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48 N ei paesi anglosassoni sui biglietti d'ingresso ad un evento moto- ristico è stampato in maniera chiara che lo "spettacolo" a cui si va ad assistere è pericoloso. Anche Monza non poteva prescindere da questo concetto e quindi nei suoi novant'anni di vita le tragedie sono andate di pari passo con la ricerca della vittoria ma, soprattutto su questa pista, con lo sviluppo della sicu- rezza dei suoi partecipanti. Siano essi gli attori principali come i piloti, oppure protagonisti dietro le quinte quali meccanici e commissari o gli stessi semplici spettatori. Un triste conto che elenca poco più di novanta vitti- me accertate, che in questo racconto a capitoli delle vicende dell'impianto lom- bardo non potevano essere ignorate. Il nome simbolo, Alberto Ascari Tanto si è detto, scritto, ipotizzato e an- che fantasticato, su quel 26 maggio del 1955. Tutto sommato un anonimo gio- vedì compresso fra due corse internazio- nali importanti. La domenica prima con il ritorno della Formula Uno a Montecarlo e, tre giorni più tardi, una gara per vettu- re sport denominata Gran Premio Supercortemaggiore in onore dello sponsor petrolifero. Proprio lì, a Monza. Sulle strade del principato monegasco Alberto Ascari ha avuto uno dei rari inci- denti della sua carriera volando in mare con la sua Lancia D50.Tornato a casa per lui i dottori hanno prescritto il riposo, al- meno fino al successivo Gran Premio del Belgio di quindici giorni dopo. Invece Ascari non resiste e, in tarda mattinata di quel fatidico giovedì, arriva in Autodromo per seguire la preparazione della riva- le Ferrari per l'imminente gara monzese. Con lui l'a- mico Gigi Villoresi e, ai Nella sua lunga storia, l'autodromo brianzolo ha conosciuto giorni di tragedia. Ecco la loro cronaca. I 90 anni di Monza Tristi giorni di gloria BOSSI

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Nei paesi anglosassoni sui bigliettid'ingresso ad un evento moto-ristico è stampato in maniera

chiara che lo "spettacolo" a cui si va adassistere è pericoloso. Anche Monza nonpoteva prescindere da questo concettoe quindi nei suoi novant'anni di vita letragedie sono andate di pari passo con laricerca della vittoria ma, soprattutto suquesta pista, con lo sviluppo della sicu-rezza dei suoi partecipanti. Siano essi gliattori principali come i piloti, oppureprotagonisti dietro lequinte quali meccanici ecommissari o gli stessisemplici spettatori. Untriste conto che elencapoco più di novanta vitti-

me accertate, che in questo racconto acapitoli delle vicende dell'impianto lom-bardo non potevano essere ignorate.

Il nome simbolo,Alberto AscariTanto si è detto, scritto, ipotizzato e an-che fantasticato, su quel 26 maggio del1955. Tutto sommato un anonimo gio-vedì compresso fra due corse internazio-nali importanti. La domenica prima con ilritorno della Formula Uno a Montecarlo

e, tre giorni più tardi, una gara per vettu-re sport denominata Gran PremioSupercortemaggiore in onore dellosponsor petrolifero. Proprio lì, a Monza. Sulle strade del principato monegascoAlberto Ascari ha avuto uno dei rari inci-denti della sua carriera volando in marecon la sua Lancia D50. Tornato a casa perlui i dottori hanno prescritto il riposo, al-meno fino al successivo Gran Premio delBelgio di quindici giorni dopo. InveceAscari non resiste e, in tarda mattinata di

quel fatidico giovedì, arrivain Autodromo per seguirela preparazione della riva-le Ferrari per l'imminentegara monzese. Con lui l'a-mico Gigi Villoresi e, ai

Nella sua lunga storia, l'autodromobrianzolo ha conosciuto giorni di tragedia.

Ecco la loro cronaca.

I 90 anni di MonzaTristi giorni di gloria

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LA NOSTRA STORIA

box, trova il suo "erede" EugenioCastellotti, appena sceso dalla 750 Monzadi 3 litri che il lodigiano sta provando perl'imminente maratona. Un saluto, un invito, la partenza. Dopo unpaio di passaggi davanti ai box la Ferrariha un sussulto all'altezza della Curva delVialone. Il motore si ammutolisce e i ru-mori cessano. Così come, improvvisa-mente, cessa la vita del più grande pilotaitaliano del dopoguerra.Molto si è detto di quell'attimo, all'ora dipranzo di un giovedì primaverile, dovetragedia e leggenda si sono mischiate. Lapiù probabile fra le versioni ci racconta diun operaio impegnato nella costruzionedella vicina Sopraelevata Nord che, conevidente imprudenza, ha attraversato lasede stradale di quel lungo curvone a si-nistra. Proprio mentre arrivava la 750Monza, ancor grezza nel color alluminioin attesa di essere verniciata nel già fa-moso rosso Ferrari. Due giorni dopo, mentre i vari Hawt horn,

Musso, lo stesso fresco vincitore di Mona -co, Trintignant, provano a Monza, nella vi-cina Milano la città si fermava per rende-re omaggio al suo campione. Ancora og-gi, nei documenti ufficiali, quella piega a si-nistra si chiama Curva del Vialone, ma daquel giorno a furor di popolo ha preso ilnome di Ascari, ribadito un ventennio piùtardi quando al suo interno è stata creatala prima celebre variante.

I primi tragici Gran PremiIl tragico incidente di Ascari riportava unvelo nero sulla pista monzese dopo sedi-ci anni dall'ultima vittima a quattro ruote,Emilio Villoresi, fratello di quel Gigi cheera stato proprio il miglior amico dellostesso Ascari. Come spesso succedeva in quegli anni, lecause reali di un incidente non erano fa-cili da decifrare. Anche nel caso diVilloresi spuntarono varie versioni, daun'improvvisa congestione del pilota allarottura dello sterzo della sua Alfa 159,per l'improvviso scarto a sinistra all'usci-ta del Curvone che lancia le auto versole successive curve di Lesmo. Inoltre, l'in-cidente era avvenuto durante una sessio-

La drammatica partenza del Gran Premio del 1978, subito interrotto per l’incidente che causerà poi la morte di Ronnie Peterson. Sotto, Ascari sorridente dopo una vittoria.

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ne di prove private in tempi in cui, inqueste occasioni, non erano previsticommissari lungo il percorso. Erano glistessi uomini ai box che, nel non vederepassare l'auto davanti a loro, intuivanoche si era verificato un problema, spessodi natura tecnica e con nessuna conse-guenza drammatica. A volte, purtroppo, la situazione si pre-sentava nella sua drammaticità agli occhidei primi soccorritori. Lo stesso EnzoFerrari lo sperimentò in prima personasabato 8 settembre del 1923, giorno diprove in vista del Gran Premio d'Italiaprevisto il giorno dopo. Infatti, ci fu ancheFerrari fra coloro che portarono le pri-me inutili cure all'amico Ugo Sivocci chesi era schiantato contro un albero. L'incidente dell'italiano avveniva un annoesatto dopo la morte, sempre il sabatodel Gran Premio, del pilota della AustroDaimler, il tedesco Gregor "Fritz" Kuhn.Quindi, ad una sola settimana dall'inaugu-razione del circuito, celebrata con la garadelle Vetturette del 3 settembre, Monzarichiedeva già il suo tributo in termine divite umane. Due settimane prima del tragico eventodi Sivocci del '23 c'era stato, proprio inpreparazione del Gran Premio d'Italia, ildecesso al vicino ospedale monzese delpilota della Fiat Enrico Giaccone, uscitodi pista mentre stava percorrendo alcunigiri di pista seduto al fianco dell'altro pi-lota ufficiale della squadra torinese,Pietro Bordino. Dopo Khun nel '22, Giaccone e Sivoccil'anno dopo, ecco che anche il GranPremio del 1924 è offuscato da una tra-

In alto, gli inutili soccorsi a Ugo Sivocci. Sopra, Giuseppe Campari. In basso, il tedesco della Ferrari,Taffy Von Trips, ed un fotogramma della carambola che costò la vita a lui ed a quindici spettatori.

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Tanta paura e poco più

La lista delle vittime in Autodromo avrebbe potuto essere piùlunga perchè, oltre agli eventi mortali successi, un gran nume-ro incidenti si sono risolti solo con danni ai mezzi o agli stes-si piloti. Difficile, se non impossibile, elencare tutti questi av-venimenti, ma alcuni sono famosi sia per la dinamica avuta siaper i loro protagonisti. Schiere di piloti, ma anche di commissari di pista, hanno fattoricorso alle cure mediche per incidenti più o meno gravi, cau-sati a volta per imperizia loro o per mancanza di elementarinorme di sicurezza. Per questo partiamo da una banale uscita di pista, l'8 giugnodel 1952, che però ebbe come conseguenza di fermare perun anno la stagione del Campione del Mondo in carica JuanManuel Fangio (a destra). Arrivato in circuito alle due del po-meriggio, dopo un estenuante viaggio notturno in auto daParigi a Monza, salì sulla sua Maserati da Gran Prix per una ga-ra minore. Al secondo giro, per un errore dovuto alla stan-chezza, volò letteralmente negli alberi di Lesmo con il risulta-to di tre mesi di gesso e stagione finita. Molti altri piloti sono planati contro le piante del Parco diMonza, soprattutto a Lesmo. Ha fatto storia l'uscita di pistadel neozelandese Chris Amon con la Ferrari durante il GranPremio del 1968 (in basso), anche perché mentre era in voloebbe la freddezza di staccare il condotto della benzina perevitare ulteriori drammi. Sorte peggiore, nello stesso punto, era capitata una decinad'anni prima, quando il milanese Dino Montevago subì l'am-putazione di un piede dopo essersi accartocciato con la suaF.Junior attorno ad un albero. Sorte più dura per l'argentinoAdrian Hang, durante una gara di SuperFormula del 1996,quando, a poche centinaia di metri dalla prima variante, unatoccata lo spedì contro le barriere ai lati della pista con il ri-sultato di subire la perdita di una gamba e di un piede. SiaMontevago che Hang erano sconosciuti al grande pubblico,esattamente come il bergamasco Michele Speciale, rimastoparalizzato in seguito ad un volo durante una gara del TrofeoCadetti nel 1969. Altro pilota della categoria formativa dell'AC Milano a subiregravi conseguenze, che ne decretano la fine all'ancor giovanecarriera, è il monzese Andrea Carpani protagonista di una se-rie impressionante di ribaltamenti in prima variante nel set-tembre 2002, a cui è seguita una lunga serie di operazionimediche per ristabilirsi.Negli anni Sessanta il maggior nemico dei piloti però era ilfuoco e il 1968 fu un anno particolare sotto questo aspetto.Si cominciò con l'incendio improvviso della Alfa Gta del te-desco Schultze alla 4 Ore, con il pilota che riuscì a salvarsiuscendo dal parabrezza esploso un attimo prima di essere di-vorato dalle fiamme. Sorte capitata invece alla sua Alfa per-ché l'autopompa inviata sul luogo dell'incidente trovò la stra-da di servizio sbarrata da quelle del folto pubblico. Altri due suoi connazionali, Willy Kausen e Karl Von Wendt,

hanno visto impotenti a bordo pista le proprie Porsche pro-totipo andare completamente distrutte dalle fiamme in duedistinti incidenti durante una lunga sessione di test a dicembre. Ma di quell'anno così famoso, il Sessantotto, restano impressii fotogrammi del tremendo incidente a sette, fra cui treFerrari ufficiali, all'uscita della Parabolica con il volo del fran-cese Jean Pierre Jaussaud sbalzato a bordo pista dall'abitaco-lo della sua Tecno. La colonna di fuoco alzatasi subito creò pa-nico anche fra i telespettatori di quel Gran Premio Lotteria diF2 che la Rai stava trasmettendo in diretta. Una ventina d'anni dopo, stesso punto e ancora diretta tele-visiva per lo spettacolare ribaltamento della Lotus di DerekWarwick al termine del primo giro del Gran Premio. Nessunaconseguenza per l'inglese, che subito chiese ai medici l'ok perriprendere il nuovo via con il muletto. Chiudiamo questo elenco, chiaramente incompleto, con iltremendo incidente alla 1000 Chilometri del 1971, quando,durante le prime fasi di gara, un'incomprensione fra laPorsche dello svizzero Willy Meier e la Ferrari 512 privata diArturo Merzario scatena l'inferno. La vettura tedesca volacontro le reti di protezione esplodendo subito con i suoi ser-batoi ancora ben carichi. Nell'incidente resta coinvolta anche l'unica Ferrari ufficialepresente, affidata in quel momento al belga Jacky Ickx. Meierse la caverà con alcune fratture mentre anche alcuni spetta-tori, investiti dalle fiamme della sua vettura, saranno costrettia ricorrere alle cure dei sanitari.

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gedia con la morte del conte ingleseLouis Zborowski, uscito di pista a Lesmocon la sua Mercedes ufficiale, durante lefasi centrali della gara.

Tragedie da tempi eroiciA lato leggete il resoconto dell'immanetragedia del Gran Premio del 1928 conl'incidente di Materassi, mentre in moltefonti è possibile trovare informazioni sul-

l'altra giornata segnata dalla tragedia nelprimo periodo di attività dell'Auto dro-mo. Quel Gran Premio di Monza disputa-to il pomeriggio del 10 settembre 1933,ironia dalla sorte con la pista ancora cal-da per la disputa del Gran Premio d'Italiavinto da Luigi Fagioli, in cui hanno trovatola morte tre assi di quegli anni. I nostriGiuseppe Campari e Baconin Borzac chi-ni, usciti lungo un tratto del curvone so-

praelevato sud, mentre poco dopo ancheil polacco Stanislao Czaikowsky era vitti-ma della stessa sorte pochi metri più in là.Ma di quel periodo definito da molti"eroico" il caso più strano è riferito allascomparsa della promessa Aldo Marraz -za. Anche per lui il giorno del GranPremio d'Italia, l'11 settembre 1938, ful'ultimo della sua giovane vita. In predicato di passare in breve tempo al-le più potenti vetture da Gran Prix, vieneschierato in mattinata con una Maseratiper la gara riservata alle Vetturette.All'ultimo giro, transitando sul traguardo,non si avvede della bandiera a scacchi acausa del fumo sprigionato a bordo pistada una vettura che sta bruciando.Prosegue quindi la sua folle corsa e dopoil Curvone esce di pista schiantandosicontro un albero. Successive lesioni inter-ne lo porteranno in serata alla morte,mentre per gli organizzatori è suo il quin-to posto nella sua ultima, tragica corsa.

Sicurezza che non c’è ancoraPurtroppo quella di Marrazza è una bef-fa che il 5 maggio 1961 si ripete, pur condinamiche diverse, per il trentaseienneGlicerio Barbolini, al termine della 12Ore di Turismo Coppa Ascari. Mentremancavano poche centinaia di metri altraguardo la sua Lancia Appia restava in

Particolari gli incidenti di cui sono stati vittime il bresciano Norberto Bagnalasta e l'inglese BoleyPittard, entrambi accaduti alla via delle gare, con l'italiano ribaltatosi dopo un contatto con unavettura ferma, mentre Pittard spirò in seguito alle ustioni subite nell'incendio della sua Formula 3.

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panne e allora il pilota modenese scen-deva per spingerla fino alla linea d'arrivo.Purtoppo un avversario che sopraggiun-geva alle sue spalle lo fece volare in ariaprocurandogli ferite mortali.Pochi mesi dopo Monza era protagonistadi un altro grave incidente dalla risonan-za ben maggiore, che vide scomparire iltedesco della Ferrari Taffy Von Trips, e conlui un totale di quindici spettatori, duran-te la disputa del Gran Premio d'Italia. Anche su questo incidente sono statescritte tante parole, ma a rendere piùchiara la vicenda, da un paio d'anni, è visi-bile in rete un filmato che riprenderefrontalmente la scena nella sua completadinamica. In quegli anni di corse ancora lontane daun accettabile livello di sicurezza non po-teva non essere tragica protagonista, suomalgrado, anche la neonata F.Junior. Sonostate addirittura due le vittime dello stes-so incidente, accaduto alla Curva del

Vialone il 28 giugno del 1959. Sia AlfredoTinazzo che Nino Crivellari erano venetid'origine, ma il secondo da tempo abita-va proprio a Monza e, un mese prima, lìaveva vinto la precedente gara di F.Junior. A rendere ancor più drammatica la vicen-da purtroppo ci ha pensato la televisioneche agli ignari parenti del primo ha reca-pitato in diretta la tremenda notizia. Treanni più tardi un'altra gara di F.Junior haavuto un epilogo amaro con la morte delfiorentino Marcello De Luca le cui ferite,al momento dell'incidente, sembravanopoca cosa. Purtrop-po in serata un'emo-raggia interna lo con dannò per sempre.

Un ultimo periodo tristeQuegli anni Sessanta sono segnati da unaserie di lutti che fra il '64 e il '67 si sonoportati via sei piloti. Per il primo e l'ulti-mo di questa triste serie, il brescianoNorberto Bagnalasta e l'inglese BoleyPittard, la sorte avversa si materializzò al

momento del via, con l'italiano ribaltato-si dopo un contatto con una vettura fer-ma, mentre il secondo spirò una settima-na più tardi in seguito alle bruciature su-bite nell'incendio della sua Lola di F3. Di quei tragici eventi resta nella memoriadi molti la tremenda fine dello svizzeroTommy Spychiger, durante lo svolgimen-to della prima 1000 Chilometri, il 25aprile del 1965, con il parabrezza inplexiglass della sua Ferrari 365 P2 che glitagliò la testa nella violenta uscita di pistaalla Parabolica. Con l'aumento delle misure di sicurezza,attive e passive, sono diminuite le conse-guenze degli incidenti e anche Monza,per fortuna, ne ha usufruito dei beneficiin termini di risultati. Dopo quel tristeperiodo culminato con il rogo di Pittardsono state quattro le vittime in pista. Leprove del Gran Premio d'Italia del 1970si sono portate via il leader di quel mon-diale, l'austriaco Jochen Rindt.

Materassi ed il fosso fatale

Sono ben ventidue le macchine che si schierano al via del-l'ottavo Gran Premio d'Italia. Fra loro anche le Talbot dellascuderia privata, la prima nata in Italia, gestita dal pilota tosca-no Emilio Materassi. Gli organizzatori non volevano accettarequeste quattro auto francesi ormai datate, per questioni disoprappeso, ma una modifica dell'ultim'ora al regolamento haconcesso al campione italiano in carica di schierarle. Un bel sole accoglie i piloti sullo schieramento che, per sor-teggio, assegna alla Talbot di Brilli Peri e alle MaseratiBorzacchini e Maggi l'onore della prima fila. Materassi scattadalla terza fila portandosi subito nel gruppo dei migliori magià al terzo giro il motore evidenzia di problemi. Mentre Nuvolari inizia un duello con altri piloti, fra cui unodei primi con il futuro rivale Varzi, Materassi si ferma ai boxper una sosta di controllo. Ripartito inizia una furibonda rin-corsa alle posizioni di testa che lo vede compiere alcune ma-novre estreme. Forse fu proprio questa la causa dell'improv-visa deviazione a sinistra per evitare, all'uscita della curva sud,la Bugatti di Foresti. L'auto come impazzita punta dritta verso il fossato ai bordidella sede stradale. Strappato il semplice reticolato che sepa-rava il pubblico, la pesante vettura francese compie un vol-teggio mortale sugli spettatori ammassati per seguire la gara.Materassi viene scaraventato lontano morendo sul colpo econ lui altri ventun corpi vengono raccolti senza vita. Duegiorni più tardi morirà anche il tredicenne figlio del podestàdella vicina Biassono.La gara continua fra il caos generale, con gli organizzatori chenon sospendono la corsa per consentire alle poche ambu-

lanze presenti di portare soccorso alle decine di feriti e tra-sportare i più gravi nei vicini ospedali. Anche questa mancatadecisione fu un atto di accusa usato contro di loro per avermal gestito la situazione, acuendo i richiami sulla pericolositàinsita, fin dagli inizi, nella pista monzese. Le conseguenze furono pesanti e lo stessa Sias, che già alloragestiva l'impianto, fu costretta, per far fronte ai danni econo-mici verso le famiglie delle vittime, a ridurre il proprio capita-le a una lira e cedere le azioni a una nuova realtà, denomina-ta Società Autodromo di Monza, di proprietà del RealeAutomobil Club d'Italia.

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Caduti su due ruote

Il tributo in termini umani della Monza a due ruote è inferio-re di quello derivante dagli incidenti automobilistici, soprat-tutto per il minor utilizzo in termini di gare e test da partedelle moto. Tuttavia la pericolosità insista in questa pista fra lepiù veloci al mondo ha sempre creato una sorta di timoremaggiore da parte dei piloti motociclistici nei confronti di al-tri impianti. C'è una data, il 20 maggio 1973 con la tragedia al Curvone diPasolini e Saarinen, che segna un punto focale nella storia diMonza. Un episodio drammatico che, un mese e mezzo piùtardi, diventa una sorta di non ritorno. Quel periodo di quarant'anni fa vide morire sull'asfalto mon-zese due campioni celebrati come il romagnolo e il finlande-se durante la corsa italiana del mondiale 250. Si accesero i fa-ri sulla pericolosità della pista, unita alla dinamica mai chiaritacompletamente dell'accaduto. Questo non bastò a comprendere appieno la situazione tan-to che, il seguente 8 luglio, furono tre le vittime nel medesi-mo punto, con più o meno le stesse modalità precedenti.Carlo Chionio, Renato Galtrucco e Renzo Colombini mori-rono durante lo svolgimento di una gara di campionato italia-no juniores, e per un certo periodo Monza fu bandita dalledue ruote. Eppure, a confronto con le quattro ruote, la pista brianzolasembrava meno "vorace" con i motociclisti, al punto che nellungo periodo anteguerra solo un pilota, l'ufficiale della Garelli,Luigi Galli, morì il 19 settembre del 1926. Il suo incidente av-venne a Lesmo, punto della pista al pari del famigeratoCurvone, dove molti altri sfortunati centauri chiusero la lorovita. Il più famoso di loro fu Rupert Hollaus, giunto a Monzacon il titolo delle 125 conquistato nella gara precedente emorto durante le prove del sabato come, anni più tardi capitòad un suo connazionale austriaco in Formula 1, Jochen Rindt,anche lui insignito del titolo mondiale dopo la scomparsa. Lesmo si portò via anche una promessa del motociclismo ita-liano, il fresco vincitore del Gran Premio di Svezia GianniDegli Antoni, morto il 7 agosto del 1956 durante una solita-ria sessione di prove con la Ducati 125 ufficiale. Il modenesestava preparando l'imminente Gran Premio delle Nazioni disettembre, l'evento principe che però ha anche segnato la

storia luttuosa di Monza, sia che in pista scendessero le mototitolate che quelle impegnate con i propri piloti nelle gare dicontorno. Anche l'ultima volta che Monza ospitò il Motomondiale, nelmaggio del 1987, il tributo venne pagato con la scomparsa diun giovane genovese, Mauro Ceccoli, perito durante una garamonomarca alla sua seconda corsa in assoluto su due ruote. Via le moto da Gran Premio, a Monza inizia l'era delleSuperBike, che dal 1990 ad oggi ha registrato una sola vittima,durante le prove delle SuperSport del 1998, con il francese uf-ficiale Honda Michel Paquay travolto in piena velocità mentrecon un gruppo di rivali si stava avvicinando alla prima variante. Dalla dinamica sconcertante la tragedia accaduta ad una del-le ultime vittime della pista di Monza. Il bolognese WilmerMarsigli era impegnato nella gara dell'italiano 250 quando, inseguito ad una carambola con altri piloti, veniva investito dal-la benzina uscita dal suo serbatoio che prendeva subito fuo-co. Per lo sfortunato ventitreenne passarono troppi istantipreziosi prima di spegnare le fiamme che gli procuraronoustioni che, una decina di giorni dopo, lo hanno condannatoper sempre.

Renzo Pasolini e, sotto, Jarno Saarinen ed un’immagine dell’incidenteche, il 20 maggio del 1973, costò la vita dei due grandi campioni.

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La sua Lotus scartò all'improvviso inprossimità della Parabolica e le conse-guenze furono fatali fin da subito perl'austriaco. Del suo incidente si è scrittomolto, così come altrettanto si è fattoper un altro pilota della squadra di ColinChapman, Ronnie Peterson, morto nellanotte seguente al tremendo incidente alvia del Gran Premio del 1978.Diverse fra loro, per evento e dinamica,le altre due vittime degli anni settanta.Durante una tentativo di record nel feb-braio del 1973 da parte della Ford, convetture stradali, usciva di strada nel pienodi un turno notturno il pilota britannicodi turismo William Bartropp. L'urto con-tro le barriere era violento tanto che losfortunato trentenne londinese venivasbalzato fuori dalla sua Escort attraversoil parabrezza. Un anno dopo era la volta di SilvioMoser, morto in seguito alle ferite ripor-tate per un'uscita di pista. Purtroppo lasua era una fine evitabile in quanto il pi-lota svizzero, nel finale della 1000Chilometri, andò a sbattere all'uscitadell'Ascari contro una vettura ritiratasinelle prime fasi di gara e lasciata in zonapericolosa dai commissari. Ricoveratocon danni alla testa nel vicino ospedale, ilgiorno seguente veniva trasferito in unaclinica svizzera ma, ad un mese esattodall'incidente, cessava di vivere senzaaver ripreso conoscenza.

Ultimo tributo, un Leone CeaDi questa triste contabilità purtroppo èproprio l'evento cardine di Monza, il

Gran Premio d'Italia, il suo giorno più tri-ste, fin dall'edizione d'apertura, con lamorte del pilota tedesco Fritz Khun, pas-sando per le tragedie del '28 e del '61,costate un totale di trentasette spettato-ri, fino al dramma del via nel GP del '78.

Poi, per fortuna, oltre all'accresciuta sicu-rezza e capacità organizzativa, più nulla fi-no al maledetto 10 settembre del 2000.In quel caso a chiudere la lista dei mortia Monza un valoroso "Leone della Cea",Paolo Gislimberti, colpito in pieno pettoda una ruota staccatasi dalla Jordan deltedesco Frentzen mentre il grupponestava arrivando alla staccata dellaVariante della Roggia. Per ora, e speriamo per sempre, quelladomenica è stata l'ultima giornata fataledi un impianto che nella sua lunga storiaè ai primi posti di una triste graduatoria,sopravvanzato solo da Le Mans, teatrodella catastrofe più famosa del mondodelle corse.

Enrico Mapelli

Jochen Rindt mentre sale in vettura per le prove del Gran Premio d'Italia del 1970 e,sotto, Ronnie Peterson, l’altro pilota dellaLotus a cui la gara di Monza è stata fatale.

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