Troppo corti - Sapienza Università di Roma · A Torino, la Ambrosio Film, spinta dal successo del...
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Troppo corti
Sotto il profilo dei contenuti, nonostante l’impianto economico
e commerciale già solido, il cinema è ancora in gran parte
impigliato con i trucchi e le gag degli esordi, con i drammi
ispirati alla cronaca, in film confusi e molto brevi (dai 6 ai 15
minuti), dall’articolazione narrativa elementare e incerta.
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Nuovi contenuti
L’aumento della leggibilità (esplicitezza e disintermediazione)
che accompagna il consumo in sala incontra il favore del
pubblico, indotto a reclamare film sempre più lunghi. Allo
sforzo che sforna i primi lungometraggi si accompagna quindi
un lavoro per variare e rinnovare i contenuti e conferire ai
prodotti nuovi un più intrigante tessuto narrativo.
Wharton Inc. studio, 1915
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Come abbiamo visto, il successo dei nickelodeon in America
scatena il desiderio di film migliori, accompagnato, fra il 1906 e
il 1909, dalla pressione dei moralisti per individuare ciò che è
più opportuno reprimere, in nome del “buon gusto” e dei valori
borghesi.
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Molti cronisti dell’epoca, tra cui il celebre W. Stephen Bush,
«vendono» la crociata come una forma di protezione delle
classi lavoratrici dall’oscenità e dalla violenza. In realtà, i film
che mostrano una società urbana cruda, dominata dal crimine,
sono un pugno nello stomaco per i benpensanti, e uindi si
tratta semmai di proteggere i «nuovi clienti», con la complicità
dei produttori disposti a praticare forme di autocensura che
dureranno cinquant’anni pur di accattivarsene le simpatie.
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La produzione preferisce pertanto orientarsi su una
drammaturgia rassicurante, sull’idealizzazione di un ordine
familiare e comunitario “perfetto”, solo momentaneamente
turbato da qualche evento drammatico; uno sforzo costante
che, secondo molti autori, produrrà nel tempo un vero e
proprio occultamento del reale.
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Colpo di teatro
Per smuovere i ceti di condizione medio-alta, ancora diffidenti
verso il cinema, non bastano più gl’intrecci ridanciani o gli
effetti «a sorpresa»; per eccitare una domanda più raffinata
occorre un miglioramento globale del prodotto-film. Onde
abbattere la cattiva reputazione del cinema e farne «il grande
educatore del popolo», ma anche per portare in sala il
pubblico del teatro e dell’opera, in Francia si ricorre all’aiuto
della Comédie française.
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La Film d’Art Nel 1908, i fratelli Paul e André Lafitte,
banchieri, ispirano – dopo una rumorosa
campagna sui giornali parigini che reclama
film migliori, con la partecipazione dei più
grandi maestri del teatro - la fondazione
della Film d’art, società che dichiara il suo
obiettivo fin dal nome e, con un capitale
iniziale di 500 mila franchi, in breve tempo
crea un proprio studio a Neuilly. Affidata la
direzione artistica al regista teatrale Charles
Le Bargy, si propongono scelte produttive
di nuova concezione.
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La Film d’Art Per la prima volta si cercano sul
serio i favori del pubblico
borghese e intellettuale,
commissionando soggetti a
grandi scrittori (Rostand, Sardou,
Anatole France) e offrendo a
celebri attori teatrali le parti nei
film tratti dal repertorio
drammatico e letterario, che
comprende tragedie classiche e
testi letterari, trasposti con intenti
divulgativi e d’intrattenimento.
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Il figliol prodigo
Il 20 giugno 1907, intanto, al Théâtre des Variétés di Montmartre,
viene presentato a Parigi quello che molti considerano il primo
lungometraggio della storia del cinema: L’Enfant prodigue, girato
a maggio presso la Gaumont da Michel Carré, che ha adattato
per lo schermo una sua omonima pantomima del 1890.
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Il figliol prodigo
Il film, di lunghezza insolita (90 minuti), è un perfetto esempio di
teatro filmato che associa il cinema a un evento “culturale” e
spiana il terreno alla successiva ascesa della Film d’art.
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L’assassinat
ll 17 novembre 1908 viene presentato il primo frutto del progetto
Film d’Art: una pellicola diretta dallo stesso Le Bargy e da André
Calmettes, anch’egli, come molti degli interpreti della pellicola,
proveniente dalla Comédie française. Il titolo è L’assassinat du
duc de Guise (L’assassinio del duca di Guisa), trasposizione di
una dramma di Henri Lavedan, accademico di Francia,
accompagnata da una partitura originale di Camille Saint-Saëns.
André Calmettes
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Misura Riflettendo sulla recitazione muta
del cinema, Le Bargy ha scelto di
contenere i movimenti del corpo
entro una mimica misurata che
enfatizzi le espressioni del viso,
rifiutando il gesticolare eccessivo
dei palcoscenici e imponendo a
se stesso e alla troupe, nota
Sadoul, «gesti lenti, misurati,
espressivi. Una quasi immobilità
in contrasto con l’agitazione dei
personaggi di Méliès».
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Drammaturgia
I costumi e gli arredi sono assai curati, tanto da creare una
specie di «estetica della scena». Le immagini sono riprese, come
d’abitudine, con una camera fissa in piano medio, mantenendo
un’impostazione visuale teatrale. Ma sorprende la volontà di
instaurare una drammaturgica verosimiglianza dentro l’arte
cinematografica e, nella scena dell’assassinio come nella
tensione che lo precede, si scorgono i prodromi del film d’azione.
Paul Delaroche, L’assassinat du duc de Guise, 1834
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La critica
Il film ha un clamoroso successo di pubblico, ma non convince
i critici, che esprimono giudizi contrastanti: il montaggio è
banale, le scenografie troppo teatrali, la recitazione manierata,
inadatta allo schermo.
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Tuttavia la serata, secondo Georges Sadoul, segna uno
spartiacque nella storia del cinema.
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Teatralità
Henri Langlois, riprende l’ipotesi di Sadoul secondo cui la
«teatralità» è stata importante nell’evoluzione del «linguaggio
cinematografico» permettendo di costruire codici spaziali e
gestuali che lo spazio all’aperto non consente; ma Sadoul
(Revue de filmologie n° 1, 1947) portava ad esempio Méliès,
mentre Langlois (Revue du cinéma de 1948) la applica invece
al film sul duca di Guisa, che Sadoul invece rimprovera di
restare impigliato nella teatralità di Méliès, esaurendone le
capacità innovative.
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Teatralità
Langlois non è tenero con l’Assassinat ma poi vi vede
anch’egli una «svolta nella storia del cinema mondiale» per la
qualità della narrazione impostata da Lavedan che «non si è
contentato, come gli altri, d’inventare una storia, di farne una
serie di quadri», ma stabilisce «una continuità in cui tutto è
concepito al fine di collegare il movimento degli attori allo
sviluppo della trama». Deplorando infine che il cinema
francese non abbia tirato le conclusioni che apriranno a
Griffith la strada del futuro.
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L’interesse suscitato induce comunque gli altri produttori a
varare esperienze simili e avvia il saccheggio di grandi autori
come Shakespeare, Victor Hugo, Tolstoi, Dickens, così come
di numerose opere liriche e balletti.
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Contenuto
Si attinge perciò con approssimazione entusiasta alla
letteratura e al teatro, mettendo in scena in compendio
romanzi e commedie, poemi e tragedie, senza risparmiare
l’epica e la storia, personaggi reali o immaginari incarnati in
attori e attrici che galvanizzano e incantano il pubblico.
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La Gaumont lancia i
Films esthétiques e la
Pathé la SCAGL
(Société
cinématografique des
auteurs et gens de
lettres), in combutta
con André Calmettes.
Impara l’arte…
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I miserabili
Nel 1912 la versione SCAGL de I miserabili, diretta da Albert
Capellani, arriva nella versione integrale a 5 ore, ma riporta un
grande successo.
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Sarah Bernhardt
Il nuovo pubblico è disposto a spendere per avere film più lunghi.
Lo capisce bene Adolph Zukor, che compra i diritti per gli Stati
Uniti de La Reine Elisabeth (Louis Mercanton, 1912): 50 minuti
per 4 rulli e un dollaro d’entrata per vedere in azione la “divina”
Sarah Bernhardt quasi settantenne. Col ricavato può fondare
la Famous Players Film Company, poi Paramount Pictures.
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L’Italia si desta Ma è in Italia che l’idea del film
d’arte trova il terreno più fertile. La
Pathé infatti, preoccupata per la
concorrenza delle case italiane, si
avventura anche nella penisola, con
la fondazione a Roma (2 marzo
1909) della Società Anonima Italiana
per Film d’Arte, direttore generale
Adolfo Re Riccardi, e impianta un
suo stabilimento, anche per smaltire
la pellicola vergine in eccesso
prodotta a Vincennes.
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L’Italia si desta La sede e la produzione, sorte
inizialmente nella zona del
Colosseo, vengono poi trasferite in
un più pratico capannanone sulla
via Nomentana. Anche la
consociata romana scrittura i
maggiori interpreti del teatro (Re
Riccardi è un noto impresario e il
direttore artistico Ugo Falena un
commediografo) e si orienta verso
produzioni ispirata a opere
letterarie.
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L’Italia si desta
S’inizia con Shakespeare (tra il 1909 e il 1912 troviamo Otello,
Re Lear, Il mercante di Venezia, Romeo e Giulietta) e si
prosegue con drammi storici e commedie, prevalentemente
ispirati da Falena.
Il Trovatore, 1910
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L’Italia si desta
La presenza in Italia di un prestigioso patrimonio di letteratura
e arte e il volto un po’ mecenatistico del nostro cinema
favoriscono questa tendenza che, mentre spalanca uno
sterminato repertorio, consente di posare a «protettori della
cultura», guadagnandoci anche sopra. Alla pretesa artistica si
accompagna un forte interesse per la storia, avviando un
timbro cinematografico particolare che sarà famoso nel
mondo e costituirà uno dei driver del cinema hollywoodiano.
Maria Jacobini in Cesare Borgia (1912)
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Il film storico Al 1905 rimonta il primo «vero»
film prodotto in Italia, non a caso
un film storico. Si tratta de La
presa di Roma, prodotto dal Primo
Stabilimento Italiano di Manifattura
Cinematografica Alberini e
Santoni creato da Filoteo Alberini
alla fine del 1904 in via Veio, nel
quartiere San Giovanni, con teatro
di posa, attrezzature e laboratori
per lo sviluppo, la stampa e il
montaggio delle pellicole.
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La presa di Roma
Alberini ottiene l’autorizzazione per una presentazione ufficiale
con proiezione all’aperto proprio dinanzi a Porta Pia, cui
partecipano migliaia di persone. Sopravvivono, degli originari 250
metri del film (una decina di minuti, contro i 40/60mt. tradizionali),
solamente 75 metri, per quattro minuti di proiezione.
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La presa di Roma
«Per eseguire questa importante cinematografia si è fatto tesoro
dei più minuti particolari storici, desumendoli dai giornali e dalle
cronache del tempo. Gli scenari sono stati riprodotti dal Prof.
Augusto Cicognini su fotografie eseguite dal Tuminello il 21
Settembre 1870, ed altri dal vero».
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La presa di Roma
«Il Ministero della Guerra ha gentilmente concorso a questa
cinematografia accordando soldati, cavalleggeri, artiglierie,
uniformi ed armi. Nulla insomma è stato trascurato perché questa
ricostruzione storica riuscisse degna del patriottico soggetto e del
nostro stabilimento».
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La presa di Roma è una «grande ricostruzione storica in sette
quadri» che Alberini sviluppa in unità narrative autonome ma
collegate. I tre quadri ripresi in teatro di posa si alternano con
quelli girati in esterni, che conferiscono autenticità alle scene di
battaglia, unendo il realismo della ricostruzione storica, ispirata
alle opere del pittore Michele Cammarano, alla spettacolarità
delle scene e aprendo la strada ai film degli anni successivi.
La presa di Roma
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Nasce la Cines
La Alberini & Santoni produce una quindicina di pellicole e,
guadagnato quanto basta, viene ceduta qualche mese dopo al
barone Alberto Fassini e a un gruppo di importanti investitori e
dal 1 aprile 1906 diventa la Società Anonima Cines.
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Film storico
A Torino, la Ambrosio Film, spinta dal successo del genere,
produce nel 1908 Gli ultimi giorni di Pompei, con grandi effetti
visivi, scene di massa e atmosfere di terrore. Il film, anch’esso
formato da una serie di quadri animati senza montaggio,
inaugura un genere che possiamo definire «catastrofico».
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Film storico
Sempre a Torino, nel 1910 la Itala Film di Giovanni Pastrone
(considerato il padre del cinema italiano) inaugura una sua
«Serie d’arte» col film La caduta di Troia, ancora una volta
strutturato su lunghe inquadrature teatrali fisse.
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Film storico
«Per dire degnamente di questa pellicola occorrerebbe un
volume. Bisogna vederla per convincersi del lungo amore,
della cura meticolosa e dell’arte somma che l’Itala Film vi ha
profuso. I particolari sono esattissimi, l’architettura è quella del
tempo: non dei teloni pitturati alla diavola; ma dei veri e propri
materiali di adatte sostanze, sì da dare l’assoluta illusione del
vero. Esattissimi pure i costumi».
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Film storico
«Gli attori eccellenti tutti, e con quel sobrio agire, quel naturale
incesso, quel decoroso insieme, di cui hanno lasciato descrizioni
mirabili Pausania, Plutarco, Erodoto, Tucidide, ecc. Caldi di quel
soave fuoco, che è proprio degli amori intensi, ne appaiono Elena
e Paride: figure, d’altra parte, fisicamente bellissime. I vari assalti
e le non poche mischie sono di un’efficacia assoluta».
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Film storico
«Una sopratutto impressiona: sono parecchie centinaia di uomini
validi che veramente combattono; al tal proposito, anzi, gli attori
presero la loro parte sul serio che i colpi, ne vien detto, non
furono da burla, ma fecero correre sangue, e ci vollero i medici.
Insomma questa elaborata pellicola, che anche dal punto di vista
della tecnica fotografica s’impone, può dirsi un bel trionfo
dell’odierna cinematografia». Gualtiero I. Fabbri, La Cinematografia italiana ed estera, Torino, 15/20 febbraio 1911
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L’Inferno
Nel 1911 la Milano Films produce
un film di grande impegno
produttivo e artistico, proponendo
la riduzione cinematografica
dell’Inferno di Dante.
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L’Inferno L’Inferno, prodotto dalla Milano
Films, è il primo film italiano a 5
bobine e anche il primo a ottenere
l’iscrizione nel pubblico registro
delle opere protette; sfrutta inoltre
un nuovo tipo di distribuzione
inventato da Goffredo Lombardo -
basato non sulla vendita delle
copie o sul noleggio, ma sulla
cessione dei diritti in esclusiva per
zone e paesi – e ha grande
successo anche all’estero.
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L’Inferno
Il battage pubblicitario scatena i tentativi di imitazione, come
quello della Helios Film di Velletri, che fa uscire prima un film
con lo stesso titolo, più corto, più povero ma con qualche
rimando erotico in più.
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L’Inferno
«...L’idea di fare un film sull’Inferno dantesco era venuta nel 1909
alla società Saffi-Comerio di Milano, che l’anno successivo
sarebbe diventata Milano Films: quasi tre anni di riprese, 100
mila lire di spese (si disse) e un lancio internazionale affidato a
Goffredo Lombardo, futuro fondatore della Titanus: doveva
essere il primo film italiano lungo cinque bobine, cioè il primo
lungometraggio nazionale (i manifesti pubblicitari assicuravano
uno spettacolo lungo due ore), il primo che avesse usufruito di
una campagna pubblicitaria iniziata quasi un anno prima
dell’uscita».
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L’Inferno
E proprio questa lunga attesa aveva convinto i dirigenti della
Helios Film di Velletri che si poteva battere sul tempo il
concorrente: un film molto più corto, molto più economico
(ottomila lire il budget dichiarato), ma capace di arrivare prima sul
mercato e quindi sfruttare l’attesa creata dai concorrenti. E non
solo in Italia, ma anche in Francia, in Spagna, in Germania, negli
Stati Uniti. Come puntualmente avvenne. Nel gennaio 1911
L’Inferno della Helios sbarcò sugli schermi, tre mesi prima di
quello di Milano Films, a cui non restò che minacciare gravi
sanzioni a chi confondeva i due prodotti...».
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera, 9 luglio 2004
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L’Inferno
Dal punto di vista tecnico si nota un largo impiego degli
accorgimenti tecnici che si vanno diffondendo in quel periodo. Le
inquadrature subiscono diverse articolazioni che rompono la
monotonia del campo medio lungo e fisso: riquadrature (semplici
movimenti della camera che spostano l’inquadratura), montaggio
di più inquadrature, scala di piani diversi, ecc. collaborano anche
le didascalie, per la prima volta usate in modo coerente, per
introdurre ogni scena con celebri versi o con frasi esplicative.
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L’Inferno
Il film è tra i migliori esempi di film «in costume» del periodo.
Grazie agli effetti speciali cinematografi (sovrimpressioni,
soprattutto) e teatrali (corde e macchinari) l’opera assume un
carattere visionario, corredato da alcune scene girate in esterno,
con un gran numero di comparse e scenografie grandiose.
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L’Inferno
Non c’è ancora un montaggio
«narrativo», che incalza la storia e
caratterizza i personaggi: l’inquadratura
è una funzione dello spettacolo visivo,
cioè la parte visuale è più il pretesto
per esaltare gli effetti speciali che lo
strumento per una storia che del resto
è già abbastanza nota.
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Enrico Guazzoni
Apprezzato pittore prestato al
cinema e specializzato nei film in
costume, diventa ben presto uno
dei direttori artistici di punta dalla
Cines, che, dopo il successo di La
Gerusalemme liberata (1911), gli
affida la realizzazione di un film
tratto da un popolare romanzo di
Sienkiewicz che porterà il cinema
italiano a trionfare nelle sale di
tutto il mondo.
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Quo Vadis?
Si tratta di Quo vadis? (1913), un film che, nonostante le accuse
di gusto «oleografico» e ambizioso «gigantismo», ottiene enorme
successo negli Stati Uniti e influenza molti registi, tra cui Griffith.
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Quo Vadis?
Con corse di quadrighe, scene di battaglia e leoni “veri”, il film
innesta sulla piattaforma seriosa della storia un convincente
senso dello spettacolo che trae il suo richiamo (dinamicità,
violenza, erotismo) dall’antichità romana, dando vita a un nuovo
tipo di film che in seguito sarà definito kolossal.
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Prospettiva Nel film Guazzoni raggruppa le
figure come un coreografo: in
primo piano i personaggi
autorevoli, poi le masse e in fondo
gli scenari naturali o architettonici;
è il primo cioè a porsi il problema
della prospettiva come
dislocamento di uomini e cose che
si presentano alla vista secondo la
loro diversa lontananza,
utilizzando gli esterni piuttosto che
il palcoscenico per realizzare le
prime gigantesche macchine
spettacolari.
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Quo Vadis?
Anche in questo caso
l’elemento iconografico è
ritagliato sul gusto pittorico
più in voga.
Jean-Léon Gérôme, Pollice Verso, 1872
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Film storico
Guazzoni insiste con Marcantonio e Cleopatra (1913) e Cajus
Julius Caesar (1914), mentre altri direttori artistici lo seguono
sulla stessa strada.
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Film storico
Nel 1913 Eleuterio Rodolfi dirige una nuova versione de Gli ultimi
giorni di Pompei, Giovanni Enrico Vidali Jone e Nino Oxilia In hoc
signo vinces; seguiranno Nerone e Agrippina (Mario Caserini),
Delenda Carthago!, Christus, Attila e Giuda.
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Film storico
Poi, la moda dei film ad alto budget cede il
passo ad altre formule narrative. Nel 1923,
con Messalina, Guazzoni tenterà un rilancio
ma, pur girando un buon film, non incontrerà
più il favore di un tempo presso un pubblico
ormai rapito dalle magie di Hollywood.
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Film d’arte
Intanto, l’avvicendamento
di nuove tematiche e di
diverse formule
spettacolari porta alla
conclusione la
dispendiosa esperienza
dei film «artistici».
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Film d’arte
La Film d’Arte Italiana, dopo
aver movimentato le acque,
coinvolto attori di grido e
lanciato giovani registi e dive
come Maria Jacobini e
Francesca Bertini, nel 1917
viene acquistata da Gioacchino
Mecheri, che controlla anche
la Tiber Film, e nel 1919 viene
assorbita dalla Unione
Cinematografica Italiana.
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Film d’arte
L’esperimento originale
francese finisce ancor prima.
Già nel 1909, abbandonata la
gestione, i Lafitte passando il
testimone al drammaturgo Paul
Gaveau, obbligato a impostare
una politica produttiva orientata
al risparmio. Nel 1911, esaurito
completamente il capitale, la
società viene travolta dai debiti
e dai guai giudiziari.
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L’esperimento dei film «artistici» è perciò una brillante meteora
che viene abbastanza presto risucchiata nell’alveo della
produzione media, contribuendo a metterne meglio in
evidenza alcuni caratteri e migliorando alcuni aspetti essenziali
dell’offerta, ma con risultati piuttosto ambigui.
Film d’arte
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Essa consente al
cinematografo di ottenere
per la prima volta solenni
riconoscimenti estetici,
smentendo un po’ la taccia
di divertimento volgare e
rozzo, ma paga alla
«teatralizzazione» un
prezzo che ne minaccia la
già precaria identità.
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La disponibilità di grandi star del
teatro - come Sarah Bernhardt,
Gabrielle Réjane e, in Italia,
Eleonora Duse (Cenere, 1916) -
a recitare davanti alla cinepresa
fornisce un certo prestigio alla
interpretazione cinematografica,
ma proponendo spesso una
recitazione enfatica, incurante
della regia e inadatta al nuovo
mezzo.
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La nuova tendenza ha stimolato la penetrazione del cinema
presso il pubblico borghese (che a sua volta induce a costruire
sale sempre più lussuose), ma ha basi produttive dispendiose,
fragili e dispersive. Il ruolo del regista, ad esempio, resta ancora
debole, soggetto all’estro delle vedettes più famose.
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Diviso fra espressione del gusto popolare e pretesa elitaria, il
Film d’art resta comunque il prototipo delle produzioni culturali
per il grande pubblico e il trampolino di lancio per un ruolo di
regista come responsabile di un set complesso in cui il concetto
di qualità non è più un estraneo.
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Dentro la macchina formidabile in grado
di sfornare centinaia di film all’anno che è
diventato il cinema prima ancora che
inizino gli anni Dieci, i contenuti vengono
perciò assemblati attraverso il drenaggio
dell’immaginario collettivo già dissodato
dai mezzi preesistenti - letteratura e teatro
soprattutto - senza tuttavia disdegnare
forme d’intrattenimento più ordinarie.
Contenuto
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Se è chiaro a tutti che il rilancio del cinema obbligatoriamente
passa attraverso la narrazione di storie nuove, sulla scelta dei
soggetti e sulle modalità del racconto tutto resta da decidere.
C’è chi punta sui temi «rubati» al teatro popolare o al romanzo
d’appendice; chi, soprattutto in Europa, si affida allo sfarzo
delle scenografie o alle scene di massa; chi si dirige filato
verso i drammi storici. Si vengono così a delineare i primi
generi cinematografici: guerra, western, melodramma, comico.
I generi
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Comico
È soprattutto in Europa che si delinea una più riconoscibile
divaricazione dei contenuti e dello stile che configura la
nascita dei generi cinematografici, che poi faranno la fortuna
della macchina industriale hollywoodiana.
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Comico
In Francia nascono i film comici, con clown e acrobati presi dal
circo le cui esibizioni sono spesso rese esplosive dal
montaggio. Lo schema classico è quello del personaggio più o
meno stralunato che combina disastri e poi fugge a gambe
levate, esaltando il motivo cinematografico della fuga-
inseguimento.
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Comico
Nel 1905 emerge André Deed, che approda ben presto in Italia
sotto le fortunate vesti di Cretinetti, uno stupido nelle cui
strampalate ingenuità si rispecchiano, deformati, i riti e le
cerimonie della società borghese.
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Comico
Più raffinata è la comicità di Max Linder, un attore che verso il
1905 dà vita al personaggio del gentiluomo Max, un distratto
sognatore che conquista il pubblico e l’attenzione della Pathé,
cui strappa il primo contratto di attore cinematografico pagato
con cifre astronomiche.
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Comico
In Italia si afferma anche il francese Ferdinand Guillaume, in
arte Polidor, un personaggio lunare e fanciullesco di notevole
popolarità, interprete nel 1911 di un Pinocchio sospeso tra
realtà e fantasia, ritrovato nel 1994 in un angolo dimenticato
della Cineteca di Milano.
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Tontolini
Nel 1910 con il film Tontolini di Giulio
Antamoro da vita all’omonimo personaggio
sciocco e maldestro ma capace di stupire
grazie al funambolismo e alle espressioni
buffe del volto. in poco più di un anno gira
un centinaio di comiche a un ritmo
ossessivo.
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Poliziesco Abbastanza precoce è anche la
nascita del genere poliziesco,
inaugurato dal regista
francesa Louis Feuillade con le
sue «serie» (serial
cinematografici antenati degli
attuali serial televisivi) che
presentano personaggi fissi
che passano da un’avventura
all’altra come Fantômas
(1913), Les vampires (1915-
16) e Judex (1916).
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Il 18 aprile 1914 esce in contemporanea a Torino e Milano il film
italiano più ambizioso fra quelli fino a quel momento realizzati.
Lungo 3.500 metri per tre ore e dieci minuti di spettacolo, è
costato un milione di lire rispetto a una media di cinquantamila e
segna il risultato più ragguardevole non solo della produzione
della Itala Film di Giovanni Pastrone, ma dell’intero cinema muto
italiano. Il titolo è il nome della protagonista, inventato per
l’occasione da Gabriele D’Annunzio: Cabiria.
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Cabiria Il film coinvolge nomi come quello
di D’Annunzio (che in realtà
incassa una somma per comporre
le didascalie e inventare il nome
di qualche personaggio) e di
Ildebrando Pizzetti (che non
riesce a completare il lavoro e
fornisce solo la Sinfonia del fuoco
per la scena del sacrificio,
lasciando il resto al maestro
Mazza) e ha un grande successo
di critica e di pubblico, in Italia e
fuori: a Parigi resta in cartellone
sei mesi, a New York un anno.
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Cabiria Il film riprende molti dei motivi
che hanno portato al
successo il cinema italiano
ispirato a vicende
dell’antichità, un tema e
un’ambientazione da tempo
già presenti sullo schermo. La
storia segue poi un percorso
che ricalca modelli letterari e
cinematografici che hanno già
affrontato la materia con
risultati suggestivi.
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Cabiria
Stavolta l’impegno produttivo, le scenografie, la massa di
comparse sono ancor più imponenti ma anche la spettacolarità
della messinscena - qui resa ancor più efficace dall’alternanza
dei piani, dai movimenti di macchina e dai raccordi di montaggio -
appartiene già alle consuetudini del genere. La grandiosità del
film insomma ha un ruolo fondamentale nel suo successo, ma i
motivi che lo consegnano alla storia del cinema risiedono altrove.
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Cabiria
La grande forza innovativa che supera ogni messinscena
precedente - in un film ridondante che accumula situazioni non
sempre necessarie e talvolta affatica il raccordo tra le vicende dei
protagonisti e gli eventi storici – risiede nell’insieme, nella forza
visuale che Pastrone e i suoi collaboratori (fra cui Segundo de
Chomón) imprimono a un materiale di per sé non particolarmente
nuovo, trasfigurandolo attraverso lo stile.
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Cabiria
Nella prima parte del film, soprattutto nella sequenza del
sacrificio delle fanciulle al dio Moloch, per la prima volta sembra
che lo schermo assuma una dimensione «tridimensionale»,
grazie alle «carrellate», che danno profondità allo sguardo dello
spettatore, al taglio delle inquadrature, alle luci e alle ombre, alla
«fisicità» dei personaggi.
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Cabiria Alcuni di loro non si
discostano dalle
convenzioni interpretative
del tempo ma altri, Maciste
in particolare, hanno un
sapore di novità per il
«realismo» del tratto, dei
movimenti, del
comportamento, che
costituirà un cardine della
recitazione cinematografica
successiva.