Trigilia - Sociologia Economica Vol 2 PDF

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SOCIOLOGIA ECONOMICA II. Temi e percorsi contemporanei (Carlo Trigilia) CAPITOLO 1 L’EREDITA’ DEI CLASSICI E I NUOVI CONFINI TRA ECONOMIA E SOCIOLOGIA Nel volume primo di Sociologia economica abbiamo ricostruito gli sviluppi della sociologia economica nel periodo che va dal 1890 al 1940. Questa prospettiva di analisi guarda all’interdipendenza tra fenomeni economici e sociali e cerca di collocare l’economia nell’ambito della società e delle sue trasformazioni. In questo capitolo ricostruiremo anzitutto, sinteticamente, gli aspetti essenziali dell’eredità dei classici (Sombart, Weber, Schumpeter, Durkheim, Veblen, Polanyi) per la definizione dello spazio analitico della sociologia economica. Che cosa distingue la sociologia economica dall’economia? E quali sono i contributi specifici di questo approccio allo studio dei fenomeni economici? Nella seconda parte del capitolo, affronteremo la questione dei confini tra economia e sociologia che si definiscono nel secondo dopoguerra, e prenderemo in considerazione i fattori di natura teorica e storica che hanno influito sui rapporti tra le due discipline e sull’evoluzione della sociologia economica. 1. LA PROSPETTIVA METODOLOGICA Quando l’economia si era affermata come disciplina, in particolare con la “grande sintesi” di Adam Smith, lo studio dei fenomeni economici non era isolato dal contesto sociale. Sappiamo che negli sviluppi successivi l’economia si liberò progressivamente dai riferimenti a aspetti culturali e istituzionali, nel tentativo di avvicinarsi agli standard di rigore e generalizzazione propri delle scienze naturali. Questo percorso raggiunse il suo culmine con la “rivoluzione marginalista” degli anni 1870. È a quel punto che lo studio dei fenomeni economici si separa programmaticamente dal contesto culturale e istituzionale e si concentra sullo studio delle “leggi” del mercato, isolato analiticamente dal contesto sociale. Prende così forma un nuovo paradigma dell’economia caratterizzato da una serie di elementi chiaramente delineati: 1) la concezione dell’economia: l’attività economica è considerata come un processo di allocazione razionale di risorse scarse, impiegabili per finalità alternative, da parte di soggetti che cercano di ottenere il massimo dai mezzi di cui dispongono (lavoro, reddito) per soddisfare i loro obiettivi, sia di lavoro che di consumo, cioè le loro utilità (attività economica = economizzare); 1

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  • SOCIOLOGIA ECONOMICA

    II. Temi e percorsi contemporanei (Carlo Trigilia)

    CAPITOLO 1

    LEREDITA DEI CLASSICI E I NUOVI CONFINI TRA ECONOMIA E SOCIOLOGIA

    Nel volume primo di Sociologia economica abbiamo ricostruito gli sviluppi della sociologia

    economica nel periodo che va dal 1890 al 1940. Questa prospettiva di analisi guarda

    allinterdipendenza tra fenomeni economici e sociali e cerca di collocare leconomia nellambito

    della societ e delle sue trasformazioni. In questo capitolo ricostruiremo anzitutto, sinteticamente,

    gli aspetti essenziali delleredit dei classici (Sombart, Weber, Schumpeter, Durkheim, Veblen,

    Polanyi) per la definizione dello spazio analitico della sociologia economica. Che cosa distingue la

    sociologia economica dalleconomia? E quali sono i contributi specifici di questo approccio allo

    studio dei fenomeni economici?

    Nella seconda parte del capitolo, affronteremo la questione dei confini tra economia e sociologia

    che si definiscono nel secondo dopoguerra, e prenderemo in considerazione i fattori di natura

    teorica e storica che hanno influito sui rapporti tra le due discipline e sullevoluzione della

    sociologia economica.

    1. LA PROSPETTIVA METODOLOGICA

    Quando leconomia si era affermata come disciplina, in particolare con la grande sintesi di Adam

    Smith, lo studio dei fenomeni economici non era isolato dal contesto sociale. Sappiamo che negli

    sviluppi successivi leconomia si liber progressivamente dai riferimenti a aspetti culturali e

    istituzionali, nel tentativo di avvicinarsi agli standard di rigore e generalizzazione propri delle

    scienze naturali. Questo percorso raggiunse il suo culmine con la rivoluzione marginalista degli

    anni 1870. a quel punto che lo studio dei fenomeni economici si separa programmaticamente dal

    contesto culturale e istituzionale e si concentra sullo studio delle leggi del mercato, isolato

    analiticamente dal contesto sociale. Prende cos forma un nuovo paradigma delleconomia

    caratterizzato da una serie di elementi chiaramente delineati:

    1) la concezione delleconomia: lattivit economica considerata come un processo di

    allocazione razionale di risorse scarse, impiegabili per finalit alternative, da parte di soggetti

    che cercano di ottenere il massimo dai mezzi di cui dispongono (lavoro, reddito) per soddisfare i

    loro obiettivi, sia di lavoro che di consumo, cio le loro utilit (attivit economica =

    economizzare);

    1

  • 2) lazione economica: lazione motivata dal perseguimento razionale dellinteresse individuale.

    Nella sfera della produzione, i soggetti cercano di massimizzare il guadagno; nella sfera del

    consumo cercano di massimizzare il soddisfacimento delle loro preferenze di consumo,

    concepite secondo un ordine di priorit stabile e coerente, impiegando le risorse di reddito di cui

    dispongono. Ne discende dunque che lazione economica condizionata da motivazioni

    utilitaristiche. Vi anche una visione atomistica dellazione economica (cio le preferenze di

    lavoro e di consumo dei soggetti si formano indipendentemente dallinfluenza di altri soggetti).

    La formazione dei fini considerata come un aspetto esogeno rispetto allindagine economica,

    che non deve occuparsene;

    3) le regole: lazione influenzata da un nucleo limitato di regole (esistenza di mercati di tipo

    concorrenziale; elevato numero di acquirenti e di venditori; libero scambio dei fattori produttivi;

    piena informazione ai soggetti sulle offerte dei mercati per poter calcolare razionalmente). Si

    studiano anche i casi in cui ci si allontana da queste regole (es. mercati monopolistici,

    oligopolistici). Si tiene conto anche di istituzioni non economiche, come lo stato, ma si

    considera che la sua esistenza non deve intralciare il mercato con le sue regolamentazioni ma

    deve soltanto tutelare i contratti tra privati e combattere le frodi (anche lo stato un dato

    esogeno);

    4) il metodo di indagine: analitico-deduttivo e normativo. Si parte dagli assunti prima chiariti

    (motivazioni atomistiche e utilitaristiche) e se ne valutano le conseguenze, date certe condizioni

    prevalenti nelle regole. Pu dar luogo allapplicazione di sofisticate tecniche matematiche per la

    dimostrazione degli esiti. Il carattere normativo del metodo si riferisce al fatto che esso fornisce

    anche dei criteri guida per lallocazione razionale delle risorse, date certe condizioni. Menger e

    Pareto sottolineano che la validit scientifica dei risultati garantita dalla dimostrazione logica

    degli esiti che discendono da determinate condizioni, a prescindere quindi dalla piena

    riscontrabilit sul piano empirico di tali condizioni.

    Vediamo come la sociologia economica dei classici abbia sviluppato una prospettiva relativamente

    coerente e organica che si distingue da quella prevalente nelleconomia dellepoca:

    1) la concezione delleconomia: i sociologi economici sono tutti interessati a guardare

    alleconomia di mercato come un fenomeno storico caratterizzato da un particolare contesto

    istituzionale, e per questo preferiscono in genere parlare di capitalismo. Cercano di distinguere

    tra i vari tipi di economia per comprendere come prende forma il capitalismo liberale, perch si

    sviluppa in alcuni luoghi e non in altri; insomma la diversit nello spazio e nel tempo al centro

    del loro interesse e non si identifica esclusivamente con le attivit regolate dal mercato. Essi

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  • vogliono studiare come leconomia si organizzi in forme differenti nello spazio e nel tempo,

    influenzate dalle istituzioni economiche e non economiche;

    2) lazione economica: lazione orientata alla ricerca dei mezzi di sussistenza non

    necessariamente costituita dallallocazione razionale di risorse scarse. I sociologi economici

    attaccano latomismo delleconomia neoclassica (dove fini dei singoli soggetti si formano

    indipendentemente gli uni dagli altri). Lazione economica deve invece essere vista come

    azione sociale, influenzata da aspettative relative al comportamento degli altri membri della

    societ (tali aspettative in Weber prendono la forma di usi, costumi, norme giuridiche). Questo

    modo di concepire lazione economica sostanzialmente condiviso da tutti i nostri autori, sia

    che essi diano maggiore enfasi allautonomia e alla libert degli attori rispetto alle regole

    istituzionali (come Sombart, Weber, Schumpeter), sia che partano invece dalle istituzioni e ne

    sottolineino maggiormente i condizionamenti sui soggetti (come Durkheim, Veblen, e Polanyi).

    Lazione degli individui pu avere natura non utilitaristica e dipendere, per esempio, da valori

    religiosi (Weber), dal grado di marginalit sociale (Sombart), dalle forme della divisione del

    lavoro e della disuguaglianza sociale (Durkheim, Weber, Polanyi), dai caratteri della famiglia o

    dalle forme di organizzazione dellimpresa (Schumpeter). Nella realt concreta lazione

    economica ha dunque di solito una pluralit di motivazioni che possono essere ricostruite solo

    per via induttiva, con lindagine storico-empirica e sempre con difficolt;

    3) le regole: i sociologi economici considerano i fenomeni istituzionali diversi dal mercato in due

    direzioni (da un lato vi il riferimento a istituzioni economiche che si fondano su obbligazioni

    sociali condivise, come la reciprocit di Polanyi, lo scambio su base tradizionale di Weber;

    dallaltro le istituzioni di regolazione politica delleconomica come la redistribuzione di

    Polanyi, leconomia di piano o cooperativa di Sombart, il gruppo regolativo e quello

    amministrativo di Weber, oppure i sindacati, la criminalit organizzata, ecc.). Le forme concrete

    che assume lattivit economica nello spazio e nel tempo sono dunque influenzata dal modo in

    cui queste diverse istituzioni regolano le attivit di produzione, distribuzione e consumo, e

    condizionano lazione dei soggetti;

    4) il metodo di indagine: mentre in economia si parte da assunti a priori circa le motivazioni

    utilitaristiche degli attori e la presenza di determinate condizioni di funzionamento dei mercati, i

    sociologi cercano di ricostruire attraverso lindagine empirica i caratteri specifici dellazione

    economica, vista come possibile espressione di motivazioni non utilitaristiche, o anche come

    combinazione tra elementi utilitaristici e altre spinte di natura diversa (tradizionali, affettive o

    ideologiche). Gli autori che abbiamo esaminato cercano anche di mettere a fuoco, sempre con

    lindagine storico-empirica, le regole effettivamente presenti in un determinato contesto. Ne

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  • 2. UN SERBATOIO DI IPOTESI

    Il carattere storicamente orientato dei modelli di analisi classici fa s che non si possano ricavare dai

    nostri autori generalizzazioni teoriche che vadano al di di coordinate spaziali e temporali

    delimitate; tuttavia, sarebbe sbagliato non cogliere una serie di ipotesi, convergenti e coerenti tra

    loro, che emergono dai lavori esaminati in precedenza. Prendiamo in considerazione tre temi: il

    mercato, lo sviluppo e il consumo.

    2.1 Il mercato

    Distinguiamo analiticamente due aspetti che abbiamo visto trattati con enfasi e impegno.

    Il processo di costruzione del mercato capitalistico

    Nel pensiero economico si ritiene in genere che le relazioni di mercato si diffondano per la loro

    efficienza rispetto ad altre modalit di organizzazione economica, cio per la capacit di soddisfare

    le preferenze dei singoli a costi pi bassi. Si tratta di una spiegazione che parte dai singoli soggetti

    piuttosto che dalle istituzioni che ne condizionano lazione. Col tempo, i vantaggi del mercato per i

    singoli finiscono per far maturare anche quelle motivazioni e quelle istituzioni che sono congruenti

    con il buon funzionamento del mercato stesso, e ne accrescono la legittimit.

    La legittimit proprio al centro della spiegazione dei sociologi economici: il mercato, per potersi

    affermare come strumento di regolazione delleconomia, deve essere anzitutto socialmente

    accettato, ma questo non un esito scontato. Sombart e Weber, riguardo allo studio sulle origini del

    capitalismo in Occidente, si sforzano di mostrare la complessa serie di fattori culturali e istituzionali

    che rendono legittimi, incoraggiano e sostengono i rapporti di mercato (religione, stato, diritto,

    citt, scienza moderna). In altre parti del mondo invece la cultura e le istituzioni si oppongono e

    resistono al mercato. Per Durkheim i rapporti di mercato come strumento di organizzazione

    delleconomia richiede certe variazioni dellambiente sociale. Per Polanyi e Marx invece il

    processo non pacifico e pu comportare luso della forza (enclosures) e del potere politico.

    La sociologia economica pi interessata ai problemi dellequit del mercato reale, mentre

    leconomia si concentra su quelli dellefficienza, dando per scontato che un mercato pienamente

    concorrenziale risolverebbe anche problemi di equit (ciascuno avrebbe delle ricompense

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  • proporzionali al suo contributo). Quindi per i sociologi i benefici no vanno interpretati solo in

    termini di maggiori possibilit di accesso materiale ai beni, ma anche come accresciuta libert di

    scelta sia nellimpiego del proprio lavoro che nel consumo (soprattutto Simmel e Weber).

    Non c dubbio per, per gli economisti come per i sociologi, che il mercato, una volta affermatosi

    come meccanismo di regolazione, tenda progressivamente a ridurre lo spazio di altre istituzioni

    nella sfera delle attivit economiche: dalla famiglia alla parentela e alla comunit locale, dalle

    corporazioni allo stato. Ma fino a che punto i mercato pu essere libero da regolamentazioni sociali

    e politiche senza che ne venga compromesso il suo stesso funzionamento?

    Le condizioni del funzionamento del mercato capitalistico

    Sappiamo che nella visione delleconomia neoclassica si suppone lesistenza di individui ben

    informati, moralmente affidabili, e capaci di calcolare razionalmente il modo ottimale di soddisfare

    le loro preferenze. Essi si muovono in un contesto di regole fatte dalla piena commerciabilit di tutti

    i beni e di tutti i fattori produttivi e dalla presenza di molti venditori e molti acquirenti. In questo

    quadro, il ruolo di regole sociali (es. reciprocit) o politiche (come forme di redistribuzione legate

    allo stato o alle corporazioni) visto come un potenziale fattore di distorsione dellallocazione

    razionale delle risorse, e quindi dellefficienza.

    La tradizione della sociologia economica ha sviluppato un metodo pi legato allindagine storico-

    empirica e dunque problematizza gli assunti a priori della teoria economica. Gli individui non sono

    normalmente ben informati e capaci di calcolo razionale, e non sono tutti moralmente affidabili; i

    mercati non sono sempre pienamente concorrenziali (es. chi offre lavoro pu influire sulle

    condizioni a proprio vantaggio). Weber, seguendo Marx, parla infatti di lavoro formalmente

    libero e di sfruttamento monopolistico della libert formale di mercato.

    Quindi la realt storico-empirica ci porta a sostenere che il mercato pu funzionare meglio se ci

    sono delle istituzioni che vincolano il perseguimento dellinteresse individuale accrescendo la

    legittimit (il grado di accettazione sociale dei rapporti di mercato). Ce ne sono di due tipi:

    istituzioni che generano fiducia per via di interazioni personali (famiglia, parentela, comunit) o di

    interazioni impersonali (sanzioni giuridiche per chi viola i contratti); istituzioni che riequilibrano i

    rapporti di potere sul mercato (es. rapporti squilibrati nel mercato del lavoro possono mettere a

    rischio le stesse attivit produttive abbassando la produttivit dei lavoratori; sono dunque importanti

    istituzioni di rappresentanza collettiva dei lavoratori, oppure lintervento regolativo dello stato sulle

    condizioni di lavoro, orari, lavoro minorile, salute, sicurezza; interventi regolativi di redistribuzione

    del reddito).

    Possiamo concludere dicendo che la tradizione sociologica arriva a una posizione contrastante con

    quella delleconomia neoclassica. Poich nella realt la presenza delle condizioni assunte dagli

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  • economisti inevitabilmente poco probabile, per funzionare meglio, in termini di efficienza, i

    mercati non devono essere il pi possibile isolati da condizionamento sociali e politici, ma devono

    viceversa essere ben costruiti socialmente. anche vero che, come sottolineano Weber e

    Schumpeter, se tali vincoli eccedono una certa soglia (non definibile in astratto) lo stesso mercato

    pu deperire come forma di organizzazione economica. Se il peso delle regolamentazioni genera

    aspettative negative in chi detiene il controllo dei mezzi di produzione, possono essere

    compromessi gli investimenti necessari alla riproduzione delle attivit regolate dal mercato. La

    preoccupazione degli economisti non va dunque sottovalutata.

    Ma per la sociologia economica il problema non va risolto sul piano teorico bens su quello

    empirico. Le forme di legittimazione del mercato possono variare nello spazio e nel tempo; ci sono

    societ nelle quali la cultura e le istituzioni prevalenti legittimano, o addirittura esigono,

    unautonomia del mercato maggiore ed accettano quindi le conseguenze sociali che possono

    derivarne (disuguaglianza sociale, mobilit territoriale). Weber infatti ha indagato sulle specificit

    della societ occidentale rispetto a quella orientale; ma anche allinterno del contesto occidentale

    possiamo distinguere tra societ anglosassoni, dove lautonomia del mercato pi forte (specie

    Stati Uniti) e quelle europee, dove si sente lesigenza di limitare lautonomia del mercato per

    controllarne meglio le conseguenze e per legittimarlo.

    Insomma, non c una best way, ma ci sono varie strade, tutte condizionate dal contesto sociale.

    Soltanto lindagine empirica comparata pu aiutarci a indentificarle e a valutarne i rispettivi punti

    di forza e di debolezza.

    2.2 Lo sviluppo economico

    Nella tradizione della sociologia economica una pi solida accettazione sociale del mercato una

    condizione non solo della stabilit, ma anche della crescita di uneconomia che si basi sul mercato.

    Per spiegare lo sviluppo economico non sufficiente che il mercato sia legittimato, ma bisogna

    valutare in che misura gli attori economici, che si comportano in modo variabile, usino gli scambi

    di mercato per creare nuova ricchezza, uscendo dalla routine dei rapporti tradizionali e consolidati;

    insomma, necessario che alla legittimit si affianchi linnovazione.

    Per i classici la capacit innovativa dipende fondamentalmente dallimprenditorialit (per dirla con

    Schumpeter, dalla capacit di realizzare nuovi prodotti, processi, metodi di organizzazione della

    produzione, mercati). Schumpeter sottolinea come limprenditore sia caratterizzato da qualit

    particolari che permettono meglio di misurarsi con i problemi connessi allinnovazione

    (determinazione, capacit di visione, impegno, voglia di affermarsi e di riconoscimento sociale).

    Non si tratta di perseguimento razionale dellinteresse individuale.

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  • In generale, la sociologia economica suggerisce che lo sviluppo dipende, oltre che dal istituzioni

    che danno legittimit al mercato, regolando il perseguimento utilitaristico dei mezzi rispetto ai fini,

    anche da istituzioni che definiscono i fini stessi dei soggetti.

    La religione in Weber e Sombart, lesclusione dai diritti di cittadinanza in Simmel e Sombart,

    laccesso alle conoscenze tecnologiche in Veblen, sono tutti esempi di questo ruolo costitutivo delle

    regole istituzionali, rispetto a quello regolativo delle istituzioni di cui abbiamo prima parlato a

    proposito dei problemi di legittimit del mercato, e che riguarda luso dei mezzi per il

    perseguimento dei fini.

    Tuttavia, occorre ricordare che in genere per i classici limpatto dellimprenditorialit sulla capacit

    di innovazione e quindi sullo sviluppo economico deve essere storicizzato. Essi vedevano, proprio

    come conseguenza dello sviluppo del capitalismo, una crescente spersonalizzazione e

    burocratizzazione dellimpresa, che spostava dallimprenditorialit personale alla capacit

    organizzativa, la capacit di innovazione.

    La tradizione della sociologia economica contribuisce anche a mettere in evidenza un problema

    strutturale delleconomia capitalistica: una volta affermatosi, il mercato determina la progressiva

    erosione di quelle regole costitutive che inizialmente lavevano sostenuto (religione, istituzioni o

    legami tradizionali, ecc.). Ci accentua nel tempo i problemi di accettazione sociale delle

    conseguenze del mercato e spinge alla crescita di nuove regole regolative (intervento dello stato in

    campo economico e sociale, relazione industriali, ecc.). A questo punto si ripresenta quella

    possibile contraddizione di cui abbiamo prima parlato: quella tra regolazione istituzionale del

    mercato e efficienza; dal punto di vista dinamico, e quindi in termini di sviluppo economico, un

    eccesso di regolamentazione pu andare a scapito della capacit innovativa. Questa ipotesi, ricavata

    dal lavoro dei classici, permette di orientare comparazioni storico-empiriche che affrontano il tema

    delle differenze nello spazio e nel tempo dello sviluppo economico.

    2.3 Il consumo

    Sappiamo che questo fenomeno non era al centro dellinteresse degli economisti classici, la cui

    prospettiva era pi centrata sulla produzione. Con i neoclassici invece la domanda dei

    consumatori a fondare il valore dei beni attraverso la teoria dellutilit marginale. Dati i vincoli

    costituiti dai prezzi dei beni e dal reddito di cui dispone, il consumatore tender a distribuire il suo

    potere dacquisto in modo esattamente proporzionale alle sue preferenze. Assumendo che la

    soddisfazione legata a un certo bene diminuisca con il consumo di unit aggiuntive (utilit

    marginale), si ipotizza che verr consumato di pi di tale bene fino a quando la soddisfazione

    aggiuntiva non uguaglier quella degli altri beni che si vogliono consumare.

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  • La sociologia economica mette in discussione latomismo e lutilitarismo della teoria dellazione

    dei neoclassici e si concentra sui caratteri concreti che viene ad assumere il comportamento dei

    consumatori in una societ che vede crescere il fenomeno dei consumi di massa, in parallelo con lo

    sviluppo economico e il miglioramento dei redditi. Lattenzione va subito verso i fattori

    socioculturali che condizionano le preferenze degli individui. I beni sono desiderati e consumati in

    misura crescente per il loro valore simbolico, cio per il significato che essi assumono nei rapporti

    con gli altri, come segnali per essere riconosciuti da alcuni soggetti e gruppi sociali con cui ci si

    vuole identificare, e per distinguersi al tempo stesso da altri rispetto ai quali si vuole marcare la

    propria differenza.

    Simmel tra i primi a rilevare la funzione simbolica dei consumi in una competizione per acquisire

    maggiore prestigio specie nelle grandi citt in crescita. Egli parla della moda che ha una duplice

    finalit: identificarsi con altri gruppi sociali e distinguersi da altri gruppi sociali.

    Weber lega i comportamenti di consumo alla ricerca di status tipica dei ceti 8es. liberi

    professionisti, intellettuali, militari, ecc.). Anche Veblen, con la sua analisi del consumo vistoso,

    lega il fenomeno a una competizione per lo status sociale. Studiando gli Stati Uniti egli sottolinea

    come laccesso crescente ai consumi di massa sia uno strumento essenziale di integrazione dei

    gruppi sociali pi svantaggiati. Ma questo si accompagna, a suo avviso, ad uno spreco di risorse

    produttive che, lungi dallincrementare leffettiva utilit dei singoli consumatori, li porta a spendere

    il loro reddito in beni futili, scelti per il loro valore simbolico di segni di status. Il modello

    neoclassico verrebbe cos smentito dalla rigidit sociale del comportamento di consumo (es. un

    aumento di prezzo di un bene pu non dar luogo a minor consumo se il bene ha un valore simbolico

    elevato o viceversa).

    Bisogna comunque dire che le imprese, per mezzo della pubblicit, riescono ad influenzare la

    moda, e quindi creare un mercato di massa che consente limpiego di nuove tecnologie e la

    realizzazione di economie di scala. Questo porta alluniformazione dei bisogni, di cui parla

    Sombart, rafforzandosi la produzione di beni di qualit inferiore che imitano le mode dei gruppi pi

    benestanti e vengono offerti ai consumatori a pi basso reddito. Per i sociologi economici quindi

    anche lefficienza costruita socialmente: solo se ci sono istituzioni che migliorano le conoscenze

    condizionando il comportamento delle imprese ed educando il consumatore ad organizzarsi e a

    diffondere modelli di consumo accettati in modo pi consapevole, solo in questo modo i

    consumatori possono scegliere meglio e quindi possono esercitare la loro influenza positiva

    sullefficienza delle imprese. quindi un fenomeno variabile che va studiato con unottica storico-

    empirica e con un metodo comparato.

    3. LA RIDEFINIZIONE DEI CONFINI TRA ECONOMIA E SOCIOLOGIA

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  • I lavori di Schumpeter e Polanyi segnano uno spartiacque negli sviluppi della sociologia

    economica: prima i classici studiavano le origini del capitalismo, nel secondo dopoguerra invece si

    va verso una specializzazione tematica e disciplinare. Si possono intravedere due principali

    evoluzioni:

    - il tema dello sviluppo economico perde rilevanza nello studio dei paesi pi avanzati

    dellOccidente a favore delle tematiche macroeconomiche che vengono recuperate e

    solidamente rielaborate dalla nuova economia keynesiana (rimane invece per lo studio dei paesi

    pi arretrati);

    - le tematiche pi macroeconomiche (che i classici studiavano insieme a quelle

    macroeconomiche) si autonomizzano maggiormente dal nucleo originario della sociologia

    economica (sociologia industriale, sociologia del lavoro, sociologia dellorganizzazione,

    relazioni industriali, ecc.).

    Si assiste anche alla ridefinizione dei confini tra economia e sociologia: da un lato, leconomia

    recupera capacit di aderenza alla realt storico-empirica (specie con la rivoluzione keynesiana);

    dallaltro, il processo di istituzionalizzazione della sociologia spinge in generale gli studiosi verso

    aree meno presidiate dagli economisti e incoraggia, pi in particolare, la frammentazione e la

    specializzazione disciplinare della sociologia economica secondo le linee prima ricordate.

    3.1 La stabilizzazione economica e sociale nel dopoguerra

    Dal secondo dopoguerra fino agli anni 70 si assiste ad una straordinaria crescita economica (molto

    pi che tra la prima e la seconda guerra mondiale). Un fattore che ebbe un peso rilevante su questo

    esito riguarda anzitutto la politica di aiuti americani allEuropa. I paesi europei, vinti e vincitori,

    erano in ginocchio e gli Stati Uniti cancellarono una parte consistente del debito degli alleati e, con

    il Piano Marshall, inviarono un rilevante flusso di aiuti finanziari (anche per la Germania non

    richiesero risarcimenti non sopportabili, come avvenne dopo la prima guerra). La crescita della

    produzione pot valersi di una progressiva liberalizzazione degli scambi e quindi di un consistente

    incremento del commercio internazionale, oltre che degli accordi per la stabilizzazione dei cambi.

    Questo processo fu accompagnato da unintensa cooperazione internazionale che port alla

    creazione di nuovi organismi (es. FMI, OCSE, CEE). Con lutilizzo delle tecnologie moderne per la

    produzione di massa di beni di consumo (automobili, elettrodomestici) la domanda di beni si alz

    notevolmente grazie anche ad unampia offerta di lavoro proveniente dai settori a bassa

    produttivit, in particolare dall'agricoltura. Tale manodopera poteva essere utilizzata anche nelle

    industrie pi moderne grazie allorganizzazione di tipo taylorista che permetteva di dividere e

    semplificare le mansioni lavorative. Oltre a queste variabili vanno considerati i mutamenti che

    intervengono nella regolazione istituzionale delle economie dei paesi pi sviluppati che consiste

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  • nella grande trasformazione che Polanyi aveva intravisto come reazione alla crisi degli anni 30.

    Lo sviluppo postbellico avvenne allinsegna di un crescente interventismo pubblico nelleconomia e

    nella societ e di una crescente burocratizzazione e organizzazione delle grandi imprese pi

    moderne.

    Possiamo servirci di una sintesi che Shonfield (1965) fece per mettere in luce i principali mutamenti

    che caratterizzano il capitalismo regolato del secondo dopoguerra:

    - accresciuta influenza dello stato nella regolazione delleconomia e nel mantenimento del pieno

    impiego, che va oltre al quadro di Keynes (esso si preoccupava soprattutto di realizzare il pieno

    impiego di risorse date per dare una risposta alla Grande Depressione mentre i governi dei paesi

    occidentali, nel dopoguerra, promuovono la crescita mediante la pianificazione delleconomia e

    la redistribuzione attraverso i sistemi di welfare);

    - burocratizzazione delle corporations: si formano le grandi imprese orientate a stabilizzare i

    loro profitti a lungo termine per ammortizzare gli ingenti investimenti di capitale necessari per

    la produzione (si diffonde quindi la pianificazione anche nel settore privato); i governi spingono

    le grandi imprese a collaborare tra loro e con le autorit pubbliche per il raggiungimento di

    obiettivi a pi lungo termine.

    lintegrazione tra uno stato interventista, pi tardi chiamato stato sociale keynesiano, e le

    grandi imprese poi definite fordiste ad assicurare il grande sviluppo postbellico. Il primo con le

    sue politiche fiscali, monetarie e sociali regola la domanda, sostiene loccupazione e stabilizza il

    mercato per le grandi imprese che a loro volta possono sfruttare il potenziale tecnologico per

    realizzare economie di scala nella produzione di massa di beni di consumo. Uno studioso lha

    definito un compromesso storico.

    3.2 I cambiamenti delleconomia e la rivoluzione keynesiana

    Il secondo aspetto che dobbiamo considerare, per interpretare levoluzione della sociologia

    economica nel secondo dopoguerra, riguarda gli sviluppi interni alleconomia e alla sociologia che

    influiscono sulla ridefinizione dei loro confini.

    Un primo mutamento importante riguarda lindagine economica, che a partire dagli anni 30 cerca

    di ridurre lo scarto tra i modelli analitici e la realt storico-empirica. A livello microeconomico la

    teoria neoclassica tradizionale prendeva in considerazione lesistenza di due strutture ideali di

    mercato, la concorrenza perfetta ed il monopolio. Queste configurazioni apparivano tuttavia poco

    adatte a descrivere la realt concreta dei mercati. Da qui il nuovo interesse per forme di mercato

    definite come concorrenza imperfetta (dovuta alla Robinson 1933) e concorrenza monopolistica

    (dovuta a Chamberlin 1933). La Robinson sottolinea che i consumatori non necessariamente

    rispondono in modo analogo a differenze di prezzo nei prodotti perch essi tengono conto di vari

    10

  • fattori tra cui la localizzazione del venditore e i costi di trasporto, le garanzie sul piano della qualit

    o le condizioni di vendita. Chamberlin, a sua volta, punta decisamente sulla differenziazione del

    prodotto come risorsa attraverso la quale le imprese possono in parte sottrarsi alla concorrenza

    determinando una segmentazione del mercato. Questultimo, spostando lattenzione dal mercato

    allimpresa, apre la strada per un approccio allo studio empirico delle aziende e delle forme di

    organizzazione industriale che avr notevoli sviluppi successivi (Chamberlin prepar una

    rivoluzione nella microeconomia, proprio negli stessi termini in cui si parla di una rivoluzione

    keynesiana per la macroeconomia.

    Non c dubbio che la sociologia economica dovr misurarsi, la partire dagli anni 30 e poi nel

    dopoguerra, con lo sviluppo di studi economici pi empiricamente orientati anche a livello micro;

    con un approccio che mette maggiormente a fuoco non solo il funzionamento concreto dei mercati,

    ma anche delle aziende.

    Ma ci che ha avuto pi influenza sul piano teorico e pratico, nel quarantennio che va dalla fine

    degli anni 30 agli inizi dei 70, costituito dallopera delleconomista inglese John Maynard

    Keynes (1883 1946). La necessit di misurarsi con gli effetti drammatici della Grande

    Depressione degli anni 30 aveva spinto a rompere con lortodossia economica, che confidava nei

    meccanismi di riaggiustamento automatico dei mercati. Cos in contesti diversi (lAmerica nel New

    Deal di Roosevelt, la Germania nazista di Hitler e la Svezia socialdemocratica) furono sperimentati

    rimedi contro la disoccupazione che ruotavano intorno alla spesa statale per opere pubbliche,

    sussidi di disoccupazione, nuove forme di protezione sociale. Lo stato aveva assunto un ruolo

    interventista e pi attivo in campo economico, contravvenendo alle prescrizioni della teoria

    economia tradizionale. Keynes diede una solida fondazione teorica a tutto questo con la sua opera

    Teoria generale delloccupazione, dellinteresse e della moneta 1936. In una celebre conferenza del

    1926 (La fine del laissez faire) sono gi presenti chiaramente alcuni presupposti che animeranno la

    successiva impresa teorica di Keynes. Egli disse: molti dei maggiori mali economici del nostro

    tempo sono frutto del rischio, dellincertezza e dellignoranza. Sono queste le cause principali

    delle difficolt che possono limitare il pieno impiego delle risorse produttive e possono causare la

    disoccupazione. proprio per far fronte al problema cruciale degli effetti negativi dellincertezza

    che si deve prevedere un ruolo pi rilevante dello stato nella regolazione delle attivit economiche

    (es. se le aspettative di guadagno sul mercato non sono favorevoli, gli imprenditori investiranno una

    quota non sufficiente a garantire il pieno impiego delle risorse e del lavoro). Mentre leconomia

    neoclassica si interrogava intorno alla formazione dei prezzi dei beni e alla distribuzione dei redditi

    (micro), lattenzione di Keynes si concentra ora sui fattori che influiscono sul livello della

    produzione e delloccupazione, dato un certo stock di risorse di capitale, di lavoro e di tecnologia

    11

  • (macro). Si nota come Keynes si muova in un quadro statico e di breve periodo. Egli mette in

    discussione lassunto centrale della teoria tradizionale (legge di Say: lofferta crea sempre la sua

    domanda; quale che sia il volume della produzione, il valore della domanda sar uguale a quello dei

    beni prodotti).

    Per Keynes la domanda risulta da due componenti:

    reddito speso in consumi

    +

    reddito investito (che deriva dal reddito risparmiato)

    La teoria tradizionale invece supponeva luguaglianza tra risparmi ed investimenti (cio che tutti i

    risparmi venissero investiti) ma ci non sempre vero perch dipende dai tassi di interesse (alti

    tassi inibiscono gli investimenti). Ma dobbiamo anche considerare il fatto che la propensione a

    consumare diminuisce con il crescere del reddito e che non necessariamente bassi tassi di interesse

    favoriscano necessariamente gli investimenti perch gli imprenditori valutano anche altre variabili

    come la previsione di aumento della domanda di beni (quindi non si avrebbe nemmeno in questo

    caso il pieno utilizzo delle risorse disponibili e quindi la garanzia di piena occupazione). Infine da

    considerare che, anche ammesso che i lavoratori siano disponibili ad accettare una riduzione dei

    salari, ci non sarebbe necessariamente vantaggioso per la ripresa delleconomia, come riteneva la

    teoria tradizionale, perch avrebbe influito negativamente sulla domanda di consumo e avrebbe

    quindi rafforzato le aspettative sfavorevoli degli imprenditori. Ma Keynes, pur riconoscendo che i

    salari tendono a essere rigidi perch i lavoratori e le organizzazioni sindacali si oppongono a

    riduzioni delle retribuzioni anche in situazioni di crisi economica, non fonda la sua analisi su questo

    aspetto. Egli vuole dimostrare che, seguendo i rimedi della teoria tradizionale che suggeriva in caso

    di depressione il calo dei salari e dei tassi di interesse, si poteva in realt determinare un equilibrio

    di sotto-occupazione (una sorta di trappola nella quale il sistema economico rischiava di avvitarsi

    senza un intervento dello stato). Ma lo stato deve intervenire, in quelle situazioni in cui le

    aspettative imprenditoriali sono incerte, con la spesa pubblica colmando la differenza e

    promuovendo quindi il pieno impiego.

    Mentre la teoria economica tradizionale dava una giustificazione teorica al liberismo, lanalisi

    keynesiana d fondamento allinterventismo dello stato come regolatore della domanda .

    Sono da ricordare alcuni aspetti delle nuove politiche economiche.

    La spesa pubblica in disavanzo (deficit spending): la spesa pubblica tanto pi efficace quanto pi

    tende a stimolare una domanda aggiuntiva (Keynes fa lesempio che sarebbe efficace per la ripresa

    economica anche fare scavare delle buche per poi farle riempire). Vi inoltre il problema che al

    12

  • crescere del reddito si consuma meno e ci significa che possono essere giustificati anche interventi

    redistributivi dello stato (es. politica fiscale) a favore dei gruppi pi poveri della popolazione

    proprio al fine di stimolare la domanda. In altre parole, la redistribuzione pu essere giustificata non

    solo in relazione a problemi di equit ma anche di efficienza del sistema economico.

    Come abbiamo gi rilevato, leconomia keynesiana si basa sul breve periodo e considera data la

    capacit produttiva. Ben presto per economisti influenzati dalle nuove idee cominciarono a

    esplorare le implicazioni in termini dinamici e a porsi il problema della crescita economica (es. il

    modello Harrod-Domar). Tali modelli hanno lobiettivo di guidare le scelte dei governi non solo per

    raggiungere il pieno impiego di risorse esistenti, ma anche per determinare gli obiettivi di crescita

    economica nel tempo.

    La modellistica macroeconomica si lega strettamente allutilizzo dellanalisi matematica e delle

    tecniche statistiche che sono affinate dalleconometria. Questo approccio permette infatti di

    stabilire i rapporti di interdipendenza funzionale tra le diverse grandezze economiche (reddito,

    consumi, risparmi, investimenti, ecc.) e di formulare anche previsioni sul loro andamento nel

    tempo, date certe condizioni conosciute.

    La macroeconomia keynesiana si pone dunque come interpretazione e guida del processo di

    sviluppo, specie nei paesi avanzati.

    3.3 Talcott Parsons e i nuovi confini

    Negli stessi anni 30 nei quali Keynes lavorava alla Teoria generale, Talcott Parsons (1902

    1979) maturava la sua concezione del ruolo della sociologia (La struttura dellazione sociale 1937).

    Egli aveva iniziato la sua carriera studiando economia oltre che biologia ed avr una grande

    influenza sia sugli sviluppi dellanalisi sociologica, sia sulla questione della definizione dei confini

    tra economia e sociologia.

    Parsons critica leconomia neoclassica per il suo individualismo atomistico, cio il fatto che

    presuppone che gli individui definiscano i propri fini indipendentemente dallinterazione tra loro.

    Egli sostiene che se non allopera qualche fattore che introduca elementi di coerenza, di

    coordinamento e di integrazione tra i fini dei diversi individui, la societ rischia di essere un mero

    caos di individui in conflitto tra loro. Lo scopo della sociologia proprio lo studio dei fini

    condivisi, cio dei valori comuni che orientano lazione allinterno di una societ.

    Le leggi economiche hanno un carattere normativo, indicano dei criteri di azione razionale date

    certe condizioni; ma la loro validit empirica legata al fatto che gli attori si comportino

    effettivamente secondo tali criteri per soddisfare i loro fini (secondo Parsons e Weber ci poco

    probabile).

    13

  • Quindi Parsons difende leconomia per la sua validit scientifica come disciplina analitica (cos

    come Menger, Pareto e Weber).

    Parsons passa in rassegna tutti i tentativi di spiegazione teorica completa delle attivit economiche

    concrete e li raggruppa in due filoni:

    - empiricismo positivista: sviluppatosi maggiormente nel contesto anglosassone; tratta dei

    condizionamenti dellazione economica esercitati da fattori biologici o psicologici (es.

    ledonismo psicologico di Bentham, la teoria degli istinti di Veblen). Questo filone sfocer poi

    nel comportamentismo (behaviorism), cio il approcci che tendono a svalutare il ruolo di fattori

    ideali (valori, norme) nel comportamento dellattore;

    - empiricismo storicista: qui vi invece attenzione ai fattori ideali e normativi, per esempio con

    il concetto di spirito del popolo.

    Parsons respinge sia la soluzione istituzionalista la Veblen, sia quella storicista in quanto

    entrambe riducono leconomia a una branca della sociologia applicata, nel tentativo di aggiungere

    altri fattori per arricchire la spiegazione empirica del comportamento economico. La sociologia

    diventerebbe una sorta di sociologia enciclopedica, come sintesi generale delle conoscenze sulla

    societ. In questa prospettiva, un economista si distinguerebbe da altri scienziati sociali solo per la

    maggiore conoscenza di un settore specifico delle attivit sociali, quello legato alleconomia.

    Questa impostazione per Parsons sbagliata, bisogna quindi lavorare a una fondazione diversa delle

    due discipline. La soluzione pi convincente emerge, a suo avviso, da autori essenziali per la

    fondazione della sociologia (Durkheim, Pareto e Weber); essi condividono una fondazione su basi

    analitiche e astratte delleconomia e della sociologia. La prima deve essere concepita come teoria

    analitica di un fattore dellazione che si basa sul perseguimento razionale dellinteresse individuale

    (si occupa della catena mezzi-fini, cio delladattamento razionale di mezzi scarsi rispetto a usi

    alternativi); la seconda invece come teoria analitica astratta di un altro fattore dellazione, quello

    legato ai valori ultimi condivisi (la coscienza collettiva di Durkheim, le azioni non-logiche di

    Pareto, letica influenzata da fattori religiosi di Weber).

    Parsons avrebbe poco dopo presentato in modo sistematico e approfondito questa tesi in La

    struttura dellazione sociale, con la formulazione della sua teoria volontaristica dellazione.

    Lo studioso americano consapevole ben consapevole che la realt storico-empirica unitaria e

    non pu essere divisa in compartimenti; ci non vuol dire che lastrazione analitica importante per

    coltivare il fuoco centrale di interesse di una disciplina a livello teorico, ma le esigenze della ricerca

    concreta sono tali che lo scienziato deve inevitabilmente avventurarsi in pi direzioni. chiara

    dunque in Parsons la distinzione tra il momento teorico, in cui ciascuna disciplina approfondisce in

    termini di modelli analitici astratti il suo fattore fondamentale, in isolamento da altri, e il momento

    14

  • della ricerca sulla realt empirica concreta, in cui bisogna invece uscire dai confini disciplinari e

    cercare di esaminare come diversi fattori si combinino insieme.

    Parsons lavorer per la fondazione a livello teorico della sociologia; egli riteneva pericolosa la

    strada dellistituzionalismo la Veblen e riteneva molto debole in generale la sociologia americana

    dellepoca basata sullempiricismo positivista.

    Lobiettivo di spostare la sociologia verso la teoria generale sarebbe da lui stato perseguito con

    impegno e con notevoli risultati. La sua influenza sulla sociologia americana e su quella

    internazionale cresciuta nel secondo dopoguerra dopo la pubblicazione de Il sistema sociale

    (1951) e di altri lavori importanti. Si ebbe un effetto non intenzionale di spostare gli interessi della

    comunit sociologica verso temi pi lontani dalla sociologia economica (studio delle istituzioni in

    isolamento da altri fattori: socializzazione, controllo sociale, devianza, ecc.).

    A livello macro il tema dello sviluppo veniva prevalentemente trattato dalla nuova macroeconomia

    keynesiana mentre a livello micro si afferma la tendenza alla specializzazione disciplinare di

    prospettive di indagine prima incluse nella sociologia economica classica (studi organizzativi,

    sociologia industriale e del lavoro, e delle relazioni industriali).

    Con lopera Economia e societ (1956) che Parsons scrisse insieme a Neil Smelser, essi illustrano

    la teoria dei sistemi sociali applicandola al caso delleconomia.

    Secondo questa teoria la societ vista come un sistema di parti interdipendenti (strutture) che per

    riprodursi deve assolvere a quattro funzioni:

    1) adattamento: mediante lattivit economica si risolve il problema di procurarsi dallambiente

    risorse sufficienti in termini di beni e servizi per la riproduzione della societ;

    2) conseguimento dei fini: mediante il sistema politico si motivano gli individui trasmettendo loro

    valori e norme;

    3) latenza: famiglia, religione, scuola permettono lassimilazione dei valori e delle norme;

    4) integrazione: presiede alla stratificazione sociale, alla distribuzione delle ricompense e alla

    prevenzione dei conflitti.

    Parsons e Smelser cercano quindi di illustrare gli scambi complessi che avvengono tra leconomia e

    le altre strutture ma nonostante lanalisi sia interessante nel sottolineare gli aspetti di

    interdipendenza tra economia e societ, essa resta a un livello di elevata astrazione analitica e soffre

    di una complessa articolazione concettuale e di un pesante apparato classificatorio, con notevoli

    complicazioni legate anche al tentativo di replicare lo schema dei diversi imperativi funzionali

    allinterno di ciascun sottosistema (quindi anche dentro leconomia). Invece di rilanciare la

    sociologia economica e contribuire a una maggiore integrazione fra teoria economica e sociologia,

    15

  • Economia e societ rest dunque un lavoro isolato, che non suscit interesse tra gli economisti e

    non alter sostanzialmente lallontanamento dei sociologi dai temi delleconomia.

    Paradossalmente, mentre leconomia con Keynes cercava di recuperare adesione alla realt

    empirica e alle sue trasformazioni, la sociologia non metteva in discussione leconomia neoclassica

    e si allontanava dallindagine sulla realt economica (con leccezione dello sviluppo dei paesi

    arretrati che vedremo avanti). La nuova definizione dei confini tra economia e sociologia che prese

    corpo tra gli anni 30 e il dopoguerra fin dunque per agire nella stessa direzione dei cambiamenti

    economico-sociali prima ricordati. Il risultato fu un declino della tradizione della sociologia

    economica nello studio dei paesi sviluppati che durer fino agli anni 70.

    16

  • CAPITOLO 2

    LA MODERNIZZAZIONE E LO SVILUPPO DELLE AREE ARRETRATE

    In questo capitolo ripercorreremo i diversi approcci che affrontano il problema dello sviluppo dei

    paesi arretrati. Un primo nucleo importante si forma con la teoria della modernizzazione, che insiste

    sui fattori socio culturali, ma propone anche unidea di modernit fortemente legata ai percorsi della

    civilt occidentale. Le critiche a questa teoria porranno in rilievo aspetti diversi: i condizionamenti

    economici, con la teoria della dipendenza, e pi di recente quelli politici, con la nuova political

    economy comparata.

    Nel secondo dopoguerra, linteresse della sociologia economica per il ruolo della cultura e dei

    fattori istituzionali nel processo di sviluppo economico trova un terreno pi favorevole soprattutto

    nello studio dei paesi e delle aree arretrate. Si alimenta cos una nuova sociologia dello sviluppo. In

    seguito al processo di decolonizzazione si formano molti stati indipendenti che sono fuori dai

    confini dellOccidente e che si trovano ad affrontare i problemi della crescita economica e della

    costruzione di strutture istituzionali adeguate. La contrapposizione tra i due blocchi (guerra fredda)

    portano gli Stati Uniti e i paesi del blocco occidentale a sostenere lo sviluppo economico dei nuovi

    stati per evitare che questi cadano sotto linfluenza dellUnione Sovietica. Anche i nuovi organismi

    internazionali che si formano dopo la guerra concorrono al sostegno dei paesi arretrati.

    In questo periodo leconomia era fortemente influenzata dalla rivoluzione keynesiana che

    sottolineava limportanza dellintervento statale e degli aiuti internazionali per avviare il processo

    di industrializzazioni. I primi passi della sociologia dello sviluppo, cercano di integrare il punto di

    vista degli economisti, sottolineando limportanza di fattori culturali e istituzionali come elementi

    che condizionano la possibilit di successo di politiche economiche a sostegno dello sviluppo.

    In questo quadro prende forma un indirizzo che va sotto il nome di teoria della modernizzazione

    che contiene al suo interno diversi approcci:

    1) teoria della modernizzazione in senso stretto (anni 50 60): sottolinea limportanza dei

    fattori socioculturali e politici endogeni dei paesi meno sviluppati nel condizionare il

    cambiamento sociale;

    2) teoria della dipendenza: fa particolare riferimento ai paesi dellAmerica Latina ed ai

    condizionamenti economici esercitati dai paesi pi sviluppati sul cambiamento di quelli

    arretrati;

    3) political economy comparata: al centro della sua attenzione il ruolo delle istituzioni politiche

    nel processo di modernizzazione, anche attraverso un confronto tra i paesi asiatici e quelli

    dellAmerica Latina.

    17

  • Le critiche portate alla teoria della modernizzazione degli anni 60 (dallapproccio della

    dipendenza; dalla sociologia storica della modernizzazione delle societ occidentali) hanno

    stimolato un processo di revisione degli assunti originari. Il nuovo approccio sottolinea la pluralit

    dei percorsi di modernizzazione, il loro carattere pi aperto, che non ha come sbocco inevitabile la

    strada seguita dallOccidente (lo vedremo nellultima parte del capitolo).

    1. LA TEORIA DELLA MODERNIZZAZIONE

    Lapproccio sistemico allo studio della societ elaborato da Parsons, sebbene abbia trattato solo

    marginalmente il problema dello sviluppo dei paesi arretrati, ha costituito il principale serbatoio di

    strumenti concettuali che sono stati utilizzati in forme diverse nellambito degli studi riconducibili

    alla prima teoria della modernizzazione.

    Il nucleo comune di questi studi lidea che i paesi economicamente arretrati siano caratterizzati da

    un modello di societ tradizionale, costituito da un sistema di elementi culturali e strutturali tra loro

    strettamente interdipendenti. La forza di resistenza della tradizione, a livello culturale, strutturale e

    della personalit, costituisce lostacolo primario che necessario sperare per procedere sulla strada

    dello sviluppo economico e avvicinarsi al modello della societ moderna riscontrabile nei paesi

    sviluppati dellOccidente. Gli studi sulla modernizzazione si distinguono poi per il modo di

    concepire tale passaggio, che sempre considerato auspicabile, e alla lunga inevitabile.

    1.1 Approcci influenzati dallo struttural-funzionalismo

    Hoselitz (1960) e Levy (1966) sono stati tra i primi a muoversi in questa direzione e sottolineano

    come lo sviluppo economico dei paesi arretrati sia condizionato da aspetti relativi alla cultura e alla

    struttura sociale (usano le variabili di Parsons). Alcuni orientamenti culturali delle societ

    tradizionali ostacolano lo sviluppo. Prevalgono le norme che fanno dipendere le relazioni

    economiche dallascrizione piuttosto che dal principio di prestazione (es. certe posizioni lavorative

    sono assegnate in base a criteri di appartenenza a un determinato gruppo piuttosto che sulla base

    della capacit di svolgere un certo compito). Le societ tradizionali sono orientata pi al

    particolarismo rispetto alluniversalismo (non si applicano criteri che abbiano validit generale). E

    ancora, gli orientamenti culturali prevalenti non incoraggiano la specializzazione e di conseguenza

    non cresce la produttivit. I modelli culturali prevalenti di tali paesi hanno un orientamento

    tradizionalistico e non razionalistico come le societ moderne.

    Da cosa dipende allora lavvio della modernizzazione?

    In generale lattenzione posta sul formarsi di nuove lite intellettuali, politiche e economiche che

    introducono innovazioni rispetto ai modelli tradizionali. Hoselitz insiste maggiormente sulla

    crescita dellimprenditorialit dal basso richiamando la teoria della marginalit sociale di Simmel e

    Sombart (stranieri, immigrati o appartenenti a una religione diversa da quella dominante, saranno

    18

  • pi propensi a innovare sul piano economico). Gli altri autori invece si basano sulla formazione di

    nuove lite che assumono un ruolo guida sul piano politico (i maggiori contatti tra le societ

    moderne e quelle tradizionali diffondono aspirazioni a modernizzare per accrescere il benessere

    economico).

    Un modello pi sistematico richiama il concetto di differenziazione strutturale che sposta

    lattenzione dagli attori (lite politiche o economiche) ai problemi strutturali che ne condizionano

    lazione. Per esempio, nelle societ tradizionali le attivit economiche sono scarsamente

    differenziate da quelle familiari o parentali, mentre quando si avvia la modernizzazione la famiglia

    perde le funzioni economiche e si diffondono imprese che utilizzano forza lavoro salariata e

    lavorano per il mercato piuttosto che per lautoconsumo familiare (divisione del lavoro = pi

    efficienza = pi differenziazione di classe = allentamento dei criteri ascrittivi a favore del principio

    di prestazione). Si riducono le famiglie estese a favore di quelle nucleari che hanno minor controllo

    sociale tradizionale sulle scelte individuali. Tuttavia lindebolimento dei modelli culturali e delle

    strutture sociali tradizionali genera situazioni conflittuali da parte di quelle persone che non sono

    state efficacemente integrate nella nuova situazione. In questa situazione i teorici della

    modernizzazione considerano inevitabile un ruolo maggiore dello stato nel processo di sviluppo per

    controllare i conflitti indotti dalla modernizzazione (e non per promuovere le attivit economiche e

    lindustrializzazione, come in Occidente). Tale ruolo dello stato potr essere pi efficace nella

    misura in cui riusciranno ad affermarsi nuove lite politiche capaci di ottenere una forte

    legittimazione, attraverso ideologie nazionaliste che si sostituiscano alle vecchie credenze religiose

    come base di un sistema di valori condiviso dalla popolazione (se questo non funziona si pu

    considerare probabile unalternativa di tipo socialista).

    Anche gli studiosi provenienti dal campo della scienza politica sono stati influenzati dallo

    struttural-funzionalismo. Per loro lo sviluppo politico pu avvenire attraverso lindividuazione di

    una serie di sfide che il sistema deve affrontare nel corso della modernizzazione:

    - la costruzione dello stato da parte delle lite politiche;

    - la costruzione della nazione (formazione di unidentit nazionale attraverso il superamento degli

    orientamenti particolaristici e localistici) da parte di lite legittimate;

    - ottenere una risposta alle nuova domande di partecipazione politica attraverso processi di

    democratizzazione;

    - sviluppare interventi atti a rispondere alle domande di maggiore uguaglianza sociale.

    Le difficolt specifiche per i paesi del Terzo Mondo vengono dalla tendenza a sovrapporsi nel

    tempo delle diverse sfide, che invece nelle societ occidentali si sono manifestate in sequenze pi

    19

  • lunghe e scalari. Questo porta ad una forte spinta verso la conflittualit politica e unaccentuata

    instabilit di tali paesi.

    1.2 La formazione della personalit moderna

    Alcuni studi sono stati pi influenzati dalla psicologia e dalla psicologia sociale e di distinguono tra

    la societ tradizionale, quella moderna e quella in transizione.

    Daniel Lerner (1958) effettua una ricerca empirica su alcuni paesi del Medio Oriente dalla quale ne

    deduce che:

    - il contatto con le societ occidentali stimola il cambiamento e spinge nuove lite a

    modernizzare;

    - si innesca un processo che stato gi seguito dalle societ occidentali con sequenze uguali per

    tutto il continente;

    - crescita dellurbanizzazione;

    - stimolo dellalfabetizzazione;

    - diffusione dei mezzi di comunicazione di massa;

    - propensione alla mobilit che chiama personalit mobile, caratterizzata da razionalit e

    empatia, cio capacit di identificarsi con gi altri e desiderio di essere simili a loro migliorando

    la propria posizione;

    - spinta ad una maggiore partecipazione economica e politica.

    Nellottica di Lerner la formazione di una personalit moderna vista essenzialmente come un

    processo di socializzazione secondario, in cui molto importante il ruolo dellistruzione e dei

    mezzi di comunicazione di massa come moltiplicatori di empatia.

    David McClelland (1961) pone maggiore attenzione al processo di socializzazione primaria che

    avviene nei primi anni di vita e coinvolge maggiormente la famiglia. Influenzato dalla ricerca di

    Weber sui rapporti tra protestantesimo e spirito del capitalismo egli la reinterpreta sottolineando

    come il protestantesimo avesse contribuito a generare una forte motivazione allimpegno

    individuale, una spinta a far bene i propri compiti. Per lui lo sviluppo economico sarebbe

    condizionato dalla presenza in una determinata societ di personalit individuali caratterizzate da

    un forte bisogno di realizzazione. Limpegno nel lavoro non rappresenta soltanto la ricerca di

    remunerazioni meramente monetarie e questo alimenta limprenditorialit e quindi lo sviluppo

    economico. McClelland sottopone a verifica lipotesi che il bisogno di realizzazione sia collegato a

    delle caratteristiche particolari del processo di socializzazione primaria (laddove i genitori

    stimolano i loro figli, nella prima infanzia, ad essere autonomi e ad avere fiducia nelle proprie

    forze, tende a formarsi un pi alto bisogno di realizzazione nei ragazzi.

    20

  • Everett Hagen (1962): i meccanismi di socializzazione primaria nel contesto tradizionale tendono a

    scoraggiare la formazione di una personalit innovativa e favoriscono piuttosto una personalit

    autoritaria (il bambino percepisce il mondo esterno come arbitrario e privo di un ordine

    controllabile quindi si abitua a impostare le relazioni sociali in termini di accettazione acritica della

    gerarchia sociale e dellautorit); lopposto accade nei contesti moderni dove un atteggiamento dei

    genitori (come descritto da McClelland) stimola nel bambino unansiet creativa cio una spinta a

    cercare di controllare razionalmente la realt per cui da qui uscir una personalit pi aperta

    allinnovazione e allimprenditorialit.

    Aleax Inkeles e Davis Smith (1974) sviluppano una ricerca sui paesi del Terzo Mondo vicina a

    quella condotta da Lerner: la personalit moderna (apertura allinnovazione, razionalizzazione del

    comportamento, apprezzamento dellistruzione e della tecnica) tende ad essere maggiormente

    associata allinfluenza che esercitano sui soggetti alcune esperienze essenziali come la

    partecipazione scolastica, loccupazione nel settore industriale, lesposizione ai mezzi di

    comunicazione di massa, la vita urbana. Gli autori ne traggono la conclusione ottimistica che la

    capacit dei paesi in via di sviluppo di potenziare il ruolo di queste istituzioni abbia rilevanti

    conseguenze sulla personalit e quindi sul passaggio verso la societ moderna.

    1.3 Gli stadi di sviluppo e la convergenza

    Walt Rostow (1960) elabora una sequenza degli stadi di sviluppo, pi dettagliata e complessa di

    quelle diffuse in letteratura (che in genere distinguono solo tra societ tradizionale, di transizione e

    moderna), che comprende 5 stadi:

    - la societ tradizionale;

    - le precondizioni per il decollo;

    - il decollo economico;

    - la spinta verso la maturit;

    - la fase degli elevati consumi di massa.

    Di particolare interesse per Rostow lo stadio di preparazione al decollo industriale. Per lavvio di

    tale fase necessaria lintrusione delle societ pi sviluppate in quelle arretrate (sia per

    occupazione militare che indirettamente attraverso una maggiore apertura a contatti economici e

    culturali). Il nazionalismo reattivo, stimolato da appunto dallintrusione della societ moderna,

    lelemento pi potente che avvia il processo di superamento della societ tradizionale. Le nuove

    lite politiche e lo stato svolgono un ruolo essenziale per il decollo (trasformazione dellagricoltura,

    formazione di un mercato nazionale, creazione di un sistema fiscale, istruzione). Tutto ci comporta

    la capacit di affrontare quei complessi problemi di costruzione dello stato e della nazione, e di

    legittimazione della classe politica che abbiamo gi visto.

    21

  • Rispetto allesperienza europea originaria per il Terzo Mondo vi sono per dei vantaggi

    (disponibilit di nuove tecnologie, disponibilit di prestiti internazionali a condizioni favorevoli)

    ma anche degli svantaggi (i progressi nel campo della medicina riducono il tasso di mortalit per

    cui aumenta la popolazione, aumenta la disoccupazione e la frustrazione per coloro che hanno

    ormai un tenore di vita rivolto a maggiori consumi ma che non possono permetterselo. A volte tale

    situazione pu portare gli intellettuali verso soluzioni di tipo comunista. Quindi la strada verso

    lindustrializzazione ha dei passaggi obbligati dal punto di vista economico ma le strutture

    istituzionali possono essere differenti (comunismo o nazionalismo) finch, una volta

    industrializzati, vi una tendenza delle societ industriali ad avvicinare il modello comunista a

    quello del capitalismo democratico.

    Clark Kerr (1960) parla dei vincoli posti dalla tecnologia. Esiste ununica tecnologia in grado di

    assicurare i risultati pi efficienti dal punto di vista economico-produttivo, e ci spinge le diverse

    societ ad acquisirla, organizzandosi dal punto di vista istituzionale in modo da poterla sfruttare

    meglio. Questo favorisce la convergenza istituzionale: laddove il mercato ha uninfluenza maggiore

    si cerca di ridurlo; allopposto, laddove maggiore il controllo statale sulleconomia (comunismo e

    nazionalismo) i cerca di ridurlo. Lindustrializzazione spingerebbe verso un pluralismo economico

    e sociale nel quale crescono le classi medie, diminuisce il conflitto, si formano una pluralit di

    interessi economici e sociali che influenzano il processo politico, si attenuano le grandi ideologie,

    rigide e totalizzanti.

    2. CRITICHE: LA TEORIA DELLA DIPENDENZA E LA SOCIOLOGIA STORICA

    Verso la fine degli anni 60 la teoria della modernizzazione stata sottoposta a varie critiche.

    Abbiamo visto come non esista una vera e propria teoria della modernizzazione ma piuttosto diversi

    approcci che hanno in comune i seguenti elementi:

    1) la concezione ottimistica dello sviluppo, come processo inevitabile e unilineare che tende a

    seguire gli stadi gi percorsi dalle societ occidentali, arrivando in futuro ad una convergenza

    istituzionale;

    2) la considerazione dei modelli idealtipici di societ tradizionale e moderna come contrapposti,

    costituiti da un insieme di elementi tra loro strettamente interdipendenti;

    3) lidea che i rapporti che le aree e i paesi arretrati stabiliscono con lesterno abbiano una

    connotazione positiva, in termini di stimolo allo sviluppo;

    4) lassunto che il motore del cambiamento sia essenzialmente endogeno.

    2.1 Inevitabilit dello sviluppo ed etnocentrismo

    Sociologi, psicologi sociali e storici economici che sono protagonisti della teoria della

    modernizzazione hanno una visione ottimistica dello sviluppo dei paesi arretrati. Tale strada venne

    22

  • tuttavia perseguita pi in termini teorici che di ricerca empirica; non vi era una ricerca comparata

    sui concreti processi di sviluppo dei paesi arretrati e mancando unadeguata base di ricerca, essi

    finivano per ricorrere inevitabilmente allesperienza storica delle societ occidentali, sia per

    definire per contrasto la societ tradizionale, sia per tracciare i meccanismi del cambiamento. Vi

    dunque una debolezza empirica, accompagnata da una tendenza a generalizzare partendo

    dallesperienza occidentale. Lo sviluppo non affatto garantito e ci possono essere fallimenti e

    blocchi della modernizzazione. Le critiche investono anche i presupposti di valore della teoria che

    ha una visione etnocentrica che porta a considerare lesperienza occidentale non solo come

    inevitabile, ma anche come modello positivo al quale i paesi arretrati dovrebbero adeguarsi per

    migliorare le condizioni delle loro societ.

    2.2 Tradizione e modernit come modelli contrapposti

    Un secondo elemento largamente condiviso nei primi studi sulla modernizzazione riguarda la

    concezione della societ tradizionale e moderna come modelli contrapposti luno allaltro, costituiti

    di elementi tra loro interdipendenti.

    Si sottolinea la notevole variet sul piano storico-empirico delle societ tradizionali e viene messo

    in evidenza come elementi culturali e strutturali, sia tradizionali che moderni, sono presenti in varia

    misura e in diverse combinazioni non solo nelle societ dei paesi non industrializzati, ma anche in

    quelle dei paesi sviluppati (es. legami familiari e parentali o credenze religiose persistono e sono

    variamente importanti nelle societ moderne; valori orientati alla realizzazione e

    allimprenditorialit, o strutture burocratiche che funzionano secondo criteri universalistici, possono

    riscontrarsi anche in societ tradizionali). Viene messa in discussione anche lidea della stretta

    interdipendenza degli elementi costitutivi dei due modelli; ci pu essere insomma una modernit

    selettiva, che riguarda i mezzi di comunicazione, o la domanda di consumi, o le strutture militari,

    ma pu non estendersi alla sfera produttiva o al funzionamento delle istituzioni politiche, ecc.

    Processi di modernizzazione di questo tipo sono frequenti sul piano storico-empirico, e non detto

    che portino alla modernit come definita dal modello.

    2.3 I condizionamenti economici e lapproccio dipendentista

    Veniamo al terzo aspetto: la concezione che i rapporti con lesterno abbiamo una valenza

    prevalentemente positiva e di stimolo alle forze del cambiamento viste come essenzialmente

    endogene.

    La critica che si fa a questa impostazione il fatto che il progressivo inserimento nel mercato

    internazionale comporta anche dei vincoli per lo sviluppo economico: competere con lindustria dei

    paesi pi sviluppati comporta maggiori investimenti; i paesi arretrati sono in genere specializzati

    nella produzione di materie prime e beni agricoli con manodopera a bassa qualificazione e basso

    23

  • prezzo e finiscono per esportare prodotti a basso costo che vengono scambiati con prodotti ad

    elevato costo. Non si formano dunque le risorse di capitale necessarie per lo sviluppo, mentre la

    concorrenza delle industrie gi consolidate degli altri paesi mette in crisi le attivit di tipo

    artigianale meno competitive.

    Linserimento nelleconomia internazionale fonte dunque di rilevanti problemi e non solo di

    opportunit. Tali problemi sono sottolineati dallapproccio dipendentista che si forma inizialmente

    a partire da una riflessione sul fallimento dei tentativi di sviluppo di diversi paesi latino-americani

    ma si estende poi a una visione pi generale delle periferie nellambito della teoria delleconomia-

    mondo di Wallerstein (1974, 1979). Comune a questo approccio lidea che lincremento dei

    contatti con i paesi industrializzati invece di favorire lo sviluppo provocasse una situazione di

    sottosviluppo (per sottolineare lo sfruttamento da esse subto da parte delle societ centrali).

    Vi sono tre meccanismi che determinano una sottrazione di risorse per le aree periferiche:

    - lo scambio ineguale (i paesi sottosviluppati esportano prodotti a prezzi bassi ed importano

    prodotti a prezzo elevato);

    - la penetrazione diretta del capitale straniero: si insedia nei paesi sottosviluppati dove la

    manodopera costa meno quindi ne trae vantaggi che vengono sottratti ai paesi stessi;

    - ricorso crescente ai prestiti internazionali: che comprime le risorse disponibili per lo sviluppo.

    Per quanto riguarda lAmerica Latina si tende anche a sottolineare il ruolo scarsamente propulsivo

    della borghesia nazionale che non essendo in grado di sostenere un progetto di sviluppo autonomo,

    di fronte alla situazione di instabilit sociale e politica determinata dallo sviluppo dipendente sono

    pronti a sostenere soluzioni autoritarie, con laiuto dei militari e dei paesi centrali, anchessi

    interessati al mantenimento dello status quo.

    sentita lesigenza, anche di alcuni teorici della dipendenza, di unanalisi integrata dello sviluppo

    che colleghi vincoli esterni e fattori istituzionali interni, dando pi spazio e pi autonomia agli

    attori politici e alla loro azione.

    2.4 La sociologia storica della modernizzazione

    Unaltra serie di interventi hanno messo in discussione il modello di cambiamento evoluzionistico

    basato sulla differenziazione strutturale che presente negli approcci influenzati dallo struttural-

    funzionalismo. Il processo di differenziazione strutturale consiste nel costituire ruoli e strutture

    sociali pi differenziate a causa di insoddisfazione crescente per il funzionamento di una

    determinata struttura, e quindi una ricerca di maggiore efficienza che si concretizza in una pi

    elevata specializzazione funzionale delle nuove strutture che sostituiscono la precedente. Il

    cambiamento dunque visto come un processo di adattamento della societ, considerata come un

    sistema di elementi interdipendenti, rispetto ai problemi posti dallambiente fisico e sociale.

    24

  • possibile individuare dei tipi strutturali pi o meno evoluti, al vertice dei quali vi sono le societ

    moderne occidentali.

    Possiamo distinguere tre tipi di critiche rispetto a questi assunti:

    1) problemi di integrazione: la differenziazione non necessariamente comporta lincremento atteso

    di efficienza perch pu accompagnarsi a problemi di integrazione che determinano fenomeni di

    instabilit e di blocco della modernizzazione;

    2) capacit di adattamento: non si possono individuare stadi di sviluppo basati su un grado

    maggiore o minore di adattamento perch non si possono conoscere a priori i problemi futuri

    con cui le societ devono confrontarsi. quindi da escludere la possibilit che si possano

    stabilire gerarchie di avanzamento, o stadi di sviluppo, sulla base delle caratteristiche strutturali

    di ogni societ;

    3) rapporti tra la societ e lambiente esterno: il cambiamento non un processo soltanto

    endogeno di adattamento ma condizionato dai rapporti tra la societ e lambiente esterno; un

    ambiente che muta continuamente con lo sviluppo storico e che pone vincoli e opportunit

    diversi da quelli del passato alle singole societ. Gli stimoli che vengono dallambiente esterno

    non sono solo positivi, come sostengono i teorici della modernizzazione (non colgono come

    lambiente esterno possa portare a reazioni interne nelle societ in via di modernizzazione, che

    non necessariamente seguono lesperienza passata delle societ occidentali), e non sono solo

    negativi, come ritiene lapproccio dipendentista (sono particolarmente attenti ai vincoli

    economici che vengono dalla divisione internazionale del lavoro, ma perdono di vista i fattori

    endogeni). Il mutamento invece un processo complesso in cui si intrecciano condizionamenti

    provenienti dallesterno (economici, politici e culturali), eventi contingenti (guerre), e

    caratteristiche interne di una determinata societ. In questo quadro necessario prestare

    maggiore attenzione ai soggetti che introducono il cambiamento (lite intellettuali, processi di

    mobilitazione politica, intervento dello stato) e non a processi astratti e impersonali di cui parla

    linterpretazione struttural-funzionalista. Questa prospettiva tende dunque a guardare allanalisi

    storica comparata per mettere a fuoco i processi specifici di cambiamento per i quali non

    possibile tracciare delle leggi generali.

    Possiamo sintetizzare il contenuto delle diverse critiche fatte al modo in cui il processo di

    modernizzazione stato concettualizzato per le societ del Terzo Mondo:

    1) non c un percorso unico, lineare e necessario di modernizzazione. La situazione di partenza, il

    percorso, gli esiti del processo sono differenziati. Ci non porta per a negare la possibilit di

    un approccio sociologico a favore di un orientamento storicistico. possibile, invece, attraverso

    25

  • lanalisi comparata, delineare dei tipi ideali in senso weberiano che consentono di collegare

    teoria e ricerca e di formulare delle ipotesi causali;

    2) il processo di modernizzazione influenzato da fattori esogeni, e da eventi contingenti come le

    guerre. Questi fattori non sono solo di natura economica, ma anche politica e culturale. I

    particolare, i paesi primi arrivati tendono a condizionare lesperienza di quelli che si

    muovono in ritardo creando stimoli (es. mobilitazione intellettuale di cui parla Bendix, ma

    anche vincoli e condizionamenti legati a rapporti di potere economico, politico e militare).;

    3) il processo di modernizzazione influenzato in modo decisivo dal tipo di risposta alle sfide

    esterne che i fattori endogeni consentono.

    3. LA NUOVA POLITICAL ECONOMY COMPARATA

    Esauritosi il primo filone di studi sui paesi del Terzo Mondo, e dopo i grandi lavori di sociologia

    comparata sulle societ pi sviluppate, il concetto di modernizzazione stato meno direttamente

    utilizzato nella teoria e nella ricerca sociale.

    Negli anni 70 il quadro delle esperienze di sviluppo dei paesi del Terzo Mondo si fatto pi

    variegato: in alcuni nuovi paesi (specie nel continente africano) le difficolt sono continuate o

    addirittura aggravate ed in altri (America Latina ed Est Asiatico) invece si sono verificati processi

    rilevanti di sviluppo economico.

    Questa situazione ha orientato la ricerca in due direzioni:

    - si prende consapevolezza dei limiti sia della teoria della modernizzazione sia di quella della

    dipendenza perch non erano in grado di rendere conto della crescente differenziazione dei

    processi di cambiamento;

    - prende campo un nuovo approccio che stato definito come nuova political economy

    comparata che cerca di capire i fenomeni di dinamismo, stagnazione e regressione, servendosi

    maggiormente di comparazioni tra un numero limitato di casi (alcuni studi hanno messo a

    confronto i paesi dellEst asiatico, altri quelli dellAmerica Latina, ecc.).

    3.1 Stato e sviluppo economico

    Se gli studi sulla modernizzazione ponevano lattenzione prevalentemente sulla dimensione

    culturale (lo stato doveva solo creare le precondizioni per lo sviluppo del mercato) mentre

    lapproccio della dipendenza sulla dimensione economica (lo stato era debole rispetto agli interessi

    economici interni e internazionali), nella political economy il fuoco posto sul ruolo dello stato,

    che deve negoziare e controllare i rapporti internazionali.

    Quali sono i fattori che influenzano lefficacia dellintervento statale? Sono due condizioni:

    26

  • - una buona macchina statale che possa contrattare con gli interessi esterni per indirizzare e

    guidare lo sviluppo industriale allinterno; che possa tenere sotto controllo gli interessi di settori

    particolari e potenziare le esportazioni;

    - la presenza di una leadership politica orientata allo sviluppo, largamente autonoma dagli

    interessi economici e sociali presenti nella societ;

    - lisolamento istituzionale delle lite statali dagli interessi privati che importante affinch esse

    possano giocare un ruolo di indirizzo strategico dello sviluppo, senza subire i condizionamenti

    dei diversi settori.

    Nel complesso la political economy comparata si presenta come una nuova sintesi caratterizzata da

    una serie di elementi che ne distinguono lapproccio da quelli precedenti. I condizionamenti esterni

    variano nei diversi contesti (es. linfluenza americana, legata a problemi geopolitici nellambito del

    confronto con lURSS, ha facilitato lo sviluppo di alcuni paesi asiatici, mentre ha avuto un ruolo

    meno favorevole in America Latina) e sono mediati dalla capacit strategica dello stato che dipende

    dal formarsi di coalizioni di interessi economici e sociali che favoriscono o meno lautonomia delle

    lite politiche; da tradizioni culturali che garantiscono la legittimazione della leadership; e da

    tradizioni istituzionali che influiscono sullefficienza della macchina statale. Fattori culturali e

    istituzionali condizionano dunque il processo politico ma non possibile predeterminare gli esiti e

    le conseguenze. Su di essi incide linterazione tra gli attori sociali e politici sulla base dei

    condizionamenti interni e internazionali. Dalla political economy comparata viene dunque

    unimportante conferma allidea, gi maturata nellambito della sociologia storica, della

    fondamentale variet dei processi di modernizzazione sul piano storico-empirico.

    3.2 Civilt e sentieri di sviluppo

    Allontanandosi dallapproccio della political economy ci sono stati dei tentativi recenti di studio

    delle civilt in termini teorici, rifacendosi allimpostazione di Weber.

    Da questi tentativi nasce una ricerca sul capitalismo asiatico che ha studiato le forme di

    organizzazione dellattivit produttiva e le relazioni di lavoro in quei paesi. Nel capitalismo

    occidentale limpresa ha unidentit forte, una struttura organizzativa dai confini ben delimitati e

    rinforzati anche dalle norme giuridiche. Quello asiatico invece caratterizzato da imprese deboli

    inserite in networks forti che comprendono oltre che le relazioni finanziarie e giuridiche, anche i

    legami di tipo personale, familiare, e comunitario. Sul piano del lavoro i rapporti di tipo

    contrattuale occidentali sono impersonali mentre quelli asiatici lasciano il passo a forme di

    identificazione comunitaria nellimpresa.

    Gary Hamilton giunge alla conclusione che:

    27

  • - ci si trova di fronte a specificit della sfera istituzionale economica e politica che non possono

    essere spigate soltanto in una prospettiva di political economy ma che chiamano in causa il

    concetto di civilt;

    - un collegamento pi stretto tra processo di modernizzazione e tipo di civilt in cui esso prende

    forma porta a negare lipotesi di una convergenza istituzionale dominata dal modello

    occidentale.

    I rapporti tra le istituzioni politiche ed economiche non possono essere compresi esclusivamente

    con variabili che mirano a definire lautonomia e la capacit strategica dello stato bens con modelli

    di legittimazione del potere che rinviano a delle visioni del mondo che hanno una matrice originaria

    nellinfluenza delle grandi religioni, cio al concetto di civilt. In particolare, per il capitalismo

    asiatico, importante il ruolo del confucianesimo (es. la civilt cinese distinta da quella indiana,

    islamica e occidentale). In questa prospettiva dunque necessario richiamarsi allanalisi comparata

    delle civilt che era stata avviata da Max Weber, utilizzando le visioni del mondo che sono alla

    base delle grandi civilt nel senso proposto dal sociologo tedesco. Weber aveva gi intuito che il

    confucianesimo costituiva un quadro di riferimento culturale tale da ostacolare lo sviluppo

    capitalistico, ma che poteva anche fornire delle risorse rilevanti per adattarvisi.

    Hamilton sottolinea che gli ostacoli che impediscono la piena affermazione dellautonomia

    individuale, in campo politico ed economico; la forte insistenza culturale sugli obblighi di

    appartenenza alla rete familiare, parentale e comunitaria; e la visione armonica del mondo in cui

    lindividuo deve mantenere tale integrazione; ci fa comprendere meglio le forme di legittimazione

    del potere politico che assumono le caratteristiche dellorganizzazione basata sui networks e su

    relazioni di lavoro a forte impronta comunitaria. Paradossalmente, questi elementi tradizionali e il

    minor grado di differenziazione sociali che avrebbero dovuto, per i teorici della modernizzazione,

    costituire un ostacolo allo sviluppo, sono invece diventati una risorsa cruciale per il dinamismo

    economico che addirittura suscita lattenzione crescente e stimola tentativi di imitazione nel mondo

    occidentale.

    Lesperienza asiatica porta a respingere lidea che la diffusione del capitalismo fuori dallOccidente

    e i crescenti processi di globalizzazione delleconomia, prefigurino lavvento di ununica civilt

    mondiale. Quindi lo sviluppo di uneconomia globale non si accompagna a una maggiore

    uniformit istituzionale, ma piuttosto alla differenziazione dei processi di modernizzazione nelle

    diverse civilt che offre risorse istituzionali diverse per adattarsi alle sfide delleconomia mondiale

    (vedi cap. VI).

    Anche Samuel Eisenstadt (1990) matura la convinzione che fosse necessario non rinunciare al

    concetto di modernizzazione, ma ridefinirlo richiamandosi alle intuizioni e alle analisi di Weber

    28

  • sulle dinamiche interne delle diverse civilt. Anche per Eisenstadt le prospettive di studio della

    modernizzazione si legano allindagine comparata sulle civilt. Al centro del suo approccio vi

    lidea delle lite intellettuali e politiche come imprenditori istituzionali che si confrontano e si

    scontrano per ridefinire lorganizzazione di una determinata societ sulla base dei quadri di

    riferimento culturale offerti dalle diverse civilt. Il suo impegno di ricerca, sulla scia di Weber, si

    concentrato prevalentemente allindietro, alla ricerca dei quadri di riferimento originari delle

    diverse civilt. Resta pertanto aperto il problema di collegare pi direttamente i processi di

    modernizzazione contemporanei ai caratteri specifici delle diverse civilt.

    presto per dire se questa prospettiva verr percorsa in misura significativa in futuro, come i

    contributi di Hamilton e di Eisenstadt suggeriscono, ma certo che nonostante i successi conseguiti

    dalla political economy comparata, si manifesta lesigenza di collegare lormai riconosciuta variet

    dei processi di modernizzazione a variabili che non siano soltanto politico-istituzionali ma anche

    culturali.

    Si pu dunque concludere notando come vi sia una ripresa di interesse per quella dimensione

    culturale che era al centro dei primi studi e che viene oggi riconsiderata come elemento necessario,

    anche se non sufficiente, per una visione pi matura, pi aperta e plurifattoriale della

    modernizzazione e dei suoi esiti.

    29

  • CAPITOLO 3

    LO STATO SOCIALE KEYNESIANO E LA POLITICAL ECONOMY COMPARATA

    In questo capitolo ricostruiremo anzitutto i caratteri di quel modello di regolazione economica e

    sociale che va sotto il nome di stato sociale keynesiano. Ne esamineremo il ruolo nel grande

    sviluppo postbellico e quindi cercheremo di comprendere le cause del suo declino negli anni 70, in

    parallelo con la crescita della inflazione e della disoccupazione. In tale contesto si guarda con

    maggior interesse ai fattori politici e istituzionali, e al ruolo che essi svolgono nellinfluenzare le

    attivit economiche. La sociologia economia si qualifica sempre pi come political economy

    comparata

    Nel corso degli anni 70 si manifesta una significativa ripresa della prospettiva di analisi della

    sociologia economica nello studio dei paesi pi sviluppati per il fatto che leconomia keynesiana,

    che avevano acquisito una notevole influenza sul piano teorico e pratico, sembrano infatti meno

    capaci di fornire uninterpretazione adeguata della nuova fase di difficolt che investono le

    economie dei paesi pi industrializzati con la contemporanea crescita di inflazione e

    disoccupazione. Questi fenomeni che sembravano scomparsi o sotto controllo, negli anni della

    grande crescita, si manifestano ora con una virulenza inattesa.

    Si parla di crisi o di declino dello stato sociale keynesiano e ci si interroga sulle evidenti differenze

    che emergono tra i paesi pi industrializzati nel far fronte alle nuove sfide. La comparazione tra i

    diversi casi nazionali si afferma come metodo di particolare utilit per mettere a fuoco in che modo

    i fattori istituzionali (soprattutto la dimensione politica ed il ruolo giocato dallo stato) influiscano

    sulle tensioni economiche e sociali emergenti. Si manifesta cos una ripresa della sociologia

    economica come political economy comparata (che vuole mettere in evidenza come i fattori politici

    influenzino le attivit economiche ed interagiscono con esse), un approccio simile a quello che

    abbiamo prima analizzato nello studio dei paesi arretrati. Inizialmente, il problema di ricerca

    cruciale costituito dallorigine dellinflazione e dal suo grado di controllo nellOccidente pi

    industrializzato (livello macro) ma successivamente, negli anni 80, questo approccio affronter la

    questione pi generale della competitivit e del grado di dinamismo nei diversi tipi di capitalismo

    (livello macro combinato a quello micro).

    Si tratta di un interscambio tra la political economy comparata e un secondo approccio nel quale

    prende forma la ripresa della sociologia economica a partire dagli anni 70, la nuova sociologia

    economica, che studia le trasformazioni del modello di organizzazione produttiva fordista e

    lemergenza di nuovi modelli flessibili.

    1.ASCESA E DECLINO DELLO STATO SOCIALE KEYNESIANO

    30

  • Nella sua brillante ricostruzione, Shonfield (1965) faceva notare come lintervento dello stato in

    campo economico e sociale del secondo dopoguerra veniva concepito come strumento per uscire da

    una situazione di forte depressione in unottica di breve periodo che considerava date le risorse, ma

    che successivamente ci si discosta da tale quadro in due direzioni:

    - si diffonde il keynesismo della crescita, cio il tentativo di usare lintervento statale, e

    soprattutto la spesa pubblica, come strumento per sostenere lo sviluppo economico e non solo

    per curare le depressioni;

    - si diffondono i programmi di welfare indipendentemente dal ciclo economico e dalla situazione

    occupazionale.

    con riferimento a questi due fenomeni che si pu parlare di stato sociale keynesiano intendendo

    un intervento pubblico che si allontana dalle concezioni originarie di Keynes e si realizza in forme

    pi o meno estese nei paesi sviluppati dellOccidente: lidea di fondo che la politica della

    domanda debba essere usata per favorire