TRACCE 1 -...

61
TRACCE 1

Transcript of TRACCE 1 -...

TRACCE

1

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina III

© 1997, Gius. Laterza & Figli – Edizioni della Libreria

Prima edizione 1997Quinta edizione 2008

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mez-zo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno odidattico.Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso perso-nale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopiache eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la soprav-vivenza di un modo di trasmettere la conoscenza.Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fo-tocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commetteun furto e opera ai danni della cultura.

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina IV

Franco Cassano

Mal di Levante

LaterzaEdizioni della Libreria

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina V

re

Proprietà letteraria riservataGius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari

Finito di stampare nell’ottobre 2008da Ragusa Grafica Moderna - Bari

per conto dellaGius. Laterza & Figli SpaISBN 978-88-420-8909-4

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina VI

Premessa

Basta camminare per le strade di Bari per capire

che vivervi diventa ogni giorno più difficile e per

sperimentare la prevaricazione sistematica del sen-

so cinico sul senso civico. La decisione di pubbli-

care questi due scritti così diversi per il registro e

l’occasione nasce dalla volontà di non farsi soffoca-

re da questo stato di cose e di combattere un atteg-

giamento di passività che perfezionerebbe il degra-

do. Ciò che li unisce è probabilmente solo il comu-

ne interrogarsi su un rapporto difficile e contrad-

dittorio con la città, soprattutto sulla sua incapa-

cità di farsi amare, di suscitare un sentimento for-

te di affetto e di identificazione.

Decidere di parlare di questa difficoltà (scri-

vere è un po’ come parlare ad alta voce) è un tenta-

tivo di provare a ricominciare, di proporre uno

spazio di riflessione a metà strada tra l’identifica-

zione localistica e apologetica e il distacco critico

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina VII

di chi parla da nessun luogo. Si tratta invece pro-

prio di ritrovare i «luoghi comuni», di saperli rein-

ventare o rinnovare, per sperimentare se da questo

cerchio più piccolo sia possibile ricostruire, anche

più in grande, la capacità di produrre, tramite la

fiducia, i beni pubblici e viceversa. Ma questo ar-

gomento etico-politico è solo una faccia delle ragio-

ni di questo piccolo libro. L’altra affonda le sue ra-

dici in un sentimento, nel desiderio di non tradire

una memoria, di trasmettere un amore e un ri-

spetto per la città che sono stati più di chi ci ha pre-

ceduto che della nostra generazione. Mio padre era

orgoglioso di essere barese, io non posso dire al-

trettanto di me, ma vorrei trovare il modo per far

sì che mio figlio torni ad esserlo. La partita vera si

gioca qui, in un rapporto difficile ma necessario,

in un nesso creativo tra futuro e memoria.

VIII Premessa

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina VIII

MAL DI LEVANTE

alla memoria di mio padre

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 1

Mal di Levante comparirà nella Storia di Bari, a cura di F. Tateo,vol. V: Il Novecento, a cura di L. Masella, di prossima pubblicazio-ne presso l’editore Laterza. Il cortile è, invece, già comparso su«Memoria. Rivista di storia delle donne», n. 29, 2: Bambini, rac-

conti d’infanzia, 1990, e viene qui ripreso con alcune piccole va-riazioni.

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 2

Mal di Levante

Non è difficile capire perché Bari sta precipitando su

se stessa dopo decenni di ascesa né perché ciò acca-

de solo ora.

Un’avvisaglia forse c’è già nelle linee rette della

sua terra e del suo mare, nell’assenza di qualsiasi mo-

mento drammatico nel suo panorama, di qualcosa

che ricordi l’asprezza solare di Palermo o la dolcez-

za dominata dalla minaccia di Napoli. Sin dall’inizio

nulla di inutile, l’abolizione delle linee tortuose, una

mancanza di dolcezza e di abbandono, una paura del-

le divagazioni e delle complicazioni, un andare subi-

to al sodo, un venire al dunque, come se terra e ma-

re si fossero dato un appuntamento di affari. Un de-

ficit di fronzoli, un’impazienza di fronte a tutto ciò

che non permette di ridurre rapidamente le cose e gli

uomini ad un nucleo semplice, dicibile e praticabile.

All’inizio dell’identità barese c’è una duplice po-

lemica che nasce da questa impazienza: il primo lato

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 3

polemico è contro la capitale del regno delle due Sici-lie, contro Napoli parassitaria e inconcludente, sullabase della convinzione di poter trasformare in un van-taggio la purezza provinciale contrapponendosi con ilproprio dinamismo anche – e qui è il secondo frontepolemico – all’arretratezza contadina dei «cafoni». Al-l’inizio, quindi, c’è la rivendicazione di un’identità mo-derna, dinamica, dotata di capacità imprenditiva. Èintorno a questa idea di sé che parte l’idea che a Barispetti un compito privilegiato, il ruolo di anti-Napoli,di città che legittima il proprio ruolo non a partire dal-la corte, dagli intellettuali e dalla plebe, ma dai com-mercianti, da uomini svelti e pratici, con un senso de-gli affari e degli scambi forte e sicuro. Questa impa-zienza, questa volontà di partire è il Levante, l’idea diuna vocazione mediterranea che, piuttosto che adOvest e a Sud, guarda ad Est, verso una via adriatica,che muove da un mare stretto e abbordabile, per ap-prodare prima sull’altra costa e spingersi poi semprepiù lontano fino al Medio Oriente.

Bari città di homines novi che guarda, quindi,verso l’Oriente e per questo non guarda verso la cam-pagna né verso Napoli: un altro mare, un altro oriz-zonte, un altro destino. Un Oriente però che non se-duce mai il barese che resiste da sempre ad ogni fa-scinazione, Ulisse che non ha bisogno di farsi legareper resistere ai canti delle Sirene. Nonostante tutto,

4 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 4

infatti, Bari non ha mai giocato fino in fondo questapartita del Levante: nella città c’è pochissimo Orien-te rispetto a quello che potrebbe (e dovrebbe) esser-ci se questa retorica del Levante fosse più vera e ra-dicale. Non si può essere realmente del Levante se losi riduce solo a qualche traffico, ad un timido scam-bio di merci, se non si barattano anche racconti, mi-steri e fedi. Senza questo desiderio, senza questo rap-porto con il mistero, il capitano naviga sempre sot-tocosta e i suoi viaggi diventano grandi solo nei rac-conti fatti a terra.

Tutto questo deriva anche dalla circostanza cheBari non ha mai guardato solo ad Est, ma sempre più,specialmente a partire dall’Unità, a Nord. La direttri-ce adriatica è infatti nello stesso tempo anche un ca-nale autonomo di comunicazione con il Nord e l’Eu-ropa, con Milano e il sogno di una modernità che nonama le capitali burocratiche ma quelle morali, perchéBari ama sentirsi una potenziale capitale morale delSud, legata non alla rendita ma al profitto. Milano èstata a lungo il Nord nel quale il barese amava identi-ficarsi di più, un Nord laborioso, senza la tristezza e ladisciplina torinesi, più vitale e disordinato, più aper-to, più capace di guardare alla sostanza che alla for-ma. A Bari, infatti, lo sguardo non è paralizzato da ungrande passato come quello che si incontra passeg-giando per le strade di Napoli e Palermo, non è sedu-

Mal di Levante 5

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 5

to su una grande tradizione, ma è costantemente abi-tato dall’impazienza di chi sa che la sua posizione èfragile e instabile proprio perché guadagnata da poco.

Questo è il modo in cui Bari s’immagina e amaimmaginarsi. Questo in parte è ciò che essa è, maquell’immagine è solo una parte della verità, quellanella quale la città ama specchiarsi, ma quello spec-chio esagera e nasconde, perché nell’idea di una cittàmeridionale solo «per caso», moderna, dinamica,sveglia e produttiva c’è una palese esagerazione. Ba-ri è, in altri termini, sempre meglio di ciò che ne di-cono i «detrattori» ma contemporaneamente semprepeggio di quello che ne dicono gli «apologeti».

I «detrattori» sono quelli che sostengono l’im-magine di una Bari che bara, finge, imbroglia, bluffa

senza avere nessun punto nelle mani, che la sua mo-dernità è una pura rappresentazione dietro la quale sicela un potere immobile, l’eterno opportunismo filo-governativo, e la presunta capacità imprenditiva èsolo un simulacro dietro il quale si organizza la spar-tizione delle risorse pubbliche. Una città cinica e unpo’ pavida, incapace di ribellioni, con un’informazio-ne mai autonoma dal potere, che risucchia tutti (an-che gli intellettuali ovviamente e tutt’altro che in se-conda fila!) in una grande palude spartitoria che ri-duce l’opposizione ad una realtà virtuale. Il dinami-smo e la capacità imprenditoriale, l’enfasi sulla «mo-

6 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 6

dernità» sarebbero solo il codice comunicativo cheriproduce, trasfigurandole, la collusione di massa ela palude degli scambi e dei favori, un’ideologia chela crisi attuale sta smascherando.

Gli «apologeti» invece minimizzano le perdite,le lacerazioni, le difficoltà, insorgono quando l’im-magine della città viene colpita, indicano i baricentri,i ricchi retroterra, le cittadelle della scienza, le vita-lità emergenti. Questa immagine coglie – non menodi quella sostenuta dai «detrattori» – solo un aspettodella realtà perché essa esagera e nobilita oltre mi-sura un dinamismo reale.

Al fondo la verità di Bari si è sempre annidatanella singolare fusione di queste due immagini con-trastanti. Il barese ha sempre esagerato le sue qualità«moderne», ma questo esagerare non era un sempli-ce inganno, era il mentire del venditore, un dolus bo-

nus, un’autopromozione, un disdegno per l’apatia,per la rassegnazione e i suoi mille rivestimenti. Quelsuo millantare qualcosa di reale, quel chiedere tem-po e risorse per colmare lo scarto tra immagine erealtà, quell’equivoco e quell’ambiguità custodivanoin ogni caso una differenza.

Ma negli ultimi anni l’equilibrio contenuto inquello squilibrio si è rotto e la credibilità di questadifferenza è caduta: dalla venuta in primo piano epervasività della criminalità piccola e grande alla de-

Mal di Levante 7

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 7

portazione degli albanesi, al rogo del Petruzzelli, allapalese incapacità di reagire a questi colpi, si è di fron-te ad un salto e un’accelerazione, ad uno scivola-mento brusco della città verso l’immagine più dispe-rata.

Quel rogo è infatti il segno di una crisi dura, in-negabile, profonda delle classi dirigenti della città.Quel gruppo di incredibili cialtroni che decise di ap-piccare il fuoco non è che l’esito ultimo di uno sradi-camento che non riconosce più nessun sacro. Si de-cise allora che neanche il teatro-simbolo si potessesalvare dalla sistematica devastazione in nome del-l’utile e dello scambio. Ed è qui la malattia che colpi-sce alla gola la città: l’incapacità di fermare il pro-cesso di mercificazione di se stessa. Laddove nessu-no si sente più cittadino e la città stessa si riduce aduna risorsa per lo scambio e per gli affari, lì la cittàmuore.

Questa furbizia che non riesce a vedere (e quin-di a combattere) la propria stupidità, questa furbiziache continua nella vicenda della cosiddetta ricostru-zione del Teatro in cui ognuno, temendo di essereraggirato (massimo disonore per un barese), si ac-contenta di bloccare gli altri, questa spirale che si av-vita rischia di far sì che la diversità barese distruggase stessa. Qui è la crisi: fino a quando l’astuzia urta-va contro dei limiti, contro un’idea di bene comune,

8 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 8

contro un patrimonio e un’identità collettivi, essanon erodeva se stessa. Quando questi limiti non ci so-no stati più e i «luoghi comuni» sono diventati terre-no di caccia, quando gli imprenditori sono diventati,attraverso un patto sempre più angusto con il cetopolitico, la simulazione assistita (nella migliore delleipotesi) di se stessi, facendo l’apologia di un merca-to che in realtà temevano, quando, dopo le strade e igiardini, ha iniziato a sporcarsi anche il danaro, lacittà ha cominciato a dissolversi. Se, invece di mito-logizzare la modernità, l’opinione pubblica e la stam-pa avessero assolto il loro (moderno) dovere di vigi-lanza forse la città non sarebbe caduta così in basso.In quel rogo, nel suo furbo autolesionismo si manife-sta clamorosamente un virus che da molto tempoaveva indebolito la capacità dinamica della città.

La storia ben sa che non esistono solo le asce-se ma anche le decadenze delle città. Per poter fre-nare la propria decadenza Bari deve arrivare adun’autocritica profonda, capace di scardinare anti-che e rassicuranti abitudini, modificare un’identitàche oggi non sembra più capace di dar forza e vitalitàalla città.

Il problema, infatti, è che la crisi attuale rendevisibile un limite dell’identità di Bari, di qualcosa cheaccompagna la città sin dall’origine, che a lungo erastata anche una qualità e che ha cessato di esserlo.

Mal di Levante 9

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 9

Da allora la crisi, pur nascosta dietro le vetrine, di-venta sempre più irresistibile.

Un noto intellettuale, preside della Facoltà diLettere negli anni Cinquanta, ha lasciato nella me-moria di chi lo ha conosciuto un giudizio su Bari cheè difficile ignorare se si vuole ragionare con verità epassione sul carattere della città: «Bari – diceva Ma-rio Sansone – è una città senza ironia e senza malin-conia». E spiegava: «Quello che le manca è la perce-zione delle sfumature e delle tonalità intermedie».Noi aggiungeremmo che quello che le manca è il ri-conoscimento del valore di quella sfera di attività edi virtù che non hanno una destinazione immediata-mente pratica, operativa, «fattizia». Di fronte a di-scorsi che giocano con la fantasia, la cui utilità non èvisibile, il barese si annoia e si sente a disagio, oscil-la tra il sospetto e il disprezzo, lasciando alla fine su-bentrare il disinteresse. Questo limite non nasce apartire da un certo momento della storia della bare-sità ma le appartiene dall’origine, o per lo meno ap-partiene a Bari dal momento in cui essa si muove ver-so un destino più grande, distaccando le altre cittàche con essa erano in competizione (si pensi a Tra-ni). Quella impazienza, quel desiderio di «fare» com-porta, sul lato d’ombra, un certo sprezzo per la bel-lezza, per il gioco sottile, per un umorismo non sar-castico, non greve.

10 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 10

L’umorismo barese è sempre feroce e tira versoil basso, verso lo smascheramento di ciò che è finta-mente nobile e viene ricondotto alla sua natura ma-teriale. Nulla è metafisico ma tutto è fisico, il metafi-sico è un travestimento di chi vuole mostrarsi perquello che non è, di chi inventa una nobiltà che è pu-ra simulazione. Non c’è quindi spazio per i passaggi ele sfumature, per le domande senza risposta, perquella zona del cuore e della mente che apre lo spa-zio all’arte, alla letteratura, alla bellezza della rap-presentazione e della finzione.

Certo, un ruolo alla finzione viene riconosciuto,ma deve essere quello esagerato e poco inquietantedell’opera lirica, specialmente quando essa vienecommutando il suo ruolo corale e nazional-popolarenel solo guscio di uno spettacolo sociale in cui il pub-blico, con l’esibizione del proprio rango e della pro-pria «roba», diviene il protagonista di una rappre-sentazione lontana nei simboli e nei valori, decorati-va e poco capace di inquietare. A far paura è proprioquell’ironia che mette in dubbio, che sospende la le-galità del mondo reale, che non è comprensibile den-tro le maglie del quotidiano. Il principio di realtà ar-riva subito a controllare i documenti di qualsiasi so-gno e irride la sua irrealtà. È questa concretezza, que-sta passione per ciò che è crudo e senza condimenti,questa asprezza compiaciuta e «virile» in cui il bare-

Mal di Levante 11

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 11

se ama riconoscersi, a sbarrargli la vista e togliergliil respiro, a condurlo verso il disprezzo per ciò chepotrebbe salvarlo.

Questo disincanto irredimibile infatti rende de-bole e ambiguo un motivo ricorrente nell’identitàdella città: il costante richiamo a Parigi, alla clarté

della Ville lumière. Parigi e gli Statuti murattiani chesono nelle fondamenta della Bari nuova non sonocomprensibili senza la Grande Rivoluzione, senza ilsogno della ragione, della costruzione di un ordinerazionale tra gli uomini, senza il rischio che viene dalsogno, dall’urto di quest’ultimo contro gli interessicostituiti. Pensare di ospitare dentro di sé quel sognotogliendogli la radicalità, evirandolo dell’elementoutopico che lo caratterizza, rende debole e ambiguoil riferimento. Il motivo non è marginale perché è an-che su questo riferimento a Parigi che Bari pretendedi giocare la sua differenza rispetto a Napoli dove isimpatizzanti dei francesi, al crollo della RepubblicaPartenopea, furono impiccati. Volere questa diffe-renza senza albergare dentro di sé neanche un po’ delsogno francese fa sì che la propria imitazione siesponga al dileggio, mostri sempre più lo scarto.

Chi sa l’impianificabilità di Bari, la fine inglo-riosa del piano Quaroni di fronte all’assalto edilizio,chi sa la diffusa complicità intellettuale con questamodernità minore perché priva di qualsiasi coraggio,

12 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 12

può capire quanto diverso sia il peso del bene pub-blico nell’esperienza parigina e in quella barese. Ladoppiezza del riferimento a Parigi nasce sempre daquella difficoltà di sognare, dall’assenza nell’identitàdella città di una dimensione o di un insieme di di-mensioni diverse da quella del primato dell’utile pri-vato. Sia chiaro: la vocazione pragmatico-mercantileè stata la forza intorno alla quale la città ha costruitola sua ascesa, il suo uscire fuori dal mucchio, dalla ri-tualità provinciale e soporifera, dall’ossequio e dalnarcisismo di tanta classe dirigente meridionale, èuna forza che corazzando il barese con l’assenza dipudore che lo contraddistingue, lo ha gettato all’a-perto, lo ha fatto capace di sopportare l’ironia di chiera più avanti, più moderno, più ricco oppure solopiù nobile, più fermo, più preoccupato dello stile edella forma.

Spesso lo sguardo divertito e scandalizzato dicoloro che il barese vuole conquistare si è posato suquesto parvenu provinciale e grossolano ma vitale econcreto, ripetendo il vecchio disprezzo di chi è giàarrivato verso chi sgomita perché è impegnato nellafase più dura della lotta. È proprio questa mancanzadi pudore e quindi questa assenza di finezza e sensi-bilità che ha dato ai baresi la capacità di non farsi ri-succhiare nella mancanza di fiducia in se stessi, in unsenso di inferiorità paralizzante, che li ha fatti uscire

Mal di Levante 13

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 13

da quel rischio di imbalsamarsi che grava su ogniprovincia. Quella sfrontatezza è stata dunque unaqualità e una forza, ma diviene un limite quando l’a-scesa si debba accompagnare alla capacità di pro-durre le utilità di lungo periodo, le utilità collettive,quando si tratta di far riferimento ad una nozione diricchezza «larga» nella quale trovino posto la bellez-za, l’immaginazione, la passione per un’idea, il ri-schio, la capacità di perdersi per qualcosa che non sivede e non si tocca, ma che, ciò nonostante, esiste econta per gli uomini.

È probabile che nulla sia più difficile da tra-piantare a Bari della santità e dell’eroismo. Non solosembra che non esistano santi baresi (anche il pa-trono è stato rubato) ma si potrebbe immaginare cheanche Francesco d’Assisi, se invece di fermarsi alleporte della Puglia fosse arrivato a Bari, non sarebbediventato santo ma avrebbe aperto un negozio di tes-suti. La devozione dei pellegrini, che ancora oggiconvengono dalle campagne per la festa di S. Nicola,è la devozione di chi è più arretrato e il barese la ac-cetta perché essa dà prestigio e danaro alla città, lafa sentire capitale, ma è un sentimento profonda-mente distante da un senso comune abituato a ra-gionare di ciò che è tangibile, cumulabile, spendibi-le. Bari è imbottigliata nell’immanenza e scruta consufficienza tutto ciò che la trascende, ogni azzardo

14 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 14

del cuore e della mente. A Bari, quindi, vivono da esu-li non solo le mezze dimensioni ma anche quelleestreme in cui si può perdere, in cui l’utile viene so-speso perché sono in gioco le passioni e i principi(che sono nient’altro che l’utilità di lungo periodo).

Ma la stessa dinamicità mercantile, per poterdurare e rafforzarsi, ha bisogno di una sfera di rela-zioni extramercantili, del mantenimento in efficien-za delle condizioni sociali che permettono un ordi-nato svolgersi del traffico stesso. In altri termini, l’u-tile, quando viene misurato unicamente sulla solascala dell’interesse individuale e di breve periodo,non produce dinamismo ma solo la commercializza-zione e la mercificazione di tutti gli ambiti di vita, an-che di quelli la cui permanenza fuori dello scambio èuna condizione di vita del traffico stesso.

Questa tendenza generale, che contrassegna lastoria della città, supera la soglia della controllabilitàa partire dalla fine degli anni Cinquanta allorché lamassima (certo anch’essa parigina, ma post-rivolu-zionaria) di Luigi Filippo «Enrichissez-vous» diventanon solo il criterio di condotta dominante ma ancheil filo della ricostruzione edilizia della città. La tradi-zione consegnata nel centro ottocentesco viene can-cellata quasi totalmente ma senza nessuna idea del-l’interesse pubblico, senza la coordinazione di unpiano, sulla base del massimo di anarchia privata. Il

Mal di Levante 15

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 15

moderno «barese» già allora manca di due dimensio-ni essenziali: una sfera pubblica autonoma e capacedi dare criteri e respiro di lungo periodo allo svilup-po e un’autentica disponibilità al rischio. Il profitto arischio-zero attraverso la mercificazione dello spaziopubblico e la liquidazione di ogni equilibrio è la sin-tesi di questa modernità minore, più mimetica chesostanziale. Una monarchia di luglio senza rivoluzio-ne: ecco la Parigi cui Bari può aspirare a rassomi-gliare. Da allora il centro murattiano, con strade sen-za proporzione con l’altezza degli edifici, con le suemacchine che come cavallette assaltano tutto ridu-cendo i marciapiedi a piccoli sentieri da percorrerein fila indiana, è uno straordinario manuale di dise-ducazione civica, un’illustrazione fisica dei limiti del-le classi dirigenti della città, di un dinamismo gracileanche se fondato sul cemento armato.

Fino ad allora la struttura urbana della città,particolarmente in alcune zone centrali, aveva man-tenuto un equilibrio, aveva osservato una misura,contenuto in una «forma» quell’impazienza dandoledei luoghi comuni. Per la verità il cemento aveva co-minciato a festeggiare i suoi fasti durante il Venten-nio fascista, un cemento di Stato testimoniato dallafittissima rete di opere pubbliche di quegli anni. LaBari di Di Crollalanza aveva già dato inizio ad una for-tissima dipendenza dalle risorse pubbliche registran-

16 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 16

do l’avvio di un’imprenditorialità e di un’economiastimolate e assistite politicamente, e già allora il Le-vante inizia ad essere una simulazione compensativadel declino della tradizione commerciale. Ma tuttoquesto era legato ad un’idea della città come capita-le burocratica della Regione, sede di servizi e avam-posto di una grandezza imperiale che ancora oggiguarda con fiero cipiglio il mare. Il centro murattia-no rimaneva fuori di questa volontà di potenza edili-zia, rimaneva il luogo di identità e di residenza delleclassi dirigenti e non solo di esse. In altri termini iltempo del consumo aveva frenato e dato misura aquello del traffico, le classi dirigenti, forse anche per-ché il controllo sociale degli esclusi era allora più fa-cile e più duro, non avevano ancora sacrificato l’a-more per i propri luoghi all’accrescimento smisuratodella ricchezza. Alcune zone della vita, dell’abitare,dell’incontrarsi erano ancora sottratte alla legge del-la trasformazione in valore di scambio.

Fino a quando questi limiti ci sono stati, fino aquando il verbo «passeggiare» ha designato un’espe-rienza reale, la baresità ha contenuto la sua ormai de-crescente capacità propulsiva, ha trovato un ostaco-lo che paradossalmente ne esaltava i pregi. Ma daquando ha inizio lo scempio urbanistico sembra cheBari non appartenga più a nessuno e che nessuno piùappartenga a Bari. Il salto in una modernità senza ri-

Mal di Levante 17

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 17

schi, erodendo il sacro dei luoghi comuni, ha poten-ziato lo sradicamento e ha fatto dei baresi degli apo-lidi. Da quegli anni la città inizia a divorare se stessa,alimenta nei suoi cittadini un sentimento diffuso diestraneità, un chiamarsi fuori, recide in nome della«modernità» ogni canale di identificazione. Da allorala baresità è fuori controllo e ha iniziato a farsi delmale.

Certo all’inizio l’euforia, il grande trend dellosviluppo non fanno vedere i costi di quell’operazione:l’afflusso di risorse pubbliche sembra proiettare nel-l’orizzonte di un progresso infinito, dove c’è postoper tutti. E per la verità agli inizi degli anni Sessantasembra definirsi per la città un altro ruolo, più «avan-zato» come si amava dire allora, come centro di unintervento dell’industria di Stato meno monocultura-le di quello di Brindisi e Taranto, in connessione di-namica e progressiva con la vitalità preesistente. Maquella fase «alta», che accompagna l’avvio del cen-tro-sinistra e la centralità di Moro, non solo è, comesempre, molto più ambigua, dipendente e governati-va delle retoriche che l’accompagnano, ma è desti-nata a consumare rapidamente l’enfasi programma-toria per lasciar aperto il passaggio ad un ceto politi-co che, seduto sulle chiuse di questo sistema, co-struirà il reticolo del proprio potere, il suo linguaggiopaternalistico-tecnocratico che simula in modo de-

18 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 18

gradato quell’interesse generale che in realtà ha sop-presso. L’afflusso crescente di risorse permette dimantenere in vita fino all’inizio degli anni Ottanta l’i-dea della «diversità» di Bari, avanguardia meridiona-le ora dell’industria, ora del terziario avanzato. Ma di-viene sempre più visibile che questo dinamismo è piùpresente nella retorica del venditore che nella realtà,mentre la politica è ormai indistinguibile dal trafficoparticolaristico. Di questa realtà in movimento la sfe-ra pubblica e le istituzioni infatti non sono la cornicelogica, etica e giuridica, quella che dà guida e regoleal traffico privato, ma solo parte (cospicua) del bot-tino, della spartizione privatistica delle risorse. Gra-zie a queste nuove risorse élite politica ed élite eco-nomica si confondono, l’area di consenso e di omertàsi allarga e l’opposizione (quando c’è) si riduce a unconato moralistico e impotente, ad una vana eserci-tazione metafisica di fronte alla concretezza fisicadei flussi monetari, delle licenze, dei piani edilizi, delcredito facile ai potenti e ai prepotenti.

Questa recisione del sacro, questo far traffico ditutto, questo levantinismo protetto e non più tempe-rato che non ha più nulla a che fare con il Levante econ il mare, che aborrisce il rischio, questa modernitàche cresce nel cono d’ombra della protezione statalee dei favori politici, questa incapacità di pensare ingrande hanno fiaccato la città, hanno fatto sì che

Mal di Levante 19

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 19

quando inizia a venir meno la mano protettiva delloStato invece del decollo di una vitalità autonomaemergano le tare di un’imprenditorialità assistita, nonsolo totalmente dipendente dalle risorse pubbliche edai favori politici, ma spesso cresciuta grazie a milleconnivenze e complicità, con una ricchezza sempremeno limpida. Anche i fenomeni di vitalità e di dina-mismo autentici e senza piume di pavone, che ormaisi manifestano più nella provincia che nella città, quel-le forze che emergono fuori di qualsiasi protezionepubblica, non solo non riescono ad incontrare Bari,ma talvolta tendono addirittura ad evitarla.

Tutto sembra deciso. A meno che... Forse è proprio la profondità della crisi che po-

trebbe spingere verso uno scarto la storia della cittàe rimetterne in discussione i punti di fondazione. Inaltri termini, Bari non può più pensare il proprio fu-turo mantenendo intatta l’identità che l’ha condottain alto ma che oggi la spinge verso una contrazionedi corto respiro della propria vita e verso una solitu-dine che con il tempo diviene senza rimedio. Perchéanche questo oggi è da dire: Bari è sola e i baresi, conla loro immagine levantina, non sono circondati daammiratori ma da soggetti diffidenti che ne temono iraggiri, che nel termine «levante» identificano il par-ticipio presente del verbo «levare ad altri». La solitu-dine è un altro effetto perverso della furbizia miope:

20 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 20

essa è di così corto respiro da rovesciarsi nel suo op-posto.

Diventa decisivo reimmettere nell’identità quel-le dimensioni non-utili, la cui gracilità è all’originecertamente dell’ascesa ma anche della crisi dellacittà. Occorre cioè che Bari reimmetta nel suo centrola preminenza dell’interesse collettivo su quello indi-viduale, esattamente il contrario di quello che anco-ra oggi continua ad accadere con lo scempio di Pun-ta Perotti, degno documento del degrado della città.È la stessa logica che ha logorato Bari: il profitto tra-mite mercificazione dei beni pubblici, la città chemangia il proprio ambiente, si divora e si imbruttisceproprio come in una malattia. Scompare così il belloche le residua, e ci si abitua al brutto facendo eserci-zio di prosternazione ai grandi interessi, alla loromiopia e rozzezza. Questa immagine che Bari offre dise stessa è più forte di qualsiasi campagna promo-zionale a suo favore ed è capace di vanificarla in po-chi istanti.

La città avrebbe bisogno in altri termini di se-parare il suo governo da quello dei grandi interessi,di dare per una stagione il governo a chi abbia vogliae capacità di progettare e rilanciarla sul lungo perio-do, di aprire alla fantasia le sue strade, i nomi dellesue vie, di fare in modo che i luoghi dell’incontro edella rappresentazione artistica ritornino in grande

Mal di Levante 21

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 21

non solo nel cuore fisico ma in quello spirituale del-la città. Occorrerebbe rieducarsi tutti alla bellezza,ad un rispetto del meglio di ciò che si è ereditato, ten-tare di rivedere in un certo rosso e ocra dei palazzi,nell’incontro del bianco e del mare, le linee di un’e-ducazione sentimentale per le nuove generazioni, unsacro da cui ripartire.

Non si tratta di tradire la «praticità», quel sensodel «fare» di cui occorre riscoprire le forme antiche,che erano più audaci e sapevano rispettare i luoghi,ma di dare contemporaneamente ad essi uno slancioe uno sfondo, un limite capace di spingerli in una di-rezione più autenticamente imprenditoriale. Quel-l’antico senso pratico potrebbe, una volta che abbiaimparato ad attraversare il territorio della bellezza edel disinteresse e ritrovato il gusto del rischio, ritor-nare a se stesso arricchito e dare in cambio anche unsenso della concretezza al pensiero, all’arte, farli di-ventare utili alla città. Occorrerebbe trapiantare nelcuore della città un po’ di malinconia, un po’ di amo-re per le grandi battaglie del vivere civile, onorandomolto più che i maggiorenti quelli che hanno dato lavita e compromesso per la città qualcosa di essen-ziale. Occorrerebbe restituirla ad un rapporto conl’ambiente che reimmetta delicatezza e sensibilitànello stile di vita: perché il grado di civiltà della cittàinizia dai suoi giardini, dalle sue strade, dal suo traf-

22 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 22

fico, dal suo modo di amare il mare, dalla capacità diabitare nell’anima e nei comportamenti dei cittadini.

Bari deve in primo luogo uscire dalla solitudine,ricostruire amicizia e fiducia con il territorio che lacirconda, reinventare un ruolo generale, offrire ser-vizi, saper ospitare. Farsi amare non è una debolez-za, il primo indizio di un calcolo errato, ma qualcosache fa sì che qualcuno possa tornare a cercarci. Co-me si può pensare di meritare rispetto, di poter esse-re cercati, se gli unici teatri sono diventati dei tendo-ni? se il porto tradisce un vero e proprio horror ma-

ris e rassomiglia più a un cantiere edile che a un luo-go di traffico e di incontro? Come non capire che laprima convenienza economica per Bari può veniresolo dall’idea di riconquistarne la bellezza, di crear-ne di nuova, di riuscire a guardare lontano, dalla ca-pacità di farsi scegliere anche da chi non vi è nato?

Nelle vecchie classi dirigenti c’era un equilibrio(seppur precario e limitato) che portò a costruire ilPetruzzelli e che occorre ritrovare. Nei film antichi,nelle fotografie ci sono una pulizia, un senso di pu-dore e di appartenenza che non devono rimanereconfinati nei ricordi. Forse le mutilazioni crescentipossono resuscitare l’orgoglio di cui c’è bisogno e de-bellare l’individualismo rozzo e distruttivo che, dalleclassi dirigenti agli esclusi dei quartieri periferici,sembra costituire il senso comune dominante. Forse

Mal di Levante 23

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 23

esiste una soglia critica del degrado che può inne-scare una reazione salutare, far riscoprire l’attacca-mento ai luoghi sui quali qualcuno ci ha portato perla prima volta per mano quando eravamo bambini.Forse quella mano può trasmettere qualcosa e da es-sa si deve ripartire: senza questa umiltà retrospetti-va, senza questa memoria non c’è futuro. La vera for-za del cambiamento non è in un ceto o in una classema nel bisogno di vivere la città, nella capacità direinventarsi la tradizione e la misura.

E in questo impegno Bari può non essere solaperché essa paga con anticipo e con asprezza unprezzo che, anche laddove la modernità aveva avutopiù forza ed equilibrio, si è recentemente iniziato apagare. Oggi, infatti, la pervasività inevadibile dellamercificazione generalizza a tutto il pianeta l’ossi-moro feroce di opulenza privata e squallore pubblicoe la distruzione dei beni pubblici non è un fenomenolocale, ma la grammatica dominante della nostra for-ma di vita. La fragilità di Bari, l’esiguità delle sue re-sistenze le hanno fatto sperimentare con anticipol’indecenza di questo accostamento, ma questo pri-mato negativo può trasformarsi paradossalmente inuna grande occasione: salvare Bari non è un’opera-zione provinciale ma vuol dire confrontarsi con ilcuore del malessere urbano della nostra civiltà, chefa dei luoghi di tutti una terra di nessuno. Lungo que-

24 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 24

sta strada si può rompere la solitudine, si possonorintracciare percorsi, pensieri e soluzioni che altrovesi è iniziato a sperimentare.

Se vuole continuare a pensare a Parigi senza farsorridere gli altri, Bari deve fare nello stesso tempodue operazioni: vivere un momento giacobino e aprir-si ad una vocazione di confine capace di andare al dilà dei limiti dell’ideologia levantina.

Il giacobinismo cui pensiamo è sì preminenzadell’interesse pubblico, ma non un astratto esprit de

géométrie presuntuoso e intollerante, accecato dalfanatismo del moderno. Esso deve voler dire rein-trodurre il valore della cooperazione, dell’utilità ad-dizionale che si produce quando, anziché muoversil’uno contro l’altro, i membri di una comunità deci-dono di perseguire alcuni obiettivi comuni, scopronoche è possibile aver fiducia.

Contemporaneamente questo giacobinismo de-ve sapersi riconciliare con la collocazione mediter-ranea della città, riscoprire punti di armonia e di pas-saggio tra la città vecchia e quella nuova, diventarestrumento per la ricostruzione della sua anima diconfine tra l’Europa e il mare. La raison giacobinapuò non essere in contraddizione con la vocazionemediterranea: liberare le istituzioni dagli interessiprivati che le intasano, ricostruire un ethos che inco-raggia la fiducia e la cooperazione, rilanciare le im-

Mal di Levante 25

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 25

prese fuori del cono d’ombra della protezione stata-le, significa reincontrare fuori della loro simulazioneretorica il moderno e la proiezione verso l’Oriente.

In tanto parlare di Mediterraneo è diventato in-fatti vitale riscoprire il peso di questo mar di Levan-te, di un Adriatico ponte tra due parti dell’Europa,porta su quella linea di frontiera in cui l’Oriente sla-vo e ortodosso incontra l’Islam e le altre lingue deicristiani, su quei Balcani che hanno segnato e segna-no ancora così dolorosamente la storia del mondo,dove le religioni e le etnie si sono affrontate spessocon le armi. È proprio questo mare che manca al-l’appello, è proprio quella parte del Sud che si affac-cia sull’Adriatico, la Puglia, che fa fatica a parlare an-che perché non sa più attraversare il mare. Eppure ilmercante che ha sempre attraversato i confini, senzaarmi ma solo con le merci, può avere in quel mondodifficile e orgoglioso un grande ruolo di smilitarizza-zione delle appartenenze. Tutto questo non può esserfatto in solitudine ma va detto ad alta voce e si devepretendere che anche i governi nazionali imparino aguardare in quella direzione, si liberino da soggezio-ni politiche e culturali che li fanno guardare solo aNord. Come si può pensare ad un riscatto del Sud, sel’abbattimento dei suoi confini meridionali ed orien-tali non è nella testa e nella cultura dei governi? Ri-scoprire come una risorsa questa vocazione di confi-

26 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 26

Mal di Levante 27

ne e non violenta fatta di traffico di merci e di idee,di rispetto per le tradizioni altrui, di emozione per idiversi modi di pregare Dio, di affari ma anche diospitalità e curiosità: da questo lato Bari potrebbe ri-trovare la miscela tra le sue anime, ritornare utile aglialtri e quindi anche a se stessa.

La posizione di confine comporta rischi moltograndi, in primo luogo quello di non essere né l’uno nél’altro, di essere periferia di entrambi i mondi che sivogliono congiungere. Rovesciare in convenienzaquesta collocazione significa coniugare le due animeal loro livello più alto: non una modernità di quartamano che incontra un Oriente di livello ancora infe-riore, ma una modernità esplorata ai suoi vertici e aisuoi limiti, capace di tematizzare i propri confini e cheincontra l’Oriente non come fuga ma come un altro datornare ad interrogare, come dimensione interna allasua ricerca. Tra le tante Francie di cui ci si è adornatioccorrerebbe riscoprire quella di cui parlava Nietz-sche e che fa dei Francesi «una sintesi, in parte riu-scita, del nord e del sud», e permette ad «essi che san-no amare nel nord il sud e nel sud il nord» di averecomprensione «per i mediterranei di nascita, per i‘‘buoni Europei’’». Perché questa capacità di varcare iconfini la si deve lasciare ai contrabbandieri?

Bari città europea, ma anche capitale dell’in-contro tra le religioni, sede di un’università autenti-

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 27

camente mediterranea, capace di capire che essereponte non vuol dire colonizzare, ma organizzare in-contri alla pari in cui si insegna e si impara, che cer-ca la fusione tra valorizzazione turistica e tutela del-l’ambiente, l’equilibrio tra affari privati e pubblichevirtù. Una baresità dall’orizzonte più largo, un sensopratico che ritrova se stesso dopo aver viaggiato, chediviene più sicuro di sé perché ha riscoperto il ri-schio della traversata. Bari che trasforma il suo ma-lessere in un privilegio, perché capisce che deve met-tersi a lavorare sul confine tra la ragione e il suo al-tro, che intreccia lumi e mistero, imprese e preghie-re, negozi e racconti, traffico e fantasia, una città chenon c’è, ma potrebbe esserci se...

Siamo partiti da una riflessione sul modo in cuia Bari si incontrano terra e mare, sul carattere anchetroppo spoglio di quell’incontro. Far ripartire Bari sa-rebbe come inserire l’inutile complicazione di unamontagna in quel panorama. A loro modo le catte-drali romaniche sono state una complicazione,un’improvvisa irruzione di verticalità in un mondoacquietato nelle sue dimensioni orizzontali, hannofatto impennare quella semplicità gettandola in altreprospettive. Al granito bianco delle caserme cheguardano aggressivamente il mare dal lungomareNazario Sauro occorre sostituire luoghi dell’incon-tro, un’università che, guardando ogni giorno il ma-

28 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 28

Mal di Levante 29

re, ritrovi in esso un orizzonte delle sue ricerche, illuogo dell’identità e della ricchezza. Avere ogni gior-no di fronte questa parete azzurra avrebbe lo stessosignificato verticale di una montagna, significhereb-be ricordare ogni giorno, come in una preghiera, chela collocazione di confine può rovesciarsi nell’utilitàpiù grande, quella che rende preziosa una città agli al-tri e alle generazioni future.

Di fronte a queste dimensioni la volpe barese haquasi sempre preferito dire che si trattava di uvaacerba. A quella volpe occorrerebbe trasmettere lavoglia di provare a saltare, il gusto di ciò che le man-ca e il desiderio infinito di assaggiare l’uva. Oppure,più realisticamente, le si potrebbe far capire che unavolpe veramente furba non può andare in giro dicen-do bugie così grossolane senza pregiudicare la suafama.

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 29

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 30

Il cortile

La mia infanzia è in primo luogo un cortile, un bruli-

care di voci e di grida di ragazzi e la sera, special-

mente d’estate, un luogo dal quale era possibile stan-

do al sicuro alzare il capo e guardare le stelle.

Ricordo una lunga chiacchierata con un amico

una sera in cui accumulavamo giri parlando di tutto,

passando liberi da un argomento all’altro e il punto

di partenza di quella eccitazione leggera era stata la

scoperta del cielo, una piccola rivelazione, una feli-

cità e una paura fuse dalla sensazione di essere in vo-

lo nello spazio. Scoperta che era possibile fare anche

sul terrazzo, sul quale in teoria era proibito andare,

ma c’erano sempre amici più grandi che consentiva-

no il passaggio. Dal terrazzo si vedeva il mondo ester-

no come dalle mura di un forte, di fronte la ferrovia

(il nostro era un palazzo di ferrovieri), il sottopas-

saggio (dove una volta vidi un cavallo frustato a san-

gue perché scivolava e non riusciva a tirar su il cari-

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 31

co), il cinema e più in là l’inizio di un insediamentopiù rado, alcune ville, una traccia della campagna.Dal terrazzo si potevano fare scherzi gettando qual-cosa di sotto e poi giù, dietro il parapetto, in silenziocon il cuore che ci pulsava in gola e nelle orecchieper la paura e le risate.

Il cortile era il regno dei maschi: poche erano lebambine e poco propense alla promiscuità, control-late dalla famiglia oppure già domate dentro da subi-to. Talvolta si affacciavano a guardarci giocare e il lo-ro sguardo, di cui eravamo consapevoli, oscillava trainvidia e ripulsa dei nostri modi.

Dei due palazzi dei ferrovieri che, costruiti du-rante il fascismo, ancora oggi si allineano di fronte al-la ferrovia il nostro era quello degli impiegati e deifunzionari e da noi c’era maggior controllo sociale:invidiavamo quelli dell’altro palazzo perché poteva-no giocare a pallone anche nelle prime ore del po-meriggio e perché le ragazze lì erano meno segrega-te; ci colpiva la loro maggior disinvoltura, era comese fossero già adulti mentre noi, forse perché natidentro a desideri di mobilità sociale, ci sentivamo unpo’ sospesi, in continuo apprendimento, percepiva-mo una maggiore distanza tra il presente e il futuro,eravamo più ingenui e destinati a un’infanzia e un’a-dolescenza più lunga.

In quel cortile, quindi, circolavano quasi soltan-

32 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 32

to maschi di più età, da noi che eravamo sotto i diecianni fino a quelli che avevano superato i venti e chetalvolta già lavoravano. Da questa comunità separa-va soltanto il matrimonio e l’addio al celibato era sen-tito molto dai più grandi, da quelli che si ricordavanola guerra e l’occupazione alleata e che avevano millestorie da raccontare contendendosi o avvicendando-si nella fascinazione dei più piccoli.

Due erano le mitologie che attraversavamo e ciattraversavano: l’epopea western e lo sport. Il cine-ma di fronte era il cinema del dopolavoro ferroviarioe quindi una specie di prolungamento del cortile nelquale imparavamo a coesistere con altri. I film veni-vano seguiti con grande partecipazione collettiva edera normale vederli più volte: il momento della gran-de sfida finale e della sua felice risoluzione venivanotalvolta seguiti soltanto in piedi sulle sedie e con bat-timani liberatori. Uscivamo dal cinema cavalcando ebattendoci il fianco come se fosse un cavallo da spro-nare; era un tipo di corsa che richiedeva un incederespeciale, un accompagnamento di suoni con la boc-ca che era quasi sempre l’imitazione dell’accompa-gnamento musicale, diverso nei momenti di fuga e inquelli di rischio e via così. Si sostava un attimo difronte al fiume-strada che ci separava dal palazzo-fortino e poi si guardava con circospezione, con l’oc-chio vigile nei riguardi dei pochi indiani (automobili,

Il cortile 33

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 33

biciclette, carri) che si vedevano all’orizzonte. Anchea casa l’epopea continuava a cavallo di una sedia eimprovvisamente per noi la cucina diventava unapianura che esploravamo dall’alto, bivaccando per lanotte sotto il tavolo ma sempre con la pistola a tam-buro vicina alla mano perché l’agguato era sempre inagguato.

Più di una volta mi è capitato di riflettere dagrande sull’imperiosità con cui certi paesaggi, certemontagne dell’ovest americano sono entrati nellamia cucina e nel mio cortile: la Monument Valley èentrata in chissà quanti di noi, che tante volte sonomorti o sopravvissuti agli attacchi degli indiani pocolontano da quelle rocce. Tra gli eroi dei fumetti ci sidivideva, e il mio preferito era un eroe senza pistolee armato del solo lazo con dei pantaloni rossi e dellestrisce gialle. Ricordo ancora la delusione quandoriuscii a ottenere che per carnevale mi facessero ilcostume di Pecos Bill: le strisce dei miei pantaloninon erano sempre tese e sventolanti come quelle delmio eroe, ma cadevano inesorabilmente giù. Perquanto cercassi, correndo, di farle garrire esse ri-spettavano la legge di gravità, che invece nel giorna-lino era sospesa non solo nel caso delle strisce deipantaloni.

Il vivere dentro questa epopea era per noi unrapporto limpido e codificato con la violenza, con le

34 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 34

armi: gli eroi del western erano solo positivi e se c’e-rano sfumature noi non le percepivamo. I buoni era-no facilmente riconoscibili (anche per il colore dellapelle: i visi pallidi) così come i cattivi (sempre con labarba lunga e con un ghigno), che ricevevano segnidi disapprovazione rumorosa alla prima comparsasullo schermo. Tutt’al più tra di noi c’erano tensionee incertezza nelle occasioni nelle quali occorreva de-cidere chi dovesse comandare, ma ben presto si ac-cettò che il criterio fosse quello dell’età che del restocoincideva quasi sempre con quello della forza fisica.

La violenza, quella clamorosa ed evidente, inquell’universo arrivava fondamentalmente dall’ester-no. Mi ricordo una volta, sempre nel cortile, unoscontro tra due uomini che aspettavano la stessa ra-gazza che lavorava come donna di servizio per unadelle famiglie del palazzo; alla fine uno di essi scappòdopo aver colpito al capo con un tufo l’altro che cad-de svenuto e sanguinante. Un’altra volta una donna,al giardinetto dove mia madre mi portava all’uscita discuola, probabilmente una prostituta (ma quel nomeo il suo corrispondente più usuale non mi fu alloramai fatto), ferì con un pettine un uomo che vidi stra-mazzare a terra con il volto insanguinato propriomentre facevo una delle mie quotidiane battute incerca di indiani o fuorilegge.

La violenza vera, in proporzione infinitamente

Il cortile 35

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 35

inferiore a quella che il western mi aveva inserito nel-l’immaginario, mi si affacciò di fronte con i suoi co-lori, con la sua incomprensibilità, con la sua diffi-coltà di codificazione, con la sua enorme spropor-zione rispetto a qualsiasi connessione di senso capa-ce di giustificarla.

Al confine nordoccidentale dei palazzi dei ferro-vieri iniziava un quartiere popolare povero con i «sot-tani», delle abitazioni al livello della strada, e propriosulla via che conduceva al mercato c’erano anche lecase di alcune prostitute e protettori, un guado mala-vitoso che capitava a tutti di dover attraversare. Eraper noi il regno dei «ragazzacci», i nostri indiani, checamminavano scalzi, vivevano per strada e non inquello spazio protetto che è un cortile, che erano ris-sosi e violenti e grandi tiratori di pietre. Di fronte allaloro durezza ci svegliavamo dai nostri sogni di pro-dezze, anche se qualche volta ci siamo arrischiati incontroffensive disperate vivendo poi a lungo di que-ste imprese e dilatandole nella nostra fantasia, cosìcome ci accadde di fare quando per la prima volta bat-temmo quelli dell’altro palazzo a pallone. Ma spesso i«ragazzacci» li spiavamo da lontano con un senti-mento misto di ribrezzo e di invidia per il loro corag-gio; soprattutto mi colpiva che essi vivessero la lorocondizione che io sapevo «terribile» senza nessunamortificazione, anzi con orgoglio e spavalderia.

36 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 36

Poi, proprio come è successo agli indiani, quel-la strada è cambiata e loro sono andati altrove, piùlontani, mentre sulla via si affacciavano visi «pallidi»e piccolo-borghesi, più simili ai nostri. Ma poco piùin là era possibile scorgere ancora i loro villaggi, i lo-ro accampamenti e i loro bivacchi. Poche ore di ca-valcata e li si poteva ancora vedere e, man mano chesi diventava più grandi e sicuri, si poteva attraversa-re il loro territorio, fermarsi in alcuni negozi della zo-na e scambiare con alcuni di loro qualche parola indialetto. Talvolta nasceva improvvisa anche una par-tita a palla, quasi sempre una palla di pezza per fe-steggiare una pace sempre incerta e malferma.

Il calcio era il grande metalinguaggio dei ma-schi, anche di gruppi sociali diversi, e a maggior ra-gione era l’altra grande mitologia collettiva. Trannela mattina quando si era a scuola tutte le ore di lucein cui non giocavamo a pallone ci sembravano ruba-te da qualche perverso tiranno; e quando finalmentepotevamo straripare in cortile erano interminabilipartite, lunghe sudate, dispute infinite per deciderese la palla fosse entrata o meno in porte che ovvia-mente non c’erano ed ognuno immaginava a suo mo-do, recuperi avventurosi di palle finite al di là dei mu-ri, fughe ai rumori di vetri rotti e poi ad uno ad uno siricompariva come gli indiani dei film.

Combattemmo anche noi una lunga guerra da

Il cortile 37

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 37

indiani contro la trasformazione di quel cortile ingarage: ci costruirono dei box per le macchine,un’aiuola con qualcosa che era una futura palma enoi distruggemmo l’aiuola e continuammo a giocare,ma fummo l’ultima generazione perché adesso quan-do passo da quel cortile (è poco lontano dall’univer-sità) ci sono soltanto le automobili, ed il resto è si-lenzio. Le ultime volte ho addirittura trovato chiusisia il cancello che il portone: anche quel cortile si èbarricato nel silenzio, nella paura e nella solitudine.

Rispetto ad oggi c’erano poche immagini, quel-le fisse delle fotografie e quelle di cinegiornali affret-tati, ma erano continuamente ripercorse con la fan-tasia e tanti racconti di testimoni, tante parole. Men-tre infuriava la partita da un balcone arrivavano no-tizie del giro d’Italia e allora le montagne delle gran-di scalate si mescolavano alle azioni della partita.

Quando fummo un po’ più grandi per giocare co-minciammo ad uscire dal cortile, guadavamo la ferro-via e trecento metri al di là dei binari c’erano tanticampi di calcio in una zona non ancora edificata, cam-pi di cui uno soltanto, quello con le porte, recava il se-gno dell’intervento di una tecnologia minima mentregli altri, tra loro molto disuguali, erano stati modella-ti dal lavorio di mille partite, spianati come da ere geo-logiche da calciatori di tutte le età e classi sociali. Ilrango del campo su cui si poteva giocare, quando c’e-

38 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 38

ra pienone, era deciso dai rapporti di forza e ricordopartite iniziate su un campo e finite su un altro così co-me la prima conquista del campo principale, quellodove c’erano talvolta il triciclo dei gelati, la vaschettacon le gassose e qualche spettatore con l’aria di chi sene intende e nei cui occhi ci si specchiava dopo unaprodezza o un errore clamoroso.

L’età che cresceva la si poteva misurare propriodalla sicurezza con cui ci avventuravamo su questa«terra di nessuno», dalla prossimità del nostro cam-po a quello principale. In queste partite era facile chemi capitasse di essere il capitano della squadra siaper l’incurabile malattia del prendere sul serio le epo-pee collettive, sia perché ero il più grosso e il più for-te e questo mi permetteva di difendere con discretosuccesso nei momenti più critici le sorti della squa-dra. Posseggo ancora una fotografia nella quale sonol’unico delle due squadre schierate a centrocampo anon guardare la macchina fotografica e a stare lì im-pettito così come avevo visto fare ai giocatori veridurante l’inno nazionale. Tutto lì (anche se si tratta-va di una grande sfida con molto pubblico) è di for-tuna, dal campo all’arbitro, alle divise, alla fotografiache è pessima, solo io sembro non accorgermene eprendere la cosa sul serio.

Si stava dunque molto insieme, ci si stava ad-dosso, si litigava, si cambiavano alleanze, ma mai

Il cortile 39

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 39

troppo a lungo perché i rimescolamenti erano conti-nui e non si dipendeva mai strettamente da uno sol-tanto, anche se poi il tempo e la scuola hanno inizia-to ben presto a diversificare le persone, a tracciarediversi destini e diverse traiettorie di uscita da quelcortile. Ma quello che ricordo è qualcosa che tra-scende queste differenze, è un’incredibile coralità, ilgran numero delle cose fatte insieme, dalle corse coni tappi alle spedizioni sull’estramurale per vedere lemotociclette della Milano-Taranto, alle prime misu-razioni della virilità, questa forse l’ultima delle cosefatte insieme e la prima di un’altra fase della vita, l’i-nizio di un’altra partita, giocata con altre squadre maanche e soprattutto da soli.

Al quarto piano di una delle tre scale di quel pa-lazzo c’era la casa nella quale ho abitato dall’età didieci mesi fino a sedici anni; quattro stanze più la cu-cina, esposta sull’interno a mezzanotte (il lato delmare) e sull’esterno a mezzogiorno. Ricordo il bal-cone della camera da pranzo inondato di sole e la vi-sta e gli odori della ferrovia, di treni ancora a carbo-ne e bianchi di fumo, era come se avessi dentro casauno splendido trenino «vero», i mille barbagli deicocci sui selciati e dei vetri delle carrozze. Su quelbalcone quando si «rifacevano» i materassi venivaesposta la lana nella quale era bello tuffarsi; una vol-ta, forse attirata da questa novità entrò nella camera

40 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 40

in fondo una cavalletta e ricordo la soddisfazionequando, vinto il ribrezzo – non ne avevo mai vista unaprima – riuscii a farla volar via con il battipanni.

Quando, dopo alcuni anni, quella diventò la miastanza ricordo quel bellissimo gioco che consistevanel guardare sul soffitto le macchine passare attra-verso il riflesso del sole sulla carrozzeria o sui vetri;da quel balcone vidi l’incendio di un mulino al di làdella ferrovia (come era lungo un incendio e comeera difficile spegnerlo!), da lì le sere d’estate si pote-va vedere il terrazzo del dopolavoro sul quale si bal-lava al suono di un’orchestrina, da quel balcone e daisuoi grandi spazi ho imparato a riconoscere la lucechiara e perpendicolare di mezzogiorno, da quel bal-cone chissà quante volte al buio mi sono chiesto chisarei diventato, che cosa mi aspettava e adesso chescrivo trovo incommensurabile quello che sono e lasospensione trepida che c’era in quelle domande,quel mistero che ero allora a me stesso.

Il balcone centrale era il balcone di quella che èstata a lungo la sala da pranzo, in cui si mangiava ladomenica o quando c’erano ospiti: una volta venne apranzo un signore che recitava a teatro e aveva fattoqualche parte in alcuni film ed io ricordo la sua faccialiscia, rosea ed un po’ floscia e la tovaglia e le posatebuone e mia nonna (era stata anche lei primattricenella filodrammatica del dopolavoro) lusingata ed

Il cortile 41

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 41

in punta di piedi. In camera da pranzo o in cucinasi ascoltava la radio: musica, varietà, giornali radio,carillon e fischi che scandivano le ore, ma anche al-cuni momenti di grande partecipazione emotiva comel’alluvione del Polesine, il crollo di Dien-bien-phu, larivoluzione ungherese. Lontano, da qualche parte,c’erano guerre come quella appena finita e dentro laquale ero nato, ma i protagonisti non erano gli stessidei racconti di mio padre (prigioniero in Jugoslavia)e di mio zio (prigioniero in India), ma un’immensaondata che sembrava espandersi irresistibilmente nelmondo, un comunismo dagli occhi allungati, un’uma-nità del nord e dell’est da noi molto lontana, senza sen-timenti e senza pietà. Queste notizie e queste paurearrivavano su un nucleo familiare (i nonni, i miei, glizii) solidamente di destra, sabaudo sicuramente nelletre donne che governavano la casa, più irrequieto ne-gli uomini, specialmente mio padre. Ricordo le ele-zioni (credo del ’48) con i manifesti dappertutto, an-che sui muri delle chiese, soprattutto i manifesti constella e corona a cui andavano le preferenze dei mieie che io contavo passeggiando con loro per capire se«stavamo vincendo».

La figura centrale di questo nucleo familiare al-largato era mia nonna, e io primo nipote (mio cuginoarrivò dopo tre anni e mezzo e mio fratello dopo ot-to) ero il suo beniamino, il destinatario principale

42 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 42

delle sue cure e della sua educazione sentimentale.Mia nonna era nata a Roma, ma aveva vissuto e si erasposata ad Ancona dove erano nate mia madre e miazia; quando mio nonno, funzionario delle ferrovie, futrasferito a Bari la famiglia lo seguì e lì le due figlie sisposarono. Solo durante l’ultima parte della guerrasfollarono vicino ad Ancona in un posto bellissimo eallora selvaggio dove sono nato. In primo luogo mi fuinsegnato che non ero barese: quasi tutti i ricordi piùbelli di mia madre, mia zia e dei nonni erano di An-cona e io ho imparato ad amare una città e personeche conoscevo pochissimo.

Il primo viaggio ad Ancona fu emozionante. Misvegliai all’alba sul treno e assistetti incantato allospettacolo della levata del sole dal mare e poi final-mente l’arrivo: c’erano i parenti tanto raccontati, c’e-rano ancora dei palazzi distrutti dai bombardamenti,c’era quella strana cosa che sono le colline, le stradein salita e tortuose che disorientano chi conosce sol-tanto la geometria ortogonale di Bari. Con i suoi pa-norami piatti e squadrati, in cui le colline erano e so-no i palazzi, Bari mi sembrava la regola e Ancona l’ec-cezione; avrei appreso più tardi che forse era vero ilcontrario. In ogni caso questa rivendicazione dell’an-conetanità era per i miei una rivendicazione di diver-sità e di distinzione, quasi come un vantare dei nata-li nobili, forse un radicamento più antico e consoli-

Il cortile 43

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 43

dato nella piccola borghesia dei funzionari statali,un’identificazione molto maggiore (e poco meridio-nale) in una cultura post-unitaria, nei suoi miti e neisuoi riti.

Successivamente la posizione dominante dimio nonno venne messa in crisi dall’arrivo degli in-gegneri, più giovani e di grado più elevato, ma ricor-do che nella trama della distinzione che si veniva acucire tra le famiglie attraverso gli inviti a casa, le ce-ne e il gioco a carte, la casa dei nonni fu a lungo la ca-sa principale, la più aperta a tutti. In quella casa sileggeva molto, tutti leggevano molto: non mancavamai il quotidiano, ma anche «Oggi», la «Domenicadel Corriere» e la «Tribuna illustrata», riviste femmi-nili, i miei giornalini; c’erano tanti libri, da Cronin aKörmendi, da Zweig a Brontë, da Dickens a Zola eben presto anch’io ebbi la mia biblioteca personale,appresi la magia del leggere. È forse proprio qui, nelgrande peso dato ai significati e al senso che mi paredi poter dire che ci fosse la maggiore «diversità»:l’impressione che avevo era che per gli altri le cosefossero più semplici e lineari, che tutto ciò che eralontano nel tempo e nello spazio fosse realmente lon-tano, interessasse poco e non potesse riguardarci piùdi tanto. Anche laddove c’erano libri, nelle case degliingegneri, essi erano di meno ma soprattutto menoimportanti, diversi, più orientati verso saperi pratici,

44 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 44

manuali, strumenti di lavoro e non tramiti di signifi-cati.

All’interno di quest’enfasi sottile e pervasiva, incui gli eroi per quanto lontani (non dormivano mai,non andavano mai in bagno) erano sempre lì a misu-rarci, si è compiuta la mia educazione sentimentale.Primo nipote al centro dell’attenzione di tre donne(mio padre tornò dalla prigionia quando avevo tre an-ni e mezzo e quasi contemporaneamente alla nascitadi mio cugino) credo che il mio inizio di vita sia sta-to accompagnato da molta attenzione, enfasi e puntiesclamativi. Sin dall’inizio sono stato immesso inquesto circuito di privilegi e obblighi interiorizzatiche veniva da una famiglia radicata in una culturaumbertina, in cui molto più importanti del denaroerano altri codici. Quando tornò dalla prigionia miopadre (che fino allora era stato una fotografia di fron-te alla quale dicevo le preghiere della sera) e nacquemio cugino credo di essermi trovato di fronte alla ne-cessità di impegnarmi con tutte le mie forze per con-tinuare a ricevere in forme nuove e più adulte quellegratificazioni che fino ad allora mi erano arrivate alfondo con poco lavoro.

Mio padre dovette riconquistarsi spazio con de-cisione e ai miei danni (ricordo soprattutto la sua for-za: alla stazione, quando me lo avevano indicato e miavevano detto di corrergli incontro, mi aveva solle-

Il cortile 45

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 45

vato come una piuma, come nessuno fino ad alloraera stato capace di fare; ma anche i primi ceffoni do-lorosi e pesanti) e mia nonna mi accolse spesso lamattina nel suo letto dove mi leggeva libri, dal Cuo-

re di De Amicis al Giornalino di Giamburrasca. Imparai a leggere e a scrivere molto presto e la

scuola non fu mai un problema (anche se non inse-gnava mia madre era diplomata come maestra), mal’«andar bene» a scuola mi consentiva di conservarein altra forma l’attenzione e la centralità dei miei pri-mi anni.

Il mio peso e il mio super-io crebbero probabil-mente insieme, inseparabili compagni di giochi dellemie angosce, dei miei segreti, dei miei smarrimenti edei miei ritrovamenti. Fuori di quei modelli abitavauna parte di me, specialmente quella parte che eracollegata alle fantasie sessuali, per le quali in quel ti-po di educazione non c’era parola: quante scoperte,quante paure sono avvenute nel buio senza parola,con l’idea di essere il primo e l’unico nella scoperta enel peccato, quante salive inghiottite di colpo, quan-ti sguardi come pietre lanciate nascondendo la ma-no, quante domande inevase, quanti silenzi e quantereticenze da parte loro e mia, eppure, anche e accan-to a ciò, quanti altri mondi conosciuti, quante storieascoltate e poi raccontate, quante figure entrate intutte le mie stanze come amici, quanti prahos sull’o-

46 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 46

ceano indiano, quanti castelli inglesi, quanti galeoniaccerchiati, quanti cavalieri misteriosi sono entratida quelle porte e da quelle finestre! Come si intrec-ciano reticenze e fantasia, esclusioni e messe al ban-do di sé e l’arrivo sudato sulla collina sulla quale siconoscono i propri eroi? Che cosa si blocca e che co-sa si libera allorché scatta un’inibizione? Quali bam-bini non sono stato?

Quelle domande trovavano risposte monche eparziali nelle uguali domande di coetanei, nelle de-scrizioni dei ragazzi più grandi, molti dei quali ave-vano (o dicevano) costruita la loro esperienza nellecase d’appuntamento. I loro racconti erano spessosommari ed imprecisi e probabilmente molti millan-tavano un’esperienza che non avevano. Sia l’anato-mia dell’altro sesso, sia l’atto sessuale sono stati alungo solo il risultato impreciso di una somma di de-scrizioni, in alcuni casi descrizioni di descrizioni. Ledonne, le coetanee o quelle appena più grandi erano,tranne eccezioni, lontane e seguite con gli sguardi.L’uscire da questa lontananza è stato il lungo ap-prendistato dell’adolescenza, la complicata costru-zione di una lingua nella quale sentissi rappresenta-to me stesso, al di là dei silenzi e dei gerghi di una vi-rilità postribolare.

Mia nonna che nella relativa immobilità (eramolto grassa e non camminava bene) era il centro

Il cortile 47

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 47

della casa, se n’è andata via quando avevo dodici an-ni, con la mia infanzia. Già prima della sua morteperò in quel micro-sistema sociale era avvenuto uncambiamento perché gli zii e mio cugino erano an-dati ad abitare per conto loro. Nell’ennesimo sposta-mento (quello di cambiare stanza era uno dei giochipreferiti da mia madre) si creò uno spazio per me, omeglio un compromesso tra una mia stanza autono-ma e lo studio di mio padre, dove troneggiava unanuova scrivania e sul muro il diploma di laurea di miopadre conseguito presso la regia università di Bari«Benito Mussolini». Su quella scrivania ricordo dellecustodie di cartoncino rosa per le «pratiche» (miopadre era impiegato all’intendenza di finanza) e unlume costantemente sbilanciato che bastava un non-nulla (ma i miei movimenti erano molto di più di unnonnulla) per fare cadere sul cristallo del ripiano del-la scrivania.

In quella stanza c’era anche il mio letto (final-mente i miei potevano dormire da soli) che nei primimesi prima di addormentarmi circondavo di sedie, disegnali acustici e di protezioni contro gli abitanti not-turni delle mie paure. Attorno al letto c’erano i libri,sotto di esso le collezioni di giornalini religiosamen-te riposte in ordine all’interno di scatole di cartone, isoldatini, i ciclisti di plastica che si trovavano all’in-terno delle prime scatole di detersivo, tappi, figurine,

48 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 48

aeroplani ritagliati di cartone, palline di vetro, di cre-ta e palle di gomma di tutte le dimensioni, e poi unpallone di cuoio di seconda mano che diventava ilprotagonista di forsennate partite appena eravamosoli a casa, il terrore di tutti i vetri, le bottiglie e i lu-mi di casa. In quella stanza stavo a lungo da solo eleggevo tutto il leggibile. La sera mentre i miei ascol-tavano la radio e giocavano a carte (a canasta, un gio-co dove c’erano le pinelle e si poteva gelare il pozzo)io mi mettevo sul letto e leggevo, talvolta chiedendoconforto come quando alla fine dei Ragazzi della via

Pal muore Nemecsek.L’arrivo di mio padre, è inutile nasconderlo, mi

aveva reso più difficile la vita, ma significava anchequalcuno su cui e con cui misurarsi. E non fu facile,anche perché il modo più efficace per farmi «filaredritto» (come lui diceva) lo avevano già trovato mianonna e mia madre entrando nelle mie profondità egli schiaffi aggiungevano dolore fisico e rabbia quan-do non sembravano giusti. Mio padre era più impul-sivo e pesava di più, ma solo (così mi è a lungo sem-brato) negli strati superficiali e meno a lungo: lui am-ministrava la pena, mia madre e mia nonna mi ave-vano insegnato la colpa.

L’occhio mi seguiva sempre e non c’era portache potesse coprirmi: forse solo il buio che rende me-no visibili, ma il buio era anche il regno delle ombre

Il cortile 49

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 49

e delle paure, c’erano buoni motivi per fuggirlo. Misono sempre visto con quest’occhio non mio e pro-prio lì stanno, inseparabili come in una medaglia,pregi e difetti, luci ed ombre, diritto e rovescio. Maquesta severità in mia madre era attenuata da un’in-fanzia felice, dall’idea lì appresa che le storie debbo-no finire bene anche se non sembra, che i costi ver-ranno ricompensati, che dalla paura e dalla rabbia sitorna sempre e al compito spetta un premio fatto dapoche parole ma soprattutto da un tintinnìo di risateche rimbalzava dalla sua infanzia nella mia.

Di qui quel tessuto simbolico fittissimo e senzasmagliature e diserzioni (che invece mia zia, più lai-ca e più propensa a vedere l’esistenza dei cattivi sen-timenti propri e altrui, conosceva) entro il quale in-serire tutti i gesti quotidiani, questa àncora e questaprigione, di qui il desiderio di provarsi e quello di tor-nare, il piacere di perdersi e quello di ritrovarsi, di quila passione per le storie. Quello sfondo di straordi-naria allegria ridava senso alla serietà e al sacrificioche tante volte mi capitava di scorgere su quel volto.Forse lì ho imparato che con tutti bisogna semprecercare il punto in cui, anche per un attimo, sono sta-ti felici per incominciare a parlare. E che piacere, an-che per mio padre, quando lei si scioglieva e tornavaa quell’allegria che le aveva conosciuta, e che c’è an-cora tutta in quelle fotografie insieme sul terrazzo.

50 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 50

Rispetto a questo senso del dovere e al suo potere si-lenzioso mio padre rappresentava per me la forza fi-sica e la durezza (dei tre adulti maschi era quello piùtemuto anche da mio cugino). Solo più tardi avrei co-nosciuto tenerezza per lui e solo dopo la sua scom-parsa sarei stato capace di scoprire a che profonditàmi aveva abitato.

La sua famiglia era a me più estranea e ogni do-menica andavo con lui a trovarla. Mio nonno pater-no, professore negli anni Venti e Trenta nel ginnasiocittadino, era morto lasciando quattro figli e la mo-glie in grandi difficoltà. Questo evento e l’improvvisodeclassamento avevano segnato profondamente lafamiglia di mio padre e talvolta quando andavo da lo-ro mi sembrava che il lutto continuasse ancora, chenessuna esperienza successiva a quella scomparsapotesse aver valore agli occhi di chi guardava sol-tanto all’indietro. Con molti rimproveri mio padre ela secondogenita si erano staccati da quella decoro-sa tristezza aumentandola.

Io ero il primo nipote maschio e con lo stessonome del nonno scomparso ma vivevo in un’altra ca-sa e con altri lari e la nonna e gli zii paterni cercava-no di farmi conoscere anche la loro religione, le lororadici rimproverando a mio padre di non farlo a suf-ficienza. L’effetto era talvolta controproducente an-che perché questo nonno, alla cui venerazione mi in-

Il cortile 51

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 51

vitavano, lo potevo conoscere soltanto attraverso fo-tografie in cui era in compagnia di suoi colleghi eamici (altolocati o famosi) e mai come padre di miopadre, mai in compagnia della sua famiglia alla qua-le mi sembrava fosse arrivato solo distrattamente ein tarda età. Tutto ciò mi faceva sembrare quella ve-nerazione eccessiva anche se confusamente potevointuire quale potesse essere stato l’orgoglio di quellafamiglia in un periodo in cui il nonno aveva comesuoi allievi i figli delle maggiori famiglie della città.Di quella casa ricordo, oltre l’odore acutissimo diragù che si incontrava nel portone, anche quel pesofortissimo e per me quasi soffocante del passato,quel mio retrocedere sempre a metafora di altro, que-gli sguardi mai diretti, ma che mi arrivavano semprealla luce di qualche altra cosa, che mi toccavano sem-pre di rimbalzo.

Con il passare del tempo avrei capito meglio edi più mio padre e la sua famiglia, sarei stato capacedi guardare con emozione e curiosità le foto che al-lora mi venivano mostrate e mi annoiavano, ma sonocose avvenute fuori dell’infanzia, quando le si so-pravvive e la si storicizza. Quante le cose che si capi-scono dopo! Ma soprattutto quanta parte del mondoal di là del cortile ci viene nascosta per poi rivelarsiattraverso estemporanee e dolorose scoperte! La miainfanzia fu protetta da quel cortile e da tutti gli altri

52 Mal di Levante

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 52

Il cortile 53

cortili che avvolgono in genere un bambino, dalle re-ticenze, dal modo in cui si sottrae al suo sguardo ilproprio dolore o il peggio di sé e degli altri. Da que-sto punto di vista la mia famiglia, con il suo «perbe-nismo sentimentale», mi ha molto protetto e ancoraoggi non finisco mai di apprendere quanto diversa siala vita «vera» da quella consegnata nelle immagini ame proposte allora. Eppure intrecciata a quella so-spensione e «cecità» c’è ancora oggi, come il riflessodi quell’infanzia, l’idea che non è assurdo sperare chesia possibile diventare grandi senza tradire, misurar-si con tutta la complessità e la durezza della vita sen-za gettar via come ingenuità la delicatezza e il tin-tinnìo delle risate. È proprio questo tintinnìo che spe-ro di essere riuscito a trasmettere a mio figlio, perchétutto il resto gli è secondo. Anche se, ricordando chel’infanzia è per definizione l’età in cui non si può par-lare, mi viene da pensare che, parlandone, l’ho perl’ennesima volta tradita.

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 53

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 54

Indice

Premessa VII

Mal di Levante 3

Il cortile 31

Cassano.qxp 9-10-2008 9:17 Pagina 55