TraMonti 2009

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Bollettino d’informazione riservato ai soci 2009 Club Alpino Italiano Club Alpino Italiano Giacomo Toni valdarno sezione inferiore valdarno sezione inferiore

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Bollettino d'informazione Seziona CAI VAldarno Inferiore Anno 2009

Transcript of TraMonti 2009

Bollettino d’informazioneriservato ai soci 2009

Club Alpino ItalianoClub Alpino Italiano

Giacomo Toni

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sezione

inferiore

In copertina:Discesa dalla cima del M. Cusna, m. 2124 - Appennino emiliano (foto F. Mantelli)

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ph 0571 20097

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Tesseramento 2009Soci ordinari

Soci familiari

Soci giovani (dal 1992 in poi)

€ 40,00

€ 20,00

€ 12,00

€ 2

ddalla 1991992 i2 in p i)oi) € 1

Al 31 Dicembre 2008 gli iscritti erano 182 così ripartiti

1 118 soci ordinari

1 48 familiari

1 16 giovani

14

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di cui nuovi

1 Dà diritto a ricevere “La Rivista” e “Lo Scarpone” (solo ai soci ordinari)1 Copre con un’assicurazione le spese d’intervento delle squadre di soccorso alpino e dell’elicottero in caso di incidente in montagna1 Consente (esibendo la tessera con il bollino) di ottenere priorità di accoglienza e particolari condizioni di sconto nei rifugi del CAI1 Permette di acquistare a prezzi agevolati le pubblicazioni del CAI e del TCI1 Dà diritto a partecipare a tutte le iniziative delle Sezione con particolari agevolazioni

Si ricorda che l’iscrizione al CAI:

Si invitano i Soci a rinnovare l’iscrizione entro il 31 marzo 2009, per la continuità della copertura assicurativa. Per informazioni sul tesseramento contattare il socio incaricato Giancarlo Duranti al numero 0571 242794.

L’iscrizione per il 2009 è valida fino al 31 marzo 2010.

Ulteriori informazioni si possono avere in sede il venerdì dalle ore 21,30.Telefono 333 3355156

www.clubalpinoitaliano.it e-mail: [email protected]

SEDESez. Valdarno Inferiore Club Alpino Italiano

Piazza Vittorio Veneto 4 - 50054 Fucecchio FI

TELEFONO333 3355156

E-MAIL

[email protected]

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in questo numeroCorno Bianco (F. Mantelli) 02

Cronaca di una breve vacanza (I. Veroni) 06

Il Sasso Regio (G. Sani) 09

Scuola di speleologia di Fucecchio (A. Lusini) 14

Sibillini (F. Mantelli) 17

Programma escursionistico 2009 23

Organigramma della sezione 27

Scala delle difficoltà escursionistiche 28

PRESIDENTEFrancesco Mantelli Tel. 334 3568049

SEGRETARIO

SEGRETERIA SOCI

Michela Malvolti Tel. 347 6790752

Giancarlo Duranti Tel. 347 7351722

ORARI APERTURA

Venerdì 21:30/23:30

Bollettino di informazione riservato ai soci Sez. Club Alpino Italiano “Giacomo Toni” Valdarno Inferiore

Coordinamento e redazione a cura diVittorio Santini

Le foto riportate in questo bollettino, quando non indicato l’autore, sono fornite dai vari soci che hanno partecipato alla redazione.

f t i t t i t b ll

ordinamento e redazione a c

L’idea era quella di fare una breve escursione esplorativa. Il giorno precedente era stato caratterizzato da intenso maltempo: aveva distrutto l’orto del maso dove avevamo preso alloggio, aveva imbiancato di grandine le montagne a quote superiori

ai 2000 metri ed, evento ben più grave, aveva fatto alcune vittime sul monte Bianco.Quel mattino del 25 luglio non avevo portato la carta dei monti attorno e così dall’alto di una modesta cima a nord di passo Pennes, non avevo riferimenti topografici per individuare il Corno Bianco che avevo capito essere una delle cime più interessanti dei vari gruppi montuosi che costituiscono le Alpi Sarentine. Ma poiché era la montagna più elevata di quella zona, non fu difficile scorgerla, soprattutto per quella che da lontano appariva una grande macchia bianca, probabilmente formata da calcari, che affiorava lungo il suo versante orientale. Per quel giorno mi accontentai di quelle poche ore di cammino su pendii erbosi e di raccogliere nitide immagini di una parte dell’arco alpino grazie all’aria resa limpida dalla perturbazione del giorno precedente. Nel nostro “rifugio”, un maso al termine della val Sarentina, quasi a 1500 metri di quota, non avevamo voluto la televisione; i giornali si compravano 20 Km più in

Francesco Mantelli

Corno Bianco

Da passo Pennes grandi montagne verso nord (foto F. Mantelli).

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basso e così mi trovavo come 30 anni fa, quando si scrutava il cielo per cercare di intuire come sarebbe stata la meteorologia del giorno dopo. L’impossibilità di disporre di informazioni sulle previsioni del tempo, un ritorno indietro di decenni, apre veramente un grande fronte di incertezza per chi va in montagna (ma anche per chi va in grotta o in altre parti su questa Terra): i vantaggi della conoscenza della situazione meteorologica, oggi certamente attendibile anche fino a 5 giorni e qualche volta di più, sono immensi. Si sale in montagna e si sa che quella gran nuvolaglia all’orizzonte non porterà nulla e quelle nubi che ora rapidamente ci arrivano addosso sono solo ad evoluzione diurna e non lasceranno cadere neppure una goccia, mentre in quegli anni di non-conoscenza poteva accadere che quella debole velatura del cielo, alla quale non avevamo dato alcuna importanza, era l’anticipo di una grande perturbazione in arrivo. Con le informazioni di cui si dispone oggi, la tragedia che vide Bonatti protagonista nel luglio 1961 sul pilone Centrale del Freney non sarebbe avvenuta: quella terribile perturbazione sarebbe stata prevista con un largo anticipo.Così nel mio piccolo, anche se avevo intuito dalla carta stampata che la situazione meteorologica generale evolveva verso la stabilità, guardavo il cielo e lo guardai anche quel mattino del 26 luglio quando già vestito in modo adeguato e con lo zaino in spalla oltrepassai la porta di casa mentre le prime luci del mattino erano più scure del solito e non ci fu che retrocedere: una cappa di nubi velava le montagne dai 2000 metri in su. Non peggiorò il tempo durante il giorno, ma le cime rimasero a lungo coperte, poi a tarda sera il cielo sembrò farsi più sgombro di nubi. Il mattino seguente, non erano neppure le 5, il cielo appariva chiaro perché assolutamente limpido: mezz’ora dopo stavo camminando sul sentiero che parte da passo Pennes e conduce al Corno Bianco. Mentre camminavo, osservavo talvolta la

Dalla cima di Stives uno sguardo verso il Corno Bianco (foto F. Mantelli).

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barriera di nubi verso nord e, nonostante le rassicurazioni di un giornale, provavo l’incertezza degli anni trascorsi di fronte alla meteorologia sconosciuta. Avevo il passo sostenuto perché non avevo idea di quanto il tempo avrebbe “retto”: le Alpi hanno microclimi locali che sfuggono talvolta all’evoluzione generale. Ma quella barriera non si mosse e un sole non più velato pian piano si fece spazio per portare una nuova luce e per accompagnarmi fino ai laghetti sotto il versante est della montagna. Al di là di uno smarrimento temporaneo del sentiero, l’ambiente non pericoloso e la stabilità atmosferica, inducevano ad un procedere tranquillo, ma io sapevo che la montagna resta sempre montagna e che ogni attenzione non va mai allentata: guardavo pertanto la cuspide terminale del Corno Bianco con un misto di attrazione e di soggezione, una cima che sembrava lontana e vicina allo stesso tempo, e quelle improvvise nebbie che si stavano formando con una rapidità straordinaria mi inducevano a non rallentare. Tornavo così a provare le emozioni, le ansie e le paure di un tempo, che fanno delle montagne i luoghi dove smarrirsi o ritrovarsi. Ero tornato a rivivere le sensazioni di altre salite, quando l’incertezza, nata da timori veri o presunti, era parte del procedere, quando niente era sicuro fino al momento in cui avrei appoggiato i piedi lassù, quando ritenevo che era sempre lei, la montagna, ad accettarci, più che noi a salirla. E sapevo anche, come era avvenuto tante volte in passato, che ogni incertezza si sarebbe dissolta con l’azione: dopo una breve sosta, sarebbe bastato ripartire per osservare con quale straordinaria rapidità la cima si sarebbe avvicinata.Lascio da una parte i bastoncini di appoggio e inizio a salire utilizzando alcune corde fisse: la roccia formata da scisti micacei non lascia molti margini di sicurezza a chi vuole arrampicarvisi. Si procede rapidamente sul ripido ed esposto pendio, si procede

Il Corno Bianco dalle alture ad est di passo Pennes (foto F. Mantelli).

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senza badare al respiro che manca, perché sempre mi ritorna quella passione che mai mi ha abbandonato: la cima come pretesto per portarsi oltre, il desiderio di vedere cosa c’è al di là di quelle rocce più in alto, quelle rocce che poco fa sembravano così irraggiungibili, finché, quasi inaspettatamente, mi trovo su una stretta cresta che è quella sommitale e al cui termine si trova la croce di vetta.Come è facile e quasi banale la montagna del dopo, quando di nuovo sono tornato su quel minuscolo sentiero alla base della cuspide, sentiero che appariva così lontano dalla cima, quando le nebbie di alta quota continuano a danzarti attorno ormai inoffensive, quando la solitudine del luogo è dissolta da qualche altro essere vivente che da lontano si avvicina, poi saluta e prosegue verso la cima.

Sulla cima del Corno Bianco m. 2705, Alpi Sarentine (BZ) (foto F. Mantelli).

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Mentre lo speeker annunciava che eravamo ormai prossimi allo sbarco, mi stavo rigirando nella mia cuccetta.Non so quanto ho dormito durante la notte, un po’ per il rollio della nave, un po’ per la paura di poter disturbare il sonno di Mimma e Filippo con i quali dividevo la cabina, fatto stà che mi sono girata e rigirata mille volte e sono scorse nella mente le immagini della mia ultima volta in Sardegna (e parlo di venticinque anni fa!): come avrei rivisto Golfo Aranci?La brezza mattutina è tagliente, e aiuta a tenermi sveglia. Il cielo è terso e nel caos dello sbarco riesco a rivedere i profili rossastri delle rocce, la vegetazione bassa, ma anche l’espansione del cemento avvenuta comunque in modo abbastanza

curato e ben camuffato.Saliamo in auto, destinazione Sud-Est provincia dell’Ogliastra. Il programma della gita prevede escursioni, trekking e mare. Siamo in dodici più Carlo, guida cosmopolita buon conoscitore dei luoghi, che ci accompagnerà, con l’aiuto di Giancarlo, in questo concentrato di vacanza.Arriviamo in agriturismo dopo due ore di macchina, in un viaggio che ci ha permesso di ammirare, anche se in modo distratto, il peculiare paesaggio

dell’entroterra sardo. Un paesaggio aspro, ma allo stesso tempo ricco, in questo periodo, di fioriture. In particolar modo mi ha colpito l’infinita estensione di asfodeli. Colline, montagnole, piccoli tratti pianeggianti per chilometri ricoperti di questo fiore, dove pascolano pecore, mucche e cavalli.Posati i bagagli siamo partiti subito per una mini escursione, destinazione spiaggia…… e qui uno pensa: lettino, sdraio, ombrellone… NO… con la jeep di Carlo e la meno jeep di Giancarlo scendiamo per un sentiero sconnesso e in mezzo a sugheri, ginepri, olivastri, maiali neri che scappano, arriviamo infine a posteggiare le auto. Proseguiamo a piedi lungo il sentiero, ora il percorso è tranquillo, passiamo fra cespugli di corbezzolo, di mirto, tra fiori gialli di ginestre e rosa selvatica. La luce di mezzogiorno sbatte contro le pareti di roccia e sui sassi bianchi, abbagliandoci piacevolmente. Il volo di una poiana, alcune canne mosse dalla brezza marina…… siamo noi a disturbare questo equilibrio, perché appena

Cala Goloritzè (foto M. Sabatini).

Isabella Veroni

Cronaca di una breve vacanza

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vediamo la linea blu cielo-mare, la spiaggia di ciottoli bianchi, le pareti color ocra della roccia, non possiamo fare a meno di gioire chiassosamente: siamo a Cala Sisine.La più temeraria si prepara per un bagno, inutile dire che l’acqua è abbastanza gelata il primo di maggio, ma Giusy si tuffa senza esitazione in quel turchese trasparente. Il gommone ci porta ad Arbatax in due ore, facendoci gustare ogni angolo, ogni caletta, da cala Biriola a cala Mariuola, da punta Ispuligi a Portu Quao passando per la grotta del Fico e,

accompagnati da nuvole di rondini di mare, gabbiani e cormorani, ci avviciniamo alle caratteristiche rocce rosse di Arbatax. Il recupero delle auto è problematico, a cena arriviamo in ritardo ma gnocchetti, pecora e seadas ci fanno dimenticare l’orologio. Sono passate le ventitre, di corsa a dormire, domani ci aspettano le gole di Su Gorropu.E’ un percorso a piedi nel Supramonte di Dorgali, uno dei simboli del Gennargentu.La gola è la più profonda d’Italia e probabilmente d’Europa, con pareti impressionanti alte anche quattrocentocinquanta metri. Partiamo di buon mattino, il tragitto in macchina è abbastanza lungo, ma attraversa una zona spettacolare, rocciosa, paragonabile al paesaggio dolomitico.Appena parcheggiato ci incamminiamo lungo il corso del Gorropu. Il paesaggio è a tratti lunare, ma con pascoli erbosi e, dove più riparato, con vegetazione mediterranea. Quando il sentiero stringe dobbiamo aggirare massi con piccoli salti e davanti a noi si stagliano pareti scolpite dai venti e dalle acque, dove il sole fatica a filtrare. Ci sentiamo piccoli piccoli.La cena è in agriturismo e anche questa sera il menù è tipico della cucina sarda. Il Cannonau mette una certa allegria alla compagnia, che si attarda a tavola con filosofiche discussioni e briosi discorsi.Il terzo giorno abbiamo in programma l’altopiano del Golgo e cala Goloritzè. Raggiungiamo l’altopiano passando per il paese di Baunei. Al parcheggio il gruppo si divide; una parte è diretto alla cala per fare una giornata di mare, il resto si avvicina ai margini della voragine carsica di Su Sterru, formatasi dalla spaccatura di rocce calcaree e profonda circa trecento metri. Proseguiamo su terreno pietroso fra lecci e arbusti quando ci troviamo davanti all’“indiano”. Una roccia granitica che gli eventi atmosferici hanno scolpito a mo’ di volto. Da qui con circa un’ora di cammino raggiungiamo gli altri alla spiaggia. Il sentiero è tutto in discesa in mezzo ad un bosco di lecci centenari, maestosi, il sottobosco è la classica macchia mediterranea. Un percorso piacevole, sia per l’olfatto, è un tripudio di profumi, dal mirto al rosmarino, all’elicrisio, sia per l’occhio che si perde in una tavolozza di colori. Le varie tonalità dei verdi, il giallo della ginestra,

L’Indiano (foto M. Sabatini).

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gli oleandri, altre fioriture che addolciscono il bianco delle pietre, il blu del cielo, la trasparenza dell’acqua… Siamo a cala Goloritzè. La spiaggia è formata da una miriade di sassolini bianchi e per questo unica nel suo genere, tanto che è stata nominata monumento nazionale italiano. Fa da guardia a questo monumento un campanile di roccia alto circa centocinquanta metri dove gruppi di alpinisti si alternano in ardite arrampicate. Circondati da tanta bellezza anche oggi ci dimentichiamo dell’orologio. La cena è un po’ sottotono (moralmente parlando) perché pensiamo già a rifare i bagagli, l’indomani è il giorno del ritorno.Prima dell’imbarco è prevista la visita al lago di Flumendosa e all’immancabile sito nuragico.Tutto procede secondo programma. Arriviamo a

Golfo Aranci alle quattordici, alle quindici e trenta abbiamo il traghetto. Giusto il tempo per un ristorantino, con ricco antipasto di mare e due spaghetti annaffiati con buon Vermentino, e ci ritroviamo già in coda per l’imbarco.Il mare è calmo, un bellissimo pomeriggio assolato ci riporta verso Livorno, e mentre passiamo davanti ai profili di Corsica e Capraia ci troviamo tutti e tredici a commentare questa breve vacanza.Rivediamo le foto sui piccoli schermi delle digitali, ci scambiamo opinioni, impressioni, numeri telefonici, ci promettiamo di ritornare. Mi sdraio in poltrona, in effetti sono un po’ stanca, ma altrettanto appagata da questa breve vacanza, e soprattutto dalla compagnia: ancora una volta ho avuto la conferma di come sia bello stare insieme godendosi la natura, fuggendo dalla congestione della vita quotidiana che raramente ci offre momenti di genuina convivialità come questi. Alla prossima.

Su Gorropu (foto M. Sabatini).

Su Gorropu (foto M. Sabatini).

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La commissione Terre Alte ha svolto una proficua attività di ricerca e studio sulle incisioni rupestri presenti in Casentino.In una località boscosa situata sul pendio sud occidentale del Monte Falterona, nel Comune di Stia (Arezzo) è stato identificato un manufatto su parete verticale di pietra arenaria consistente in elaborate incisioni.

La parete, orientata esattamente verso ovest, fa parte di un masso erratico spaccato in due da un grosso rovere, cresciuto in un anfratto per inseminazione spontanea verosimilmente da almeno cinquant’anni.Si tratta di una complessa monumentale raffigurazione, di circa 130 cm di altezza, al centro della quale campeggia quello che può essere identificato in un “albero della vita” (con tanto di frutti) che si ramifica dai fianchi di una collinetta al cui culmine si erge una struttura a forma di fallo. Risalendo la figura, al centro dell’albero, si riscontra in continuità di detta struttura, un’altra dall’aspetto simile a quello di una vulva, e sopra di essa una nicchia a doppia profondità con base orizzontale e volta a tutto tondo. I rami “fruttiferi” dell’albero, cinque

La monumentale incisione del Sasso del Regio (foto G. Sani).

Giancarlo Sani

Il Sasso del Regio

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su ogni lato, terminano al di sopra della nicchia. Sul lato sinistro di chi osserva, si ravvisa la figura stilizzata di un orante sicuramente associato e contemporaneo all’albero della vita. Un classico simbolismo di adorazione. La raffigurazione fin qui descritta parrebbe appartenere ad un’unica epoca e, probabilmente, eseguita dalla stessa mano.Al di sopra, staccate da questa composizione, è visibile al centro una rudimentale testa circolare, mostruosa, con occhi (due stupende coppelle a fondo conico) e naso leggermente incavato e con una bocca profondamente incisa, dall’espressione mesta. Sulla sua sommità si eleva una croce, probabilmente incisa in epoca posteriore che fa pensare a una successiva cristianizzazione di quello che potrebbe essere stato il luogo di un antico culto pagano. Sui due lati sono incise a destra una figura schematicamente antropomorfa e a sinistra una consimile dalla pancia prominente: probabile raffigurazione

di una donna prima e dopo la fecondazione. La completa diversità di stile e della tecnica incisoria (martellina fine) sommata allo stato di consunzione fanno pensare a una fase più arcaica. Sul culmine del sasso si trova una vaschetta naturale che reca solo piccole tracce di un intervento umano per meglio adattarla a formare un piccolo bacino.L’attenta analisi di tutto il complesso monumentale, inciso sul masso di arenaria, identifica almeno tre fasi incisorie cronologicamente diverse e la mancata sovrapposizione dei segni indica un probabile riadattamento del simbolismo.Nel terreno circostante si nota la presenza, sia pure sporadica, di frammenti di tegole romane e di altri manufatti, forse contenitori. La roccia è situata sul dorso di un contrafforte della collina e sovrasta una ex casa colonica, a breve distanza da un noto santuario mariano, e a questo è collegata mediante una strada assai ben costruita ed oggi del tutto abbandonata. Lungo detta strada – risalente forse al XV-XVI secolo - si trovavano, disposti con cadenza regolare, dei “monti domini” (oggi rimossi) che un tempo sorreggevano probabilmente delle croci di legno.

Al piano terra della casa vi sono due stanze attualmente adibite a cantina e magazzino. Nella parete di una di esse si trova una nicchia con concrezioni calcaree biancastre e dalla quale sgorga dell’acqua. Osservando il piano terra

Particolare della nicchia a doppia profondità (fotoG. Sani).PP i l d ll i hi d i f di à (f

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delle suddette stanze si nota che in origine la nicchia con la sorgente si trovava al centro di una stanza dal pavimento ben lastricato, oggi diviso fra i due vani e con al centro una vasca verso cui scorreva, mediante un canaletto, l’acqua della fonte.Il proprietario riferisce di aver udito da alcuni anziani, ex contadini del circondario, che la roccia con il manufatto era un tempo nota come “Sasso del Regio” e rappresenterebbe “un santo eremita” o “un frate”, mentre la fonte all’interno della casa era ritenuta miracolosa poiché “frequentata soprattutto da donne” sino ad epoca recente “che si curavano gli occhi”. Il luogo era anche il punto focale di una processione religiosa, che aveva luogo durante le “erogazioni” provenienti dal vicino Santuario della Madonna delle Grazie.E’ indubbio che la tipologia di questo manufatto (se pure unico nel suo genere),

lo farebbe risalire ad epoca pre-cristiana e lo identificherebbe come “apparato liturgico” per officiare riti legati al culto delle acque e della fecondità, ma è altrettanto palese come la frequentazione ed il culto si siano protratti fino all’era moderna. Vi sono chiare testimonianze ed indizi del protrarsi di queste frequentazioni non solo fino all’imposizione del culto della Madonna da parte delle locali autorità

ecclesiastiche, nel XIV secolo, ma anche in epoca assai vicina a noi.Nell’alta valle dell’Arno, in Casentino, vi sono quattro santuari dedicati alla Madonna sopra siti di altrettante simili teofanie, avvenute fra il XIV e il XV secolo. E’ chiaro che questi “interventi della Madonna” siano accaduti posteriormente, allo scopo di porre termine allo spontaneo culto popolare pagano.A mio parere, e a giudizio di vari esperti di arte rupestre, non

La figura dell’Orante (foto G. Sani).

La “mostruosa testa” incisa sul masso in una seconda fase,probabile riadattamento del simbolismo (foto G. Sani).

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esisterebbero altrove raffigurazioni analoghe; tuttavia è importante rilevare come, sempre in Toscana, a Massa Marittima, l’affresco delle “Fonti dell’Abbondanza” (opera pittorica risalente al XIII o XIV secolo e raffigurante esplicitamente un culto pagano delle acque e della fertilità) presenti forti analogie semantiche, se non anche figurative con quelle riscontrate nel Sasso del Regio.Il contesto archeologico del Sasso del Regio è complesso e di non semplice interpretazione. Sul fianco del Monte Falterona (1658 m), ossia sul costone che precipita verso l’Arno a sud e ad ovest del Poggio Castellare (977 m), si trovano numerose rovine di abitazioni di epoca tardo romana e barbarica, sottoposte ad indagine archeologica ormai da un decennio. Gli scavi di sei di queste numerosissime abitazioni, hanno portato alla luce edifici monolocali con fondazioni di pietrame, elevati in terra battuta e copertura a tegole ed embrici ad incastro. Le case appartenevano evidentemente a pastori, che coltivavano anche una qualche varietà di cereali, ma che restavano soprattutto dediti alla pastorizia poiché i terreni arabili nella zona sono insignificanti. Le abitazioni, disposte in maniera caotica e distanti circa una decina di metri l’una dall’altra, avevano ciascuna una capanna adiacente di frasche e legname.

Le due figure antropomorfe legate al culto della fecondità (foto G. Sani).

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I reperti mobili ritrovati consistono in ceramiche di impasto, ziri ed anfore, attrezzi agricoli analoghi a quelli ancora in uso alcuni anni or sono nella stessa zona, e monete che datano dal III secolo d.C. inoltrato fino al VI secolo. La toponomastica della zona conserva un idronimo greco nel torrente adiacente al monumento (fosso della Baselica) e poco oltre anche un toponimo (Baserca).La sommità del Poggio Castellare, una prominenza del costone del Falterona che scende sino al castello guidigno di Porciano, è ricchissima di rovine non ancora indagate.

Nel corso del 2008 la commissione Terre Alte ha effettuato una conferenza - proiezione sul tema delle incisioni rupestri in Val di Lima a Bardalone, organizzata dalla sezione Cai di Maresca in stretta collaborazione con la locale Società di Mutuo Soccorso, inoltre ha organizzato una “serata” sui misteriosi simboli sulle rocce della Toscana che è stata tenuta nello stupendo scenario del Cenacolo degli Agostiniani a Empoli. Le due iniziative hanno visto un grande successo di pubblico, segno questo di una crescente attenzione per questo specifico settore archeologico.

Il rilievo integrale del Sasso del Regio (foto G. Sani).

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Dopo tante fatiche, adesso ci siamo.E’ nata ufficialmente la Scuola di speleologia di Fucecchio. Siamo scuola ufficiale della Società Speleologica Italiana. In Toscana le Scuole di Speleologia fino ad adesso erano 8 e cioè: Calenzano, Carrara, Firenze, Grosseto, Livorno, Massa, Pistoia, Versiliese. E’ un riconoscimento importante, anche per la nostra sezione, rappresentare una realtà che alcune sezioni C.A.I. anche molto più grandi della nostra non hanno. E’ nata in concomitanza con il primo corso di speleologia tenuto dalla commissione speleologica “SPEOLO” che si è svolto dal 25 settembre al 30 ottobre. L’impegno è stato grande, un sabato ed una domenica di continuo lavoro sulle corde alla luce del sole alle cave di Monsummano, poi per le quattro domeniche successive erano previste le uscite in grotte di difficoltà sempre crescente ma già elevata fin dalla prima, quando siamo stati in Corchia ai Rami del Giglio. Le lezioni teoriche, sette in tutto, si sono sempre tenute ogni giovedì all’interno della nostra sede ad eccezione di quella sulla fotografia ipogea che per motivi logistici non derivanti dalla nostra volontà, si è tenuta alla sede del C.A.I. di Firenze.Sette sono stati gli allievi, tutti volenterosi che si sono ben comportati sia in cava sia alle uscite ipogee tanto che non abbiamo mai riscontrato problemi seri. Bravi tutti gli istruttori che si sono avvicendati sia nelle palestre all’aperto sia nelle varie uscite in grotta e che hanno saputo vegliare sugli allievi insegnandogli le tecniche di progressione nel miglior modo possibile, rispettando in modo maniacale tutti i criteri di sicurezza ma infondendo la voglia e non il timore di andare in grotta, tanto che alcuni di loro stanno già continuando a fare attività con il nostro gruppo. Non possiamo chiudere senza la dovuta riconoscenza verso chi si è fortemente impegnato. Un doveroso e sincero ringraziamento agli amici del G.S.A.L. di Livorno, senza il loro fattivo aiuto non avremmo potuto realizzare questo nostro sogno. Al direttore del corso, Lucia Montomoli che oltre ad una professionalità ed una competenza non comuni, si è sobbarcata sempre un sacco di chilometri per prendere parte alle uscite. Grazie anche a Raffaele Bruzzi, coordinatore regionale

Andrea Lusini

Scuola di speleologia di Fucecchio

Palestra a Monsummano (foto A. Lusini).

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Antro del Corchia - Discesa del Pozzacchione (foto F. Mantelli).

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Antro del Corchia – Galleria della Neve (foto A. Lusini).

delle scuole di speleologia per la Toscana, che ci ha aiutato molto in questi anni. Un sincero ringraziamento anche a chi ha tenuto le lezioni teoriche, alcune sono state fatte dai nostri soci, altre avvalendosi di professionisti esterni. Come non parlare poi dei ragazzi di Speolo, una tribù a volte rissosa ma piena di risorse e bravura. Alla fine, tutti a cena in un ristorante della zona per la consegna dei diplomi. Ecco di seguito i nomi degli istruttori in ordine casuale.Montomoli Lucia, Dellavalle Giovanni, Baroni Matteo, Serena Fabrizio, Orazietti Andrea, Lusini Andrea, Panichi Siria, Paoli Daniele, Bruzzi Raffaele, Cerri Valerio, Morichetti Giovanni, Guerri Daniele, Campinoti Linda, Della Maggiore Sandro, Lelli Paola, Barlacchi Enzo, Tamburini Sabrina, Mantelli Francesco, Bastogi Marco, Chierici Paolo, Sani Giancarlo.Si ringraziano inoltre gli allievi che hanno reso possibile la realizzazione di questo corso: Simone Bellegoni, Barbara Arbeid, Omar Filippi, Paolo Billeri, Jerry Pieri, Paolo Monti.

Dei giorni trascorsi restano solo i momenti e anche percorrere le montagne è la ricerca dei momenti. E spesso sono loro che vengono a te anche se vai alla ricerca di quelli che immagini, e sulle montagne è spesso la cima raggiunta a costituire il momento. Perché non dovrebbe essere così? La cima è spesso la meta, è il luogo dove convergono le linee e quasi sempre è bello essere lassù. Anche se ci arrivi con le nubi che l’avvolgono e a quel punto vedi solo linee fuggire da ogni parte verso il basso.

Francesco Mantelli

Presso il lago di Pilato (foto F. Salvestrini).

Sibillini

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Con gli anni scopri che le montagne, oltre alla cima, concedono altro, offrono il loro essere là. E il semplice percorrerle, anche senza necessariamente innalzarsi su ripide pareti, talvolta lasciando la cima in disparte, può regalare momenti.I Sibillini hanno quella magica attrazione di montagne solitarie, macchiate di nevai di fine primavera che danno già l’idea di altri luoghi, già separati e lontani da questi fondovalle dove i boschi sono verdissimi, i pascoli abbondanti e dove antichi e piccoli paesi ancora sopravvivono. Il ghiaccio galleggia e copre gran parte dell’acqua del lago di Pilato in questo

Antonio Mari (foto F. Mantelli).

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giorno di fine maggio e il cielo azzurro si riflette nelle sue acque e da qui potremmo salire fino al punto più alto di queste montagne, il monte Vettore. Ma invece si volge verso nord, per un lungo camminare e traversando larghi nevai dove la piccozza, strumento che mi appariva ridicolo nei prati di fondovalle, assume una valenza irrinunciabile sulle neve indurita dalle fresche notti a queste quote. Dopo Forca Viola, siamo sempre più in alto e si cammina sul filo di creste e il momento è essere quassù: piccoli punti che vedo davanti a me e che si muovono verso l’arcigna montagna chiamata Palazzo Borghese e altri punti dietro di me

Antonio Mari e Giovanni Morichetti sulla cima di Palazzo Borghese (foto F. Mantelli).

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su grandi plateau innevati, fra morfologie carsiche di doline che punteggiano il vallone più in basso. La montagna dal nome strano sembra realmente un palazzo che emerge dai dolci avvallamenti e dagli ondulati pendii che costituisco cime già oltre i 2000 metri; su ripide pareti di bianco calcare si aprono cavità che appaiono finestre e che sembrano disegnare occhi di una divinità malvagia. Mi immagino un’arrampicata su quella roccia infida e franosa e non mi sento attratto, mentre è ben facile raggiungerne la cima che non è lontana dal sentiero dove stiamo transitando. La cima è stretta e le pareti cadono giù verticali, come qualche cordata ha fatto: troppo fratturata la roccia e troppo particolare l’antico “palazzo” per restare indifferente a chi vuole conoscerne le pareti.Lassù Antonio ci racconta le sue salite su quella strana montagna e ci mostra i vecchi chiodi che ancora sono lì insieme a frammenti di cordini e il luogo è tale che il suo raccontare diviene vedere, capire e vivere quei momenti di un passato che sembra perduto nella solitudine dei luoghi.Poi si scende e si scende, mentre le ultime luci già si sono perse al di là delle pareti orientali dello strano “palazzo”.

Il gruppo verso la cima del monte Sibilla (foto F. Mantelli).

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Il giorno seguente, la salita al monte Sibilla non è fatta delle 10 ore di percorso del giorno precedente, ma mostra l’eleganza di crinali che sembrano galoppare sul cielo fino a quella strana cima circondata da una corona di rocce ripide che poi si superano facilmente in un punto di frattura. Dalle creste che progressivamente ci avvicinano alla vetta, ci si affaccia sui ripidissimi pendii che si perdono oltre 1000 metri più in basso nelle gole dell’Infernaccio: mi immagino come possa essere questo versante in inverno e come abbia fatto Antonio nelle sue risalite su ghiaccio. Decisamente mi sento più a mio agio in questa bella giornata di

Dalle alture del monte Argentella verso Palazzo Borghese (foto F. Mantelli).D ll l d l A ll P l B h (f F M lli)

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inizio giugno, attratto più dalla complessa geologia del luogo che regala strati di rocce calcaree rosse e grigie, che dai desideri di risalite in invernali su infide e valangose pareti. E poi là davanti, sulla montagna di fronte, la grande Priora, famosa per lunghi avvicinamenti e per le sue salite facili ma interminabili, c’è il gruppo guidato da Giovanni che forse intravediamo a metà percorso vicino a delle placche nevose e poi perdiamo su quella cresta senza fine. La Priora non finisce mai e qualcuno si fermerà a due passi dalla cima, ma i momenti non sono sempre la cima e sulla Priora basta esserci. Ma nessuno si ferma poco prima quando ogni sera a Isola San Biagio si varca la porta di ingresso dell’agriturismo il Tiglio, dopo che le mucche sono passate dall’abbeveratoio e dopo che la fatica è stata scacciata da una doccia, e ci si trova seduti in un’elegantissima sala da pranzo. La nostra comunità si ricompone davanti a piatti mai uguali e mai banali, una sorprendente ricerca di idee e sapori, di raffinate presentazioni e proposte che a volte stupiscono e che si mescolano con grande armonia per costruire alla fine altri e irripetibili momenti.

Dal lago di Pilato verso Forca Viola (foto F. Mantelli).

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PROGRAMMA ESCURSIONISTICO 2009

PROGRAMMA ESCURSIONISTICO 2009

Dolomiti della Sella, pietra di vetta.

Info

rmazi

oni Bini Domenico 0573 658939

Billeri Paolo 329 9666057Calgaro Giusy 347 8061329Campinoti Linda 338 8388241Duranti Giancarlo 347 7351722Guiducci Marco 333 7815189Roggi Giancarlo 0571 22753Lusini Andrea 0571 922207Mantelli Francesco 334 3568049

Marliani Paolo 339 1080294Morichetti Giovanni 368 456223Orazietti Andrea 366 4025872Pieri Jerry 329 5429888Puddu Beppe 349 4750508Romagnoli Sandro 335 8104576Sani Giancarlo 0571 924170Santini Vittorio 335 1207705

Passo di Lama Lite (Appennino Tosco-Emiliano).

Date Escursioni Ore Difficoltà

Programma escursionistico 2009

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Date Escursioni Ore Difficoltà

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In collaborazione con la scuola di alpinismo “Tita Piaz” di Firenze, la nostra sezione organizza un corso di alpinismo nel periodo aprile - luglio 2009.Il corso è indirizzato a soggetti che hanno già una buona esperienza di montagna.

Per il numero limitato dei posti, gli interessati sono pregati prima possibile di mettersi in contatto con i referenti Massimo Borsini e Francesco Mantelli.

Corso di Alpinismo

Direttore corso Terreni Aldo

Referente Borsini Massimo [email protected] 3385282924

Referente Mantelli Francesco [email protected] 3343568049

Organigramma della sezione

Incarico Nome e Cognome E-mail Telefono

Presidente Mantelli Francesco [email protected] 3343568049

Vicepresidente Morichetti Giovanni [email protected] 368456223

Segretaria Malvolti Michela [email protected] 3476790752

Magazziniere Billeri Paolo [email protected] 3299666051

Tesseramento Duranti Giancarlo [email protected] 3477351722

Consigliere Lusini Andrea [email protected] 3484940831

Consigliere Orazietti Andrea [email protected] 3664025872

Consigliere Roggi Giancarlo [email protected] 3384705079

Consigliere Santini Maico [email protected] 3470438177

Commissione “Terre Alte”

Referente Sani Giancarlo [email protected] 3482559323

Commissione Speleologica

Referente Lusini Andrea [email protected] 3484940831

Commissione Escursionistica

Referente Morichetti Giovanni [email protected] 368456223

Collegio dei Sindaci Revisori

Sindaco revisore Sabatini Marcello [email protected] 3397561022

Sindaco revisore Boldrini Marco [email protected] 3488715367

Sindaco revisore Borsini Massimo [email protected] 3385282924

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T Turistico

Comprende itinerari che si sviluppano su stradette, mulattiere e comodi sentieri. Hanno percorsi ben evidenti, si sviluppano sempre al di sotto dei 2000 metri di quota, hanno un dislivello massimo di 300 – 400 metri e una durata massima di cammino di 2 – 3 ore. E’ richiesta una certa conoscenza dell’ ambiente montano ed una preparazione fisica alla camminata.

E Escursionistico

Le escursioni di questo tipo sono in genere di lunga percorrenza e con dislivelli che richiedono un certo impegno fisico. Si possono sviluppare su sentieri anche stretti e con fondo disconnesso, su tracce di sentiero o segni di passaggio su terreno vario (pascoli, detriti, pietraie), su terreno senza sentieri ma con adeguata segnalazione, su pendii ripidi ma con i tratti più esposti protetti (barriere) o assicurati (pioli o cavi fissati alla roccia). Possono essere inclusi brevi tratti pianeggianti o lievemente inclinati di neve residua e singoli passaggi su roccia che richiedono l’uso delle mani per il solo equilibrio. Sono richiesti: un minimo di senso di orientamento, un minimo di esperienza e di conoscenza dell’ ambiente montano, allenamento alla camminata, calzature ed equipaggiamento adeguati. Utile la cartina topografica e la preparazione preliminare dell’escursione a tavolino.

EE Escursionisti Esperti

Itinerari difficili, delicati, spesso assai esposti, con dislivelli anche notevoli e con lunga permanenza ad alta quota. Si possono sviluppare anche su tracciati non segnalati ed implicano la capacità di muoversi agevolmente su terreni infidi e particolari: tracce su pendii impervi, pietraie, ghiaioni, ripidi nevai, creste, pendii aperti e senza punti di riferimento (indispensabile la cartina topografica, la bussola e l’altimetro), passaggi su roccia anche impegnativi attrezzati con infisso metallici (corde scalette, pioli, ecc.). Necessitano: attrezzatura e vestiario adeguati alla montagna “seria”, esperienza, conoscenza dell’ambiente alpino, assenza di vertigini, allenamento e determinazione.

SCALA DELLE DIFFICOLTÀ ESCURSIONISTICHE

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EEA Escursionisti Esperti con Attrezzatura

Escursioni con caratteristiche simili agli itinerari EE, ma che si sviluppano su sentieri attrezzati o su vie ferrate, dove lo sforzo è continuo e l’esposizione è notevole e talvolta vertiginosa. Serve una preparazione tecnico-atletica pari almeno a quella necessaria per vincere le basse difficoltà alpinistiche. Non è raro infatti trovarsi a tu per tu con passaggi su roccia di II° grado e in assenza di attrezzature fisse; questo implica una buona conoscenza dell’ alpinismo vero e proprio, anche se a livello elementare. Su questi percorsi è d’obbligo, per la propria ed altrui incolumità, procedere con l’ausilio dei dispositivi di autoassicurazione (imbracatura, cordini, moschettoni, dissipatore) e del casco. Utile, sempre, una corda di 10 – 15 metri per eventuali soccorsi, calate fuori programma, aiuto a compagni più deboli o stanchi, ecc.

Panoramica sulle Alpi Apuane (foto M. Sabatini).

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Giacomo Toni

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Monte Sibilla, anticima Ovest. Calcari bianchi e scaglia rossa del Cretaceo (foto F. Mantelli).