Transient Bodies - Personale Di Elisabetta Di Sopra - Testo Critico Di Giada Pellicari

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Transient Bodies – personale di Elisabetta Di Sopra A cura di Giada Pellicari 17 luglio – 4 agosto Caos Art Gallery, Venezia Non avrò più ventre, né mani. Mio dolcissimo cadere Mara Donat, 2009 Ho pensato di cominciare questo testo sull’opera di Elisabetta Di Sopra citando l’incipit di un suo video realizzato nel 2009, Sugar Dead, che si pone come il centro focale da cui prende forma il percorso espositivo di Transient Bodies all’interno della Caos Art Gallery. Quella riportata infatti è una frase della poetessa Mara Donat, scritta appositamente per Elisabetta Di Sopra dopo aver visionato il video che, in maniera molto elegante, va a rimandare ad un qualcosa di volatile, cadente ed effimero ma anche, allo stesso tempo, al corpo in quanto materia e alla sua transitorietà. Sono effettivamente questi gli ambiti tematici di cui vuole trattare la mostra Transient Bodies, che letteralmente significa “corpi effimeri”, una piccola antologica nata dalla mia collaborazione con l’artista e dalla nostra volontà di proporre un focus sul corpus completo della sua produzione. Abbiamo creato, così, un excursus storico tra i lavori principali a partire dal 2008, ripercorrendo, quindi, sei anni di attività e andando a selezionare, di conseguenza, sei opere (più una). La scelta dei video in mostra, in realtà, non è stata pensata attraverso un metodo cronologico come si potrebbe pensare, ma più che altro come una forma di analisi filologica di tutta la produzione dell’artista, individuandone due nuclei principali: corpo e materia e corpo memoria. L’esposizione cronologica, allora, va vista come un aspetto nato conseguentemente allo studio dei lavori, dato che effettivamente le due stanze rispecchiano rispettivamente la prima ondata di produzione e la seconda. Da sempre nel mondo della videoarte il corpo è stato un elemento centrale e preponderante, soprattutto se andiamo a guardare i primi esempi riscontrabili a partire dalla fine degli anni Sessanta, dove la nascita del mezzo video, possibilmente portatile, aveva dato la possibilità di riprendere le performance degli artisti e di divenire strumento di documentazione di un’esperienza, oltre che metodologia di conoscenza di sé e dello spazio circostante. E’ in realtà nella prima fase di quella che si può considerare la videoarte contemporanea, che andrebbe vista la relazione con la produzione di Elisabetta Di Sopra, perché molti dei suoi lavori si basano su esperienze performative dove il corpo è il soggetto principale, ma è anche forma tangibile e testimonianza di un approccio conoscitivo. Il mondo di Elisabetta, però, non è solo ed esclusivamente questo, perché il mezzo video nel caso dell’artista non è più solamente metodologia di documentazione, quanto scelta privilegiata di un medium che è allo stesso tempo radicato nella sua espressività come un aspetto fondamentale all’interno di un processo di creazione dell’opera. Elisabetta Di Sopra è laureata in scultura all’Accademia di Belle Arti Di Venezia, ma ormai da diversi anni utilizza il video come scelta preferenziale per la realizzazione dei lavori. La sua formazione, però, è ben riconoscibile all’interno dei suoi progetti, poiché l’aspetto materico derivante da quest’esperienza è fortemente tangibile, soprattutto se si va a vedere il lavoro Sugar Dead, presentato in questa mostra in forma di videoinstallazione. In questo caso si può riscontrare all’interno del video un corpo effimero, che tende a scomparire e ad essere risucchiato dalla madre terra, lo stesso corpo che, nato da un calco dell’artista, è esposto al centro della sala, ponendosi così sia come installazione che documentazione del video in una forma di doppia valenza. Anche in Apparenze è riconoscibile un transient body”, come lo ho definito con il titolo della mostra, dove l’ombra della performer è contemporaneamente una forma tangibile, tridimensionale e che tende a fuoriuscire dallo schermo, un confine che separa il pubblico dalla performance stessa. Con_tatto, esposto in questo caso all’interno dello schermo principale, diviene un ponte verso la seconda stanza, ovvero il corpo è allo stesso tempo materia ma anche memoria: la memoria di un gesto e di una sensazione. Quest’ultimo lavoro si pone come

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Transient Bodies – personale di Elisabetta Di Sopra

A cura di Giada Pellicari

17 luglio – 4 agosto

Caos Art Gallery, Venezia

Non avrò più ventre, né mani. Mio dolcissimo cadere

Mara Donat, 2009

Ho pensato di cominciare questo testo sull’opera di Elisabetta Di Sopra

citando l’incipit di un suo video realizzato nel 2009, Sugar Dead, che si pone

come il centro focale da cui prende forma il percorso espositivo di Transient

Bodies all’interno della Caos Art Gallery. Quella riportata infatti è una frase

della poetessa Mara Donat, scritta appositamente per Elisabetta Di Sopra

dopo aver visionato il video che, in maniera molto elegante, va a rimandare

ad un qualcosa di volatile, cadente ed effimero ma anche, allo stesso tempo,

al corpo in quanto materia e alla sua transitorietà. Sono effettivamente

questi gli ambiti tematici di cui vuole trattare la mostra Transient Bodies, che

letteralmente significa “corpi effimeri”, una piccola antologica nata dalla mia

collaborazione con l’artista e dalla nostra volontà di proporre un focus sul

corpus completo della sua produzione. Abbiamo creato, così, un excursus

storico tra i lavori principali a partire dal 2008, ripercorrendo, quindi, sei anni

di attività e andando a selezionare, di conseguenza, sei opere (più una). La

scelta dei video in mostra, in realtà, non è stata pensata attraverso un

metodo cronologico come si potrebbe pensare, ma più che altro come una

forma di analisi filologica di tutta la produzione dell’artista, individuandone

due nuclei principali: corpo e materia e corpo memoria. L’esposizione

cronologica, allora, va vista come un aspetto nato conseguentemente allo

studio dei lavori, dato che effettivamente le due stanze rispecchiano

rispettivamente la prima ondata di produzione e la seconda.

Da sempre nel mondo della videoarte il corpo è stato un elemento centrale

e preponderante, soprattutto se andiamo a guardare i primi esempi

riscontrabili a partire dalla fine degli anni Sessanta, dove la nascita del mezzo

video, possibilmente portatile, aveva dato la possibilità di riprendere le

performance degli artisti e di divenire strumento di documentazione di

un’esperienza, oltre che metodologia di conoscenza di sé e dello spazio

circostante. E’ in realtà nella prima fase di quella che si può considerare la

videoarte contemporanea, che andrebbe vista la relazione con la produzione

di Elisabetta Di Sopra, perché molti dei suoi lavori si basano su esperienze

performative dove il corpo è il soggetto principale, ma è anche forma

tangibile e testimonianza di un approccio conoscitivo. Il mondo di Elisabetta,

però, non è solo ed esclusivamente questo, perché il mezzo video nel caso

dell’artista non è più solamente metodologia di documentazione, quanto

scelta privilegiata di un medium che è allo stesso tempo radicato nella sua

espressività come un aspetto fondamentale all’interno di un processo di

creazione dell’opera.

Elisabetta Di Sopra è laureata in scultura all’Accademia di Belle Arti Di

Venezia, ma ormai da diversi anni utilizza il video come scelta preferenziale

per la realizzazione dei lavori. La sua formazione, però, è ben riconoscibile

all’interno dei suoi progetti, poiché l’aspetto materico derivante da

quest’esperienza è fortemente tangibile, soprattutto se si va a vedere il

lavoro Sugar Dead, presentato in questa mostra in forma di

videoinstallazione. In questo caso si può riscontrare all’interno del video un

corpo effimero, che tende a scomparire e ad essere risucchiato dalla madre

terra, lo stesso corpo che, nato da un calco dell’artista, è esposto al centro

della sala, ponendosi così sia come installazione che documentazione del

video in una forma di doppia valenza. Anche in Apparenze è riconoscibile un

“transient body”, come lo ho definito con il titolo della mostra, dove l’ombra

della performer è contemporaneamente una forma tangibile,

tridimensionale e che tende a fuoriuscire dallo schermo, un confine che

separa il pubblico dalla performance stessa. Con_tatto, esposto in questo

caso all’interno dello schermo principale, diviene un ponte verso la seconda

stanza, ovvero il corpo è allo stesso tempo materia ma anche memoria: la

memoria di un gesto e di una sensazione. Quest’ultimo lavoro si pone come

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fondamentale all’interno della pratica estetica di Elisabetta Di Sopra, perché

ne ricalca una tendenza sia formale, ma soprattutto contenutistica, vale a

dire la sua delicatezza e la capacità di non scadere mai nel banale. I suoi

video, infatti, sono spesso connotati da aspetti emozionali, poetici e

tendenzialmente definibili come “lirici”, ponendosi come risultanti di

esperienze autobiografiche, le quali però allo stesso tempo possono essere

considerate come usuali e comuni a tutti, spesso rispecchiando aspetti della

quotidianità. Quest’ultima di fatto è una caratteristica prevalentemente

femminile e molto spesso riconducibile ad una forma artistica il più delle

volte appannaggio delle donne artiste, che hanno la capacità di amalgamare

arte e sensibilità senza scadere in falsi miti o in aspetti poco originali e

relativamente insipidi. Spesso l’arte performativa concernente forme nate

dal contatto con il corpo o il travestitismo è tendenzialmente una

caratteristica riscontrabile in esperienze storico-artistiche relative nella

maggior parte dei casi alle donne (anche se un importante esponente

maschile si riconosce in Luigi Ontani) nell’ambito del mondo dell’arte

contemporanea, spesso ponendosi anche come un aspetto sia di protesta

che di implicazione sociale, dove il corpo è sia supporto conoscitivo che

esperienziale.

La seconda sala si presenta come quella dove si esperisce la tendenza

afferente al rapporto tra corpo e memoria, nella quale sono presenti due

video più recenti molto focalizzati su aspetti biografici. Ricalcano, inoltre, sia

l’idea di effimero che, per l’appunto, quella di memoria, legata

principalmente a quelle certezze che si pongono come quelle costanti di

tutti, ovvero: famiglia e casa.

In Temporary, ad esempio, si può riscontrare un’effettiva performance in

prima persona da parte di Elisabetta Di Sopra dove, all’interno di un

ambiente già nudo ma denso di ricordi, si spoglia dei propri vestiti andando

lentamente a sparire, divenendo, così, un corpo effimero appartenente ad

una memoria passata. In Dust Grains, il video più recente in mostra, la

memoria, invece, è denotata dal rapporto tra madre e figlia, reso tangibile

sullo schermo tramite l’utilizzo di filmini di famiglia che si sviluppano

all’interno dell’occhio della stessa artista, un tramite che è

contemporaneamente specchio di memorie passate e attore agente della

resa visibile di un ricordo pregresso. Si può ritenere che quella dell’utilizzo

dei filmini di famiglia sia una tendenza riscontrabile in ambito

documentaristico ma anche nel mondo dell’arte contemporanea, dove il

materiale grezzo si pone come strumento di ri-assemblaggio,

decontestualizzazione e ricontestualizzazione all’interno di una nuova forma

visuale, divenendo a tutti gli effetti un lavoro nuovo nato da un processo di

de-archivizzazione.

La stessa tendenza è il soggetto di Warning, video presente in un angolo

isolato della galleria e allestito in maniera da infondere un aspetto

performativo nello spettatore, che diviene pubblico agente, poiché per

accedervi è costretto ad aprire una porta ed entrare in un ambiente chiuso e

buio. Il video è una successione di immagini violente e pornografiche prese

dalla rete, dove la scelta degli still, la loro appropriazione in forma di archivio

e il loro riutilizzo diviene una processualità allo stesso tempo estetica e

catartica da parte dell’artista, poiché i corpi selezionati sono corpi violati. Essi

si fanno carne e materia da utilizzare. Lo stesso suono è disturbante e si pone

come sincrono visivo al fine di rendere l’esperienza della visione ancora più

drammatica.

Si conclude il percorso con un frame di Somnium Coleopterae (la settima

opera a cui mi sono riferita nell’introduzione), un video basato sull’idea della

trasformazione, sull’analisi del corpo e su di un’esperienza performativa

all’interno di un mondo onirico, il tutto sapientemente diretto e trasformato

tramite l’utilizzo di un linguaggio digitale. Sostanzialmente mette insieme le

competenze e gli interessi di Elisabetta Di Sopra e di Igor Imhoff, divenendo

anche il ponte tra la mostra che sta avvenendo ora e la personale successiva

di Igor Imhoff che si terrà a partire dal 7 agosto all’interno della Caos Art

Gallery.

Il giorno dell’inaugurazione viene riproposta, inoltre, la performance

intitolata Atto Primo, recentemente realizzata per il Festival dell’Erotismo a

Venezia, nella quale sono protagonisti due amanti che si baciano, incarnati

da Francesca Pangallo e Francesco Bianchi: un atto che avviene tramite

l’espediente del mangiare e che va a rispecchiare, in realtà, la storia del

bacio, nato come prima forma di nutrimento tra madre e figlio.

Successivamente alla performance rimarranno, nello stesso luogo, dei piccoli

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feticci, che si pongono allo stesso tempo come testimonianza,

documentazione e installazione dell’atto primigenio. E’ così che in Elisabetta

Di Sopra appare, in questo caso più tangibile, ma in realtà aspetto costante

della sua produzione, una forma di sessualità delicata, vissuta e analizzata

come parte della quotidianità.

A partire dagli inizi degli anni Novanta è stato coniato il termine

“Technoromanticism”, un neologismo teorizzato da Stéphan Barron, il quale,

nella sua tesi di dottorato di ricerca, aveva individuato una nuova tipologia

di arte dove il rapporto tra tecnologia e natura tendevano ad unirsi.

Teorizzava, inoltre, una riapparizione anche in ambito tecnologico

dell’utilizzo del corpo, inteso come materia, aspetto dovuto al fatto che si

necessitava di quest’ultimo per ricreare un ritorno alle origini, nel momento

in cui la società contemporanea si sarebbe troppo basata sulla tecnologia.

Spesso questa definizione è stata successivamente utilizzata per convogliare

un certo tipo di arte, afferente prevalentemente ai new media, ma per lo più

indirizzata verso quei progetti realizzati da artiste donne, le quali avevano

nella maggior parte dei casi una forte impronta di lirismo all’interno della

loro produzione. Sebbene per concludere questo testo non si voglia fare

anche un discorso teorico sui new media, è interessante, però, vedere come

quest’idea possa essere una ulteriore chiave di lettura vivace per

comprendere i lavori di Elisabetta Di Sopra (senza però volerla incanalare in

definizioni perché sarebbe altamente riduttivo), i quali risultano essere la

compenetrazione tra aspetto tecnologico - il video, aspetto poetico o lirico –

i soggetti e aspetto naturale - gli ambienti circostanti, come nel caso inziale

di Sugar Dead, dove il corpo viene assorbito dalla madre terra.

Giada Pellicari

© luglio 2014

Elisabetta Di Sopra

Ha conseguito nel 2010 la Laurea specialistica in Pittura presso l’Accademia

di Belle Arti di Venezia. La sua ricerca artistica si esprime in particolar modo

attraverso l’uso del linguaggio video per indagare le dinamiche più sensibili

della dimensione quotidiana, attraverso le sue microstorie inespresse, dove

il corpo femminile assume un ruolo centrale.

E’, inoltre, curatrice del concorso di videoarte Maurizio Cosua, all’interno del

festival Francesco Pasinetti.

Collabora con l’università Ca’ Foscari per lo Short Film Festival nella

promozione della videoarte italiana. Ha curato gli incontri Video Remakes

2013 presso la galleria A+A di Venezia.

Finalista al Premio Terna 05 è presente, inoltre, per tre edizioni di Videoart

Yearbook. Ha esposto in Italia e all’estero, tra i principali: Triennale di Milano,

MACRO (La Pelanda), Roma; BODIES OF SILENCE #3 London; body in

abstraction St John’s College, Oxford; HETERO Q.B. Museo Nazionale Arte

Contemporanea Do Chiado, Lisbona. Vive e lavora a Venezia.

Giada Pellicari

Giada Pellicari nasce a Padova nel 1987. E’ una curatrice d’arte

contemporanea che ha indirizzato la sua pratica curatoriale e critica verso gli

ambiti del Writing e della Street Art, dell’arte pubblica e dei New Media,

attraverso mostre, conferenze e workshop sia indipendenti che in

collaborazione con istituzioni e gallerie. Si è laureata prima all’Università di

Padova in DAMS Arte (110 e lode) e successivamente ha conseguito la laurea

magistrale in Arti Visive all’Università IUAV di Venezia (110 e lode). E’ stata

curatore in residenza per un anno presso la Fondazione Bevilacqua La Masa

di Venezia con il collettivo Cake Away, dove ha curato e co-curato progetti

espositivi, cicli di conferenze, workshop e performance artistiche.

E’ stata, inoltre, teaching assistant di un corso della School of the Museum of

Fine Arts di Boston in partnership con l’Università IUAV di Venezia. E’ stata

uno dei relatori al convegno internazionale “Lisbon Street Art and Urban

Creativity International Conference” organizzato dall’Università di Lisbona a

luglio 2014. Dall’ agosto 2012 è Editor in Chief del noto sito di Writing e Street

Art: www.streetartattack.com. Ha all’attivo testi e pubblicazioni.