GUERRINO TRAMONTI LA MAGIA DEL COLORE · Carla Benedetti Giorgio Boscherini ... La mostra...

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GUERRINO TRAMONTI

LA MAGIA DEL COLOREcon Il “Terzo Cielo” di Castelli

a cura di Josune Ruiz de Infante

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mostra promossa da Museo Internazionale delle Ceramiche in FaenzaFondazione onlusFondazione Guerrino Tramonti, Faenza

con il patrocinio diComune di Faenza, Comune di Teramo, Comune di Castelli, Comitato organizzativo Mostre Ceramiche Antiche e Moderne Comune di Teramo, Istituto Statale d’Arte “F.A. Grue” per la ceramica di Castelli, Rotary di Faenza, Rotary di Teramo

Presidente MIC Pier Antonio Rivola

Direttore MICClaudia Casali

Presidente Fondazione Guerrino Tramonti Marco Tramonti

Mostra a cura diJosune Ruiz de Infante

Registrar Federica Giacomini

AllestimentoGianluigi Trerè e Marco Tramonti

Ufficio stampaStefania Mazzotti

Catalogo a cura diJosune Ruiz de Infante

ImpaginazioneMarco Tramonti

Apparati fotograficiGiovanni Giacomini Piero MercatiliiL&S Foto snc Faenza

StampaGrafiche Zattoni, Bagnacavallo

Si ringrazia il personale del MIC e si ringraziano inoltreCarla BenedettiGiorgio BoscheriniClaudia CasaliSiriano CordoniTomo HiraiMassimo Isola Masahiro KarasawaMaria Selene Sconci

GUERRINO TRAMONTI. LA MAGIA DEL COLOREcon Il “Terzo Cielo” di Castelli

MIC Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza18 novembre 2012 – 6 gennaio 2013

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Sommario

Guerrino Tramonti e Castelli. La magia del colore riflessa sotto il “Terzo Cielo” pag. 17Josune Ruiz de Infante

Tradizione e Innovazione a Castelli alla metà del XX secolo. Il ruolo della scuola d’arte pag. 17Maria Selene Sconci

Il “Terzo Cielo” di Castelli pag. 25

Apparati pag. 37Josune Ruiz de Infante

Biografia di Guerrino Tramonti pag. 38Genealogie e continuità iconografiche pag. 40Opere di Tramonti al MIC pag. 47Bibliografia selezionata pag. 49

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Della straordinaria e prolifica forza creativa di Guerrino Tramonti si dà testimonianza in questa completa ras-segna. Artista di temperamento impetuoso e di talento irrequieto, egli seppe ritagliarsi un posto significativo nella storia artistica italiana del secondo dopoguerra, frequentando grandi maestri, come Arturo Martini (che lo invita nel 1934 nel suo studio a Milano), e confrontandosi con Anselmo Bucci, Domenico Rambelli e Franco Gentilini, dai quali apprese l’arte di misurarsi con le arti visive, dalla pittura alla scultura, per passare alla pre-diletta ceramica, per cui ricevette ancora giovanissimo importanti riconoscimenti. È proprio grazie a questo linguaggio che dalla fine degli anni cinquanta e per tutti gli anni sessanta si rintraccia un omaggio e una ricerca al mondo orientale, alla forma e alla materia della ceramica orientale, che in Tramonti diviene elemento chiave per uno studio che porterà a risultati eccellenti, nella purezza, nell’essenzialità e nell’eleganza delle forme.La sua poetica spazia dai soggetti intimi e personali, quotidiani, come gatti e pesci, volti e figure femminili, tavole imbandite, accompagnati da accesi e brillanti valori cromatici che ne fanno una cifra stilistica inconfon-dibile, personalissima ed originalissima.A Faenza per la prima volta viene esposto il “Terzo Cielo di Castelli” un lavoro realizzato nel 1954 assieme a Arrigo Visani e Serafino Mattucci all’Istituto d’Arte di Castelli, in omaggio allo storico soffitto della Chiesa di San Donato. Un vero e proprio prontuario iconografico che mostra un’attenzione al patrimonio di una città di antica tradizione ceramica nonché il punto di partenza di un’evoluzione artistica particolarissima.Il suo mondo fantastico si ritrova nei grandi dischi invetriati, produzione che lo ha reso famoso e riconoscibile per quell’apparente naiveté, con qualche assonanza a Paul Klee, a Picasso, al tardo Léger e al neo-cubismo, ac-costata a frasi e allusioni ormai famose, che intrecciano l’amore per l’arte, l’ironia delle cose e la coerenza civile, a volte graffiante e cinica. Ricordo una delle sue tanti frasi, particolarmente audace ed attuale più che mai, che guarda alla situazione culturale italiana, con un respiro oggi internazionale: «Politici ignoranti… non sapete che un “regime” senza le Arti e la cultura muore…». Anche questo fa parte del “personaggio” Guerrino Tramonti.

Claudia CasaliDirettore MIC Faenza

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Guerrino Tramonti e Castelli. La magia del colore riflessa sotto il “ Terzo Cielo”

Josune Ruiz de Infante

Il ventesimo anniversario della scomparsa di Guerrino Tramonti (Faenza, 1915-1992), uno dei maggiori protagonisti del panorama ceramico internazionale del XX secolo, è l’opportunità speciale per presentare al Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza una mostra antologica dedicata al grande maestro. La celebrazione faentina coincide con il rientro delle opere dell’artista dall’imponente retrospettiva itinerante da poco conclusa in Giappone1.. Tra settembre 2011 e luglio 2012, l’opera di Tramonti è stata ammirata presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Tokyo, al Hagi Uragami Museum, all’Otani Memorial Art Museum di Nishinomiya City e il Seto City Art Museum.

La mostra antologica di Guerrino Tramonti al MIC di Faenza diventa, a sua volta, la cornice ideale per ospitare un monumentale soffitto, il cosiddetto “Terzo Cielo di Castelli”, lavoro collettivo risalente al periodo in cui l’artista faentino dirigeva la Scuola d’Arte di Castelli d’Abruzzo. Questa significativa opera “corale”, policromatissimo omaggio al seicentesco soffitto maiolicato castellano della piccola Chiesa di San Donato2, conosciuta dagli esperti come la “Sistina della ceramica”, fu diretta da Guerrino Tramonti e da lui ideata assieme ai maestri Serafino Mattucci (Philadelfia, 1912-Roseto degli Abruzzi, 2004) e Arrigo Visani (Bologna, 1914 - Forlì, 1987). Il soffitto fu realizzato durante l’estate del 1954 con la collaborazione di diversi studenti della scuola, per essere mostrato al pubblico della X Triennale di Milano, nella sezione dedicata agli Istituti d’Arte.

Dopo le mostre di Castelli e di Teramo3, a Faenza si espongono 258 mattonelle appartenenti al lavoro originale (Tav. I) realizzato per la Triennale, conservate per anni a Firenze, all’Istituto d’Arte di Porta Romana. Il soffitto castellano, presentato accanto al corpus ceramico e pittorico di Guerrino Tramonti può essere percepito come una sorta di enorme contrappunto che, a modo di “specchio magico” ci restituisce numerose immagini “riflesse” per offrirci la possibilità di rintracciare quelle “genealogie” decorative che l’artista avrebbe consegnato a Castelli. D’altra parte, trattandosi di un’opera collettiva e corale, il “terzo cielo” ci permette di cogliere anche i “prestiti” che dall’Abruzzo il maestro faentino si sarebbe portato nel suo bagaglio artistico

Tav. I. Soffitto realizzato presso la Scuola d’Arte di Castelli, premiato alla X Triennale di Milano del 1954

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al suo rientro in Romagna, per reinventarli in modo libero e personale nelle sue future ideazioni ceramiche, tessili e pittoriche.

L’influsso esercitato da Guerrino Tramonti sulla ceramica castellana durante gli anni di direzione della Scuola d’Arte “Francesco Antonio Grue”, tra il 1953 e il 1958, fu notevole. Grazie alla sua personalità carismatica e al suo spirito imprenditoriale, il suo operato contribuì a dare un forte impulso al rinnovamento della scuola, influenzando anche il modo di intendere la tradizionale produzione ceramica da parte dei futuri artigiani della cittadina abruzzese. Al suo arrivo a Castelli, Tramonti si era già forgiato una traiettoria artistica di tutto rispetto: da giovanissimo, era stato indirizzato alla scultura da Domenico Rambelli e da Arturo Martini, agganciandosi alla lezione anti-monumentale della plastica in terracotta. Successivamente, negli anni del secondo conflitto mondiale, aveva frequentato lo studio di Filippo De Pisis a Venezia, avviando una sorta di personale gestazione iconografica post-metafisica che avrebbe contribuito alla delineazione dello stesso pantheon d’immagini che, all’inizio degli anni Cinquanta, mentre insegnava a Civita Castellana, sarebbe sbocciato nel suo peculiare stile sintetico, caratterizzato da una felice e squillante policromia. Poco prima di arrivare a Castelli, Tramonti aveva frequentato a Roma artisti e intellettuali del calibro di Libero De Libero, Leonardo Sinisgalli, Giuseppe Ungaretti, Franco Gentilini, Antonio Scordia, Afro e Mirko Basaldella, Alberto Burri e Toti Scialoja, e con loro era riuscito a scambiare quelle idee e quegli stilemi che avrebbero poi contribuito a depurare, in chiave sintetica, il suo linguaggio artistico; lo stesso “codice” che, arricchito da una tecnica sicura e originale, avrebbe consentito all’artista di partecipare a importanti mostre nazionali e internazionali4 e gli avrebbe inoltre fruttato numerosi riconoscimenti.

Nel 1953, il direttore Tramonti aveva in mente «una visione ben chiara» di quello che dovevano essere gli sviluppi della scuola ed era intenzionato ad apportare diverse «innovazioni nello schema scolastico»5 per fare in modo che gli artigiani formati al loro interno riuscissero a collegarsi alle correnti moderne delle arti decorative e della ceramica con lo scopo di attirare l’attenzione dei mercati italiani ed esteri. In quegli anni, il dibattito artistico intorno alla necessità d’innovare la tradizione ceramica dopo la parentesi bellica si rifletteva ampiamente negli innumerevoli eventi nazionali e internazionali che il direttore Tramonti frequentava in prima persona: mostre, convegni e rassegne come quelle a Milano, Roma, Monaco, New York, e concorsi come quelli di Faenza, Pesaro, Messina e Vicenza. Ugo

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Nebbia, in un “ritratto” giornalistico dedicato all’artista nel 1954, parlava della rinomanza di Tramonti «quale ceramista, ormai ufficialmente sanzionata pure dal posto che occupa come direttore della Scuola Ceramica di Castelli», e lo definiva come «un autentico romagnolo, sotto ogni punto di vista; generoso ed appassionato, quanto scontroso e insofferente (...) con l’aria spavalda e tagliente di chi è disposto allo sbaraglio per far valere le proprie ragioni, specie quando scaturiscono da certe sue intime convinzioni d’artista»6. Le aggiornate competenze artistiche, tecniche e culturali del nuovo direttore non passarono inosservate nelle mostre alle quali partecipava la scuola. Sui giornali dell’epoca si attribuiva alla presenza di Tramonti nella località abruzzese la ventata di novità che dalla scuola sarebbe poi giunta alla produzione dell’artigianato di Castelli, come si legge nella recensione di una mostra teramana del 1955: «La via comunque è stata indicata dalla Scuola che ha creato un tipo originale di decorazione, mentre per il colore ha cercato di tener fede ai colori tradizionali. (…) In questo passo, naturalmente, gli artigiani locali hanno avuto la fortuna di trovare a sorreggerli un Tramonti, questo è vero, “un ceramista d’istinto e di abilità” (…). Un Tramonti che, in breve tempo, ha saputo imprimere alla produzione della Scuola il suo stile e la sua tecnica, un Tramonti, che sente e vive il dramma artistico intimo e delicato di Castelli, cittadina alla quale egli si sente oggi particolarmente legato7».

A Castelli, le idee di Guerrino Tramonti trovarono sicuramente affinità con quelle di Potito Randi (Faenza, 1909-1989), un industriale concittadino del direttore che, come lui, nei primissimi anni Trenta aveva frequentato il laboratorio di chimica e tecnologia ceramica di Maurizio Korach presso la Regia Scuola di Faenza e il cui ruolo a Castelli, a cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta fu di primaria importanza. Randi8, che dal 1952 era presidente del consiglio di amministrazione della Scuola d’Arte di Castelli, era anche sindaco della cittadina e proprietario della SPICA (Società Prodotti Italiani Ceramici ed Affini), industria all’avanguardia nella ricerca di nuove tecnologie ceramiche, dotata di laboratori attrezzatissimi, che spesso metteva a disposizione sia degli artisti che degli studenti della scuola. In effetti, appena arrivato a Castelli, Tramonti iniziò a sperimentare la tecnica più emblematica della sua carriera ceramica: l’invetriatura con la cristallina a grosso spessore. Alternando le indagini estetiche a scuola con le investigazioni tecnologiche presso la SPICA, l’artista riuscì a trasferire i prodotti innovativi della moderna industria ceramica, all’interno della sua ricerca artistica, sommandoli alle materie prime della tradizione. Leonardo Sinisgalli, nella monografia (Tav. II) dedicata

Tav. II. Guerrino Tramonti davanti ad un’opera murale realizzata con tavelle industriali. Copertina della monografia presentata da Sinisgalli, 1956

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all’artista nel 1956, parlava di quest’integrazione di materie tradizionali e nuove: «Tramonti chiama la farina di maiolica “fritta macinata” e mi precisa che i colori fondamentali, dai quali egli non ha mai derogato, sono il manganese, il blu, il giallo e la “ramina” (il verderame che dà il turchese). Sono gli ossidi della tradizione e Tramonti dice che non gli è mai venuta la tentazione di mischiarli, né mai ha temuto che non gli bastassero9». L’adozione delle fritte ceramiche o cristalline, molto usate dall’industria italiana negli anni Cinquanta, determinarono la successiva ricerca tecnologica dell’artista nel campo degli impasti e degli smalti, con la quale riuscì a ottenere degli effetti materici molto originali e suggestivamente tattili. I primi risultati di questa complessa tecnica d’invetriatura, della quale Tramonti sarebbe diventato l’esperto incontrastato, furono un grande “disco dipinto con un cavallo” e un “piatto con pesce azzurro”, realizzati a Castelli e premiati a Vicenza10 nel 1953. L’originalità degli effetti visivi e materici di questa tecnica senza imitatori, fruttò all’artista il “Premio Faenza” del 1955 (Tav. III), con i Gemelli affrontati già presentati sul soffitto della Triennale.

Il forte carisma e lo stile inconfondibile di Tramonti trovarono terreno fertile e appoggio all’interno della scuola castellana dove, da alcuni anni, lavoravano anche Serafino Mattucci e Arrigo Visani. I due maestri si erano formati in ambito emiliano-romagnolo e, come il direttore, avevano studiato con Bucci e Rambelli, frequentando anche il laboratorio tecnologico di Korach della faentina Regia Scuola di Ceramica. Da qualche anno, i professori Mattucci e Visani contribuivano alla riqualificazione della scuola castellana, continuando il loro insegnamento sulla scia di Giorgio Baitello, Ugo Lucerni e Giorgio Saturni11. È esattamente in questo contesto di rimodernamento della tradizione artigianale attraverso la sperimentazione artistica all’insegna del nuovo che si iscrive la vicenda didattica, artistica ed estetica del “terzo”12 soffitto di Castelli. Sotto la guida del direttore Tramonti e dei maestri Mattucci e Visani, gli allievi13 della scuola castellana parteciparono alla realizzazione del grande cielo a due spioventi. Le 356 tavelle di cotto industriale (di 50x35 cm) furono levigate, maiolicate e dipinte in policromia per essere intelaiate in una salda struttura lignea, a modo di contemporanea citazione del seicentesco soffitto di San Donato. L’opera, che ebbe grande risonanza sui giornali specialistici dell’epoca, fu premiata con il diploma d’onore nella X Triennale14. A settembre del 1954, prima della presentazione ufficiale del soffitto nella rassegna milanese, Nebbia spiegava: Tramonti, «accanto a ciò che sta facendo ed insegnando a fare a Castelli, in nome di Francesco Antonio Grue, quello che oggi, uscendo dal campo della sua

Tav. III. Grande disco, 1955. Terracotta dipinta e invetriata con cristallina a grosso spessore. Premio Faenza al XIII Concorso Nazionale della Ceramica, 1955

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solita produzione, ha voluto mostrare alla Triennale di Milano, con quel vasto soffitto di tavelloni policromi, ossia con quella impresa ceramica di più largo respiro, con cui ha senza dubbio voluto darci, con la sua scuola e sopra uno dei più schietti esempi locali, un’ulteriore misura delle sue possibilità tecniche e decorative15». Nell’affrontare l’impresa del soffitto per la Triennale, Tramonti aveva di sicuro in mente le nozioni storiche riguardanti la peculiarità teramana dei soffitti maiolicati. Doveva avere presenti, soprattutto, i dibattiti desunti dall’idea di “sintesi delle arti” nell’architettura, che nella ceramica italiana si erano condensati nei presupposti “ambientali” del “muralismo” ceramico derivati dal Secondo Futurismo di Prampolini e di Tullio, conosciuti dal faentino nei suoi soggiorni ad Albissola. Tanto è vero che, già nel 1952 aveva presentato al Concorso di Faenza il pannello decorativo delle Bagnanti16 (Tav. IV), all’interno del gruppo di opere realizzate assieme all’amico Antonio Scordia, riconosciute con il “Premio Faenza”.

L’imponente soffitto esposto alla X Triennale fa trasparire l’interesse comune per le tematiche di ascendenza metafisica, da parte dei tre ideatori; non a caso, Mattucci e Visani17 avevano studiato all’Accademia di Bologna con Giorgio Morandi e Virgilio Guidi, mentre Guerrino Tramonti aveva seguito gli insegnamenti pittorici di Filippo De Pisis e di Franco Gentilini. Comune ai tre artisti appare anche l’interesse per la policromia squillante e “piatta” desunta delle ricerche delle avanguardie storiche, nelle declinazioni anche ceramiche di Mirò, di Kandinsky, di Leger, di Matisse e soprattutto di Picasso, il grande “ispiratore” degli artisti ceramisti italiani degli anni Cinquanta. I colori dello “stile compendiario” dell’illustre modello seicentesco, vale a dire il giallo, l’arancio, il blu e il verde, nel moderno cielo si trasformano e acquistano nuova espressività. La tavolozza si riempie di bruschi contrasti in virtù dell’aggiunta dei cupi bruni18 e delle tinte intense e luminose, che si sostituiscono agli sfondi bianchi dell’originale. L’onnipresenza del bianco, che conferiva la candida omogeneità al soffitto seicentesco, nel moderno impianto si rovescia trasformandosi in un’unitaria policromia. I colori timbrici e accesi adoperati dai nostri artisti accordano in modo magistrale l’onirica frammentarietà che caratterizza il nuovo apparato decorativo. A questo proposito, il “terzo cielo” si fa eco dell’insieme d’immagini che compaiono nei tradizionali19 soffitti teramani, i cui motivi simbolici legati alla natura e agli oggetti della liturgia cristiana, appaiono come isolati schemi geometrici, fitomorfi, antropomorfi e zoomorfi. I richiami ai soffitti si leggono nei nuovi busti virili e muliebri, nelle nuove coniugazioni di elementi naturali come soli, lune e foglie, oppure nelle moderne interpretazioni geometriche di

Tav. IV. Guerrino Tramonti e Anto-nio Scordia, Bagnanti, 1952. Pan-nello in terracotta dipinta con smalti presentato al X Concorso Nazionale della Ceramica di Faenza

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stelle, fiori e scacchiere, dipinti in chiave contemporanea attraverso un disinvolto prelievo dall’antico. Infatti, le immagini che altrove godevano di ampio “respiro” spaziale all’interno della mattonella, nelle tavelle moderne si dilatano fino a risultare sospese nel tempo e nello spazio, costrette all’interno di un margine che le rende imponenti e minacciose nella loro schietta bidimensionalità; questo accorgimento compositivo, Tramonti lo aveva già applicato alle sue pitture ceramiche sin dai primi anni Cinquanta nell’Acrobata, nella Ballerina, nel Gatto (Tav. V) e in numerose Nature morte dipinte su enormi vasi, piatti e ciotole (Tav. VI). Nel nuovo cielo, gli artisti svuotavano i temi citati dai loro originali valori allegorici e coglievano l’occasione per aggiungere delle immagini oniriche e giocose, a volte ironiche e dissacranti, appartenenti ai loro tre diversi mondi poetici, per confluire in un comune universo d’immagini, rigoglioso e originale. L’aspetto preminentemente collettivo del “terzo cielo” non sempre ci permette di individuare con chiarezza la paternità dei motivi decorativi, ma la coralità dell’opera ci conferma invece alcune reciproche influenze che ognuno dei tre artisti avrebbe assimilato durante l’esecuzione dell’opera, per palesarle anche negli anni futuri. Tenendo conto del programma iconografico utilizzato dai tre ideatori lungo il loro percorso artistico, è possibile attribuire20 ad Arrigo Visani alcuni Volti, i Gatti, le Bottiglie e i Velieri, mentre a Serafino Mattucci sono ascrivibili l’Astronomo, Adamo ed Eva, i Canguri e i Topolini. Per quanto riguarda le immagini di sicura mano tramontiana è facile riferire il Pesce in graticola, che nel soffitto occupa lo spazio privilegiato di due tavelle (come il “San Sebastiano” del cinquecentesco soffitto smaltato in “berettino”); un disegno simile è documentato in una mostra collettiva di artisti romagnoli alla Galleria Cairola di Milano nel 1953. L’immagine del pesce accompagnava l’opera del faentino sin dall’epoca veneziana e ci sono diversi dipinti ad olio tra il 1947 e 1948 che lo confermano. In una fotografia del 1952, che attesta l’allestimento delle sue opere a Vicenza, si apprezzano diversi vassoi con questa iconografia e dello stesso anno è il “pesce dorato su fondo azzurro” premiato al Concorso di Pesaro. Anche i Gemelli (che come il “pesce in graticola” si dilatavano sue due tavelle, attualmente disperse) sono di sicura mano del direttore, come dimostrano alcune opere del 1953 e il tondo rivestito con cristallina a grosso spessore vincitore del Premio Faenza nel 1955. Altri due Gemelli, riconducibili all’iconografia dei busti virili dei soffitti castellani, sono profilati con colore bruno in due versioni cromatiche diverse. La tavella con “decorazione fitomorfa e volto umano”, sarebbe ascrivibile a Tramonti per le affinità stilistiche che il viso presenta con alcune

Tav. V. Gatta, 1952, terracotta smal-tata e dipinta in policromia

Tav. VI. Allestimento delle opere di Tramonti alla Mostra Concorso Na-zionale di Vicenza. In fondo: Acro-bata, 1952, II Premio ENAPI

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opere del 1952, tra cui il citato pannello delle Bagnanti e il vassoio del Premio Faenza, entrambi firmati Tramonti-Scordia. A quest’ultimo rimanda anche il volto della schematica figura antropomorfa siglata con una “T” sul petto. Il “viso femminile con gli orecchini pendenti” è invece facilmente ascrivibile alla produzione del direttore, giacché i tratti stilistici che definiscono i lineamenti della donna ricorrono sin dal 1952 fino alle pitture materiche della maturità. Anche la “zeppa”, nome con il quale Tramonti chiamava il motivo fitomorfo ispirato al decoro della “zaffera a rilievo”, appartiene sicuramente al suo codice iconografico e sarà riproposto lungo la sua carriera attraverso tecniche e materiali diversi. Assimilabile alla mano di Tramonti risulta anche l’onirica tavella decorata con frutti raggruppati come nelle nature morte del “periodo veneziano”, la cui progressiva sintesi l’avrebbe condotto ai disegni astratti degli arazzi realizzati a Forlì nel 1961.

Guerrino Tramonti lasciò delle traccie inequivocabili nel soffitto esposto alla Triennale, ma l’influenza ricevuta da quella magica sintonia corale creatasi durante la realizzazione dell’imponente impianto, sarebbe durata molto a lungo. In effetti, i primi echi del soffitto si riflettevano subito nell’opera figurativa realizzata dal faentino tra il 1956 e il 1961, anno in cui dava avvio alla sua ricerca sui materiali ad alta temperatura, attraverso gli austeri grès e le magnifiche “porcellane” che lo avrebbero allontanato per un decennio intero dalla figurazione pittorica. La connessione tra le immagini del “terzo cielo” e pittura ceramica successiva al 1954 si palesava soprattutto nell’impianto compositivo e iconografico dei suoi coloratissimi vassoi, sui quali definiva uno sfondo rettangolare (Tav. VII) dove adagiava una sospesa paratassi di emblemi appartenenti al repertorio d’immagini più volte rielaborato. La stessa impaginazione degli emblemi e la stessa gioiosa policromia comparivano anche nei dipinti ad olio della maturità, dove spuntavano pure lettere e scritte più o meno criptate, memori dei soffitti di Castelli. I ricordi del “terzo cielo” affioravano ancora nel modo di comporre “arcaico”, nella disposizione degli elementi decorativi appiattiti e ribaltati in primo piano, nell’organizzazione bidimensionale e paratattica che produceva sempre lo stesso effetto sincopato, sintetico e iper-cromatico. La memoria del soffitto restò sempre, per Tramonti, vivida e ideale. Nel sogno del direttore sarebbero proliferati ancora, negli anni della maturità, oggetti simbolici e animali apotropaici, scritte e decori geometrici, quali elementi dispersi di un antico codice riscattato dall’orror vacui di quel geroglifico cielo (Tav. VIII), dal quale continuava a riscattare il pesce dorato, la graticola e la lisca, la “zeppa”, il gatto, la bottiglia, i frutti, i profili di donna e molti altri

Tav. VII. Vassoio con natura morta, 1954-1956. Terracotta smaltata e dipinta in policromia

Tav. VIII. Donna con gatto, 1990-1991. Olio su tavola

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motivi astratti rivisitati dall’artista nei dipinti a olio della sua maturità. Nel 1958 Tramonti lasciava Castelli per avvicinarsi a Faenza, assumendo

la direzione della Scuola d’arte di Cagli e successivamente quella di Forlì. Da Castelli, però, Tramonti si sarebbe portato dietro per sempre la padronanza del proprio mestiere nella docenza e nell’arte, la consapevolezza del proprio stile e la volontà di continuare a ricercare nel campo delle tecniche e dei materiali. A Castelli, l’artista faentino avrebbe consolidato il suo bagaglio di sperimentazioni artistiche e tecnologiche che avrebbero contribuito a definire le sue peculiarità stilistiche, tra cui la sua inimitabile invetriatura a grosso spessore. Come affermava Ugo Nebbia21 mentre dava la notizia in anteprima della presentazione del “terzo cielo” alla Triennale, nell’opera di Tramonti, non troviamo «nulla di non controllato e di non dosato, anche in certa apparente improvvisazione. Sempre un senso decorativo scaturito da una chiara passione per la materia, in una freschezza di tocco, dove la padronanza del motivo e la piena leggibilità degli elementi che lo compongono, coincidono con la bontà dell’ispirazione, e specialmente, con quell’inconfondibile carattere, che è tutt’uno con ciò che s’intende per ceramica. Il disegnatore, lo scultore, il compositore scaltro ed estroso, libero e spigliato, sensibilmente originale, si rivelano sempre in gamme pure e profonde, senza futili improvvisazioni fine a se stesse».

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NOTE:1 Cfr. Guerrino Tramonti. The Magician of Color, catalogo mostra a cura di M. Karasawa; testi di J. Ruiz de Infante, Tokyo, The

National Museum of Modern Art; Hagi, Hagi Uragami Museum; Nishinomia, Otani Memorial Art Museum; Seto, Seto City Art Museum, settembre 2011-luglio 2012. Tokyo, NHK, 2011.

2 La chiesa castellana di San Donato custodisce un importante soffitto maiolicato, realizzato tra il 1615 e il 1617, ispirato ad un precedente soffitto cinquecentesco. Dopo il restauro del 1972, il soffitto attuale è costituito da circa 800 tavelle di maiolica decorata, di dimensioni 20x40 cm. Per la sua singolarità fu denominato da Carlo Levi, nel 1962, “la Sistina della Maiolica”. Lo studioso dell’Ashmolean Musuem di Oxford, Timothy Wilson, afferma che l’opera rappresenta “una delle imprese più ambiziose della maiolica italiana sul finire del Rinascimento”. Cfr. WILSON, T., Prefazione, in: Castelli A. D. 1615-1617. La Sistina della maiolica. Il soffitto della Chiesa di San Donato, Colledara (TE), Andromeda Multimedia, 1993, p. 9.

3 Cfr. Il Terzo Cielo di Castelli. L’edizione moderna del soffitto di San Donato, catalogo mostra a cura di Selene Sconci, Teramo, Archivio di Stato, 6 novembre 2010 – 31 gennaio 2011. Teramo, Comitato Organizzatore Mostre Ceramiche, 2010. Il soffitto fu “riscattato” da un oblio di oltre cinquant’anni, dall’Istituto d’Arte di Firenze, grazie alle ricerche effettuate da Ilaria Materazzo per la sua tesi di laurea.

4 RUIZ DE INFANTE, J., “Vide le muse a Roma”. Magiche policromie di Guerrino Tramonti, in: Magiche policromie, catalogo mostra a cura di J. Ruiz de Infante, Roma, Museo di Palazzo Venezia, ottobre 2009. Milano, Silvana Editore, 2009.

5 N. D., Castelli strizza l’occhio a Picasso!, in: «Il Giornale d’Abruzzo e Molise», Teramo, 18 gennaio 1955. 6 NEBBIA, U., Guerrino Tramonti, in: «La Ceramica», Milano, a. IX, n. 9, settembre 1954, pp. 57-60.7 STEFANILE, A., Le sorprese di una mostra. Ancora sulle ceramiche castellane, in: «Il Giornale d’Abruzzo e Molise», Teramo,

31 ottobre 1955, p. 3.8 CORRIERI, G., La Scuola d’arte di Castelli (1906-1954), cit., p. 55. Cfr. Anche SCONCI, M. S., Le ceramiche di Castelli nella

Colezione SPICA, Roma, Collezioni Numismatiche, 2010. 9 SINISGALLI, L., Guerrino Tramonti, Roma, De Luca Editore, s. d. (1956).10 Tramonti vinse il Secondo Premio al “Concorso Città di Nove” della VIII Mostra-Concorso di Vicenza del 1953. In giuria

c’erano Lisa Licita Ponti, Georges e Susanne Ramié, Giuseppe dell’Oro e Tullio Mazzotti. Tra i pezzi premiati si trovava il “grande disco con cavallo”, custodito attualmente al Museo di Palazzo Sturn di Bassano del Grappa. Nel 1955 Tramonti vinse il “Premio Faenza” (ex aequo con Carlo Negri) al XIII Concorso di Faenza con il “Grande disco con volti umani” attualmente custodito al MIC.

11 CORRIERI, G., cit., p. 54.12 Il “primo soffitto” di Castelli, realizzato per la cona preesistente all’attuale chiesa di San Donato, attribuito ai ceramisti

della famiglia Pompei, è di epoca cinquecentesca. Nel restauro realizzato all’inizio del Seicento, parte delle tavelle originali rivestite con smalto “berettino” (oggi custodite al Museo delle Ceramiche di Castelli) furono “riciclate” nel pavimento della chiesa, per ricoprire la zona intorno all’altare. Il “secondo soffitto”, quello seicentesco attualmente in situ a San Donato, è in stile “compendiario”. “Il “terzo soffito” invece è quello realizzato nel 1954 presso la Scuola d’Arte di Castelli. Cfr. GIACOMINI, G., Il “Terzo Cielo” di Castelli e la locale tradizione dei sottitti a mattoni dipinti, in: Il Terzo Cielo di Castelli, cit., pp. 43-50. Cfr. anche MATERAZZO, I., La riedizione del soffitto di San Donato a Castelli, in: Castelli – Quaderno del Museo delle Ceramiche, n. 2 (2007), pp. 28- 46.

13 Oltre al direttore Tramonti e ai professori Visani e Matucci, parteciparono all’opera i maestri d’arte Eugenio Volpe e Antonio Rosa. Gli studenti citati nei documenti d’archivio dell’Istituto sono Ennio Terregna, Rosanna Pardi, Dante Di Sante e Gabriele De Petris. Cfr. MATERAZZO, I., La riedizione del soffitto di San Donato di Castelli, in: Il Terzo Cielo di Castelli, cit., pp. 31 e 33.

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14 La Scuola d’Arte “Francesco Antonio Grue” di Castelli ottenne il “Diploma d’Onore”. Cfr. X Triennale di Milano, catalogo mostra, Milano, SAME editore, 1954, pp. 151, 153 e Tav. XCIII. Cfr. anche Le scuole d’arte italiane alla Triennale, in: «Domus», Milano, n. 300, novembre 1954, p. 57.

15 NEBBIA, U., Guerrino Tramonti, cit., pp. 57-60.16 Cfr. X Concorso Nazionale della Ceramica, catalogo mostra, Faenza 1952. Faenza, F.lli Lega, 1952, pp. 16, 20, 25-26.17 Cfr. GUDENZI, E., Novecento. Ceramiche italiane. Protagonisti e opere del XX secolo, V. 2, Dal Primitivismo a design, Faenza,

Faenza Editrice, 2006, pp. 232 e 261.18 MATERAZZO, I., La riedizione del soffitto di San Donato a Castelli, cit. p. 34. 19 GIACOMINI, G., Il “Terzo Cielo” di Castelli e la locale tradizione dei sottitti a mattoni dipinti, cit., p. 45.20 MATERAZZO, I., La riedizione del soffitto di San Donato di Castelli, cit. pp. 33, 36 e 39.21 NEBBIA, U., Guerrino Tramonti, pp. 57-60.

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Tradizione e Innovazione a Castelli alla metà del XX secolo. Il ruolo della scuola d’arte Maria Selene Sconci

Nel tentativo di indagare il significato, o meglio i significati propri della vicenda artistica che rappresenta l’oggetto del presente studio, la realizzazione nel 1954 -nella Scuola d’Arte di Castelli- di un soffitto in maiolica policroma di grandi dimensioni, è indispensabile analizzare criticamente quella interessantissima esperienza e contestualizzarla storicamente nel fertile e dinamico clima culturale, politico ed economico dell’Italia nel secondo dopoguerra. Vista l’estrema specificità del nostro tema la riflessione va ricondotta nei termini concreti del processo di modernizzazione della nazione che era in atto anche in campo artistico, e va messa in relazione al rapporto esistente tra Tradizione e Innovazione ed all’importante ruolo svolto in tal senso, dalle scuole d’arte. Gli argomenti dibattuti, già ampiamente affrontati a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, riguardano il generale processo di emancipazione culturale dell’Italia. Tale processo era stato positivamente avviato innanzitutto mediante l’attuazione di un capillare adeguamento del sistema-scuola alle tematiche emergenti dal più avanzato dibattito internazionale che era in corso; in tal senso l’educazione artistica e quella tecnico-industriale rivestivano un ruolo di grande centralità sia sociale che culturale”1. Testimonianza di tale travaglio era stata la creazione, già sul finire dell’Ottocento, dei Musei Artistici Industriali e, contemporaneamente, delle Scuole d’Arte e di Artigianato; soprattutto queste ultime erano state disseminate sul territorio nazionale con il compito precipuo, individuato lucidamente dal legislatore, da un lato di salvare dalla dispersione, conservandolo e valorizzandolo, l’enorme e prezioso patrimonio di saperi locali ritenuto di massima importanza nel processo di costruzione dell’identità nazionale, e dall’altro di mantenere un forte contatto tra la periferia ed il centro al fine di garantire quell’indispensabile rapporto con le tematiche e le modalità tecnologiche connesse ai processi di modernizzazione in atto. Si era trattato, in sostanza, di un primo, grande riconoscimento del valore assoluto della tradizione di cui la continuità della pratica artigianale poteva garantire la sopravvivenza ed il pieno sviluppo2. L’istituzione della Scuola d’arte di Castelli rientra pienamente in questo programma di salvaguardia e di valorizzazione del patrimonio culturale in Italia nel 1906. (…) Cinquanta anni di vita sono la cifra che giustifica il

Milano, 1954. Manifesto della Decima Triennale

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lungo travaglio necessario alla attestata conquista, nel 1954, di un alto profilo didattico e professionale testimoniato dalla dimostrata capacità di assumersi il ruolo autonomo e preminente in occasione della partecipazione alla più importante manifestazione espositiva dell’epoca, la Triennale di Milano, quell’anno arrivata alla sua decima edizione3. La scuola di Castelli fu invitata a partecipare a tale manifestazione insieme a numerose altre scuole d’arte italiane, anch’esse con sedi disagiate perché dislocate in centri minori della penisola; evidente l’obiettivo di creare rapporti sempre più efficaci tra la scuola ed il mondo esterno artistico, artigianale ed industriale, nello spirito di ricerca e di rinnovamento complessivo4. Tutte quelle scuole, legate per lo più alla cultura e all’arte locali, di cui erano l’integrale espressione, furono stimolate a cimentarsi in elaborati importanti che rappresentassero la testimonianza esatta della capacità tecnica posseduta da quelle comunità didattiche ed al tempo stesso della loro capacità di rinnovarsi5. Il richiamo al “rinnovamento”, espresso chiaramente nel bando della Direzione della Triennale alle scuole d’arte invitate a partecipare a quella competizione internazionale, rappresentava un evidente messaggio ed uno stimolo programmatico sostenuto da una forte istanza modernista cui l’intera manifestazione lombarda era informata. In quegli anni il presidente della scuola di Castelli era Potito Randi (oltre che sindaco della cittadina abruzzese dal 1951) e il direttore Guerrino Tramonti. Entrambi recepirono pienamente il senso di tale messaggio che era perfettamente in linea con i loro profili professionali: l’uno imprenditore della ceramica animato da spirito modernista, l’altro ceramista padrone della tecnica antica ma sensibile alle istanze dalla produzione artistica contemporanea; Tramonti aderì con entusiasmo all’idea di realizzare la versione moderna del soffitto maiolicato della chiesa di San Donato6. Dunque si organizzò per raccogliere con coraggio la sfida al rinnovamento lanciata dalla direzione della Triennale e si avviò a progettare la sua personale risposta alla richiesta avanzata dalla moderna committenza; lo fece da direttore della scuola d’arte di Castelli, coinvolgendo alcuni fra i suoi più versatili docenti e certamente i suoi allievi migliori7. La X Triennale di Milano e l’attenzione alla realtà contemporanea

L’attenzione alla realtà contemporanea coinvolse la Triennale nell’opera di ricostruzione postbellica, durante la quale assunse un ruolo preminente nella realizzazione di rilevanti operazioni architettoniche ed urbanistiche8.

Milano, 1954. Manifesto della Decima Triennale

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Proprio da questa esperienza era nato l’interesse della Triennale per la pianificazione urbanistica e le innovazioni tecnologiche applicate all’edilizia, che diventeranno uno dei temi fondamentali del dibattito culturale della metà del XX secolo. Giunta nell’anno 1954 alla sua decima edizione, la Triennale di Milano, la cui denominazione aggiornata era “Esposizione Internazionale delle Arti Decorative, Industriali, Moderne e dell’Architettura”, si presentava come una rassegna delle arti applicate estremamente complessa sia per il numero e la diversità dei settori che interessava, sia per la specializzazione con cui essa si impegnava ad affrontarli, studiarli ed illustrarli; innovativa fu la sua esposizione, strutturata come una vera e propria invenzione scenica, con una composizione architettonica mutevole, animata dalle opere d’arte contemporanea e dai loro artefici, dalle architetture sperimentali, dall’oggettistica realizzata su base industriale (con uno studio particolare riservato alla scelta delle materie ed ai colori), riservando una particolare cura e ricerca stilistica alla partizione degli spazi e dei volumi; una realtà espositiva molto viva e variabile, aperta al confronto culturale e programmatico con le esperienze artistiche del resto del mondo. Quindici i paesi stranieri invitati a partecipare e ad esporre le proprie opere in altrettanti padiglioni tematici con l’obiettivo di affermare i nuovi valori fondanti dell’esperienza artistica quali l’unità-correlazione e quasi reciprocità delle arti, l’ unità e l’universalità di tutte le arti e la collaborazione tra il mondo dell’arte e quello della produzione industriale9. In quegli anni, nella fase della piena ripresa dell’economia italiana, era in corso un serrato dibattito teso al recupero ed alla rivalutazione delle arti decorative in funzione di stimolo all’architettura, all’ambiente ed al design industriale10. Le opere dell’artigianato artistico cominciavano ad essere applicate ed utilizzate nell’edilizia e nelle scelte di sistemazione degli interni: venivano inoltre riprese come motivo decorativo negli arredi, nelle suppellettili, nei monili, nella cartellonistica e nella grafica pubblicitaria11. Il nodo teorico centrale era quello relativo allo studio ed alla verifica funzionale delle potenzialità connesse al tema della “universalità delle arti”, che amava riflettere sulle problematiche legate all’integrazione delle Arti con l’Architettura visto che in tutta la nazione si andava realizzando l’incontro degli artisti con gli architetti caratterizzato da un’entusiastica e spesso incontrollabile voglia di sperimentare e di fare con grande fantasia creativa e fuori dai canoni accademici. La “sintesi delle arti” scaturiva dal confronto quotidiano tra gli artisti e gli architetti ed era finalizzato ad una reale integrazione fra i linguaggi. In tale dibattito il ruolo delle scuole d’arte ceramica e dei ceramisti, che ne rappresentavano i diretti interlocutori,

Castelli, 2010 agosto. Allestimento espositivo edizione mo-derna del soffitto di San Donato

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veniva riscoperto come particolarmente fecondo ed aperto alle nascenti esigenze di produzione di manufatti unici destinati alla riproduzione seriale ed all’utilizzo indiscriminato nel campo architettonico per fini decorativi. La produzione ceramica, da sempre legata alle forti possibilità espressive del mezzo, alla facile manipolazione e alla trasformazione in senso materico e cromatico delle superfici, rispondeva magnificamente ad una precisa richiesta di mercato che a tale mezzo espressivo riconosceva una efficace e significativa rispondenza alla migliore creatività mediterranea12. Tramonti, Visani e Mattucci: la nuova ceramica di Castelli

Il compimento dell’edizione moderna del seicentesco soffitto della chiesetta di San Donato, si configura senza dubbio come la più importante impresa ceramica del ‘900 per il forte messaggio di rinnovamento di cui era portatrice, per la perizia tecnica che mise in campo ed in ultimo per il significato profondo che l’aveva animato. Il modello cui si riferiva era infatti il maggiore documento in maiolica mai realizzato dai ceramisti castellani, custode e depositario di tutti i simboli e significati più sacri per la comunità locale. Si trattava del modello per antonomasia, del monumento ceramico per eccellenza, del documento vergato dai ceramisti del XVII secolo, vistosa testimonianza della storia locale, della religiosità popolare e dell’intera identità collettiva. I docenti della Scuola d’Arte di Castelli accolsero prontamente l’istanza al rinnovamento lanciata dalla Biennale lombarda e la interpretarono con magistrale abilità: accolsero la sfida rendendo onore pienamente alle illustri tradizioni che avevano fatto grande ed apprezzata la manifattura locale, considerata a ragione anche all’epoca, tra le più importanti d’Italia. È lecito immaginare che all’interno del laboratorio della scuola d’arte di Castelli, nel corso dei mesi di vacanza dall’attività didattica vera e propria, si sia attuato un clima creativo e collaborativo degno della più affiatata bottega d’altri tempi mettendo in atto la ritualità di tutti i gesti antichi connessi alla lavorazione ceramica ed il susseguirsi delle delicate fasi di decorazione: le veloci e preliminari operazioni relative alla smaltatura della superficie dei singoli tavelloni prescelta per il lavoro; il posizionamento degli stessi sui cavalletti per la realizzazione dei decori; le rapide pennellate a mano libera per la prima stesura del disegno (affidate per lo più ai maestri); la paziente e lunga opera di campitura (affidata per lo più dagli allievi); le frenetiche ed impegnative cotture con i forni (rigorosamente a legna) che furono tenuti attivi giorno e notte per molti giorni; infine le trepidanti

Castelli, 2010 agosto. Allestimento espositivo edizione

moderna del soffitto di San Donato

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aperture degli stessi per effettuare la verifica finale sui singoli manufatti (perché solo la mancanza assoluta di difetti, l’essere cioè scampato ad un’ innumerevole serie di rischi e pericoli di rottura e di deperimento, poteva consacrare il manufatto alla condizione di prodotto finito)13. Questo deve essere stato l’ambiente positivo e insieme stimolante che ha consegnato alla storia la fornitura di ben 356 tavelloni costituenti la moderna interpretazione dell’antico soffitto di San Donato che rappresenta l’oggetto del nostro studio. L’esame delle 258 formelle oggi superstiti evidenzia la presenza di un fantasmagorico repertorio figurativo caratterizzato da una marcata libertà compositiva e da una squillante resa cromatica; opera corale, realizzata a più mani, quelle degli insegnanti e degli allievi della scuola, accomunati dalla padronanza della tecnica e dalla passione per il “fare ceramica”. Un esercizio di stile che rende conto dell’adeguatezza della risposta della cittadina di Castelli alla chiamata milanese e documenta in maniera esemplare lo stato delle cose in campo artistico in quello sperduto paesino collocato ai piedi del Gran Sasso da sempre dedito alla lavorazione della ceramica. Non fu certo un caso se Guerrino Tramonti, Arrigo Visani, Serafino Mattucci insieme ai loro giovanissimi allievi, si ritrovarono a realizzare quell’impresa pittorico-compositiva: i tre insegnanti erano già gli interpreti consacrati del rinnovamento della ceramica italiana ed erano attivi tra la Romagna, loro terra di origine e di formazione, e l’Abruzzo. Insieme a ceramisti come Giorgio Saturni (Colledara-TE-, 1914- Pescara, 2006) e Giorgio Baitello (Venezia, 1908-Pescara 1995) e grazie ai forti legami stretti da tutti e tre con la scuola d’arte locale (Serafino Mattucci era stato insegnante nella scuola di Castelli a partire dal 1943 e dal 1958 al 1977 ne sarebbe stato il direttore; Guerrino Tramonti direttore dal 1953 al 1957; Arrigo Visani dal 1950 al 1960 vi insegna materie artistiche e tecnologia ceramica), erano stati gli artefici del rinnovamento dello stile espressivo castellano a partire dalla fine degli anni Quaranta e per tutto il decennio successivo14. D’altra parte quelli erano anni di grande fermento per numerosi artisti della ceramica che, influenzati dalle più recenti tendenze dell’avanguardia figurativa, avevano definitivamente abbandonato modalità espressive legate al conseguimento di mere finalità ornamentali ed alla stanca ripetizione dei temi tradizionali e si erano dedicati alla sperimentazione di nuovi modi di fare ceramica15. Ne consegue che i cento metri quadri circa di soffitto finiscono per diventare una sorta di catalogo collettivo delle opere degli autori su citati: impossibile (e per certi versi anche inutile) l’individuazione univoca delle diverse “mani” nella realizzazione dei singoli decori; ogni disegno è riferibile ad ognuno dei

Castelli, 2010 agosto. Allestimento espositivo edizione moderna del soffitto di San Donato

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tre, ogni costruzione pittorica, anche la più riconoscibile e stilisticamente ascrivibile a questo o a quell’altro, nel complesso perde le sue caratteristiche autoriali e si mimetizza in un caleidoscopico insieme che costituisce l’intero documento. I repertori iconografici propri dei tre artisti/ceramisti si fondono in un unicum eterogeneo e differenziato, realizzato per stupire e per sovvertire un’ordine preordinato. Gli artisti lavorano talvolta con gli spolveri, ma per lo più a mano libera, impostano velocemente il decoro, scandiscono lo spazio con misura ed equilibrio compositivo e disseminano il soffitto di meravigliosi oggetti della vita quotidiana, colorati, divertenti, ammiccanti, provocatori, metafisici, naturali, puerili, ripetitivi, ma tutti straordinariamente belli e colorati. Dai battelli a vapore ai trenini, alle mongolfiere, passando per gli aquiloni e le architetture fantastiche; e poi i fiori, le salamandre, i canguri, gli antichi velieri, il sole, la luna, i calici, i pesci e gli uccelli, le barchette di carta e le pistole, i topolini, le gabbie , gli spiedi ed i gatti; i profili umani, volti stilizzati e forme geometriche di ogni genere. Sul nuovo soffitto si compongono con leggerezza e freschezza compositiva tre universi figurativi, tre esperienze pittoriche accomunate dal comune denominatore del valore della contemporaneità16. Dopo le mostre di Castelli e di Teramo, il MIC di Faenza accoglie ed espone, dopo quasi sessant’anni di completo oblio, quell’importante reperto ceramico, che è stato poeticamente ribattezzato “Il Terzo Cielo di Castelli”17. Si porta a compimento in tal modo un’importante opera di tutela e di valorizzazione che attendeva da molti decenni e che oggi è resa possibile grazie al convergente interessamento di diverse forze in campo. Il lavoro condotto sin qui dal Comitato Organizzatore Mostre Antiche e Moderne insieme al Comune di Castelli ed ai due Istituti Statali d’Arte, quello di Firenze e quello di Castelli, è la testimonianza tangibile delle straordinarie potenzialità operative offerte dalla felice sinergia tra pubblico e privato. L’esposizione odierna ha scelto per i duecentocinquantotto tavelloni smaltati e dipinti un allestimento innovativo, che offre alla pubblica fruizione le due magnifiche falde del soffitto ribaltate, per consentire il massimo della lettura di ogni particolare decorativo.

Castelli, 2010 agosto. Allestimento espositivo edizione

moderna del soffitto di San Donato

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Note:1 Cfr. MURATORE G., Il Museo Artistico Industriale di Roma, per un’arte utile in BORGHINI G. (a cura di), del M.A.I.. Storia del

Museo Artistico Industriale di Roma, Roma, ICCD 2005, pp..23-34.2 Cfr. BALLARDINI D., Situazione e problemi attuali dell’artigianato in Italia, in Homo Faber. Rassegna internazionale del

lavoro e dell’istruzione, a. IV, n. 22- agosto, Roma, Fratelli Palombi Editori 1953, pp.1321- 1330.3 La grande esposizione lombarda, concepita come importante rassegna finalizzata alla valorizzazione della migliore

produzione artigianale italiana, era nata a Monza nel 1923 come “Mostra internazionale di arte decorativa” ed aveva una cadenza biennale. Organizzata a cura dell’ISIA (Istituto Superiore di Industrie Artistiche) e pensata in un primo tempo per esporre le opere create dagli allievi dell’Istituto, fu subito aperta ai contributi artistici internazionali. Diventata triennale la cadenza espositiva a partire dal 1930, da subito si pose come obiettivo lo stimolo dell’interazione tra l’industria, il mondo produttivo e le arti applicate. A poco a poco aveva ampliato la sua competenza all’arredamento, all’architettura ed all’urbanistica, aprendo in seguito alla pittura ed alla scultura pensate in funzione decorativa, finchè nell’edizione del 1954 si caratterizzò definitivamente come spazio poliedrico e multifunzionale aperto allo studio ed alla sperimentazione pratica dei risultati formali del lavoro industriale. La denominazione “Triennale di Milano” era stata riconosciuta e registrata in forma permanente, in data 27 ottobre 1932, dal Bureau International des Expositions ai sensi dell’Art. 8 della Convenzione riguardante le Esposizioni Internazionali firmata a Parigi il 22 novembre 1928 alla quale l’Italia aveva aderito.

4 Cfr. Decima Triennale di Milano, con scritti di Francesco Aaras et alii., catalogo mostra, Milano, SAME editore 1954, pp. 5-10.

5 Tale sezione fu curata da Ferruccio Pasqui con la collaborazione di Franco Mazzini e con gli allestimenti realizzati dagli architetti Franco Albini e Franca Helg. Gli allievi della Scuola per la Ceramica di Pietrasanta, specializzati per la lavorazione del marmo, avevano eseguito un pavimento in cui la composizione artistica veniva integrata con mezzi di lavorazione meccanica; quelli di Comiso, un grande pavimento graffito nella pietra speciale locale, mentre a Siracusa gli allievi avevano eseguito un grande tavolo con motivi innovativi prendendo spunto dalle venature del legno di fico selvatico. A Sesto Fiorentino i giovani avevano eseguito esemplari di porcellana, ritenuti eccellenti per la perfezione tecnica e per la bellezza della materia; a Gorizia era stato costruito un pavimento con pietre locali a mosaico; a Sulmona a testimonianza della magnifica tradizione abruzzese per la lavorazione dei metalli era stato prodotto un camino moderno sbalzato in rame, ad Avellino un grande arazzo ricamato, a Castelmassa dei battenti in legno intarsiato. Gli istituti e le maggiori scuole avevano inoltre prodotto tappeti (Sardegna), ceramiche (Sicilia, Veneto e Toscana).

6 Per i dovuti approfondimenti sulla poliedrica personalità di Potito Randi e sulla sua intensa attività imprenditoriale svolta a Castelli ed a Teramo nel decennio 1943- 1953 si veda SCONCI, M.S. Le ceramiche di Castelli nella collezione SPICA 1943-1953, Roma, Collezioni Numismatiche 2010; sul ceramista Guerrino Tramonti si veda RUIZ DE INFANTE, J., Guerrino Tramonti magiche policromie (a cura di), Milano, Silvana Editoriale 2009.

7 La scelta del soggetto da realizzare fu suggerita da Ferruccio Pasqui, direttore della Scuola d’Arte di Firenze e in quell’anno ordinatore per la Triennale, della Sezione dedicata alle mostre delle scuole d’arte. Gli allievi che parteciparono al lavoro furono Gabriele de Petis, Dante di Sante, Rossana Pardi ed Ennio Terregna.

8 Nell’ambito dell’Ottava edizione della Triennale di Milano, svoltasi nell’anno 1947, in piena ricostruzione post-bellica, fu proposta e progettata la nascita del quartiere di Quarto Oggiaro di Milano; in particolare Pietro Bottoni commissario straordinario, che nel 1945 promosse la realizzazione di questo “Quartiere sperimentale” e al suo interno del Monte Stella, un’altura artificiale costituita con i detriti degli edifici crollati durante il conflitto mondiale. La realizzazione richiese diversi anni e tra il 1946 ed il 1947 si realizzarono le prime case, per ospitare chi era rimasto senza tetto, seguendo undici modelli diversi, progettati da architetti che avevano vinto un concorso nazionale. Nel 1948 si realizzarono per la prima

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volta in Italia case prefabbricate a quattro piani. Anche la chiesa del quartiere, a pianta circolare, fu realizzata sulla base di un progetto vincitore di un concorso. Molta attenzione venne pr+estata agli spazi verdi, sia con la realizzazione dei primi campi gioco per ragazzi, sia con aree verdi condominiali, sia infine con la creazione di un vasto parco di circa 375.000 metriquadri, in grado di soddisfare non solo le esigenze degli abitanti del quartiere ma anche, in generale, di tutta la città, di cui costituisce un importante polmone verde. Grazie alla particolare tensione ispiratrice del progetto, e alle particolari circostanze che hanno reso possibile la sua realizzazione, il quartiere è tuttora un ottimo esempio di vivibilità urbana.

9 L’ Austria, il Belgio, il Canada, la Danimarca, la Finlandia, la Francia, la Germania, lo Stato di Israele, la Norvegia, l’Olanda, la Spagna, la Svezia, la Svizzera, l’Inghilterra e gli Stati Uniti.

10 Cfr. SARAGAT G., Senso e funzione della Triennale, dal discorso di inaugurazione della Triennale, in Decima Triennale di Milano, op. cit. pp. 13-18.

11 Cfr. Il presepio sul pino in “Annabella”. Rivista di vita femminile, anno XXIV, n. 52, Milano, dicembre 1956, p. 35.12 Cfr. FONTI D., Le arti decorative nel decennio della ‘ricostruzione’ in Fagiolo Dell’Arco M.- Terenzi C., Roma 1948 – 1959.

Arte, cronaca e cultura dal Neorealismo alla Dolce Vita, Milano, Skira 2002 pp.255-271.13 Dante Di Sante ed Ennio Terregna che hanno generosamente ricordato i particolari dell’esperienza vissuta cinquantasei

anni fa a Castelli.14 Si veda, a tal proposito: ROSA, N., La tradizione del moderno nella ceramica di Castelli, Editrice Andromeda Multimediale,

Colledara (Te) 1994; si veda inoltre: 1920-1938. La porcellana di Castelli. Giovanni Fuschi e la SIMAC, di AA.VV., Colledara (Te) Andromeda Editrice 1997.

15 Cfr. GAUDENZI, E. Novecento. Ceramiche italiane. Protagonisti e opere del XX secolo, vol. II Dal primitivismo al design, Faenza, Faenza editrice 2006, p. 28.

16 NEBBIA U.,Guerrino Tramonti in “La Ceramica”. Rivista mensile dell’associazione nazionale degli industriali della ceramica e degli abrasivi, anno IX, n.9, settembre 1954, pp. 57-60; Scuola Statale d’Arte F.A. Grue - Castelli in “La Ceramica”, op. cit., settembre 1954, pp. 61-63; POLIDORI G.C. Serafino Mattucci in “La Ceramica”. Rivista mensile dell’industria della ceramica e silicati, a. XII- Nuova Serie, n.7-luglio 1957, pp. 27-29; MINGOTTI A., Arrigo Visani 1914- 1987 in “Faenza”. Bollettino del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, annata LXXVII, fasc. I-II, Faenza 1991, pp. 35-40 e tavv. XII e XIII; BERTONI F.- Silvestrini J. Ceramica italiana del Novecento, Milano, Electa 2005; TERRAROLI V., Ceramica italiana d’autore 1900-1950, Milano, Skira 2007, p. 318.

17 Tale denominazione si deve al vice presidente del Comitato, Siriano Cordoni che ha avuto il merito e l’opportunità di condividere con Alessandro Maria Caccia tutte le fasi più importanti per il recupero del soffitto in questione, coordinando le fasi ideative e realizzative della mostra di Teramo.

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FIGURE UMANE

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VOLTI

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SOLI, LUNE, STELLE

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PESCI

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GATTI, UCCELLI

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ANIMALI E ALTRE FIGURE

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VELIERI, TRENI

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DECORI VEGETALI

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DECORI GEOMETRICI

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CALICI E NATURE MORTE

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ApparatiJosune Ruiz de Infante

Biografia di Guerrino Tramonti

Genealogie e continuità iconografiche

Opere di Tramonti al MIC

Bibliografia selezionata

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GUERRINO TRAMONTI (1915-1992)Pittore, ceramista e scultore, Guerrino Tramonti nasce a Faenza il 30 giugno 1915.Nella seconda metà degli anni Venti, frequenta contemporaneamente la Scuola Comunale di Disegno Industriale e Plastica per gli Artigiani “T. Minardi” e la Regia Scuola di Ceramica di Faenza. In quest’ultima impara a conoscere i colori dal maestro faentino Anselmo Bucci. Tra gli insegnanti di riferimento per il futuro artistico del giovane, spicca la figura dello scultore Domenico Rambelli. Tuttavia, Tramonti si considera soprattutto un autodidatta.Espone fin da giovanissimo come scultore in mostre regionali e nazionali: nel 1931, all’età di sedici anni, ottiene il premio “Rimini”; nel 1932 e nel 1934 il primo premio al Concorso “Rubicone” della città di Rimini. In quest’ultima occasione riceve, ma declina, l’invito di Arturo Martini, membro della giuria, a seguirlo nel suo studio di Milano.Poco più che ventenne, nel 1938, riceve un premio al 1° Concorso Nazionale delle Ceramica indetto dalla città di Faenza. In tale manifestazione viene apprezzata “la sintetica schiettezza di certe figure”, un gruppo di opere in terracotta e smalti policromi eseguite ad Albisola nella “Casa d’Arte Agnino & Barile”, dove per un anno circa Tramonti si era trasferito ad operare come modellatore. La scultura premiata, una “Testa di giovinetta”, passa dal concorso alle raccolte del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza ma andrà distrutta durante l‘ultimo conflitto mondiale. A cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta, Tramonti realizza numerose sculture in terracotta di sapore arcaizzante, alcune delle quali sono esposte nella Quadriennale di Roma del 1943.Tra il 1944 e il 1947 si trasferisce a Venezia, dove frequenta lo studio di Filippo De Pisis, già incontrato più volte in occasione delle sue mostre in Emilia-Romagna a partire dal 1933.Nel 1951 inaugura il suo studio in via Tolosano a Faenza ed è nominato insegnante di plastica alla Scuola d’Arte di Civiltà Castellana, centro ceramico alle porte di Roma, dove frequenta i migliori ambienti artistico-culturali della capitale, grazie peraltro all’amicizia del pittore di origine faentina Franco Gentilini con cui aveva collaborato sin dall’adolescenza.

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Nel 1952 Tramonti conosce la giovane Arpalice Carlotta Babini, che diventerà sua moglie due anni più tardi e con la quale avrà due figli: Paolo e Marco.Nel corso degli anni Cinquanta, l’artista faentino espone nelle principali rassegne d’arte ceramica in Italia, Germania e U.S.A., accanto ad artisti come Lucio Fontana, Leoncillo, Fausto Melotti, Agenore Fabbri, Tullio Mazzotti, Angelo Biancini, Nanni Valentini, Guido Gambone ed altri. Ottiene numerosi riconoscimenti, fra cui due volte il “Premio Faenza” nel 1952 (con opere realizzate in collaborazione con Antonio Scordia) e nel 1955 (ex-equo con Carlo Negri). Nel 1953 è nominato direttore della Scuola d’Arte per la Ceramica di Castelli d’Abruzzo. In questi anni, Tramonti inizia la sua ricerca decorativa di matrice neocubista e astrattista, inaugurando i grandi dischi di terracotta invetriata con la cristallina a grosso spessore. Nel 1956 l’editore romano De Luca gli pubblica una monografia con presentazione di Leonardo Sinisgalli, nella collana “Artisti d’oggi”. Nel 1958 passa a dirigere la Scuola d’Arte di Cagli, dove realizza alcune esperienze artistiche con lo smalto su rame; dal 1959 al 1963 diventa direttore dell’Istituto Statale d’Arte di Forlì, dove ha occasione di misurarsi con le tecniche tessili, trasferendo i motivi decorativi precedentemente dipinti sulla ceramica, su arazzi di notevoli dimensioni. Negli anni Sessanta, la ricerca artistica di Tramonti raggiunge nuovi sviluppi, scegliendo i nuovi materiali ad alta temperatura quali il grès e la porcellana che permettono la monumentalizzazione dei volumi e determinando pure un’evoluzione decorativa vicina alla sensibilità materica orientale e d’ispirazione giapponese. A questa fase corrispondono le nuove mostre internazionali in Danimarca, Spagna e anche in Giappone, oltre ai numerosi premi e riconoscimenti ottenuti ai concorsi nazionali di Cervia, Rimini, Gubbio e Faenza. Parallelamente alla ceramica, negli anni Sessanta e Settanta, l’artista si dedica alla pittura con grande assiduità, portando avanti la sua personale ricerca che vede trasporre, con colori a olio mescolati ai materiali sabbiosi, il suo singolare lessico iconografico già plasmato sulla ceramica nei decenni precedenti. Negli anni successivi e fino alla fine degli anni Ottanta, continua a esporre con successo in mostre personali e collettive, in Italia e in tutto il mondo, dipinti a olio, maioliche, porcellane e dischi invetriati che portano la cifra caratteristica del suo stile inconfondibile.Guerrino Tramonti muore a Faenza il 17 ottobre 1992. Nel mese di novembre, per volontà dell’artista, la famiglia allestisce la “Casa-Museo Tramonti”, nell’abitazione di via Fratelli Roselli n. 8. Trasformatasi recentemente in Fondazione Guerrino Tramonti, nel museo sono custodite ed esposte le opere che testimoniano l’intero percorso artistico.

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Natura morta con triglie e agrumi, 1948. Olio su tela

Natura morta con pesce e agrumi, 1948. Olio su tela

Natura morta con pesce, 1953-1955. Terracotta smal-tata e dipinta

Tavella Castelli, 1954 Tavola imbandita con pesce, 1970-1972. Impasto chamot-tato dipinto e invetriato a grosso spessore

Pesci, 1950-1952. Terracotta smaltata e dipinta

Tavella Castelli, 1954 Tappeto in lana realizzato su disegno di Guerrino Tramonti presso la Scuola d’Arte di Forlì nel 1961

I PESCIGenealogie e continuità iconografiche

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Pesci 1952-1954. Terracotta smaltata e riflessata

Tavella Castelli, 1954Pesci in graticola 1952. Terracotta smaltata e dipinta

Tavella Castelli, 1954

Tavella Castelli, 1954

Pesce 1953-1956. Terracotta smaltata e dipinta a rilievo

Natura morta, 1961. Terra-cotta smaltata e dipinta

Pesce in graticola 1969-1971. Impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso spessore

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NATURE MORTE

Vassoio con natura morta, 1954-1956. Terracotta smal-tata e dipinta

Tavella Castelli, 1954

Tavella Castelli, 1954

Vassoio, 1953. Terracotta smaltata e riflessata,

Vassoio con natura morta, 1957-1961. Terracotta smal-tata e dipinta

Tavella Castelli, 1954

Vassoio con natura morta, 1956-1961. Terracotta smal-tata e dipinta

Tavella attribuita a Tramonti. Castelli, 1954

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Volto di donna con “zeppa”,1980-1985. Impasto chamot-tato dipinto e invetriato a grosso spessore

Tavella attribuita a Tramonti. Castelli, 1954

Tavella Castelli, 1954

Natura morta, 1946. Olio su tela

Natura morta con zeppa, 1978-1980. Olio su tavola

Tavella Castelli, 1954

Donna con natura morta e gatto, 1990-1991.Olio su tela

Tappeto in lana realizzato su disegno di Guerrino Tramonti presso la Scuola d’Arte di Forlì nel 1961

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VOLTI UMANI

Tavella Castelli, 1954

Donna con cappello, 1952.Lastra in refrattario smaltato e dipinto

Volti affrontati, 1953-1955. Terracotta smaltata e dipin-ta

Ballerina, 1952-1953.Impasto chamottato smal-tato

Volti, 1980-1984. Impasto chamottato dipinto e inve-triato a grosso spessore

Tavella Castelli, 1954

Foulard in seta realizzatato a stampa serigrafica su disegno di Guerrino Tramonti, Scuola d’Arte di Forlì, 1961

Grande boccale, 1961.Terracotta smaltata e dipinta

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Piatto viso, 1953 ca.

Vasi, 1950-1953. Terracotta smaltata e dipinta

Tavella Castelli, 1954 Animale fantastico, 1950-1952. Terracotta smaltata e dipinta

Tavella Castelli, 1954

Tavella Castelli, 1954 Tavella Castelli, 1954 Tavella Castelli, 1954

SOLI, FAUNI E ALTRE IMMAGINI

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Uccello,1950-1951.Terracotta smaltata e dipinta

Gruppo di vasi dal sapore arcaizzante, 1952

Tavella Castelli, 1954

Tavella Castelli, 1954

Tappeto in lana realizzato su disegno di Guerrino Tramonti presso la Scuola d’Arte di Forlì nel 1961

Tappeto in lana realizzato su disegno di Guerrino Tramonti presso la Scuola d’Arte di Forlì nel 1961

GEOMETRIE

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1. Testa di vecchio,1930-1932, terracotta patinata, 28.5x19x24. Fondazione G. Tramonti 2. Testa di ragazza, 1939-1940, terracotta patinata, 24.5x16x23. Fondazione G. Tramonti 3. Cristo, 1939, terracotta patinata, 40.5x21x28. Fondazione G. Tramonti 4. Ciotola con pesci, 1952-1954, terracotta smaltata e riflessata, 12x29.5x29.5. Collezione

privata 5. Vaso con pesci,1952-1954, terracotta smaltata e riflessata, 38x20x20. Collezione privata 6. Vaso con pesce, 1952-1954,terracotta smaltata e riflessata, 34x29x29. Collezione privata 7. Testa di donna, 1949-1951, terracotta smaltata, 31x15.5x21.5. Fondazione G. Tramonti 8. Suonatore di liuto a cavallo, 1951, terracotta smaltata e lustrata. 47X33x16.5.

Fondazione G. Tramonti 9. Madonna con angeli, 1949-1951, terracotta smaltata e lustrata, 55x43x8. Collezione

privata 10. Crocifisso, 1950-1953, terracotta smaltata e lustrata, 62.5x57.5x17. Fondazione G.

Tramonti 11. Vassoio, 1950-1953, terracotta smaltata e dipinta a rilievo , 54x41.5. Fondazione G.

Tramonti 12. Vaso, 1950-1953, terracotta smaltata e dipinta a rilievo, 69x28x28. Collezione privata 13. Vaso con figure umane, 1950-1952, terracotta smaltata e dipinta a rilievo e lustrata,

39.2x12.5x.12.5. Collezione privata 14. Vaso, 1952, terracotta smaltata e dipinta a rilievo, 36x22x22. Collezione privata 15. Pesce, 1950-1952, terracotta smaltata, 32x37x18. Collezione privata 16. Uccello, 1950-1951, terracotta smaltata e dipinta, 20x22x15. Collezione privata 17. Animale fantastico, 1950-1952, terracotta smaltata e dipinta , 51x27x15. Fondazione G.

Tramonti 18. Fiasca antropomorfa, 1950, terracotta smaltata e dipinta , 30x17x20. Fondazione G.

Tramonti 19. Donna con cappello, 1952, lastra in refrattario smaltato e dipinto, 40x52x1.5.

Fondazione G. Tramonti 20. Donna con pesci/ Resurrezione di Lazzaro, 1952, lastra in refrattario smaltato e

dipinto, 51.5x41.5x2.5. Collezione privata 21. Gesù cammina sulle acque, 1952, lastra in refrattario smaltato e dipinto, 48x39x1.5.

Collezione privata 22. Ballerina, 1952-1953, impasto chamottato smaltato, 92.5x50.5x2. Fondazione G.

Tramonti 23. Volti affrontati, 1953-1955, terracotta smaltata e dipinta, 11.9x51x51. Fondazione G.

Tramonti 24. Gatta, 1953-1954 ,terracotta smaltata e dipinta, 11x47x47. Fondazione G. Tramonti 25. Natura morta con pesce, 1953-1955, terracotta smaltata e dipinta, 11.5x42.5x42.5.

Fondazione G. Tramonti 26. Natura morta, 1955, terracotta smaltata e dipinta, 10.5x48.5x48.5. Fondazione G.

Tramonti 27. Pesce in graticola, 1953-1955, terracotta smaltata e dipinta, 7x44.5x44.5. Fondazione

G. Tramonti 28. Barca, 1953-1955, terracotta smaltata e dipinta, 8x43.5x43.5. Fondazione G. Tramonti 29. Vassoio con natura morta, 1961, terracotta smaltata e dipinta, 31x66. Fondazione G.

Tramonti 30. Vassoio con natura morta, 1956-1961 , terracotta smaltata e dipinta, 42x55.

Fondazione G. Tramonti 31. Vassoio con natura morta, 1957-1961, terracotta smaltata e dipinta. 42.5x54.

Fondazione G. Tramonti 32. Vassoio con natura morta, 1960-1962, terracotta smaltata e dipinta, 32.7x67.4.

Fondazione G. Tramonti 33. Tavolino, 1953-1956, terracotta dipinta con smalti, 51.5x.27.2x58.5. Collezione privata 34. Grande boccale, 1961, terracotta smaltata e dipinta, 63.6x42x38.5. Fondazione G.

Tramonti 35. Grande boccale, 1961, terracotta smaltata e dipinta, 63.6x42x38. Fondazione G. Tramonti 36. Servizio da caffè (Castelli), 1953, maiolica decorata, caffettiera 28x18x10; zuccheriera

12x11x9; tazzine 5x8.5x7. Collezione privata

37. Brocca (Castelli), 1953, maiolica decorata, 26.5x23.6x15.5. Collezione privata 38. Servizio da caffè (Castelli), 1953-1954, maiolica decorata, caffettiera 22x23.5x7.5;

zuccheriera13x11x6; tazzine 7.5x8x6; piatto 2x13x13. Fondazione G. Tramonti 39. Acrobata, 1952, impasto chamottato smaltato e dipinto, 105x39x2.7. Fondazione G.

Tramonti 40. Tavola imbandita con mano, 1961, terracotta smaltata e dipinta, 46x10.5. Fondazione

G. Tramonti 41. Profilo di donna, 1953-1955, terracotta smaltata e dipinta, 8x44x44. Fondazione G. Tramonti 42. Vaso con minotauro, 1950, terracotta smaltata e dipinta, 23x18.5x17.5. Fondazione G.

Tramonti 43. Vassoio con lisca di pesce, 1952, terracotta smaltata e dipinta, 26.5x49.5. Fondazione

G. Tramonti 44. Vaso con tavola imbandita, 1952, terracotta smaltata e dipinta, 49x40. Fondazione G.

Tramonti 45. Vassoio con tavola imbandita, 1956-1961, terracotta smaltata e dipinta, 55x42.5x5.3.

Fondazione G. Tramonti 46. Natura morta con pesce, 1968-1972, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso

spessore, 6.5x53x53. Fondazione G. Tramonti 47. Natura morta con pesce, 1968-1972, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso

spessore 5.5x57x57. Fondazione G. Tramonti 48. Cavallo, 1969-1971, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso spessore,

6.5x47.5x47.5. Fondazione G. Tramonti 49. Natura morta, 1969-1974, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso spessore,

6.5x52x52. Fondazione G. Tramonti 50. Cavallo, 1969-1971, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso spessore,

6.5x55.5x55.5. Fondazione G. Tramonti 51. Tavola imbandita con mano, 1970, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso

spessore, 6.5x56.5x56.5. Fondazione G. Tramonti 52. Tavola imbandita con pesce, 1970-1972, impasto chamottato dipinto e invetriato a

grosso spessore, 6x52.5x52.5. Fondazione G. Tramonti 53. Ragazza con perla, 1969-1975, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso

spessore, 54.5x6. Fondazione G. Tramonti 54. Pesce in graticola, 1969-1971, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso

spessore, 5.5x56.5x56.5. Fondazione G. Tramonti 55. Tavola imbandita con pere, 1969-1973, impasto chamottato dipinto e invetriato a

grosso spessore, 6x55.5x55.5. Fondazione G. Tramonti 56. Tavola imbandita, 1969-1976, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso

spessore 6.556.5x56.5. Fondazione G. Tramonti 57. Volto di donna, 1969-1972, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso spessore,

6x52x52. Fondazione G. Tramonti 58. Volti affrontati, 1969-1973, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso spessore,

6x50x50. Fondazione G. Tramonti 59. Cocomero e lettere, 1969, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso spessore,

6.5x55x55. Fondazione G. Tramonti 60. Tavola imbandita, 1969-1971, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso

spessore, 6.5x49.5x49.5. Fondazione G. Tramonti 61. Ragazza con pera, 1969-1976, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso

spessore, 6x48.5x48.5. Fondazione G. Tramonti 62. Gatto, 1980, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso spessore, 6x48.5x48.8.

Fondazione G. Tramonti 63. Mano con perla, 1970, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso spessore,

7x60x60. Fondazione G. Tramonti 64. Peperoni e lettere, 1975, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso spessore,

6x51x51. Fondazione G. Tramonti 65. Gatto, 1969-75, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso spessore, 5.5x53x53.

Fondazione G. Tramonti 66. Volti, 1980-1984, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso spessore, 44x55x4.

Fondazione G. Tramonti

Opere esposte

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67. Tavola imbandita con rosa, 1979-1984, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso spessore, 5.5x47.5x47.5. Fondazione G. Tramonti

68. Bottiglie, 1980-1985, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso spessore, 6.5x53.5x53.5. Fondazione G. Tramonti

69. Gatto artista aristocratico, 1979 impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso spessore, 6.5x52.5x52.5. Fondazione G. Tramonti

70. Volto di donna con “zeppa”, 1980-1985, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso spessore, 6x50x50. Fondazione G. Tramonti

71. Natura morta con mano, 1980-1984, impasto chamottato dipinto e invetriato a grosso spessore, 6x55x55. Fondazione G. Tramonti

72. Cavaliere, 1969-1971, impasto chamottato invetriato a grosso spessore, 58x47x9. Fondazione G. Tramonti

73. Forma a doppio cratere, 1966-1967, grès bianco con coperta cristallizzata, 36x35x45. Fondazione G. Tramonti

74. Forma a doppio cratere, 1967, grès bianco con coperta cristallizzata, 13.5x42.5x42.5. Fondazione G. Tramonti

75. Forma a doppio cratere, 1965-1967, grès bianco con coperta cristallizzata, 27x36x36. Fondazione G. Tramonti

76. Vaso, 1962-1965, grès bianco con coperta cristallizzata, 75.5x16x16. Fondazione G. Tramonti

77. Coppa, 1964-1966, grès bianco con coperta cristallizzata, 28.5x26x26. Fondazione G. Tramonti

78. Ciotola, 1962-1966, grès bianco con coperta cristallizzata, 13.5x18x18. Fondazione G. Tramonti

79. Ciotola, 1962-1966, grès bianco con coperta cristallizzata, 11x20x20. Fondazione G. Tramonti

80. Ciotola, 1962-1966, grès bianco con coperta cristallizzata, 8.6x11.9x11.9. Fondazione G. Tramonti

81. Forma a doppio cratere, 1962-1966, grès bianco con coperta cristallizzata, 11x20x20. Fondazione G. Tramonti

82. Vaso ovoidale, 1961-1965, grès bianco smaltato, 56.5x22x22. Fondazione G. Tramonti 83. Vaso, 1962-1964, grès bianco con coperta cristallizzata, 23x24x24. Fondazione G. Tramonti 84. Vaso, 1962-1965, grès bianco con coperta cristallizzata, 26.5x30x30. Fondazione G.

Tramonti 85. Forma a doppio cratere, 1966-1968, grès bianco con coperta cristallizzata, 16.5x38x38.

Fondazione G. Tramonti 86. Forma a doppio cratere, 1966-68, grès bianco con coperta cristallizzata, 12x45x45.

Fondazione G. Tramonti 87. Forma a doppio cratere, 1965-1968, grès bianco con coperta cristallizzata, 44.5x30x30.

Fondazione G. Tramonti 88. Vaso cilindrico, 1962-1966, grès bianco smaltato, 39x34x34. Fondazione G. Tramonti 89. Vaso ovoidale, 1965-1968, grès bianco con coperta cristallizzata, 33x23x23. Fondazione

G. Tramonti 90. Forma a doppio cratere. 1966-68, grès bianco con coperta cristallizzata, 27.5x35x35.

Fondazione G. Tramonti 91. Forma a doppio cratere, 1966-1968, grès bianco con coperta cristallizzata, 14.5x40x40.

Fondazione G. Tramonti 92. Forma a doppio cratere, 1966-68, grès bianco con coperta cristallizzata, 33x41x41.

Fondazione G. Tramonti 93. Vaso ovoidale, 1962-1966, grès bianco con coperta cristallizzata, 33.7x14x14.

Fondazione G. Tramonti 94. Vaso rettangolare, 1965-68, grès bianco con coperta cristallizzata, 50x16.5x16.5.

Fondazione G. Tramonti 95. Vaso “Ramina”, 1964-1965, grès bianco smaltato e decorato, 50x15x15. Fondazione G.

Tramonti 96. Vaso, 1962-63, grès smaltato e decorato, 30.5x22x22. Fondazione G. Tramonti 97. Forma a doppio cratere, 1962-1966, grès bianco con coperta cristallizzata,

23x24.5x24.5. Fondazione G. Tramonti 98. Ciotola, 1962-66, grès bianco con coperta cristallizzata, 12.5x28x28. Fondazione G.

Tramonti

99. Vaso ovoidale, 1962-1966, grès bianco con coperta cristallizzata, 44x20x20. Fondazione G. Tramonti

100. Vaso, 1962-1966, grès bianco con coperta cristallizzata, 43x11x11. Fondazione G. Tramonti

101. Vaso, 1962-1966, grès bianco con coperta cristallizzata, 43.5x6x6. Fondazione G. Tramonti 102. Vaso globulare, 1965-1968, grès bianco con coperta cristallizzata, 24.5x31x31.

Fondazione G. Tramonti 103. Vaso, 1962-1963, grès smaltato e decorato con motivi astratti, 32.5x22.5x22.5.

Fondazione G. Tramonti 104. Vaso, 1965-1968, grès bianco con coperta cristallizzata, 55x17x17. Fondazione G.

Tramonti 105. Vaso globulare, 1965-68, grès bianco con coperta cristallizzata, 24x40x40. Fondazione

G. Tramonti 106. Forma a doppio cratere, 1962-1966, grès bianco con coperta cristallizzata, 11x43x43.

Fondazione G. Tramonti 107. Ciotola, 1966-68, grès bianco con coperta cristallizzata, 33.5x11.5. Fondazione G.

Tramonti 108. Ciotola, 1966-68, grès bianco con coperta cristallizzata, 9x41x41. Fondazione G. Tramonti 109. Vaso, 1962-1966, grès bianco con coperta cristallizzata, 25.5x14.5x14.5. Fondazione G.

Tramonti 110. Bottiglia, 1962-1966, grès bianco con coperta cristallizzata, 31x6x6. Fondazione G. Tramonti 111. Bottiglia, 1962-1966, grès bianco con coperta cristallizzata, 29x6x6. Fondazione G. Tramonti 112. Bottiglia, 1962-1966, grès bianco con coperta cristallizzata, 29x5x5. Fondazione G. Tramonti 113. Bottiglia, 1962-1966, grès bianco con coperta cristallizzata, 29x5x5. Fondazione G. Tramonti 114. Bottiglia, 1962-1966, grès bianco con coperta cristallizzata, 39x9x9. Fondazione G. Tramonti 115. Bottiglia, 1962-1966, grès bianco con coperta cristallizzata, 23x8x8. Fondazione G. Tramonti 116. Bottiglia, 1962-1966, grès bianco con coperta cristallizzata, 34.5x5.5x5.5. Fondazione G.

Tramonti 117. Bottiglie, 1969-1972, olio su tavola, 80x70. Fondazione G. Tramonti 118. Zeppe, 1970-1972, olio su tavola, 98x90. Fondazione G. Tramonti 119. Natura morta con braccio, 1989-1991, olio su tela, 100x70. Fondazione G. Tramonti 120. Natura morta con straccio, 1988-1990, olio su tavola, 80x60. Fondazione G. Tramonti 121. Natura morta con mano, 1970, olio su tavola, 70x60. Fondazione G. Tramonti 122. Straccio, 1981, olio su tavola, 100x70. Fondazione G. Tramonti 123. Gatto con natura morta,1986, olio su tavola, 80x60. Fondazione G. Tramonti 124. Gatto con natura morta, 1982, olio su tela, 70x60. Fondazione G. Tramonti 125. Natura morta, 1980-83, olio su tela, 60x50. Fondazione G. Tramonti 126. Gatto, 1969, olio su tela, 60x60. Fondazione G. Tramonti 127. Natura morta, 1968-70, olio su tavola, 70x50. Fondazione G. Tramonti 128. Donna, 1989, olio su tavola, 70x50. Collezione privata 129. Uomo, 1990, olio su tavola, 60x50. Collezione privata 130. Donna con natura morta e gatto, 1990-1991, olio su tela, 100x70. Collezione privata 131. Natura morta con scultura, 1990, olio su tela, 90x70. Fondazione G. Tramonti 132. Natura morta con peperoni, 1985-1988, olio su tavola, 75.5x55.5. Fondazione G.

Tramonti 133. Natura morta con zeppa, 1978-1980, olio su tavola, 60x60. Fondazione G. Tramonti 134. Natura morta con teatrino, 1989-1990, olio su tavola, 60x50. Collezione privata 135. Donna nuda con straccio, 1990, olio su tela, 80x100. Collezione privata 136. Natura morta, 1970-1972, olio su tavola, 80x60. Collezione privata 137. Brocca con fiori, 1948, olio su tela, 37.5x45. Collezione privata 138. Tavola imbandita con pesce, 1948, olio su tela, 45x35. Collezione privata 139. Composizione con carte, 1948, olio su tela, 45x60. Collezione privata 140. Natura morta, 1947, olio su tela, 45x54.5. Collezione privata 141. Natura morta con libro di Matisse, 1947, olio su tela, 43.5x53. Collezione privata 142. Natura morta con carte e conchiglia, 1945 , olio su tela, 52x65. Collezione privata 143. Natura morta con triglie, 1945 , olio su tela, 39x49. Collezione privata 144. Natura morta, 1945, olio su tela, 28x32.5. Collezione privata 145. Donna con perla, 1990-1991, olio su tela, 100x70. Collezione privata

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