italia, non a caso

un film storico. Si tratta de La

presa di Roma, prodotto dal Primo

Stabilimento Italiano di Manifattura

Cinematografica Alberini e

Santoni creato da Filoteo Alberini

alla fine del 1904 in via Veio, nel

quartiere San Giovanni, con teatro

di posa, attrezzature e laboratori

per lo sviluppo, la stampa e il

montaggio delle pellicole.

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La presa di Roma

Alberini ottiene l’autorizzazione per una presentazione ufficiale

con proiezione all’aperto proprio dinanzi a Porta Pia, cui

partecipano migliaia di persone. Sopravvivono, degli originari 250

metri del film (una decina di minuti, contro i 40/60mt. tradizionali),

solamente 75 metri, per quattro minuti di proiezione.

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La presa di Roma

«Per eseguire questa importante cinematografia si è fatto tesoro

dei più minuti particolari storici, desumendoli dai giornali e dalle

cronache del tempo. Gli scenari sono stati riprodotti dal Prof.

Augusto Cicognini su fotografie eseguite dal Tuminello il 21

Settembre 1870, ed altri dal vero».

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La presa di Roma

«Il Ministero della Guerra ha gentilmente concorso a questa

cinematografia accordando soldati, cavalleggeri, artiglierie,

uniformi ed armi. Nulla insomma è stato trascurato perché questa

ricostruzione storica riuscisse degna del patriottico soggetto e del

nostro stabilimento».

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La presa di Roma è una «grande ricostruzione storica in sette

quadri» che Alberini sviluppa in unità narrative autonome ma

collegate. I tre quadri ripresi in teatro di posa si alternano con

quelli girati in esterni, che conferiscono autenticità alle scene di

battaglia, unendo il realismo della ricostruzione storica, ispirata

alle opere del pittore Michele Cammarano, alla spettacolarità

delle scene e aprendo la strada ai film degli anni successivi.

La presa di Roma

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Nasce la Cines

La Alberini & Santoni produce una quindicina di pellicole e,

guadagnato quanto basta, viene ceduta qualche mese dopo al

barone Alberto Fassini e a un gruppo di importanti investitori e

dal 1 aprile 1906 diventa la Società Anonima Cines.

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Film storico

A Torino, la Ambrosio Film, spinta dal successo del genere,

produce nel 1908 Gli ultimi giorni di Pompei, con grandi effetti

visivi, scene di massa e atmosfere di terrore. Il film, anch’esso

formato da una serie di quadri animati senza montaggio,

inaugura un genere che possiamo definire «catastrofico».

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Film storico

Sempre a Torino, nel 1910 la Itala Film di Giovanni Pastrone

(considerato il padre del cinema italiano) inaugura una sua

«Serie d’arte» col film La caduta di Troia, ancora una volta

strutturato su lunghe inquadrature teatrali fisse.

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Film storico

«Per dire degnamente di questa pellicola occorrerebbe un

volume. Bisogna vederla per convincersi del lungo amore,

della cura meticolosa e dell’arte somma che l’Itala Film vi ha

profuso. I particolari sono esattissimi, l’architettura è quella del

tempo: non dei teloni pitturati alla diavola; ma dei veri e propri

materiali di adatte sostanze, sì da dare l’assoluta illusione del

vero. Esattissimi pure i costumi».

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Film storico

«Gli attori eccellenti tutti, e con quel sobrio agire, quel naturale

incesso, quel decoroso insieme, di cui hanno lasciato descrizioni

mirabili Pausania, Plutarco, Erodoto, Tucidide, ecc. Caldi di quel

soave fuoco, che è proprio degli amori intensi, ne appaiono Elena

e Paride: figure, d’altra parte, fisicamente bellissime. I vari assalti

e le non poche mischie sono di un’efficacia assoluta».

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Film storico

«Una sopratutto impressiona: sono parecchie centinaia di uomini

validi che veramente combattono; al tal proposito, anzi, gli attori

presero la loro parte sul serio che i colpi, ne vien detto, non

furono da burla, ma fecero correre sangue, e ci vollero i medici.

Insomma questa elaborata pellicola, che anche dal punto di vista

della tecnica fotografica s’impone, può dirsi un bel trionfo

dell’odierna cinematografia». Gualtiero I. Fabbri, La Cinematografia italiana ed estera, Torino, 15/20 febbraio 1911

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L’Inferno

Nel 1911 la Milano Films produce

un film di grande impegno

produttivo e artistico, proponendo

la riduzione cinematografica

dell’Inferno di Dante.

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L’Inferno L’Inferno, prodotto dalla Milano

Films, è il primo film italiano a 5

bobine e anche il primo a ottenere

l’iscrizione nel pubblico registro

delle opere protette; sfrutta inoltre

un nuovo tipo di distribuzione

inventato da Goffredo Lombardo -

basato non sulla vendita delle

copie o sul noleggio, ma sulla

cessione dei diritti in esclusiva per

zone e paesi – e ha grande

successo anche all’estero.

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L’Inferno

Il battage pubblicitario scatena i tentativi di imitazione, come

quello della Helios Film di Velletri, che fa uscire prima un film

con lo stesso titolo, più corto, più povero ma con qualche

rimando erotico in più.

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L’Inferno

«...L’idea di fare un film sull’Inferno dantesco era venuta nel 1909

alla società Saffi-Comerio di Milano, che l’anno successivo

sarebbe diventata Milano Films: quasi tre anni di riprese, 100

mila lire di spese (si disse) e un lancio internazionale affidato a

Goffredo Lombardo, futuro fondatore della Titanus: doveva

essere il primo film italiano lungo cinque bobine, cioè il primo

lungometraggio nazionale (i manifesti pubblicitari assicuravano

uno spettacolo lungo due ore), il primo che avesse usufruito di

una campagna pubblicitaria iniziata quasi un anno prima

dell’uscita».

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L’Inferno

E proprio questa lunga attesa aveva convinto i dirigenti della

Helios Film di Velletri che si poteva battere sul tempo il

concorrente: un film molto più corto, molto più economico

(ottomila lire il budget dichiarato), ma capace di arrivare prima sul

mercato e quindi sfruttare l’attesa creata dai concorrenti. E non

solo in Italia, ma anche in Francia, in Spagna, in Germania, negli

Stati Uniti. Come puntualmente avvenne. Nel gennaio 1911

L’Inferno della Helios sbarcò sugli schermi, tre mesi prima di

quello di Milano Films, a cui non restò che minacciare gravi

sanzioni a chi confondeva i due prodotti...».

Paolo Mereghetti, Corriere della Sera, 9 luglio 2004

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L’Inferno

Dal punto di vista tecnico si nota un largo impiego degli

accorgimenti tecnici che si vanno diffondendo in quel periodo. Le

inquadrature subiscono diverse articolazioni che rompono la

monotonia del campo medio lungo e fisso: riquadrature (semplici

movimenti della camera che spostano l’inquadratura), montaggio

di più inquadrature, scala di piani diversi, ecc. collaborano anche

le didascalie, per la prima volta usate in modo coerente, per

introdurre ogni scena con celebri versi o con frasi esplicative.

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L’Inferno

Il film è tra i migliori esempi di film «in costume» del periodo.

Grazie agli effetti speciali cinematografi (sovrimpressioni,

soprattutto) e teatrali (corde e macchinari) l’opera assume un

carattere visionario, corredato da alcune scene girate in esterno,

con un gran numero di comparse e scenografie grandiose.

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L’Inferno

Non c’è ancora un montaggio

«narrativo», che incalza la storia e

caratterizza i personaggi: l’inquadratura

è una funzione dello spettacolo visivo,

cioè la parte visuale è più il pretesto

per esaltare gli effetti speciali che lo

strumento per una storia che del resto

è già abbastanza nota.

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Enrico Guazzoni

Apprezzato pittore prestato al

cinema e specializzato nei film in

costume, diventa ben presto uno

dei direttori artistici di punta dalla

Cines, che, dopo il successo di La

Gerusalemme liberata (1911), gli

affida la realizzazione di un film

tratto da un popolare romanzo di

Sienkiewicz che porterà il cinema

italiano a trionfare nelle sale di

tutto il mondo.

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Quo Vadis?

Si tratta di Quo vadis? (1913), un film che, nonostante le accuse

di gusto «oleografico» e ambizioso «gigantismo», ottiene enorme

successo negli Stati Uniti e influenza molti registi, tra cui Griffith.

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Quo Vadis?

Con corse di quadrighe, scene di battaglia e leoni “veri”, il film

innesta sulla piattaforma seriosa della storia un convincente

senso dello spettacolo che trae il suo richiamo (dinamicità,

violenza, erotismo) dall’antichità romana, dando vita a un nuovo

tipo di film che in seguito sarà definito kolossal.

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Prospettiva Nel film Guazzoni raggruppa le

figure come un coreografo: in

primo piano i personaggi

autorevoli, poi le masse e in fondo

gli scenari naturali o architettonici;

è il primo cioè a porsi il problema

della prospettiva come

dislocamento di uomini e cose che

si presentano alla vista secondo la

loro diversa lontananza,

utilizzando gli esterni piuttosto che

il palcoscenico per realizzare le

prime gigantesche macchine

spettacolari.

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Quo Vadis?

Anche in questo caso

l’elemento iconografico è

ritagliato sul gusto pittorico

più in voga.

Jean-Léon Gérôme, Pollice Verso, 1872

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Film storico

Guazzoni insiste con Marcantonio e Cleopatra (1913) e Cajus

Julius Caesar (1914), mentre altri direttori artistici lo seguono

sulla stessa strada.

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Film storico

Nel 1913 Eleuterio Rodolfi dirige una nuova versione de Gli ultimi

giorni di Pompei, Giovanni Enrico Vidali Jone e Nino Oxilia In hoc

signo vinces; seguiranno Nerone e Agrippina (Mario Caserini),

Delenda Carthago!, Christus, Attila e Giuda.

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Film storico

Poi, la moda dei film ad alto budget cede il

passo ad altre formule narrative. Nel 1923,

con Messalina, Guazzoni tenterà un rilancio

ma, pur girando un buon film, non incontrerà

più il favore di un tempo presso un pubblico

ormai rapito dalle magie di Hollywood.

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Film d’arte

Intanto, l’avvicendamento

di nuove tematiche e di

diverse formule

spettacolari porta alla

conclusione la

dispendiosa esperienza

dei film «artistici».

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Film d’arte

La Film d’Arte Italiana, dopo

aver movimentato le acque,

coinvolto attori di grido e

lanciato giovani registi e dive

come Maria Jacobini e

Francesca Bertini, nel 1917

viene acquistata da Gioacchino

Mecheri, che controlla anche

la Tiber Film, e nel 1919 viene

assorbita dalla Unione

Cinematografica Italiana.

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Film d’arte

L’esperimento originale

francese finisce ancor prima.

Già nel 1909, abbandonata la

gestione, i Lafitte passando il

testimone al drammaturgo Paul

Gaveau, obbligato a impostare

una politica produttiva orientata

al risparmio. Nel 1911, esaurito

completamente il capitale, la

società viene travolta dai debiti

e dai guai giudiziari.

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L’esperimento dei film «artistici» è perciò una brillante meteora

che viene abbastanza presto risucchiata nell’alveo della

produzione media, contribuendo a metterne meglio in

evidenza alcuni caratteri e migliorando alcuni aspetti essenziali

dell’offerta, ma con risultati piuttosto ambigui.

Film d’arte

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Essa consente al

cinematografo di ottenere

per la prima volta solenni

riconoscimenti estetici,

smentendo un po’ la taccia

di divertimento volgare e

rozzo, ma paga alla

«teatralizzazione» un

prezzo che ne minaccia la

già precaria identità.

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La disponibilità di grandi star del

teatro - come Sarah Bernhardt,

Gabrielle Réjane e, in Italia,

Eleonora Duse (Cenere, 1916) -

a recitare davanti alla cinepresa

fornisce un certo prestigio alla

interpretazione cinematografica,

ma proponendo spesso una

recitazione enfatica, incurante

della regia e inadatta al nuovo

mezzo.

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La nuova tendenza ha stimolato la penetrazione del cinema

presso il pubblico borghese (che a sua volta induce a costruire

sale sempre più lussuose), ma ha basi produttive dispendiose,

fragili e dispersive. Il ruolo del regista, ad esempio, resta ancora

debole, soggetto all’estro delle vedettes più famose.

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Diviso fra espressione del gusto popolare e pretesa elitaria, il

Film d’art resta comunque il prototipo delle produzioni culturali

per il grande pubblico e il trampolino di lancio per un ruolo di

regista come responsabile di un set complesso in cui il concetto

di qualità non è più un estraneo.

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Dentro la macchina formidabile in grado

di sfornare centinaia di film all’anno che è

diventato il cinema prima ancora che

inizino gli anni Dieci, i contenuti vengono

perciò assemblati attraverso il drenaggio

dell’immaginario collettivo già dissodato

dai mezzi preesistenti - letteratura e teatro

soprattutto - senza tuttavia disdegnare

forme d’intrattenimento più ordinarie.

Contenuto

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Se è chiaro a tutti che il rilancio del cinema obbligatoriamente

passa attraverso la narrazione di storie nuove, sulla scelta dei

soggetti e sulle modalità del racconto tutto resta da decidere.

C’è chi punta sui temi «rubati» al teatro popolare o al romanzo

d’appendice; chi, soprattutto in Europa, si affida allo sfarzo

delle scenografie o alle scene di massa; chi si dirige filato

verso i drammi storici. Si vengono così a delineare i primi

generi cinematografici: guerra, western, melodramma, comico.

I generi

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Comico

È soprattutto in Europa che si delinea una più riconoscibile

divaricazione dei contenuti e dello stile che configura la

nascita dei generi cinematografici, che poi faranno la fortuna

della macchina industriale hollywoodiana.

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Comico

In Francia nascono i film comici, con clown e acrobati presi dal

circo le cui esibizioni sono spesso rese esplosive dal

montaggio. Lo schema classico è quello del personaggio più o

meno stralunato che combina disastri e poi fugge a gambe

levate, esaltando il motivo cinematografico della fuga-

inseguimento.

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Comico

Nel 1905 emerge André Deed, che approda ben presto in Italia

sotto le fortunate vesti di Cretinetti, uno stupido nelle cui

strampalate ingenuità si rispecchiano, deformati, i riti e le

cerimonie della società borghese.

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Comico

Più raffinata è la comicità di Max Linder, un attore che verso il

1905 dà vita al personaggio del gentiluomo Max, un distratto

sognatore che conquista il pubblico e l’attenzione della Pathé,

cui strappa il primo contratto di attore cinematografico pagato

con cifre astronomiche.

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Comico

In Italia si afferma anche il francese Ferdinand Guillaume, in

arte Polidor, un personaggio lunare e fanciullesco di notevole

popolarità, interprete nel 1911 di un Pinocchio sospeso tra

realtà e fantasia, ritrovato nel 1994 in un angolo dimenticato

della Cineteca di Milano.

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Tontolini

Nel 1910 con il film Tontolini di Giulio

Antamoro da vita all’omonimo personaggio

sciocco e maldestro ma capace di stupire

grazie al funambolismo e alle espressioni

buffe del volto. in poco più di un anno gira

un centinaio di comiche a un ritmo

ossessivo.

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Poliziesco Abbastanza precoce è anche la

nascita del genere poliziesco,

inaugurato dal regista

francesa Louis Feuillade con le

sue «serie» (serial

cinematografici antenati degli

attuali serial televisivi) che

presentano personaggi fissi

che passano da un’avventura

all’altra come Fantômas

(1913), Les vampires (1915-

16) e Judex (1916).

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Il 18 aprile 1914 esce in contemporanea a Torino e Milano il film

italiano più ambizioso fra quelli fino a quel momento realizzati.

Lungo 3.500 metri per tre ore e dieci minuti di spettacolo, è

costato un milione di lire rispetto a una media di cinquantamila e

segna il risultato più ragguardevole non solo della produzione

della Itala Film di Giovanni Pastrone, ma dell’intero cinema muto

italiano. Il titolo è il nome della protagonista, inventato per

l’occasione da Gabriele D’Annunzio: Cabiria.

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Cabiria Il film coinvolge nomi come quello

di D’Annunzio (che in realtà

incassa una somma per comporre

le didascalie e inventare il nome

di qualche personaggio) e di

Ildebrando Pizzetti (che non

riesce a completare il lavoro e

fornisce solo la Sinfonia del fuoco

per la scena del sacrificio,

lasciando il resto al maestro

Mazza) e ha un grande successo

di critica e di pubblico, in Italia e

fuori: a Parigi resta in cartellone

sei mesi, a New York un anno.

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Cabiria Il film riprende molti dei motivi

che hanno portato al

successo il cinema italiano

ispirato a vicende

dell’antichità, un tema e

un’ambientazione da tempo

già presenti sullo schermo. La

storia segue poi un percorso

che ricalca modelli letterari e

cinematografici che hanno già

affrontato la materia con

risultati suggestivi.

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Cabiria

Stavolta l’impegno produttivo, le scenografie, la massa di

comparse sono ancor più imponenti ma anche la spettacolarità

della messinscena - qui resa ancor più efficace dall’alternanza

dei piani, dai movimenti di macchina e dai raccordi di montaggio -

appartiene già alle consuetudini del genere. La grandiosità del

film insomma ha un ruolo fondamentale nel suo successo, ma i

motivi che lo consegnano alla storia del cinema risiedono altrove.

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Cabiria

La grande forza innovativa che supera ogni messinscena

precedente - in un film ridondante che accumula situazioni non

sempre necessarie e talvolta affatica il raccordo tra le vicende dei

protagonisti e gli eventi storici – risiede nell’insieme, nella forza

visuale che Pastrone e i suoi collaboratori (fra cui Segundo de

Chomón) imprimono a un materiale di per sé non particolarmente

nuovo, trasfigurandolo attraverso lo stile.

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Cabiria

Nella prima parte del film, soprattutto nella sequenza del

sacrificio delle fanciulle al dio Moloch, per la prima volta sembra

che lo schermo assuma una dimensione «tridimensionale»,

grazie alle «carrellate», che danno profondità allo sguardo dello

spettatore, al taglio delle inquadrature, alle luci e alle ombre, alla

«fisicità» dei personaggi.

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Cabiria Alcuni di loro non si

discostano dalle

convenzioni interpretative

del tempo ma altri, Maciste

in particolare, hanno un

sapore di novità per il

«realismo» del tratto, dei

movimenti, del

comportamento, che

costituirà un cardine della

recitazione cinematografica

successiva.