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Responsabilità civile - Mobbing - Dipendente pubblico presso l'Università di Modena - Rientro dalla maternità e richiesta di part time - Rifiuto illegittimo e dequalificazione - Condotte materiali ed atti giuridici intesi alla vessazione ed alla discriminazione del lavoratore - Reiterazione e costanza nel tempo - Integrazione del mobbing - Danno biologico temporaneo (salute psichica) - Liquidazione - Danni (mat.civile) - Danno esistenziale - Integrazione del mobbing - Incidenza sull'immagine e la professionalità del dipendente - Effetti esistenziali - Liquidazione equitativa del danno esistenziale (pari al danno biologico riconosciuto) - Rif.Leg artt.2043,2087 cc; Sentenza n.583/2009 Deciso il 01/12/09 Deposito il 18/01/2010 TRIBUNALE DI MODENA Sezione lavoro IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il giudice del lavoro, dott.ssa Carla Ponterio ha pronunciato la seguente sentenza nella causa iscritta nel ruolo generale delle controversie di lavoro con il n. 528/04, decisa all’udienza di discussione del 10.12.09, promossa da: XX , rappresentata e difesa dagli avvocati C. Giuliano e A. Sammartino; ricorrente Contro: Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, in persona del Rettore pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato; convenuto

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Responsabilità civile  -  Mobbing - Dipendente pubblico presso l'Università di Modena - Rientro dalla maternità e richiesta di part time - Rifiuto illegittimo  e dequalificazione - Condotte materiali ed atti giuridici  intesi alla vessazione ed alla discriminazione del lavoratore - Reiterazione e costanza nel tempo - Integrazione del mobbing -  Danno biologico temporaneo  (salute psichica) - Liquidazione - Danni (mat.civile) - Danno esistenziale -  Integrazione  del mobbing   - Incidenza sull'immagine e la professionalità del dipendente - Effetti esistenziali - Liquidazione equitativa del danno esistenziale (pari al danno biologico riconosciuto) - Rif.Leg artt.2043,2087 cc;

 

Sentenza n.583/2009

Deciso il 01/12/09

Deposito il 18/01/2010

 

TRIBUNALE DI MODENASezione lavoro

IN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl giudice del lavoro, dott.ssa Carla Ponterioha pronunciato la seguente

sentenzanella causa iscritta nel ruolo generale delle controversie di lavoro con il n. 528/04, decisa all’udienza di discussione del 10.12.09, promossa da:XX , rappresentata e difesa dagli avvocati C. Giuliano e A. Sammartino;

ricorrenteContro:Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, in persona del Rettore pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato;

convenuto  

Conclusioni di parte ricorrente come da pagg. 20 e 21 del ricorso proc. 528/04 e pag. 12 del ricorso proc. 716/03.Conclusioni di parte convenuta come da pag. 76 della comparsa di costituzione proc. 528/04 e pag. 25 della comparsa di costituzione proc. 716/03.

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Motivi della decisione(art. 132 cpc come modificato dall’art. 45 comma 17 l. 69/09)

1.Parte ricorrente, nel proc. 528/04, ha chiesto la condanna dell’Università convenuta al risarcimento dei danni, biologico ed esistenziale, causati da comportamenti datoriali contrari agli obblighi di protezione di cui all’art. 2087 cc.Nel proc. 716/03 ha proposto domanda di risarcimento danni da dequalificazione professionale, in relazione alle mansioni assegnate alla ricorrente presso il Laboratorio di Istopatologia, nonché domanda di accertamento del diritto della stessa all’assegnazione della quota del Fondo di incentivazione per l’anno 2002.I due procedimenti sono stati riuniti, ai sensi degli artt. 274 cpc.2.Dagli atti processuali emergono una serie di dati certi, documentalmente provati, e circostanze pacifiche perché allegate e non contestate.La Sezione di Medicina legale del Dipartimento di scienze morfologiche e medico legali comprendeva, all’epoca dei fatti (2002-2004), il Laboratorio di Emogenetica forense, di cui era responsabile la dott.ssa AA dipendente universitaria, il Laboratorio di Tossicologia Forense, di cui era responsabile la dott.ssa L. dipendente universitaria, e il Laboratorio di Istopatologia forense a cui era preposta come responsabile la sig.ra Balboni, dipendente dell’Azienda Ospedaliera Policlinico di Modena.Direttori della Sezione di Medicina Legale, oggi Struttura complessa di Medicina Legale del Dipartimento misto di Anatomia Patologica e medicina legale, sono stati il prof. F. De F. fino al 30.5.02 e il prof. G. B. dall’1.6.02. La dott.ssa XX, laureata in Scienze Biologiche, fu assunta alle dipendenze dell’Università il 16.9.95 in qualità di assistente tecnico, area funzionale tecnico-scientifica VI qualifica funzionale, e fu assegnata alla Sezione di Medicina Legale.In applicazione del ccnl 1998-2001, fu collocata nella categoria C, area tecnica, tecnico-scientifica, posizione economica C3.Sin dall’assunzione, la dott.ssa XX svolse la sua attività presso il Laboratorio di Emogenetica forense.Nel 1999 la ricorrente conseguì la specializzazione in Biochimica e Chimica Clinica.

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A partire dal 13.11.00, la dott.ssa XX si assentò dal lavoro per un lungo periodo, prima per maternità, poi per malattia del figlio e poi per una seconda maternità.Più esattamente, rimase assente dal lavoro per maternità dal 13.11.00 al 7.9.01, per malattia del figlio dal 10.9.01 al 9.10.01, per ferie dal 10.10.01 all’8.11.01, per maternità dal 9.11.01 all’8.4.02, per ferie dal 9.4.02 al 30.4.02.Riprese il lavoro il 2.5.02.In data 3.4.02 presentò domanda di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale (doc. 16 ric.), con prestazione lavorativa pari all’83,33% e orario di 30 ore settimanali da effettuarsi dal lunedì al venerdì in maniera continuativa e con ingresso alle 8.30.La richiesta era motivata "da ragioni di carattere familiare e, in particolare, dalla necessità di accudire le proprie figlie rispettivamente di sei anni e undici mesi…".Con lettera dell’11.4.02 (doc. 17 ric.) il prof. De F. diede parere sfavorevole alla richiesta di orario continuato spiegando come una parte rilevante dell’attività del Laboratorio di Emogetica dovesse svolgersi necessariamente nel pomeriggio e come per tre pomeriggi alla settimana la dott.ssa AA, la sola addetta al Laboratorio oltre alla ricorrente, fosse impegnata in attività di Medicina necroscopica sul territorio.Nella seduta del 29.5.02 il Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo accolse la richiesta di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale nella misura dell’83,33%, con un solo rientro pomeridiano e con decorrenza dall’1.7.02.In data 1.7.02 (doc. 19 ric.) il prof. B. predispose l’orario di servizio della dott. XX a tempo definito ridotto dal lunedì al sabato e con un solo rientro pomeridiano, manifestando il proprio rammarico per la mancata considerazione delle esigenze operative espresse dal prof. De F. nel parere dell’11.4.02 nonché la necessità di una riorganizzazione in senso riduttivo del laboratorio di Emogenetica forense.Con comunicazione del 17.7.02 (doc. 18 ric.), il direttore amministrativo richiese una nuova formulazione dell’orario di lavoro della XX precisando come il Consiglio di amministrazione dell’Ateneo avesse tenuto conto della richiesta della stessa di suddivisione delle 30 ore lavorative dal lunedì al venerdì, con esclusione del sabato.

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Con lettera del 22.7.02 (doc. 20 ric.) il prof. B. rilevò come in nessun punto della decisione del CdA fosse specificato che l’orario di lavoro della XX dovesse svolgersi dal lunedì al venerdì, chiese al Magnifico Rettore di esprimersi sulla legittimità dell’interpretazione che gli uffici centrali avevano dato della delibera del CdA nonché sulla legittimità dell’atto deliberativo adottato dal CdA senza alcuna motivazione quanto alla difformità rispetto ai pareri espressi dal prof. De F. e dal prof. T..Nella stesa lettera, il prof. B. chiese di conoscere "in forza di quali prassi o regolamenti le richieste della signora XX vengano via via assecondate dagli uffici centrali ben oltre i parametri fissati dal ccnl" e ribadì "le difficoltà operative in cui prassi del genere mettono un Dirigente di struttura nell’utilizzo delle risorse assegnate in funzione degli obiettivi da perseguire secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità (oltre che, se possibile, di trasparenza, di uniformità e di equità nei confronti degli altri dipendenti)".3.L’attività che la dott.ssa XX ha svolto presso il Laboratorio di Emogenetica fin dall’assunzione consisteva, come spiegato dalla teste dott.ssa AA, "nel maneggiare campioni biologici provenienti da vivente o da cadavere, quindi sangue, saliva ecc., che vengono trattati con opportuni reagenti e analizzati con apposito macchinario, detto sequenziatore, che fornisce risultati in automatico". Più esattamente, "si occupava di estrazione del DNA e della sua amplificazione, allestimento del gel di poliacrilamide, della messa in funzione del sequenziatore per l’analisi dei campioni, della lettura dei risultati forniti in automatico da questa macchina".Tutte queste mansioni la XX ha svolto prima delle assenze per maternità e anche dopo la ripresa del servizio nel maggio 2002 fino all’1.7.02, cioè in tutto il periodo in cui ha lavorato a tempo pieno.La teste Guerzoni Clara, che nel 2000, quale studentessa universitaria, svolse un periodo di pratica presso il Laboratorio di Emogenetica, ha riferito: "l’attività della dott.ssa XX era…fare…analisi di paternità, quindi allestire le…estrazioni di DNA di vari campioni biologici…le reazioni di PCR che servono per la caratterizzazione fenotipica e caricare la macchina per la caratterizzazione;…Ci sono varie procedure che si devono susseguire per poi arrivare alla caratterizzazione e alla stabilizzazione della effettiva paternità o maternità…La macchina dà fondamentalmente dei picchi, si chiamano elettroferogrammi…

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un’immagine che deve essere interpretata…e la dott.ssa XX faceva anche questo…Mi sembra che loro compilassero una sorta di tabella…sono diversi locus genici che vengono analizzati per diversi polimorfismi, quindi ognuno aveva un’identificazione e si completava questa tabella in base al raggiungimento di una certa percentuale, e poi veniva decretata l’effettiva paternità…La firma dei referti penso che debba essere da parte di un medico legale…La dott.ssa XX non credo potesse firmare i referti; poteva dare la sua interpretazione di fatto dell’elettroferogramma…La XX contribuiva all’interpretazione e poi veniva qualcun altro a riguardare questa tabella, a confermare e a firmare…poi c’erano le analisi tossicologiche…qualche volta siamo andati…in Tossicologia a fare queste analisi".Che la dott.ssa XX svolgesse una prima lettura ed interpretazione dei risultati del procedimento analitico è confermato da alcuni appunti (doc. 4, 5, 6) prodotti dalla ricorrente nel fascicolo cautelare e riconosciuti come propri dalla dott.ssa AA.Nel doc. 4 è scritto: "lunedì mattina sarò in tribunale a Bologna. Ci sono da leggere ladder…paternità…"-Nel doc. 5 è scritto tra l’altro: "leggere corsa 7/5 ladder più campioni art. 78/03 maglietta pantaloni e ricontrollare lettura già fatta altri campioni e paternità…".La dott.ssa AA (cfr. verbale stenotipico, ud. 25.9.07, pagg. 83 e ss.) ha spiegato che era compito della XX trascrivere su una scheda i risultati del procedimento analitico, previamente decifrati attraverso l’uso di un software, e relativi al peso molecolare degli alleli, dati che ella provvedeva poi a rileggere e controllare ai fini della refertazione.L’attività della dott.ssa XX ha subito sostanziali modifiche a partire dal luglio 2002, nel regime di orario a tempo parziale.La dott.ssa AA ha spiegato: "il laboratorio di emogenetica…non ha una routine giornaliera, nel senso che lavora su campioni che pervengono…dai reparti…e che tra loro sono molto diversi…Ogni tipo di reperto di campione che perviene al laboratorio e che viene esaminato ha determinate procedure…I campioni dai reparti arrivano tuttora non prima delle due e mezzo, tre o tre e mezzo del pomeriggio e…necessitano di essere processati il più velocemente possibile…".Poiché a partire dall’1.7.02 la dott.ssa XX ha osservato l’orario a tempo parziale, dalle 8.30 alle 14.30, con un solo rientro pomeridiano, ha svolto in prevalenza l’attività prevista per la

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mattina, quindi essenzialmente la preparazione della corsa del sequenziatore.Al riguardo, la dott.ssa AA ha aggiunto: "…allora avevamo un vecchio strumento…che presupponeva che la preparazione anche solo del gel di corsa, essendo una corsa elettroforetica, impiegasse almeno due ore, si iniziava la mattina a processare, a preparare i reattivi, a preparare il gel, si aspettava la polimerizzazione, si caricavano i campioni e si faceva partire la corsa che comunque durava almeno due ore…".La XX provvedeva, inoltre, alla "pulizia di quello che veniva utilizzato nella mattinata, preparazione dei tamponi, allestimento dell’autoclave, cioè tutto quello che in un laboratorio viene fatto", (cfr. verbale deposizione dott.ssa AA).Dichiarazioni di contenuto analogo ha reso la teste Raffini Elisa, addotta da parte ricorrente.La Raffini, dipendente comunale addetta nel 2002 all’obitorio, ha riferito che la XX nel laboratorio di Emogenetica provvedeva a preparare il gel, caricare il sequenziatore, leggere i risultati del sequenziatore a fine corsa, pulire la vetreria.Ha precisato che la lettura dei risultati del sequenziatore veniva fatta nel pomeriggio e solo qualche volta è stata fatta dalla XX che aveva un solo rientro pomeridiano.Ha spiegato che tale lettura è cosa diversa dalla refertazione, eseguita, invece, dalla dott.ssa AA e mai dalla XX.La dott.ssa AA ha precisato che, rimasta sola a gestire il Laboratorio di Emogenetica fino a maggio 2002, aveva organizzato il lavoro in funzione dei propri impegni, anche esterni.Ora, se è pacifico che i campioni provenienti dai singoli reparti giungessero nel Laboratorio di Emogenetica solitamente nel primo pomeriggio e dovessero essere processati subito, è altrettanto vero che le analisi, quindi l’estrazione e l’amplificazione del DNA, necessarie per le indagini di paternità non avessero questo vincolo e potevano, in teoria, essere svolte anche al mattino.La dott.ssa AA ha spiegato che le indagini di paternità presupponevano un colloquio che veniva fatto col prof. Galliani sempre di pomeriggio.Le deposizioni raccolte portano a ritenere che le mansioni della dott.ssa XX abbiano subito un certo ridimensionamento dopo il luglio 2002, in conseguenza dell’orario a tempo parziale scelto dalla ricorrente e dell’organizzazione del laboratorio di Emogenetica ove i

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campioni da esaminare giungevano prevalentemente nel primo pomeriggio, con inizio dopo le 14.30 dell’attività di analisi e refertazione.Questi aspetti erano stati effettivamente sottolineati nel parere contrario espresso l’11.4.02 dal prof. De F. sulla richiesta di part time.Nel parere (doc. 17 ric.) il prof. De F. aveva evidenziato come: "una parte rilevante dell’attività del Laboratorio si imposta prevalentemente nel pomeriggio e non è…modificabile; in particolare, i campioni di controllo della tipizzazione delle attività di trapianto svolte per conto dell’Azienda Policlinico pervengono generalmente nel primo pomeriggio e vanno trattati immediatamente e seguiti per il tempo necessario; l’attività al sequenziatore, impostata di mattina, si completa nel primo pomeriggio e comporta successivamente una lettura dati non differibile e operazioni di lavaggio-pulizia-ripristino della macchina, che deve essere pronta per le attività del giorno seguente".Dall’istruttoria è emersa però anche l’assenza di qualsiasi iniziativa o disponibilità a modificare, pure in minima parte, l’organizzazione del lavoro così da permettere alla XX di svolgere, nei limiti dell’orario a tempo parziale, la maggior parte di mansioni e attività, comprese quelle più complesse e gratificanti.Al rientro in servizio della XX nel maggio 2002 e a seguito del part time dall’1.7.02 non è seguita alcuna rimodulazione dell’attività del Laboratorio, rimasta impostata unicamente secondo le esigenze e gli impegni della dott.ssa AA, con assoluta indifferenza nei confronti delle legittime aspettative e richieste della ricorrente.Se certo sarebbe stato impossibile agire sull’orario di arrivo dei campioni dai reparti, nessuna seria difficoltà è stata addotta riguardo alla collocazione in orario mattutino di alcune indagini di paternità della quale la dott.ssa XX avrebbe potuto continuare ad occuparsi.La stessa è stata invece adibita ai pochi compiti programmati in orario mattutino, di fatto quelli più semplici e ripetitivi, con preclusione di una serie di attività che la stessa aveva diritto di svolgere perché rientranti nel suo profilo professionale.E’ vero che, secondo le previsioni del ccnl,, all’interno di ciascuna categoria e area, tutte le mansioni sono esigibili in quanto professionalmente equivalenti, ma ciò non impedisce di rilevare un parziale svuotamento delle mansioni della XX private della parte professionalmente più complessa.

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4.Qundo la XX riprese servizio nel maggio 2002 fu assegnata anche, su disposizione del prof. B., al Laboratorio di Tossicologia.In questo laboratorio lavorò per poco tempo ed in modo saltuario, occupandosi esclusivamente di ritirare i campioni di urine delle persone segnalate dalla Commissione medica provinciale per le patenti di guida.La teste dott.ssa L., responsabile del Laboratorio di Tossicologia forense, ha spiegato che le funzioni svolte dalla Tossicologia su richiesta della Commissione patenti comprendono una fase preanalitica, relativa all’accettazione delle urine e alla identificazione dell’individuo, ed una fase analitica sul campione al fine di accertare la presenza di droghe.La prima fase riveste particolare importanza perché occorre acquisire elementi di certezza sulla provenienza del campione.Chi riceve il campione di urine deve quindi identificare la persona, raccogliere l’anamnesi tossicologica, chiedere se sono in corso programmi presso il Sert e se la persona assume terapia farmacologica e quale.L’attività preanalitica era svolta da tutti gli addetti al Laboratorio, prevalentemente dalla dott.ssa V. e dalla dott.ssa F., ma anche direttamente dalla dott.ssa L..Nel periodo in cui la XX ha lavorato nel laboratorio di Tossicologia ha provveduto al ritiro dei campioni e alla compilazione dei dati identificativi dei soggetti e tali compiti ha svolto sempre sotto la guida e la supervisione delle colleghe più esperte.La teste L. ha spiegato: "il prof. B. l’affidò alla tossicologia forense…parzialmente…e quindi automaticamente nell’attività di routine della tossicologia forense…ritirare le urine senza fare l’anamnesi…prendere i documenti del soggetto….segnare i nomi…compilare i fogli di lavoro…lavare la vetreria, i cilindri e le altre cose…vicino a lei c’era sempre un’altra persona…perché così il soggetto che incomincia (come la XX, ndr), apprende quali sono tutti gli step".Ha aggiunto: "la seconda fase di un soggetto che inizia questo tipo di attività…è di seguire gli altri…più esperti nell’approntare le tecniche di screening…Poi, nel progredire dell’apprendimento, incominciano anche a fare indagini in cui è coinvolta la fase estrattiva e la determinazione con apparecchiature chimico-analitiche più sofisticate".

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Il problema della dott.ssa XX, ha riferito la teste L., "è che è rimasta pochissimo al laboratorio di tossicologia, c’era casualmente e occasionalmente…quindi non ha mai superato la fase iniziale".Dichiarazioni di analogo tenore ha reso la teste dott.ssa V.: "la fase preanalitica di acquisizione dei campioni urinari…consiste nell’accettare un campione di urina, che il soggetto fa in bagno, e, oltre al controllo di tutta la documentazione relativa alla Commissione patenti, documenti, certificati medici, prescrizioni mediche ecc., include…il controllo dei caratteri organolettici principali dei campioni di urina, quindi temperatura e colore, per essere sicuri il più possibile che sia un campione di urina recente…Quando è arrivata la dott.ssa XX….ha fatto solo il ritiro…la parte dopo non è così semplice, ci vuole un po’ più di tempo per acquisire esperienza, manualità e quant’altro…la dott.ssa XX ricordo che è rimasta poco in laboratorio, non ha avuto il tempo per acquisire manualità".Ora, è vero che la XX lavorò in Tossicologia per un breve periodo e in modo saltuario così come non è contestato che la stessa non si fosse mai occupata prima di analisi di liquidi biologici ma è indubbio che alla XX furono affidati esclusivamente il ritiro dei campioni di urina e la compilazione dei documenti identificativi dei soggetti, compiti di contenuto estremamente semplice e meramente esecutivo, da svolgere, peraltro, alla presenza e sotto la supervisione dei colleghi più esperti.E‘ vero che anche le dottoresse V., F. e persino la L. provvedessero al ritiro dei campioni e alla compilazione dei moduli, ma esse svolgevano questi compiti non in via esclusiva bensì unitamente alla raccolta dell’anamnesi, alle tecniche di screening e alle attività propriamente estrattive.Alla XX non fu consentito neanche di raccogliere l’anamnesi tossicologica sotto la supervisione delle colleghe ma la stessa fu relegata a compiti assolutamente privi dei contenuti di autonomia e responsabilità propri della categoria di appartenenza, compiti il cui apprendimento avrebbe razionalmente richiesto non più di un giorno o qualche ora di lavoro. Non si comprende neanche la ragione per cui, su disposizione del prof. B., la dott.ssa XX fu assegnata anche al Laboratorio di Tossicologia che era quello meno in sofferenza rispetto a Emogenetica e Istopatologia.

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Difatti, solo il Laboratorio di Tossicologia aveva, all’epoca, due addetti stabili, la dott.ssa L. e la dott.ssa V., rispettivamente di categoria D e C. Non costituisce motivazione valida l’esigenza, addotta dal prof. B., di attuare una rotazione dei tecnici in tutti i laboratori posto che tale rotazione fu realizzata, di fatto, solo per la XX e non, ad esempio, nei confronti della V..5. Il Laboratorio di Tossicologia forense svolgeva e svolge attività peritale su incarico della Procura della Repubblica al fine di analizzare campioni di sostanze stupefacenti.Come hanno spiegato i testimoni dott.sse L. e V., veniva predisposto un turno settimanale a rotazione dei dottori addetti al laboratorio e costoro dovevano garantire una reperibilità dal lunedì al sabato, per essere in grado di procedere in tempi ristretti alle indagini analitiche, spesso legate ad esigenze di convalida di arresti o fermi.E’ pacifico che la dott.ssa XX fosse inserita, prima delle assenze per maternità, nei turni per l’attività peritale su richiesta della Procura ed è altrettanto pacifico che non abbia più svolto tale attività dopo il maggio 2002.La teste L. ha spiegato: "la modifica scattò a seguito della richiesta della dott.ssa XX del part time. Cioè era problematico gestire il turno col part time…Era praticamente una specie di regola fra virgolette: chi faceva il part time non poteva fare questo tipo di attività…quindi non fu più coinvolta nelle riunioni in cui si distribuivano i turni".Se non appare illogica la valutazione di incompatibilità tra il part time concesso alla dott.sa XX e l’impegno che i turni per la Procura richiedevano, in termini di giorni ed ore di presenza in ufficio o di reperibilità, è tuttavia indubbio che la dott.ssa XX fu esclusa dai turni per la Procura senza alcuna consultazione.Come ha spiegato il prof. B., "le attività di Procura sono sempre state considerate attività di affidamento personale, ad personam, così come i relativi incassi, attività personale del dipendente su libera scelta del magistrato".Se così è, e non vi è dubbio, non si comprende perché sia stato deciso di escludere la XX dai turni per la Procura senza alcuna consultazione, invadendo un campo riservato ai rapporti personali della stessa con i magistrati.

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Risulta, inoltre, che la dott.ssa XX avesse svolto alcuni incarichi peritali in campo emogenetico, circa cinque, per conto della Procura e su designazione del prof. De F..Nessun incarico peritale ha ricevuto dopo l’inizio del part time.6.In data 4.4.03 il prof. G. B. emanò una disposizione di servizio (doc. 27 ric.) relativa alla dott.ssa XX del seguente tenore: "facendo seguito alla riunione…presso la Direzione di Dipartimento…le comunico che…necessità organizzative da tempo anticipate alla S.V. implicheranno a decorrere dal 2.5.03 lo svolgimento della sua attività di assistente tecnico C3 presso il Laboratorio di Istopatologia di questa Struttura complessa. Per doverosa trasparenza si confermano in questa sede i presupposti ed i criteri di tale scelta…: a) nel fatto che il Laboratorio di Istopatologia (a differenza dei Laboratori di Emogenetica forense e di Tossicologia) è privo di unità tecniche universitarie e quindi di fatto escluso come supporto alla ricerca e alla didattica; b) che essendone affidata la conduzione ad un solo tecnico ospedaliero, esso versa da tempo in condizioni di sofferenza per gli arretrati che vi si accumulano; c) che il laboratorio di Emogenetica forense…è stato oggetto, durante le sue assenze dello scorso anno, di una necessaria riorganizzazione che ha comportato la presenza nei locali di nuove figure da addestrare (anche a finalità didattico-formative), nonché gli studenti in preparazione di tesi di laurea su richiesta del C.L. di Biotecnologie…D’altra parte, la sua qualifica funzionale C3, in virtù dello scarso grado di specificità (ed indipendentemente da eventuali competenze o attribuzioni fino ad oggi acquisite dalla SV) consente al sottoscritto (sentito anche il responsabile dell’ufficio personale dr. Paolo Grasso) di ritenere legittima la necessaria intercambiabilità di mansioni ai fini della ottimizzazione gestionale della Struttura".Nella disposizione di servizio sono specificate le attività a cui la dott.ssa XX sarebbe stata adibita presso il Laboratorio di Istopatologia: "riguarderanno le varie fasi di processazione dei preparati istologici a partire dalla inclusione fino alla colorazione e montaggio su vetrino: si tratta di attività in gran parte automatizzate per le quali sarà sufficiente l’apprendimento di adeguata manualità; non saranno richieste responsabilità di refertazione (perché rigorosamente affidate ai laureati in Medicina e Chirurgia)…".L’11.4.03 la dott.ssa XX presentò istanza di convocazione del Collegio di conciliazione di ci agli artt. 65 e 66 dlgs 165/01 contestando l’assegnazione al Laboratorio di Istopatologia e la ripartizione del Fondo per la produttività.

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Rimase assente dal lavoro dal 19.5.03 al 23.5.05 e dal 16.6.03 al 24.6.03.Con lettera del 10.6.03 (doc. 31 ric.), diretta al Magnifico Rettore e al Direttore di Dipartimento prof. T., il prof. B. richiese l’adozione di un provvedimento disciplinare nei confronti della dott.ssa XX per l’ulteriore rifiuto dalla stessa opposto in data 3.6.03 alla richiesta di prestare servizio presso il Laboratorio di Istopatologia.Con provvedimento del 23.6.03 il direttore di Dipartimento, prof. T., invitò formalmente la dott.sa XX ad iniziare l’attività lavorativa presso il Laboratorio di Istopatologia a decorrere dal 30 giugno.Con lettera del 27.6.03 il legale della dott.sa XX chiese la sospensione dell’esecuzione del provvedimento datato 23.6.03 in ragione della controversia che sarebbe stata promossa presso il giudice del lavoro. Con lettera dell’1.7.03 (doc. 29 ric.), diretta al prof. B. e al prof. T., il direttore amministrativo sottolineò come le disposizioni di servizio nonché la richiesta di provvedimenti disciplinari a carico dei dipendenti dovessero provenire dal Direttore del Dipartimento.Con lettera dell’11.7.03 il prof. T. informò il Magnifico Rettore, il direttore amministrativo ed il responsabile delle risorse umane che il 30.6.03 la dott.ssa XX si era presentata in servizio presso il Laboratorio di Emogenetica forense, di fatto ignorando la disposizione impartitale il 23.6.03 di iniziare dal 30 giugno la sua attività presso il Laboratorio di Istopatologia.Nella lettera è inoltre segnalato che "intorno alle ore 10.00 il responsabile della suddetta Struttura complessa, prof. G. B., ha invitato la sig.ra XX a trasferirsi nel Laboratorio di Istopatologia ricevendone l’ennesimo rifiuto in ragione di un preteso valore sospensivo promanante dalla lettera del di lei legale…in data 27 giugno…".La lettera del prof. T. si concludeva con la richiesta di adozione dei conseguenti provvedimenti disciplinari.I dottori Gloria Popoli e Sabino Pelosi assistettero, in parte, alla discussione del 30.6.03 tra la dott.ssa XX e il prof. B..La teste Popoli ha riferito: "ricordo che qualcosa è accaduto perché ho preso la mia agenda del 2003 e alla voce 30 (giugno, ndr) è annotato -scontro B. – XX, chiamata a testimoniare-…ricordo che lei (la XX, ndr) uscì dal laboratorio di Emogenetica perché si collocava lì…ricordo dei toni aspri, ma devo dire che li ricordo soprattutto da parte della dott.ssa XX…Stavano discutendo…hanno detto a me e al

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dott. Pelosi –ricordati perché verrete chiamati a testimoniare su questi fatti…Sicuramente ho visto lei molto inquieta…arrabbiata. Non ricordo se pianse, ma sicuramente era una situazione di stato d’animo agitato. Dopodiché ricordo di non averla vista al pomeriggio…".Il teste dott. Pelosi ha dichiarato: "ricordo…un diverbio dai toni anche abbastanza accesi…fra il prof. B. e la dott.ssa XX. Onestamente non ricordo il contenuto del diverbio, del perché abbiano litigato. Ricordo solo che a un certo punto il prof. B. mi ha detto –vieni qui-, non ero neanche da solo probabilmente…".Intanto, la dott.ssa XX aveva depositato ricorso ex art. 700 cpc e con ordinanza del 9.7.03 (doc. 36 ric.) il giudice del lavoro aveva accolto la domanda cautelare ordinando all’Università di riassegnare alla ricorrente le mansioni già espletate presso il Laboratorio di Emogenetica o mansioni equivalenti.Con successiva ordinanza del 23.7.03 (doc. 41 ric.), in accoglimento del reclamo proposto dall’Università, il tribunale di Modena revocò l’ordinanza cautelare.A partire dal 30.6.03 la dott.ssa XX rimase assente dal lavoro fino al 22.7.03 per malattia, fu ancora assente dal 28.7.03 al 26.8.03 per malattia del figlio, dal 27.8.03 17.10.03 per malattia, il 20 e 21.10.03 per permesso per concorso, dal 22.10.03 al 19.12.03 di nuovo per malattia, dal 22.12.03 al 5.1.04 per ferie, e ancora per malattia dal 7.1.04 al 6.2.04, dal 9.2.04 al 28.2.04, dall’1.3.04 al 30.3.04, dal 31.3.04 all’8.4.04, per ferie il 9.4.04 e, infine, per malattia il 13 e 14.4.04 (doc. 4 e 9 conv.).Riprese servizio il 15.4.04 presso il Laboratorio di Istopatologia.Presso tale Laboratorio operava in veste di responsabile la sig.ra Balboni, dipendente del Policlinico con mansioni di tecnico istopatologo.La Balboni ha descritto l’attività che un tecnico universitario di categoria C svolge nel Laboratorio di Istopatologia e che consiste "nella immissione di frammenti autoptici nelle biocassette, nella disidratazione degli stessi, nel taglio in micro fette, nella successiva inclusione in blocchetti di paraffina e nella colorazione dei preparati…con varie metodiche…la lettura e successiva refertazione del preparato istologico sono, invece, di esclusiva competenza del medico".

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Ha precisato che la dott.sa XX fu incaricata, insieme ad un tecnico comunale, di provvedere alla sistemazione e al riordino dell’archivio. Ha spiegato: "…c’era stata una ristrutturazione dell’obitorio e anche di altri locali per cui…preparati di parecchi anni precedenti erano stati praticamente mischiati a preparati più recenti…c’è stato un momento di ricerca dei preparati e catalogazione…venne compilato l’elenco dei preparati…che prima esisteva in modo parziale".Il prof. B. ha confermato di aver affidato alla dott.ssa XX nel giugno del 2004 il compito di riordinare, insieme a un tecnico comunale dell’obitorio, l’archivio dei preparati istologici.Il teste B. ha spiegato: "il Laboratorio di Istopatologia genera dei campioni, fondamentalmente di due tipi: la cassettina biologica che contiene il frammento corporeo incluso in…paraffina e il vetrino...che va conservato per un tot di anni. Dieci anni per i vetrini dei casi giudiziari e cinque anni per i vetrini sanitari dell’Usl. Di conseguenza si accumula in quel laboratorio una notevole quantità di materiale di stoccaggio che è tutto sottoposto a etichettazione numerica…Il senso era di verificare…che ci sia una sequenza numerica, sullo scaffale ci sia: reperti dal 15 al 40, reperti dal 40 ad 80 e che quindi le due linee, vetrino e blocchetto, siano coerenti tra loro". Questa numerazione doveva essere riportata a computer o su un registro cartaceo, che era poi il registro dell’obitorio, in modo che "ad ogni autopsia dovevano corrispondere queste due linee di stoccaggio istologico".La dott.ssa XX ha effettivamente lavorato alla sistemazione dell’archivio, insieme ad un tecnico comunale, come confermato dalla teste Balboni.7.In data 10.1.04 la dott.ssa XX presentò istanza di partecipazione alla procedura di mobilità (doc. 46 ric.), indicando tre preferenze, rispettivamente per il Dipartimento di Scienze Biomediche, Oncologia e Ematologia e per quello di Scienze Farmaceutiche.La domanda fu respinta con provvedimento dell’1.4.04 (doc. 47).La dott.ssa XX presentò il 17.2.04 domanda di trasferimento presso il Dipartimento Integrato di Oncologia e Ematologia, allegando la dichiarazione di disponiblità ad accoglierla da parte del prof. M. Federico, Direttore di quel Dipartimento.Tale domanda non ebbe alcun seguito.Il teste prof. Federico ha raccontato di aver dato la disponibilità ad accogliere la dott.ssa XX, che aveva fatto la tesi di laurea nel

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Dipartimento di Oncologia e Ematologia ed ivi iniziato un’attività di ricerca, dopo aver appreso dei problemi sul lavoro che la stessa stava incontrando.Ha aggiunto di aver ricevuto una telefonata dal prof. B. che gli chiese come mai si fosse occupato della vicenda della dott.ssa XX.Quest’ultima ottenne finalmente il trasferimento, a seguito di una successiva domanda di mobilità, presso il Dipartimento di Scienze Biomediche a far data dall’11.10.04.8.Ai sensi del dpcm 24.9.1981, l’assistente tecnico appartenente alla VI qualifica dell’Area funzionale tecnico-scientifica è "addetto a mansioni tecniche specializzate che richiedono la valutazione di merito, nell’ambito di procedure concordate, per la corretta esecuzione di progetti e programmi definiti. Può assumere, anche fuori da complessi organici di laboratorio, compiti analoghi di supporto alle esperienze didattiche e di ricerca. E’ responsabile, relativamente a procedure definite, di controlli, verifiche, analisi e misure previste, in rapporto alla specifica competenza, nei settori e nelle attività sotto elencati:…nei laboratori delle strutture scientifiche e didattiche, addetti che eseguono normali analisi di natura complessa anche con l’uso di attrezzature di delicato funzionamento, provvedendo alle relative annotazioni e certificazioni".In base al ccnl 1998-2001 del comparto Università, l’area funzionale tecnico-scientifica della ex VI qualifica è confluita nella categoria C a cui appartengono, in base alla tabella A del ccnl, lavoratori che svolgono attività caratterizzare da: "grado di autonomia: svolgimento di attività inerenti procedure, con diversi livelli di complessità, basate su criteri parzialmente prestabiliti. Grado di responsabilità relativa alla correttezza complessiva delle procedure gestite".E’ vero quando dedotto da parte convenuta, cioè che al personale inquadrato nella categoria D, ex VIII qualifica funzionale area tecnico-scientifica, è riconosciuto un maggiore grado di autonomia, definito dalla tabella A citata come "svolgimento di funzioni implicanti diverse soluzioni non prestabilite", oltre che un grado più elevato di responsabilità "relativa alla correttezza tecnico e/o gestionale delle soluzioni adottate".Così come è vero che per l’accesso alla categoria C è sufficiente il diploma di istruzione superiore laddove per la categoria D è indispensabile il diploma di laurea.

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Secondo parte convenuta, un’unità di personale dell’area tecnico-scientifica di categoria C, assegnata al Laboratorio di Emogenetica, può legittimamente ed indifferentemente essere chiamata a svolgere attività di estrazione e amplificazione del DNA o allestimento del gel di poliacrilamie oppure richiesta di mettere in funzione il sequenziatore dedicato all’analisi dei campioni o di leggere i risultati da questa macchina forniti in automatico.La stessa unità di personale di categoria C, assegnata al Laboratorio di Istopatologia, può essere legittimamente e indifferentemente tenuta ad eseguire l’inclusione dei frammenti di tessuto in blocchetti di paraffina, l’allestimento delle micro-fette ottenute al microtomo oppure la colorazione, con vari metodi, di tali micro-fette.Ai sensi dell’art. 52 dlgs 165/01, il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi.Per il personale del comparto universitario, la previsione di cui all’art. 52 è integrata dagli artt. 55 comma 3 e 24 del ccnl.In base all’art. 55 comma 3, "all’interno di ciascuna categoria e area, tutte le mansioni sono esigibili in quanto professionalmente equivalenti…".L’art. 24 del ccnl stabilisce: "ai fini della mobilità orizzontale disciplinata dall’art. 56 comma 1 dlgs 165/01, l’equivalenza delle mansioni va valutata dal punto di vista della professionalità comunque acquisita dal lavoratore. L’esercizio da parte dell’Amministrazione del potere di variare unilateralmente le mansioni deve essere giustificato da ragioni di servizio…".Secondo un diffuso indirizzo giurisprudenziale, "in materia di pubblico impiego privatizzato, l'art. 52, comma 1, d.lg. 30 marzo 2001 n. 165, che sancisce il diritto alla adibizione alle mansioni per le quali il dipendente è stato assunto o ad altre equivalenti, ha recepito - attese le perduranti peculiarità relative alla natura pubblica del datore di lavoro, tuttora condizionato, nell'organizzazione del lavoro, da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria delle risorse - un concetto di equivalenza "formale", ancorato alle previsioni della contrattazione collettiva (indipendentemente dalla professionalità acquisita) e non sindacabile dal giudice", (Cass., 11835/09; Cass., ss.uu., 8740/08).

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Parte della dottrina ed una giurisprudenza minoritaria sostengono come il diverso ruolo della contrattazione collettiva nel settore privatistico e nel rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni non impedisca una valutazione interpretativa, secondo canoni di ragionevolezza e buona fede, delle equivalenze stabilite dalla contrattazione collettiva.Valutazione interpretativa che non può che basarsi sulla storia e sul percorso professionale del lavoratore, in riferimento all’assunzione, alle mansioni svolte, all’area professionale di appartenenza.Nel caso in esame, può in una certa misura concordarsi con la parte convenuta, e col giudice del reclamo cautelare, nel riconoscere una equivalenza formale tra le mansioni assegnate alla ricorrente presso i due laboratori, Emogenetica e Istopatologia.Tale equivalenza era, in realtà, più teorica che reale.Nella disposizione di servizio del 4.4.03 il prof. B. ha descritto le attività che la dott.ssa XX avrebbe svolto presso il Laboratorio di Istopatologia come riferite alle "varie fasi di processazione dei preparati istologici a partire dalla inclusione fino alla colorazione e montaggio su vetrino" ed ha precisato: "si tratta di attività in gran parte automatizzate per le quali sarà sufficiente l’apprendimento di adeguata manualità; non saranno richieste responsabilità di refertazione (perché rigorosamente affidate ai laureati in Medicina e Chirurgia)…".Nella dichiarazione del 18.7.03 (doc. 36 conv.), redatta in relazione al contenzioso in oggetto, il prof. B. ha scritto: "le attività espletate dalla dott.ssa XX presso il Laboratorio di Emogenetica forense…consistono nella preparazione dei reagenti e dei substrati necessari all’amplificazione del DNA del campione da esaminare, nell’approntamento e nella messa in funzione della macchina dedicata all’analisi (sequenziatore), nella lettura (confronto fra serie di dati) dei risultati forniti dalla macchina, il tutto sotto la guida, supervisione, controllo del tecnico D3…che sovraintende alla refertazione dei risultati".Ha spiegato: "lo studio isto-patologico dei frammenti di tessuti con approntamento dei relativi vetrini…, quale richiesto alla dott.ssa XX,…presuppone, anche al semplice livello C3, accanto alla prevista fase di manualità preparatoria e di automazione successiva (presente anche e concettualmente non diversa da quella estrattiva del DNA), una fase di lettura bibliografica e di studio di metodiche colorative più idonee all’approntamento di tecniche di istochimica e di immuno-istochimica anche molto raffinate (oggi rinunziate nel

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nostro laboratorio per mancanza di personale, ancorché istituzionalmente dovute e utili in molti casi giudiziari…)".Ha aggiunto: "l’espletamento delle attività di un Laboratorio di Istopatologia lascia al tecnico la possibilità (molto più –creativa- di quanto non avvenga nelle procedure analitiche del DNA) di cimentarsi, con ampia possibilità di iniziativa, su tecniche colorative complesse, con particolare riferimento alla possibilità di raggiungere i gradi ottimali di differenziazione cromatica del substrato, testando, ad esempio, la diversa durata dei tempi di colorazione o…introducendo variazioni di ambiente chimico (pH ecc.) esattamente come nelle tecniche estrattive…".Dalle stesse parole del prof. B. si desume come, nell’ambito della formale equivalenza delle mansioni secondo la classificazione contrattuale, possano individuarsi in concreto diversi livelli di professionalità, autonomia e responsabilità.Le mansioni che la dott.ssa XX svolgeva lavorando a tempo pieno presso il laboratorio di Emogenetica potrebbero, secondo le valutazioni del prof. B., considerarsi equivalenti a quelle previste nel Laboratorio di Istopatologia solo ipotizzando che in quest’ultimo vi fosse concreta possibilità di sperimentare diverse tecniche di colorazione, residuando, altrimenti, compiti meramente manuali.E’ pacifico che, in concreto, presso il Laboratorio di Istopatologia, all’epoca in cui vi lavorò la dott.ssa XX, fosse in uso un’unica tecnica di colorazione e non vi fosse alcuno spazio per lo studio e la sperimentazione di altre metodiche colorative. La dott.ssa Balboni ha riferito che "i preparati istologici sezionati dalla XX venivano colorati con ematossilina e osina".Il teste dott. Silingardi, responsabile del Laboratorio di Istologia, ha spiegato che la colorazione dei preparati istologici era eseguita all’epoca dei fatti con ematossilina e osina. Ha aggiunto che solo "in questi ultimi tempi si sono sviluppate routinariamente altre procedure però all’epoca l’unica procedura routinaria era questa (con ematossilina eosina, ndr)…perché era necessaria e sufficiente per una diagnostica istologica di base".Quindi, nonostante la formale equivalenza delle mansioni, emerge in modo chiaro come presso il Laboratorio di Istopatologia la dott.ssa XX sia stata di fatto adibita a mansioni più povere rispetto a quelle svolte in Emogenetica, mansioni sostanzialmente manuali, prive dei requisiti di parziale autonomia propri della categoria contrattuale di appartenenza.

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La ricorrente fu in sostanza privata, nel passaggio al Laboratorio di Istopatologia, dei contenuti più qualificanti delle mansioni di tecnico categoria C.Nel Laboratorio di Istopatologia furono assegnate alla dott.sa XX non solo mansioni semplici e manuali di natura tecnico-scientifica ma anche compiti di sistemazione e riordino dell’archivio.Il prof. B. ha confermato di aver affidato alla dott.ssa XX nel giugno del 2004 il compito di riordinare, insieme a un tecnico comunale dell’obitorio, l’archivio provvisorio dei preparati istologici.Il teste B. ha spiegato: "il Laboratorio di Istopatologia genera dei campioni, fondamentalmente di due tipi: la cassettina biologica che contiene il frammento corporeo incluso in…paraffina e il vetrino...che va conservato per un tot di anni. Dieci anni per i vetrini dei casi giudiziari e cinque anni per i vetrini sanitari dell’Usl. Di conseguenza si accumula in quel laboratorio una notevole quantità di materiale di stoccaggio che è tutto sottoposto a etichettazione numerica…Il senso era di verificare…che ci sia una sequenza numerica, sullo scaffale ci sia: reperti dal 15 al 40, reperti dal 40 ad 80 e che quindi le due linee, vetrino e blocchetto, siano coerenti tra loro". Questa numerazione doveva essere riportata a computer o su un registro cartaceo, che era poi il registro dell’obitorio, in modo che "ad ogni autopsia dovevano corrispondere queste due linee di stoccaggio istologico".La dott.ssa XX ha effettivamente lavorato alla sistemazione dell’archivio, insieme ad un tecnico comunale di obitorio, come confermato dalla teste Balboni.Il dpr 24.9.1981 collocava nella IV qualifica, area funzionale amministrativo-contabile, gli archivisti e nella V qualifica l’operatore amministrativo che "può assumere la responsabilità dell’archivio dei singoli servizi o uffici".Le mansioni di sistemazione dell’archivio, affidate alla dott.ssa XX presso il Laboratorio di Istopatologia, erano certamente non corrispondenti, neanche formalmente, alla sua categoria bensì inferiori.E’ vero che il compito di riordinare l’archivio non era prevalente ed assorbente ma, come si è detto, esso si aggiungeva a mansioni già di per sé manuali e prive dei contenuti più qualificanti della categoria di appartenenza. L’assegnazione della XX al Laboratorio di Istopatologia non solo comportò lo svolgimento per lo più di mansioni di tipo prettamente

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manuale, prive di una anche solo parziale autonomia, ma provocò una separazione della ricorrente dal settore, quello di Emogenetica, a cui erano legati la sua professionalità, la sua esperienza, i suoi interessi, come emerge dal curriculum vitae, dagli articoli e dagli studi pubblicati su riviste scientifiche nonché dagli stages frequentati dalla stessa (doc. 1, 7, 8-12 ric.).Nel Laboratorio di Istopatologia la dott.ssa XX non aveva alcuna possibilità di mettere a frutto l’esperienza accumulata né approfondire la stessa.L’istruttoria svolta ha dimostrato non solo che la dott.ssa XX sia stata assegnata nel Laboratorio di Istopatologia a mansioni meno qualificanti, in parte decisamente inferiori, e comunque estranee al settore a cui era legata la sua professionalità e la sua esperienza, ma ha anche rivelato come tutto ciò sia accaduto non per effettive esigenze organizzative e di servizio dell’Università, come richiamate dall’art. 24 ccnl, bensì per ragioni pretestuose e punitive.Nel laboratorio di Istopatologia c’era dal 1995 solo la sig.ra Balboni, quale responsabile, coadiuvata dai tecnici comunali.Prima della dott.ssa XX, non era mai stato assegnato a quel Laboratorio un tecnico di provenienza universitaria.Nessun tecnico universitario è stato assegnato a quel Laboratorio dopo la dott.ssa XX (cfr. deposizione prof. B., verbale stenotipico, ud. 25.9.07, pagg. 100-101 e pag. 153).Dopo il trasferimento, nell’ottobre 2004, della dott.ssa XX ad altro Dipartimento, alla Struttura complessa di medicina legale furono assegnati due nuovi tecnici. Nessuno di questi fu destinato al Laboratorio di Istopatologia.Il prof. B. ha dichiarato: "devo dire che nel tempo, in date che francamente non ricordo,…l’Università ha dato due unità tecniche e ne ha date due in rapporto all’esigenza di sofferenza globale che io ho ritenuto di evidenziare. E di queste due unità tecniche, una è stata assegnata all’Emogenetica, riassegnata all’Emogenetica, l’altra è stata assegnata alla Tossicologia, la terza, che è in fase di…richiesta, appena arriverà sarà assegnata all’Istopatologia. In questo momento le sofferenze dell’Istopatologia sono da me risolte con un’applicazione intensiva e prevalente dei tecnici comunali…".Quindi da ottobre 2004 in avanti, dopo il trasferimento della XX ad altro Dipartimento, presso il Laboratorio di Istopatologia hanno lavorato, oltre alla Balboni, solo tecnici comunali come era sempre avvenuto.

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L’assegnazione della XX al Laboratorio di Istopatologia rappresentò, sotto tutti gli aspetti, una eccezione o meglio un’anomalia, perché né prima né dopo la XX tecnici universitari furono assegnati a quel Laboratorio.Nell’ordine di servizio del 4.4.03 il prof. B. motivò l’assegnazione della dott.ssa XX al Laboratorio di Istopatologia in base ad esigenze organizzative.La riorganizzazione che interessò i Laboratori nel 2003 si risolse nel solo spostamento della dott.ssa XXAlla domanda se fossero state trasferite in quel periodo altre persone o fossero stati adottati altri provvedimenti di riorganizzazione, il prof. B. ha risposto di no (cfr. deposizione del predetto, verbale stenotipico pag. 123).L’istruttoria svolta non ha confermato l’urgenza della destinazione della XX ad Istopatologia se è vero, come riferito dal prof. B., che i nuovi tecnici universitari assegnati alla Struttura complessa di medicina legale furono collocati unicamente nei Laboratori di Ematologia e Tossicologia.L’istruttoria ha poi del tutto smentito i dati riferiti al Laboratorio di Emogenetica riportati nell’ordine di servizio del prof. B. del 4.4.03.Nel motivare l’allontanamento della XX dal Laboratorio di Emogenetica e l’assegnazione a quello di Istopatologia, il prof. B. aveva spiegato che "il laboratorio di Emogenetica forense…è stato oggetto, durante le sue assenze dello scorso anno, di una necessaria riorganizzazione che ha comportato la presenza nei locali di nuove figure da addestrare (anche a finalità didattico-formative), nonché gli studenti in preparazione di tesi di laurea su richiesta del C.L. di Biotecnologie".Le prove raccolte hanno dimostrato la presenza nel Laboratorio di Emogenetica nel corso del 2003 e 2004 della sola dott.ssa AA.La deposizione di quest’ultima così come l’immediata assegnazione del nuovo tecnico universitario a tale Laboratorio confermano lo stato di sofferenza dello stesso all’epoca dei fatti, la necessità di ulteriori forze lavoro e quindi l’illogicità del trasferimento della XX.E’ stato esplicitamente chiesto al prof. B. il motivo della assegnazione della dott.ssa XX al Laboratorio di Istopatologia, data la situazione di sofferenza che sembrava interessare, nella stessa o in maggiore misura, il Laboratorio di Emogenetica. Questa la risposta: "allora, la situazione del Laboratorio di Emogenetica, nel tempo, negli anni, prima ancora che io arrivassi, per le ragioni di cui

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si è detto, si era ibernata a situazioni di resa minima, alle esigenze più urgenti, o di tipo assistenziale o di tipo giudiziario, il che indusse tante volte a chiedere ai magistrati…di rivolgersi al Ris perché non si riusciva a far fronte. La situazione di Tossicologia aveva una sua, sia pur minore, sofferenza, perché c’era la L. e la V.. La situazione dell’Istologia aveva la sua sofferenza. Nella filosofia dei tecnici in rotazione in qualsiasi struttura, l’arrivo insperato di due nuovi tecnici mi ha indotto a caricare e shiftare i tecnici comunali sull’Istopatologia per l’adempimento dei livelli di puntualità e di archiviazione dei reperti…".In realtà i tre tecnici comunali erano originariamente distribuiti nei tre Laboratori, uno in Emogenetica, uno in Tossicologia ed uno in Istopatologia.Alla domanda del perché non si potesse lasciare la dott.ssa XX in Emogenetica e concentrare due o tre tecnici in Istopatologia, il prof. B. non ha risposto. E’ pacifico che la proposta di trasferimento della dott.ssa XX al Laboratorio di Istopatologia partì dal prof. B., come dal medesimo confermato (cfr. verbale stenotipico pag. 128).Le ragioni del trasferimento della XX indicate nella disposizione di servizio del 4.4.03 a firma del prof. B. sono risultate, all’esito dell’istruttoria, in parte inesistenti in parte pretestuose.Ciò induce a ipotizzare che le decisioni assunte riguardo alla dott.ssa XX avessero finalità diverse da quelle organizzative, di natura essenzialmente punitiva.In questo senso depongono anche alcuni dati relativi alla sistemazione logistica della ricorrente.E’ pacifico che presso il Laboratorio di Istopatologia la dott.ssa XX non avese una propria scrivania e neanche un computer, ma solo una postazione di lavoro.Nel laboratorio vi era un’unica scrivania di fatto utilizzata dalla Balboni e sulla quale vi erano oggetti d’ufficio, come l’agenda per la pianificazione settimanale del lavoro, e oggetti personali della Balboni, alcune piantine, gli occhiali.Nel laboratorio di Istopatologia la XX non aveva a disposizione un computer.Il prof. B., come riferito dal teste Pradelli, dipendente dell’Università addetto alla segreteria, diede disposizione di installare la casella di posta elettronica della XX sul computer posto in segreteria, sulla scrivania dello stesso Pradelli.

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La XX, quindi, per leggere la posta elettronica avrebbe dovuto recarsi in segreteria e adoperare il computer posto sulla scrivania del sig. Pradelli.Presso il Laboratorio di Emogenetica esistevano due computer, uno utilizzato in esclusiva dalla dott. AA, ed un altro a disposizione degli altri addetti al Laboratorio, quindi anche e principalmente della XX, munita pure di una scrivania.Al riguardo, il prof. B. ha dichiarato: "nel laboratorio di Istopatologia il computer è meno funzionale che in tutti e tre i laboratori, perché c’è morfologia, c’è vetrino, c’è microscopio ma il computer è molto marginale. Mentre nell’ambito emogenetico e tossicologico il computer è proprio strumento di elaborazione dei dati".Le parole del prof. B. rivelano una evidente contraddizione.E’ probabilmente vero che in Istopatologia sia sufficiente una postazione di lavoro e non vi sia bisogno di scrivania e computer se il lavoro da svolgere è prettamente manuale.Scrivania e computer diventano, invece, elementi necessari se, come affermato dal prof. B. nella dichiarazione del 18.7.03, l’attività assegnata alla XX comprendeva, "accanto alla prevista fase di manualità preparatoria e di automazione successiva...una fase di lettura bibliografica e di studio di metodiche colorative più idonee all’approntamento di tecniche di istochimica e di immuno-istochimica anche molto raffinate…e creative", metodiche costituenti quindi perno della equivalenza delle mansioni.9.L’art. 4 del contratto integrativo stralcio (doc. 24 conv.) prevede che "le singole strutture, al termine dell’anno di riferimento, dovranno utilizzare la somma loro assegnata per incentivare il personale con contratto di lavoro a tempo indeterminato, nel modo seguente: a) una quota fissa, pari al 20%, da assegnare per la presenza in servizio…;relativamente ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale, gli eventuali compensi derivanti dalla quota del 20% dovranno essere rapportati alla effettiva durata della prestazione lavorativa…; b) la quota restante per remunerare il grado di raggiungimento dei risultati rispetto agli adempimenti della struttura ed agli obiettivi fissati dalla stessa e l’intensità della partecipazione individuale alle diverse attività".Il contratto integrativo prevede la definizione degli obiettivi entro il mese di marzo di ciascun anno da parte del Responsabile della Struttura e la conseguente valutazione dei risultati al termine dell’anno di riferimento "in relazione agli obiettivi programmati, agli adempimenti di competenza e all’intensità della partecipazione

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individuale alle diverse attività, utilizzando gli indicatori di efficienza, efficacia e produttività quali: qualità delle prestazioni individuali con particolare riguardo alla capacità di proporre soluzioni innovative; grado di coinvolgimento nei processi lavorativi; attenzione alle esigenze dell’utenza e alla soluzione dei problemi…".Con lettera del 27.3.03 (doc. 56 ric.) il prof. B. ha comunicato al Direttore di Dipartimento la distribuzione fra il personale tecnico delle quote del Fondo miglioramento per l’efficienza per l’anno 2002.Tale distribuzione ha interessato le dottoresse L., AA, V. e la sig.ra Carboni.Si legge nella lettera: "non è stato possibile prevedere incentivazione per la dott.ssa E. XX in rapporto all’elevato numero di assenze giustificate e alla sua posizione a tempo definito che non hanno consentito la partecipazione della medesima a progetti di rendimento eccedenti l’usuale e lo stretto dovuto".La dott.ssa XX nel 2002 è rimasta assente dal lavoro, per varie cause, 162 giorni su 251 giorni lavorativi, ciò significa che ha lavorato 89 giorni.La ridotta presenza in servizio ha sia impedito il maturare della percentuale fissa, rapportata alla durata della prestazione a tempo parziale, ed ha inoltre precluso, come si legge nella lettera del prof. B., la realizzazione degli indicatori di efficacia, efficienza e produttività sopra riportati.L’anomalia della posizione della dott.ssa XX in relazione all’elevato numero di assenze, non comparabile con quella di altri dipendenti, impedisce di valutare come discriminatoria o altrimenti illegittima l’esclusione della medesima dalla distribuzione del Fondo di produttività. Le assenze della ricorrente nel 2002, almeno fino al novembre, non possono ricollegarsi a patologie provocate dalle tensioni in ambiente lavorativo e non può quindi, neanche indirettamente, imputarsi al parte datoriale la principale causa del mancato raggiungimento degli obiettivi necessari ai fini del Fondo in esame.10.Come si legge in Cass., 4774/06: "il mobbing consiste in una condotta sistematica e protratta nel tempo, con caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specialmente da una connotazione emulativa e pretestuosa, che concreta per le sue caratteristiche vessatorie una lesione all’integrità fisica e alla

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personalità morale garantite dall’art. 2087 cc; tale illecito, che costituisce una violazione dell’obbligo di sicurezza posto da questa norma a carico del datore di lavoro, si può realizzare con comportamenti materiali o con provvedimenti del datore indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto di lavoro subordinato", (cfr. anche Cass., 21028/08).Secondo Cass., 22858/08, "il mobbing è costituito da una condotta protratta nel tempo e diretta a ledere il lavoratore. Caratterizzano questo comportamento la sua protrazione nel tempo attraverso una pluralità di atti (giuridici o meramente materiali, anche intrinsecamente legittimi), la volontà che li sorregge (diretta alla persecuzione ed emarginazione del dipendente) e la conseguente lesione attuata sul piano professionale o sessuale o morale o psicologico o fisico"."Per "mobbing" si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio", (Cass., 3785/09). La responsabilità per mobbing poggia essenzialmente sull’art. 2087 cc che obbliga l’imprenditore ad adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, affinché ne siano salvaguardati sul luogo di lavoro la dignità ed i diritti fondamentali, di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione.L’obbligo di sicurezza del datore di lavoro deve avere riguardo ad una nozione di salute che, come ribadito nell’art. 2 comma 1 lett. o) dlgs 81/08, non coincide con l’assenza di malattia o d’infermità ma equivale a stato di completo benessere fisico, mentale e sociale,

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concetto espresso nella Comunicazione della Commissione delle Comunità Europee dell’11.3.02 e, prima ancora, sviluppato dall’Oil.Non solo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea all’art. 31 sancisce il diritto di ogni lavoratore a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose, includendo in una formulazione unitaria gli obblighi di tutela della salute e della dignità del lavoratore.Per integrare la fattispecie di mobbing non basta una situazione conflittuale nei rapporti interpersonali ma è necessario che esista una condotta vessatoria, reiterata e duratura, finalizzata all’isolamento del lavoratore nel proprio contesto lavorativo ovvero alla sua estromissione dall’azienda e che l’effetto di tali soprusi provochi nel soggetto "mobbizzato" uno stato di disagio psichico e l’insorgere di un danno alla salute.E’ inoltre indispensabile che, verificatisi tali presupposti, i titolari del rapporto sinallagmatico, obbligati a tutelare la salute psico-fisica dei propri dipendenti, omettano di intervenire per interrompere i comportamenti vessatori, con ciò assumendosi la responsabilità delle conseguenze di tali condotte, ex artt. 2049 e 2087 c.c..11.Nel caso in esame e sulla base dei dati probatori raccolti, appare dimostrata una condotta datoriale, realizzata attraverso comportamenti materiali ed atti giuridici, posta in essere in un ampio arco temporale, idonea a vessare e discriminare la lavoratrice e sorretta da nessuna plausibile finalità, se non quella di mortificare, umiliare e punire la dipendente, tanto da indurla all’allontanamento dalla struttura.Il clima di tensione nei confronti della dott.ssa XX è nato contestualmente alla domanda presentata dalla stessa nell’aprile del 2003, di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.La domanda della XX era relativa ad un orario di lavoro di 30 ore settimanali dal lunedì al venerdì, con orario continuato giornaliero dalle 8.30 alle 14.30.Su tale domanda, il prof. De F., all’epoca direttore della Sezione di medicina legale, espresse parere contrario per motivi organizzativi spingendosi ad una serie di indebite valutazioni sulle motivazioni familiari addotte dalla XX ed, esattamente, sulla opportunità della scelta per i figli di una scuola a moduli priva del rientro pomeridiano.Nel luglio del 2002 il prof. B., nel frattempo nominato direttore della Sezione, predispose un orario di servizio a tempo parziale della

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ricorrente volutamente articolato su sei giorni settimanali, comprensivo quindi del sabato.Di fronte alla richiesta del direttore amministrativo di prevedere un orario di servizio della XX articolato, in conformità alla delibera del Consiglio di amministrazione dell’Istituto, dal lunedì al venerdì e con un solo rientro pomeridiano, il prof. B. non solo contestò l’interpretazione data alla delibera del CdA, ma interpellò espressamente il Rettore sulla legittimità della delibera e della interpretazione adottata dall’ufficio amministrativo.Nella lettera del 22.7.02 il prof. B. non mancò di insinuare una contrarietà della richiesta della XX al ccnl e di evidenziare i problemi organizzativi legati alla concessione del part time.Nessuna violazione rispetto alle previsioni contrattuali può ravvisarsi nella domanda della dott.ssa XX e nell’accoglimento della stessa da parte del CdA, tenuto conto delle previsioni legislative al riguardo e del disposto di cui all’art. 18 ccnl 1998-2001 comparto Università.Ai sensi dell’art. 18 ccnl, "la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale e viceversa può aver luogo in ogni momento su apposita domanda del dipendente il quale indica, nel caso di scelta del tempo parziale, anche la durata e la tipologia della prestazione lavorativa cui aspira".L’Amministrazione non può rifiutare la trasformazione ma soltanto rinviarla per un periodo non superiore a sei mesi nei casi in essa comporti grave pregiudizio alla funzionalità del servizio.Nessuna violazione normativa poteva ravvisarsi nella concessione alla XX del part time, né allegazioni in tal senso sono contenute nella comparsa di costituzione, sicché le resistenze manifestate dai direttori della Sezione rivelano un atteggiamento decisamente oppositivo ed ostruzionistico di fronte al legittimo esercizio di un diritto da parte della lavoratrice. Il contratto di lavoro a tempo parziale costituisce, secondo gli obiettivi espressi nella direttiva 97/81/CE, strumento di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, oltre che veicolo per promuovere l’occupazione e la parità di opportunità tra donne e uomini.Indiscusse ed indiscutibili erano le esigenze di cura e assistenza familiare addotte dalla XX a fondamento della domanda di part time, essendo la stessa, all’epoca dei fatti, madre di due bimbe in tenera età.

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Non si dubita che la richiesta di lavoro a tempo parziale della dott.ssa XX potesse creare problemi e disfunzioni organizzative all’Università e alla Sezione di medicina legale in particolare ma ciò non esclude la piena legittimità della richiesta della ricorrente, esercizio di un diritto alla stessa riconosciuto da fonti legislative e contrattuali, in sintonia con la finalità poste dalla citata direttiva comunitaria.L’Università non aveva concrete possibilità di negare la trasformazione del rapporto di lavoro né di incidere significativamente sull’orario richiesto dalla XX. La convenuta ha deciso di non avvalersi della facoltà di rinviare di sei mesi la trasformazione del rapporto ritenendo, evidentemente, insussistente il pericolo di grave pregiudizio alla funzionalità del servizio.Se, dal punto di vista amministrativo, la richiesta della XX ha trovato accoglimento, di fatto essa ha avuto ripercussioni seriamente negative nel concreto svolgimento del lavoro e nei rapporti con i superiori gerarchici e con i colleghi, o meglio con alcuni di essi.Verosimilmente, il fatto di usufruire del part time ha fatto apparire la dott.ssa XX come una lavoratrice privilegiata, non disposta a sacrificare le proprie esigenze personali e familiari per l’utilità e funzionalità del servizio e quindi automaticamente estranea al clima di solidarietà e comunanza tra colleghi e, soprattutto, ostacolo alla realizzazione della massima efficienza del servizio stesso.Al rientro dopo la maternità e in regime di part time, la XX fu riassegnata al Laboratorio di Emogenetica presso cui aveva lavorato diversi anni.E’ comprensibile che durante la lunga assenza della XX il Laboratorio di Ematologia fosse stato organizzato in maniera da funzionare con la sola presenza della dott.ssa AA, ma è vero che tale organizzazione, modulata su un’unica presenza, rimase identica anche dopo il rientro in servizio della XX, cosicché quest’ultima ebbe sempre un ruolo non indispensabile, fatto di poche e limitate mansioni.Non giustificabile, in un’ottica di buona fede e correttezza, appare la decisione del prof. B. di destinare la XX anche al Laboratorio di Tossicologia.Tale scelta, formalmente motivata in ragione di un miglior impiego delle risorse umane, comportò l’assegnazione alla XX di compiti

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limitatissimi, di mero ritiro delle urine e identificazione dei soggetti, svolti peraltro alla presenza e sotto la supervisione della dott.ssa V. o della dott.ssa L..Nessun concreto contributo la XX apportò al funzionamento di quel Laboratorio e la stessa fu oggettivamente sottoutilizzata oltre che umiliata e relegata a mansioni davvero modeste.L’esigenza di far ruotare i tecnici si è rivelata un mero paravento posto che il solo tecnico universitario ad essere assegnato ai vari Laboratori fu la dott.ssa XX.A quest’ultima fu di fatto preclusa la possibilità di ricevere incarichi peritali dalla Procura della Repubblica e ciò senza che la stessa fosse stata interpellata.I suoi rapporti con la dott.ssa AA ben presto si deteriorarono e le due smisero di scambiarsi il saluto (cfr. deposizioni testi L. e Raffini, verbale stenotipico ud. 25.9.07, pag. 30 e pag. 41).Nell’aprile del 2003 il prof. B. decise di assegnare la XX al Laboratorio di Istopatologia e sollecitò, di fronte al rifiuto della dipendente, l’adozione di provvedimenti disciplinari.Il pacifico difetto di legittimazione del prof. B. all’adozione di tali provvedimenti, rimarcato dall’ufficio amministrativo dell’Ateneo, costituisce la spia di un particolare accanimento del medesimo nei confronti della XX.Il trasferimento della XX al Laboratorio di Istopatologia non solo comportò lo svolgimento di mansioni di tipo prettamente manuale, prive di una anche solo parziale autonomia, ma provocò una separazione della ricorrente dal settore, quello di Emogenetica, a cui erano legati la sua professionalità, la sua esperienza, i suoi interessi.Nel Laboratorio di Istopatologia la dott.ssa XX non aveva alcuna possibilità di mettere a frutto l’esperienza accumulata, approfondire la stessa, utilizzare il surplus di informazioni apprese nel corso degli stages, degli studi e delle sperimentazioni fatte. Che questo corrispondesse a criteri di funzionalità organizzativa e utilizzo razionale delle risorse umane è francamente dubbio. La XX fu anche incaricata di riordinare l’archivio dei reperti istologici, mansione certamente inferiore anche nell’ambito delle declaratorie contrattuali.Ma vi è di più.

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Le motivazioni addotte dal prof. B. a sostegno del trasferimento della XX da Emogenetica a Istopatologia si sono rivelate in parte inesistenti, in parte pretestuose.Non è vero, come pacificamente emerso dall’istruttoria, che in quell’epoca il laboratorio di Emogenetica avesse ricevuto ulteriori unità lavorative o di supporto e non è vero che fosse urgente e indifferibile l’assegnazione ad Istopatologia di un tecnico universitario.L’assegnazione della XX al Laboratorio di Istopatologia è risultata priva di giustificazioni plausibili e razionali ed è apparsa sorretta da null’altro che da una finalità di rendere gravoso e insopportabile il lavoro alla ricorrente, privarla di ogni possibilità di gratificazione e soddisF.ne attraverso compiti dequalificanti e assai modesti, distoglierla dal settore di suo interesse.Il prof. B. non solo decise, con le modalità e i contenuti appena descritti, della sorte lavorativa della XX, ma non mancò di rimarcare ad ogni passo il contenuto modesto del ruolo alla stessa assegnato.Nell’ordine di servizio dell’aprile 2003 egli specificò che l’attività a cui la stessa era destinata nel laboratorio di Istopatologia era in gran parte automatizzata e per essa era sufficiente l’apprendimento di adeguata manualità.Egli non esitò a sollecitare provvedimenti disciplinari di fronte alla richiesta della dott.ssa XX e del suo legale di sospendere l’efficacia del provvedimento di assegnazione ad Istopatologia in ragione della presentazione del ricorso cautelare.Non solo, in modo plateale il 30.6.03 ordinò alla ricorrente di recarsi in Istopatologia e chiamò ad assistere a tale scena il dott. Pelosi.Quanto finora descritto accadde in conseguenza della richiesta della XX di poter lavorare a tempo parziale, cioè in risposta al legittimo esercizio di un diritto da parte della lavoratrice.Tale comportamento datoriale, materialmente posto in essere dai superiori gerarchici della ricorrente, è illegittimo, in quanto contrario agli obblighi di cui all’art. 2087 cc e, in particolare, al dovere di fare tutto quanto necessario al fine di tutelare la salute, la personalità morale del lavoratore e la sua dignità sul luogo di lavoro.Sull’illegittimità della condotta si fonda l’obbligo della convenuta di risarcimento dei danni.

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12.La ricorrente ha allegato di aver subito, per effetto della condotta datoriale, un danno biologico ed esistenziale di cui ha chiesto il risarcimento.Queste voci di danno rientrano nella categoria del danno non patrimoniale, espressione che ricomprende i danni determinati dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati di rilievo economico (cfr. Cass., ss.uu., 26972/08).E’ pacifica la risarcibilità del danno non patrimoniale da violazione dell’art. 2087 cc.Si legge in Cass., ss.uu., 26972/08: "l’esigenza di accertare se, in concreto, il contratto tenda alla realizzazione anche di interessi non patrimoniali, eventualmente presidiati da diritti inviolabili della persona, viene meno nel caso in cui l’inserimento di interessi siffatti nel rapporto sia opera della legge. E’ questo il caso del contratto di lavoro…L’art. 2087 cc…inserendo nell’area del rapporto di lavoro interessi non suscettivi di valutazione economica (l’integrità fisica e la personalità morale) già implicava che, nel caso in cui l’inadempimento avesse provocato la loro lesione, era dovuto il risarcimento del danno non patrimoniale. Il presidio di detti interessi della persona ad opera della Costituzione, che li ha elevati a diritti inviolabili, ha poi rinforzato la tutela. Con la conseguenza che la loro lesione è suscettiva di dare luogo al risarcimento dei danni conseguenza, sotto il profilo della lesione dell’integrità psicofisica (art. 32 Cost.) secondo le modalità del danno biologico, o della lesione della dignità personale del lavoratore (artt. 2, 4, 32 Cost.), come avviene nel caso dei pregiudizi alla professionalità da dequalificazione, che si risolvano nella compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore che si svolge nella formazione sociale costituita dall’impresa".Il danno non patrimoniale include, nel caso in esame, sia un danno da lesione del diritto inviolabile alla salute e sia un danno esistenziale.Il danno alla salute della ricorrente e la derivazione causale di tale danno dalla illegittima condotta datoriale possono ritenersi dimostrati in base alla documentazione medica in atti e alla luce delle valutazioni formulate dal ctu e dai consulenti delle parti.Il ctu ha sostenuto che "gli elementi derivabili dall’esame clinico attuale, risultato nella norma, convergono con le risultanze testali anch’esse di normalità e con altri elementi di giudizio tecnico rappresentati dalla odierna efficienza lavorativa senza periodi di malattia, dalla sospensione delle terapie, dalle affermazioni di

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benessere soggettivo della paziente e….portano ad escludere la sussistenza di patologia psichiatrica oggi in atto nella persona di XX ".Il ctu ha escluso l’esistenza di una menomazione attuale dell’integrità psichica della ricorrente e quindi di postumi permanenti.Tale conclusione è stata condivisa dai consulenti di entrambe le parti.Secondo il ctu, la dott.ssa XX è stata affetta da una patologia rappresentata da sindrome ansioso depressiva, patologia attualmente risolta senza postumi.Tale patologia temporanea risulta dalla documentazione medica in atti e condizionò periodi di astensione dal lavoro almeno nel giugno-luglio 2003 e nel settembre-ottobre 2003, per un arco temporale complessivo di circa otto settimane.Il ctu ha ritenuto non comprovabile un nesso causale o concausale tra la sindrome ansioso-depressiva e le vicende lavorative della ricorrente.Ha motivato tale conclusione con i seguenti argomenti: "l’esame degli atti e le risultanze delle esperite indagini hanno permesso di identificare con certezza la natura e la data dell’evento potenzialmente psicolesivo cui XX fu esposta, rappresentato dalla mancata accettazione della sua richiesta di lavoro part time avvenuta nell’aprile 2002…La diagnosi di Sindrome ansioso depressiva risale…al novembre 2002".Ciò che difetta, a parere del ctu, è l’adeguatezza sia eziologica che temporanea dell’evento descritto a produrre una patologia psichica.Più esattamente, ha osservato il ctu, il rifiuto del part time fu oggetto di controproposte e adeguate reazioni da parte della XX, non ebbe carattere vessatorio e determinò un contrasto che fu risolto in breve tempo, con accoglimento delle richieste della predetta.Gli eventi successivi, come il trasferimento a Istopatologia, gli episodi di scortesia, paiono tranquillamente inquadrabili nel contesto di inasprimento dei rapporti personali, non dotati di abnormità e inidonei a causare lesioni psichiche. Inoltre, secondo la criteriologia psichiatrica attuale e internazionale condivisa, le patologie determinate da eventi esterni stressanti debbono necessariamente insorgere nell’immediatezza o entro un

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periodo massimo di uno o tre mesi dal manifestarsi dell’evento, laddove nel caso di specie ci fu un intervallo di sette mesi.Il ctu non ha identificato altre possibili cause della malattia diagnosticata, adducendo anche l’impossibilità di stabilire, nel contesto dell’indagine peritale, la necessaria alleanza terapeutica con la paziente.Al riguardo, il ct di parte convenuta ha sostenuto: "passando alla disamina della certificazione medica prodotta in atti…è appena il caso di sottolineare che gli ivi ipotizzati disturbi ansioso-depressivi, postulati come conseguenza esclusiva di altrettanto meramente ipotizzati comportamenti illeciti/vessatori dell’amministrazione universitaria, riconoscono ben altre cause, segnatamente in una persona da poco divenuta madre di un secondo figlio e gravata da tutte le problematiche…tipicamente connesse al rientro al lavoro in circostanze del genere. Questi fattori di personale disagio/difficoltà di conciliare gli impegni familiari con quelli lavorativi risultano inoltre concretamente suffragati dal totale esaurimento dei congedi genitoriali previsti ex lege per la maternità e dalla dianzi richiamata richiesta di agevolazione sull’orario, immediatamente avanzata all’atto del formale rientro in servizio".Gli argomenti portati dal ctu e dal ct di parte convenuta al fine di escludere un nesso causale o concausale tra la condotta datoriale in violazione dell’art. 2087 cc e la patologia psichica sofferta dalla ricorrente non possono assolutamente condividersi.Anzitutto, il ctu, che pure ha riconosciuto l’esistenza di una patologia psichica temporanea, ha negato rilievo causale alle condotte datoriali ma non ha saputo indicare altre fonti causative della malattia.Analogamente, il ct di parte convenuta ha ricollegato i disturbi ansioso depressivi a fattori assolutamente generici (come l’essere la XX divenuta madre di un secondo figlio) e sulla base di pure illazioni, negando efficacia causale alle vessazioni sul lavoro, nonostante la documentazione medica in tal senso formulata.Non pare poi sorretta da adeguata motivazione la tesi del ctu che, con giudizio di assoluta certezza, ha attribuito al rifiuto del part time il ruolo di unico evento psicolesivo spiegando che "dal punto di vista psichiatrico, l’evento stressante è il primo evento, cioè il rifiuto del part time, mentre gli altri eventi successivi sono tutti attesi e prevedibili".Come rilevato dal dott. Ege, ct di parte ricorrente, la mancata concessione dell’orario part-time è stato solo il primo evento di una

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lunga serie di eventi negativi e stressanti che si sono susseguiti con coerenza e sistematicità.Il dott. Ege ha citato uno studio, "la Social Readjustment Rating Scale di Holmes e Rahe (1967), una lista di eventi quotidiani, tra cui…alcuni eventi propri del contesto lavorativo, in grado di suscitare sul soggetto medio diversi livelli di stress. Almeno due items della tabella di Holes e Rahe possono essere applicati alla vicenda in esame: cambiamento delle responsabilità lavorative, del ruolo e delle mansioni e problemi con un superiore. Secondo gli autori, tali situazioni sono ben lungi da essere occasioni di contenzioso: esse corrispondono entrambe ad un livello di stress pari a quello correlato ad eventi quali la morte di un amico, litigi con parenti o un procedimento legale minore", (cfr. controdeduzioni alla ctu, pagg. 4 e 5).Riguardo alla compatibilità temporale, il dott. Ege ha richiamato il DSM IV e, in particolare, i criteri A e B del Disturbo dell’Adattamento: "A: Lo sviluppo di sintomi emotivi o comportamentali in risposta ad uno o più fattori stressanti identificabili che si manifesta entro tre mesi dall’insorgenza del fattore o dei fattori stressanti. B: Questi elementi o comportamenti sono clinicamente significativi come evidenziato da uno dei seguenti: 1. marcato disagio che va al di là di quanto prevedibile in base all’esposizione al fattore stressante. 2. compromissione significativa del funzionamento sociale o lavorativo (o scolastico)".Anzitutto, il testo citato fa riferimento ad uno o più fattori stressanti, il che appare già in contrasto con la tesi del ctu dell’unico possibile evento psicolesivo.Inoltre, è vero che il primo certificato medico con diagnosi psichiatrica per la XX risale al novembre 2002, quindi a circa sette mesi dal primo evento stressante, rifiuto del part time, ma è anche vero che il DSM richiede entro tre mesi non una certificazione medica di malattia ma solo la manifestazione di sintomi emotivi o comportamentali.Che la dott.ssa XX accusasse tali sintomi già dall’estate del 2002 si ricava, ad esempio, dalla deposizione del sig. Levanti che è sì il marito della ricorrente ma proprio per questo è la persona che più di altri era in condizione di rilevare cambiamenti emotivi e comportamentali della XX.E’ comprensibile poi che la dott.ssa XX non si sia precipitata dal medico di fronte ai primi sintomi, evidentemente collegati ad un

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periodo di stress passeggero, ma ciò abbia fatto solo a seguito del peggiorare della sua condizione.L’esame delle relazioni peritali ed i chiarimenti forniti dai consumenti d’ufficio e delle parti consentono di giungere al riconoscimento di un nesso causale tra la condotta illegittima datoriale, come sopra ricostruita, e la malattia sofferta della XX.Il ctu nella relazione scritta ha riconosciuto una malattia temporanea, ha escluso il nesso causale rispetto alla situazione lavorativa sul presupposto che il rifiuto del part time fosse l’unico evento psicolesivo e che fosse inadeguato, non ha individuato altri possibili fattori causali.Nel corso dell’esame, ha parzialmente modificato tale conclusione: "esaminando i certificati medici in atti che riportano una sindrome ansioso depressiva, cefalea ecc., io non sono in grado di individuare la causa con certezza o elevata probabilità ma non posso escludere che la condizione lavorativa, al pari di altre condizioni personali, possa aver svolto un ruolo di concausa rispetto a tale patologia".E’ vero che la dott.ssa XX nel 2002 aveva due figli in tenera età e le ordinarie difficoltà nel conciliare famiglia e lavoro.Nessun atto o documento processuale e nessuna prova testimoniale portano a ritenere che dall’ambito familiare provenissero alla XX fattori stressanti idonei a provocare una malattia psichica.Le prove raccolte dimostrano in modo inequivoco una condizione di forte sofferenza in ambito lavorativo, non legata ad una qualifica inferiore rispetto ai titoli posseduti oppure ad aspettative non realizzate bensì, specificamente, a comportamenti vessatori, ingiusti, mortificanti posti in essere dai superiori gerarchici nei confronti della XX.E’ vero che in ambito processuale la alleanza terapeutica non è ottimale ma non può del tutto disconoscersi, come sembrano aver fatto il ctu nella relazione scritta e il ct di parte convenuta, il valore delle certificazioni mediche in atti che attestano non solo una sintomatologia ansioso depressiva ma il diretto collegamento della stessa con la condizione di stress lavorativo.Sarebbe stata accettabile, dal punto di vista logico, una negazione del nesso causale tra ambiente lavorativo e malattia se fosse stato individuato, anche solo come altamente probabile, un diverso fattore stressante.Ma non può razionalmente accettarsi l’esclusione del nesso causale tra lavoro e malattia, pure attestato dai certificati medici, a fronte di

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mere illazioni, non supportate da alcuna prova o indizio grave, sull’effetto stressante di condizioni familiari o personali.Non solo, assai significativo appare, in questo contesto, il rilievo, pacifico per tutti i consulenti, della risoluzione della malattia e quindi della assenza di postumi allo stato attuale e dopo il trasferimento della XX ad altro Dipartimento.Non vi è dubbio che anche presso il Dipartimento di Oncologia la XX avesse portato con sé le difficoltà di conciliare famiglia e lavoro ma è altrettanto certo che nessun fattore stressante idoneo a creare una malattia abbia agito dopo l’allontanamento dalla Struttura di medicina legale. Può affermarsi quindi, anche sulla base di quanto sostenuto dal ctu nel corso dell’esame, l’esistenza non solo di una malattia temporanea della XX come documentata in atti ma anche la derivazione di tale patologia, con nesso causale o concausale, dalla condotta datoriale come ricostruita e posta in essere in violazione degli obblighi di tutela della salute fisica e psichica del lavoratore e della sua personalità morale.Tali conclusioni non paiono inficiate dalle reazioni poste in essere dalla XX nei confronti e del dott. B. e della dott.ssa AA.Tali reazioni rivelano, anzitutto, l’esistenza di un conflitto e quindi delle tensioni in ambito lavorativo.D’altra parte, tali reazioni in quanto oppositive e non depressive, dovrebbero portare, seguendo gli argomenti esposti dal ct della convenuta, ad escludere la sindrome ansioso depressiva, pacificamente invece riconosciuta dal ctu, e non solo il nesso causale tra questa patologia e la condotta datoriale.Deve quindi concludersi nel senso di riconoscere che l’illegittima condotta datoriale abbia provocato nella ricorrente un danno alla salute sotto forma di sindrome ansioso depressiva e quindi le assenze dal lavoro per inabilità temporanea assoluta nei periodi risultanti dai certificati medici in atti e pari a complessive 22 settimane, cioè 154 giorni.Il risarcimento del danno spettante alla ricorrente ha natura di danno differenziale qualitativo, posto che l’assicurazione Inail non copre il danno biologico temporaneo.La liquidazione di tale danno, effettuata in via equitativa utilizzando i criteri elaborati dalla giurisprudenza del tribunale di Milano, risulta pari a euro 10.010,00.

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A tale somma deve aggiungersi il rimborso delle spese mediche documentate in atti e rese necessarie dalla patologia causata in ambito lavorativo, pari a euro 1.800,00.13.La ricorrente ha chiesto il risarcimento del danno esistenziale, categoria che, ricomprensa nella più ampia fattispecie del danno non patrimoniale (cfr. Cass., ss.uu., 26972/08), conserva una propria individualità di "danno…all’identità professionale sul luogo di lavoro, all’immagine o alla vita di relazione o comunque alla lesione del diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro, tutelato dagli artt. 1 e 2 Cost.", (Cass., ss.uu., 6572/06; cfr. anche Cass., 29832/08).Secondo Cass., ss.uu., 26972/08, questa categoria di danni comprende i "pregiudizi attinenti allo svolgimento della vita professionale del lavoratore, e quindi danni di tipo esistenziale, ammessi a risarcimento in virtù della lesione, in ambito di responsabilità contrattuale, di diritti inviolabili e quindi di ingiustizia costituzionalmente qualificata".Si legge in Cass., ss.uu., 6572/06, "il danno esistenziale.…a differenza del danno morale (che ha natura emotiva e interiore) e del danno biologico (subordinato alla lesione dell'integrità psico-fisica del danneggiato medicalmente accertabile) consiste nel pregiudizio, oggettivamente accertabile, che l'illecito (nella specie, del datore di lavoro) abbia cagionato sul fare areddituale del soggetto, alterandone abitudini di vita e assetti relazionali che a lui erano propri, sconvolgendone la vita quotidiana e privandolo di occasioni per l'espressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Pertanto il danno esistenziale si fonda sulla natura non meramente emotiva ed interiore (propria del danno morale) ma oggettivamente accertabile del pregiudizio, attraverso la prova di scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse verificato l’evento dannoso".Quanto alla prova del danno esistenziale, si legge nella pronuncia delle Sezioni Unite: "la natura risarcitorio/riparatoria (e giammai sanzionatoria, non conoscendo il nostro ordinamento l'istituto della sanzione civile o pena privata) del danno esistenziale postula che, dello stesso, venga fornita la prova dall'istante, con riferimento non soltanto al fatto costituivo dell'illecito (nella specie, la dequalificazione), ma anche alle relative conseguenze (relativamente cioè al "quomodo" la vicenda abbia inciso negativamente nella sfera di vita del soggetto), prova il cui onere può, peraltro, ritenersi assolto attraverso tutti i mezzi che

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l'ordinamento processuale pone a disposizione della parte, dal deposito di documentazione alla prova testimoniale a quella per presunzioni".oggettivi cui ancorarsi".Gli atti introduttivi dei giudizi fanno espresso riferimento alla lesione del prestigio, dell’immagine della dott.ssa XX, alle umiliazione e mortificazioni dalla stessa subite nell’ambiente di lavoro.Le prove raccolte hanno permesso di ricostruire una serie di atti e comportamenti posti in essere dai superiori gerarchici nei confronti della ricorrente, idonei a lederne la professionalità, il prestigio, la stessa tranquillità psichica, privandola delle componenti più significative del rapporto di lavoro.Comportamenti, ove pure formalmente legittimi, realizzati con un intento punitivo e di denigrazione, capaci di ledere le aspettative e i diritti della lavoratrice per ragioni assolutamente pretestuose.Se è innegabile la valenza esistenziale del rapporto di lavoro, vale a dire il diretto coinvolgimento in esso del lavoratore come persona, e se è univocamente dimostrata, in base ai dati istruttori, una condotta datoriale vessatoria e ingiusta, può dirsi senz’altro realizzato un danno esistenziale.Questo, a maggior ragione, se si pensa che la condizione lavorativa ha addirittura provocato una lesione della salute psichica della ricorrente, cioè un danno biologico temporaneo assoluto.Sarebbe assai irragionevole sostenere che la ricorrente abbia subito un danno alla salute psichica e nel contempo nessuna conseguenza negativa sulla propria esistenza.Se è’ vero che non esiste un diritto a vivere in un ambiente lavorativo sereno, tranquillo e ovattato, è fuori discussione che esista, al di là della normale conflittualità sul luogo di lavoro, l’obbligo del datore di lavoro di tutelare la salute e la personalità morale del lavoratore, che significa diritto di chi lavora al rispetto anzitutto della propria dignità, a non subire ingiuste vessazioni, a svolgere le proprie mansioni e a realizzare sul luogo di lavoro la propria personalità e il proprio ruolo sociale.Il danno esistenziale, che deve ritenersi protratto fino all’epoca del trasferimento dell’ottobre 2004 ad altro Dipartimento, deve essere liquidato in via equitativa.In ragione della durata nel tempo della condotta datoriale illegittima, della progressiva incisività della stessa sulla sfera lavorativa della XX e quindi sulla sua personalità morale, della

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pretestuosità di tante decisioni e scelte tanto ininfluenti ai fini organizzativi quanto dannose per la lavoratrice, si reputa equo determinare il danno esistenziale in misura pari al danno biologico liquidato.Deve quindi condannarsi la convenuta al risarcimento dei danni biologico ed esistenziale e al rimborso delle spese mediche pari complessivamente ad euro 21.820,00.Nel proc. 716/03 la ricorrente ha chiesto il risarcimento del danno professionale.Tale danno, come si legge in Cass., ss.uu., 6572/06, "ha contenuto patrimoniale…potendo consistere sia nel pregiudizio derivante dall’impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità ovvero nel pregiudizio subito per perdita di chance".Parte ricorrente non ha allegato né dimostrato conseguenze pregiudizievoli legate alla perdita di professionalità o di chance nel periodo in contestazione né ha addotto aspettative frustrate dal dedotto demansionamento oppure difficoltà a riprendere il lavoro in altro settore o dipartimento.Non risulta che la dott.ssa XX, nel Dipartimento di Scienze Biologiche, abbia avuto difficoltà professionali derivate dal periodo di lavoro presso Istopatologia oppure nè lo svolgimento di mansioni modeste nell’ultimo anno abbia impoverito significativamente il suo bagaglio professionale.Risulta, al contrario, che la ricorrente nel nuovo Dipartimento abbia svolto la propria attività con competenza e con soddisF.ne sia sua personale e sia dell’apparato dirigente.Non vi è quindi spazio per un risarcimento del danno professionale come sopra inteso.Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.Si pongono a carico di parte convenuta, a titolo definitivo, le spese di ctu liquidate come in atti.

P.Q.M.Visto l’art. 429 cpc,definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda o eccezione disattesa e respinta,

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condanna parte convenuta al risarcimento dei danni in favore della ricorrente che liquida in complessivi euro 21.820,00 oltre rivalutazione monetaria e interessi legali.Respinge le residue domande.Condanna la convenuta alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 6.000,00, di cui euro 200,00 per spese, € 2.000,00 per diritti ed € 3.800,00 per onorari, oltre rimborso forfettario spese generali, Iva e Cpa come per legge.Pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese della ctu medico legale già liquidate come in atti.Modena, 10.12.09

Il giudice del lavoroDott.ssa Carla Ponterio

 

Depositata in cancelleria il 18/01/2010