Transitional Care - Apmar · caratteristiche di gravità, cronicità e potenziale ... Italiana di...

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Ottobre 2017 3

direttore responsabileGUIDO GENTILI

Allegato al numero 36del 10 ottobre 2017

reg. Trib. Milano n. 679 del 7/10/98

SOMMARIO

Il progetto 5

La scheda di pianificazione 9

Gli incontri Ecm 12

Il questionario conoscitivo 18

La “sperimentazione” 21

I contributi e le testimonianze 25

Conclusioni e Ringraziamenti 36

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N el novembre del 2014 la SocietàItaliana  per  la  Qualità  dell’Assi­stenza  Sanitaria  (SIQuAS­VRQ)organizzò un evento per discute­re con vari soggetti di un fenome­

no che pareva di interesse e cioè della transizio­ne di cura dei pazienti affetti da patologia cronicache dall’età pediatrica passano nell’età adulta.

Il  titolo usato per questo evento era “transi­tional  care”,  questi  termini  venivano  spessoutilizzati nella letteratura scientifica per identi­ficare il passaggio da un settng di cura ad un al­tro (ad esempio fra ospedale e territorio), nel corso di questo evento ed in successive occa­sioni si è cercato di limitare la confusione ter­minologica.

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Il  tracciante  dell’evento  era  rappresentato  daalcune domande chiave sulle quali  formare unragionamento.La prima era la seguente: quali sono le differenze fra un paziente adulto in cui insorge una patolo­gia cronica ed un adulto con patologia cronicapregressa, e cioè insorta in età pediatrica? L’ipo­tesi di  lavoro era rappresentata principalmenteda  una  differenza  nel  “significato”  che  assume l’intreccio fra la storia di malattia e la storia di vi­ta in una persona che ha già una lunga esperienza di contatto e confronto con i servizi ed i profes­sionisti sanitari nel momento in cui è un adulto.

Questo intreccio coinvolge numerosi attori: or­ganizzazioni sanitarie ed  i professionisti che vi operano,  pediatri  e  medici  di  famiglia,  serviziterritoriali,  contesti  sociali  ed,  ovviamente,  il paziente e la sua famiglia.Si viene così a determinare un fenomeno parti­colarmente complesso, e di conseguenza la se­conda domanda è stata: come comprendere unfenomeno complesso?Come  noto  la  complessità  non  può  essere“spiegata” ma per meglio comprenderla si puòprovare a “semplificarla” o, meglio, “scompor­la”  in parti,  avendo come riferimento modelli 

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sistemici che ne consentano la ricomposizione.Si  sono quindi utilizzate  le dimensioni del mi­glioramento della qualità in sanità proposte daDonabedian e cioè la qualità professionale, or­ganizzativa e relazionale.L’ultima domanda era molto indirizzata sull’indi­viduazione  di  modelli  operativi  ed  infatti  era:come gestire un fenomeno complesso?La qualità professionale diviene rilevante non soloper ciò che attiene alle competenze tecniche spe­cialistiche, che rappresenta un problema rilevantesoprattutto in caso di patologie rare, ma anche per le competenze “non tecniche” che vengono richiese ai professionisti, quali ad esempio l’ascol­to attivo e la capacità di lavoro in gruppo.La qualità organizzativa necessaria si articola suparole  chiave  come  “processi”  integrazione  ereti.Infine  la qualità  relazionale deve essere  intesanon come una generica “centralità del pazien­te”,  quanto piuttosto  sul  potenziamento delle competenze di pazienti esperti.L’impianto dell’evento vedeva tre momenti.In  modo  assolutamente  informale  sono  staticontattati, per portare la loro esperienza, setterelatori provenienti da cinque regioni differenti.Un secondo aspetto preso in considerazione èstato il punto di vista dei pazienti, espresso dadue associazioni. Infine hanno aderito otto enti e società scientifiche (di area pediatrica e del­l’adulto) che portavano il punto di vista dei pro­fessionisti.A seguito di questo evento i partecipanti hannopensato utile proseguire l’esperienza articolan­do una prima proposta di progetto che condivi­deva la seguente premessa.L’esigenza  di  assicurare  la  progettazione  e  lastrutturazione di percorsi di cura che assicuri­no una  corretta  transizione dall’età pediatricaall’età adulta nasce negli ultimi anni da due fe­nomeni:O un progressivo aumento di pazienti affetti dapatologie croniche in età adolescenziale: si consi­deri  infatti che circa  il 15­18% degli adolescenti(UNICEF, 2012) sono affetti da patologie croniche e circa 8­900.000 con una sola patologia, mentrecirca 100­150.000 con almeno due patologie;O una maggior durata di sopravvivenza dei bam­bini affetti da patologie croniche di varia originee/o  sintomatologia,  spesso di  tipo  sindromico,che ­ crescendo ­ richiedono di poter essere in­seriti in sistema assistenziale orientato all’adulto.Peraltro  la relativa prevalenza di  tali patologie

non  ha  fatto  sviluppare  adeguate  skills  nellecompetenze della medicina per  l’adulto;  la  ri­chiesta quindi di tali pazienti complessi e affettida disabilità trova nella struttura organizzativa,logistica e  scientifica dell’adulto gravi difficoltàad essere inserita.Ad  esempio  per  quanto  concerne  le malattierare,  definite  dalla  prevalenza  inferiore  ad  1: 2000 abitanti nella Comunità Europea e per le caratteristiche di gravità, cronicità e potenzialedisabilità, sono per la maggior parte di origine genetica ed insorgono in età pediatrica. La sto­ria naturale di molte di queste malattie si è si­gnificativamente modificata negli ultimi anni gra­zie al miglioramento delle conoscenze fisiopato­logiche,  alla  diagnosi  precoce e  ad un migliorapproccio  terapeutico;  l’aspettativa  di  vita  disoggetti affetti da malattie rare è quindi signifi­cativamente aumentata.Tuttavia, manca nei piani sanitari una progettua­lità  per  il  passaggio  dall’età  pediatrica  all’etàadulta dei soggetti affetti da malattie rare: i si­stemi  sanitari  devono  prevedere  modelli  cheassicurino efficaci  programmi di  transizione  ai pazienti pediatrici con malattie croniche e disa­bilità.Il ragionamento deve essere, tuttavia esteso ad altre  condizioni  cliniche  che  rappresentano  leprincipali  patologie  croniche  dell’adolescente:malattie  allergiche,  bronchite  cronica  disturbipsichiatrici, diabete, malattie cardiache, malattiereumatiche, etc.Per  quanto  concerne  l’ambito  socio­sanitario,nonostante gli studi specificamente dedicati al­l’argomento siano limitati, va considerato appli­cabile quanto più generalmente rilevato per  latransitional  care di  soggetti con patologia com­plessa. La letteratura mostra come la tipologiaassistenziale offerta nell’ambito pediatrico e  inquello dell’adulto sia profondamente differente.I due contesti, infatti, presuppongono l’accesso di  una  diversa  utenza:  il  paziente  pediatrico, considerato una “persona in divenire”, necessitadell’ausilio dei suoi familiari a livello clinico, cosìcome nel corso del processo decisionale; il pa­ziente adulto è invece ritenuto un individuo au­tonomo, indipendente, in grado di auto­gestirsi.Ciò che si osserva, quindi, è una notevole ete­rogeneità  di  trattamento  sia  in  relazione  allacondizione clinica, che in relazione alla sede diresidenza dei pazientiSulla  base di  queste  considerazioni  e  volendoprovare una modalità di progettazione parteci­

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pata che non fosse caratterizzata da una sola fi­nalità di ricerca, ma con l’obiettivo di proporreipotesi si  intervento operativo è stato definitoun primo impianto progettuale così articolato.Di notevole interesse risulta, in questo quadro il recente “Piano Nazionale della Cronici­tà”  che  nel  capitolo  E  affronta  il  tema  dellatransizione di cura nell’età evolutiva.Il progetto di seguito sintetizzato pare coerente con gli orientamenti delineati nel Piano.

IL PROGETTO

Dati  di  letteratura metto  in  correlazione  conefficaci modalità di transizione, fra le altre, duevariabili:O pianificare la transizione;O coinvolgere in tutte le fasi il paziente e la fa­miglia.Quindi  l’obbiettivo  principale  del  progetto  èquello di identificare le caratteristiche “vincen­ti” di modelli di transizione (dall’età pediatricaall’età adulta) in cui sia riconoscibili uno o en­trambi gli aspetti riferibili.Non riferendosi solo alle malattie rare, ma an­che  ad  altre  condizioni  patologiche  maggior­mente diffuse ma accomunate da tale condizio­ne, identificando modelli di tipo “organizzativo”adattabile a veri condizioni cliniche.Il programma dei  lavori si articola su tre ver­santi che procedono “in parallelo”:1. modellizzazione2. mappatura delle esperienze3. sperimentazione

La modellizzazione

Si prevede la costituzione di un Tavolo di Regiacol compito di formulare ipotesi di funzionamen­to e di requisiti di qualità di un “servizio transi­zione” indipendente dalle patologie trattate.Le ipotesi di lavoro vengono sottoposte ad unavalutazione critica del Comitato Tecnico Con­sultivo per valutarne la fattibilità e l’efficacia te­orica.

La mappatura delle esperienze

Si prevede di rendere disponibile una modalitàstrutturata di raccolta delle esperienze presentisul nostro territorio per mettere in comune ipunti di forza e di debolezza rilevati.

La sperimentazione

Vengono individuate alcune realtà regionali nel­le quali la parte istituzionale e la parte formati­

va  universitaria  si  rendano  disponibili  da  una parte a progettare modelli organizzativi concre­ti e dall’altra a definire modalità formative inno­vative.Per dar corso al progetto furono invitati ad unprimo incontro (l’invito è stato rivolto alle pre­sidenze nazionali degli enti e associazioni coin­volte  in occasione del citato primo evento) e con queste sulla base del seguente programmadell’incontro:O Condivisione della progettualità;O Programmazione delle attività;O Analisi  delle  esperienze  derivanti  dall’incon­tro pubblico dello scorso novembre 2014;O Analisi ed eventuale raccolta di modelli strut­turati In Italia e all’estero;O Individuazione degli elementi comuni e distin­tivi;O Individuazione di altri soggetti da coinvolgere;O Individuazione  prime  proposte  per  sedi  disperimentazione  –  elementi  da  considerare  eelementi di forza.Si formularono ipotesi di coinvolgimento di altri soggetti  che  nel  tempo  sono  cresciuti,  ed  al momento vede un “tavolo di regia” compo­sto da rappresentanti di:ASTRA – Associazione per la Salute nelle Tran­sizioni, ANMDO ­ Associazione Nazionale Me­dici di Direzione Ospedaliera AsIQUAS ­ Asso­ciazione Italiana per la Qualità delle Cure Sani­tarie e Sociali, CARD ­ Confederazione Asso­c iaz ione  Regional i   d i   Distretto,CITTADINANZA  ATTIVA,  FADOI  ­  Federa­zione delle Associazioni dei Dirigenti Ospeda­lieri  Internisti,  FNOMCeO  ­  Federazione Na­zionale  degli  Ordini  dei  Medici  Chirurghi  eOdontoiatri,  FOFI  ­  Federazione  Ordine  deiFarmacisti Italiani, FEDERAZIONE IPASVI ­ Fe­derazione Nazionale Collegi degli Infermieri, ISS –  Istituto Superiore di  Sanità,  SIMG ­ SocietàItaliana di Medicina Generale, SIMI ­ Società Ita­liana di Medicina Interna, SIP ­ Società Italiana di Pediatria,  Slow medicine, UNIAMO  ­  Federa­zione Italiana Malattie Rare Onlus, ACP ­ Asso­ciazione Culturale Pediatri, SIMA ­ Società Ita­liana di Medicina dell’Adolescenza, SIPPS ­ So­cietà  Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale,FIASO, Ministero della Salute, Agenas, Federsa­nità,  WONCA  Italia  (World  Organization  ofNational Colleges and Academies of Family Me­dicine/General  Practice),  FIMP  –  FederazioneItaliana Medici Pediatri, SICuPP – Società Italia­na delle Cure Primarie Pediatriche. O

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La scheda di pianificazione

P rimo compito di questo gruppo dilavoro  è  stato  quella  di  lavorareprioritariamente  sullamodellizza­zione.  formulando  ipotesi  di  fun­zionamento e di requisiti di qualità

di un “servizio  transizione”  indipendente dalle patologie trattate.In un paio di  incontri e utilizzando  il metododelphi è stata prodotta una scheda utile per lapianificazione della transizione.Questo documento è stato sottoposto  (in unworkshop ad hoc) ad una valutazione critica delComitato Tecnico Consultivo costituito daSocietà Scientifiche mediche e degli altri profes­sionisti  sanitari unitamente ad associazioni deipazienti al fine di valutarne la fattibilità e l’effica­cia teorica.Di questo Comitato fanno, al momento parte: AIEOP ­ Associazione Italiana di Ematologia ed Oncologia Pediatrica, AIN ­ Associazione Italia­na di Neuropatologia, AIPO ­ Associazione Ita­liana Pneumologi Ospedalieri, AMD ­ Associa­zione Medici Diabetologi, ANIED ­ Associazio­ne Nazionale  Infermieri Endocrinologia Diabe­tologica,  ANMCO  ­  Associazione  Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri, EDTNA­ERCA ­European Dialysis Transplant Nurses Associa­tion ­ European Renal Care Association, GITIC­ Gruppo Italiano Infermieri di Cardiologia, GI­SEA/OEG | Gruppo Italiano di Studio sulla Early Arthritis, OSDI ­ Operatori Sanitari di Diabeto­logia Italiani, S.I.Fi.R. ­ Società Italiana Fisiotera­

pia e Riabilitazione, SIC ­ Società Italiana di Car­diologia,  SICP  ­  Società  Italiana di CardiologiaPediatrica, SID ­ Società Italiana di Diabetologia,SIEDP ­ Società Italiana di Endocrinologia Pedia­trica, SIGU ­ Società Italiana di Genetica Umana, SIMFER  ­  Società  Italiana  di Medicina  Fisica  eRiabilitativa, SIMGEPED ­ Società Italiana Malat­tie Genetiche Pediatriche e Disabilità, SIMMESN­  Società  Italiana  per  le  malattie  metaboliche ereditarie e gli screening neonatali, SIN ­ Socie­tà Italiana di Nefrologia, SINCH ­ Società Italia­na di Neurochirurgia, SIP / IRS ­ Società Italianadi Pneumologia, SIR ­ Società Italiana di Reuma­tologia, SITE ­ Società Scientifica per le Emoglo­binopatie, SIFC ­ Società  italiana per  lo studiodella Fibrosi Cistica, AICCA Onlus ­ Associazio­ne Italiana Cardiopatici Congeniti Adulti, AIG ­associazioni italiana glicogenosi, AIP Associazio­ne Immunodeficienze Primitive, AIOM – Asso­ciazione Italiana Oncologia Medica, Lega Italianaper  la  fibrosa  cistica,  APMAR  ­  Associazione Persone con Malattie Reumatiche, SIMRI ­ So­cietà Italiana per le Malattie Respiratorie InfantiliQuesto comitato, sempre utilizzando il metododelhi, ha arricchito lo strumento.In sostanza nel corso di quattro incontri ed uti­lizzando il metodo delphi è stato prodotto undocumento composto da nove aree tematichearticolate in più di settanta item che consente di tenere presenti tutti gli elementi utili per ef­fettuare la pianificazione di numerose condizio­ni cliniche:

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Check­list di pianificazione della transizione

patologia/condizione clinica: ………………………………

1. Ambito di applicazione1.1. tipologia di pazienti/patologia1.2. Premessa epidemiologica (dimensione del fenomeno)1.3. organizzazioni/strutture coinvolte

2. Criteri motivati di esclusione del paziente dal piano di transizione "standard"2.1. condizioni del paziente e/o familiari e/o ambientali che possono costituire motivo di esclusione2.2. Mancato completamento del PDTA2.3. Basso/nullo livello di rischio di comorbilità tardive correlate alla patologia di base

3. Criteri motivati di inclusione dei pazienti (correlati alla patologia di base):3.1. Età di inizio della fase di transizione3.2. Sviluppo cognitivo/relazionale comportamentale3.3. Sviluppo antropometrico/somatico3.4. condizioni di fragilità* [inserire voce di glossario]3.5. Stato di attuazione del percorso diagnostico­terapeutico­assistenziale (PDTA)3.6. Grado di autonomia del paziente/caregiver nella gestione della patologia

4. Informazioni cliniche ­ sociali – assistenziali necessarie per la transizione:4.1. problemi clinici attivi/non attivi e relativi piani di cura4.2. presenza di patologie concomitanti e/o correlate4.3. condizioni psicologico/cliniche del paziente e del nucleo famigliare4.4. aspetti legati alla fertilità/sessualità4.5. stato vaccinale4.6. parametri di attenzione in condizioni di urgenza4.7. caratteristiche del follow up4.8. utilizzo di presidi/ausili/piani terapeutici4.9. bisogni riabilitativi che necessitano di interventi fisioterapici, logopedici, cognitivi, neuropsicomotori, occu­

pazionali4.9.1 livello di adeguatezza del paziente e/o del caregiver nell’attuazione del progetto riabilitativo personalizzato4.9.2 frequenza e durata degli interventi riabilitativi

4.10. bisogni assistenziali ed educativi che necessitano di interventi infermieristici specialistici4.10.1. livello di adeguatezza alla cura di sé4.10.2. livello di adeguatezza del paziente e/o del caregiver all’attuazione del piano assistenziale4.10.3. frequenza e durata degli interventi assistenziali addestrativi ed educativi

4.11. fragilità/risorse sociali e previdenziali (da utilizzare sulla base di scheda complessità)4.11.1. rete familiare, informale e istituzionale4.11.2. abitazione/territorio4.11.3. condizioni economiche e diritti esigibili4.11.4. forme di tutela4.11.5. altre fragilità/risorse

4.12. etnia cultura valori

5. Modalità organizzative della transizione:5.1. professionisti coinvolti5.2. presenza di gruppo di professionisti dedicato alla transizione5.3. presenza del case manager della transizione5.4. descrizione dei compiti dei professionisti (es. modalità di conduzione delle visite multidisciplinari/multipro­

fessionali)5.5. definizione del layout (ambulatori, DH, sistema dell’emergenza, ecc.)5.6. tempistica: ad es. numero di incontri delle equipe, numero di visite multidisciplinari, ecc.5.7. continuità documentale (supporti utilizzati: ad es. documentazione, schede, supporti informatici, ICF, ecc.)5.8. presenza di strumenti di valutazione dell’aderenza e del dropout5.9. strumenti e metodi per l’autogestione della patologia5.10. Modalità di gestione dell’emergenza organizzativa

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6. Criteri di individuazione del centro verso cui transitare:6.1. professionali6.2. logistici6.3. rete dei Presidi Sanitari territoriali presenti (Centri Specialistici di riferimento per patologia rispetto a

MMG, Pediatra cure primarie, Farmacia territoriale)

7. Ruolo del paziente ­ della famiglia ­ delle associazioni (di pazienti, sportive, culturali, ecc.)7.1. ruolo nel coinvolgimento del territorio7.2. presenza di strumenti di comunicazione e informazione, sincronizzati/allineati con Presidi Sanitari territo­

riali (MMG, Pediatra cure primarie, territoriale7.3. modalità di partecipazione alla pianificazione7.4. presenza di strumenti di valutazione dell’aderenza al percorso di cura e del drop­out7.5. strumenti e metodi per l’autogestione della patologia in abito familiare/domiciliare

8. Modalità di coinvolgimento del territorio:8.1. Pediatra Cure Primarie8.2. MMG8.3. infermieri di famiglia/cure domiciliari8.4. strutture specialistiche di riferimento8.5. servizi sanitari territoriali (Psichiatria, NPI, consultorio, psicologia, SERT, riabilitazione, territoriale, servizi

di continuità assistenziale)8.6. scuola/lavoro, associazioni ricreative8.7. servizi sociali territoriali8.8. terzo settore (lo definirei altro) (associazioni, onlus, gruppi spontanei, aggregazioni di tipo religioso, ecc.)

9. Modalità di monitoraggio e valutazione di risultato9.1. Indicatori di processo e di risultato9.2. Indicatori di esito per specifica area nosologica9.3. Valutazione dell’aderenza e persistenza del percorso di cura (strettamente terapeutico, ma non solo), at­

traverso attivazione di canali comunicativi preferenziali e pre­stabiliti tra Specialisti del Centro di Riferimento perpatologia, MMG e territoriale

9.4. Valutazione della soddisfazione del paziente e famiglia9.5. Standard di qualità9.6. Valutazione dei costi intesa come differenza di impegno di risorse9.7. Valutazione della soddisfazione dei professionisti coinvolti

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Gli incontri ECM

Il progetto è proseguito anche sul filone della mappatura delle esperienzeDi concerto con i partecipanti al progetto in occasione di due eventi, uno a Bari con la presenta­zione di nove esperienze ed uno a Torino con ulteriori otto esperienze sono state raccolti alcunicasi di studio.

BARI, 27 Novembre 2015

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TORINO, 15 Dicembre 2015

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MILANO, 27 Ottobre 2016Vale la pena di sottolineare che in occasione dell’ultimo workshop tenuto a Milano lo 27 ottobre2016, a dimostrazione che filoni di attività procedono in parallelo e si integrano costantemente, lo strumento di pianificazione è stato utilizzato per analizzare le tre esperienze presentate (relative all’oncologia, la diabetologia e le malattie rare) consentendone di individuare punti di forza e di de­bolezza. O

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Il questionario conoscitivo

D el resto, non solo nel nostro pa­ese, ma anche  in altre realtà  in­ternazionali emerge il dato di unascarsa conoscenza del fenomenoper questo motivo si è ritenuto

utile una sorta di “fotografia” di ciò che attual­mente accade nelle realtà territoriali.Non era quindi sufficiente pensare di organizza­re  ulteriori momenti  di  incontro,  e  pertanto,utilizzando  lo  stesso metodo  di  lavoro  citato poc’anzi è stato anche prodotto un questiona­rio  per  raccogliere,  in modalità  strutturata  leesperienze  presenti  sul  nostro  territorio  permettere in comune i punti di forza e di debo­lezza  rilevati  favorendo,  grazie alle  attività del Tavolo di Regia e del Comitato tecnico Consul­tivo sinergie fra territori e comunità di pratica.Il questionario conoscitivo sulla TC è finalizzatoa raccogliere informazioni sulla situazione attua­le della gestione della TC sul territorio italiano:esso  è  dunque  uno  strumento  per  realizzarequella che il gruppo di regia della TC ha definito “mappatura delle esperienze”.Esso  è  inoltre  uno  strumento  formativo,  inquanto consente di diffondere informazioni sul­la TC.

I dati  che esso consentirà di  raccogliere con­sentiranno  in  dettaglio  di  sapere  le  principali condizioni cliniche per le quali la TC è assicura­ta, gli strumenti che vengono utilizzati, il gradoe la tipologia di coinvolgimento di pazienti e fa­miglie nonché delle associazioni che  li rappre­sentano, i professionisti coinvolti, l’esistenza di PDTA o di  sistemi di  valutazione dell’efficacia della transizione.Tali informazioni costituiranno una base di rife­rimento per la realizzazione di un modello con­diviso di TC.Il  questionario  è  indirizzato  a  responsabili  eoperatori di  settori disciplinari  in cui  la TC èappropriata: il target è rappresentato da iscrittialle  società  scientifiche,  direzioni  sanitarie  diospedali  e  ASL,  direzioni  distrettuali,  MMG, PLS, educatori, assistenti, infermieri e altre figu­re  professionali  che  operano  nelle  strutturecoinvolte nel processo della TC.Il questionario può essere compilato dalle singolepersone individuali o dalla struttura assistenziale, associazione o società nel suo complesso.Il gruppo di regia si riserva di stabilire la moda­lità più appropriata per la conduzione dell’inda­gine e l’analisi dei dati. O

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PARTE A

IDENTIFICAZIONE DELLA STRUTTURA (UO, DIPARTIMENTO, DIREZIONI DISTRETTUALI, REPAR­TO, SEZIONE, AMBULATORIO, SOCIETÀ SCIENTIFICA, ASSOCIAZIONE)

O Denominazione:Persona individuale:Struttura assistenziale, Società scientifica, Associazione:

O Responsabile della struttura o dell’associazione o della Società scientificaO N. operatori che lavorano nella struttura distinti per categoria professionale

O Tipologia di malattie principali (gestite o rappresentate dai componenti)

O Numero di pazienti che afferiscono alla struttura

O Tipo di struttura assistenzialeOspedale aziendaleOspedale di ASLClinica UniversitariaIRCCSCasa di cura privata (convenzionata/non convenzionata)Altro (specificare): ­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­

O Ambulatorio (MMG, PLS, specialistico territoriale)

O Sede (regione, provincia, città)

O Referente per il progetto TC (dati anagrafici, mail, recapiti)

PARTE B

QUESTIONARIO

1. Conosce il significato dell’espressione "Transitional Care"?SINO

2. Se SI, può darne una descrizione sintetica?­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­

­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­

3. Se NO, è consapevole del fatto che alcuni pazienti durante la transizione dall’età pediatrica all’età adulta posso­no richiedere una modificazione del proprio contesto assistenziale ed essere indirizzati ad altra unità di cura diffe­rente da quella in cui sono stati seguiti in età pediatrica? SI/NO

4. Nella UO o nel Dipartimento in cui lavora, sono svolte attività di TC? SI/NO

5. Lei è personalmente coinvolto in attività di TC?

6. Nella UO o nel Dipartimento in cui lavora, esiste un protocollo condiviso per l’avvio di attività di TC? SI/NO

7. In base alla sua esperienza, è necessario introdurre nella struttura in cui lavora un progetto per attivare la TC?SI/NO

8. Se esiste un protocollo condiviso (risposta SI alla domanda 6), chi ha partecipato alla redazione dello stesso?a. Specialisti della disciplina pediatrica di provenienza del paziente SI/NO

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b. Specialisti della disciplina verso cui transita il paziente SI/NOc. Direziona sanitaria /direzione generale SI/NOd. Associazioni di cittadini in rappresentanza di pazienti e famiglie SI/NOe. Pediatri di famiglia SI/NOf. Medici di famiglia SI/NOg. Strutture/UO extra ospedaliere (specificare) SI/NOh. Società scientifiche SI/NOi. Ordini professionali /SI/NOl. Altro (specificare)_________

9. A suo parere, quali sono i principali ostacoli alla realizzazione di programmi di TC?a. Scarsa attenzione o formazione degli specialisti di provenienza del paziente SI/NOb. Scarsa attenzione o formazione degli specialisti vero cui transitano i pazienti SI/NOc. Resistenza dei pazienti e delle famiglie a cambiare i propri referenti di fiducia SI/NOd. Mancanza di protocolli condivisi SI/NOe. Mancanza di una formazione specifica degli operatori SI/NOf. Mancanza di una informazione e di un coinvolgimento adeguato di pazienti e famiglie SI/NOg. Altro (specificare)

10. A suo parere, quali sono le strategie più efficaci per attivare programmi condivisi e sistematici di TC?a. Migliorare la formazione degli operatori SI/NOb. Sperimentare protocolli pilota SI/NOc. Coinvolgere pazienti e famiglie nelle attività di pianificazione e formazione SI/NOd. Coinvolgere le istituzioni (direzioni strategiche, assessorati, agenzie regionali sanità) SI/NOe. Coinvolgere gli ordini professionali SI/NOf. Coinvolgere le società scientifiche SI/NOg. Altro (specificare)

11. A suo parere, quali dei seguenti obiettivi dovrebbero essere raggiunti nell’ambito di un progetto di TC?a. Ridurre la durata delle degenze ospedaliere SI/NOb. Migliorare la efficacia delle cure SI/NOc. Migliorare l’efficienza d’uso delle risorse sanitarie SI/NOd. Migliorare il rapporto sicurezza/rischi per i pazienti SI/NOe. Migliorare la soddisfazione dei pazienti e delle famiglie per la qualità delle cure SI/NOf. Mettere il paziente e la famiglia al centro del percorso di cura SI/NOg. Migliorare la soddisfazione degli operatori coinvolti nel processo di cura SI/NOh. Fornire un supporto psicologico al paziente e alle famiglie SI/NOi. Migliorare l’equità nell’accesso alle cure SI/NOl. Consentire di creare una rete di continuità delle cure fra ospedali e territoriom. Migliorare la gestione dei sintomi delle malattie

Il questionario verrà reso disponibile sui siti  istituzionali dei componenti il tavolo di regia ed in particolare daFNOMCeO, FEDERAZIONE IPASVI e FOFI al fine di raccogliere quante più informazioni possibili.

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La “sperimentazione”

R iteniamo utile, in parallelo alle atti­vità di produzione di strumenti ve­rificarne  nel  concreto  l’utilità  intermini di miglioramento della qua­lità della cura.

In alcune realtà regionali abbiamo raccolto la di­sponibilità  alla  collaborazione  configurandosicosì come sedi di "sperimentazione" che possa­no da una parte fornire informazioni utili alla ri­modulazione degli strumenti che via via verran­no prodotti, e dall’altra di progettarne di nuovi.Al momento le regioni coinvolte sono la Puglia,le Marche ed il Piemonte.In  queste  regioni  contribuiscono  sia  la  parte istituzionale (Assessorato o Agenzia Regionale) 

per ciò che attiene la parte organizzativa che laparte formativa universitaria (Scuola di Medici­na) per definire modalità  formative  innovative che coinvolgano congiuntamente le varie figure professionali interessate nel processo di cura.Il Piemonte in particolare vede un ruolo di par­ticolare interesse all’interno della Città della Sa­lute e della Scienza di Torino, poiché sono pre­senti  numerosi  ambiti  di  cura  interessati  edinoltre vi è una  forte presenza della scuola di Medicina, configurandosi quindi come un vero eproprio "laboratorio".Il progetto ha visto un momento di particolare in­teresse lo scorso 15 dicembre con la presentazio­ne del progetto presso l’Istituto Superiore di Sanità.

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In quell’occasione sono state prese due decisioni molto rilevanti: per dar seguito al progetto ga­rantendo uniformità di comportamento nelle se­di di sperimentazione si è concordato di stipulare un protocollo d’intesa fra le tre regioni, nelle fi­gure istituzionali regionale coinvolte (Assessorati o Agenzie e Atenei), l’Istituto Superiore di Sanità e le altre istituzioni e associazioni coinvolte indi­viduando  fra queste un  "portavoce"  in ASTRA(Associazione per la Salute nelle Transizioni).La seconda decisione è stata quella di individua­re le prime quattro aree nosologiche che saran­no oggetto di sperimentazione nelle tre regioni.Quanto sin’ora riportato rappresenta  la primafase  progettuale,  descriviamo  di  seguito  quali saranno i prossimi passi

FASE 2

L’ambito di interesse principale nella prima faseprogettuale è stato quello del versante organiz­zato.Il lavoro su questo fronte proseguirà mettendo in  atto  una  serie  di  azioni,  occorre  precisareperò che questa  fase e  la  fase 3 non sono daconsiderare  come  consequenziali,  in  quantoprocederanno parallelamente.2.1. Innanzitutto è chiarito che le tre regioni par­teciperanno per tutte le aree nosologiche indivi­duate che sono quella oncologica, diabetologia,delle malattie rare e delle malattie respiratorieDefinendo così una  sorta di matrice di  speri­mentazione

Oncologia Diabetologia Malattie rare (*) Malattie respiratorie (*)

Marche Si Si Si Si

Piemonte Si Si Si Si

Puglia Si Si Si Si

Rappresenta un elemento determinante il ruolo delle società scientifiche e delle associazioni dipazienti per almeno tre aspetti:O definire  meglio  le  aree  contrassegnate  dal­l’asterisco (*);O contribuire  fattivamente  anche  attraversol’attivazione (ove presenti) delle sezioni regio­nali;

O proseguire la ricerca di letteratura sulle espe­rienze presenti (nazionali ed internazionali)A queste aree si sono aggiunte la Fibrosi Cisticain Lazio e Sardegna: occorre verificare se parte­ciperanno anche le Regioni Interessate.Hanno dimostrato interesse anche l’area nefro­logica e reumatologica.In sostanza il quadro attuale risulta essere:

Oncologia Diabetologia Malattie rare (*)Malattie 

respiratorie (*)Reumatologia Nefrologia

Marche Si Si Si Si    

Piemonte Si Si Si Si    

Puglia Si Si Si Si    

Lo  strumento  maggiormente  utilizzato  sarà  il modello di pianificazione.Dall’utilizzo in modo "teorico" di questo modello è emersa  la necessità di definire chiaramente  imodi, i tempi e gli attori coinvolti. Appare utile prevedere momenti "strutturati" di presa in cari­co di questi pazienti con modalità multiprofessio­nali ed interdisciplinari. Che si potrebbe configu­rare in un vero e proprio "Gruppo di Transizione".Un secondo aspetto emerso è  la necessità diprevedere una sorta di "Servizio di Transizione"che assicuri un  raccordo organizzativo  spessonon definito.2.2.  Infine  occorrerà  produrre  documenti  ed 

azioni coerenti  con quanto previsto dal Piano Nazionale  delle  Cronicità,  e  questo  sarà  uno dei compiti principali del Tavolo di Regia, che dovrà anche farsi carico di proseguire la ricercadi letteratura circa modelli attuati ma non rela­tivi a specifiche condizioni cliniche.Infine il tavolo di regia dovrà assicurare il rac­cordo fra i tra cardini della prima fase proget­tuale:modellizzazione, mappatura, sperimentazione.Le tre regioni,  insieme all’Istituto Superiore diSanità  ed  ASTRA  stipuleranno  un  protocollo d’intesa per assicurare omogeneità nella speri­mentazione.

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ASTRA attraverso forme di associazionismo re­ciproco, ovvero altre forme prevista dei rispet­tivi statuti, assicurerà la presenza di tutti i part­ner nel protocollo d’intesa.Questo approccio, tuttavia non potrà ottenere irisultati attesi se non vengono attivati altri duefiloni di attività, che congruentemente all’impian­to complessivo del progetto devono viaggiare di pari passo influenzandosi reciprocamente.2.3. Il primo filone è quello della formazione.In  questo  caso,  anche  avvalendosi  di  quantoemergerà dall’analisi dei dati forniti dai questio­nari, occorrerà progettare e mettere in essereattività formative specifiche ed innovative rivol­te prevalentemente a professionisti in formazio­ne.  Le  Scuole di Medicina  giocheranno quindiun ruolo fondamentale.Occorre prevedere però anche  l’attuazione diinterventi  formativi  rivolti  ai  professionisti  giàpresenti nelle organizzazioni sanitarie.2.4. Il secondo è poi il  filone forse più impor­tante ed è quello del "coinvolgimento" dei pa­zienti,  dei  genitori  e  della  comunità  e  verràtrattato più ampiamente nella "fase 3".Certamente il coinvolgimento di associazioni escuole rappresenta un obiettivo rilevante, tutta­via  non  sufficiente  considerando  la  differentecomplessità delle patologie trattare ed i diversimodelli culturali e sociali delle tre regioni.Occorre quindi  prevedere  attività di  "ricerca­intervento" attingendo ad altri approcci di co­noscenza

FASE 3

Costruire insieme i percorsi di cura. Il coinvol­gimento dei pazienti e della loro rete sociale esanitariaNell’ambito di questa fase progettuale sono quat­tro i riferimenti teorici indispensabili per orienta­re la predisposizione di un piano di ricerca­inter­vento che sia in grado al contempo di includere ed integrare le necessità organizzative con il pun­to di vista dei pazienti e dei loro caregiver.3.1.  Innanzitutto,  la  doppia  centralità  dei  sog­getti verso  i quali è rivolto  l’intervento di ac­compagnamento alla transizione. Si tratta di unacentralità duplice  in quanto declinata  secondo la prospettiva dei Childhood Studies, della Di­chiarazione dell’ONU del 1989 (Carta dei Di­ritti dei bambini e delle bambine, dei ragazzi edelle  ragazze)  e  delle  Carte  successive  (es.:Strasburgo, 1996), che considerano tutti i sog­getti di minore età aventi diritti soggettivi, tra

cui il diritto alla salute, il diritto all’ascolto, il di­ritto a esprimere opinioni proprie e il diritto al­la  partecipazione  attiva  a  tutti  i  procedimentiche  li  riguardano,  secondo  modalità  adeguate all’età. La centralità di questi soggetti si declinainoltre secondo la prospettiva dell’umanizzazio­ne  delle  cure  e  della  partecipazione  attiva  diogni paziente, riconosciuto nella sua unicità, ai percorsi di diagnosi e cura.3.2. In secondo luogo, nel presente progetto ri­sulta centrale il concetto di "transizione" intesa come processo di lungo periodo e non come at­to o evento di breve o medio periodo. In parti­colare, per i ragazzi e le ragazze affetti da pato­logie croniche il processo di transizione è costi­tuito dall’intreccio di elementi di natura oggetti­va (aspetti clinici della patologia, organizzazione sanitaria in cui essi sono inseriti e in cui verran­no inseriti, forza economica, culturale e sociale delle famiglie e delle reti di appartenenza, ecc.) e di natura soggettiva (età, genere, caratteristichepsicologiche, ecc.) che ne influenzano profonda­mente le caratteristiche e l’andamento. Si trattadi un intreccio complesso i cui elementi distintivi ed  evoluzioni  possono  non  essere  immediata­mente coglibili. Le transizioni dall’età pediatrica aquella adulta richiedono, infatti, di tenere contodelle  particolari  caratteristiche  psicologiche  e sociali degli adolescenti, così come delle peculia­rità delle loro esperienze di malattia e del river­bero che esse esercitano sullo sviluppo.3.3. In terzo luogo, è necessario tenere in con­siderazione  la  rilevanza della dimensione  tem­porale riguardante la malattia percepita dai pa­zienti e dagli appartenenti alle loro reti. Lo stu­dio delle transizioni che riguardano i pazienti af­fetti da malattie croniche opera  in contesti divita caratterizzati da dimensioni  temporali pe­culiari  che  potremmo  definire  ad  "orizzonteaperto", nel senso che, ad esclusione di alcune patologie oncologiche, non presumono remis­sione. Le transizioni, quindi, non prevedono la"chiusura" dell’orizzonte temporale nel quale sisvolge  l’esperienza di malattia e ciò, come di­mostrano gli  studi  sulla cronicità, deve essere tenuto  in  debita  considerazione  in  quanto orienta  il senso di sé sviluppato dai pazienti econnota il rapporto con i servizi di salute.3.4. In quarto e ultimo luogo, è necessario rife­rirsi alla prospettiva secondo la quale le relazioni terapeutiche e i percorsi di diagnosi e di cura so­no sempre co­costruiti sulla base di strutture re­lazionali tutt’altro che diadiche, in quanto preve­

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dono la presenza di molteplici attori, presenti oevocati nei luoghi della cura (pazienti, caregiver, ­frequentemente i genitori, ma non solo – reti pa­rentali e amicali, personale  sanitario e ammini­strativo dei servizi per la salute, ecc.) che ne in­fluenzano le caratteristiche. Si tratta di attori tut­ti concorrenti nel costruire e influenzare le rap­presentazioni dello stato di salute e di malattia dei pazienti, in quanto pazienti e in quanto adole­scenti;  le  rappresentazioni del percorso di dia­gnosi, di cura, di gestione delle patologie; il sensodi sé, l’identità sociale e individuale, la "carriera" di paziente; ancora,  lo status di paziente come status dominante o secondario e  lo sviluppo omeno dell’autonomia e dell’empowerment.A partire da queste considerazioni di carattereteorico,  si  ritiene  che  la  ricerca­intervento  sisviluppi secondo linee metodologiche e utilizzitecniche di rilevazione e di intervento che ten­gano in considerazione non soltanto la dimen­sione organizzativa (oggetto delle fasi 1 e 2 ­), ma  anche  delle  dimensioni  individuali,  sociali, relazionali  riguardanti  i pazienti e  le  loro reti.Tutte queste dimensioni, infatti, sono indispen­sabili per l’individuazione di quegli elementi, ca­ratterizzanti  le  transizioni  dall’età  pediatrica  aquella adulta in presenza di cronicità, che guide­ranno  la  strutturazione  dei  modelli  operativi,scopo ultimo del presente lavoro.Nell’ottica del rispetto della centralità attiva edella  partecipazione  consapevole  dei  giovanipazienti e delle loro reti nella costruzione deipercorsi di cura e di gestione delle patologie,

la  ricerca­intervento  si  propone  di  utilizzaremodalità "partecipate" di rilevazione dei dati edi validazione dei modelli, per ciascuna patolo­gia indagata e per ciascun contesto sottopostoa  indagine.  Ciò  avverrà  principalmente  utiliz­zando strumenti e tecniche di carattere quali­tativo (osservazione partecipante, focus group,focus group delphi, interviste semi­strutturate, vignettes,  mappe  corporee  e  relazionali,  co­struzione di storie collettive, narrazioni di sto­rie di malattia).  In tal modo verranno raccolti gli elementi costitutivi dei nuclei delle rappre­sentazioni sociali riguardanti  la malattia,  i per­corsi di cura, la gestione delle transizioni, utilicome "elementi guida",  in modo che i modellida validare siano costruiti con il contributo di­retto di tutti gli attori – pazienti caregiver, per­sonale sanitario – che popolano le "scene della cura".Si tratta, in sintesi, di adottare un’ottica inclusi­va sia nella rilevazione dei dati, sia nella valida­zione  dei  modelli,  promuovendo  in  tal  modol’autonomia  e  l’empowerment  dei  pazienti  e delle loro reti già nella fase di progettazione dei servizi di cura.

FASE 4

Definiremo questa fase come fase di "raccordo"per meglio chiarire che non sarà successiva alle precedenti, ma che avrà la funzione di rendere omogenei i vari interventi, modelli e strumenti.Con la sola finalità di sintesi viene proposto unaschema di lettura

AttivitàPianificazione

(versante organizzativo)Coinvolgimento dei pazienti

e della loro rete sociale

Ricognizione della letteratura Prosegue Approfondimento

Mappatura Utilizzo del questionario  

Rilevazione situazione attualeUtilizzo del modello di pianificazione per analisi di processo

Rilevazioni con i pazienti, le loro reti, i loro principalicare giver e i loro sanitari

Analisi dei dati Sintesi degli elementi emersi

Costruzione dei modelli Proposte di modelli e strumenti operativi

Sperimentazione Prosegue l’applicazione di quanto progettato

ValidazioneCon tutti i soggetti coinvolti (istituzioni, società scientifiche, associazioni di pazienti, con i pazienti professionisti della salute

Risultati attesiL’articolazione del progetto prevede una scan­sione temporale di tre anni.L’attenzione  principale  sarà  verso  le  aree  di sperimentazione per le quali si ritiene di otte­nere modelli operativi specifici e testati.

Inoltre si prevede di disporre di moduli forma­tivi per i professionisti in formazione e già ope­ranti nelle organizzazioni sanitarie.La  pubblicazione  della  ricerca  sia  in  forma  dimateriale  scientifico  che  divulgativo  sarà  unodegli obiettivi principali del lavoro. O

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Ottobre 2017 25

I contributi e le testimonianze

FNOMCeO – Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi

Il progetto Transitional Care vuole affrontare i problemi dell’assistenza sanitaria per i pazienti affetti da patologiacronica nel periodo della loro vita in cui passano dall’età pediatrica all’età adulta.

La maggior sopravvivenza dei bambini affetti da patologie croniche, e il loro aumento progressivo, richiede chequesti pazienti ad un certo punto siano inseriti e curati nel sistema assistenziale dell’adulto. Ma la scarsa prevalenzadi tali patologie (pensiamo alle malattie rare o a certi tumori) ha da un lato disincentivato la definizione di percorsidi cura strutturati, dall’altro ha frenato lo sviluppo delle competenze tra i medici degli adulti, per cui, per esempio,una alta quota dei malati adulti di fibrosi cistica è curato in reparti pediatrici o misti, oppure le persone operate neiprimi anni di vita per cardiopatie congenite continuano ad essere seguite dalle cardiochirurgie infantili.

Un secondo aspetto critico è l’età della transizione: gli adolescenti hanno caratteristiche molto diverse dai bambi­ni e dagli adulti; l’adolescente si sta costruendo la propria identità, differenziandosi contemporaneamente da quelloche è stato e dai modelli adulto­genitoriali, instaura relazioni diverse e si sente parte di nuovi gruppi di riferimento.

La motivazione alla cura e a uno stile di vita corretto diminuisce o cambia proprio quando il ragazzo diventa l’in­terlocutore privilegiato dell’incontro medico­paziente.

L’obiettivo principale del progetto è dunque identificare le caratteristiche migliori di modelli di transizione strut­turati dal punto di vista dell’organizzazione sanitaria e nei quali vi sia un forte coinvolgimento del paziente e della fa­miglia.

La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri si è coinvolta con interesse in questoprogetto di grande portata che risponde ad un problema di salute reale, ritenendo di poter dare il proprio contribu­to su più piani.

Innanzitutto su quello deontologico, ricordando come l’articolo 32 del codice di deontologia medica richiami idoveri di tutela del medico nei confronti delle persone in condizione di vulnerabilità o fragilità psico­fisica.

In secondo luogo offre le proprie competenze formative perché sia garantita la qualità professionale, non soloper ciò che attiene alle competenze tecniche specialistiche, un problema comunque rilevante soprattutto in caso dipatologie rare, ma anche per le competenze relazionali che vengono richieste ai professionisti, quali ad esempio l’ascolto, la comunicazione e la capacità di lavoro in gruppo.

Gli Ordini infine possono favorire l’informazione e l’azione di rete, organizzando nei loro territori l’integrazionedelle attività dei diversi professionisti e il rispetto delle reciproche competenze tecniche. Il progetto della transitio­nal care è infatti un intreccio che coinvolge, intorno al paziente e alla sua famiglia numerosi attori: organizzazioni sa­nitarie ed i professionisti che vi operano, pediatri e medici di famiglia, servizi territoriali, contesti sociali. Gli Ordini,organo ausiliario dello Stato, sono anche la casa dei medici e degli odontoiatri e la naturale sede del loro coordina­mento interprofessionale.

Guido Giustetto, Presidente OMCeO Torino e componente Comitato Centrale FNOMCeORoberta Chersevani, Presidente FNOMCeO

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Ottobre 201726

IPASVI – Federazione Nazionale Collegi Infermieri

Nella definizione fornita dalla Society for Adolescent Medicine (1993) ci si riferisce alla transizione come "the purpo­seful, planned movement of adolescent and young adults with chronic physical and medical conditions from child­centered to adult­oriented health care systems" (Viner 1999: 271). I punti chiave sono: l'intenzionalità e pianifi­cazione del passaggio, il fatto che i soggetti del passaggio siano gli adolescenti e i giovani, la presenza di condizioni di malattia croniche. 

Davies, Rennick e Majnemer (2011) focalizzano, piuttosto, l'attenzione sul fatto che la transizione debba iniziarepresto e sull'azione del team multidisciplinare. In particolare, evidenziano l'impegno che esso deve mettere aservizio della famiglia per la valutazione, la pianificazione e la gestione degli interventi. 

Selicorni (2010), invece, distingue tra "visione minimale" e "visione completa" della transizione. Definisce la primacome "trasferimento più o meno preparato e guidato a referenti clinici dell'età adulta" e la seconda come "processo di adozione graduale di nuovi ruoli, nuove esperienze, sensibilità, prospettive di vita per la persona […] e la sua fa­miglia" (Selicorni 2010: 33). 

La distinzione fondamentale che si rinviene nelle due visioni è tra trasferimento e transizione. L'obiettivo acui si deve cercare di puntare è, ovviamente, la transizione; il trasferimento è visto solo come una parte del più am­pio processo di transizione. 

L'obiettivo è quello di strutturare la rete delle cure in modo che ci sia un continuum assistenziale sia dal puntodi vista gerarchico­piramidale (diversi livelli di assistenza e diversi sistemi di cura) sia dal punto di vista delle col­laborazioni orizzontali (reti familiari e sociali).

L'esigenza di una buona prassi di transizione è sempre più evidente per:O aumento della prevalenza delle malattie rare e cronicheO Progressi in campo biomedico che migliorano le aspettative di vita dei bambini con malattie rare e croniche con­geniteO Persistenza di differenze di approcci tra la gestione pediatrica e la gestione degli adulti:

– Il paradigma pediatrico mette al centro la famiglia– La cultura dell'adulto sottende come interlocutore un paziente indipendente ed autonomo

O Alcuni elementi di contesto sociale, epidemiologico, economico, istituzionale, professionaleO Disuguaglianze di salute e di accessibilità alle cureO Aumento delle prospettive di vitaO Patologie cronico­degenerativeO Cittadini stranieriO Organici contingentati, mancato reintegro del personale, blocco del turnoverO Aumento dell'età media degli operatori dedicati all'assistenzaO Lentezza con cui si definiscono e affrontano i cambiamenti nel SSNO Tenuta del sistema, sostenibilità del SSN, trasformazione nella geografia dei serviziO Miglioramento appropriatezza organizzativa e clinicaO Evoluzione dello skill­mix

Gli elementi chiave per la progettazione della Transitional Care sono:O Integrazione tra le diverse figure professionaliO Integrazione tra diversi setting assistenzialiO Condivisione di percorsi assistenzialiO Collaborazione multidisciplinareO Comunicazione tra i servizi sanitariO Coinvolgimento del paziente e dei care givers (empowerment)O dentificazione di tipologie di pazienti target:

– Post acuti– Cronici con bisogni assistenziali– Cronici con necessità di monitoraggio

O Ospedale e territorio devono essere connessi in un'ottica di continuità delle cureO La riconversione di parte della rete ospedaliera in rete di assistenza primaria è un processo innovativo e com­plesso che necessita di una metodologia rigorosaO La Transitional Care migliora l'appropriatezza di setting, riduce i costi e contribuisce alla sostenibilità del SSN

In altri termini, la Transitional care si fonda su una forte interazione tra tre "culture dominanti" del rinnovatopanorama sanitario : cultura professionale, manageriale e tecnologica.

Perché la Transitional Care funzioni occorre un riconoscimento del domicilio come luogo appropriato di cura eassistenza.

Le criticità che si possono rilevare sono:O Trasferimento senza preparazione ai servizi per gli adulti

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Ottobre 2017 27

O Gestione da parte del pediatra per tempi indefinitiO Mancanza di integrazione multidisciplinareO Mancanza di presa in caricoO Mancanza delle «reti» ospedale/territorioO Discontinuità ospedale­territorio

È, quindi, necessario:O Creare strutture intermedie per rispondere alle esigenze specifiche di pazienti adolescenti o giovani adulti (Ae­GA)O Istituire servizi specifici rivolti agli AeGA per decongestionare i servizi pediatrici e adulti e fornire risposte mirate(formazione e consulenza di altri professionisti)O Creare nuclei dedicati agli AeGA dentro i servizi specialistici degli adulti per garantire la continuità assistenziale nei pazienti che transitano dai servizi pediatrici O Lavorare sul fronte dell'armonizzazione del sistema delle cure e quello della sensibilizzazione di utenti e familiariO Stesura di specifici protocolli cliniciO Creazione di equipe multidisciplinariO Preparazione del paziente e dei genitori al distacco dal pediatraO Coinvolgere il paziente nel progetto di cura per «destituire» gradualmente il genitore dal ruolo di mediatore edemancipare l'adolescenteO Identificazione di un luogo specifico destinato alla Transitional Care con personale dedicato (medici e infermieri)O Lavorare su tre dimensioni per realizzare il cambiamento:

– Formazione– Assistenza (1 e 2 livello)– Transizione: modalità di passaggio assistite tra servizi di cura pediatrici e servizi per adulti.La Federaziona Nazionale IPASVI partecipa attivamente e con interesse al progetto perché sempre più consape­

vole che è giunto il momento di intraprendere nuove collaborazioni e di impegnarsi nella progettazione e nella rea­lizzazione di progetti innovativi che permettano di indirizzare correttamente le risorse a disposizione verso servizi eprestazioni sanitarie efficaci, appropriate e di valore elevato.

Tutto questo rafforzato dal fatto che in tutto il percorso la figura fondamentale è rappresentata dall'in­fermiere/infermiere pediatrico ovvero la figura di collegamento che coordina i percorsi di continuità assisten­ziale; nello specifico diventano importanti i ruoli dell'infermiere case manager e dell'infermiere di famiglia per le loro competenze specialistiche nell'area delle cure primarie (cronicità, sanità pubblica, comunità e fragilità).

Presidente IPASVI, Barbara Mangiacavalli, Luisella Audisio, Laura Odetto

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Ottobre 201728

FOFI – Federazione Ordine dei Farmacisti Italiani

PROGETTO TRANSITIONAL CARE e 

Federazione Ordini dei Farmacisti Italiani – FOFICONTRIBUTI e ASPETTATIVE 

La territoriale, trovandosi in posizione privilegiata, risulta essere da sempre punto di accesso a servizio della Salu­te e snodo fondamentale del Servizio Sanitario sul territorio. 

Nella prospettiva dell'evoluzione delle professionalità del Farmacista di comunità, in funzione delle nuove esigen­ze dell'assistenza sanitaria territoriale, si rende sempre più necessaria la concretizzazione della Pharmaceutical care,(intesa come possibilità di migliorare complessivamente i percorsi di utilizzo dei medicinali, finalizzati al raggiungi­mento del traguardo terapeutico con valutazione di outcome clinico e miglioramento della qualità di vita del pazien­te), implementando in parallelo la collaborazione con i diversi professionisti sanitari nella cornice delle disposizioni normative collegate al DLgs 153/2009 ( dei servizi) e successivi Decreti attuativi. 

Al fine di poter esprimere al meglio le potenzialità professionali, l'attività del Farmacista si è orientata, in Europa eOltreoceano, sempre più in direzione dell'erogazione di servizi cognitivi avanzati; la centralità del medicinale comestrumento di cura, non può più essere declinata senza un concetto allargato di assistenza che preveda l'accompagna­mento del paziente attraverso percorsi di monitoraggio dell'utilizzo del farmaco, nonché di valutazione della persi­stenza terapeutica (prosecuzione della terapia prescritta per tutto il tempo necessario al completamento del per­corso di cura). Questo è anche l'orientamento che l'Europa indica per il Farmacista territoriale, confermandone la competenza professionale anche nei programmi di assistenza primaria, attraverso la "presa in carico" dei pazienti(per la parte di propria competenza e in un quadro di integrazione professionale con MMG e Specialista), in partico­lare nelle cronicità e nei percorsi terapeutici caratterizzati dall'utilizzo dei farmaci innovativi, coniugando professio­nalità con riduzione degli sprechi e risparmio economico. 

In coerenza con le considerazioni sopra espresse, il Progetto Transitional Care (transizione di cura dei pazienti af­fetti da patologia cronica che dall'età pediatrica passano nell'età adulta), rappresenta per la Federazione degli Ordinidei Farmacisti  Italiani, peculiare ambito di condivisione professionale al  fianco delle Federazioni degli altri Ordiniprofessionali sanitari, di autorevoli Società scientifiche collegate sia alla cura del paziente adulto che di fascia pedia­trica, delle Associazioni di pazienti e con la supervisione dell'Istituto Superiore di Sanità. 

Del resto, è proprio nella transizione tra uno schema terapeutico e un altro, tra uno stato e l'altro del paziente(passaggio dall'ospedalizzazione alla cura domiciliare, dal trattamento alla riabilitazione…) che diversi Servizi Sanitari si sono avvalsi delle prestazioni del Farmacista per agevolare l'adattamento del paziente alle nuove prescrizioni: indi­cativo in questo senso la prestazione chiamata in Inghilterra "New Medicines Service", che nel periodo aprile 2015­marzo 2016 è stata erogata a oltre 820.000 pazienti. 

Il Farmacista, consapevole delle proprie competenze e responsabilità socio­sanitarie, si  impegna a sostenere  iprocessi di assistenza sanitaria, favorendo in modo sempre più strutturato ed efficace l'alleanza terapeutica tra Medi­co, Specialista e paziente (o familiare nel caso di pazienti in età pediatrica), senza mai modificare modi e competenze delle professioni; su questa linea il Progetto Transitional care, negli obiettivi, metodi di sviluppo ed auspicabili traguar­di, ben si orienta anche alla luce delle linee di indirizzo del "Piano Nazionale della Cronicità", recentemente pubbli­cato. L'auspicio della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani è che il Progetto Transitional care, in linea conl'evoluzione delle competenze del Farmacista di comunità, possa favorire e strutturare ulteriormente approcci sani­tari e di cura, sempre più condivisi tra tutti i professionisti sanitari, mirati a obiettivi terapeutici oggettivamente mi­surabili e riproducibili, coinvolgendo i pazienti e le loro famiglie per realizzare maggiore consapevolezza nelle scelte di salute (empowerment dei pazienti) indispensabili alla realizzazione di un'autentica alleanza terapeutica. 

Sen. Dott. Andrea Mandelli Presidente Federazione Ordini dei Farmacisti ItalianiDott. Francesco Carlo Gamaleri, Consiglio Direttivo Ordine dei Farmacisti Province di Milano, Lodi, Monza BrianzaSettembre 2017

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Ottobre 2017 29

UNIAMO ­ Federazione Italiana Malattie Rare onlus

UNIAMO, la Federazione Italiana Malattie Rare onlus, ha percepito e intercettato nel progetto “Transitional Ca­re” una risposta ad un bisogno sempre più impellente nella comunità dei malati rari, quello del numero sempre mag­giore di pazienti che approdano all’età adulta. Negli ultimi anni, infatti, le nuove terapie hanno permesso di migliora­re le curve di sopravvivenza e la qualità della vita dei pazienti, con il risultato che si hanno sempre malati rari che af­frontano il delicato passaggio dall’età pediatrica a quella adulta con un bagaglio complesso dato non solo da tutte levariazioni biologiche procurate dalla pubertà, ma anche quelle dettate dalla propria storia clinica di cui bisogna sapertenere conto.

Ci sono evidenze che spesso nel passaggio di presa in carico dall’età pediatrica a quella dell’adulto c’è un peggio­ramento dello stato di salute degli adolescenti, che affrontano questa fase, proprio per la mancanza di una rete orga­nizzativa di supporto.

I fattori che incidono sono diversi: il fatto che non sempre per i pazienti in età evolutiva con malattia rara l’etàanagrafica corrisponda al reale sviluppo fisico e cognitivo e il trovarsi in una “terra di mezzo” tra il mondo dei bam­bini e quello degli adulti fa emergere dei bisogni specifici relativi soprattutto al coinvolgimento attivo nella gestionedella propria condizione.

Aderire a questo progetto significa poter dare un valore aggiunto alla definizione globale dei Centri di Competen­za delle Malattie Rare inserendo il concetto di una rete assistenziale organizzata per accompagnare il passaggio delpaziente dall’assistenza pediatrica a quella adulta con strumenti che tengano conto dei punti critici di questo cambia­mento e delle varie registrazioni.

Il processo deve valutare attentamente la situazione clinica del paziente, tenendo presente il significato della ma­lattia e della sua storia naturale, e garantire un continuum assistenziale tra l’età pediatrica e quella adulta con per­corsi che non incorrano nell’eventualità di vuoti assistenziali ma che riducano anche il rischio di drop out dalle tera­pie durante la fase evolutiva.

Per far sì che l’aderenza alle terapie sia costante, è necessaria un’appropriatezza nell’approccio terapeutico chetenga conto dello sviluppo individuale e del contesto familiare del paziente.

Nelle diverse fasi la relazione di cura tra il medico e il paziente si deve modificare in modo confacente all’età, ac­compagnando il percorso di crescita verso una maturità consapevole del proprio stato di salute dove possibile.

Mentre, infatti, il paziente pediatrico, considerato una persona in divenire, necessita dell’ausilio dei suoi familiari alivello clinico e decisionale, il paziente adulto è ritenuto un individuo autonomo, indipendente, in grado di auto­ge­stirsi. È importante, quindi, una progettualità specifica per il passaggio dall’età pediatrica all’età adulta come questonuovo progetto che, di fatto, va a colmare un gap importante, individuando – coerentemente con quanto contenutonel Piano Nazionale Cronicità – possibili strumenti di continuità e di miglioramento delle cure, standardizzando mo­delli “vincenti” di transizione già presenti sul territorio, con riferimento non solo alle malattie rare, ma anche ad al­tre condizioni patologiche maggiormente diffuse.

Il PresidenteTommasina Iorno

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Ottobre 201730

Lega Italiana Fibrosi Cistica Onlus

I centri per la cura della Fibrosi Cistica in Italia nascono negli anni ’80­’90 in strutture pediatriche, presso le quali iCentri Fibrosi Cistica hanno acquisito competenze specifiche nella cura dei pazienti FC. Negli ultimi anni l’allunga­mento dell’aspettativa di vita, dovuto al miglioramento delle terapie e a cure sempre più efficaci e accurate, ha por­tato a un incremento di pazienti adulti che devono essere seguiti in strutture orientate all’assistenza del pazienteadulto.

Per rispondere a questa esigenza stanno nascendo, ove ci sono condizioni adeguate, nuovi centri per la cura delpaziente adulto e nei prossimi anni un numero sempre maggiore di Centri Fibrosi Cistica dovrà affrontare questaemergenza e trovare soluzioni adeguate. A supporto di questa tendenza c’è il risultato di uno studio europeo che ri­porta che nel 2025 in Europa ci sarà un incremento di pazienti adulti del 75% (Burgel P et al. Eur Respir J, 2015).

Alla luce di queste considerazioni il passaggio del paziente affetto da fibrosi cistica da un Centro di Fibrosi Cisticapediatrico a una struttura dell’adulto è un tema dibattuto e delicato da affrontare, che vede il paziente protagonista. Le problematiche sono numerose, variando da quelle strettamente di ordine pratico a quelle riguardanti  la sferaemotivo­affettiva. L’approccio all’interno della struttura pediatrica è fortemente centrato sulla famiglia, svolto in unaatmosfera protettiva, attenta allo sviluppo psico­sociale del paziente e all’inserimento nel mondo della scuola. LIFC, accanto ai medici, è attenta a migliorare la qualità della vita e impegnata a fare in modo che i giovani pazienti riesca­no via via a conquistare nuovi traguardi.

L’obiettivo che LIFC vuole perseguire in un prossimo futuro è quello di facilitare la nascita di nuovi centri perl’adulto che abbiano competenze specifiche e possano seguire i pazienti con la stessa dedizione e competenza deicentri pediatrici. Il paziente è al centro di questo processo e LIFC auspica che gradualmente il ragazzo possa rinun­ciare all’approccio fortemente centrato sulla famiglia e alle “premure protettive” a cui è abituato e possa diventare pienamente consapevole della gestione della malattia e responsabile di sé.

L’adesione di LIFC al progetto “transitional care” è motivata dalla consapevolezza che la transizione è un passag­gio importante e necessario che riguarderà nel prossimo futuro tutti i nostri giovani e LIFC è impegnata perchéquesto processo abbia successo e si possano trovare soluzioni terapeutiche adeguate alle mutate esigenze.

Presidente Gianna Puppo Fornaro

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Ottobre 2017 31

APMAR – Associazione Persone con Malattie Reumatiche

Il periodo della transizione dall’età pediatrica all’età adulta rappresenta, per i ragazzi, una fase delicata, caratteriz­zata dal susseguirsi di molteplici cambiamenti; quelli fisici, tipici della pubertà, e quelli a livello psicologico e compor­tamentale, determinanti per la vita futura.

Per i ragazzi affetti da patologia reumatica cronica su base autoimmune, il periodo della transizione rappresentaun passaggio particolarmente delicato e complesso, una fase della crescita che li vede impegnati ad adattarsi ad ulte­riori cambiamenti, quelli relativi al proprio percorso di cura.

Al termine dello sviluppo fisico, psicologico e sociale del paziente, si esaurisce la competenza del pediatra reuma­tologo e si rende necessario il passaggio di competenze, tra il reumatologo e gli altri medici che si prenderanno cura di lui.

In realtà, per la presa in carico di ogni singolo individuo, è necessaria una sinergia fra il pediatra reumatologo e ilreumatologo poiché, le malattie reumatiche pediatriche, una volta che il paziente è diventato “adulto”, sono comun­que da distinguere dalle malattie reumatiche ad esordio in età adulta. Non bisogna dimenticare, inoltre, che il ragaz­zo può essere affetto da altre patologie o aver sviluppato comorbilità.

Non meno importante è la gestione sinergica degli aspetti psicologici che accompagnano questa transizione; il“neo­paziente adulto va responsabilizzato ed educato a non essere dipendente da specialisti e strutture che fino adallora sono state per lui un punto di riferimento.

APMAR Onlus sostiene che programmare la transizione dal pediatra reumatologo al reumatologo è basilare perassicurare a questi pazienti così giovani, la corretta prosecuzione dei percorsi di monitoraggio e trattamento dellamalattia, affinché la loro vita sia il più possibile priva di difficoltà, almeno per quanto concerne il percorso di cura ela gestione della patologia.

APMAR ha aderito al progetto Transitional Care perché lo crede funzionale alla creazione di percorsi di transi­zione personalizzabili ed adattabili ad una serie di fattori come le varie realtà locali e il contesto familiare in cui vive il paziente.

Il Presidente NazionaleAntonella Celano

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Ottobre 201732

AIEOP ­ Associazione Italiana Ematologia Oncologia Pediatrica In Italia ogni anno si ammalano di tumore 1380 bambini e 780 adolescenti con un’incidenza di 164 casi/1.000.000

soggetti di età inferiore a 14 anni e 269 casi/1.000.000 soggetti di età 15­19 anni. Il progressivo miglioramento deiprotocolli terapeutici permette attualmente una sopravvivenza a 5 anni pari all’80%. Tali risultati giustificano l’incre­mento costante del numero di guariti o cosiddetti lungosopravviventi. Attualmente in Europa ci sono 300­500.000lungosopravviventi, di cui più di 30.000 in Italia, la maggior parte dei quali sono ormai giovani adulti.

Tuttavia, gli attuali dati di mortalità e morbilità a distanza, in questa coorte di pazienti, evidenziano un impatto si­gnificativo dei trattamenti praticati sulla qualità di vita. In particolare è noto come il 60% dei lungosopravviventi pre­sentino almeno un’alterazione cronica dello stato di salute e il 30% presentano una condizione severa o a rischio di vita (seconde neoplasie, eventi cardiaci).

Pertanto, in questo gruppo di pazienti è di fondamentale importanza proseguire un monitoraggio a lungo termineadeguato al protocollo di cura effettuato che non si conclude al momento della sospensione dei controlli per la pa­tologia di base.

Questi controlli coinvolgono in molti casi differenti competenze specialistiche (endocrinologo, cardiologo, nefro­logo, ortopedico, pneumologo, otorinolaringoiatra, urologo, neurologo, psicologo, etc.) in relazione al trattamentoeffettuato.

Molte complicanze tardive insorgono anche anni dopo il termine delle cure, pertanto si è reso necessario nelcorso degli anni instaurare un percorso di transizione che permettesse di proseguire la sorveglianza di tossicità tar­diva in un ambiente adeguato e con personale dedicato e formato sulle possibili complicanze.

La collaborazione nel progetto Transitional Care rappresenta la possibilità di consolidare un modello già messo inatto all’interno dell’Associazione Italiana di Ematologia ed Oncologia Pediatrica (AIEOP) ma con applicazioni e mo­dalità talora differenti nei diversi centri in relazione alla diversa organizzazione.

La condivisione di modelli ed esperienze ci permetterà quindi un miglioramento del programma di transizione,eventualmente fornendo maggiori strumenti per uniformare realtà differenti. Utile strumento applicabile anche in al­tre discipline è il “Passaporto dei guariti” (Survivorship Passport), documento elettronico che riassume la storia cli­nica e i trattamenti effettuati ed è associato a raccomandazioni per il follow up. Il sistema è stato sviluppato nell’am­bito del progetto Europeo ENCCA (European Network for Cancer Research in Children) e verrà applicato per ipazienti afferenti ai Centri AIEOP.

  Il PresidenteDott.ssa Franca Fagioli

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Ottobre 2017 33

SINePe – Società Italiana di Nefrologia Pediatrica

La Nefrologia Pediatrica è una branca della Pediatria in cui è particolarmente rilevante il problema della cronicità,Il bambino con patologia renale è, infatti, destinato a seconda della patologia di base a proseguire il percorso legato alla sua patologia anche nell’età adulta e quindi per l’intero corso della propria vita.

Alla luce di questo la SINePe, già da tempo pone una grande attenzione alle modalità in cui avviene la transizionedel paziente pediatrico verso il Centro di Nefrologia dell’adulto non solo nel caso di pazienti che necessitano di dialisi o che sono portatori di trapianto, ma per quelli che presentano malattie rare e anomalie renali congenite edelle vie urinarie.

A tal fine è stata avviata dalla nostra società nel passato recente, una indagine conoscitiva indirizzata ai principaliCentri di Nefrologia e dialisi pediatrica italiani con lo scopo di acquisire informazioni su:

a) Esistenza di un programma strutturato (condiviso con il Nefrologo dell’adulto) per la transizione bambino­adulto;

b) Età in cui viene attivato il percorso di transizione;c) Esistenza di un percorso di transizione “individualIzzato” per persone con disabilità mentale o motoria;d) Numero pazienti che hanno effettuato la transizione nei due anni precedenti. Feedback ricevuto dai pazienti sul

percorso di transizione;e) Proposte sul modello ideale di transizione.Per tale motivo, nell’ottica di una cooperazione sempre più forte tra SINEPE e SIN su questo momento delicato

nel cammino del paziente pediatrico con patologia renale cronica,  la nostra Società desidera aderire al progetto “TRANSITIONAL CARE”.

Tale progetto speriamo permetterà, attraverso la raccolta dati dei 12 centri specialistici di Nefrologia pediatrica edei Centri nefrologici dell’adulto, di            pianificare percorsi assistenziali multidisciplinari di transizione, conorganizzazione  delle fasi di informazione e condivisione dei processi di cura, della terapia e del controllo clinico, deiprocessi educazionali dell’adolescente con eventuale supporto sociale e psicologico.

L’obiettivo finale dovrà essere quello di ridurre le complicanze della malattia renale e aumentare la sopravvivenzadei nostri pazienti in età adulta, e migliorare la loro Quality Life.

Il Presidente,Luisa Murer

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Ottobre 201734

AMD – Associazione Medici Diabetologi

La Transizione del giovane affetto da Diabete dall’ambulatorio pediatrico a quello dell’adulto è un momento criti­co e molto complesso che coinvolge sia i ragazzi con le famiglie che gli operatori sanitari, in una continua sfida per mantenere la continuità delle cure essenziale nella gestione della cronicità della malattia. Dai dati della letteratura emerge forte il rischio della interruzione delle cure, descritto come un inadeguato accesso o perdita del paziente ri­spetto al sistema curante. La perdita al follow­up riguarda circa il 14­30% dei ragazzi ed ha come conseguenza un au­mento della mortalità, il deterioramento del compenso glicemico, la comparsa di complicanze acute e croniche ed un loro insufficiente trattamento, cui si aggiunge l’accentuarsi di problematiche comportamentali, psicosociali ed af­fettive.

I dati epidemiologici confermano un raddoppio della prevalenza a livello mondiale del diabete di tipo 1 nei bambi­ni e nei giovani adulti nell’arco degli ultimi 25 anni ed un uguale incremento è atteso nei prossimi decenni, fenomeno non osservato in passato. Analogamente l’aumento dell’obesità in età pediatrica ha portato ad un aumento dell’inci­denza del diabete di tipo 2 in età adolescenziale.

Il problema della transizione non può essere pertanto trascurato per la crescente numerosità dei pazienti, cui siaggiungono le particolari caratteristiche e problematiche legate alla giovane età, quando gli aspetti psicologici legati aquesta fase della vita dell’individuo condizionano pesantemente la gestione di una malattia cronica come il diabete. La competenza del pediatra diabetologo termina quando si è completato lo sviluppo fisico, psicologico e sociale del paziente. Alla fine del percorso di maturazione si rende necessario il passaggio di competenze tra i medici che si fan­no carico della presa in cura del giovane, da servizi con particolari competenze auxologiche, nutrizionali, relazionali a servizi più vicini alle problematiche dell’inserimento nel mondo del lavoro, alla maternità/paternità, alle complican­ze tardive, etc.

L’interesse di AMD sulla problematica della transizione ha iniziato a svilupparsi dal 2007 quando, insieme a SIEDPe SID ha partecipato alla stesura del documento di Consenso del Gruppo di Studio SIEDP­AMD­SID sulla Transizio­ne dei giovani con diabete mellito verso l’età adulta” e successivamente la Società Scientifica ha promosso una sur­vey on­line con l’obiettivo di conoscere lo stato dell’arte sull’ organizzazione delle strutture diabetologiche dell’adul­to nell’attuazione del processo della transizione ed i bisogni formativi dei diabetologi riguardo le competenze speci­fiche sul problema.  Ha inoltre progettato e realizzato Corsi Formativi rivolti al TEAM di transizione, al fine di ri­spondere al bisogno di agevolare una crescita culturale e professionale del diabetologo dell'adulto e della rete di assistenza diabetologica.

Dal progetto “TRANSITIONAL CARE”, al quale abbiamo partecipato portando la nostra esperienza, ci aspettia­mo la strutturazione di percorsi di cura che assicurino una corretta  transizione dall’età pediatrica all’età adulta conl’obiettivo di proporre ipotesi di intervento operativo che coinvolgano tutti gli attori del percorso ed in modo parti­colare le direzioni aziendali, sanitarie locali e regionali al fine di prevedere la possibilità di realizzare dei “Servizi ditransizione” nelle nostre AUSL.

Giuliana La Penna per Associazione Medici DiabetologiConsigliere Nazionale AMD

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Ottobre 2017 35

OSDI – Operatori Sanitari di Diabetologia Italiani

In Italia vivono circa 20.000 bambini ed adolescenti con diabete di tipo 1.Le complesse esigenze di cura di queste persone, nel momento del trasferimento da un ambiente pediatrico a un

servizio di diabetologia per adulti, si sommano alle sfide dell’età e delle normative, che pure ne riconoscono le pecu­liarità (Piano Nazionale della Malattia Diabetica).

Questo periodo di cambiamento rappresenta un significativo evento di vita per i giovani con patologie croniche.Il passaggio dal Centro pediatrico al Centro dell’adulto deve essere un “processo”, che vede protagonisti pazien­

te, famiglia e team curante.Per garantire una transizione efficace è indispensabile che il team pediatrico aiuti il paziente a sviluppare l’indipen­

denza trasferendo la gestione delle cure dal genitore al giovane adulto, che tutti gli attori diquesto processo siano orientati al futuro aiutati da una progettazione e che si concretizzi una comunicazione effi­

cace tra il Personale della Diabetologia Pediatrica e il Personale della Diabetologia dell’Adulto, così da costituire un“Team di transizione” con il compito di accompagnare il giovane adulto nel passaggio, condividendo visite, protocol­li, dubbi e speranze (gli studi che hanno riportato maggiore successo nella transizione si basano proprio su modelliche coinvolgono i rispettive team di cura).

Le ragioni della transizione, quindi, non derivano solo dall’obbligatorietà del passaggio, ma dalla necessità di favo­rire l’autonomia del giovane nella gestione della malattia: il permanere in una struttura pediatrica rischia di prolunga­re una modalità di cura troppo centrata sulla famiglia, con il rischio di ritardare lo sviluppo di uno spirito di indipen­denza e l’adeguamento terapeutico finalizzato a ridurre l’incidenza delle complicanze. La letteratura identifica alcune delle molte barriere esistenti per il passaggio al sistema di assistenza sanitaria per adulti; queste barriere possonoessere costruite da una delle parti coinvolte: il team pediatrico, il team dell’adulto, l’adolescente o la loro famiglia eriguardano due variabili principali: i fattori ambientali e i fattori emozionali. Ciò rende il processo e gli esiti del tra­sferimento dalla pediatria ai servizi degli adulti spesso inadeguati per la continuità delle cure, con controllo glicemico e comportamenti di auto­cura non ottimali, con il rischio di perdere il paziente al follow up.

Gli  infermieri possono svolgere n ruolo assistenziale e organizzativo fondamentale tra i due team e il giovaneadulto sia per l’organizzazione dei follow­up che per incontri educativi tesi alla maggiore responsabilizzazione, da ri­cercare negli outcomes clinici e nelle abilità di self­care ed empowerment.

Nonostante la malattia diabetica sia riconosciuta come paradigma delle malattie croniche e con maggiori eviden­ze/esperienze strutturate di “passaggio”, le difficoltà dell’implementazione della transizione ancora esistono.

La necessità del confronto e dello scambio di esperienze ed evidenze tra di ersi operatori che lavorano con per­sone affette da malattie croniche, le difficoltà dell’implementazione della transizione, il desiderio di garantire equità di cura a tutti i giovani affetti da malattie croniche, nonché l’esigenza di una maggiore definizione del core curri­culum degli infermieri che dovrebbero occuparsi della transizione, hanno spinto OSDI,(Operatori Sanitari di Diabe­tologia Italiani), a partecipare e a dare il proprio contributo a questo progetto di lavoro, nell’ottica di un cambia­mento culturale impronta o al riconoscimento della complessità del fenomeno e alla necessità di un coinvolgimento(come nel Chronic Care Model) di tutti gli attori coinvolti nel Processo, per arrivare a definire i migliori comuni in­dicatori di transizione desiderabili per i giovani affetti da malattie croniche nel processo di transizione.

Presidente NazionaleOsdi Katja Speese

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Conclusioni e Ringraziamenti

I l  2016  ed  il  2017  sembrano  essere,non solo per  il nostro Paese, gli annidel “transitional care”.Le poche pubblicazioni su questo temafino a buona parte del 2016 erano per lo

più  relative  a  singole  condizioni  cliniche  (adesempio  diabete,  artrite,  fibrosi  cistica)  manon  riguardavano  il  fenomeno  nel  suo  com­plesso.Si pensi che alla fine del 2016 la Cochrane Li­brary ha pubblicato una rewev sull’argomentoin cui Campbell ed altri riescono a compararesolo 4 studi ed una popolazione di 238 sogget­ti.È  interessante notare che  in questa pubblica­zione, inoltre viene utilizzata la seguente defi­nizione  di  transitional  care  “the  purposeful,planned movement of  adolescents  and youngadults with chronic physical and medical condi­tions from child­centred to adult­oriented he­althcare systems” adottata nel 1993 dalla So­ciety for Adolescent Medicine, e, a partire dal­la fine dello scorso anno, il numero di pubbli­cazioni  sull’argomento  è  passato  da  pochedecine ad alcune centinaia e alcune di questesono relative ai modelli utilizzati.Tuttavia nella quasi totalità le conclusioni sonorappresentate dalla necessità di sviluppare ul­teriori  ricerche  affrontando  aspetti  qualitativie di outcome clinici.Nel periodo citato osserviamo nel nostro Pae­se  un  crescente  interesse  della  comunitàscientifica e dell’associazionismo, per cui divie­ne sempre più frequente trovare eventi in cuiil  tema  “transizione”  era  affrontato  o  comesessioni congressuali o come argomento prin­cipale su cui confrontarsi.Ma fra le tante cose che sono successe, vorreisottolinearne tre.A settembre del 2016 viene pubblicato il “Pia­no Nazionale della Cronicità” accordo che de­dica  il capitolo “E” proprio al problema dellatransizione del paziente cronico adolescente.A dicembre del 2016 il lavoro svolto in questodocumento trova un  importante momento disintesi.Leggendo il  lavoro di Campbell,  il documentoprogrammatico del progetto nazionale descrit­to, nonché il piano della cronicità, colpiscono,

a mio avviso due cose: la prima è che i terminiusati per descrivere le criticità presenti in que­sta fase della vita in persone affette da patolo­gie croniche (e per le loro famiglie) sono quasiidentici. Per lo più hanno una caratterizzazionenegativa  (“terra  di  mezzo”,  “gap”,  “differen­ze”), ma come spesso accade le criticità con­tengono in esse stesse le prospettive di miglio­ramento  che  si  concretizza  in  parole  quali“ponte”, “equità”, “empowerment” etc.Il  secondo  elemento  di  riflessione  invece  ri­guarda il fatto che le Istituzioni e la “comunitàdi  pratica”  composta  da  società  scientifiche,associazioni  e professionisti,  giungono a  con­clusioni simili in momenti fra loro vicini, e tral’altro  propongono  l’utilizzo  di  strumenti  emetodi.Ritengo che ciò fornisca opportunità di miglio­ramento della qualità delle cure di grande re­spiro se verranno percorsi virtuosi su, almeno,due  versanti:  quello del  coordinamento delleiniziative  e  quello  dell’aumento  delle  cono­scenze.In questo senso vorrei citare due esempi.Per ciò che attiene il coordinamento delle ini­ziative una progettualità che riguarda la fibrosicistica a visto realizzarsi un circuito di comuni­cazione che consente di mettere al  tavolo diprogettazione ed attuazione rappresentanti deiprofessionisti e dei pazienti,  insieme a societàscientifica, associazioni dei pazienti, rappresen­tante del progetto nazionale e del ministero.Il  secondo  esempio  riguarda  la  diffusione  diconoscenze.È di questi giorni la pubblicazione di un volumecoordinato  dalla  SIPPS  dal  titolo  “ADOLE­SCENZA E TRANSIZIONE dal Pediatra al Me­dico dell’adulto”. Questo lavoro ha alcuni ele­menti di interesse che vorrei, fra gli altri, sot­tolineare.Il  primo  è  rappresentato  dal  fatto  allarga  gliorizzonti  parlando  del  paziente  cronico,  maanche della  “normalità”  cioè di  quel  più del­l’80% di adolescenti  il cui unico motivo di at­tenzione è l’adolescenza stessa.Il  secondo  è  che  prosegue  nel  percorso  diprodurre non solo riflessioni, ma anche stru­menti,  infatti si caratterizza come una “GuidaPratica”. Infine prosegue in una logica di condi­

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visione di  idee e prospettive e si caratterizzacome “Intersocietaria”.Vorrei concludere con una riflessione piutto­sto ovvia e banale: i bambini di oggi saranno gliadulti del  futuro, che siano ora sani o malati.Se nel prendersi  cura di  loro considereremo sempre più  la necessità di “autonomia” tantopiù avremo adulti  consapevoli e partecipi deiprocessi di cura.È un piacere, e non solo un dovere, ringraziarepresidenti,  consigli  direttivi  ed  organi  ACP  ­Associazione  Culturale  Pediatri,  Agenas  ­Agenzia Nazionale per i servizi sanitari Regio­nali, AICCA Onlus ­ Associazione Italiana Car­diopatici  Congeniti  Adulti,  AIEOP  ­  Associa­zione Italiana di Ematologia ed Oncologia Pe­diatrica, AIG ­ associazioni italiana glicogenosi,AIN ­ Associazione Italiana di Neuropatologia,AIOM – Associazione Italiana Oncologia Medi­ca, AIP Associazione Immunodeficienze Primi­tive, AIPO ­ Associazione Italiana PneumologiOspedalieri, AMD ­ Associazione Medici Dia­betologi, ANIED ­ Associazione Nazionale In­fermieri  Endocrinologia  Diabetologica,ANMCO  ­  Associazione  Nazionale  MediciCardiologi Ospedalieri, ANMDO ­ Associazio­ne Nazionale Medici di Direzione Ospedaliera,APMAR  ­ Associazione Persone con MalattieReumatiche, AsIQUAS ­ Associazione  Italianaper  la Qualità  delle Cure  Sanitarie  e  Sociali,ASTRA  –  Associazione  per  la  Salute  nelleTransizioni, CARD ­ Confederazione Associa­zione Regionali di Distretto, CITTADINANZAATTIVA, EDTNA ­ ERCA ­ European DialysisTransplant Nurses Association ­ European Re­nal  Care  Association,  FADOI  ­  Federazionedelle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri In­ternisti, FEDERAZIONE IPASVI ­ FederazioneNazionale Collegi degli Infermieri, Federsanità,FIASO ­ Federazione Italiana Aziende Sanitariee  Ospedaliere,  FIMP  –  Federazione  ItalianaMedici Pediatri, FNOMCeO ­ Federazione Na­zionale  degli  Ordini  dei  Medici  Chirurghi  eOdontoiatri,  FOFI  ­  Federazione  Ordine  deiFarmacisti Italiani, GISEA/OEG ­ Gruppo Italia­no  di  Studio  sulla  Early  Arthritis,  GITIC  ­

Gruppo Italiano Infermieri di Cardiologia, ISS –Istituto Superiore di Sanità, Lega Italiana per lafibrosa cistica, Ministero della Salute, OSDI  ­Operatori  Sanitari  di  Diabetologia  Italiani,S.I.Fi.R. ­ Società Italiana Fisioterapia e Riabili­tazione,  SIC  ­  Società  Italiana di Cardiologia,SICP ­ Società Italiana di Cardiologia Pediatri­ca, SICuPP – Società Italiana delle Cure Prima­rie Pediatriche, SID ­ Società Italiana di Diabe­tologia, SIEDP ­ Società Italiana di Endocrino­logia Pediatrica, SIFC ­ Società  italiana per  lostudio della Fibrosi Cistica, SIGU ­ Società Ita­liana di Genetica Umana, SIMA ­ Società Italia­na di Medicina dell'Adolescenza, SIMFER ­ So­cietà  Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa,SIMG ­ Società  Italiana di Medicina Generale,SIMGEPED ­ Società  Italiana Malattie Geneti­che Pediatriche e Disabilità, SIMI ­ Società Ita­liana di Medicina  Interna, SIMMESN ­ SocietàItaliana per  le malattie metaboliche ereditariee gli screening neonatali, SIMRI ­ Società Italia­na per  le Malattie Respiratorie  Infantili, SIN ­Società Italiana di Nefrologia, SINCH ­ SocietàItaliana di Neurochirurgia, SIP ­ Società Italianadi Pediatria, SIP/IRS ­ Società Italiana di Pneu­mologia,  SIPPS  ­  Società  Italiana  di  PediatriaPreventiva e  Sociale,  SIR  ­  Società  Italiana diReumatologia, SITE ­ Società Scientifica per leEmoglobinopatie,  Slow  medicine,  UNIAMO  ­Federazione  Italiana  Malattie  Rare  Onlus,WONCA Italia (World Organization of Natio­nal Colleges and Academies of Family Medici­ne/General Practice).Un ulteriore ringraziamento va anche alle treAziende che hanno supportato il progetto conil  loro  contributo  non  condizionante:  ChiesiFarmaceutici  spa, Roche  spa e Sanofi Genzy­me.Come spesso capita dietro ai nomi delle orga­nizzazioni ci  sono delle persone che si  impe­gnano, lavorano, pensano, fanno.A queste amiche e a questi amici che associo avolti, sorrisi, dubbi, strette di mano, critiche eabbracci voglio dire, come direbbe Peppino deFilippo «Grazie! … e ho detto tutto …»

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Alcuni Riferimenti

Totò Peppino e la malafemmina 1956Quality of care, a process for making strategic choices in health systems 2006http://www.who.int/management/quality/assurance/QualityCare_B.Def.pdf“The Best Journey to Adult Life”For Youth with Disabilities An Evidence­based Model and Best Practice Guidelines For The Transi­tion To Adulthood For Youth With Disabilities 2009h t t p s : / / c a n c h i l d . c a / s y s t e m / t e n o n / a s s e t s / a t t a c h m e n t s / 0 0 0 / 0 0 0 / 6 8 8 / o r i g i n a l /BJAmodelandbestpracticeguidelinespdf2009.pdfTransition of care for adolescents from paediatric services to adult health services (Review) 2016http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/14651858.CD009794.pub2/fullPiano Nazionale delle cronicità 2016http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=4654&area=programmazioneSa­nitariaLea&menu=vuotoGuida pratica per la transizione dal pediatra al medico dell’ adulto 2017https://www.sipps.it/adolescenza­transizione­dal­pediatra­al­medico­delladulto­guida­pratica/ O

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