Tredici passi nella Kazzimma

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Romanzo satirico che strizza l'occhio al nonsense, sui mali della società moderna raccolti sotto la metafora di Repubblica della Kazzimma.

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Edizioni Digitali Babylon CaféTitolo originale dell’opera:Tredici passi nella KazzimmaAutore: Crimine EspositoISBN: 9788890536304Prima edizione Agosto 2012© 2012 Edizioni Digitali Babylon CaféTutti i diritti sono riservati

Edizioni Digitali Babylon CaféAssociazione Culturale Babylon CaféPiazza Roberto Malatesta,4, 00176, Roma (Italy)http://www.babyloncafe.eu - [email protected] editoriale: Maria Elena CristianoDirettore artistico: Davide ZingoneProgetto grafico e impaginazione: Ebooks Edizione Digitali Babylon Café.Copertina: Edizione Digitali Babylon Café.

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XII passo

Divagazioni

“Fate lavorare i politici: non li votate!” Questo era il motto che sbraitava un vecchiomatto con l’occhio guercio e l’alito marcio al quale un giovanotto un po’ coatto avevasottratto un paio di sigarette mentre era distratto a guardare di soppiatto tre giapponesidirimpetto che si fotografavano con l’autoscatto davanti alla stazione della metropolitanadi Piazza Vanvitelli.

Aveva smesso di piovere, anche se quello delle perversioni del tempo in TV avevaannunciato che sarebbero piovuti cannolicchi per tutto il giorno. Coane nasali inabbigliamento casual attraversavano la strada senza guardare il semaforo, che per larabbia e la bile accumulate era diventato rosso carciofo, e un drogato barcollantechiedeva ai passanti un’offerta a piacere per un mazzo di fiori appassiti e ammuffiti cheaveva raccolto poco prima sulla tomba di un suo vecchio compagno di bagordi e dirapine alle coppiette appartate fuori all’ippodromo di Agnano.

Il traffico nella zona era paralizzato a causa di un insignificante incidente causato da unciclomotore che procedeva contromano ad alta velocità e si era andato a schiantarecontro un’utilitaria. Uno dei tre sul motorino si era alzato da terra, aveva aperto congentilezza lo sportello dell’auto e con un fucile a canne mozze aveva gambizzatoallegramente il povero conducente, completamente innocente, che stava andandoall’ospedale a trovare la nonna, finita in coma in seguito a uno scippo. Poco più avanti,in un bar affollato e affumicato, un vigile urbano completo di casco modello puffo stavatenendo un comizio sulle innovative ed efficaci tecniche che adottava per tenere sottocontrollo il flusso del traffico metropolitano, con l’evidente intento di ringalluzzirsidavanti ad alcune belle studentesse universitarie fuorisede. Quando finalmente qualcunogli fece notare che in strada stava succedendo di tutto, lui, pronto ed efficiente, siaffacciò fuori dal bar dando una rapida occhiata a destra e a sinistra, si fece il segno dellacroce e tornò al bancone gettando la faccia nel suo cappuccino, per nascondersi dallosguardo contrito delle studentesse.

Erano già le 9.62 di un tiepido mattino infernale, circa metà dicembre. Non c’eranoancora notizie della latta di pesce trafugata nottetempo in una gioielleria del centro. Pergli inquirenti poteva trattarsi di una ripercussione politica sul racket delle merendine:questo almeno lessi sbirciando sul giornale che un signore davanti a me teneva apertomentre camminava distratto, pestando con metodica precisione tutti gli escrementi deicani della zona.

Quella mattina avevo salutato Elena che stava ancora a letto ed ero sceso presto con lavoglia irrefrenabile di starmene un po’ da solo, per meditare sugli ultimi avvenimentiche avevano centrato in pieno la mia vita. Cammina, cammina, medita, medita, eroarrivato a piedi fino al Vomero, dove tutti dicono che le cose funzionano meglio chealtrove. Le scene a cui avevo assistito finora lo confermavano.

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Presa una traversa a caso di Via Scarlatti, mi ritrovai all’improvviso davanti all’entratadella famosa Villa Floridiana, la destinazione preferita di generazioni di studentisvogliati napoletani. Ricordo che anche io ci andavo qualche volta insieme ai mieicompagni, quando ci ritrovavamo davanti ai cancelli della scuola e decidevamo, con unasemplice e sapiente occhiata, di fare “filone”. Ormai, però, era davvero passato tantotempo. Entrai, e passeggiando lentamente sul lungo viale d’ingresso mi sorpresi asorridere: pensai che anche mio figlio, da grande, sarebbe venuto in questo grande parcoinvece di andare a scuola. Eh già, perché entro qualche mese sarei diventato padre! Sareistato all’altezza di crescere ed educare un figlio? Un interrogativo preoccupante.Anestetizzante. Anabolizzante. Forse tutti gli uomini nella mia stessa condizione si eranofatti prendere da angosce simili, ma mi consolò la consapevolezza che alla fine i bambiniriescono sempre a crescere e a diventare padri a loro volta, sempre se qualcuno non liammazza prima. Pensai, inoltre, che ci sono determinati meccanismi automatici nelcrescere un figlio, che sono per lo più legati al luogo dove si vive. Infatti un bambinoinglese sarà educato a sorridere ipocritamente e a non farsi il bidè; un bambinoamericano imparerà a regalare la democrazia ai più poveri e ai meno fortunatiguardandoli dall’alto in basso; un bambino iracheno sarà addestrato a farsi saltare in ariain luoghi affollati; un pargolo cinese imparerà subito a contraffare a poco prezzoqualunque cosa; un napoletano, invece, crescerà imparando a riconoscere e ad applicarela sintassi della kazzimma. Improvvisamente mi venne in mente che uno dei primi efondamentali insegnamenti di mio padre, quando avevo non più di cinque anni, fu: “Ilkazzimmoso è uno che pensa che non è importante vincere, quanto far perderel’avversario. E agisce di conseguenza, anzi conforma la sua intera esistenza a questoobiettivo. Probabilmente si tratta di un gene del dna che si attiva appena respiri l’aria diNapoli (…o almeno così credo: il fatto è che mentre lo spiegavano alla televisione ierisera, io stavo litigando con tua madre e non ho capito bene…). Fottere il prossimodiventa a quel punto una missione, una verità di fede.” “Allora anche io c’ho lakazzimma, papà?”, chiesi sognante. Mi rispose facendo spallucce: “Se non ce l’haiancora, te la farai venire crescendo, bello di papà.” E, così dicendo, tirò fuori dalla tascail suo coltellino svizzero e squarciò sapientemente le gomme di uno che avevaparcheggiato in doppia fila dietro alla nostra macchina impedendoci di uscire dalparcheggio di Piazza Mercato.

Beh, forse mio padre non era stato il migliore dei genitori, ma di sicuro mi avevaregalato grandi perle di saggezza. Ricordo che una volta, mentre mi portava a fare unapasseggiata a Mergellina, mi disse alcune frasi che in seguito mi sono risultate moltoutili, tipo: “Impara due parole che ti apriranno molte porte, figlio mio: spingere e tirare”;“A grandi mali, grandi malati”; “Un giorno sei il colombo, un altro la statua”; “Mangiabene, fa’ esercizio, conduci una vita sana: morirai lo stesso”; “C’è un mondo migliore,ma è carissimo”.

Naufrago in mezzo ai ricordi, mi ero intanto inoltrato fino a raggiungere il grande eaffollato prato antistante il bell’edificio di stile neoclassico che ospita il Museo dellaFloridiana. Mi sedetti su una panchina illuminata dal sole e popolata da grosse formichevoraci, che si erano già mangiate mezzo barbone che giaceva riverso a faccia in giù, eosservai distrattamente le scene davanti a me.

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Nel silenzio totale fatto di musica house a 730 decibel, innocui botti di Natale modelloBig Bang, strilli da mercatino rionale e leggeri tonfi di aghi nei pagliai, riuscii a sentirein maniera distinta la voce di un pino alla mia destra che, avendo avvistato il cagnolinodella signora Orsolina in scodinzolante avvicinamento, disse al cipresso accanto:“Attento, che sta arrivando il karateca!”. E sentii l’altro che rispondeva: “Psè…quelbastardo!”

Alcuni ragazzi si erano stesi sull’erba usando gli zaini della scuola come cuscini.Chiacchieravano di calcio e di ragazze. Poi, tutto ad un tratto, uno di loro, vagamenterattrappito, prese una sigaretta dal pacchetto che aveva appena sfilato dalla tasca deijeans , se la mise in bocca, e la sputò con forza verso il compagno alla sua sinistra. Glialtri pensarono all’unisono che il poveraccio non era più lo stesso da quando il suobarbiere aveva vinto al lotto e se ne era andato a vivere a Cuba.

Intanto i giovani rapiti dalla musica heavy metal non si ritrovavano più, nonostante lericerche del capitano Nemo, che ogni tanto scendeva dal suo sottomarino a remi edomandava alle fermate degli autobus se fosse già passato il 114 barrato. Anzi, uncontrollore gli rispose: “Provi a chiedere al Cardarelli: male che va, la ricoverano”. Allamia sinistra Pulcinella, nascosto dietro i cespugli, rubava fette di casatiello a un gruppodi milanesi che avevano deciso di anticipare la pasquetta. Più avanti, due muli giocavanoplacidamente a scacchi. Sui balconi dei palazzi in lontananza le signore stendevano igatti ad asciugare.

Quando il sole fu nascosto improvvisamente da un nuvolone dispettoso, mi dissi cheavevo riposato abbastanza e potevo proseguire la mia passeggiata. Attraversando fino infondo quel giardino di pini e cipressi scesi le scale che portano al belvedere, unamagnifica terrazza a picco sulla marina. Appoggiandosi al muretto si possono osservareCapri, il Vesuvio e Sorrento. A destra, invece, si ergeva la collina di Posillipo in tutta lasua baldanza. Dalla finestra di un palazzo molto lontano mi sembrò di vedere la miaElena che mi salutava…

Alle mie spalle una badante rumena prese dal passeggino il bimbo di un anno e mezzoche i suoi datori di lavoro le avevano affidato, lo spogliò e lo gettò nell’acqua gelatadella fontana, dicendo che era ora che imparasse a nuotare insieme ai pesciolini rossi. Unvecchietto con coppola e bastone le si avvicinò, la guardò fisso negli occhi, e poi lesussurrò che avrebbe voluto sposarla. Li vidi allontanarsi abbracciati: al vecchietto erabastato aggiungere che prendeva un’ottima pensione da invalido civile. A quel punto ilcane della signora Orsolina, reduce dall’innaffiamento di alberi e cespugli, si gettò nellavasca e salvò il bimbo, che intanto aveva già fatto due giri a stile libero, due a rana e trea dorso.

Seduti sulle scale, due giovani innamorati si baciavano appassionatamente: era unpiacere guardarli. Anche il ladro che gli stava portando via borsetta e portafogli si fermòun attimo a osservarli intenerito, prima di scappare via.

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Da una porta a soffietto dietro un albero venne fuori una coppia un po’ più matura. “Saiperché sono uscito con te oggi?”, disse lui. Lei lo guardò ansimante e sudata come lemelanzane bollite, mentre nel vialetto accanto un neonato rincorreva il suo passeggino.“Perché due anni fa eri il terzo più bel culo di tutta la tabaccheria.” Sentii lei cherispondeva: “Ma l’irrealtà è soltanto un gioco”.

Due zaini facevano footing e scomparvero dietro un poggio di campanelli per biciclette.A quel punto mi avviai a passo spedito verso l’uscita laterale. Su una panchina vidiaccucciata una signora anziana che si lamentava dell’inusitato rincaro del prezzo delsilenzio. Le sorrisi compassionevole e varcai il cancello della Floridiana, ritrovandominuovamente nella giungla di cemento ed automobili, dove i marocchini, sempreimpeccabili in tight, regalavano monete d’oro agli autisti imbottigliati nel traffico e lezingare gli offrivano polizze assicurative attivabili via internet. Salii sul primo taxi chetrovai e mi feci riportare a casa, perché di passeggiare ormai ne avevo abbastanza.

Dall’autoradio una voce si domandava se l’agguato di camorra fosse un valoreuniversale e se la tecnica mnemonica applicata alla violenza carnale fosse un deterrentealla salvaguardia dell’ecosistema del supermarket di droga di Scampia. Su un altrocanale, invece, proseguivano le interviste per valutare se fosse necessaria una conferenzasui temi dell’appartenenza, dell’umana sopravvivenza, del vivere con una donna o senza,e per verificare con la massima urgenza se è vero che dove c’è gusto non c’è perdenza.L’avvocato Borlinghieri scuoteva la testa afflitto, affranto, relitto e derelitto, e ripeteva:“Non c’è ragione, non c’è ragione…”

Il radiogiornale regionale riferì dell’arresto di otto carabinieri per collisione con imalviventi; di bande giovanili esperte di spranghe e coltelli a serramanico che sidedicavano alla beneficenza ed al volontariato; del ritrovamento di un non megliospecificato tesoro sotto i resti dell’Italsider di Bagnoli; dello sciopero dei malati di adsl;e, infine, dell’assassinio di un magistrato pervicace e perspicace che lottava per la pace,e per un panino con la coppa e la rucola, di cui era ghiotto. Rotto ormai il feeling conaspirapolvere, aspirine e aspiranti letterine, decisero finalmente di darci un taglio, madesistettero subito perché alla fine le dita possono sempre tornare utili, tutte e 13.

Lasciai un’ottima mancia al tassista pregandolo di girare al largo e non farsi più vedere,e rincasai sbattendo la porta. Elena stava preparando la pasta e fagioli. Mi vide contrito erattristato e mi chiese: “Com’è andata la passeggiata? Ti sei stancato?”. Le risposi di si.

Mi ero davvero stancato.

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