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riassunto primo capitolo trabucchi

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ISTITUZIONI DI DIRITTO CIVILE

di A. Trabucchi

ed. 2009

CAPO 1 – IL DIRITTO PRIVATO IN GENERALE

SEZ. I – CONCETTO DEL DIRITTO E PARTIZIONI FONDAMEN TALI

1. IL CONCETTO DEL DIRITTO. DIRITTO OGGETTIVO E DIR ITTI SOGGETTIVI

Il diritto è un sistema di regole per risolvere i conflitti tra gli uomini.

Si distingue in diritto oggettivo e soggettivo.

Per diritto oggettivo s'intende il diritto tutto, ossia l'insieme delle norme concepite in un concetto

unico, unitariamente; norme queste ultime che se prese una ad una concernono diritti soggettivi (es.:

i codici sono il diritto oggettivo, il diritto di proprietà è un diritto soggettivo e sta nel contesto del

codice, ossia oggettivo). Nel linguaggio quotidiano e in quello tecnico-giuridico spesso si afferma:

"Ho il diritto di..., ho il diritto a..., è stato leso un mio diritto..."; in tutte queste espressioni noi

usiamo il termine 'diritto' non nel senso oggettivo (come insieme di norme), ma nel senso

soggettivo, cioè come un "potere di agire per soddisfare un interesse tutelato dalle norme

giuridiche".

Molteplici sono i diritti soggettivi di cui sono titolari i soggetti del diritto (persone fisiche e persone

giuridiche). Tutti i diritti soggettivi si possono classificare in due grandi categorie:

• diritti soggettivi assoluti

• diritti soggettivi relativi.

I diritti soggettivi assoluti si distinguono a loro volta in due sub-categorie:

1. diritti della personalità o diritti fondamentali dell'uomo, tutti di natura non patrimoniale

(diritto alla vita, all'integrità fisica, alla salute, all'immagine, all'onore, alla privacy, diritti di

libertà personale, di pensiero, di religione, di associazione, di riunione, etc... riconosciuti e

garantiti dalla Costituzione e dai principali strumenti convenzionali internazionali);

2. diritti patrimoniali, i quali hanno ad oggetto i beni; al loro interno, i diritti reali (dal latino

res, cosa) sono diritti sulle cose e il principale fra questi diritti è il diritto di proprietà che

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garantisce al soggetto il potere pieno ed esclusivo di godere delle utilità ricavabili da un

bene entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dalla legge.

I diritti soggettivi assoluti sono sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che

afferma che tali diritti sono innati in ogni persona. Si dice tradizionalmente che i diritti assoluti sono

efficaci erga omnes, cioè verso tutti: io posso far valere, per esempio, il mio diritto di proprietà nei

confronti di chiunque.

I diritti soggettivi relativi sono diritti patrimoniali che coincidono con la categoria dei diritti di

credito. Il diritto di credito è la pretesa di un soggetto (creditore) nei confronti di un altro soggetto

(debitore) a che quest'ultimo esegua una determinata prestazione (di dare - esempio: una somma di

denaro -, o fare - esempio: un lavoro -, o non fare - esempio: non innalzare un edificio o non

commercializzare un prodotto in una determinata zona -).

I diritti di credito si dicono relativi, perché la pretesa si rivolge in via principale verso uno o più soggetti determinati

(infatti, se ho un credito il mio interesse può essere soddisfatto solo dal mio debitore). La "relatività" dei diritti all'esame

è però oggi attenuata dalla ormai riconosciuta cd. "tutela esterna del credito". Laddove un soggetto, con la sua condotta,

precluda ad un creditore di soddisfare il suo interesse rendendo impossibile, in modo assoluto ed obiettivo, la

prestazione cui il debitore era tenuto, sarà chiamato a risarcire il danno, non diversamente da come accade tutte le volte

in cui viene leso, ad esempio, il diritto di proprietà. Se è vero, dunque, che nei diritti di credito il bene può essere fornito

solo da un soggetto determinato, è altrettanto vero che tutti i consociati sono tenuti ad astenersi dal compimento di atti

che possano pregiudicare il conseguimento del bene da parte del creditore. V'è da notare che, in modo simmetrico,

alcuni diritti assoluti presentano dei caratteri comuni ai diritti di credito. Una servitù di passaggio è sì un diritto reale,

ma la pretesa al transito sul fondo altrui si rivolge in via principale verso il proprietario del fondo servente (il fondo da

attraversare). Sebbene, dunque, la struttura dinamica del diritto lo renda ben più simile ad un diritto di credito (il

medesimo risultato pratico può essere assicurato da un diritto di credito), l'assolutezza del diritto in questione rimane

confermata dalla presenza di alcuni caratteri propri dei diritti assoluti: tra questi, ad esempio, la sua opponibilità a

chiunque acquisti il fondo gravato (c.d. ius sequelae. L'opponibilità è però subordinata all'assolvimento di determinati

oneri).

2. GLI ORDINAMENTI GIURIDICI. IL DIRITTO DELLO STAT O E IL DIRITTO

DELL’UNIONE EUROPEA. ALTERITA’, STATUALITA’ E OBBLI GATORIETA’ DEL

DIRITTO

Ogni società, ogni gruppo di persone per convivere ha bisogno di regole di comportamento e di

disposizioni per la tutela dei propri diritti e per la soppressione delle violazioni. L’insieme di queste

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regole, dette norme giuridiche, e degli istituti che le emettono e tutelano viene definito ordinamento

giuridico.

Tra i tanti ordinamenti giuridici il più importante, ma non l’unico, è quello statale, che, posto ai

vertici della vita sociale dei cittadini di uno Stato, rappresenta l’insieme di tutte quelle disposizioni

che un Paese emette ed esige per la tutela e la realizzazione di quei fini che lo Stato stesso si

propone tramite la Carta costituzionale.

Al di sopra dell’ordinamento giuridico statale vi sono altri ordinamenti come quello europeo o

quello internazionale.

Accanto a quello statale vi sono quelli degli altri stati esteri e della Chiesa.

Infine all’interno di quello statale ve ne sono altri di carattere privato e pubblico, tra i quali

ricordiamo quelli regionali, provinciali e comunali.

Il diritto comunitario trae origine dalle Comunità europee: CEE, CECA e EURATOM. In seguito al

trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 si sono poi create le basi per una UNIONE EUROPEA

che si fonda sulle precedenti Comunità. Tale diritto è comune e si impone obbligatoriamente anche

sui diritti dei singoli stati attraverso regolamenti e direttive, entrambi pubblicati sulla Gazzetta

Ufficiale. I primi si rivolgono a tutti i soggetti e sono direttamente applicabili; le seconde

costituiscono una normativa obbligatoria per il risultato da raggiungere, ma da attuare a cura degli

stati membri.

La legge contiene un comando giuridico per tutti che deve venire estrapolato dalla stessa e che è

definito norma e che per distinguersi da tutte le altre è qualificata come norma giuridica. Questa, per

essere tale deve contenere tre caratteristiche fondamentali:

• Alterità del diritto : detta anche intersubiettività o bilateralità: il diritto regola le azioni degli

uomini che hanno rilevanza nei rapporti sociali. Ogni relazione regolata dal diritto

costituisce un rapporto giuridico nel quale vi sono sempre almeno due persone: soggetto

attivo(cui appartiene il diritto) e soggetto passivo(cui incombe una soggezione)

• Statualità del diritto : la società si fa Stato per organizzarsi ed affidare allo stesso la

gestione di due momenti importanti della vita giuridica di un popolo:

o la creazione delle norme giuridiche uguali e vigenti per tutti finalizzate al

raggiungimento di obiettivi di giustizia sociale (Stato sociale)

o la gestione e soppressione di tutti i tentativi di evasione dagli obblighi imposti come

legge e l’applicazione dei relativi provvedimenti (senza l’intervento dello Stato non

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ci sarebbe garanzia di ordine e non ci sarebbe una forza per la conservazione

dell’ordine).

L’ordinamento ideale deve rispondere non soltanto al principio di legalità, cardine fisso

dello stato di diritto contemporaneo, ma anche al bene della certezza del diritto che implica

la conoscibilità a priori delle norme da seguire.

Alle due concezioni del diritto come tutela delle posizioni personali e come forma di

coordinamento sociale, corrisponde una duplice concezione dello Stato: lo stato che regola i

mezzi per la tutela della libertà (Stato garante della legalità) e la concezione di uno stato

sociale di diritto che promuove le migliori condizioni di vita per la collettività (Stato

interventista)

• Obbligatorietà del diritto: l’importanza sociale dell’ordinamento giuridico, oltre che

dall’emanazione di norme giuridiche, è data anche dalla ricorrenza, se necessaria, all’uso

della forza per l’applicazione coattiva delle norme e per la punizione delle evasioni dagli

obblighi giuridici imposti (pena e sanzione)

3. DISTINZIONI FONDAMENTALI

a) Diritto pubblico: in un senso regola l’organizzazione dello Stato e degli enti pubblici, e i

loro rapporti reciproci; in un altro senso regola reciproche relazioni tra Stato ed enti pubblici

da una parte e cittadini dall’altra. Nel rapporto di diritto pubblico vi partecipa almeno un

ente che si presenta come portatore di interessi superiori, in modo che i soggetti di tale

rapporto non si trovano in quella eguaglianza caratteristica del diritto privato. Vi rientrano

diritto cost., amministr., penale, processuale., lavoro, eccles., finanz., tribut., navigazione.

b) Diritto privato : disciplina le relazioni reciproche dei soggetti fissando presupposti e limiti

agli interessi dei singoli. Nel rapporto di diritto privato le persone si trovano in condizione

di parità. Vi rientrano diritto civile, commerc., lavoro e navigazione.

NB. La disuguaglianza nel diritto pubblico è giustificata soltanto dal principio che gli interessi

generali o di maggiore importanza per la conservazione e lo sviluppo della società devono prevalere

sugli interessi minori o appartenenti ai singoli. In una visione generale il diritto pubblico si può

vedere come diritto dei limiti: limiti della società verso i cittadini e viceversa.

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4. IL DIRITTO NATURALE E IL DIRITTO POSITIVO. LE DI CHIARAZIONI DEI

“DIRITTI DELL’UOMO”

Nel nostro ordinamento la legge è la maggiore fonte di produzione della norma giuridica. Da questa

caratteristica deriva il fatto che il nostro è un ordinamento fondato sul diritto positivo cioè sulla

presenza di norme poste come tali da organi specializzati a tale attività.

Tuttavia sin dall’antichità l’uomo ha voluto convincersi che esiste anche un’altra forma di diritto,

quello naturale, quello cioè che non è dato da nessun organo legislativo, ma che è intrinseco

all’uomo stesso in quanto tale. Esso vive nella coscienza dei popoli e rappresenta anche l’ideale di

giustizia cui gli uomini aspirano. Il diritto naturale ha trovato la sua massima fonte di vita durante la

rivoluzione francese in cui molti ideali e criteri di vita furono demoliti con la ghigliottina per dare

luce a nuovi valori sociali, etici e giuridici che ancora oggi sono alla base della nostra vita sociale e

giuridica.

Oggi le principali norme di diritto naturale le ritroviamo scritte nel trattato internazionale sulle

Dichiarazioni dei diritti dell’uomo.

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SEZ. II – LE FONTI DEL DIRITTO OGGETTIVO INTERNO

5. LA COSTITUZIONE E LE FONTI DEL DIRITTO

L’espressione “fonte del diritto” comprende due significati:

• Fonte di cognizione o conoscenza, vale a dire tutte quelle raccolte ufficiali di leggi e di

norme giuridiche che portano alla conoscenza dei cittadini le progressive leggi create dallo

Stato. Esistono fonti di cognizione ufficiali (Gazz. Uffic.) e mere raccolte private

• Fonte di produzione o creazione, ricomprende ogni atto o fatto abilitato dall’ordinamento a

produrre norme giuridiche e quindi a modificare e innovare l’ordinamento giuridico stesso.

Si distinguono in materiali, se si mettono in risalto i fattori che determinano il sorgere del

precetto giuridico, e formali se si indicano i procedimenti che l’atto fonte deve percorrere

per ottenere il crisma della giuridicità. Queste ultima sono 4: leggi, regolamenti, norme in

materia di lavoro e usi.

La Costituzione entrata in vigore il 1 gennaio 1948. È un documento composto da 139 articoli che

stabilisce i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano. Essa si pone al vertice della

gerarchia delle fonti del diritto. Detta le norme fondamentali di organizzazione dello Stato,

regolando le fonti creatrici del diritto, determinando gli organi supremi, i loro compiti,

responsabilità e reciproci rapporti, legittimando i pubblici poteri. E’ rigida: ciò significa che le

norme costituzionali possono essere modificate, integrate o abrogate soltanto con leggi

costituzionali che vengono approvate dal parlamento con lo speciale provvedimento previsto

dall’articolo 138 della Costituzione.

Le diverse fonti di produzione si organizzano secondo una precisa gerarchia: si comincia dalla

Costituzione per arrivare agli usi:

• criterio gerarchico: serve a risolvere i contrasti tra norme poste da fonti di grado diverso

• criterio cronologico: serve a risolvere i contrasti tra norme dello stesso grado, ma poste in

diversi momenti (prevale la più recente)

• criterio di competenze: serve a risolvere i contrasti tra norme provocati dal fatto che la Cost.

assegna a specifiche fonti competenze particolari le quali sono sottratte alla disciplina di

ogni altra fonte

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6. LE LEGGI, I TESTI UNICI, I CODICI

La legge è la fonte di produzione principale del nostro ordinamento. Il comando o la regola che essa

contiene proviene dalla volontà di un legislatore ed è formulato in determinate parole

(disposizione).

Essa è espressione della volontà dello Stato, ma anche delle Regioni, dopo la riforma costit. del

2001.

L’atto legislativo contiene comandi generali (si rivolge a tutti) e astratti (si rifà ad una situazione

ipotetica).

Possiamo distinguere tra leggi formali (approvate dalle due Camere e possono anche non contenere

regole di condotta) e materiali (non sono atti del potere legislativo, ma vengono adottate dal

Governo; ad es. decreti legge e decreti legislativi).

Il testo unico è un riordinamento di leggi già in vigore, fatto per facilitarne la conoscenza e

l’applicazione.

I codici sono testi organici che hanno valore normativo di per sé, senza riferimento a leggi

precedenti. Sono diretti a regolare la totalità di un vasto campo dell’attività giuridica.

Dal 1° luglio 1931 è in vigore il codice penale.

Il 24 ottobre 1989 è entrato in vigore il nuovo codice di procedura penale.

Dal 21 aprile 1942 son in vigore il codice civile, il codice di procedura civile, il codice della

navigazione e la legge fallimentare.

Le codificazioni attuali si differenziano da analoghi e famosi documenti del passato tra cui:

a) Corpus iuris civilis composto da: Istituzioni (che riassumono i principi fondamentali),

Novelle (che comprendono le manifestazioni dell’autorità imperiale), Pandette e Codice

b) Codice Napoleone del 1804 i cui compilatori vollero fissare in modo chiaro e preciso i

canoni di giustizia che dovrebbero essere uguali per tutti

Il codice civile è diviso in sei libri preceduti da 16 articoli, detti disposizioni preliminari o preleggi:

• Libro Primo - Delle Persone e della Famiglia, artt.1-455 - contiene la disciplina della

capacità giuridica delle persone, dei diritti della personalità, delle organizzazioni collettive,

della famiglia;

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• Libro Secondo - Delle Successioni, artt. 456-809 - contiene la disciplina delle successioni a

causa di morte e del contratto di donazione;

• Libro Terzo - Della Proprietà, artt. 810-1172 - contiene la disciplina della proprietà e degli

altri diritti reali;

• Libro Quarto - Delle Obbligazioni, artt. 1173-2059 - contiene la disciplina delle obbligazioni

e delle loro fonti, cioè principalmente dei contratti e dei fatti illeciti (la cosiddetta

Responsabilità civile);

• Libro Quinto - Del Lavoro, artt.2060-2642 - contiene la disciplina dell'impresa in generale,

del lavoro subordinato e autonomo, delle società aventi scopo di lucro e della concorrenza;

• Libro Sesto - Della Tutela dei Diritti, artt. 2643-2969 - contiene la disciplina della

trascrizione, delle prove, della responsabilità patrimoniale del debitore e delle cause di

prelazione, della prescrizione.

Accanto al codice abbiamo numerose leggi speciali in materia di fallimento, divorzio, assicurazioni,

ecc.

7. I REGOLAMENTI

Sono fonti adottate dagli organi del potere esecutivo o da altre autorità nei limiti in cui è loro

attribuita un’autonoma potestà normativa. Non attribuiscono particolari diritti obblighi facoltà, ma

ne regolano l’esercizio.

Sono fonti secondarie subordinate all’atto legislativo.

• Regolamento esecutivo è volto a facilitare la retta applicazione delle leggi e serve ad

assicurarne l’operatività

• Regolamento di attuazione serve per integrare atti legislativi contenenti norme di principio

• Regolamento indipendente è emanato nelle materie in cui manca una disciplina di legge e

non coperte da riserva di legge

• Regolamento di organizzazione con il quale l’esecutivo provvede a disciplinare i pubblici

uffici

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8. LA POTESTA’ REGOLAMENTARE DELLE AUTORITA’ AMMINI STRATIVE

INDIPENDENTI

Sull’esempio del diritto comunitario, anche l’ordinamento italiano ha conosciuto il proliferarsi delle

autorità indipendenti, vale a dire quelle autorità che permettono i poteri pubblici di esplicarsi con la

massima competenza tecnica senza subire condizionamenti o interferenze da parte della sfera

politica.

Esse sono sottratte agli indirizzi dell’esecutivo e ordinate non genericamente, bensì in rete, cioè a

livello sia nazionale che sovranazionale.

L’istituzione di questi organismi ha interessato diversi settori in cui era maggiormente necessaria

l’azione pubblica fosse flessibile e tecnicamente adeguata.

I titolari non sono scelti dal Governo, ma da soggetti terzi; durano in carica per un periodo

prestabilito.

Ad esse sono attribuiti poteri normativi, amministrativi e similgiurisdizionali.

9. LE NORME IN MATERIA DI LAVORO

Art. 1 L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

Art. 4 La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che

rendano effettivo questo diritto.

Art. 35 La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.

Art. 36 Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo

lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.

Art. 37 La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che

spettano al lavoratore.

Art. 38 Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al

mantenimento e all'assistenza sociale.

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita

in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Art. 39 I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in

proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti

gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.

L. 20 maggio 1970, n. 300 Statuto dei lavoratori

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10. GLI USI: CONCETTO, ELEMENTI COSTITUTIVI E SPECI E

Usi e consuetudini sono una fonte non scritta e non statuale di produzione di norme giuridiche.

Poiché si formino delle norme consuetudinarie devono essere presenti due elementi:

1. elemento oggettivo: la ripetizione continua e uniforme di un certo comportamento da parte di

un gruppo sociale. In tal senso, l’uso deve essere costante (ogni qualvolta si avvera una situazione,

deve essere regolata in maniera uguale); generale (osservato da tutti i membri); deve durare un certo

periodo di tempo non determinabile a priori.

2. elemento psicologico: la convinzione da parte dei membri di quel gruppo sociale

dell’obbligatorietà di quel comportamento

Poiché nella società tendono a crearsi spontaneamente e in modo continuo norme di tipo

consuetudinario, il problema è quello di stabilire quale rapporto esse possono avere con le altre fonti

di diritto scritto.

L’articolo 8 delle disposizioni preliminari del codice civile dispone che “nelle materie regolate

dalle leggi e dai regolamenti, gli usi hanno efficacia solo in quanto siano da essi richiamati”.

Quindi possiamo ricavare tre regole:

1. non sono ammesse le consuetudini contrarie al diritto scritto. Quindi in caso di contrasto tra una

norma consuetudinaria e una norma del diritto scritto è sempre quest’ultima a prevalere;

2. nelle materie regolate dal diritto scritto le norme consuetudinarie valgono solo se sono

esplicitamente richiamate dalla legge: un esempio è dato dall’articolo 1182 secondo il quale il luogo

dell’adempimento di una prestazione può essere stabilito in base agli usi, o articolo 1283 sugli

interessi bancari;

3. nelle materie non regolate dal diritto scritto, la consuetudine può produrre norme giuridiche

pienamente efficaci. Anche se c’è da dire che le norme consuetudinarie non possono essere

applicate nel campo del diritto penale.

Gli usi si presumono esistenti fino a prova contraria, cioè fino a quando non si dimostri che l’uso

non è più osservato.

Si possono distinguere in:

• contra legem, se dettano disposizioni contrarie alla legge

• secundum legem, se dettano disposizioni conformi alla legge

• predem legem, se dettano disposizioni che sono ignorate dalla legge

• contrattuali, sono contemplati in clausole d’uso o sottintesi per pratiche generali create nei

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vari mercati.

11. LA GIURISPRUDENZA, LA DOTTRINA, L’EQUITÀ

La giurisprudenza è il complesso delle decisioni giudiziarie. Oggi i giudici hanno funzioni molto

diverse da quelle di un tempo passato in cui potevano anche dettare loro la legge come avveniva per

i Pretori romani e per i giuristi che possedevano il ius respondendi ex auctoritate principis.

Un tempo i giudici applicavano la legge e dove c’era incertezza o mancanza di diritto erano proprio

loro che si sostituivano al legislatore e creavano le norme su misura al caso in concreto che avevano

di fronte. Oggi invece il ruolo del giudice è stato limitato democraticamente di molto.

Infatti, innanzitutto si è voluto scindere il potere giudiziario da quello esecutivo e da quello

legislativo soprattutto per evitare contrasti ed egemonie.

Inoltre oggi il giudice è considerato come la bocca della legge e di questa deve essere il portatore

non il creatore che rimane solo ed esclusivamente il legislatore parlamentare.

Le sentenze dei giudici, oggi, sono vincolanti soltanto tra le parti in giudizio e non costituiscono

precedenti da seguire ed interpretare.

La dottrina è il complesso delle ricerche e dei risultati dello studio scientifico del diritto. Oggi ha un

suo valore soltanto perché è strettamente legata alla morale e all’etica del legislatore.

Infatti non poche volte il legislatore ha trovato dei limiti al suo potere proprio dalla dottrina o

proprio da questa ha trovato l’iniziativa legislativa.

L’equità ha valore come fonte del diritto soltanto quando è richiamata espressamente dalla legge e

non pochi sono i casi in cui il c.c. ne fa uso soprattutto in materia di contratti, fatti illeciti e

obbligazioni in genere.

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SEZ. III – LE FONTI DEL DIRITTO COMUNITARIO

12. L’INTEGRAZIONE EUROPEA: DALLE COMUNITÀ ALL’UNIO NE EUROPEA

La Comunità europea è la precedente forma dell'odierna Unione europea. La Comunità europea,

la più importante delle Comunità europee, nasce nel 1957 ed entra in vigore il 1º gennaio 1958 con

il nome di Comunità economica europea (CEE), con l'entrata in vigore dei trattati di Roma,

firmati da sei stati fondatori (Italia, Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi) il 25

marzo dell'anno precedente.

I Trattati di Roma del 1957 hanno sancito la costituzione della CEE, insieme a CECA ed

EURATOM.

La CEE aveva nei suoi obiettivi l'unione economica dei suoi membri (Belgio, Francia, Italia,

Lussemburgo, Olanda, e Germania Ovest), fino a portare ad un'eventuale unione politica. Lavorò

per il libero movimento dei beni, dei servizi, dei lavoratori e dei capitali, per l'abolizione dei cartelli

e per lo sviluppo di politiche congiunte e reciproche nel campo del lavoro dello stato sociale,

dell'agricoltura, dei trasporti, del commercio estero.

Nel 1956 il Regno Unito propose che il Mercato europeo comune (MEC) fosse esteso in una più

ampia area di libero scambio europea. Nel novembre 1958 però la Francia mise il veto sulla

creazione della nuova area, così il Regno Unito insieme alla Svezia si fecero promotori

dell'Associazione europea di libero scambio (EFTA), concretizzatosi nel 1960, insieme ad altri

paesi non membri CEE (Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera e Regno

Unito).

Dal 1973 con l'ingresso di Regno Unito, Irlanda e Danimarca nella CEE, EFTA e CEE negoziarono

una serie di accordi per assicurare uniformità nelle politiche economiche delle due organizzazioni,

sfociata infine nell'accordo per lo Spazio economico europeo (SEE). Dal 1995 solo 4 membri che

non sono entrati nell'UE rimangono nell'organizzazione.

Secondo il Trattato di Maastricht la Comunità europea ha l'obbligo di promuovere nell'insieme

della Comunità:

• uno sviluppo armonico, equilibrato e sostenibile delle attività economiche

• un livello elevato di occupazione e di protezione sociale e pari opportunità tra donne e

uomini

• una crescita duratura e non inflazionistica

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• un elevato livello di competitività e di convergenza dei risultati economici

• un livello elevato di protezione e di miglioramento della qualità dell'ambiente,

l'innalzamento del livello e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la

solidarietà tra gli Stati membri

Per perseguire tale risultato, la CE elabora un insieme di politiche settoriali, in particolare in questi

settori:

• Occupazione e diritti sociali

• Libertà, sicurezza e giustizia

• Ambiente

• Consumatori e salute

• Energia e risorse naturali

• Regioni e sviluppo locale

• Cultura, istruzione e gioventù

• Scienza e tecnologia

• Trasporti

• Economia, finanza e concorrenza

• Politiche industriali e mercato interno

• Relazioni esterne e immigrazione

L'Unione economica e monetaria (UEM) è considerata la politica di integrazione più avanzata

all'interno del primo pilastro dell'UE.

13. LE ISTITUZIONI POLITICHE E GIUDIZIARIE

La CEE/CE è formata da quattro istituzioni principali:

• Assemblea, composta dai rappresentanti dei popoli degli Stati membri la cui elezione era a

suffragio universale diretto.

• Consiglio, composto dai rappresentanti degli Stati membri. Il suo compito consisteva nel

coordinare le politiche economiche generali degli Stati membri. Disponeva di un potere

decisionale pari a un potere legislativo.

• Commissione, inizialmente composta da 9 membri scelti dai governi degli Stati membri in

base alla loro competenza, era l'istituzione sopranazionale.

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• Corte di giustizia, assicurava il rispetto del diritto nell'interpretazione e applicazione del

Trattato.

La CE rappresenta il primo pilastro dell'Unione Europea che è caratterizzato dal "Metodo

comunitario" che ne definisce il modo di funzionamento istituzionale. Nel rispetto del principio di

sussidiarietà, il metodo funziona su una logica d'integrazione ed è caratterizzato da questi elementi:

• monopolio del diritto d'iniziativa della Commissione

• ricorso generalizzato al voto a maggioranza qualificata in sede di Consiglio

• ruolo attivo del Parlamento europeo (pareri, proposte di emendamento, ecc.)

• uniformità di interpretazione del diritto comunitario a cura della Corte di giustizia

Il metodo comunitario si contrappone al "Metodo intergovernativo", funzionante nel secondo e nel

terzo pilastro dell'UE.

Un passo avanti nello sviluppo dell'UE, necessario per permettere il funzionamento dell’Unione a

27, si avrà con l'adozione del Trattato di Lisbona, che è, oggettivamente, un regresso rispetto alla

più avanzata Costituzione Europea.

Il Trattato di Lisbona come la Costituzione europea prevede l'abolizione formale dei tre pilastri e

la "comunitarizzazione" del secondo e terzo pilastro che funzioneranno col Metodo comunitario, ad

eccezione delle disposizioni in materia di difesa comune.

Il Trattato di Lisbona si distingue però dalla Costituzione europea per il meccanismo di opt-out nel

3° pilastro ottenuto dalla Gran Bretagna e dall'Irlanda, la precisazione del "carattere specifico" della

PESC, il semplice rinvio alla Carta dei diritti fondamentali, rispetto alla quale Gran Bretagna e

Polonia hanno ottenuto la facoltà di opt-out. Non si fa inoltre cenno ai "simboli" dell'Unione.

Tutte queste caratteristiche (e altre) rendono "meno europeistico" il Trattato di Lisbona che,

comunque, unifica CE ed Euratom e apporta altre piccole migliorie oltre ad essere indispensabile

per il funzionamento dell'Unione.

14. FONTI COMUNITARIE E ADATTAMENTO

Le fonti del diritto comunitario derivanti dall'attività della Comunità europea possono produrre atti

vincolanti e non vincolanti. Gli atti non vincolanti sono le raccomandazioni CE (ossia degli inviti

rivolti agli stati membri ad assumere un certo comportamento) e i pareri (espressione del punto di

vista di un organo europeo su di una determinata questione). Quelli vincolanti sono invece i

Regolamenti, le Direttive e le Decisioni.

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I Regolamenti hanno le caratteristiche tipiche delle leggi nell'ordinamento interno degli stati. Sono

generali, ossia non sono rivolti a soggetti determinati, ma hanno la caratteristica della generalità e

dell'astrattezza. Sono obbligatori, ossia, salvo diversa disposizione del Regolamento stesso, devono

essere applicati nella loro totalità dagli stati membri. Il fatto che siano atti di applicabilità diretta

implica che non sia necessario, e neppure ammesso, un atto dello stato che ne ordini l'esecuzione

nell'ordinamento nazionale.

Una Direttiva è un atto normativo non generale, ma rivolto in particolare ad uno (o più) degli Stati

membri. Pone allo Stato a cui è rivolta l'obbligo del raggiungimento di un determinato risultato o

standard, lasciando discrezionalità agli organi nazionali in merito ai mezzi da utilizzare. Molto

spesso, comunque, la Direttiva detta discipline particolareggiate e precise, al fine di limitare la

totale discrezionalità dello Stato.

Le Decisioni hanno le caratteristiche tipiche del procedimento amministrativo nell'ordinamento

degli stati. Tutti gli elementi di una Decisione sono obbligatori e direttamente applicabili, come i

Regolamenti ma, a differenza di questi ultimi, sono rivolti a specifici soggetti, come uno Stato

membro o una persona giuridica.

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SEZ. IV – L’EFFICACIA DELLE NORME NEL TEMPO E NELLO SPAZIO

15. LA LEGGE NELLO SPAZIO: IL DIRITTO INTERNAZIONAL E PRIVATO E IL

COSIDDETTO DIRITTO INTERNAZIONALE PUBBLICO

Il diritto si applica all'intero territorio dello Stato in cui è destinato a operare: si parla a questo

proposito di norme generali.

Non mancano però le eccezioni, nel senso che alcune norme giuridiche esplicano la loro efficacia

limitatamente a una parte del territorio nazionale: è il caso, per esempio, delle disposizioni

concernenti le zone archeologiche, applicabili soltanto a queste aree; si parla allora di norme locali.

Vi sono poi delle situazioni alle quali possono essere interessate le norme giuridiche di due o più

Stati: si pensi a Tizio, italiano, che sposa una francese, o a Caio, anch'egli italiano, che acquista un

terreno in Austria. Da ciò l'esigenza di stabilire qual è l'ordinamento giuridico al quale riferirsi in

casi del genere.

La materia è disciplinata dall'art. 16 delle preleggi, dalla L. 31/5/1995, n. 218, intervenuta a

ridisegnare la materia, e, per le obbligazioni nascenti da contratto, dalla Convenzione di Roma del

19/6/1980; trattasi di norme tecnicamente indicate come di diritto internazionale privato, vale a dire

norme di diritto privato volte a regolare rapporti giuridici internazionali; poiché la casistica è

piuttosto ampia, ci limitiamo ad accennare ad alcune delle situazioni più ricorrenti.

Per quanto riguarda, per esempio, la proprietà, questa è disciplinata dalla legge del luogo in cui si

trovano le cose che ne costituiscono l'oggetto.

Per quanto attiene, invece, alla successione a causa di morte, questa è disciplinata dalla legge dello

Stato di cui era cittadino, al momento della morte, la persona della cui successione si tratta,

indipendentemente dal Paese in cui si trovano i beni che ne costituiscono l'oggetto.

I rapporti fra coniugi di diversa cittadinanza sono regolati dalla legge dello Stato in cui la vita

matrimoniale è prevalentemente localizzata (per i rapporti patrimoniali i coniugi possono derogare

per iscritto a questo criterio), mentre i rapporti fra genitori e figli sono regolati dalla legge nazionale

del figlio.

Il Legislatore ha seguito, a seconda delle circostanze, due diversi criteri: quello della territorialità ,

nei casi in cui ha preso come punto di riferimento il luogo, e quello della cittadinanza nei casi in cui

ha preso a riferimento la persona e la relativa cittadinanza. Laddove, però, viene data al privato la

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possibilità di derogare ai criteri suddetti ne scatta un terzo: quello dell'autonomia della volontà, con

i soggetti ammessi a scegliere la legge con la quale disciplinare un determinato rapporto giuridico.

Dall'esemplificazione suddetta consegue anche che ci sono situazioni la cui disciplina viene dal

diritto italiano demandata al diritto di un altro Stato, configurandosi quello che viene tecnicamente

indicato come rinvio.

Ci sono delle leggi che si applicano a tutti coloro che si trovano nel territorio dello Stato, cittadini o

stranieri che siano: fra queste le leggi penali, quelle di pubblica sicurezza, quelle sulla circolazione

stradale.

Ricordiamo infine che, per quanto riguarda i diritti civili, ossia l'insieme delle libertà riconosciute al

cittadino (per es. libertà di riunione, di culto, di manifestazione del pensiero), essi vengono

riconosciuti anche allo straniero, a patto, però, che lo Stato al quale egli appartiene faccia altrettanto

con i cittadini italiani: ciò che si dice reciprocità.

16. LA SUCCESSIONE DELLE LEGGI NEL TEMPO

La legge, una volta promulgata dal Presidente della Repubblica, viene pubblicata sulla Gazzetta

Ufficiale ossia su quello che potremmo in un certo senso definire il "quotidiano dello Stato", visto

che esce tutti i giorni meno i festivi.

La Gazzetta Ufficiale è edita dall'IPZS (Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato), ossia da quella che potremmo

senz'altro chiamare la tipografia dello Stato, dal momento che stampa la quasi totalità del materiale da esso usato, e vi

vengono pubblicati, oltre alle leggi, i decreti legislativi, i decreti legge, i regolamenti e numerosi altri atti: per es. bandi

di concorso, media dei cambi, variazioni del tasso ufficiale di sconto. Gli ultimi sessanta numeri della gazzetta ufficiale

possono essere consultati gratuitamente collegandosi al sito www.gazzettaufficiale.it.

La pubblicazione sulla gazzetta ufficiale non è però sufficiente a far sì che la legge produca i suoi

effetti: occorre infatti il decorso della vacatio legis (lett. vacanza della legge), intendendosi per essa

il periodo di tempo che intercorre fra la pubblicazione della legge sulla gazzetta ufficiale e la sua

entrata in vigore. La regola è che il provvedimento entri in vigore il quindicesimo giorno successivo

a quello in cui è stato pubblicato (e che non va calcolato: così, se la pubblicazione è del 5, la legge

entra in vigore il 20), ma non mancano le eccezioni: i decreti legge, per esempio, entrano per lo più

in vigore lo stesso giorno della pubblicazione, mentre per le leggi particolarmente complesse la

vacatio può durare anche diversi mesi.

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Non appena la legge entra in vigore, comunque, scatta il principio ignorantia legis non excusat ,

ossia la legge non ammette ignoranza: una volta, cioè, che il provvedimento sia entrato in vigore, e

taluno, ignorandone l'esistenza, non lo osservi, ne deve subire le conseguenze, non essendo

ammesso a provare di essersi trovato nella materiale impossibilità di prenderne conoscenza. Questo

principio, peraltro ineccepibile (si tratta infatti di precludere possibili scappatoie a persone di pochi

scrupoli), fa sentire il suo peso soprattutto nel diritto penale; va comunque detto che la

giurisprudenza, sia pure limitatamente ad alcune contravvenzioni, ne ha alquanto temperato il

rigore, mentre la Corte Costituzionale (per quest'organo si veda il cap. 21), con una sentenza che

non è esagerato definire storica (la n. 364 del 24/3/1988), ha sancito che l'"ignoranza inevitabile"

della legge è ammessa: naturalmente stabilire se ci si trovi in presenza di ignoranza della legge

"inevitabile" o meno è indagine che va condotta in concreto, rientrando nell'ipotesi giustificativa,

per esempio, il caso di una disposizione assolutamente oscura.

La legge, una volta entrata in vigore, è destinata a produrre i suoi effetti fino a che non intervenga la

sua abrogazione, intendendosi per abrogazione l'atto col quale una legge perde la sua validità. In

alcune leggi, destinate ad operare per un periodo limitato di tempo (leggi temporanee), viene

generalmente indicata la data in cui il provvedimento cesserà di produrre i suoi effetti. Nella

stragrande maggioranza dei casi, però, la legge non contiene l'indicazione del giorno in cui verrà

meno: ciò si verificherà, allora, o perché un'altra legge, successivamente varata, dichiara che la

legge precedente deve intendersi abrogata (abrogazione espressa), oppure perché le norme

contenute nella legge successiva sono incompatibili con quelle del precedente provvedimento

(abrogazione tacita), o, terza ipotesi, perché disciplinano ex novo l'intera materia (abrogazione per

completezza). A seconda, poi, che la nuova legge annulli in tutto o in parte la precedente, sia parla

di abrogazione totale e di abrogazione parziale.

Può accadere che l'abrogazione di norme giuridiche avvenga in modo generalizzato e sistematico,

allo scopo di contribuire, attraverso lo sfoltimento della più o meno complessa e intricata normativa

che si è venuta stratificando nel tempo, al migliore funzionamento di un determinato settore o

dell'intero ordinamento giuridico: di parla a questo proposito di delegificazione, o, per usare il più

noto termine statunitense, di deregulation.

Allo scopo di facilitare il passaggio dalla vecchia alla nuova legge, quest'ultima contiene

generalmente delle disposizioni di attuazione e transitorie, destinate a venir meno una volta

maturate le scadenze in essa indicate.

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"La legge", afferma l'art. 11 delle preleggi, "non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto

retroattivo"; né potrebbe essere altrimenti, dovendosi dare al cittadino, come anticipato in 3.2, la

certezza del diritto.

Il principio dell'irretroattività della legge assume particolare rilievo in diritto penale; in forza di

esso, infatti, nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu

commesso, non era considerato reato: ciò per mettere le persone in condizione di sapere con

certezza quali sono i comportamenti leciti e quali, invece, quelli vietati.

Diversa da questa ipotesi è quella riguardante l'abolizione di un comportamento fino allora considerato reato; in tal

caso non si può essere puniti per un fatto che la legge posteriore, e in un ultima analisi la coscienza popolare (è da

questa, infatti, che scaturisce il diritto), non considerano più passibile di sanzione, e se vi è stata condanna ne cessa

l'esecuzione. Può infine accadere che la legge penale, pur continuando a considerare reato un determinato

comportamento, intervenga a punirlo in maniera diversa rispetto alla legge precedente. In tal caso si applica la legge le

cui disposizioni siano più favorevoli al colpevole -ciò che si dice favor rei-, salvo che sia stata pronunciata sentenza

passata in giudicato (ossia definitiva). Questi criteri non si applicano però alle leggi temporanee, cioè alle leggi di cui si

conosce già al momento dell'emanazione la data in cui cesseranno di avere vigore, e alle leggi eccezionali, ossia a quelle

emanate in pendenza di situazioni particolari e destinate a venir meno con la cessazione dell'emergenza; scopo di questa

limitazione è, come si comprende, evitare che la più o meno esplicita caducità della legge induca le persone a violarla.

A fronte di questa che è le regola non mancano le eccezioni: dei casi, cioè, di leggi retroattive, vale

a dire di leggi che entrano in vigore non da quando vengono emanate ma da un momento anteriore;

la legge, in tal caso, retro agisce, ossia agisce, ha validità, da prima. La retroattività è consentita

solo nei casi in cui arrechi al cittadino un vantaggio, non uno svantaggio; può essere retroattiva, per

esempio, una legge che accordi degli aumenti di stipendio con decorrenza anteriore al giorno

dell'approvazione, e conseguente diritto degli interessati a percepire gli arretrati, mentre non può

essere retroattiva, per quanto sopra detto, una legge penale: una legge, per esempio, che intervenisse

a punire un comportamento tenuto in epoca in cui era perfettamente lecito, per non essere stato

ancora considerato contra legem.

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SEZ. V – LE NORME GIURIDICHE E LORO CLASSIFICAZIONE

17. IL CONTENUTO DELLE NORME GIURIDICHE

18. LA SANZIONE DELLE NORME

In una società sono presenti sia regole sociali di tipo non giuridico, sia norme giuridiche.

Le regole sociali (non giuridiche) non sono imposte (si pensi alle regole morali, che tendono a

distinguere tra ciò che è bene e ciò che è male; alle regole religiose o di una squadra sportiva); la

loro osservanza è ritenuta, piuttosto, come un obbligo dettato dalla nostra coscienza, dal nostro

personale senso del dovere o dalla nostra volontà di continuare a far parte di quel gruppo che ci sta

tanto a cuore (come, per esempio, una compagnia di giovani con precise regole di comportamento

al suo interno). Non hanno portata generale, cioè non sono destinate all'intera collettività, bensì si

applicano a un gruppo più o meno ristretto di individui. La violazione di tali regole non comporta

necessariamente l'applicazione di sanzioni (multe, pene limitanti la libertà umana) in capo ai

trasgressori. Se non si osserva una norma sociale ci può capitare, per esempio, di avere un senso di

rimorso, di pentimento (spesso avviene quando non rispettiamo le regole della religione a cui

abbiamo aderito), oppure rischiamo di essere allontanati o emarginati dal gruppo di appartenenza.

La norma giuridica, al contrario di quella sociale, è una regola di condotta

o di organizzazione imposta dallo Stato e ha, quindi, carattere obbligatorio. Ogni norma giuridica è

costituita da una fattispecie astratta (o caso ipotetico) e di solito da una sanzione. Essa, cioè,

ipotizza il verificarsi di una situazione futura, ne prevede una disciplina e delle conseguenze (le

sanzioni) nel momento in cui si attuerà in concreto la fattispecie a cui la stessa norma fa riferimento

(il codice civile stabilisce, per esempio, che qualunque fatto doloso, cioè intenzionale o colposo,

dovuto a negligenza, distrazione ecc., che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha

commesso il fatto a risarcire il danno).

Alcune norme giuridiche, per la loro estrema importanza, sono dette inderogabili o imperative,

vale a dire immodificabili a opera dei loro destinatari (ne sono un esempio quasi tutte le norme di

diritto pubblico e alcune di diritto privato). Per fare un riferimento concreto, si pensi al codice civile

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laddove stabilisce: «Non può contrarre matrimonio chi è vincolato ad un matrimonio precedente»,

e, pertanto, non sono ammissibili eccezioni a questo principio.

Altre norme, invece, sono derogabili, in quanto costituiscono una disciplina di base, che può essere

modificata a opera degli interessati. Ne sono un esempio pressoché tutte le disposizioni di diritto

privato soprattutto in tema di contratti, società ecc. Alle parti è infatti riconosciuta un'ampia

autonomia privata, cioè la possibilità di prevedere una regolamentazione alternativa a quella

suggerita dalle norme dell'ordinamento giuridico. Sono pertanto derogabili quelle norme che

riportano le seguenti frasi: "salvo diversa pattuizione", "salvo che le parti non dispongano

diversamente" ecc.

Caratteri della norma giuridica :

• Astrattezza: significa che la norma non è destinata a regolare, in via esclusiva, un singolo caso

concreto, bensì una serie di eventi futuri (una norma non stabilisce il principio per cui il pastore

tedesco della signora Bianchi non può entrare nel parco "Arcadia", ma vieta semplicemente

l'ingresso a tutti i cani). Grazie al suo carattere astratto, la norma giuridica potrà quindi essere

applicata a tutta una serie di casi (così quella norma giuridica che annovera, tra i requisiti necessari

per la celebrazione del matrimonio, la maggiore età, sarà applicata a tutti i giovani che, in qualsiasi

momento, intenderanno unirsi in matrimonio).

• Generalità: significa che la norma giuridica è destinata a tutti i consociati che si trovano nella

stessa situazione: essa non può operare discriminazioni. Una norma non può stabilire, per esempio,

il seguente principio: "La classe 1^A non può fumare", poiché, in tal caso, sarebbe una norma

individuale, non generale e, come tale, escluderebbe ingiustamente tutte le altre classi dal divieto.

• Obbligatorietà: significa che l'ordinamento impone il rispetto della norma nell'interesse dei

singoli e della collettività (si pensi a quella norma che prevede l'obbligo di allacciare le cinture di

sicurezza in automobile. Tale norma deve essere osservata, in quanto mira a tutelare l'integrità fisica

di chi guida e l'interesse che hanno i familiari, gli amici e i conoscenti alla vita del conducente ecc.).

• Sanzionatorietà: la norma giuridica comporta di solito una sanzione, cioè una conseguenza

sfavorevole per chi la trasgredisce (si pensi, per esempio, a quei cartelli in cui si legge: "Chiunque

abbandoni rifiuti sul territorio sarà soggetto a una sanzione pecuniaria di €. ..........."). La previsione

di sanzioni, da parte delle norme, ha essenzialmente la funzione di prevenire la violazione della

disciplina stabilita dalle norme stesse: le sanzioni fungono, cioè, da deterrente. Nel momento in cui

vengono applicate hanno però il fine di rieducare, di riabilitare anche socialmente e non solo di

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punire (si pensi alla formazione professionale e scolastica di cui possono fruire i carcerati negli

istituti di pena, la quale consente loro di potersi più facilmente reinserire nel mondo del lavoro). Le

sanzioni possono consistere in limitazioni della libertà fisica (come la detenzione) oppure nella

riduzione delle disponibilità finanziarie del trasgressore, come nel caso di una multa.

Esecuzione e pena sono le sanzioni estreme. Nella prima si comprendono l’esecuzione forzata e la

nullità dell’atto compiuto in dispregio delle norme: esse mirano a ottenere quel medesimo risultato

che si ottiene con l’obbedienza spontanea. La pena infligge al violatore un male che non è in

relazione diretta con la lesione compiuta. Sanzioni intermedie sono il risarcimento e la riparazione

che mirano soltanto a un equivalente di ciò che si sarebbe ottenuto con l’obbedienza della norma.

• Bilateralità : significa che la norma giuridica, se da un lato riconosce l'esistenza di una posizione

di vantaggio o attiva (si veda il diritto della prole al mantenimento, all'istruzione e all'educazione),

dall'altro prevede una situazione di svantaggio. o passiva. da parte di uno o più soggetti (si pensi

alla posizione dei genitori, obbligati a mantenere, istruire ed educare i propri figli).

• Positività: questo termine non ha nulla a che vedere con il significato che assume solitamente

l'aggettivo "positivo" nel linguaggio comune, ma significa semplicemente che la norma è vigente,

cioè esistente e destinata ad avere concreta applicazione.

• Relatività: indica che la norma giuridica muta nel tempo e nello spazio, perché si adatta alle

esigenze contingenti e quindi ai mutamenti della società (si pensi alle numerose norme volte a

tutelare la donna, la lavoratrice madre, che sono il frutto dell'evoluzione del ruolo femminile a

livello familiare e sociale in genere).

Sotto il profilo della sanzione delle norme distinguiamo:

1. norme primarie, che pongono la regola da seguire erga omnes e secondarie, che

stabiliscono la sanzione per l’eventuale infrazione

2. norme perfette che prevedono un’apposita sanzione, nullità o pena e imperfette che

prevedono doveri non sanzionabili

19. ESTENSIONE DELL’EFFICACIA DELLE NORME GIURIDICH E

Diritto generale e diritto locale: le norme giuridiche trovano uguale applicazione in tutto lo Stato.

La Cost. però attribuisce autonomia legislativa anche alle Regioni per determinate materie. Inoltre

per specifiche esigenze ci sono delle leggi che valgono solo per alcune parti del territorio dello

stato.

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Diritto comune e diritto speciale: il diritto comune contiene le norme dettate in generale per tutti i

rapporti di un determinato tipo, mentre quello speciale forma un insieme proprio e caratteristico il

quale soddisfa particolari esigenze della vita e si riferisce a materie, circostanze ben determinate, o

a persone che esercitano tipiche funzioni o attività. Quando c’è un diritto speciale, le sue norme

prevalgono su quelle di diritto comune.

Diritto normale e diritto eccezionale: il diritto eccezionale è quello che devìa, a causa di esigenze

particolari che esso deve soddisfare, dai principi che reggono tutto un ramo del diritto o un istituto

giuridico. Si caratterizza per la sua contraddizione al sistema delle altre norme.

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SEZ. VI – APPLICAZIONE, INTERPRETAZIONE E INTEGRAZI ONE DELLE NORME

GIURIDICHE

20. L’APPLICAZIONE DEL DIRITTO

Il comando giuridico è generale e rivolto a tutti.

La legge prevede in astratto e generalmente il fatto che poi in concreto trova la sua applicazione

normativa giuridica.

L’applicazione della norma al fatto concreto è opera del giudice che con il suo bagaglio culturale e

tecnico di particolare importanza, deve interpretare la legge, applicarla al caso concreto ed

estrapolare dal tutto le conseguenze per le parti tramite la sentenza.

Il giudice quindi applica il diritto e non lo crea, come invece accadeva in passato.

In campo civile vige il principio secondo il quale il giudice deve limitarsi alla discussione del fatto

presentatosi dinanzi e solo a quello e lascia esclusivamente alle parti tutta l’attività probatoria e

dimostrativa.

Il giudice quindi è chiamato ad un difficile compito che è quello di dover trovare le giuste norme da

applicare anche se è compito delle parti, ed in particolare degli avvocati civilisti attirare l’attenzione

del giudice verso i fatti e le norme che più direttamente soddisfano i propri interessi anche se poi il

giudice ragiona ed agisce con propria testa andando ad applicare anche norme che le parti non

avevano menzionato.

21. L’INTERPRETAZIONE DELLE NORME E I SUOI AUTORI: INTERPRETAZIONE

DOTTRINALE, GIUDIZIALE, AUTENTICA

22. MODI DI INTERPRETAZIONE: INTERPRETAZIONE LETTER ALE E LOGICA. LA

CONTROVERSIA SUL METODO

23. RISULTATO DELL’INTERPRETAZIONE DI UNA NORMA: IN TERPRETAZIONE

DICHIARATIVA, ESTENSIVA, RESTRITTIVA

Interpretare il diritto vuol dire ricercare il significato di una determinata norma giuridica, ossia

partire dalle parole con le quali essa è stata formulata, per risalire alla volontà del Legislatore,

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accertando quali fossero le sue reali intenzioni, anche al di là delle parole usate; nella sua prima fase

(quella che prende come punto di riferimento le parole) l'interpretazione si dice letterale1, mentre

nella seconda fase (quella tesa a ricercare la volontà del Legislatore) si dice logica2.

L’interpretazione letterale e logica deve essere integrata con l’interpretazione teleologica che

consiste nella ricerca della ratio attraverso la sola ricostruzione dei lavori preparatori della legge.

Può darsi che le parole (la cosiddetta lettera della legge) riflettano puntualmente questa volontà (ciò

che si dice spirito della legge): si parla allora di interpretazione dichiarativa.

Ma può anche accadere che il Legislatore volesse dire più di quanto non sia dato desumere dal

significato delle parole, con la conseguenza che il senso di queste dovrà essere ampliato, per essere

sintonizzato dall'interprete sulla volontà di chi le ha espresse: in questo caso si parla di

interpretazione estensiva. Un esempio: l'art. 1 delle preleggi (retro, 2.3) indica, tra le fonti del

diritto, le leggi; termine, questo, che deve ritenersi comprensivo, oltre che delle leggi emesse dal

Parlamento (siano esse ordinarie o costituzionali), anche dei decreti legge, dei decreti legislativi e

delle leggi regionali, anche se il Legislatore non lo ha specificato.

Al contrario, può darsi che dalle parole emerga un significato più ampio di quello che il Legislatore

voleva avessero, con la conseguenza che l'interprete dovrà restringerne il senso, per farlo coincidere

con la volontà di chi le ha espresse: si parla allora di interpretazione restrittiva . Un esempio: l'art.

364 c.p. punisce il cittadino che, avendo avuto notizia di un reato contro la personalità dello Stato

per il quale la legge prevede l'ergastolo, non ne fa immediatamente denuncia all'Autorità; questa

disposizione, evidentemente, scatta quando il fatto non sia di dominio pubblico -anche se questa

precisazione non vi è riportata-, ad evitare che i cittadini siano assurdamente tenuti a presentare

denuncia per delitti contro la personalità dello Stato di cui abbiano avuto notizia dai giornali o dalla

televisione.

Si distinguono diversi tipi di interpretazione, a seconda del soggetto che vi fa luogo:

1. interpretazione dottrinale: è quella formulata dalla dottrina (retro, 2.5) e, come già detto,

la sua importanza risiede nel fatto di provenire da persone particolarmente esperte di diritto,

1 I testi normativi devono cioè essere interpretati facendo riferimento in primo luogo al significato letterale delle parole. Il linguaggio legislativo in gran parte coincide con quello comune, si pensi a termini come compravendita, locazione, mediazione ecc. A volte, però, i termini che sono utilizzati dal legislatore hanno un significato tecnico-giuridico molto particolare come ai termini alimenti (art.433 c.c), frutti (art.820 c.c) ecc. Ne consegue che la semplice interpretazione letterale è insufficiente, allora l’interpretazione letterale deve essere integrata con l’interpretazione logica e teleologica. 2 L’interpretazione letterale deve essere integrata dall’interpretazione logica, secondo l’art.12 delle preleggi occorre badare all’intenzione del legislatore.

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per cui i giudici nell'esercizio delle loro funzioni, e lo stesso Legislatore, potrebbero farla

propria nel redigere, rispettivamente, una sentenza e una legge;

2. interpretazione giurisprudenziale: è quella -sappiamo anche questo- data dai giudici

nell'esercizio delle loro funzioni e la sua efficacia è limitata al processo nel quale viene

formulata;

3. interpretazione autentica: è fatta dallo stesso Legislatore, vale a dire dall'organo che a suo

tempo emanò la norma che ora interpreta. Essa, appunto perché proveniente dalla più

qualificata delle fonti, è vincolante, ossia obbliga tutti i destinatari della norma in ordine alla

quale è stata formulata, e retroattiva: la sua efficacia, cioè, decorre non dal momento in cui

l'interpretazione viene fatta, ma da quello, anteriore, in cui la norma interpretata fu varata.

La corretta interpretazione di una norma giuridica richiede che l'interprete tenga conto, oltre che del

significato delle parole attraverso le quali essa è stata formulata, dei seguenti elementi:

• elemento sistematico: ogni norma giuridica fa parte di un sistema, l'ordinamento giuridico,

per cui la sua interpretazione va condotta anche alla luce degli eventuali collegamenti che

essa ha con le altre norme dell'ordinamento;

• elemento storico: può essere utile, in molti casi, ripercorrere l'iter che ha portato al varo di

una determinata norma giuridica, a cominciare dal fatto contingente in seguito al quale essa

fu emanata (occasio legis); circostanza, questa, che consente di meglio chiarire la ratio legis,

ossia lo scopo, la finalità cui tende la norma considerata. A questo proposito giova l'analisi

dei lavori preparatori, intendendosi per essi gli incontri, le proposte, le discussioni e le

modifiche (meglio conosciute, queste ultime, come emendamenti) intervenuti a livello di

deputati e senatori prima che la legge venisse definitivamente approvata; i lavori preparatori

vengono pubblicati, legge per legge, dalle Camere, e, per estratto, sulla gazzetta ufficiale.

INTERPRETAZIONE SISTEMATICA consiste nel coordinamento tra più disposizioni di legge

(di pari grado), nel cogliere le connessioni concettuali esistenti tra la norma da applicare e le restanti

norme presenti sia nel sistema penale, sia negli altri settori dell’ordinamento giuridico

1) Primo esempio: che cosa significa malattia nell’art. 582? Vi rientrano fenomeni come

l’arrossamento della cute, l’ecchimosi, l’ematoma?

È l’interpretazione sistematica, rivolta a cogliere le connessioni concettuali tra l’art. 582 (lesioni

personali) e l’art. 581 (percosse), che consente di stabilire che cosa debba intendersi per malattia

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nei delitti di lesione personale.

La norma confinante con quella relativa alla lesione personale, che configura il delitto di percosse

(art. 581 c.p.), è caratterizzata da un elemento negativo (« chiunque percuote taluno, se dal fatto non

deriva una malattia ») che, segnando lo spartiacque con il delitto di lesione personale, abbraccia

quelle violenze fisiche che si esauriscono, anche nella loro forma più grave, nel cagionare lievi

alterazioni anatomiche – come ecchimosi, ematomi, escoriazioni – e quindi non si traducono in un

processo morboso con apprezzabile riduzione di funzionalità dell’organismo umano; il che spiega la

notevole diversità delle pene comminate dalla legge negli artt. 581 e 582 c.p.: la sola multa per le

percosse; la reclusione da tre mesi a tre anni per le lesioni personali (lievi).

Allora occorrerà attribuire al termine «malattia» un significato che va al di là di “mera alterazione

anatomica” (già compreso nel termine “percossa”), e cioè il significato di produzione di un processo

morboso con apprezzabile riduzione di funzionalità dell’organismo umano.

2) Secondo esempio: che cosa significa “associazione” negli artt. 416 e 416 bis?

Basta il mero ‘accordo’, o è necessario che l’accordo si sostanzi in qualcosa di più ‘consistente’?

Un dato sistematico è illuminante. Gli artt. 304 e 305 c.p. incriminano, rispettivamente, la «

cospirazione politica mediante accordo » (punita con la reclusione da uno a sei anni) e la «

cospirazione politica mediante associazione » (punita più severamente).

ergo: l’associazione è qualcosa di più – di più grave – del mero accordo: è un’entità

necessariamente dotata di una più o meno stabile organizzazione, idonea alla commissione di una

pluralità di reati.

3) Terzo esempio: che cosa significa uomo nell’art. 575? In particolare, pensando al momento

iniziale della vita, chiediamoci se, agli effetti dei delitti di omicidio, possa essere considerato

«uomo» solo il frutto vivo e vitale del concepimento al momento della nascita, ovvero anche il feto,

almeno a partire da un determinato momento (quale?).

Si pensi alla recente vicenda di un soggetto che ha ucciso la propria compagna incinta al nono

mese:

ha egli ucciso un uomo (la compagna) o due uomini (la compagna e il feto al nono mese)?

L’interpretazione sistematica delle fattispecie criminose in tema di omicidio consente di risolvere il

dubbio. Avvicinando la norma che configura il delitto di omicidio doloso (art. 575) a quella che

delinea il delitto di infanticidio (art. 578), è possibile constatare che in presenza di certe condizioni

(« abbandono materiale e morale »), la condotta della « madre che cagiona la morte... del feto

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durante il parto » (art. 578 co. 1 c.p.) è punita con una pena inferiore a quella dell’omicidio.

Ebbene: la madre che uccide il “feto durante il parto” in assenza delle predette condizioni, di quale

reato risponde?

Sarebbe assurdo pensare che la sua condotta sia penalmente irrilevante. La sua azione va, invece,

inquadrata nella fattispecie di omicidio doloso. Ciò significa che il “feto durante il parto” è già un

“uomo”. L’art. 578, insomma, descrive un delitto di omicidio, benché un omicidio punito con pena

meno grave in considerazione delle particolari condizioni di abbandono morale e materiale in cui

versa la madre. Ma in mancanza di quelle condizioni, l’uccisione (da parte della madre o di

chiunque altro) del feto “durante il parto” realizza un omicidio vero e proprio.

Occorre, quindi, concludere che ai fini dell’applicazione dell’art. 575, il “feto durante il parto” è già

“uomo”, può cioè essere il soggetto passivo del delitto di omicidio doloso.

In relazione alla vicenda cui si è fatto cenno (Tizio uccide la propria compagna incinta al nono

mese), occorre concludere nel senso che Tizio ha ucciso un solo uomo e non due (il feto non è qui

considerabile “uomo”, perché non è stato ucciso “durante il parto”, ma in un momento precedente).

INTERPRETAZIONE STORICA consiste nella ricostruzione della volontà espressa dal

legislatore al momento dell’emanazione della norma e/o nella ricostruzione del contesto storico nel

quale la norma si iscrive.

A tal fine risulta utile la consultazione dei lavori preparatori, specie per le leggi di recente, ‘fresca’

emanazione.

L’interpretazione storica non è però un criterio autonomo di interpretazione, ma ha un valore solo

di supporto, di rinforzo rispetto agli altri criteri.

V. ad esempio l’art. 583 bis, laddove esso parla di organi genitali femminili:

• alla lettera esso sembrerebbe fare riferimento sia agli organi genitali esterni (ad es., le

labbra) sia a quelli interni (ad es. le ovaie e le tube);

• in base all’interpretazione storica (basata sui lavori preparatori, dai quali risulta che il

legislatore del 2006 ha avuto presente la fenomenologia delle mutilazioni genitali femminili

così come descritta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità), risulta che, ai fini del delitto

in esame, rilevano solo le aggressioni agli organi genitali esterni.

In ogni caso, la lettera della legge, anche se dilatata a tutti i suoi possibili significati lessicali, ed

eventualmente riletta alla luce dei criteri interpretativi sistematico, a fortiori e storico, rappresenta

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solo il limite esterno imposto all’opera dell’interprete. Entro questo limite, il giudice deve ricorrere

nella materia penale a quella particolare interpretazione sistematica denominata.

24. L’INTEGRAZIONE DEL COMANDO LEGALE. L’ANALOGIA E I PRINCIPI

GENERALI

Quando una controversia non può essere decisa con una specifica disposizione di legge, si provvede

ad analizzare come sono regolamentati dalla legge i casi simili o materie analoghe. Qualora anche

l'analisi dei casi simili e delle materie analoghe non porti ad una chiara interpretazione della volontà

del legislatore, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato. In tal

modo il giudice si sostituisce alle lacune legislative. Questo procedimento è chiamato

"interpretazione analogica" del diritto.

L’ analogia regolamenta una fattispecie concreta in assenza di una specifica norma giuridica,

qualora altre norme regolamentino casi simili o materie analoghe. L'analogia ha il fine di garantire

la completezza dell'ordinamento giuridico.

I presupposti dell'interpretazione analogica nel diritto sono:

• mancanza di una norma che regolamenti espressamente una fattispecie concreta

• presenza di altre norme che regolamentino casi simili o materie analoghe (analogia legis)

Due fattispecie (tra loro distinte) possono avere in comune alcuni elementi sostanziali, tali da

consentire di interpretare la volontà del legislatore ed estenderla anche laddove non vi sono espliciti

riferimenti normativi. Il ricorso all'interpretazione analogica è limitata. L'analogia non si applica

alla materia penale e alle norme eccezioni. Il limite di utilizzo del procedimento analogico è fissato

dall'articolo 14 delle Preleggi.

"Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano

oltre i casi e i tempi in esse considerati " (art. 14 - Preleggi).

Il processo di interpretazione giuridica tramite analogia è previsto nel comma 2 dell'articolo 12

delle Preleggi "Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha

riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora

dubbio, si decide secondo i princìpi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato."

Si ha una analogia legis nel caso in cui altre norme giuridiche regolamentino casi simili o materie

analoghe. Nel caso in cui queste manchino, si ricorre all'analogia iuris traendo dai principi generali

dell'ordinamento giuridico la norma idonea da applicare alla fattispecie concreta.

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25. LE CLAUSOLE GENERALI

Spesso le norme giuridiche contengono termini generici, di significato molto ampio, che non danno

all’interprete un’indicazione precisa, ma soltanto una direttiva di massima e gli consentono quindi

una larga discrezionalità di valutazione. Queste direttive di massima vengono chiamate clausole

generali. Esempio: “il debitore nell’adempiere l’obbligazione deve usare la diligenza del buon

padre di famiglia“.

Ma cosa si intende “buon padre di famiglia“?

Altre clausole generali sono: giusta causa, grave motivo, correttezza, buon costume.

Nell’applicare questi concetti il giudice dovrà innanzitutto rispettare la direttiva che esse

eventualmente esprimono; così per esempio, il concetto di buon costume rinvia ad un determinato

tipo di valori riconosciuti nella società.

Una menzione particolare spetta al concetto di equità (v. pagine precedenti): l’equità si contrappone

alla rigidità della norma giuridica, esprimendo l’ideale di una giustizia perfettamente adeguata alle

particolarità di ogni caso. La rigidità della norma ed il suo carattere generale, in alcuni casi e

secondo un comune senso di giustizia, danneggerebbe particolari casi che, in quanto tali, devono

essere giudicati ed interpretati secondo equità, derogando all’applicazione rigida della legge. Ciò

consente al giudice di poter emettere sentenze “giuste”, anche se in deroga di norme specifiche, ma

mantenendo la visione dei valori generali dell’ordinamento giuridico. Può accadere che il giudice

non solo non trovi una norma che preveda il caso da risolvere, ma non trovi neppure norme relative

a casi analoghi a materie simili, delle quali fare applicazione analogica. Egli dovrà quindi decidere

secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato. Questi non sono principi sanciti

da testuali norme di leggi, altrimenti il giudice avrebbe una norma della quale fare applicazione

diretta, ma sono principi non scritti che si ricavano per induzione da una pluralità di norme e che

rappresentano le direttive fondamentali cui pare essersi ispirato il legislatore.

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SEZ. VII – CONCETTO DEL DIRITTO E PARTIZIONI FONDAM ENTALI

26. IL SOGGETTO DI DIRITTO

La nozione di soggetto di diritto, che indica il centro di riferimento e di imputazione delle varie

situazioni giuridiche, va distinti dall’idea del soggetto come protagonista di attività giuridiche.

Soggetto di diritto è innanzitutto la persona umana in quanto destinataria potenziale e fine ultimo di

tutto il sistema giuridico.

La qualità di soggetto di diritto può essere assunta anche da entità diverse dall’uomo, le

organizzazioni collettive, le quali sono suscettibili di divenire anch’esse centro di imputazione

ovvero titolari di diritti e obblighi, secondo misure e gradazioni diverse, collegabili alla natura ed

agli scopi dell’organizzazione come pure alle valutazioni dell’ordinamento giuridico.

In passato invece era prevalente la dottrina che negava il riconoscimento delle organizzazioni

collettive come soggetti di diritto in quanto prive dell’attributo di persona giuridica.

27. DIRITTO SOGGETTIVO E INTERESSI LEGITTIMI

Il diritto soggettivo è costituito da un potere, attribuito alla volontà del soggetto e garantito

dall’ordinamento, per conseguire il soddisfacimento dei propri interessi. Gli elementi costitutivi

sono due: interesse e volontà.

Ha un proprio contenuto, formato da quelle che vengono dette le facoltà giuridiche e che sono

semplici manifestazioni del diritto stesso.

Spesso si usa il termine diritto per parlare di facoltà: in effetti le facoltà non hanno vita indipendente

da quella del diritto cui ineriscono, possono anche mancare, senza che il diritto venga meno; così il

diritto di proprietà non si estingue per il solo fatto che il proprietario non possa godere della cosa

sulla quale gravi un diritto d’usufrutto.

Accanto ai diritti soggettivamente tutelati, tuttavia esistono situazioni accordate a persone o a

gruppi variamente qualificati: si parla quindi di diritto al lavoro, all’abitazione, all’informazione e

simili.

Dal diritto soggettivo si distinguono le aspettative di diritto che sono quelle situazioni in corso di

formazione per eventualmente diventare diritti veri e propri.

Non tutti gli interessi dei singoli vengono tutelati. L’interesse umano, per essere tutelato, deve

essere riconosciuto come diritto soggettivo. E non tutti gli interessi lo sono.

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Gli interessi legittimi attribuiscono ai soggetti che ne sono titolari i poteri idonei ad influire sul

corretto esercizio del potere amministrativo, in modo da rendere possibile la realizzazione

dell’interesse al bene.

Nell’ambito della disciplina giuridica cui è sottoposta anche l’attività della P.A., si distinguono le

norme di azione che riguardano il funzionamento degli enti, dalle norme di relazione che toccano i

rapporti tra enti e cittadini. Le prime non fanno sorgere, a favore dei cittadini, dei diritti soggettivi.

L’interesse legittimo è la posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene

della vita oggetto di un provvedimento amministrativo e consistente nell’attribuzione a tale soggetto

di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere in modo da rendere possibile la

realizzazione dell’interesse al bene.

Questi diritti non trovano tutela in sede civile, ma davanti al giudice amministrativo. Sono ritenuti

degli di tutela solo in quanto coincidenti con interessi della P.A. e nei limiti di quest’ultimi

potevano essere tutelati unicamente presso i TAR, che in determinate materie potevano conoscere

anche di questioni relative a diritti soggettivi senza poter tuttavia condannare la P.A. all’eventuale

risarcimento. In tal caso poteva verificarsi una duplicazione di giurisdizione:

• tutela degli interessi lesi davanti al giudice amministrativo per l’annullamento del

provvedimento illegittimo

• condanna al risarcimento del danno cagionato dall’esecuzione di quel provvedimento

davanti al giudice ordinario.

Questa era un’ipotesi di diritto affievolito : originaria situazione di diritto soggettivo incisa da un

provvedimento illegittimo annullato dal giudice con effetto ripristinatorio retroattivo della

situazione precedente.

Questo quadro normativo ha subito delle modifiche:

• d. lgs. 80/1998 ha attribuito al giudice amministrativo, nelle materie di giurisd. esclusiva, il

potere di condannare la P.A. al risarcimento dei danni conseguenti alla violazione di diritti

soggettivi

• sent. 500/1999 con cui la Cassazione ha statuito che:

o anche l’illecita lesione di un interesse legittimo da cui sia derivato al titolare un

danno ingiusto comporta il sorgere di un diritto soggettivo al risarcimento

o la pretesa al risarcimento del danno ingiusto costituisce un autonomo diritto

soggettivo

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o la norma sulla responsabilità aquiliana non è una norma volta a sanzionare una

condotta vietata da altre norme, ma volta ad apprestare una riparazione del danno

ingiustamente sofferto da un soggetto per effetto dell’attività altrui

o il danno ingiusto, chiunque ne sia l’autore e qualunque sia la natura giuridica del

fatto o dell’atto causativo deve essere risarcito

• l. 21 luglio 2000, n. 205 con la quale il legislatore ha dettato nuove disposizioni circa il

riparto giurisdizionale in materia risarcitoria attribuendo al giudice amministrativo la

competenza a disporre il risarcimento nell’ambito di tutta la propria giurisdizione, ossia non

solo relativamente alle materie di giurisdizione esclusiva, ma anche nell’ambito della

giurisdizione di legittimità

Gli interessi legittimi ed i diritti soggettivi costituiscono posizioni soggettive astrattamente costruite

ed elaborate sul presupposto della titolarità individuale; a livello sociale e, per conseguenza, anche a

livello giuridico si sono progressivamente sviluppate situazioni giuridiche non riferibili a soggetti

individuali ma a gruppi di persone accomunate da un interesse ad un bene della vita condiviso; tali

situazioni soggettive sono gli interessi diffusi. Ove, poi, tali interessi riferibili ad una comunità di

individui siano, altresì caratterizzati, dal fatto che tale comunità si sia organizzata mediante la

costituzione di un ente preposto alla tutela dei medesimi, essi vengono definiti ed individuati come

interessi collettivi.

Gli interessi collettivi sono, dunque, quegli interessi legittimi che fanno capo ad un ente

esponenziale di un gruppo non occasionale, mentre gli interessi diffusi fanno capo ad una

formazione sociale non organizzata e non individuabile autonomamente.

Con riferimento agli interessi collettivi, il problema di maggior rilievo ha investito l'individuazione

dei requisiti della legittimazione ad agire a tutela di tali interessi per gli enti esponenziali della

collettività. Nulla quaestio, al riguardo, per gli enti pubblici istituzionalmente preposti alla tutela

degli interessi di categoria (si pensi, ad esempio, agli ordini professionali) mentre un discorso più

complesso involge gli enti autonomamente costituiti per la tutela di interessi diffusi.

La giurisprudenza ha, al riguardo, percorso un laborioso cammino i cui passaggi essenziali possono essere così

individuati. In una prima fase, si è ritenuta l'essenzialità del possesso della personalità giuridica in capo all'ente

esponenziale; a fronte delle critiche rivolte a tale criterio selettivo, in relazione alla necessità di riconoscere la

legittimazione anche in capo agli enti dotati della sola soggettività giuridica, la giurisprudenza ha rivolto la sua

attenzione su altri indici qualificanti.

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In primo luogo ha richiesto che statutariamente l'ente avesse, tra i suoi fini, la protezione dell'interesse facente capo

alla collettività organizzata.

In secondo luogo, la verifica ha riguardato l'idoneità dell'ente a perseguire la finalità statutaria in relazione alla sua

organizzazione; al riguardo particolare attenzione è stata rivolta al carattere di stabilità che deve connotare l'attività

dell'ente.

In terzo luogo, si è ritenuto rilevante il parametro dello stabile collegamento territoriale con l'area di dislocazione

dell'interesse facente capo alla collettività rappresentata.

Secondo una parte della dottrina, peraltro, con riferimento alla legittimazione a ricorrere in sede giurisdizionale per la

tutela di interessi collettivi, un'estensione generalizzata a tutti gli enti portatori di interessi diffusi sarebbe stata

determinata dall'art. 9 della L. n. 241 del 1990 che ne consente, in via generalizzata, la legittimazione alla

partecipazione ai procedimenti amministrativi che coinvolgano detti interessi. Altra tesi respinge questo assunto

ritenendo che la partecipazione procedimentale e la legittimazione processuale siano posizioni ontologicamente

distinte e che dalla ricorrenza dell'una non si possa inferire la ricorrenza dell'altra. Tale dottrina distingue, peraltro, il

caso in cui gli enti esponenziali siano titolari di interessi alla partecipazione procedimentale di carattere difensivo (nel

qual caso ammette la possibilità del parallelismo) dal caso in cui siano titolari di interessi alla partecipazione

procedimentale di carattere collaborativo (nel qual caso il parallelismo sarebbe da escludere).

Con riferimento specifico agli interessi diffusi di natura ambientale, l'individuazione degli enti esponenziali

demandati alla loro tutela è rimessa ad uno specifico d.p.r. (cfr. l'art. 13 della L. n. 349 del 1986); tale norma è stata,

peraltro, ritenuta non preclusiva della legittimazione a ricorrere in capo ad enti dotati di requisiti di rappresentatività da

verificarsi di volta in volta.

L'ente esponenziale degli interessi collettivi può, dunque, essere della più varia natura ma deve caratterizzarsi per

un'organizzazione funzionalizzata alla protezione degli interessi di categoria.

Sotto il profilo delle forme di tutela degli interessi collettivi, oltre alla possibilità, per gli enti esponenziali, di ricorrere

giudizialmente per la loro tutela dinanzi al GA, deve, in particolare, sottolinearsi la, già accennata, possibilità di

partecipare ai procedimenti amministrativi che riguardano detti interessi collettivi. Numerose sono le fonti

normative che sanciscono tale legittimazione procedimentale. Al riguardo l'art. 9 della L. n. 241/1990 chiaramente

dispone la legittimazione in favore dei portatori di interessi pubblici o privati ed in favore dei portatori di interessi

diffusi costituiti in associazioni, di partecipare ai procedimenti amministrativi relativi a tali interessi e dai quali possa

nascere un pregiudizio.

La legittimazione alla partecipazione in favore dei portatori di interessi collettivi è, anche, prevista dal Testo Unico

sugli enti locali (D.Lgs. n. 267 del 2000) che stabilisce come negli Statuti delle Province e dei Comuni debbano essere

previste procedure per la presentazione di istanze da parte di cittadini singoli e associati per la migliore tutela degli

interessi collettivi.

Deve, poi, citarsi anche l'art. 4 del D.P.R. n. 184 del 2006 che estende le modalità per l'accesso ai documenti

amministrativi anche ai portatori di interessi collettivi e diffusi.

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28. LE POTESTÀ GIURIDICHE E I DIRITTI POTESTATIVI

La facultas agendi può anche essere il contenuto di altre situazioni soggettive e particolarmente

delle potestà attribuite al singolo per il soddisfacimento di interessi che no sono direttamente suoi

(es. potere del rappresentante, dell’esecutore testamentario, ecc.).

Accanto alle potestà esiste una categoria di diritti soggettivi nei quali invece l’interesse dello stesso

soggetto agente è tutelato mediante il riconoscimento di poteri diretti a creare, modificare o

estinguere una situazione con una manifestazione unilaterale della sua volontà: cioè diritti

potestativi. Essi non attribuiscono al titolare un’immediata signoria sulla cosa, né una posizione di

pretesa rispetto a singoli obbligati. La realizzazione dell’interesse si attua indipendentemente da

colui che deve subirne gli effetti.

29. DIRITTO, OBBLIGO E SOGGEZIONE. IL RAPPORTO GIUR IDICO.

Il diritto è un modo di essere nelle relazioni fra gli uomini. Considera e regola le varie situazioni di

fatto della vita sociale con il riconoscimento dei vari interessi in gioco.

Diritto è la ragola a cui si devono adeguare tutti i soggetti nella loro vita.

Obbligo è la situazione giuridica soggettiva del soggetto di diritto che deve tenere un certo

comportamento imposto dalla norma nell'interesse di un altro soggetto, che lo può pretendere da

uno o più soggetti determinati (non, quindi, da chiunque). Questa pretesa è una particolare specie di

diritto soggettivo.

Soggezione si indica la situazione giuridica soggettiva del soggetto che, pur non essendo gravato da

un obbligo a tenere un certo comportamento, deve tuttavia subire gli effetti giuridici dell'esercizio

del potere altrui. Il termine ricorda la situazione di chi è "soggetto" all'altrui autorità. Un esempio di

soggezione è quello del minorenne nei confronti dei genitori (o di chi ne fa le veci) che esercitano

un potere nel suo interesse (si tratta, quindi, più precisamente di un potere-dovere, ossia una

potestà).

Si ha la figura dell’onere quando ad un soggetto è attribuito un potere , ma l’esercizio di tale potere

è condizionato ad un adempimento. L’adempimento non è obbligatorio e quindi non sanzionabile,

ma senza di esso non si beneficia del potere conferito.

Il rapporto tra due parti regolato da un vincolo giuridico porta a formare una situazione in cui una

parte è portatrice di un diritto da difendere e l’altra è subordinata allo stesso dall’ordinamento

giuridico.

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Tale rapporto è il rapporto giuridico . Bisogna specificare che tutto il diritto è legato a questo tipo

di rapporto, cioè non c’è diritto senza un rapporto tra persone titolari di diritti ed obblighi.

30. L’ESERCIZIO DEL DIRITTO, LA TUTELA DEI DIRITTI E IL DIRITTO DI AZIONE

In seguito a una lesione, il soggetto non può direttamente provvedere per i rispetto del proprio

diritto e la reintegrazione dell’ordine turbato; esso ha il potere di chiedere l’intervento dello Stato a

propria difesa, ha cioè il potere di azione. L’azione è un diritto di natura pubblicistica e si configura

come pretesa verso lo stato. Quasi un compenso che lo Stato dà alla persona nel momento in cui le

toglie il potere di farsi giustizia da sé.

Per proporre una domanda in giudizio e contraddire alla stessa è necessario avervi interesse e che vi

sia una relazione soggettiva tra interesse e diritto che si fa valere.

Il convenuto si difende per mezzo di eccezioni e, talvolta, contrapponendo l’esistenza di un fatto

impeditivo-modificativo-estintivo, che distrugge in tutto o in parte la pretesa dell’attore.

Non tutti i diritti vengono difesi con l’azione; talvolta è riconosciuta l’eccezione (art. 1933 debito di

gioco).

31. CLASSIFICAZIONE DEI DIRITTI

Diritti patrimoniali sono quelli che attribuiscono al titolare un’utilità di carattere economico;

quindi una somma di denaro, oppure qualsiasi cosa il cui valore possa esser indicato con una

somma di denaro.

Diritti non patrimoniali comprende tutti quei diritti che attuano interessi di tipo morale.

Comprendono i diritti personalissimi e i diritti di famiglia.

Diritti assoluti sono quelli che possono esser fatti valere nei confronti di qualsiasi persona; il

titolare di un diritto assoluto può esigerne il rispetto da parte di chiunque; il diritto alla propria

integrità fisica è un diritto assoluto perché chiunque è tenuto a rispettare l’integrità fisica altrui.

Diritti relativi sono quelli che possono esser fatti valere soltanto nei confronti di una determinata

persona; il titolare di un diritto soggettivo può esigerne il rispetto soltanto da parte della persona che

ha l’obbligo di dare soddisfazione al suo diritto. Per esempio il diritto di ottenere in restituzione la

somma di un denaro che si è dato in prestito è diritto relativo perché soltanto la persona che l’ha

avuta in prestito è tenuta a restituirla.

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Diritti trasmissibili che per loro natura possono essere trasmessi a seguito di eventi ad altri

individui (nascita, matrimonio, morte, ecc.)

Diritti intrasmissibili che per loro natura non sono trasmissibili a nessun altro soggetto (diritto al

nome, ecc.).

Diritti accessori che hanno vita e vengono trasmessi solo in relazione con altri diritti principali per

cui vengono ad esserne dipendenti. La loro sorte dipende dai diritti principali e come nascono i

primi dai secondi, così si estinguono (pegno, ipoteca, ecc.)

Diritti principali che danno vita a quelli accessori e che ne regolano l’esistenza. Senza di essi non

esisterebbero nemmeno quelli accessori.

32. DIRITTI REALI E DIRITTI DI OBBLIGAZIONE (O DI C REDITO)

Diritti di obbligazione o di credito consistono nella pretesa a esigere una determinata prestazione

da una determinata persona, quindi sono relativi. L’oggetto è una prestazione del debitore, tale

azione può essere positiva (pagare una somma, svolgere un lavoro) o negativa (astenersi dal fare

concorrenza). Lo strumento con il quale viene soddisfatto il diritto di credito è l’obbligazione. Tale

diritto segue solo ed esclusivamente il debitore. Sono forniti di un’actio in personam che va diretta

nei confronti del soggetto passivo del rapporto obbligatorio.

Diritti reali hanno per oggetto le cose, sono assoluti e garantiscono il soddisfacimento del

creditore, con preferenze rispetto agli altri creditori, nei confronti dei loro debitori. E’ in relazione

con la cosa, aderisce ad essa e la segue presso chiunque. La caratteristica dei diritti reali è la

indeterminatezza delle persone soggette al potere del titolare. Sono soltanto quelli tipicamente

previsti e regolati dalla legge. Hanno a difesa un’actio in rem esperibile contro chiunque.

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Sez. VIII – I FATTI E GLI ATTI GIURIDICI

33. IL CONCETTO DI FATTO GIURIDICO. L’ACQUISTO, LA PERDITA DEI DIRITTI E

LA SUCCESSIONE

La legge procede per comandi astratti in relazione alle vicende del mondo giuridico. Dalla legge

non sorgono direttamente situazioni giuridiche soggettive, ma essa prevede e regola le cause del

sorgere, del modificarsi o dell’estinguersi dei diritti: tali cause sono i fatti giuridici.

Sono fatti giuridici, tutti quegli avvenimenti che producono effetti rilevanti per il diritto. Quindi fatti

giuridici si definiscono come quelli accadimenti, naturali o umani, ai quali l’ordinamento ricollega

la produzione di effetti giuridici. Cioè la costituzione, la modificazione, o l’estinzione di rapporti

giuridici. Per esempio la nascita è un fatto al quale la legge collega l’esistenza di molti diritti;

l’accordo in cui consiste il contratto di compravendita è un fatto al quale la legge riconosce la

conseguenza, molto importante, del trasferimento di proprietà dall’uno all’altro contraente, cioè la

modificazione soggettiva di un diritto.

I fatti che portano all’acquisto di un diritto ne costituiscono il titolo; ma il diritto così come si

acquista, si può anche perdere per varie cause: morte del titolare, decorso del tempo, rinunzia.

L’acquisto avviene a titolo derivativo ( c.d. successione ), quando il diritto viene acquistato per

effetto di un rapporto con persona legittimata, o originario quando manca tale rapporto.

È molto importante distinguere i fatti giuridici che costituiscono acquisti a titolo derivativo, da

quelli che costituiscono acquisti originari perché ai primi si applica il principio secondo cui

“nessuno può trasferire ad altri maggiori diritti di quelli che egli stesso ha”.

La successione consiste nella trasmissione della titolarità del diritto da una persona (autore o dante

causa) ad un’altra (successore o avente causa): essa può avvenire per atto tra vivi (compravendita)

o mortis causa (eredità); è particolare, quando si subentra in un singolo rapporto giuridico o in più

rapporti determinati, o universale quando si succede nell’intera posizione giuridica patrimoniale.

34. CIRCOSTANZE DEI FATTI GIURIDICI. LO SPAZIO. IL TEMPO E IL SUO

DECORSO

Particolare rilievo, per il diritto, viene dato allo spazio e al tempo, che più che fatti giuridici veri e

propri, vanno considerati modi di essere dei fatti giuridici.

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Il tempo rappresenta la dimensione temporale in cui si realizza il fatto giuridico, mentre il luogo

costituisce la dimensione spaziale in cui si collega il fatto giuridico (dimora, possesso, distanze e

misure, ecc.). Il tempo viene misurato per mezzo di un calendario comune che è il calendario

Gregoriano al quale ci si riferisce sempre sia per un giorno fisso sia per una ricorrenza. Il decorso di

un determinato periodo di tempo, insieme con altri elementi può dar luogo: all’acquisto di un

diritto o all’estinzione. Nel primo caso possiamo prendere in considerazione l’usucapione come

modo di acquisto di un diritto, nel secondo caso abbiamo l’istituto della prescrizione e della

decadenza. La prescrizione costituisce un importante modo generale di estinzione dei rapporti

giuridici per inerzia del titolare del diritto. Infatti secondo l’art. 2954, ogni diritto si estingue per

prescrizione quando il titolare non l’esercita per un periodo di tempo determinato dalla legge. Non

sono però soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge. La

decorrenza consiste nella perdita della possibilità di esercitare un diritto per il mancato compimento

di una determinata attività, o di un dato atto, nel termine perentorio stabilito dalla legge. Quindi il

fondamento della decadenza, a differenza della prescrizione, non risiede nel fatto soggettivo

dell’inerzia del titolare, ma nel fatto oggettivo del mancato esercizio del diritto nel tempo stabilito.

Ci sono delle particolari regole per il computo del tempo:

• se il periodo di tempo viene espresso in anni, mesi o giorni, a partire da un dato momento,

esso è compiuto allo scadere dell’anno, del mese o del giorno indicato senza tener conto se

l’anno sia bisestile, o se il mese abbia un numero maggiore o minore di giorni

• i giorni si calcolano sempre interi, dalla mezzanotte alla mezzanotte successiva

• si trascura la frazione del giorno iniziale in cui è accaduto il fatto dal quale ha inizio il

decorso del tempo

• il giorno iniziale non viene calcolato; il giorno finale si

• il tempo utile è quello durante il quale è possibile compiere alcuni atti giuridici per cui

vengono esclusi i giorni festivi

• il tempo continuo comprende anche i giorni festivi

• la regola è che viene calcolato il tempo continuo, ma se il giorno di scadenza è festivo, il

termine finale viene protratto al primo giorno successivo non festivo.

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35. CLASSIFICAZIONE DEI FATTI GIURIDICI E DEGLI ATT I UMANI IN

PARTICOLARE

I fatti giuridici possono essere sia accadimenti naturali (es. nascita di frutti su di un albero) sia fatti

compiuti consapevolmente e volontariamente dall’uomo.

Gli atti giuridici si distinguono in:

• atti illeciti , che costituiscono la violazione di un obbligo

• atti leciti , conformi all’ordinamento giuridico. Si distinguono in:

o atti dovuti che vengono compiuti nell’adempimento di un obbligo e non creano

nuove dirette conseguenze giuridiche che derivino dalla volontà del soggetto (ad. il

pagamento: non interessa la volontà di chi lo compie)

o atti necessari o necessitati che vengono compiuti nell’adempimento di un onere

o negozi giuridici che sono costituiti da manifestazioni di volontà diretta ad ottenere

determinati effetti giuridici nei quali le modificazioni nelle situazioni giuridiche sono

direttamente legate alla volontà di chi pone in essere l’atto

o atti giuridici in senso stretto che consistono in quegli atti umani leciti, rilevanti le

cui conseguenze giuridiche non sono stabilite dalla volontà di chi li pone in essere,

ma sono preordinate dalla legge

o atti reali od operazioni materiali sono caratterizzati dal fatto che la disciplina è

dettata in relazione a un evento esteriore. L’effetto è collegato alla volontarietà

dell’atto e non alla volontà delle sue conseguenze

o dichiarazione di scienza o di verità si ha quando un atto ha la funzione di affermare

ciò che è o si sa (ad es. la confessione e tutti gli atti che servono a documentare come

la registrazione nei libri di commercio)

36. LA CONOSCENZA DEI FATTI GIURIDICI. COMUNICAZION E E INFORMAZIONE

Nulla di particolarmente interessante..o meglio ci sono solo cenni su argomenti che verranno poi

trattati in maniera pi ampia nei capitoli successivi.

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SEZ. IX – IL SISTEMA DEL DIRITTO PRIVATO

37. IL CODICE E IL SISTEMA DEL DIRITTO PRIVATO

Fra tutte le leggi dello Stato, particolare importanza hanno i codici (civile, penale, procedura civile e

penale)

Il termine Codice indica una raccolta di norme che disciplinano un aspetto particolare e concreto

dell’ordinamento giuridico.

Il Codice Civile italiano costituisce, insieme alla Costituzione della Repubblica Italiana ed alle leggi

speciali una delle fonti del diritto civile.

La codificazione del diritto civile moderno in Italia è stata influenzata in modo decisivo dalla

codificazione francese.

Il Code civil des français, o Code Napoléon, costituisce in effetti la base del Codice civile italiano

del 1865 (detto Codice Pisanelli, dal nome del ministro Guardasigilli di allora.

Il primo Codice Civile della Penisola italiana è il Codice Civile Albertino emanato da Carlo Alberto

con l'editto del 20 giugno 1837. L'editto promulgava il codice civile per gli Stati di sua maestà il re

di Sardegna, perché entrasse in vigore il 1° Gennaio del 1838. La versione di codice civile unitario

fu elaborato negli anni successivi all'unità d'Italia sulla base del Codice di Carlo Alberto, ed entrò in

vigore nel 1865. Anche questo conteneva una normativa in grandissima parte simile al code

Napoléon; ed aveva la stessa struttura del modello al quale si ispirava: era diviso in tre libri,

intitolati il primo "Delle persone", il secondo "Dei beni, della proprietà e delle sue modificazioni", il

terzo "Dei modi di acquistare e di trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle cose".

Il Codice Civile oggi vigente in Italia (approvato con Regio decreto 16 marzo 1942, n.262), che ha

sostituito quello del 1865, è il Codice emanato nel 1942 e contiene differenze rilevanti rispetto al

modello della tradizione francese e italiana dell'Ottocento. Esso risente, oltre che di tale tradizione,

anche dell'influenza di un altro modello di codice civile, più recente, che ha avuto un'importanza

straordinaria per l'evoluzione della scienza giuridica italiana della prima metà del Novecento: si

tratta del Bürgerliches Gesetzbuch del 1900.

Il Codice Civile del 1942 ha una particolarità unica tra i codici civili europei: contiene sia la

disciplina del diritto civile sia la disciplina del diritto commerciale, che in precedenza erano dettate

in due codici diversi.

È composto da 2969 articoli suddividi in sei libri:

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• Libro Primo - Delle Persone e della Famiglia, artt.1-455 - contiene la disciplina della

capacità giuridica delle persone, dei diritti della personalità, delle organizzazioni collettive,

della famiglia;

• Libro Secondo - Delle Successioni, artt. 456-809 - contiene la disciplina delle successioni a

causa di morte e del contratto di donazione;

• Libro Terzo - Della Proprietà, artt. 810-1172 - contiene la disciplina della proprietà e degli

altri diritti reali;

• Libro Quarto - Delle Obbligazioni, artt. 1173-2059 - contiene la disciplina delle obbligazioni

e delle loro fonti, cioè principalmente dei contratti e dei fatti illeciti (la cosiddetta

Responsabilità civile);

• Libro Quinto - Del Lavoro, artt.2060-2642 - contiene la disciplina dell'impresa in generale,

del lavoro subordinato e autonomo, delle società aventi scopo di lucro e della concorrenza;

• Libro Sesto - Della Tutela dei Diritti, artt. 2643-2969 - contiene la disciplina della

trascrizione, delle prove, della responsabilità patrimoniale del debitore e delle cause di

prelazione, della prescrizione.

Come premessa del Codice civile italiano vi sono le cosiddette disposizioni sulla legge in generale,

ovvero disposizioni preliminari al codice civile o preleggi, un insieme cioè di 31 articoli .

Il primo capo (artt. 1-9) delinea le fonti del diritto. Il secondo riguarda l'applicazione della legge in

generale.

Fra i principi generali che vengono affermati vi sono:

• la vacatio legis di 15 giorni (art. 10)

• l'irretroattività della legge (art.11)

• varie norme sull'interpretazione della legge (art. 12)

• il divieto di interpretazione analogica di leggi penali e eccezionali (art. 14)

• le norme sull'abrogazione (art. 15)

Oltre alle preleggi, il legislatore, dopo il Codice Civile, ha aggiunto 256 articoli che vanno ad

identificare le disposizioni transitorie e finale al Codice Civile, cioè tutte quelle norme che regolano

il periodo di passaggio dal vecchio ordinamento giuridico del Codice napoleonico con il nuovo del

1942 disciplinando tutte le situazioni pendenti di cui non si sapeva come applicare il diritto, se

secondo il nuovo o il vecchio codice.

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SEZ. X – I MEZZI DI STUDIO DEL DIRITTO PRIVATO. BIB LIOGRAFIA ESSENZIALE

38. CENNI SUI MEZZI DI STUDIO DELLA MATERIA

Nulla di importante

39. PUBBLICAZIONI PERIODICHE DI LEGGI, DI GIURISPRU DENZA E DOTTRINA E

RACCOLTE SISTEMATICHE

Per quanto riguarda le disposizioni legislative:

• Gazzetta ufficiale

• Lex

• Le leggi

• Repertori annuali

Per quanto riguarda i codici:

• Codice civile e leggi collegate

• Codice civile e leggi complementari a cura di diversi autori

• Codice civile annotato con la giurisprudenza

Per la giurisprudenza:

• La Giurisprudenza italiana

• Il Foro italiano

• Giustizia civile

• Il Foro padano

• Diritto e Giurisprudenza

• Ecc.

Per la dottrina:

• Rivista di diritto civile

• Rassegna del diritto civile

• Diritto privato

• Ecc.

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40. COMMENTARI, TRATTATI GENERALI DI DIRITTO CIVILE E COMMERCIALE

• Commentario breve al codice civile

• Commentario al codice civile

• Trattato di diritto civile a cura di vari autori

41. L’INFORMATICA GIURIDICA

Può essere suddivisa in gestionale, studia i processi d’infrastruttura o mezzi strumentali con cui è

organizzata l’amministrazione della giustizia, e documentaria, ha a che fare con il trattamento

automatizzato delle fonti di cognizione attraverso sistemi di aggiornamento legislativo,

giurisprudenziale e dottrinale.

Tra le principali ricordiamo:

• CED Centro elettronico di documentazione

• Juris data

Ed ancora, possiamo distinguere tra informatica giuridica decisionale, intesa come tecnica della

produzione di norme giuridiche, e giuritecnica, intesa come tecnica dell’interpretazione delle

disposizioni di diritto positivo, mediante l’elaborazione e l’utilizzo di data-base con cui reperire

legislazione, giurisprudenza e dottrina.