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Trasformazioni di fase e reattività dei solidi 1 Trasformazioni nei solidi. Entriamo ora nella parte centrale del corso in cui tratteremo la dinamica dei sistemi solidi. Tale aspetto è la parte più caratterizzante del corso in quanto è la chimica che si occupa delle trasformazioni, a differenza della fisica e della cristallografia che si occupano della struttura e della modellistica dei solidi. Una rappresentazione schematica dei tipi di trasformazioni possibili nei solidi è riportata sotto. Trasformazioni nei solidi Reazioni chimiche all'interfaccia: Trasformazioni di fase Congruenti Incongruenti Non diffusionali Diffusionali Spinodali Nucleative Solido-solido Solido-gas Solido-liquido Nel caso delle trasformazioni di fase si hanno modifiche a carico della struttura del solido, e a seconda che ci siano o non ci siano anche modifiche di composizione chimica del sistema, si parla di transizioni di fase incongruenti o congruenti . Esempi di transizioni di fase congruenti sono le trasformazioni

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Trasformazioni di fase e reattività dei solidi 1

Trasformazioni nei solidi. Entriamo ora nella parte centrale del corso in cui tratteremo la dinamica dei sistemi solidi. Tale aspetto è la parte più caratterizzante del corso in quanto è la chimica che si occupa delle trasformazioni, a differenza della fisica e della cristallografia che si occupano della struttura e della modellistica dei solidi. Una rappresentazione schematica dei tipi di trasformazioni possibili nei solidi è riportata sotto.

Trasformazioni nei solidi

Reazioni chimiche all'interfaccia:

Trasformazioni di fase

Congruenti Incongruenti

Non diffusionaliDiffusionali

SpinodaliNucleative

Solido-solido

Solido-gas

Solido-liquido

Nel caso delle trasformazioni di fase si hanno modifiche a carico della struttura del solido, e a seconda che ci siano o non ci siano anche modifiche di composizione chimica del sistema, si parla di transizioni di fase incongruenti o congruenti. Esempi di transizioni di fase congruenti sono le trasformazioni

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allotropiche (o polimorfe) o la fusione di un elemento puro. Esempi di transizioni incongruenti sono la fusione di una lega o le transizioni di fase che presentano un eutettico. Le trasformazioni di fase possono essere anche classificate in due ulteriori categorie a seconda che comportino o meno il movimento di singoli atomi a lungo raggio. Nel caso che tali movimenti siano attivi si parla di trasformazioni diffusionali perché seguono le leggi della diffusione. Nel caso in cui i movimenti atomici siano cooperativi e sul corto raggio con il risultato di un cambiamento della struttura di tutto il solido si parla di trasformazioni non diffusionali o displasive. Un tipico esempio è quello della trasformazione martensitica degli acciai, in cui un reticolo fcc (austenite) si trasforma in un reticolo a corpo centrato tetragonalmente distorto bct (martensite).. Essendo una trasformazione che non comporta migrazione di atomi essa avviene pressoché istantaneamente e porta ad una fase metastabile che non è presente nel diagramma di fase Fe/C.

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A loro volta le trasformazioni di fase diffusionali possono essere classificate in nucleative e spinodali a seconda che esse procedano attraverso la formazione del nucleo di una nuova fase tramite un processo attivato o che invece avvengano attraverso un processo continuo senza nucleazione e senza una barriera di attivazione da superare. Infine vi ricordo che le transizioni di fase possono essere anche classificate termodinamicamente a seconda del comportamento delle variabili termodinamiche al punto critico (transizioni del 1° e 2° ordine). Un quadro riassuntivo di tale classificazione è riportato nella figura a pagina seguente. Venendo ora alle reazioni chimiche, esse si differenziano dal caso delle trasformazioni di fase incongruenti perché in generale esse richiedono l'incontro di due specie chimiche differenti (reagenti) che porta alla formazione dei prodotti. Le reazioni in generale procedono ad una interfaccia e per questo motivo possono essere classificate a seconda dell'interfaccia coinvolta (vedi diagramma riportato). In ogni caso però è necessario che gli atomi o gli ioni interagenti possano muoversi per incontrarsi all'interfaccia. Da quanto detto risulta chiaro che lo studio del processo di trasporto di massa è di estrema importanza per comprendere le trasformazioni che avvengono nei solidi. Per questo motivo prima di procedere con una descrizione delle trasformazioni e reazioni dei solidi dobbiamo spendere qualche ora di lezione per descrivere le leggi della diffusione nei solidi. Entriamo così nel dominio della cinetica che si occupa del meccanismo e dei tempi con cui avvengono i processi.

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Trasporto di massa nei solidi. Le equazioni matematiche che descrivono il trasporto di massa in fase gassosa, liquida o solida sono sempre le stesse, la 1° e 2° legge di Fick. Quello che cambia sostanzialmente al cambiare del mezzo è il meccanismo effettivo con cui gli atomi si muovono. Vedremo ora di discutere ambedue gli aspetti della diffusione: quello macroscopico matematico e quello microscopico meccanicistico. La diffusione può essere definita come il trasporto di materia lungo un percorso in cui esiste un gradiente di concentrazione. Per comprendere la driving-force di tale processo è utile partire da un approccio termodinamico, anche se la diffusione in sé è un processo di natura cinetica. Condizione perché esista diffusione è che esista una differenza di potenziale chimico tra due diversi punti. In un sistema chiuso a T e p costanti, il massimo lavoro di non espansione per mole di sostanza fatto quando questa si muove da un posto con potenziale chimico µ ad un altro con potenziale pari a µ+dµ è pari a dw = dµ Nel caso in cui µ = f x( ) questo può essere riscritto come:

dw =

∂µ∂x

T , p

dx

Per la definizione stessa di lavoro, questa espressione definisce una forza, chiamata forza termodinamica, pari a

F = -

∂µ∂x

T , p

per cui dw = −Fdx

per mole di sostanza, cioé la pendenza punto per punto della curva µ = f x( ). L'origine di tale forza va ricercata nella seconda legge della termodinamica, cioé equivale alla ricerca della massima entropia (vedi esempio di due serbatoi di gas uniti attraverso una membrana permeabile). Appare allora intuitivo che sotto l'azione di questa forza gli atomi che migrano acquisiscano una velocità stazionaria (v, drift speed) proporzionale alla forza stessa, ma il cui valore sarà dettato dalla opposizione che il mezzo farà al movimento stesso, cioé v ∝ F

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Similmente il flusso di particelle J (numero di particelle che passano per un'area unitaria nel tempo unitario) sarà proporzionale alla velocità per cui sarà: J ∝ v ∝ F Ma d'altronde un gradiente di potenziale chimico equivale ad un gradiente di concentrazione per cui si giunge direttamente a quella che è la 1° legge di Fick della diffusione:

J = −D

∂c

∂x

T , p

in cui D = coefficiente di diffusione a T e p costanti

o in tre dimensioni J = −D grad( c) in cui D è un tensore del secondo rango analogo a quello visto in Cristallografia per le proprietà ottiche dei cristalli (che si riduce ad un numero per solidi isotropi). Le dimensioni del coefficiente di diffusione è usualmente espresso in cm2/sec essendo§ :

Jm

L2t

= −D

L2

t

∂c

∂x

m

L3 ⋅1

L

La legge di Fick fornisce una descrizione macroscopica, ma per avere una descrizione microscopica bisognerebbe adoperare la termodinamica statistica (cosa che esula dai nostri scopi). La diffusione macroscopica è il risultato di numerosi eventi microscopici che sono chiamati jumps (salti atomici da una posizione all'altra contigua). Vedi alla pagina seguente uno schema dei possibili jumps efficaci per la diffusione. Il ruolo che giocano i difetti è illustrato dalla Figura, che mostra alcuni dei meccanismi postulati in rapporto al movimento degli atomi e degli ioni nei solidi [ (a) scambio; (b) occupazione di sito e creazione di uno ione interstiziale; (c) meccanismo interstiziale; (d) occupazione di una vacanza] .

§ il flusso può anche essere espresso come J = vc . Infatti v

L

t

, c

m

L3

, per cui vc

m

L2t

.

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Benché in questi processi i singoli eventi non sono mai suscettibili d'essere osservati direttamente, essi vengono ipotizzati in base all'influenza esercitata dalle condizioni sperimentali sulla velocità di diffusione degli atomi o degli ioni. Si aggiunga, inoltre, l'analisi particolareggiata dell'agitazione termica nei cristalli, basata sulla diffrazione dei raggi X e dei neutroni, che fornisce indizi notevoli della capacità degli ioni di muoversi nel cristallo, compresi i percorsi più probabili. I modelli teorici, spesso elaborazioni del modello ionico, forniscono una guida utilissima circa il realismo di questi meccanismi di migrazione.

La teoria correla il coefficiente di diffusione con la frequenza con cui avvengono questi jumps.

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Affinché un jump sia efficace l'atomo deve avere l'energia sufficiente a superare la barriera di attivazione diffusionale (ED). La relazione che lega il coefficiente di diffusione con la barriera di attivazione è la solita relazione di Arrhenius:

D = D0 exp −

ED

kT

Ma ciò non è sufficiente in quanto l'atomo deve anche trovarsi nelle condizioni favorevoli per trovare un posto in cui posizionarsi. Nel caso di un meccanismo diffusivo che usa siti interstiziali questo ultimo non è un requisito stringente, mentre è così per un processo diffusivo in cui siano impegnati siti sostituzionali.

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L'interpretazione fisica di questa ultima relazione è abbastanza immediata. Il 2° membro dell'equazione rappresenta la curvatura del profilo di diffusione c=f(x). Ogni volta che tale curvatura ha la concavità verso il basso (la derivata seconda è inferiore a zero) in una certa regione, in quella regione la concentrazione diminuisce con il tempo (vedi figura sotto).

Vediamo ora un paio di esempi di applicazione di questa equazione a casi di importanza nella scienza dei materiali.

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1° caso). Strato sottile di A deposto su una barra semi-infinita di B.

A B

x

Supponiamo di avere un materiale A (la quantità di A per unità di superficie

sia α =N0

S) posto all'estremità di una barra semi-infinita del materiale B. Se la

temperatura del sistema lo consente, A diffonderà in B generando un profilo che dipenderà dal tempo e dalla posizione x. Condizioni al contorno: -rispetto al tempo imponiamo che a t=0 tutte le particelle N0 siano localizzate a x=0; -rispetto alla variabile spaziale imponiamo che cA x, t( ) sia finita per ogni

valore di x e che

cA x, t( )0

∫ dx = N0.

Sotto queste condizioni la soluzione ha la forma

cA x, t( )=

απDtexp −

x2

4Dt

Il grafico di cA

α in funzione di x per diversi valori di Dt è riportato in figura.

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E' importante notare che con il passare del tempo il componente A tende a distribuirsi uniformemente nella barretta, e che tale risultato sarà raggiunto tanto prima quanto più D è elevato. Questo profilo di concentrazione è quello tipico di uno strato sottile di A per cui alla fine esso viene consumato completamente. Se viceversa lo strato di A è spesso, o se volete, A è un solido semi-infinito, allora cambiano le condizioni al contorno e cambierà anche la funzione risolvente. In questo caso la nuova condizione al contorno sarà cA 0, t( )= cA

0 e la soluzione avrà la forma (vedi figura sotto):

cA x, t( )= cA0 erfc

x

2 Dt

in cui

erfc = 1− erf

erf z( )= 2

πexp −a2( )

0

z

∫ da

per cui erfc 0( )= 1 e erfc ∞( )= 0

Questa ad esempio è l'espressione utilizzata per calcolare i profili di concentrazione di drogaggio nelle fette di silicio. Per finire questo esempio, e per gli usi che ne faremo in seguito, è importante esplicitare che relazione esiste tra la distanza alla quale la componente diffondente è arrivata ed il tempo trascorso. Per ricavare tale relazione basta notare che se nella relazione precedente fissiamo il valore di concentrazione

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cA x, t( ), allora risulta anche fissato il valore del rapporto x

2 Dt . Ciò implica che la relazione tra x (distanza di penetrazione) e il tempo trascorso sia del tipo: x = k t ovvero x

2 = kt 2° caso). Interdiffusione tra due solidi A e B. Finora abbiamo considerato che A diffondesse in B. Vediamo cosa succede se esiste il fenomeno della interdiffusione, cioé se ambedue le specie possono diffondere nel solido adiacente.

A BB

A

Nell'ipotesi che DA =DB , di può definire un unico coefficiente di diffusione ed i profili di concentrazione saranno analoghi a quelli visti prima (vedi grafico sotto riportato).

Questa situazione è quella che si verifica nei gas e nei liquidi con uguale volume molare, ma è piuttosto rara nei solidi. Nel 1947 Smigelskas e Kirkendall condussero un esperimento di diffusione tra due solidi in cui dimostrarono che due solidi che interdiffondono l'uno nell'altro non devono necessariamente avere lo stesso coefficiente di diffusione. Essi studiarono l'interdiffusione di due metalli A e B, e videro che il metallo a più basso punto di fusione diffondeva più velocemente nell'altro metallo. Essi

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notarono inoltre che l'interfaccia veniva spostata dalla posizione originaria (effetto Kirkendall).

A BB

A

Interfaccia originaria Nuova interfaccia

se B è il metallo con punto di fusione più basso

∆ l

Nel caso della diffusione interstiziale il fatto che due solidi possano interdiffondere con velocità differenti è perfettamente plausibile. Ad esempio, se si uniscono intimamente un pezzo di carbone con un pezzo di ferro, si vede che ad alta temperatura il carbonio diffonde velocemente nel ferro ma non viceversa in quanto il carbonio va ad occupare siti interstiziali del ferro. Di conseguenza l'interfaccia tra il carbone puro e lo strato trasformato si sposta verso il carbone. L'originalità del lavoro di Kirkendall consiste nel fatto che egli dimostrò la possibilità di interdiffusione differenziata anche nel caso di solidi che formano soluzioni sostituzionali (A e B hanno strutture simili). Per poter spiegare il fenomeno fu necessario invocare il ruolo delle vacanze nei due solidi e di fatto l'esperienza di Kirkendall dimostrò l'esistenza di vacanze nei metalli. Il bilancio globale del processo quindi deve coinvolgere anche le vacanze create e saturate nei due solidi, per cui è più corretto schematizzare il processo secondo il diagramma seguente

A BB

A

V

per cui in A sono distrutte vacanze mentre in B ne sono create di nuove. In pratica la condizione di equilibrio è data dalla relazione dei flussi seguenti:

JA + JV = JB Di fatto ciò che si nota è uno sviluppo della cosiddetta Kirkendall porosity, cioè la formazione di cavità in B in quanto l'eccesso di vacanze che si forma

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viene annichilato alle superfici dei pori già esistenti, aumentando il volume degli stessi. Se non sono presenti pori, allora l'eccesso di vacanze si annichila sulla superficie esterna del solido procurando un rimpicciolimento (shrinkage) del medesimo. Ritorneremo più avanti sull'effetto Kirkendall quando tratteremo le reazioni all'interfaccia solido-solido. Per finire questa breve digressione sulla diffusione nei solidi, dobbiamo spendere qualche parola sui meccanismi con cui essa avviene. Finora abbiamo considerato processi diffusivi di bulk, che sono resi possibili dalla presenza di difetti puntuali (vacanze). Ma nei solidi esistono anche difetti estesi, quali dislocazioni, bordi di grano e superfici esposte. Il movimento degli atomi lungo percorsi che implichino tali difetti è molto più veloce che nella diffusione bulk, per cui questi percorsi alternativi ad alta diffusività funzionano come una specie di corto circuito per i processi diffusivi. A riprova di questo guardiamo i dati di diffusività di Ag monocristallino e policristallino riportati nel seguente diagramma.

Si vede che sopra i 700°C la diffusività è analoga per il solido mono e policristallino, mentre a temperatura più bassa la diffusività è superiore per il policristallo. Questo dato è chiaramente razionalizzabile se si considera che nel policristallo si ha una elevata concentrazione di bordi di grano che comportano una energia di attivazione di diffusione più bassa (riportata in figura dal fitting dei dati sperimentali). Ad alta temperatura la differenza di

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barriera di attivazione tra il cristallo singolo ed il policristallo non è più importante perché in ogni caso gli atomi riescono a superare facilmente la barriera stessa. Per avere un ordine di grandezza della differenza di diffusività tra bulk, bordi di grano e superfici esposte potete fare riferimento al diagramma che viene riportato di seguito.

E' da notare però che il reale processo diffusivo occorrente in un solido non dipende solo dalla differenza tra la diffusività dei diversi possibili percorsi, ma anche dalla loro concentrazione relativa. Ad esempio, in un solido policristallino con grani molto grossi si ha una diffusione più lenta che in uno che ha grani molto fini in quanto l'area interfacciale totale dei bordi di grano sarà molto superiore nel secondo caso. Occorre infine precisare che se il nostro solido presenta il fenomeno per cui sui bordi di grano esiste una pellicola di liquido (quando ad esempio un liquido bagna completamente il solido), il meccanismo diffusivo sarà ancora maggiormente facilitato dal fatto che la mobilità degli atomi nel liquido è notevolmente superiore.

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Nucleazione e crescita In questo capitolo vogliamo descrivere i processi di trasformazione di fase, per cui un sistema composto da una singola fase in equilibrio ad una certa T e p genera una nuova fase al variare delle condizioni esterne. Inizieremo con lo studiare le trasformazioni di fase diffusionali nucleative e vedremo che esse richiedono il superamento di una barriera di attivazione, a differenza della trasformazioni di fase spinodali. In ogni trasformazione possiamo sempre individuare l'aspetto termodinamico e quello cinetico, e questo sarà ben evidente da quanto svilupperemo in questo capitolo. Come criterio generale possiamo dire che quando una trasformazione avviene in condizioni di quasi-equilibrio (processi lenti e reversibili) la trasformazione stessa è limitata dalla sua termodinamica. Viceversa, se la trasformazione avviene lontano dalle condizioni di equilibrio (es. raffreddamento rapido di un fuso), la trasformazione è controllata dall'aspetto cinetico e si possono formare fasi metastabili non presenti nel diagramma di fase di equilibrio. In termodinamica esiste un criterio ben preciso per valutare la stabilità di una certa fase α rispetto ad un'altra β , che fa riferimento all'energia libera di Gibbs. Se Gβ<Gα la fase β è più stabile rispetto alla α . Può succedere che variando le condizioni (ad esempio la temperatura) diventi che Gβ>Gα per cui la fase β tende a trasformarsi nella α. Questo è rappresentato in termini grafici nel diagramma seguente, in cui si vede che le due curve di energia libera si incrociano nel punto T=Tc in cui Tc è la temperatura di trasformazione di equilibrio.

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Cioé sarà per

T = Tc Gα = Gβ equilibrio tra le due fasi

T < Tc Gα < Gβ la fase α è stabile

T > Tc Gα > Gβ la fase β è stabile

Il percorso di raffreddamento segnato con le frecce nel diagramma riportato per la trasformazione da β-->α è quello seguito in una trasformazione reversibile condotta in maniera lenta in modo che si possa considerare come una sequenza di stati di equilibrio. Nella realtà alla T=Tc la trasformazione non ha luogo perché manca la "driving-force" perché essa avvenga (Gα = Gβ ). Dovremo produrre un sottoraffreddamento ∆T=Tc-T (detto anche undercooling o supercooling) per far sì che la transizione avvenga. In definitiva, come nel caso dei fenomeni di diffusione che abbiamo visto, è una differenza di potenziale chimico ∆µ che origina il processo stesso. Il percorso realmente seguito è quindi quello rappresentato nelle curve sottostanti (per il processo di raffreddamento o riscaldamento attorno al punto critico).

La estensione del ∆T necessario ad innescare il processo di trasformazione dipende dai fattori cinetici, dipendenti a loro volta dal meccanismo della trasformazione (la barriera di attivazione da superare). Vogliamo ora provare a calcolare la "driving-force" termodinamica (cioé la variazione di energia libera, che spesso prende il nome di sovrasaturazione) nella ipotesi semplificativa che il valore di ∆T sia piccolo. La relazione ∆G T( )= ∆H T( )− T∆S T( ) è di validità generale. Se varia la temperatura varieranno anche i singoli termini di questa equazione. Se

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assumiamo di esplorare valori di T vicini a T=Tc possiamo supporre che sia H che S delle due fasi non varino con T in modo significativo se l'intervallo è piccolo per cui ∆G T( )= ∆H − T∆S , cioé si assume che l'unica dipendenza dalla temperatura sia quella esplicita. Ma se siamo vicini a T=Tc allora il ∆H sarà pari al calore latente di trasformazione ∆H=L (valore negativo, cioé

esotermico) ed inoltre ∆S =L

Tc

. §

Allora sarà:

∆G T( )= ∆H − T∆S = L − TL

Tc

=L

Tc

Tc − T( )=L

Tc

∆T

cioé la variazione di energia libera, che rappresenta la "driving-force" termodinamica, sarà proporzionale al sottoraffreddamento ∆T . Se seguiamo il processo inverso di trasformazione da α-->β che avviene per riscaldamento, anche in questo caso la temperatura critica dovrà essere superata perché la trasformazione si realizzi. In questo caso si parla di un sovrariscaldamento ∆T=T-Tc ed in generale sarà ∆T α → β( )< ∆T β → α( ) perché a T più alta la cinetica di trasformazione è più veloce.

§ Vi ricordo che in condizioni di equilibrio dH=TdS.

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Nucleazione omogenea. Supponiamo ora di avere una fase omogenea β , all'interno della quale a seguito di un sottoraffreddamento ∆T vengano a formarsi dei nuclei di piccole particelle di una nuova fase α.

ββββ

αααα

Potrebbe essere ad esempio il caso di una soluzione solida regolare al di fuori dei punti spinodali, che a bassa T tende a formare precipitati di una fase pura all'interno della soluzione, o potrebbe essere più semplicemente il caso di una sostanza pura fusa che per raffreddamento generi i primi nuclei del solido. Vogliamo ora calcolare la variazione di energia libera che accompagna la formazione di una particella (che assumiamo sferica di raggio r) della fase α. Come abbiamo appena visto la "driving-force" per la formazione della nuova fase è data da

∆G =L

Tc

∆T

tale valore è riferito ad una mole della fase α, ma se vogliamo ottenere un valore riferito all'unità di volume (∆Gv ), dobbiamo dividere tale espressione per il volume molare della fase α.

∆Gv =1

Vm

L

Tc

∆T

Pertanto , se si forma una particella sferica di raggio r , la variazione di energia libera riferita a tutta la particella (∆Gvolume ) sarà data da

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∆Gvolume =4

3πr3∆Gv =

4

3πr 3 1

Vm

L

Tc

∆T

(NB se ∆T >0 , ∆Gvolume <0 perché L è negativo) Se riportiamo in grafico il valore di ∆Gvolume in funzione del raggio della particella, vediamo che l'andamento è monotono e l'abbassamento di energia libera è proporzionale al cubo del raggio.

Ma il termine energetico che abbiamo finora valutato non tiene conto del fatto che la formazione della particella porta alla nascita di una interfaccia tra le due fasi. Dovremo perciò tenere conto di quanto abbiamo imparato dalla termodinamica delle interfasi. Per il fatto di creare una superficie di separazione dobbiamo aggiungere un termine che tiene conto dell'energia libera interfacciale γ. Per cui avremo un ∆Gsurface pari al prodotto della superficie generata per γ (che è valutata per unità di superficie): ∆Gsurface = 4πr 2γ Tale termine, positivo in quanto dobbiamo fare un lavoro per creare l'interfaccia, è riportato nel diagramma di sopra. Un ulteriore contributo all'energia libera (spesso però viene trascurato) proviene dal fatto che in generale le due fasi non hanno la stessa densità per cui il nucleo non occupa (a parità di moli) lo stesso volume della fase originaria. Ciò procurerà una compressione o dilatazione dei parametri strutturali del nucleo che cresce per andare ad adattarsi allo spazio

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disponibile. Di questo ci occuperemo in dettaglio più avanti quando considereremo gli aspetti geometrici delle interfacce solido-solido. Per ora ci basta considerare un termine energetico aggiuntivo proporzionale al volume del nucleo del tipo

∆Gstrain =4

3πr3ε

in cui ε è chiamata energia libera di tensione meccanica (misfit strain energy), ed è un termine positivo. In totale, quindi, per formare il nucleo di raggio r avremo un variazione di energia libera totale ∆Gr che sarà pari a

∆Gr = ∆Gvolume + ∆Gsurface + ∆Gstrain =4

3πr 3 ∆Gv + ε( )+ 4πr2γ

La somma dei tre contributi porta ad una curva di ∆Gr in funzione del raggio che presenta un massimo ad un valore di r = rc chiamato raggio critico, il cui significato è il seguente: se la particella ha un raggio inferiore al raggio critico essa tenderà a sparire, mentre se ha un raggio superiore al raggio critico allora la sua crescita ulteriore è possibile in quanto il ∆Gr per il processo di accrescimento è <0. Le particelle con r < rc sono dette embrioni, e la loro esistenza è transitoria. Si definisce anche un valore di ∆G* in corrispondenza del raggio critico che rappresenta una sorta di barriera di attivazione che deve essere superata affinché la nuova fase possa essere nucleata. Possiamo ricavare le espressioni di questi due parametri (rc e ∆G* ) usando il calcolo differenziale. Se deriviamo l'espressione di ∆Gr rispetto al raggio si ottiene d ∆Gr[ ]

dr= 4πr2 ∆Gv + ε( )+8πrγ

e considerando che nel punto r = rc si ha un massimo per cui la derivata si annulla, avremo

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4πrc2 ∆Gv + ε( )+ 8πrcγ = 0

cioé

rc =−2γ

∆Gv + ε( )e

∆G* =16

3⋅

πγ 3

∆Gv + ε( )2

E' importante esplicitare la dipendenza di questi parametri dalla temperatura. dal momento che l'energia superficiale e di strain sono pressoché indipendenti dalla temperatura, tutto dipende da come varia ∆Gv con la temperatura, cosa che abbiamo già visto sopra:

∆Gv =1

Vm

L

Tc

∆T

per cui

rc ∝ cost

∆Te

∆G* ∝ cost'∆T 2

L'andamento relativo è riportato nel grafico seguente. Si vede chiaramente che aumentando il sottoraffreddamento diminuisce sia il raggio critico sia la barriera di potenziale da superare per l'avvio della nucleazione. Si vede inoltre che per un sottoraffreddamento nullo la barriera la superare ed il raggio critico diventano infiniti, per cui non può avvenire nucleazione.

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Dalle relazioni riportate sopra si riesce anche a vedere come variano i parametri critici al variare dell'energia superficiale e di strain. Ad esempio, dal momento che ∆Gv e ε hanno segni opposti, se aumenta la seconda avremo che aumenteranno ambedue i parametri critici. Lo stesso avverrà per un aumento della energia interfacciale. Un ulteriore aspetto da mettere in risalto è la relazione strutturale esistente tra la fase precipitata e la matrice, che influenza sia γ che ε. Qui voglio solo ricordare che la forma dei precipitati all'interno della matrice non necessariamente sarà di tipo sferico, ma a seconda della natura dell'interfaccia, si potrà avere una minimizzazione dell'energia di attivazione di nucleazione crescendo precipitati che abbiano una forma anisotropa (non sferica, ad es. lamelle, aghi..). In altre parole la morfologia del precipitato può essere sotto controllo interfacciale. A questo punto ci si può chiedere come la nucleazione in sé possa avvenire se, affinché l'embrione possa ingrandirsi, è necessario raggiungere il valore del raggio critico. La risposta a questa domanda viene dal fatto che l'equilibrio termodinamico non è un evento statico ma dinamico in cui una molteplicità di eventi microscopici fluttuanti generano una situazione media descritta dalle variabili termodinamiche macroscopiche (termodinamica statistica rispetto alla termodinamica). Anche nel caso di una singola fase omogenea (descritta ad esempio con una valore di densità costante in tutta la

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fase) esistono fluttuazioni localizzate di densità la cui media porta alla densità dell'intera fase (Frenkel le chiamò nel 1955 fluttuazioni omofasiche). Esistono similmente delle fluttuazioni eterofasiche in cui localmente si genera un embrione di una nuova fase. Se siamo nelle condizioni macroscopiche di p e T

per cui Gα>Gβ (T>Tc) tali fluttuazioni dei nuclei di α saranno evanescenti e non porteranno a niente di nuovo. La concentrazione di tali fluttuazioni aumenterà man mano che ci avvicineremo alla temperatura critica e quando T<Tc (Gα<Gβ ) tali fluttuazioni genereranno embrioni con raggio maggiore di quello critico che evolveranno verso la crescita del nuovo nucleo di α. Detto in altri termini, la probabilità che una particella di raggio r esista ad un certa temperatura è sempre diversa da zero, e tale distribuzione di probabilità potrà essere calcolata con i metodi della termodinamica statistica per cui la velocità con cui si formano i nuclei critici sarà data dalla relazione

∆−⋅=kT

GCv

*

exp

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Nucleazione eterogenea. Facendo un calcolo quantitativo della quantità di nuclei generati ad un preciso sottoraffreddamento, si può dimostrare che è possibile raggiungere sottoraffreddamenti dell'ordine di decine di gradi prima che la concentrazione di nuclei di dimensione critica raggiunga valori significativi. In pratica questa previsione teorica è difficilmente raggiungibile (nel caso del Ni iperpuro si riescono a raggiungere sottoraffreddamenti di 20-30°) perché prima che si realizzi effettivamente un evento di nucleazione omogenea vengano attivati altri processi per i quali l'energia di attivazione è favorita. In questo caso si parla di nucleazione eterogenea ed essa avviene presso siti difettuali quali vacanze, dislocazioni, stacking-faults, bordi di grano, impurezze o superfici del contenitore. Il motivo è da associare al fatto che la creazione del nucleo distrugge parte del difetto, rilasciando così la sua energia ed abbassando quindi la barriera di attivazione. In termini chimici il processo trova una equivalenza nella catalisi eterogenea, nella quale la presenza del catalizzatore agisce nel senso di abbassare l'energia di attivazione. La nucleazione eterogenea è anche alla base della epitassia (crescita su superfici di monocristalli). Esaminiamo le caratteristiche della nucleazione eterogenea studiando il caso della nucleazione di una fase β su una superficie di un bordo di grano, che consideriamo per semplicità planare (grano grosso).

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In questo caso il nucleo avrà una forma lenticolare caratterizzata da un angolo di contatto θ che dipende dal bilanciamento delle tensioni interfacciali (vi ricordo che le tensioni interfacciali sono descritte da vettori paralleli all'interfaccia). La condizione di equilibrio fornisce: γ αα = 2γ αβ cos θ Per valutare la variazione di energia libera conseguente alla formazione del nucleo avente raggio di curvatura r, dovremo prendere in considerazione i seguenti termini (trascurando il termine di strain): ∆Gr

etero = ∆Gvolume + ∆Gsurface = V∆Gv + Aαβγαβ − Aαaγ αa

dove

V = volume della lente

Aαβ = area della nuova interfaccia α - βAαa = area della interfaccia α - α che è stata rimpiazzata

Rispetto al caso della nucleazione omogenea abbiamo un termine negativo in più dovuto alla distruzione di una parte dell'interfaccia α-α (questo termine già in sé favorisce la nucleazione eterogenea). Per paragonare quantitativamente il ∆Gr

etero con il corrispondente ∆Gromo

dobbiamo valutare V, Aαα e Aαβ. Essi dipenderanno dal valore dell'angolo di contatto e, dopo alcune considerazioni di carattere geometrico che tralasciamo, si giunge alle espressioni della figura riportata sopra. Rimaneggiando quelle espressioni si giunge alla seguente relazione fondamentale:

∆Gretero = ∆Gr

omo ⋅ S θ( )

dove S θ( )= fattore di forma (shape factor) =2 +cos θ( )1− cos θ( )2

2

La cosa importante è che per un valore dell'angolo di contatto θ (cioé delle proprietà interfacciali tra le due fasi) lo shape factor è costante, per cui facendo la derivata di ∆Gr

etero rispetto al raggio di curvatura r si trova che il valore del raggio critico non cambia rispetto alla nucleazione omogenea.

rc =−2γ αβ

∆Gv

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mentre il valore dell'energia libera al raggio critico (cioé la barriera di attivazione alla nucleazione) viene riscalata per lo shape factor:

∆Getero

* =16

3

πγ αβ2

∆Gv2 ⋅ S θ( )= ∆Gomo

* ⋅ S θ( )

cioé si ottiene il risultato schematizzato nella seguente figura.

E' interessante quindi vedere che valori assuma questo shape factor per i diversi valori di angolo di contatto.

θ S(θ) 90° 1 60° 0.32 30° 2.6 10-2 10° 1.4 10-5

Si può dimostrare che S(θ) è pari al rapporto tra il volume della lente e quello della sfera avente uguale raggio di curvatura. Si vede allora che minore è l'angolo di contatto (cioé maggiore è la bagnabilità di β su α), maggiore è il guadagno in energia di attivazione che si ottiene per la nucleazione eterogenea.

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Questo discorso può essere generalizzato: il valore del raggio critico non cambia a seconda della localizzazione del sito di nucleazione (dislocazione, bordo di grano, superficie...), ma quello che cambia è la barriera di potenziale che viene riscalata in maniera inversamente proporzionale al volume del nucleo generato. Per cui su una superficie esterna, in cui si forma una metà della lente formata su un bordo di grano, si avrà un valore di shape factor che (a parità di θ) è la metà. Similmente su una giunzione tripla tra bordi di grano il volume è inferiore di quello presente alla superficie del bordo, per cui questo sarà il sito preferenziale di nucleazione (vedi figure sotto riportate)

θ

fase α

β

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Cinetica di nucleazione e crescita Abbiamo visto che per trasformare una fase in un'altra è necessario passare attraverso la formazione di nuclei della nuova fase, superando una barriera di attivazione, che abbiamo calcolato sia nel caso della nucleazione omogenea (rara) che in quella eterogenea (più comune). Se guardiamo ora agli aspetti cinetici della trasformazione possiamo individuare due stadi consecutivi: 1° stadio: formazione dei nuclei critici; 2° stadio: accrescimento e coalescenza dei medesimi per fornire la nuova fase finale. Per ognuno di questi due stadi possiamo definire la corrispondente velocità. Nel 1° stadio avremo che la velocità con cui si formano i nuclei critici sarà proporzionale alla probabilità della loro esistenza, che abbiamo visto essere legata alla relazione:

v1 = C ⋅exp −

∆G*

kT

Ma abbiamo visto che

∆G* ∝ cost∆T 2

per cui per valori grandi di sottoraffreddamento aumenta rapidamente la velocità con cui si formano i nuclei critici, cioé si formano numerosi nuclei critici nell'unità di tempo. Facendo uno studio della funzione

exp −cost

Tc − T( )2kT

si vede che essa cresce al diminuire di T fino a T=0.33Tc per poi decrescere di nuovo (vedi grafico riportato a pagina seguente). Una volta creati, tali nuclei critici possono evolvere ingrandendosi. In questo stadio la velocità di accrescimento è limitata dal meccanismo con cui arrivano atomi alla superficie del nucleo per farlo accrescere. A seconda dei casi (nuclei in un gas, in un liquido o in un solido) cambierà il meccanismo del processo diffusivo, ma in ogni caso esso sarà un processo attivato termicamente, cioé favorito alle alte temperature. Ad esempio, se il fatto limitante la crescita è la diffusione nella matrice , allora l'andamento del coefficiente di diffusione D con la temperatura seguirà la solita legge di Arrhenius,

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D = D0 exp −

ED

kT

per cui la velocità del 2° stadio sarà proporzionale a questo esponenziale

v2 = ′ C exp −

ED

kT

Dal momento che la barriera di attivazione alla diffusione ED è indipendente dalla temperatura, allora v2 fornisce un grafico esponenzialmente decrescente con il diminuire della temperatura.

Tem

pera

tura

T C

velocità di trasformazione

velocità di crescita (v2)

velocità di nucleazione (v1)

v1v2

Tc/3

Si può definire allora la velocità del processo globale di trasformazione (nucleazione e crescita) che sarà dato dal prodotto delle velocità dei due stadi per cui

V = v1 ⋅v2 = C" exp −

ED

kT

⋅exp −

∆G*

kT

Il grafico della velocità di trasformazione globale avrà un massimo per una temperatura T di compromesso tra due opposte tendenze: a bassi sottoraffreddamenti (alta T ) il processo sarà limitato dalla formazione dei

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nuclei critici, mentre ad alti sottoraffreddamenti (basse T ) il processo sarà limitato dalla diffusione. Da questo tipo di diagrammi possiamo ricavare varie informazioni di carattere pratico. Avendo la curva della velocità di trasformazione globale un massimo, potremo avere la stessa velocità di trasformazione a due differenti temperature T1 e T2 . Però la microstruttura delle due crescite sarà molto diversa. Infatti ad alta temperatura avremo una nuova fase con grana molto grossa (bassa velocità di formazione di nuclei critici ma alta velocità di accrescimento), mentre a bassa temperatura avremo una grana molto sottile (alta velocità di formazione di nuclei critici ma bassa velocità di accrescimento). Per questo motivo, per ottenere da un fuso la formazione di cristalli macroscopici (cristalli singoli) si opera a bassi valori di sottoraffreddamento con un processo di raffreddamento lento di modo che sia dato il tempo necessario ai nuclei di accrescersi (controllo termodinamico) (vedi metodi per crescita cristalli singoli). Vi faccio notare che la crescita di nuclei piccoli è l’effetto di una sovrasaturazione (vedi come abbiamo definito prima la driving force) per cui con lo stesso tipo di ragionamenti si può interpretare la dipendenza della grana dei precipitati dalla cinetica di precipitazione quando usiamo soluzioni sovrasature. I diagrammi che vengono utilizzati nella pratica sono leggermente differenti rispetto a quelli che abbiamo visto. Invece di portare in ascissa la velocità di trasformazione si porta spesso il tempo necessario per la trasformazione (inversamente proporzionale alla velocità) per cui le curve hanno una tipica forma a C. Tali diagrammi si chiamano diagrammi TTT (Temperatura-Tempo-Trasformazione) e portano una serie di curve a valore costante di percentuale di trasformazione (vedi figura sotto).

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Questi grafici ci permettono anche di valutare la possibilità di avere la solidificazione di un fuso senza nucleazione, cioé la formazione di sistemi amorfi, raffreddando il fuso con una velocità superiore a quella necessaria alla formazione dei nuclei e del loro accrescimento§ (vedi figure riportate di seguito sulle velocità di raffreddamento (cooling rate) necessarie per solidificare un liquido mantenendo la sua struttura disordinata e sulle tecniche per la preparazione di vetri metallici mediante ultra-high cooling rates).

§ Un altro metodo per ottenere sistemi amorfi è quella di aumentare la viscosità del fuso. Così facendo riduciamo il coefficiente di diffusione che è inversamente proporzionale alla viscosità)

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Sinterizzazione e porosità dei solidi. Per finire il quadro delle trasformazioni non classificabili come reazioni chimiche dobbiamo accennare ad un processo di notevole importanza tecnologica nel campo dei materiali ceramici e della metallurgia delle polveri che prende il nome di sinterizzazione. Essa non può essere considerata una transizione di fase ma implica lo stesso una massiccia ristrutturazione della microstruttura del solido. Consiste nella compattazione a caldo delle piccole particelle formanti una polvere allo scopo di produrre un solido più denso secondo lo schema riportato sotto, in cui si ha l'ingrossamento progressivo dei colli (necks) tra le particelle.

La driving-force del processo è la riduzione dell'energia superficiale del solido a causa della riduzione progressiva dell'area interfacciale. Man mano che il processo avanza si riducono sempre più gli spazi vuoti tra i grani del solido (che vengono chiamati pori o voids) fornendo alla fine dei grossi grani che inglobano dei piccoli pori residui.

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Sebbene il processo siano noto da secoli, il meccanismo con cui esso avviene è stato compreso solo da alcuni decenni. A seconda della natura del solido e dalle condizioni in cui viene condotta, la sinterizzazione può procedere secondo uno dei tre tipi di meccanismi proposti: 1) Ad alte temperature e per solidi volatili, il trasporto di materia che supporta la sinterizzazione è fornito da un processo di evaporazione e condensazione (soprattutto per cloruri, ma di scarso impatto industriale); 2) Ad alte temperature le particelle possono presentare caratteristiche di liquidi ad alta viscosità (liquido Newtoniano) per cui la materia fluisce dalle superfici delle particelle alle regioni dei necks per flusso viscoso (materiali vetrosi di tipo silicatico). 3) Il caso più importante dal punto di vista tecnologico (ossidi e metalli) è quello in cui il trasporto di materia avviene per diffusione allo stato solido, sia nel bulk del grano (poco probabile) che lungo i percorsi ad alta diffusività (superfici e bordi di grano). L'efficienza del processo di sinterizzazione dipende molto da: -la dimensione§ e dalla uniformità (dispersione) delle polveri. Polveri di dimensioni submicrometriche sinterizzano velocemente perché la driving-force è alta (alta energia di superficie di partenza) e perché i percorsi diffusivi sono brevi. Inoltre in tal caso è facile uno slittamento sui bordi di grano. Viceversa, polveri grossolane hanno una bassa velocità di sinterizzazione ed hanno una elevata porosità all'interno del grano difficilmente eliminabile. Inoltre se le polveri non sono uniformi si ha il fenomeno già visto della crescita dei grani grossi a scapito di quelli piccoli (Ostwald ripening). Per questi motivi le migliori polveri da sinterizzazione sono quelle ottenute secondo vari metodi riportati nella figura riportata di seguito. Per evitare la crescita di grani grossi e favorire la sinterizzazione si usa spesso una temperatura di processo più bassa associata ad una alta pressione (hot-pressing). Quest'ultima favorisce i processi diffusivi perché introduce dei gradienti di vacanze. Inoltre la sinterizzazione può risultare più facile se si introducono delle impurezze che alterino la concentrazione delle vacanze. Ad esempio, aggiungendo tracce di Li2O a ZnO si aumenta di vari ordini di grandezza la velocità di sinterizzazione perché vengono aumentate le vacanze di ossigeno (il processo lento diffusivo è quello a carico degli anioni). Il fatto che le impurezze tendono a concentrarsi sui bordi di grano (vedi segregazione all'interfaccia) è in linea con il modello proposto.

§ la velocità di sinterizzazione va secondo l'inverso della terza potenza del raggio delle particelle.

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Reazioni allo stato solido. Veniamo ora a trattare la parte più propriamente chimica, cioé lo studio delle reazioni allo stato solido. Un punto essenziale di questo capitolo è la comprensione dei fattori che governano la reattività chimica dei solidi. Questo è ancora un campo di frontiera nel quale sono impegnate notevoli risorse in termini di ricerca. Infatti la comprensione di questi fattori rende più vicino l'obiettivo della sintesi di nuovi materiali con proprietà e struttura desiderata. Le reazioni chimiche coinvolgenti reagenti allo stato solido presentano delle caratteristiche notevolmente differenti rispetto a quelle condotte in fase omogenea fluida (gassosa, liquida o soluzione). Il punto focale è rappresentato dal fatto che le unità componenti un solido non hanno il grado di libertà traslazionale per cui l'evento microscopico che prelude alla trasformazione chimica, cioé l'incontro in un punto dello spazio dei reagenti, può avvenire solo in un limitato insieme di punti, cioé l'interfase. E' solo lì che i reagenti possono venire in intimo contatto. Ne consegue che, mentre nelle reazioni in fase fluida la trasformazione chimica dipende essenzialmente dalla intrinseca reattività dei reagenti e dalla loro concentrazione, nelle reazioni allo stato solido un ruolo determinante è giocato dalla struttura dell'interfase e dalla sua difettualità. Per mettere in risalto il fatto che la reattività è controllata dall'aspetto strutturale, si parla di controllo topochimico delle reazioni chimiche allo stato solido. Ciò implica anche che la stragrande maggioranza delle reazioni coinvolgenti i solidi sono sotto controllo cinetico e non termodinamico, cioé l'aspetto limitante delle stesse è la realizzazione del percorso microscopico di eventi piuttosto che il bilancio energetico finale (che è in ogni caso un prerequisito). Come abbiamo già visto, una classificazione conveniente per le reazioni chimiche dei solidi può essere fatta in funzione del tipo di interfaccia implicata. Nello schema riportato di seguito sono indicati alcuni esempi di reazioni dei solidi, catalogati per il tipo di interfaccia, assieme alla indicazione dei processi elementari che limitano la reazione stessa.

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Interfaccia Processi elementari limitanti Solido-solido -reazioni di decomposizione di una fase singola all'interno della quale vengono nucleati i prodotti -reazioni ad una interfaccia esistente alla quale vengono nucleati i prodotti

-nucleazione e trasporto di materia nel bulk -nucleazione all'interfaccia e trasporto di materia attraverso la fase del prodotto

Solido-gas -reazioni di tarnish (imbrunimento) in cui il prodotto è un solido. Corrosione chimica (secca) -reazioni di conversione chimica catalitica su superfici solide (prodotti gassosi). In questo caso il solido agisce da catalizzatore

-adsorbimento dei reagenti gassosi e trasporto di materia attraverso la fase del prodotto -adsorbimento dei reagenti e desorbimento dei prodotti gassosi. Diffusione di superficie delle specie adsorbite

Solido-liquido -reazione all'interfaccia con formazione di prodotti solidi -dissoluzione di un solido in un liquido (prodotti solubili) -deposizioni elettrochimiche e processi elettrodici. Corrosione elettrochimica (umida) -reazioni di scambio ionico per solidi con strutture aperte -reazioni di intercalazione in solidi a strati

-bagnabilità della superficie in quanto definisce l'estensione dell'interfaccia. Trasporto di materia attraverso la fase del prodotto -limite di solubilità del prodotto -termodinamica e cinetica del trasferimento elettronico -controllo termodinamico -controllo termodinamico

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Il panorama delle reazioni possibili è troppo vasto per pensare di poterle trattare tutte in maniera esauriente. Vedremo quindi solo alcuni esempi che ritengo siano i più significativi, concentrandoci maggiormente sulle reazioni all'interfase solido-solido. Prima di iniziare l'esame delle reazioni all'interfase solido-solido vi voglio ricordare che in conseguenza del fatto che tutte le reazioni coinvolgenti i solidi avvengono ad una interfase, la velocità delle stesse dipende in maniera critica dal grado di dispersione del solido: maggiore è l'area interfacciale (ad esempio in un polvere ottenuta per macinamento prolungato del solido) maggiore sarà la velocità di reazione. E' importante ricordare anche il ruolo essenziale svolto dai difetti, che essendo punti di massima energia sono anche punti di massima reattività (vedi quanto detto per la nucleazione eterogenea). Uno degli aspetti che complica la chimica dello stato solido è che la reattività dei solidi è molto influenzata dalla presenza anche di livelli minimi di impurezze. Abbiamo già visto che molto spesso le impurezze segregano sui bordi di grano e sulle superfici esposte, alterando pertanto in maniera significativa la chimica dell'interfaccia. A parte questo fenomeno esiste un'altro effetto delle impurezze: dal momento che esse influenzano il grado di difettualità per vacanze, è ovvio che possono alterare le velocità ed i meccanismi di diffusione, ed, in ultima analisi, anche la reattività.

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Reazioni all'interfase solido-solido. Reazioni di decomposizione di una fase singola. Esempi di tali reazioni sono la decomposizione di sali inorganici (es. carbonati, ossalati per dare ossidi) con produzione di molecole gassose

CaCO3( s) ∆ → CaO( s) + CO2( g)

o reazioni di dimerizzazione o polimerizzazione allo stato solido di molecole organiche (indotte termicamente o fotochimicamente). Nel caso che vengano evoluti dei gas, la nucleazione avverrà in tutto il solido, ma la reazione procederà preferenzialmente vicino alle superfici esposte in modo che i gas evoluti possano essere liberati. Lo strato esterno che ha reagito è in genere molto poroso in modo da essere permeabile al gas prodotto, permettendo così il proseguimento della reazione fino a completamento.

CaCO3

CaO

Queste reazioni sono state studiate estensivamente dal punto di vista cinetico e si è dimostrato che lo stadio lento è rappresentato dalla nucleazione del prodotto. Lo studio cinetico dei processi allo stato solido è molto complesso ed in generale viene condotto ad un livello molto più empirico rispetto agli analoghi studi cinetici di reazioni chimiche nei mezzi fluidi. Mentre in quest'ultime gli esponenti ai quali sono elevate le concentrazioni dei reagenti nelle leggi cinetiche hanno un significato e sono legati al concetto di ordine e molecolarità della reazione, nel caso delle reazioni dei solidi gli esponenti hanno semplicemente un carattere empirico di fitting dei dati sperimentali ed è difficile, se non impossibile, darne una interpretazione. In genere quando si definisce una velocità di trasformazione, ci si riferisce alla trasformazione globale senza distinguere i possibili stadi differenti (vedi la definizione che abbiamo già dato nel trattare la velocità di nucleazione e accrescimento dei

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nuclei), ed i grafici cinetici riportano la frazione di solido decomposta in funzione del tempo (vedi un tipico grafico sotto riportato).

In tali curve si possono distinguere tre diversi periodi: A) periodo di induzione durante il quale si ha la formazione dei nuclei critici e la creazione dell'interfaccia reagente-prodotto alla quale la reazione proseguirà; B) periodo di accelerazione, in cui si accrescono i nuclei. Si ha accelerazione in quanto aumenta l'estensione dell'interfaccia tra i reagenti ed il prodotto. Quando i nuclei cominciano a sovrapporsi, la velocità di trasformazione ricomincia a decrescere (punto di flesso nel tratto B) poiché l'area interfacciale tende a diminuire man mano che ci si avvicini al completamento della trasformazione; C) periodo di decadimento, in cui la reazione arriva a completamento. Non esiste una unica espressione cinetica per i tre diversi periodi. In genere viene adoperata la cosiddetta equazione di Avrami-Erofeev che assume la forma

α =1− exp kt( )n

in cui

k = costante cinetica

n = esponente aggiustabile

α = frazione di solido trasformata

con esponente e costante cinetica diversa per i tre diversi periodi. Il periodo di induzione può essere più o meno lungo a seconda del tipo di pretrattamento che il solido ha subito. Se ad esempio si macina il solido o lo si sottopone a stress meccanici che producono dislocazioni, la formazione dei nuclei viene facilitata riducendo il periodo di induzione, senza peraltro alterare significativamente i parametri termodinamici (temperatura, pressione)

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della trasformazione né la cinetica dei periodi successivi. Lo stesso si può ottenere irradiando il solido con radiazioni che producano difetti. Se in una trasformazione esotermica viene prodotto del calore più velocemente di quanto il sistema riesca a smaltirlo nell'ambiente, la trasformazione può assumere un carattere esplosivo ed i gas prodotti vengono espulsi violentemente. Reazione all'interfaccia. Vediamo ora il caso in cui due solidi che interagiscono attraverso la loro interfaccia. Cominciamo con un caso semplice in cui il prodotto della reazione sia una soluzione solida (SS) che mantiene la stessa struttura dei solidi originari (questo accade spesso con gli ossidi). Nella figura di sotto è riportato il caso di

MgO s( )+ NiO s( )→ Mg1− xNixO SS( )

che porta alla formazione di una SS per un ampio intervallo di x, mantenendo la struttura tipica del NaCl in cui esiste un reticolo cubico compatto (ccp) di anioni ossigeno, i cui siti interstiziali ottaedrici sono occupati dai cationi metallici.

MgO NiO

Mg Ni O1-x x

Mg

Ni

++

++

Man mano che la reazione procede si formano all'interfaccia nuclei della soluzione solida che si accrescono, creando due nuove interfacce MgO/SS e NiO/SS. Affinché l'accrescimento dei nuclei sia possibile è necessario che esista un trasporto di massa dei reagenti attraverso lo strato che ha reagito, per garantire l'approvvigionamento dei reagenti in prossimità delle due nuove interfacce. Per far questo, visto che la diffusione avviene attraverso le vacanze, e visto che le vacanze cationiche negli ossidi sono molto più mobili quando i cationi sono più piccoli degli anioni, il meccanismo proposto implica una diffusione dei cationi Mg++ e Ni++ attraverso lo strato reagito in direzioni opposte. In questo ambito gli anioni ossigeno fanno solo da

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spettatori e la reazione globale avviene senza difficoltà ad una temperatura sufficientemente alta da innescare il processo diffusivo mediante la creazione di un numero sufficiente di vacanze. C'é anche da dire che la crescita della SS è policristallina, per cui la diffusione lungo i bordi di grano prende il sopravvento rispetto a quella di volume. La cosa importante da notare è che, poiché i due flussi di cationi nelle due direzioni opposte devono essere uguali per mantenere la elettroneutralità del solido, le due nuove interfacce avranno una distanza identica rispetto a quella originaria (meccanismo di Wagner). La situazione risulta più complessa quando il prodotto della reazione presenta una struttura differente rispetto ai reagenti. Un esempio molto studiato è quello riportato schematicamente di seguito.

MgO + Al2O3 ------> MgAl2O4 spinello

Aspetti strutturali Mg++ 0.72 Å Al+++ 0.54 Å O2- 1.40 Å MgO Mg++ occupa tutti i siti ottaedrici di un reticolo compatto cubico ccp di O2- Al2O3 Al+++ occupa 2/3 dei siti ottaedrici di un reticolo compatto esagonale hcp di O2-

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Trasformazioni di fase e reattività dei solidi 49

MgAl2O4 Al+++ occupa metà dei siti ottaedrici e Mg++ occupa 1/4 dei siti tetraedrici di un reticolo compatto cubico ccp di O2- per cui a seguito della reazione : reticolo hcp di O2- di Al2O3 ---> ccp Mg++ ottaedrico --> tetraedrico

Per questa reazione si possono immaginare i soliti due stadi successivi di nucleazione e crescita del prodotto: -Formazione di un nucleo di MgAl2O4 per far questo i cationi di Al3+ e Mg++ devono incontrarsi all'interfaccia e gli strati di ioni ossigeno devono essere modificati -Accrescimento del nucleo di MgAl2O4 : i cationi di Al3+ e Mg++ devono migrare attraverso le due nuove interfacce e lo strato in crescita di MgAl2O4. Nella figura riportata sopra sono evidenziate l'interfaccia originaria e la nascita delle due nuove interfacce. Lo studio sperimentale di questa reazione è stato condotto misurando lo spessore dello spinello prodotto (x) in funzione del tempo. E' stato ritrovato che la legge cinetica seguita è del tipo dxdt

= ′ k x

cioé una relazione parabolica del tipo

x2 ∝ kt ovvero x ∝ kt

come si dimostra riportando in grafico il quadrato dello spessore in funzione del tempo (vedi sotto). Questo significa che più spesso è lo strato di spinello, più lentamente tale strato cresce.

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Questa legge è quella che ci si aspetta per un processo limitato dalla diffusione degli ioni nello strato di prodotto di spessore crescente (vedi quanto abbiamo trovato studiando la 2° legge di Fick), il che dimostra che lo stadio lento è quello dell'accrescimento. La cosa interessante è che la velocità con cui si muovono le due nuove interfacce vanno secondo i rapporti x/4 e 3x/4 dove x è lo spessore cresciuto. Questo dato sperimentale è perfettamente d'accordo con il meccanismo di Wagner di controdiffusione dei cationi metallici secondo il quale, per mantenere il bilanciamento di carica, i flussi cationici sono nei rapporti: 2J

Mg++ = 3JAl3+

JMg++ =

3

2J

Al3+

La stechiometria delle reazioni interfacciali singole è in perfetto accordo con l'evidenza sperimentale dal momento che esse possono essere formulate come di seguito: interfaccia MgO/spinello 4 MgO + 2 Al3+ ----> MgAl2O4 + 3 Mg++ interfaccia Al2O3/spinello 3Mg++ + 4 Al2O3 ----> 3 MgAl2O4 + 2 Al3+ Reazione globale 4 MgO + 4 Al2O3 ----> 4 MgAl2O4

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per cui la prima reazione produce tre volte meno spinello rispetto alla seconda e di conseguenza la interfaccia Al2O3/spinello si muove ad una velocità tre volte maggiore rispetto all’altra interfaccia. Quanto abbiamo visto riguardava una reazione molto semplice in cui si formava un solo prodotto all'interfaccia. Quando la reazione genera più di un prodotto, il discorso diventa alquanto complesso e difficile da modellizzare (si è in un campo di alto empirismo), e rimangono pochi punti fermi. Uno di questi è relativo alla maggiore mobilità dei cationi rispetto agli anioni. Riguardo alla formazione dei prodotti, esistono due modelli che prevedono alternativamente la formazione di strati consecutivi dei prodotti all'interfaccia dei reagenti o la formazione di una struttura a mosaico che faciliti il trasporto ionico. Ad esempio, nel caso della reazione

AgCl + NaI--> AgI + NaCl il diagramma seguente mostra i percorsi ionici plausibili nel caso di una struttura a mosaico dei prodotti, assieme alle singole reazioni che procedono alle due interfacce.

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Reazioni all'interfase solido-gas. Vedremo ora brevemente di descrivere la classe di reazioni che va sotto il nome di reazioni di tarnish (imbrunimento) con cui si intendono le reazioni che avvengono tra un gas ed un solido con formazione di uno strato di prodotti solidi. Queste reazioni sono alla base delle tecniche chimiche di deposizione degli strati sottili (es. CVD, Chemical Vapour Deposition), di cui parlerete ampiamente durante i corsi di laboratorio. In questo contesto non entreremo nel dettaglio di queste tecniche ma parleremo dei principi generali di tali reazioni.

Se il film superficiale cresciuto è uniforme, la legge di crescita dello strato è quella tipica dettata dalla diffusione per una reazione limitata dal trasporto di materia attraverso uno strato di prodotti di spessore crescente, con la legge che abbiamo già visto del tipo x ∝ kt dove x è lo spessore cresciuto. Se invece lo strato non è uniforme la crescita può essere di tipo lineare x ∝ ′ k t per cui la velocità di crescita è costante. Questo è il caso per uno strato molto poroso che permetta la permeabilità del gas. Quando si ha a che fare con strati molto sottili si possono presentare deviazioni da queste due leggi limite, con relazioni di tipo cubico x3 ∝ t o logaritmico x ∝ ln t , dovute al fatto che la cinetica del processo chimico all'interfaccia può giocare un ruolo paragonabile a quello della diffusione. In questi casi possono avere anche importanza i potenziali elettrostatici che si sviluppano a seguito della dinamica dei difetti puntuali (vacanze), che finora abbiamo trascurato. Vediamo brevemente l'origine di tali potenziali elettrostatici. Consideriamo il caso di una reazione del tipo

solido gas

prodotto cresciuto

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M s( )+ X g( )→ MX(s,film sottile)

All'interfaccia film-gas, a causa dell'eccesso di X, si creano delle vacanze cationiche, che sono ionizzate in un difetto V-

M ed un buco elettronico h+ (la natura di queste buche elettroniche la vedrete l'anno prossimo quando studierete le proprietà elettroniche dei solidi). La concentrazione di tali vacanze diminuisce lungo il film per arrivare ad annullarsi all'interfaccia solido-film. Il flusso di vacanze dalla superficie esterna a quella interna corrisponde alla diffusione di atomi di M nella direzione opposta. In questo caso quindi la reazione avviene all'interfaccia esterna (questo è il modo usuale di crescita degli ossidi sui metalli). Come conseguenza c'é un flusso di particelle cariche nel film (V-

M e h+), che in condizioni di stato stazionario devono dare un flusso di corrente netta nullo. Ma poiché V-M e h+ possono avere mobilità nel solido diverse, questo fatto può procurare una separazione di carica con creazione di uno strato carico all'interno del film (charge layer, in genere di qualche diecina di Å di profondità). Quando lo strato cresciuto è molto sottile, il charge-layer può rappresentare una % non trascurabile dello strato complessivo e la sua influenza può far deviare la crescita dall'andamento parabolico.

M

X

MX

VM-

h+