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6049 2 a TORNATA DEL 26 MARZO TORNATA DEL 26 MARZO 1863 PRESIDENZA DEL COMMENDATORE TECCHIO, PRESIDENTE SOMMARIO. Relazione dì petizioni in favore della Polonia ~ Dispaccio di alcuni cittadini di Fano in favore della Polonia — Conclusioni della Commissione per l'invio delle petizioni al M inistero — Discorso del mi- nistro per gli affari esteri, Visconti-Venosta, circa la condotta e gVintendimenti del Governo, e sua adesione alle conclusioni della Giunta —Considerazioni, e proposta del deputato Siccoli —Discorso del deputato Mor- timi, e sua proposta in appoggio delle petizioni — Nuove spiegazioni del ministro — Discorso del deputato Maèsarani — Discorso del deputato, Boggìo—Spiegazioni personali del deputato Curzio —Proposizione del deputato Crispi, e di diciotto altri —Proposta di rinvio del deputato Ferrari —Incidente sulla chiusura — La discussione è rinviata. La seduta è aperta alle ove otto e mezzo pomeri- diane. KEIi AKIOBi E »1 PETIZIONI. PRESIDEHTE. E all'ordine del giorno la relazione delle petizioni relative alla Polonia. La Presidenza ha ricevuto questo dispaccio da Fano : « Riunione popolare Fanese tenuta ora, vi prega presentare Parlamento italiano voto seguente: che l'I- talia appoggi con ogni miglior mezzo gli sforzi del ge- neroso popolo polacco per redimersi dall'oppressione straniera, e costituirsi in nazione indipendente con un Re galantuomo come il nostro. {Ilarità) « CAMILLO FRANCESCHI, presidente. » Il relatore delle petizioni è invitato a venire alla rin- ghiera. (Petizioni per la ricostituzione della Poloisia.) bamìAsti, relatore. {Movimento di attenzione) Si- gnori! Le petizioni che ho il mandato di riferirvi in questa tornata straordinaria non sono reclami per ri- parazione di private ingiustizie, ma sono bensì dichia- razioni di principii, manifestazioni popolari di voti d'innumerevoli Italiani, concernenti il più grave at- tuale argomento della politica internazionale, la causa della Polonia. E prima di discorrere paratamente delle singole petizioni mi corre obbligo di fare osservare come alle espressioni di vivo e sincero affetto per la causa po- lacca, alle affermazioni le più assolute dei principii che sono comuni a tutti i popoli che si travagliano por l'acquisto della loro nazionalità, il senno politico degli Italiani seppe accoppiare la moderazione nel formulare le conclusioni delle loro petizioni, ispirandosi alle neces- sità delle nostre condizioni politiche interne ed esterne. Le petizioni indirizzate a quest'Assemblea si pos- sono dividere in due categorie: la prima comprende quelle che non specificano quale esser debba l'azione del Governo per la ricostituzione della nazionalità po- lacca, cbe non dicono, cioè, se l'azione debba essere diplomatica o militare; là seconda abbraccia quelle che dimandano che si venga in aiuto alla Polonia, subordi- nando ogni eventualità di guerra però alla conserva- zione ed al progresso delle nostre libertà e delle nostre istituzioni. Fra quelle della prima categoria venne avanti le altre presentata la petizione 8889, sottoscritta da otto petenti senza qualificazione di condizione sociale, i quali tanto in loro nome, quanto in quello d'interpreti de' voti manifestati nell'adunanza popolare numerosis- sima tenuta il giorno 13 marzo in Torino, dimandano alla Rappresentanza nazionale, onde voglia nel modo più efficace «invitare il Governo del Re, in adempi- mento de' legittimi desiderii del paese, a porre in opera energicamente tutti i mezzi i più risoluti e più pronti di cui disponesse in aiuto della Polonia, in guisa, che l'Italia sia sempre ed in tutto a nessuno seconda in una impresa più di qualunque altra civile, giusta, onorata e nazionale. »

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2a TORNATA DEL 26 MARZO

TORNATA DEL 26 MARZO 1863

PRESIDENZA DEL COMMENDATORE TECCHIO, PRESIDENTE

SOMMARIO. Relazione dì petizioni in favore della Polonia ~ Dispaccio di alcuni cittadini di Fano in favore della Polonia — Conclusioni della Commissione per l'invio delle petizioni al Ministero — Discorso del mi-nistro per gli affari esteri, Visconti-Venosta, circa la condotta e gVintendimenti del Governo, e sua adesione alle conclusioni della Giunta — Considerazioni, e proposta del deputato Siccoli — Discorso del deputato Mor-timi, e sua proposta in appoggio delle petizioni — Nuove spiegazioni del ministro — Discorso del deputato Maèsarani — Discorso del deputato, Boggìo—Spiegazioni personali del deputato Curzio — Proposizione del deputato Crispi, e di diciotto altri — Proposta di rinvio del deputato Ferrari — Incidente sulla chiusura — La discussione è rinviata.

La seduta è aperta alle ove otto e mezzo pomeri-diane.

KE I i AKI OB i E » 1 P E T I Z I ON I .

PRESIDEHTE. E all'ordine del giorno la relazione delle petizioni relative alla Polonia.

La Presidenza ha ricevuto questo dispaccio da Fano :

« Riunione popolare Fanese tenuta ora, vi prega presentare Parlamento italiano voto seguente: che l'I-talia appoggi con ogni miglior mezzo gli sforzi del ge-neroso popolo polacco per redimersi dall'oppressione straniera, e costituirsi in nazione indipendente con un Re galantuomo come il nostro. {Ilarità)

« CAMILLO FRANCESCHI, presidente. » Il relatore delle petizioni è invitato a venire alla rin-

ghiera.

( P e t i z i o n i p e r l a r i c o s t i t u z i o n e

d e l l a Po l o i s i a . )

bamìAsti, relatore. {Movimento di attenzione) Si-gnori! Le petizioni che ho il mandato di riferirvi in questa tornata straordinaria non sono reclami per ri-parazione di private ingiustizie, ma sono bensì dichia-razioni di principii, manifestazioni popolari di voti d'innumerevoli Italiani, concernenti il più grave at-tuale argomento della politica internazionale, la causa della Polonia.

E prima di discorrere paratamente delle singole

petizioni mi corre obbligo di fare osservare come alle espressioni di vivo e sincero affetto per la causa po-lacca, alle affermazioni le più assolute dei principii che sono comuni a tutti i popoli che si travagliano por l'acquisto della loro nazionalità, il senno politico degli Italiani seppe accoppiare la moderazione nel formulare le conclusioni delle loro petizioni, ispirandosi alle neces-sità delle nostre condizioni politiche interne ed esterne.

Le petizioni indirizzate a quest'Assemblea si pos-sono dividere in due categorie: la prima comprende quelle che non specificano quale esser debba l'azione del Governo per la ricostituzione della nazionalità po-lacca, cbe non dicono, cioè, se l'azione debba essere diplomatica o militare; là seconda abbraccia quelle che dimandano che si venga in aiuto alla Polonia, subordi-nando ogni eventualità di guerra però alla conserva-zione ed al progresso delle nostre libertà e delle nostre istituzioni.

Fra quelle della prima categoria venne avanti le altre presentata la petizione 8889, sottoscritta da otto petenti senza qualificazione di condizione sociale, i quali tanto in loro nome, quanto in quello d'interpreti de' voti manifestati nell'adunanza popolare numerosis-sima tenuta il giorno 13 marzo in Torino, dimandano alla Rappresentanza nazionale, onde voglia nel modo più efficace «invitare il Governo del Re, in adempi-mento de' legittimi desiderii del paese, a porre in opera energicamente tutti i mezzi i più risoluti e più pronti di cui disponesse in aiuto della Polonia, in guisa, che l'Italia sia sempre ed in tutto a nessuno seconda in una impresa più di qualunque altra civile, giusta, onorata e nazionale. »

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CAMERA DEI DEPUTATI — SESSIONE DEL 1861-62

I petenti, dopo di avere dimostrato quale debito corra all'Italia, come nazione di recente risorta, in favore della Polonia, quale quello dell'Europa, salvata dal giogo musulmano, quale infine sia la responsabilità della diplomazia, custode dei trattati di Vienna, si estendono in considerazioni sull'indole politica dell'au-tocrazia russa, sulle quali la Commissione non credè op-portuno di soffermarsi.

La petizione 8907, sottoscritta dai fratelli Caldesi e da altri otto cittadini, chiede che il Governo adoperi i mezzi i più efficaci ed energici che sono in suo potere per la ricostituzione della Polonia.

I petenti si dicono interpreti non solo dell'opinione emessa nell'adunanza popolare tenutasi in Faenza il giorno 9 marzo, ma anche dell'opinione pubblica di tutta la Romagna.

Questa petizione fa rilevare come l'Italia debba pro-fondamente sentire più che ogni altra nazione il dolore e l'onta dell'oppressione straniera, e come debba desi-derare e cooperare al trionfo del nuovo diritto europeo, e mentre riconosce che l'azione del G-overno italiano non può essere forte e libera come dovrebbe essere per l'incompleto ordinamento interno, e per la non cessata occupazione di Roma e Venezia, rifiuta però l'invio di soli sterili voti per la causa polacca come procedimento non convenevole ad una grande nazione quale è l'Italia, e dichiarano che l'onore, il vero inte-resse della patria, il principio di solidarietà ira tutti i popoli esigono imperiosamente che l'Italia intervenga in un modo degno di lei in quegli avvenimenti che ora scuotono l'Europa e che non possono compiersi senza che le condizioni di tutti i popoli non sieno profonda-mente modificate.

Con la petizione 8931 nove cittadini di Modigliana, interpretando i concetti ed i desiderii dell'adunanza popolare tenutasi in detto luogo il 22 marzo, diman-dano che il Govervo faccia sentire nei Consigli dei principi il diritto della Polonia alla sua nazionalità e di spendere ogni mezzo morale e materiale perchè i voti dei Polacchi abbiano il pieno loro trionfo.

Colla petizione 8939 mille duecentonovantatrè citta-dini di Bergamo dichiarano essere la causa polacca per l'Italia una quistione d'umanità, di politica, di diritto; di umanità, perchè vi è una barbarie da frenare ; di politica, perchè vi è una nazionalità a soccorrere-; e di diritto, perchè vi è un debito di fratellanza da riempire; concludono però col dire : spettare al libero Governo e ai liberi rappresentanti « scegliere quei mezzi che, conciliando gl'interessi e la dignità della nazione, fac-ciano efficacemente sentire alla Polonia come l'Italia pensi ed operi per lei. »

La petizione 8942, sottoscritta da 156 cittadini di Lugo, dimanda che il Governo adoperi tutti i mezzi per far cessare la strage e l'oppressione della Polonia, che l'Italia deve soccorrere e per principii comuni ad ambe le nazioni, e per essere venuti i Polacchi a com-battere in Italia per la sua libertà e la sua indipen-denza. La Commissione non ha creduto doversi riferire

su altri argomenti di cui pai-la la petizione, per non allontanarsi dalla questione che è ora sottoposta alla decisione della Camera.

Petizione 8928. Settanta cittadini di Tortona diman-dano che il Governo si adoperi con sapiente ordine, con tutti i mezzi di cui può disporre, in favore della Po-lonia.

Con la petizione 8948 undici cittadini di Cremona, dicendosi interpreti dell'unanime sentimento della loro città, chiedono che con le armi si venga in aiuto della Polonia, unico mezzo di rendere efficaci le calde sim-patie dell'Italia per la Polonia.

Petizione 8919. I petenti, in numero di nove, anche come organi dell'opinione manifestatasi nell'adunanza popolare di Bologna nel 18 marzo, dimandano che la Polonia venga soccorsa con mezzi morali e materiali.

Le petizioni sotto i numeri 8923, 8926, 8907, costi-tuenti la seconda categoria, sono informate ai mede-simi concetti e vengono a quasi identiche conclusioni. La prima viene da Milano, la seconda da Ravenna, la terza da Como.

Quella di Milano è sottoscritta da 18 cittadini e rife-risce i voti emessi dalla riunione ivi tenutasi il 22 feb-braio. Quella di Ravenna si distingue fra tutte le altre per essere sottoscritta da 32 cittadini di ogni ceto e condizione sociale, e dice essere l'espressione dell'opi-nione dell'adunanza popolare tenutasi in Ravenna il 20 marzo ; come quella di Como, sottoscritta da cinque cittadini, si dice essere la manifestazione di voti emessi nell'adunanza del 15 marzo.

Il concetto che domina in tali petizioni è che l'Italia nella previdenza della guerra completi la nuova orga-nizzazione interna civile e militare onde il popolo sia in-teressato alla lotta, ed i nostri alleati sieno persuasi che le nostre armi non potranno mai servire che alla difesa della libertà, e dopo avere dichiarato essere sacra la causa della Polonia all'Italia, e correre a questa l'ob-bligo di soccorrerla, queste petizioni subordinano però ogni eventualità di guerra alla necessità di sviluppare ed attuare i nuovi principii dai quali è diretto il nostro rivolgimento nazionale.

Con la petizione 8936 otto cittadini di Forlì, come interpreti dell'adunanza popolare eh' ebbe luogo in quella città, dimandano l'armamento nazionale e che il Governo adoperi i mezzi che la libertà e gl'interessi d'Italia consentano ricordando Venezia. Sembra che i petenti nel pregare la Rappresentanza nazionale di rivolgere lo sguardo ai martiriì della Polonia non in-tendano che l'Europa possa mai credere che l'Italia anche per un momento dimentichi che vi è un altro martirio a far cessare, un'altra oppressione straniera a far sparire, il martirio e l'oppressione della Venezia.

I petenti di Varese in numero di 221 (petizione nu-mero 8940) nel mentre dimandano a nome dei diritti e della solidarietà dei popoli che si soccorra la Polonia con tutti i mezzi morali e materiali di cui può disporre il Governo, fanno voti che le nostre armi sieno consa-

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orate principalmente alla causa d'Italia, che ancora sospira la liberazione di Venezia e la sua capitale.

Quattrocento ottantotto giovani studenti dell'Uni-versità di Torino, fiduciosi d'interpretare i sentimenti e le aspirazioni di tutta la gioventù italiana, dirigono alla Camera la petizione numero 8944, con la quale essi tolgono a considerare la causa polacca sotto il punto di vista dell'umanità e del diritto popolare ; di-cono con parole tali quali si convengono a giovani ge-nerosi che l'Italia non può rimanere spettatrice trnquilla de' massacri della Polonia che è insorta e combatte, perchè sentimento di umanità lo consiglia, dovere di solidarietà fra i popoli noi permette.

Dimandano quindi alla Camera d'indurre il Governo a prendere rispetto alla Polonia quell'attitudine che ad un Governo italiano si conviene per non tradire gli affetti, i desiderii e la dignità dell'intera nazione.

Dopo l'esame di queste petizioni, la Commissione ha portato avviso che, prima di formulare le sue conclu-sioni su di esse in modo definitivo, si dovessero diman-dare dal ministro degli esteri sullo stato della questione polacca, in rapporto specialmente all' Italia, quegli schiarimenti che la prudenza politica permettesse di dare, affinchè la proposta della Commissione, da sot-tomettersi al giudizio della Camera, fosse fatta con maturità di consiglio. Intervenuto il ministro degli af-fari esteri, il signor conte Pasolini, nella riunione della Commissione, diede schiarimenti sulla questione po-lacca in quei limiti che la gravità dei negoziati europei permetteva, facendosi ad accennare le diverse fasi per-corse dalle trattative diplomatiche, non che i principi! della nostra politica internazionale.

Domandò quindi che gli fosse acconsentita una ri-serva completa sugli atti della diplomazia italiana in tale questione : riserva che gli veniva imposta dalle regole della prudenza e della opportunità, nell'interesse stesso della causa polacca.

L'onorevole attuai ministro degli esteri, Visconti-Venosta, intervenuto anch'egli presso la Commissione, confermò le cose dette dal suo predecessore, aggiun-gendovi che, con l'aver egli assunto la direzione della politica italiana all'estero, nulla s'intendeva innovato nè sui principii che l'informavano, nè sulla linea di condotta già adottata dall'intero Gabinetto.

La Commissione, rimasta persuasa dalle parole dette dai ministri, che il Governo del Re prende il più vivo interesse al felice scioglimento della quistione polacca, procedè più alacremente a chiudere la discussione, la quale si può riassumere brevemente nei termini se-guenti.

L'una e l'altra forma di coneludere su tali petizioni, l'ordinò del giorno semplice o motivato, o l'invio al Ministero, dipendeva dal vedere se le petizioni fossero o no degne di considerazione, o per dir più chiaro, se il Governo italiano dovesse rivolgere la sua attenzione sulle manifestazioni popolari in favore della Polonia, onde rafforzare l'opera sua per concorrere al felice esito della causa polacca.

Messa in tali termini la questione, essa può essere considerata sotto duplice rapporto: sotto il rapporto del sentimento nazionale, e sotto quello della pratica ragion di Stato.

La causa polacca, indirizzandosi al sentimento na-zionale, non può non raccogliere le più vive simpatie dell'universale.

L'Italia infatti come tutte le altre nazioni di Europa non può non rimembrare che la Polonia fu il baluardo della civiltà cristiana contro la barbarie musulmana, e che, dalla spartizione fattane dalle tre grandi potenze fino al giorno d'oggi, i suoi martirii e le sue azioni eroiche, le sue preghiere religiose e i suoi gridi d'insur-rezione commuovono di tempo in tempo la coscienza pubblica europea, e sotto questo rapporto l'Italia, la Camera, il Governo non possono non associare i voti loro più ardenti a quelli dell'Europa intera, perchè questo motivo permanente di perturbazione venga ri-mosso, e le aspirazioni legittime della Polonia sieri o soddisfatte.

Ma se sotto il rapporto del sentimento nazionale la causa polacca riunisce quasi l'unanimità dei voti dei popoli e dei Governi, sotto quello della ragion pratica di Stato la questione polacca diviene più complessa e difficile, perchè questa causa, movendo dai principii del nuovo diritto europeo, s'immedesima con tutti i moti e rivolgimenti politici che si avvicendarono in seno alle nazioni d'Europa dal 1815 fino al giorno d'oggi; procede incontrando ostacoli in tutti gl'inte-ressi creati dai trattati del 1772, del 1792, del 1795, e dall'atto finale del Congresso di Vienna, e tende a rea-lizzare nella misura del possibile il trionfo del nuovo diritto nazionale.

Infatti l'insurrezione della Polonia dal 1830 al 1831 con i moti della Romagna e dell'Emilia si riconnette nella causa e nel procedimento e nello scopo con la ri-voluzione del Belgio del 1831, che non fu se non l'eco della rivoluzione francese.

Questi tentativi più o meno incomposti per fare trionfare il principio delle nazionalità furono repressi e soffocati nel sangue in Italia e in Polonia, furono rispettati in Francia, riconosciuti da tutte le potenze nel Belgio.

I nuovi tentativi in Europa del 1848 e del 1849 per lacerare i trattati del 1815 riuscirono coronati di pieno successo in Francia, ove il plebiscito popolare fu come base di nuovo diritto, riconosciuto anche dall'Inghil-terra, ma che l'Austria, la Russia e la Prussia non vollero considerare che come un fatto di organizzazione interna, e mentre i conati di Roma, Venezia e Toscana, la rivoluzione lombarda venivano repressi con la spada tedesca sui campi di Novara, numerose truppe cosac-che sulle rive del Vistola impedivano che i gemiti della Polonia, si tramutassero in grida di rivoluzione.

Le vittorie di Magenta e Solferino del 1859 più che disfatte per l'Austria furono trionfo del nuovo diritto per l'Italia, e il trionfo fu così splendido, che con quasi tutta l'Europa la Russia stessa non tardò a rico-

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CAMERA DEI DEPUTATI — SESSIONE DEL 186 ì-62

noseerlo ; quella Russia il di cui imperatore fin dal bel principio del suo regno fece concepire sì giuste spe-ranze, alloraquando per fare entrare il suo popolo den-tro l'.orbita della civiltà europea, prese la generosa iniziativa di decretare l'emancipazione dei servi, quella Russia, io dico, che, ogniqualvolta insiprata da una profonda sagacia politica concedesse piena soddisfa-zione ai legittimi voti della Polonia, non solo non avrebbe più nulla a temere dal libero e pieno svolgi-mento del principio delle nazionalità, ma che anzi al contrario non avrebbe che a raccoglierne nuova forza e splendore al suo impero e nuove estensioni territoriali liberamente acconsentite.

L'insurrezione che ora ferve in Polonia originandosi dallo stesso principio, abbenchè nella sua esplosione occasionata da un reclutamento che un ministro inglese chiamò proscrizione, non può non incontrare nel campo della diplomazia europea per nemici potenti quegli interessi più o meno forti che hanno radice ancora nei trattati del 1815, e fra questi gl'interessi della Prussia e della Russia che nel febbraio scorso fecero nascere fra le ombre del ministro diplomatico la convenzione russo-prussiana, contro la quale in forza del principio del non intervento elevarono alto la voce per prote-starvi contro i Gabinetti di Londra e di Parigi.

In presenza dunque di tale questione che si ricollega coi movimenti che agitarono e che agitano ancora l'Europa, quistione circondata da interessi che se ne disputano il trionfo con l'influenza diplomatica, minac-ciando di fare appello alle armi, quistione del nuovo diritto nazionale contro il diritto scritto della forza, in presenza di una questione, io dico, irta di difficoltà di ogni genere, quale dovrà essere l'attitudine che dovrà prendere il Governo italiano in tali negoziazioni, il di cui esito interessa e tocca sì davvicino l'Italia? Quale l'influenza che la sua diplomazia dovrà rivendicarvi ? A quali alleanze dovrà appigliarsi, e con quali patti dovrà entrarvi ?

La Camera comprende facilmente quanto gravi siano tali domande, e di quanta temperanza di parole vi sia d'uopo nel farne anche di volo un brevissimo cenno (pendenti ancora attive negoziazioni), onde non venga a nuocersi a quella stessa causa che s'intende da noi favorire.

Accennerò dunque solo che per quanto incompleto sia il nostro ordinamento interno, perchè l'Italia possa assidersi nell'ordine delle prime potenze d'Europa, egli è però fuori di dubbio che il Governo italiano dovrà in tale questione continuare la politica di quel grande uomo di Stato in cui l'Italia si compiaceva un tempo di vedere accoppiata l'audace iniziativa ad una somma prudenza; quella politica che inviava le truppe sarde in Crimea e che faceva partecipare l'Italia nel Con-gresso di Parigi a tutte le grandi modificazioni di di-ritto europeo ; quella politica italiana che dava il suo voto nella questione moldo-valacca, che stringeva al-leanza con la Francia perchè le due armate congiunte combattessero e distruggessero il nemico comune sui

campi di battaglia lombardi, e che a Zurigo lacerava la prima volta con le sue mani una parte di quei trat-tati del Congresso di Vienna che niegava il suo diritto e persino la sua esistenza.

La politica dunque di astensione e di isolamento è respinta dalle tradizioni di un passato abbenchè re-cente e dalle aspirazioni del nostro avvenire: dalle ti-adizioni del passato perchè la politica italiana, benché ristretta nei limiti del piccolo Piemonte, prese parte ai più grandi avvenimenti politici e militari d'Europa, se si eccettuano i trattati del 1815; dalle aspirazioni dell'avvenire e dai nostri più vitali interessi, perchè la causa italiana, in rapporto al principio da cui muove ed allo scopo a cui tende, s'immedesima col principio e con lo scopo che determinano lo svolgimento delle na-zionalità oppresse.

La vostra. Commissione adunque, non volendo nè potendo entrare a discutere su tale questione una linea di condotta, che viene sempre designata dai principii a cui s'informa la politica, e contemperata dalle cir-costanze di fatto, ha dovuto restringersi solo ad ac-cennare in modo generale come tale questione debba essere esaminata dall'Italia sotto il punto di vista, cioè, del sentimento nazionale, e sotto il rapporto della ragione di Stato, che prende sempre norma dalle neces-sità della situazione interna ed esterna di un paese.

Rassicurata quindi la vostra Commissione che l'in-dirizzo che il Governo del Re ha dato, e continuerà a dare alla politica internazionale, è tale quale con-viene all'Italia, dignitoso, cioè, senza burbanza, soli-dale delie altre nazioni senza servilità, all'unanimità ha l'onore di proporre alla Camera la seguente con-clusione :

La Camera, persuasa che il Governo del Re non tra-lascerà alcuno dei mezzi che giudicherà più opportuni ed efficaci a vantaggio della Polonia, rimette le peti-zioni al ministro degli esteri.

hibìebvinÌ . Domando la parola per una mozione d'ordine.

presidente. 11 ministro degli esteri ha facoltà di parlare.

minervini. Per una mozione d'ordine. presidente. Il ministro ha sempre la parola a ter-

mine dello Statuto; io non posso impedirgliela; parli il ministro degli esteri.

visconti-Venosta, ministro per gli affari esteri. (Movimento di attenzione) Signori, la Camera compren-derà, io spero, l'emozione che provo prendendo per la prima volta la parola da questo banco, poiché io sento la gravità del mio compito, che non avrei as-sunto se non mi fossi affidato in quella solidarietà che esiste in tutti i membri del Gabinetto per le questioni di politica estera.

Io invoco, o signori, la benevolenza della Camera, poiché senza di essa io credo che non potrei'affidarmi neppure "in quei sentimenti che in me sono più in-tensi, la coscienza del dovere e la devozione alla causa nazionale.

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2a TORNATA DEL 26 MARZO

Io ho pensato di chiedere la parola subito dopo la lettura del rapporto della Commissione per un motivo che la Camera troverà forse opportuno.

Una grave e dolorosa questione eccita la preoccupa-zione dei popoli e dei Governi di Europa. Da una parte sui campi della Polonia si svolge il lugubre dramma di una lotta sanguinosa; dall'altra la commo-zione prodotta negli animi, quelle simpatie popolari, di cui i Governi liberi non possono non tener conto, i gravi interessi complicati in una questione la quale su-scita i più grandi problemi della politica europea, tutte queste cagioni diedero luogo a trattative diplomatiche tra le varie potenze.

I giornali dapprima, poi in modo più autorevole i discorsi pronunciati dalle tribune parlamentari, la pub-blicazione di documenti ufficiali, rivelarono, in parte almeno, le diverse fasi attraverso cui passarono queste trattative.

Ma l'azione diplomatica, sinché un risultato non è ottenuto, sinché una fase non è compiuta, si ravvolge naturalmente nel velo del più grande riserbo.

Ora, o signori, ho pensato che, appunto per questo 'carattere che hanno tutte le questioni di politica estera, se io, prima che la discussione s'impegnasse, avessi dato alla Camera, in modo semplice e breve, tutte quelle spiegazioni che il Governo può dare, ho pen-sato, dico, che avrei semplificato la discussione istessa, e che avrei dato ai diversi oratori che mi succederanno quella norma che essi forse desiderano, quella norma che può regolare gl'incoraggiamenti, i consigli diversi, i rimproveri forse che essi intendono di rivolgere al Ministero.

La questione polacca, o signori, è assai vasta; essa è uno dei più ampi argomenti della politica e della storia moderna. Ma la questione pratica, o signori, che è posta dinanzi a noi questa sera, mi sembra di un ca-rattere assai più circoscritto, e si può riassumere in queste parole : quale deve e può essere l'attitudine della politica italiana, quale deve e può essere la condotta del Governo del Re?

Così definito, o signori, l'oggetto della discussione, io dichiaro in nome del Ministero di accettare le con-clusioni del rapporto della Commissione, dichiaro di accettare il rinvio delle petizioni al Ministero degli affari esteri, perchè, ciò mi sembra conforme ai prece-denti di questa Camera, perchè mi sembra anche che ciò risponda al concetto di quell'attiva partecipazione che in uno Stato, dove le forme parlamentari sono larga-mente applicate, la rappresentanza del paese esercita sulla politica del Governo.

Dichiaro infine di accettare le conclusioni proposte dall'onorevole relatore per un ultimo motivo, ed è che esse non solo esprimono quello che il Governo ha l'in-tenzione di fare, ma altresì quello che il Governo ha già fatto, come avrò, o signori, l'onore di esporre.

Le prime notizie dei moti polacchi non erano ancora giunte in Italia quando il Governo del Ee nominava il suo rappresentante presso la Corte di Pietroburgo. Il

CAMERA DEI DEPUTATI — Discussioni — 5° Perìodo. 758

mio onorevole predecessore redigendo le istruzioni per il nostro inviato, tracciando l'importante compito che ad esso era affidato, si preoccupava delle condizioni anormali, dolorose in cui si agitava la Polonia, ed in-caricava il nostro rappresentante di cogliere l'oppor-tuna occasione per esprimere con quel linguaggio ami-chevole, che era conforme alle relazioni delle due Corti, le speranze del Governo italiano. •

Queste speranze erano che il regno dell'imperatore Alessandro, che aveva acquistato tanta gloria colla emancipazione dei servi, che si era manifestato con così felici auspicii per la causa della civiltà, fosse anche per la Polonia un regno riparatore.

Ho detto, o signori, che il nostro rappresentante era incaricato di tenere un linguaggio amichevole, perchè l'Italia non poteva dimenticare l'attitudine che aveva tenuta la Russia durante la guerra dell'indipendenza, non poteva dimenticare il pronto riconoscimento del regno italico, non poteva neppure dimenticare quelle eventualità che in un vicino od in un remoto avvenire dispongono e governano le alleanze dei popoli.

Quando il nostro inviato si trovava in viaggio, gli av-venimenti presero un nuovo sviluppo, il sentimento pubblico italiano si mostrò in numerose e legali ma-nifestazioni. Allora il Ministero fece un passo di più, scrisse al suo rappresentante una nota, nella quale esprimeva i formali desiderii del Governo.

Finquì adunque, signori, la nostra azione procedette sola ma spontanea, benché essa trovasse un raffronto in quello che fin allora aveva fatto la Francia; ma le difficoltà della questione polacca sono cosi gravi che non è concesso ad alcuna potenza lo sperare d'apportarvi da sola alcun efficace elemento di soluzione. 11 Governo del Re dovea quindi preoccuparsi altamente di quello ebe avrebbero fatto le altre potenze, e sopratutto di quello che avrebbero fatto l'Inghilterra e la Francia, poiché l'accordo delle due grandi potenze occidentali era la base nature della nostra politica.

La Francia, signori, come vi ho detto, aveva fatto dei passi diretti verso il Governo russo. L'Inghilterra invece aveva invitato le potenze segnatane dei trattati del 1815 al rivolgere al Governo russo degli uffici, per consigliargli di ritornare all'applicazione di quei trat-tati, per ciò che concerne la Polonia. Benché la Sar-degna, della quale erede è l'Italia, nei diritti e negli obblighi dipendenti dalle stipulazioni europee, benché la Sardegna non figuri tra le otto potenze segnatario dei trattati del 1815, ai quali essa ha acceduto per atto separato, pure l'Inghilterra si rivolse al Governo del regno di Italia, gli comunicò la nota ch'essa intendeva di rivolgere al Governo russo, e lo invitò a rivolgere pure una nota di egual natura.

Io sento il bisogno, signori di dichiarare che il Go-» verno inglese, invitandoci a partecipare a queste trat-tative, ha dato una novella prova all'Italia della sua co-stante amicizia, ha dato una novella prova di apprez» zare al suo giusto valore quello di cui noi ci facevamo mallevadori, quando deboli e divisi ci appellavamo al

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tribunale d'Europa, che cioè l'Itali a ricostituita sarebbe stsitcì per l'Europa un nuovo elemento di equilibrio e di progresso. (Bravo ! Benissimo ! )

I l Governo del Re rispondeva all'Inghilterra parte-cipandole ciò che aveva sino allora operato, prese atto dell'invito fattogli e si dichiarò pronto a partecipare a quell'azione concorde che sarebbe giudicata la più utile e la più conveniente.

Ecco dunque, o signori, qual è lo stato delle cose. 11 Governo del Re ha, precedendo gl'inviti , precedendo

i voti stessi della Camera, tenuto quel linguaggio ch'era conforme ai principii che rappresenta.

I l Governo del Re ha mantenuto la sua libertà d'azione come era richiesto dalle diverse e difficil i even-tualità che potrebbero sorgere.

Infine il Governo del Re, per le sue comunicazioni con l'Inghilterra e colla Francia, ha potuto assicurarsi che gli è aperto l'adito al concerto europeo. L'Italia, o signori, è al suo posto. (Movimenti diversi)

Le conclusioni del rapporto presentatoci dall' ono-revole Commissione delle petizioni rispondono a un du-plice ordine d'idee: simpatia per la Polonia, desiderio che il Governo prenda nelle trattative diplomatiche quella parte che spetta all'Italia.

Ora, o signori, dichiaro da prima che un Governo il quale ha la sua base nel voto popolare non può rima-nere estraneo ai voti del paese.

Quanto alla condotta del Governo italiano la Camera la giudicherà dalle franche spiegazioni che le ho date.

Ma io credo, o signori, da qualunque parte di questa Camera sorgano gli oratori, e con quella libertà di pa-rola che loro è meglio concessa, che a chi siede su questo banco essi non vorranno domandare nelle loro conclu-sioni una politica che, senza compromettere gl'interessi dell'Italia, sia più operosa e più franca.

La condotta tenuta dal Governo del Re nella grave vertenza che ci occupa non è stata che l'applicazione di quel sistema che il Gabinetto si pregia di rappre-sentare, quel sistema che ha per iscopo di assegnare all'Italia il suo posto fra l'Inghilterra e la Francia, fra le due grandi potenze, il cui accordo è necessario al progresso ed alla libertà dell'Europa.

Se io dovessi trovare, o signori, una divisa a questa politica, direi Indipendenti sempre, ma isolati mai. {Ap-plausi)

MI N E R VI N I . Domando la parola. P R E SI DE N T E . La parola spetta al deputato Siccoli. MISTE R VI N I . Signor presidente, io ho domandato la

parola per una mozione d'ordine. P R E SI DE N T E . Ha la parola; ma la prego di limitarsi

alla mozione d'ordine. MI N E RVI N I . Se per questo l'ho domandata, è inutile

che mi faccia questa raccomandazione. Io ho chiesto la parola perchè l'onorevole relatore ha

creduto di segregare.dall'attuale discussione altre do-mande non meno gravi e dolorose che si fanno dai cittadini di Lugo, Massa Lombarda, Fusignano, Coti-gnola, Bagnacavallo, e Sant'Agata Ravennate. Io credo

che il temperamento preso dall'onorevole relatore della Commissione sia logico, e mi unisco perfettamente a lui : debbo tuttavia dichiarare che mi riserbo di riferire io stesso più tardi questa parte della petizione 8942, affinchè le domande di questi cittadini siano portate a' conoscenza della Camera. Quindi io ho domandato la parola per fare riserva che le altre domande contenute nella petizione siano rinviate alla discussione in una delle solite tornate che si fisseranno per le petizioni.

P R E SI DE N T E . Ha già dichiarato il relatore in nome della Commissione che le domande contenute nella pe-tizione dei cittadini di Lugo ed altri nella parte in cui non riguardano la questione della Polonia non vengono riferite stasera, perchè questa tornata è stabilita uni-camente per discutere le petizioni in quanto sono re-lative alla questione polacca. E dunque implicitamente inteso che tutte le questioni proposte colle petizioni in materie diverse da quella per la quale è indetta la pre-sente tornata, restano intatte e dovranno trattarsi altra volta.

MI N E R VI N I . Permetta ; questa sera sono all'ordine del giorno anche altre petizioni, e poi l'avviso del re-latore era che . ..

P R E SI DE N T E . Ripeto che la tornata fu prefinita per le petizioni riguardanti la questione polacca, e che quindi s'intende riservata ogni altra questione che non tocchi questo argomento e non sia compresa in taluna delle petizioni che vennero riferite.

I l deputato Siccoli ha facoltà di parlare. SI CCOE I . Signori, il banco che io occupo questa sera

v'indichi chiaramente che ho la convinzione di non tro-varmi in questa quistione d'accordo nè colla destra, nè colla sinistra. Io sto per pronunciare parole molto se-vere e sconfortanti ; non so come saranno interpretate; però spero che la lealtà delle mie intenzioni otterrà dalla Camera quella indulgenza della quale ho tanto biso-gno, appunto perchè sono solo, perchè non riconosco alcun capo, perchè non appartengo a nessun partito. (Susurro)

In questi ultimi ottant' anni l'Europa è stata scossa da parecchie rivoluzioni, delle quali, secondo me, la più importante è la rivoluzione francese, che ebbe il . gran torto di spargere molto sangue innocente, e di legittimare colia ghigliottina la reazione, dando l'au-reola del martirio anche a giusti castighi.

La rivoluzione italiana, volendo evitare lo stesso orrore, forse perchè troppi erano i colpevoli, proclamò i l principio dell'assoluto perdono ; ed il più felice apo-stolo di questo sistema magnanimo quanto civile fu il conte di Cavour.

Ma poi, per un errore di sistema comune a lui ion tutti quelli che'gli hanno succeduto al potere, voglio dire pel sistema delle consorterie, noi venimmo grado a grado al disordine amministrativo, alla lenta agonia della fede nell'entusiasmo popolare.

Secondo me, la rivoluzione polacca è l'unica rivolu-zione che si sia annunciata e mantenuta con tutti i caratteri d'una vera rivoluzione, vale a dire, col ca-

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2a TORNATA DEL 26 MARZO

rattere eli lotta eroica, generosa, che non transige coi rinnegati, che non si deturpa cogli eccessi, che muore, ma non si rende.

ÀI racconto di questa guerra disperata', cui tutta Italia intende passionatamele, e palpitando ci si ri- i svegliano in cuore le ardenti fantasie della giovinezza, quando sognavamo per la patria nostra una eguale ri-scossa, il popolo polacco vestito a lutto, che porta da tanto tempo il corrotto anticipato della sua morte glo-riosa, sembra che abbia detto a sè stesso : in nome di Dio onnipotente, in nome dell'umanità vilipesa, io sor-gerò come un sol uomo, ma senza speranza di vittoria ! La mia causa è troppo giusta e vuole mantenersi troppo pura, perchè possa trovar grazia presso le potenze eu-ropee !

I miei presentimenti sull'esito di questa lotta sono tristissimi. Io comprendo benissimo, o signori, le mani-festazioni popolari, i meetings, l'invio di volontari, le collette di danaro a prò della Polonia, ma non con-vengo davvero dell'utilità pratica dell'azione diploma-tica, laddove la Commissione vorrebbe spronare il Go-verno. Fino a quando, o signori, vorremo portare la benda sugli occhi, credere all'importanza delle proteste diplomatiche non appoggiate da un esercito ? Molto più quando giungono così tardive, ne rispettate, nò te-mute. Vi sono certi provvedimenti politici che non de-vono sortire dal campo dei meetings. La proposta della Commissione è, a parer mio, una di quelle : manca di quell'opportunità, di quella serietà che deve contras-segnare tutti gli atti officiali di una grande nazione : essa chiede troppo o troppo poco. L'intervento ar-mato è impossibile, l'intervento diplomatico oggi è ri-dicolo.

In primo luogo sémbrami che non possiamo riporre nessuna fiducia nel valore dell'iniziativa governativa.

L'onorevole ministro degli esteri finisce per dirci tutto ciò che ha creduto bene di fare il Governo in questa quistione; soltanto si è dimenticato di una cosa, che la rivoluzione della Polonia ha principiato il 22 gennaio, ed egli non ci ha detto il tenore nè la data di queste note che ha spedito all'Inghilterra ed alla Francia ; d'altronde mi sorprende che questi documenti non sieno stati depositati.

In secondo luogo, ancorché il Ministero godesse tutta questa fiducia ed all'interno ed all'estero, colla sem-plice azione governativa gioveremo noi o nuoceremo alla Polonia ? L'azione diplomatica non ritarderà di un ora la sua caduta, nè affretterà di un minuto la sua vittoria. L'azione diplomatica si fa dalle grandi po-tenze per acquistare a buon mercato il diritto di con-gratularsi col vincitore qualunque ei sìa, e di usu-fruttarne il trionfo, se il vincitore è il popolo.

(Conversazioni generali.) Volete voi fare di questa politica ? Sapete che cosa

sembrerà questa proposizione di rinvio al Ministero ? Sembrerà un mezzo termine per mettere la nostra co-scienza in pace, sembrerà una crudele ironia precisa-

mente come se raccomandaste un affamato alla carità dell'obelisco Siccardi.

Supponendo che lo czar prendesse in considerazione la nostra proposta, sapete voi quale sarà la conse-guenza immediata ? Che egli prometterà [grandi cose per la Polonia, ma per quando abbia dimesse le armi, e frattanto ci chiederà che noi cessiamo da quell'agi-tazione popolare che solo può recarle qualche vero aiuto. "E così, come noi abbiamo dovuto ascoltare il lungo grido di dolore della nazione polacca, e il suo grido di guerra, dovremo assistere impassibili alla sua agonia.

A me pare di vedere i generali polacchi tutto il giorno costretti a simulare in faccia alle loro eroiche reclute la sicurezza di una vittoria che è molto lontana dall'animo loro, e atteggiarsi alla sera ai sentimenti più veri che la certezza del sacrifizio impone anche al cuore dei martiri. Come deve giungere loro amara la notizia dei soccorsi diplomatici che noi vogliamo por-tare a quel popolo, le cui ossa biancheggiano su tutti i nostri campi di battaglia ! Io vi accerto che in quel momento saranno essi che sentiranno pietà eli noi.

Passando ora all'esame della nostra politica estera quale è stata sin qui e quale avrebbe dovuto essere, premetto che avrei taciuto se l'imprestilo non fosse stato conchiuso a condizioni che onorano il ministro delle finanze. Alla notizia della rivoluzione della Po-lonia il Ministero aveva tre strade da scegliere : o l'ini-ziativa, o l'azione collettiva, o l'aspettativa. La nostra iniziativa era quasi impossibile ; noi non potevamo do-mandare giustizia pei Polacchi in nome dei trattati del 1815, quando esistiamo grazie alla loro violazione. Non potevamo protestare contro la convenzione prussiana in virtù del principio di non intervento, avendo i Fran-cesi a Roma.

10 credo che dovevamo almeno tentare l'azione col-lettiva, ma fin da principio. E non colla Francia sola, ma col Portogallo ed anche coli'Austria ; coll'Austria sulla base della cessione del Veneto. L'azione collettiva di tutta la razza latina a prò della Polonia avrebbe l'immenso vantaggio di riabilitare il principio catto-ico, di farlo divenire anche nel nostro secolo principio di civiltà e di progresso.

Resta finalmente la non dubbia politica, e non su-blime, dell'aspettativa. L'inerzia assoluta, quando si agita a noi d'intorno una questione di tanta impor-tanza, è sempre deplorabile.

11 Ministero attuale, venendo al potere, dichiarò francamente che, senza mutilare in nulla il nostra pro-gramma politico, egli intendeva per ora dedicarsi al-l'ordinamento interno, riserbando le due questioni di Roma e di Venezia. Però nè il Ministero aveva detto, nè noi eravamo intesi di restare spettatori impassibili di tante altre questioni di politica estera, e pure d'in-teresse italiano, come, per esempio, la rivoluzione greca e l'iniqua conquista del Messico.

Ma qual cosa direte voi, o signori, se io riesco a pro-varvi che in quest'ultima questione, vale a dire nella

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questione polacca, che c'interessa più di tutte le altre, la condotta del Governo, non ostante quanto ci ha nar-rato l'onorevole ministro degli esteri, non ò stata nè d'iniziativa isolata, nò d'iniziativa collettiva, e non fu nemmanco neutrale ?

Osserviamo in primo luogo quale è stata l'attitudine del Governo in faccia alla Francia, quale"è stata l'at-titudine di questo Governo, che ha dato al Ministero antecedente l'accusa di arrendevolezza verso la Fran-cia. Il 6 febbraio scorso il ministro Billault, rispondendo all'interpellanza del deputato Olivier sulla Polonia, ri-spose :

« La Francia non ha perduta veruna delle sue anti-che simpatie per la Polonia, ma crede che debba confi-dare e sperare nei sentimenti liberali dell'attuale im-peratore di Russia e non già in una rivoluzione che può condurla a rovina. »

Il 9 febbraio, vale a dire tre giorni dopo, il nostro ministro degli esteri, rispondendo all'interpellanza che il deputato Petruccelli gli aveva fatta il giorno prima sullo stesso argomento, mise quasi in dubbio l'esistenza e la giustizia della rivoluzione polacca, dicendo : « se fossi stato presente quando P onorevole Petruccelli chiese di muovere interpellanza sugli avvenimenti della Polonia e sulla condotta che il Governo intendo tenere verso di essa, avrei pregato subito l'onorevole deputato a desistere da quella interpellanza, perchè le informa-zioni che abbiamo sono così incerte, che io credo intem-pestiva qualunque discussione sulla Polonia. »

11 15 o 16 febbraio i giornali di Parigi cominciarono a nominare la Polonia ogni giorno con più manifesto favore. Il 26 febbraio il nostro ministro degli esteri, prendendo occasione dalla discussione dell'imprestito, disse questo (non molto d'accordo con quello che aveva detto pochi giorni prima) : « nobili parole e generosi sentimenti furono espressi a favore di quel popolo, la cui storia, come quella dei popoli liberi e civili, si fonda- sui principii eterni del giusto e dell' onesto. » Il Ministero ebbe una gran fortuna che si alzasse a suo difensore quella nobile e simpatica figura del conte Pa-solini ; nondimeno, se su vari punti della rapida sua esposizione molti non si maravigliarono d' udire in bocca ad un ministro d'una nazione di 22 milioni una confessione esplicita d'impotenza in questa stessa aula, che risuona ancora delle audaci parole del conte di Cavour, quando era ministro del Piemonte, di quel piccolo Piemonte che seppe però imporsi all'Europa nel rango di grande potenza — e notisi che il Piemonte era obbligato a rispettare i trattati, mentre noi invece siamo tenuti, e per dovere e per logica, ad impugnarli e combatterli. —

Finalmente la Francia tentò sopra basi ignote un ravvicinamento coli'Austria a prò della Polonia ; il no-stro Governo ne ebbe sentore, e spedì immediatamente il conte Arese a Parigi per sapere di un accordo che, all'arrivo del nostro inviato, doveva essere necessaria mente o già concluso o già fallito.

Le liete accoglienze fatte dall'imperatore al suo an-

tico amico non hanno nessun valore politico, e non sal-vano il Ministero dalla taccia d'imprevidenza e di defe-renza sovente inutile verso la Francia.

Questo è quanto sappiamo sull'operato del Governo, benché, se avesse presa la iniziativa, egli avrebbe sem-pre plagiato il Governo di Francia anche in questo, avrebbe ricusato il rinvio della petizione, e l'accettare

• il rinvio della petizione implica indirettamente un voto di censura, perchè comunque si voglia, questa pratica rivestirà sempre il carattere d'iniziativa popolare. (Conversazioni su tutti i banchi)

Perchè tra i documenti diplomatici della questione polacca presentati al Governo francese non vi è nep-pure una sola nota in cui si nomini il Governo ita-liano ?

Io credo che il Governo francese non sarebbe nella impossibilità d'iniziare la guerra per la questione po-lacca, qualora non fosse impedito dalle attuali compli-cazioni del Messico. Perchè mai noi abbiamo tentato di farci mediatori in quella guerra, che mette il Governo francese nell'impotenza ?

In quanto alla Russia, che cosa facemmo dal giorno in cui scoppiò l'insurrezione fino ad oggi? Eppure noi abbiamo una legazione a Pietroburgo ed una legazione russa si trova a Torino. Che il ministro inglese ed il ministro francese ci restino, è concepibile; il primo è rappresentante di un Governo, la cui politica è stata ben definita dal principe Napoleone, ed il secondo rap-presenta la volontà unica dell'imperatore. Il nostro rappresentante invece non è il rappresentante di un re assoluto. Quindi, perchè non abbiamo almeno richia-mato la nostra ambasciata ? L'Austria lo ha fatto.

Io credo che il Governo in questa questione non abbia per niente corrisposto alla nostra aspettativa, a quello che avevamo diritto di attenderci da esso.

Io credo che dobbiamo rimetterci in questa questione all'opera ed al sentimento popolare.

In conseguenza io propongo il seguente ordine del giorno :

« La Camera, esprimendo la sua simpatia e la sua solidarietà pel popolo polacco, non crede la politica adottata dal Ministero sufficiente agli interessi ed al sentimento della nazione, e passa all'ordine del giorno.»

FRE SIDE ÌÌT.E , La parola spetta al deputato Mordini. (Movimento di attenzione)

MORBINI . Signori, l'onorevole ministro per gli affari esteri ha espresso la speranza che gli oratori i quali-gli sarebbero succeduti avrebbero diviso le sue opinioni, sarebbero concorsi nell'adottare le conclusioni della Commissione.

Io non voglio fare alcuna osservazione, come vera-mente potrei, sulla divisa del Ministero circa la politica estera, divisa che è stata così definita dall'onorevole Visconti-Venosta : indipendenti, ma non isolati ; dico solo che un largo fosso divide la politica del Ministero da quella che io credo di rappresentare (Mormorio a destra ed al centro), e se un largo fosso non piace, dirò un abisso. (Bene ! Bravo ! a sinistra)

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2 a TORNATA DEL 26 MARZO

I o non voglio neppure r icordare quali siano i pr inci-pii del nuovo dir it to pubblico italiano, che sembrami essere stato dimenticato dall'onorevole min istro per gli affari ester i.

Voi , o signor i, dovete saperli a memoria. Ma questo solo dico che essi creano tanto per la po-

lit ic a nostra in terna, quanto per l'estera talune su-preme necessità dalle quali non possiamo in alcun modo scostarci, alle quali è forza anzi che strettamente e r i-gorosamente noi conformiamo la nostra condotta. Ag-giungo che se per avven tura la polit ica italiana prose-guisse un fine in tu t to od in par te opposto, in tu t to od in par te con t radd ien te, molto, ma molto verrebbe a scapitare la nostra autor ità morale nel mondo. ' Io non intendo neppure di spiegare o dimostrare

come fr a la causa della Polonia e la nostra corrano re-lazioni di stret ta analogia, sarei quasi per dire di iden t ità.

Ed invero non eravamo noi, or sono appena tre ann i, una nazione d ivisa, smembrata, dominata dalle male signorie ?

E, mio Dio, per quanto grandi sieno state le conqui-ste nostre in questi u lt imi tempi, noi non possiamo an-cora chiamarci veramente, pienamente e realmente pa-droni di noi stessi.

c r i s p í. Ben issimo! m o b d ìk ì. E la Polon ia divisa e smembrata tu t tora,

tu t tora t iranneggiata, a che aspira ella se non a ricom-porsi in una sola e potente fam iglia sotto una medesima legge ed a r iannodare la catena delle sue glor iose t ra-dizioni ?

Indipendenza, liber tà, un ità, ecco i l gran fine che si propongono oggi ugualmente l' I ta li a e la Polon ia.

Elleno rappresentano egualmente il d ir it t o armato della r ivoluzione, quest'ultim a ratio dei popoli contro l'ingiust izia, la violenza e la spogliazione.

Elleno sono dunqne naturalmente e moralmente al-leate.

Impossibile sarebbe trovare fr a due altre nazioni ter-mini r icorrenti di più stret ta e di più cordiale alleanza.

Or dunque è manifesto, signor i, che al nostro Stato già for te e già potente r icorre l'obbligo, per quanto ei può, per quanto dipende da lu i, di ven ire in aiuto alla Polon ia.

L'I ta li a deve comprendere che a fianco del dir it to che ella ha di proseguire, non già dentro i lim it i dei t rat-tat i-con tratti sotto l'impero del vecchio dir it to pubblico europeo, come pretende l'onorevole ministro degli affari ester i, ma all'in fuori e al di sopra di questo vecchio dir it t o pubblico europeo, e d'ogni sorta di rancidi t ra t-tat i, i l totale compimento della sua glor iosa r ivoluzione sta il dovere d'estendere, di propagare ai popoli op-pressi i benefizi ch' ella r ipete da questa sua r ivolu-zione.

Risorta in viytù dei pr incipii nuovi ella debbe in -stancabilmente adoperarsi a diffonder li ovunque.

Tregue sì possiamo avere, ma non già paci pos-siamo fermare, se non menzognere col principio del

passato. La nostra missione, il nostro destino è di combattere sempre senza posa colla parola, coll'esem-pio, colle anni a prò della liber tà e della civiltà.

Non c'è r imedio, voi dovete essere fedeli all'or igine vost ra: o soccombere gloriosamente (Bisbig lio a destra), 0 tr ionfare e far r isplendere sull'uman ità in tu t ta la sua pienezza la luce dei tempi nuovi. {Rum ori a destra ed al centro)

Si può soccombere codardamente, dirò al signor San-guinet ti che in terrompe.

s a m s j w e m. Io- non ho in terrotto n ien te affat to.

n o Bo r a i. Se non avesse in terrotto, non avrei fat to osservazioni.

s a b ì gb i s e t x i. Non ho in terrot to, par lava sommes-samente col mio vicino.

p r e s i d e n t e .. Facciano tu t ti silenzio, e par li solo l'oratore. (Si ride)

BORDINI. Mer ita poi, signor i, d'essere considerato che la r ivoluzione- italiana, ha contr ibuito in gran par te a far iscoppiare quella polacca. Questo è un do-vere di p iù per l' I ta lia. E un dovere che chiamerei quasi di matern ità.

Tempo verrà 'quando la storia potrà svelare e nar-rare le più r iposte, le più in time cagioni di taluni grandi fat t i'con temporanei. Ma comunque sia per oggi, egli è chiaro per troppi documenti che l' I ta li a doveva esercitare, come esercitò diftatt i, una grandissima in-fluenza sull'insurrezione polacca.

E voi potrete alt resì scorgere di leggieri come sia fatalmente logica la legge delle affin ità morali, se vo-gliate per un istante r iflet tere che gli autori pr inci-pali dell'insurrezione polacca furono patr ioti polacchi

1 quali servirono la r ivoluzione italiana, e appresero a combattere sotto gli ordini del dit tatore glorioso dell'I talia meridionale, di Gar ibald i.

Dalle cose che ho detto fin qui r isu lta quale esser debbe il cr iter io regolatore della polit ica italiana nella questione polacca.

Ella vuole, deve essere conforme ai pr incipii della r ivoluzione, non già vagam ente delineati a guisa di nebulose, come avvenne di fare all'onorevole min istro degli ester i, ma precisamente form ulat i. Ella debbe avere alt resì carattere proprio d 'in iziat iva ard ita,

L' I ta li a ha l'obbligo di proclamare e per mezzo del suo Par lamento e per mezzo del suo Governo la ne-cessità che la Polonia sia r icost itu ita nella sua in te-gr ità.

Posciachè la questione polacca è all'ordine del giorno come questione europea (e questo carattere di que-stione europea le- è stato accordato perfino dal mini-stro francese Billau lt ) vuol essere r isolta come tu t te le grandi questioni di nazionalità, non già con falsi temperamenti, non con ister ilì espedienti, ma col suo riconoscimento puro e semplice.

11 primo Napoleone ci ha lasciato un esempio che è una grande lezione. Egli, mentre poteva r icost itu ir la Polon ia, noi volle per non so quali vedute di in-

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teressi dinastici, come non volle ricostituire, mentre pure il poteva, la nazionalità italiana.

Ebbene, egli ebbe a fare amara confessione di que-sta che più che errore fu colpa sua, e quando si trovò incatenato sullo scoglio di Sant'Elena, ebbe a pentir-sene anche più amaramente. Imperocché egli è certo, s'egli avesse ricostituite le nazionalità della Polonia e dell'Italia, non sarebbe stato vittima della coali-zione, della santa alleanza, e non avrebbe finito i suoi giorni in mezzo ai tormenti d'un'orrida relegazione.

Troppo tardi egli ebbe a dire: per non aver cono-sciuto lo spirito del mio tempo, io mi sono perduto.

Un altro esempio lo possiam trarre dall'esperienza dolorosa che noi stessi facciamo in casa nostra da circa tre anni, noi che vantiamo e proclamiamo ad ogni istante l'unità italiana, mentre il corpo della nostra nazione giace, per colpa nostra più che d'altrui, mutilato.

Questa esperienza dolorosa ci serva di ammaestra-mento e ci trattenga dal consigliai e dal partecipare a qualunque divisamente che abbia per conseguenza di tenere in sospeso la questione polacca o di risolverla a metà.

Se la causa fra tutte nobilissima di quella nazione dovesse soccombere, questa sarebbe una delle più grandi sciagure dell'umanità, sarebbe un lutto universale. Ma dico altresì che, se essa vincendo non avesse a ricupe-rare la sua piena e completa autonomia, non potesse rivendicare l'integrità del suo territorio, resterebbe de-bole, vivrebbe vita stentata e malaticcia. Incapace di svolgere a benefizio proprio gli elementi della nazionale attività e potenza, la sua opera sarebbe sterile per l'u-manità, e l'Italia grandemente si risentirebbe del tor-pore e dello infievolimento Che terrebbero dietro al ri-sorgimento della Polonia,.

Signori, astrazione fatta anche da qualunque consi-derazione di principio, il nostro interesse, la nostra si-curezza, il nostro avvenire esigono che ovunque sia possibile sorgano popoli liberi e forti. La Polonia una e indivisibile, libera e forte sarebbe nelle più gravi con-giunture per l'Italia un prezioso aiuto, come l'Italia una ed indivisibile, libera e forte sarebbe per la Polo-nia la più salda guarentigia della sua indipendenza.

A queste parole mie si potrà forse opporre che sono giunte in questi ultimi giorni notizie sfavorevoli alla causa polacca. Io rispondo che se notizie sconfortanti giunsero, altre ce ne pervennero favorevoli e liete. Non più tardi di iersera abbiamo letto telegrammi che nar-rano di vittorie riportate dai Polacchi sui Russi. Ma poi? Sia pure un valoroso capo d'insorti vinto e co-stretto a ritirarsi nel territorio della Galizia ; ebbene, la Polonia che fu sempre terra di capitani illustri, altri duci troverà degni di succedere ai primi. Siano pure vinte, disperse, distrutte falangi, legioni intiere di pa-trioti ; e che per questo ? La Polonia che fu sempre terra di soldati e d'eroi, altre falangi, altre legioni im-provviserà più numerose delle prime e più disperata-mente risolute a far pagar cara la vita, e sbucheranno

come per incanto da ogni dove i vendicatori della patria.

Io non posso, non voglio ammettere l'ipotesi che la insurrezione polacca sia per essere schiacciata. Non posso e non voglio invece ammettere se non quella che essa trionferà. La Polonia, o signori, non vuol perire e non perirà.

Ma quando anche il truce czarismo fosse destinato a domare l'eroica sollevazione, sempre più forte si fa-rebbe per l'Italia il dovere derivante dalla fratellanza e dalla solidarietà dei popoli, nè potrebbe mai farsi alterazione nella sua politica che ha per base principii immutabili, eterni.

Fino a stasera io sono rimasto in un buio completo intorno a ciò che il Ministero nostro aveva fatto o aveva intenzione di fare nella questione polacca, pareami di essere al tempo del regime assoluto, quando le più fitte tenebre circondavano l'azione governativa, quando non esisteva rappresentanza nazionale. Stasera solo si è squarciato il velo, l'onorevole ministro degli affari esteri ci ha detto che cosa aveva fatto il Governo, che cosa aveva intenzione di fare nella questione j>olacca. Ebbene, mi permetta che io gliel dica aperto com'è mio costume, esso ha fatto ben poco. (Segni d'approvazione a sinistra)

Io, del resto, purché il Ministero si attenga saldo ai principii della nostra rigenerazione, sarei disposto a non mostrarmi di troppo difficile contentatura. Che egli si associ coli'Inghilterra, o coli'Inghilterra e colla Francia, o colla Francia sola, o colla Francia ed altre potenze, questa per me non è questione di principale importanza ; a me preme sopratutto che il nostro Mini-stero da una parte propugni l'unità e l'indivisibilità della Polonia, e dall'altra faccia ogni sforzo per pi-ofit-tare del moto polacco onde risolvere le questioni di Ve-nezia e di Roma. (Bene ! a sinistra — Bumori a destra)

Signori, mi venne fatto di parlare d'alleanze. Prego, la Camera di permettermi che io le esprima il mio con-cetto.

Allorquando avemmo a discutere il progetto di legge sul prestito dei 700 milioni, l'onorevole conte Pasolini, allora ministro degli esteri, a me rispondendo, due ap-punti mi fece : che io fossi ostile alla Francia, e che vo-lessi gettare l'Italia in braccio all'Inghilterra.

L'inopinata chiusura di quella discussione m'impedì di replicare ; credo mio debito di farlo stasera con bre-vissime parole.

Io sono troppo altero e sento -troppo la dignità dell'Italia perchè pcssa mai essermi venuto in mente per un solo istante di prostituire il mio paese ad una potenza qualsiasi o di gettarlo in braccio alla Inghilterra. Per me le alleanze fra il mio paese e le potenze straniere debbono contrarsi sul piede di una perfetta e reciproca eguaglianza. Questo per l'Inghil-terra.

Quanto alla Francia, no, non sono ostile alla Fran-cia, e in termini generali, come altre volte ho detto, non sono neppure ostile alla politica francese, ma le

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2a TORNATA DEL 26 MARZO

fui, le sono e le sarò sempre avverso, nemico per ciò che riguarda la questione di Roma.

Io non sono disposto a sopportare con santa pace e poi lodare, occorrendo, gli schiaffi morali che la Fran-cia tuttodì c' infligge per la questione di Roma; io per me non concepisco l'evangelica rassegnazione di por-gere una guancia dopo l'altra, io per me sento tutto bol-lirmi il sangue agli sfregi, alle onte, agli insulti che ci vengono da un Governo, il quale per interessi suoi, nega deliberatamente il nostro diritto nazionale ; io per me indistintamente abborro qualunque straniero do-minatore del mio paese, si chiami austriaco, si chiami francese. E tanto per gli austriaci quanto pei francesi, 10 dico: Ripassin le alpi e'tornerem fratelli. (Bravo 1 Benissimo ! dalla sinistra — Applausi dalle. tribune pubbliche) '

presidente. Le tribune facciano silenzio. MOKI)»«. Ripigliando il filo del mio discorso credo

che la storia pronunzierà un ben severo giudizio contro 11 Ministero presente quando non sia dimostrato che egli abbia spiegato la massima attività nella questione polacca conforme ai principii direttivi nella nostra po-litica.

Io per me, soprattutto dopo le spiegazioni date dal-l'onorevole ministro degli esteri, dico e sostengo che poco, anzi nulla ha fatto. A me sembra che invece di creare una solida posizione egli la subisca ; a me sembra che invece di adoperarsi per imprimere alla politica europea un indirizzo consentaneo ai nostri principii ed ai nostri interessi, egli si trovi avvolto nelle spire di una diplomazia ostile all'Italia ; a me sembra che invece di prevenire e comandare gli avve-nimenti, egli si trovi già a quest'ora scavalcato ; a me sembra che invece di mostrarsi buon diplomatico da una parte e rivoluzionario dall'altra, non sia stato nò l'uno nò l'altro, nò carne nò pesce. (Si ride)

Signori, una splendida intelligenza proprio sul punto di estinguersi mandò sola un incerto e fuggitivo raggio di luce che fece in noi risvegliare la memoria dei suoi bei momenti, quando con ardore febbrile cospirava contro la tirannide clericale, e quando nel 1854 consi-gliava la spedizione di Crimea, e quando dopo la pace di Yillafranca si ostinava a volere l'unità d'Italia. (Be-nissimo ! a sinistra) G-li stessi avversari mestamente pensano alla sciagura da cui è stato colpito l'uomo eminente che fq, chiamato a succedere, or sono quattro mesi, al commendatore Rattazzi. (Sensazione)

Ma, per tornare ai ministri che restano, no, io non credo che sieno all'altezza elei tempi che corrono ; no, io dico loro con tutta franchezza : voi non salverete certo l'Italia colla vostra tentennante politica.

E si noti che tanto più è necessario aver oggi l'oc-chio pronto e l'azione risoluta e vigorosa, quanto più è critico to stato interno del nostro paese, quanto più imponente è il lavoro ora palese ed ora latente della generale trasformazione che si opera in Europa.

L'Italia, che è l'ultima venuta in questo solenne pe-riodo di transazione, è per forza stessa delle cose cu-

stode e rappresentante legittima del nuovo principio. Per le cose operate e per quelle che restano da operare, essa tiene il primato morale imperocché a lei si è riser-bata la fatidica parola, che deve fulminare il principio del passato, il principio dell'autorità conquistatrice, violenta, irresponsabile, tirannica dentro la sua stessa residenza, dentro la sua stessa reggia, la Roma clericale chiamata a diventare la sede del laicato civile e il capo d'Italia. (Benissimo ! a sinistra)

Non vi illudete, signori, perchè le illusioni nei su-premi momenti della vita dei popoli sono- più che un pericolo. Ora il logico svolgimento della legge che pre-siede alla nostra rigenerazione, e le nostre interne con-dizioni esigono che al più presto (badate bene, al più presto), siano risolte le due grandi questioni di Vene-zia e di Roma.

Considerate con quella attenzione che è propria e de-gna di voi, con quella imparzialità che deve essere una delle più cospicue doti di una grande Assemblea, con-siderate la storia del principio monarchico in Italia.

Questo vi dico perchè nella conclusione testò accen-nata, che al più presto è necessario di risolvere la que-stione di Venezia e di Roma, debbono concorrere tutti gli Italiani, ma più di tutti gli uomini i più devoti alla monarchia.

Ripensate come in questo secolo stesso, per anni ed anni molti, la meno invisa di-tutte le dinastie sia stata quella di Absburgo Lorenese.

Ripensate per quali cagioni gli - affetti degli Italiani si riportarono verso la Casa Savoia, alzarono sugli scudi il Capo valoroso di quella e lo proclamarono Au-gusto in nome della volontà nazionale.

Io non so se m'inganni, io credo, ho il fermo convin-cimento di essere imparziale, di vedere le cose con oc-chio sereno, e perchè? Perchè al di sopra di ogni par-tito io pongo il mio paese.

Ebbene, io dico e sostengo che la esistenza della mo-narchia in Italia è legata strettamente alla condizione di compire, e al più presto, il plebiscito del 21 ottobre 1860.

Voci. E vero ! è vero ! mokoikìs. Se il Ministero e se il partito governativo

credono di potere tranquillamente (• pazientemente in-dugiare, se credono di poter traversare senza bruciare una cartuccia e tirare una palla di cannone i quattro anni dall'onorevole presidente del Consiglio, ministro di finanze, vagheggiati pel suo pareggio de'.bilanci, oh ! essi travolgeranno in gravissime sciagure e la pa-tria e la monarchia ! (Bisbiglio)

L'audacia, o signori, in taluni momenti e per le na-zioni e per i partiti e per i Governi è ben spesso pru-denza, e la fortuna quasi sempre corona l'audacia. (Bi-sbiglio a destra) — Voci a sinistra : Silenzio ! )

Piacciavi, o signori, di riguardare al 1859 ; in quel-l'anno memorando la iniziativa ardita presa con molta sagacia dal conte di Cavour fruttò i plebisciti del 1860, e fece la fortuna di Casa Savoia!

Una voce al centro. E d'Italia! (Udite! udite!)

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CAMERA DEI DEPUTATI — SESSIONE DEL 1861-62

bsokisoìi» Ebbene, oggi più che nel 1859 è neces-saria l'audacia, è necessario che sia limitato l'esempio di colui che voi chiamate vostro capo-scuola.

Questo io dico a tutti della maggiorità, ma special-mente all'onorevole ministro degli affari esteri, inco-raggiandolo e ricordandogli poi che la fortuna è sopra-tutto amica dei giovani. (Ilarità)

Signori, quand'io penso che i nostri indugiatori cre-dono possedere la scienza del Governo più appropriato della rivoluzione, io non posso impedirmi dallo escla-mare : oh ! quale allucinazione, quale fatale inganno !

Agli occhi miei voi non possedete che la scienza della pazienza. (Ilarit à — Bene ! a sinistra) • Se questi indugiatori io debbo giudicarli dagli atti e dalle parole, certo io sono indotto a ritenere che nel volume delle istorie non abbiano meditato mai, come a uomini di Stato conviensi, sulle più famose rivolu-zioni, che hanno illustrato l'età moderna, certo io sono indotto a credere che benemeriti membri di quell'or-dine di persone che si mostrarono sempre paurose delle lotte popolari e sempre abborrenti da ogni audace ini-ziativa siano stati passibili spettatori della nostra stesa rivoluzione del 1859 e del 1860,-certo io sono indotto a credere che essi non abbiano neppure oggi l'intelli-genza dell'insurrezione polacca.

Io non voglio riandare, o signori, la storia di quella nazione che fu chiamata la stella del nord, e che da un secolo a questa parte merita di essere-chiamata la ma-ter dolorosa delle nazioni.

Io non voglio svolgervi la tela delle ipocrisie, delle menzogne, dei tradimenti, e poi delle violenze che precederono e susseguirono i ripetuti smembramenti della Polonia ; non voglio ricordarvi gli sforzi eroici di quella nobile nazione per rivendicarsi in libertà e indipendenza, e come sia stata rimeritata con ingrati-tudine dall'Europa che ella ha più d'una volta bene-ficata, anzi salvata perfino dalla barbarie.

No, non voglio ricordarvi tutto questo, perchè te-merei dir cose troppo note e stancare la pazienza della Camera, ancorché fosse possibile di abbellire con tinte di melanconica poesia il racconto delle glorie, del mar-tirio della Polonia.

Io dico adunque che i nostri principii, la missione che abbiamo nel mondo, l'interesse nostro, la sicurezza, il nostro avvenire esigono che l'Italia, per quanto sta in lei, venga in aiu.to della Polonia.

Ci è di più, o signori, ci è il debito della ricono-scenza verso quell'illustre nazione, la quale quando non ha potuto combattere per la propria libertà, ha fatto combattere i propri figli per quella altrui, e noi dobbiamo eternamente ricordare quei valorosi e gene-rosi Polacchi, i quali per la nostra guerra d'indipen-denza hanno largamente versato il loro sangue sui no-stri campi di battaglia ; la Lombardia ricorda i legio-nari Polacchi, e più della Lombardia li ricorda Roma. ( Voci a sinistra) : E vero ! è vero !)

La Camera deve dunque accogliere benignamente le petizioni che le furono presentate in favore della Po-

lonia ; queste petizioni, fra le quali con senso d'intima compiacenza, noto quella di 488 studenti dell'Univer-sità di Torino, come splendida manifestazione dei sen-timenti che animano tutta' la studiosa gioventù ita-liana, queste petizioni, signori, rappresentano il con-senso universale della nazione italiana, espresso per le mille bocche della stampa e perle imponenti manifesta-zioni dell'opinione pubblica che s'è fatta giorno a tra-verso le replicate, numerose e maestose adunanze po-polari.

E poiché ho ricordato le adunanze popolari, permet-tetemi vi dica come elleno costituiscano un argomento di legittimo orgoglio pel paese nostro, e attestino un grado di civiltà che può essére pareggiato difficilmente ma superato non già.

Vorrei che voi tutti foste stati in quest'occasione te-stimoni di quanto buon senso, di quanta temperanza, di quanta serietà vada privilegiato il popolo italiano e come le moltitudini nostre spoglie d'ogni indifferenza, d' ogni apatia, d'ogni cinismo (Con forza), che pur troppo per nostra sventura deturpa alcuni eletti in-gegni del nostro paese, si commuovono e si appassio-nano per tutto ciò ch'è nobile, grande e virtuoso. (Bene! a sinistra)

Io non dirò che il prestigio e la riputazione della Camera siano caduti, noi credo, e quando lo credessi, so che in certi momenti certune confessioni nuocciono anziché giovare, ma credo che l'autorità del Parla-mento debba essere sempre e più sempre alzata, e non perchè io appartenga alla sinistra, ma per amore di verità, mi compiaccio dichiarare che, nell'intento ap-punto di alzare più e più sempre l'autorità ed il pre-stigio delle nostre, istituzioni, gli amici miei che seg-gono in questi estremi banchi della sinistra si sono fatti i promotori ed i proponenti delle petizioni al Par-lamento, e se ne vantano apertamente, qualunque siano le censure di taluni che 'non vogliono essere cu-rate, ma disprezzate. (Bravo ! a sinistra — Segni di approvazione dalle gallerie)

Signori, nocque grandemente alla Camera la fred-dezza colla quale furono accolte le interpellanze Pe-truccelli in favore della Polonia. Fu quello un cattivo segno, un pessimo augurio per l'avvenire, come buon segno e ottimo augurio sono state invece le adunanze popolari, e come buon segno ed ottimo augurio è l'at-tenzione e la frequenza vostra in questa sera in cui si può, si deve riparare all'errore passato.

Ma le conclusioni della Commissione sulle petizioni per la Polonia non bastano, o signori. Se esse rivelano l'animo buono dei commissari, accusano timidezza di tendenze, timidezza che non sono punto sorpreso di vedere completamente divisa dal Ministero.

Vuoisi altra cosa, e non già questa, o signori, che il Parlamento, dimenticando la propria origine, accetti ciò che è inaccettabile ormai, intendo dire il vecchio diritto pubblico europeo. Vuoisi fedeltà ai principii della nostra rigenerazione ; vuoisi una deliberazione, un atto del Parlamento nostro proclamante che, come

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2 a T O R N A T A D E L 2 6 M A R Z O

agli occhi nostri è sacra l'unità e l'indivisibilità dell'I-talia, così pel sentimento di fratellanza e di solidarietà è sacra l'unità e la indivisibilità della Polonia.

E in questo senso, o signori, che io ho l'onore di presentarvi il seguente ordine del giorno :

« La Camera, facendosi interprete dei sentimenti della nazione italiana, rinvia le petizioni in favore della Polonia al Consiglio elei ministri invitandolo a propugnare con tutti quei mezzi efficaci che sono a sua disposizione la ricostituzione della nazionalità po-lacca.»

Signori, se voi, in conformità della vostra origine, adottate l'ordine del giorno che ho avuto l'onore di leggervi, voi, ne sono intimamente convinto, vi rende-rete benemeriti della Polonia, della patria nostra e delia civiltà. (Bene! Bravo! a sinistra — Segni di ap-

provazione dalle gallerie)

F B E S I B D I Ì T E . Il ministro degli affari esteri ha la parola.

Tiscoxri-vENOSTA, ministro degli affari esteri. Io non intendo di rientrare nella discussione generale, solo ho chiesta la parola per rispondere ad una accusa mossa al Ministero dall'onorevole Mordini.

L'onorevole Mordini rimprovera al Governo di avere ristretta la propria azione entro i limiti dei trattati del 1815, anzi mi fece carico di avere nelle mie parole dimenticato i principii del diritto italiano.

Ebbene, io posso dichiarare all'onorevole Mordini che quando il Governo inglese ci invitò ad associarci ai suoi uffici, il Governo del Re dichiarò di essere pronto a partecipare ad un'azione collettiva sebbene attingesse i suoi argomenti più ancora a considerazioni di giusti-zia generale e di politica, che alle sole stipulazioni del diritto positivo. (Bravol Bene])

L'Italia, o signori, può tenere un linguaggio che non è irritante appunto perchè è disinteressato e convinto. L'Italia può ispirare il proprio linguaggio all'espe-rienza delle proprie sventure. Queste sventure non le abbiamo inutilmente attraversate ; vi abbiamo attinto la convinzione di alcuns grandi verità morali, che il Governo può sempre ricordare e ripetere con dignità e con frutto.

Desidero eziandio di rispondere all'onorevole Siccoli, il quale disse che il mio predecessore, il conte Pasolini, aveva tenuto qui un linguaggio che non era che una confessione di impotenza per l'Italia. Io credo, o si-gnori, che l'accoglienza fatta dalla Camera alle parole pronunciate in questo recinto dal conte Pasolini fosse un'anticipata risposta a quest'accusa. (Bravo \ Benel)

MA ss AB ANI. Signori, quando io seguo coll'ansia dell'affetto e della pietà i casi tempestosissimi, gl'inef-fabili dolori, le prove magnanime di quel popolo che tiene in sè converse le simpatie di tutto il mondo ci-vile, e che testé ispirava sì veementi apostrofi all'elo-quenza del deputato Mordini; quando il mio pensiero trasvola da quest'aula ai campi desolati, alle città si-lenziose, alle squadre erranti e decimate dalla morte, ma non domabili dalla fortuna, che sono oggi tutto quel '

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che rimane dell'eroica Polonia, un senso di indefinibile tristezza s'insignorisce, lo confesso, dell'animo mio.

Io comprendo che per un istante si possa chiedere, come ha fatto l'onorevole oratore che pel primo ha preso a parlare in questa discussione, se in questi nostri fra-terni compianti sia più virtù di suscitare audaci con-sigli ed opere generose., o più rammarico di non poter fare abbastanza; comprendo, anzi non so al tutto di-fendermene io stesso, quella specie di ambascia che siede in cuore quando si danno parole soltanto a chi abbisognerebbe di più efficaci conforti. Ma questo per altro mi rinfranca, e con questo anche mi piace rispon-dere all'onorevole Siccoli e insieme all'onorevole Mor-dini, che, se il trionfo delle repressioni somiglia all'effi-mero tripudio dell'ebbro, la verità e la giustizia sono pazienti come il tempo; che l'opinione dell'universale, anche a detta di coloro i quali non la rispettan sempre e tentano qualche volta sedurla, è la regina del mondo; e che le parole anch'esse non sono sempre indarno, quando si parla in nome e col suffragio di una intera nazione.

Gli è anzi pensando che quanto più evidenti sono la verità e la giustizia di una causa, tanto meno si richieda all'autorità dell'oratore, ch'io ho preso animo a far cosa aliena dalle mie abitudini e dall'oscurità mia, ma con-sentanea all'interezza del mio convincimento, e sorgo a esprimere, dintorno a codeste petizioni promosse dai casi di Polonia, quello che parrni essere voluto così dalla carità verso tanto nobile e afflitta nazione, come dalla matura estimazione del nostro compito d'Italiani e del nostro meglio, in tanto agitarsi di nuove fortune europee.

La lotta formidabile che dura con incerta vicenda in quella terra del sacrifizio e della fede, i tragici episodi, gli aspetti perpetuamente mutabili di un duello che la volontà sembra combattere col fato antico, non giun-gono insino a noi che oscurati da contrarie lezioni e av-viluppati quasi in un velo sanguigno. Ma senza doman-darlo ai quotidiani e malfidi messaggi di amici e ne-mici, noi possiamo affermare che la Polonia, qualunque -sia per essere il suo immediato indomani, non è desti-nata a perire. Dove è medesimezza d'indole, di stirpe, di lingua, di religione, di paese ; dove, che vai meglio, è coscienza intera e profonda di cotesta materiale e mo-rale e civile unità; dove nè pervicacia di pressure, nò sottigliezza d'insidie, nè immanità di supplizi può fare che tu la disconfessi, non che strappartela dal cuore ; dove la dominazione straniera con tutta l'oltrepotenza del numero, con tutto il peso delle sue armi, con tutto lo strascico de' suoi satellizii, con tutto l'incubo delle sue persecuzioni, si sente vacillare e mancar sotto il terreno, e paventi i pochi, gl'inermi, i dispersi: quivi è la scintilla divina, è la vita imperitura della nazione.

Anche ai Polacchi s'imputarono come a noi le esube-ranze della personalità e le fazioni, e le si fomentarono di sottomano ; anche ai Polacchi si rimproverò l'insta-bilità e manchevolezza degli ordini politici, e s'impedì riformarli; anche ai Polacchi si promise la restaura-

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zione della libertà, e si frodò l'esistenza. Quel che ac-cada quando un popolo si attenda e si assiepa di ferro e si pronunzia padrone e signore in terra non sua, noi Italiani lo sappiamo pur troppo: fosse anche civile e prode nella sua terra, si perverte imperando sull'altrui; e la corruzione o la crudeltà, e il più sovente l'una in-sieme con l'altra, sono l'illazione inesorabile della con-quista. Quell'esistenza da in 'pace, che non è la vita, e non può manco essere la morte, noi l'abbiamo provata; nostre sono quelle disperazioni, quegl'impeti forsennati e sublimi; e dal giorno che Kosciuszko venne a versare la sua lagrima d'eroe su questa terra già pregna di tante lagrime, Italia e Polonia confusero in una le loro leggende patrie e liberali. (Conversazioni)

I nostri padri hanno combattuto insieme a Smolensko ed a Malojaroslawetz; Wysoki, Lelewel, Dembinski sono nomi per noi famigliari come i Santa Eosa e i Menotti ; esuli, ci siamo abbracciati fra i triboli degli stessi sentieri ; soldati, fra il tumulto degli stessi campi di battaglia. Ogni voce di quella piuttosto Italia che Francia del nord ha un'eco nelle nostre memorie o nelle nostre speranze.

Quando, or fa un anno, le sue società agrarie si travagliavano, fra le vigilate angustie dei loro pro-grammi, d'aprire un qualche spiraglio di vita civile, ci ricordavamo i nostri congressi; quando le mute e fiere processioni di popolo, i vecchi, i preti, le donne, protendendo il collo agli sgozzatoli, intonavano sul fe-retro delle vittime l'inno della redenzione, ci ricorda-vano di avere anche noi seppellito i nostri morti in mezzo a siepi di baionette straniere, e deposto sul loro tumulo il fiore della speranza, che doveva schiu-dersi sotto rugiade di sangue, aPalestro ed a San Mar-tino. Ed ora, nei silenzi d'i Varsavia noi ripensiamo i silenzi di Venezia, ed i duecento fanciulli di Wengrow ci additano le muraglie del quadrilatero.

Oh! ringraziamo le nostre lunghe sventure, ringra-ziamo il lutto non ancora intieramente scomparso dalla nostra bandiera, che ci' consentono, che ci sfor-zano di essere pietosi dei lutti altrui.

Ma qui già credo sentire la voce d'uomini autorevo-lissimi e per antico patriottismo degni della più alta riverenza, i quali mi ammoniscono che là dove si deli-bera sulla cosà pubblica il sentimento deve tacersi, e lasciare sovrana ed arbitra la ragione ; che il barbaglio delle frasi non fa che parere più squallida la vacuità e nullità delle opere ; e che prima bisogna sapere .che cosa più giovi all'Italia e che cosa l'Italia possa, poi consi-derare che cosa sembri augurabile in prò d'altrui. Ed io non disdico la severa sentenza; e mi proverò ap-punto di ricercare se in questo, come in tutti, io credo, i gravi momenti della politica, non convengano in uno la saviezza e l'ardire, la rettitudine dei propositi e il supremo utile della patria.

Però prima mi si conceda di rilevare una parola, ac-cennata dianzi da un altro oratore, alla quale, per es-serci venuta* anzi caduta dall'alto, io non mi tengo

davvero in debito di professare la stessa osservanza che alle ammonizioni degli amici.

Si è detto in una certa solenne rassegna delle potenze di Europa: « Che ci ha mai dietro all'Inghilterra, alla Prussia ed all'Austria? L'Italia? Più tardi, forse, ella potrà apportare la sua influenza ; per ora è troppo gio-vane, non è fatta abbastanza. »

Signori, io raccolgo, e credo che voi tutti meco rac-coglierete come un titolo d'onore questa che ci è parso inviarci come una fede di minorenne, Sì, noi siamo gio-vani, e ci glorifichiamo della nostra gioventù ; siamo giovani, e però sediamo al banchetto delle nazioni non per titoli vieti e surrettizii, ma per diritto di legittima nascita; siamo giovani, e però scarichi di peccati, non abbiamo nulla da farci perdonare, e molto abbiamo da perdonare altrui ; siamo giovani, e se col nostro gio-vane esercito non siamo rimasti ultimi al paragone dell'armi, dobbiamo essere tra i primi alla rivendica-zione del nuovo < irifcto europeo.

11 nuovo diritto ! Questa grande parola ha bisogno per altro d'essere intesa sènza equivoci e senza esagera-zioni, e quando io ricerco come il nuovo diritto si for-muli, come debba praticamente atteggiarsi, non posso-a meno di dissentire dall'onorevole Mordini.

Io so bene che una gran parte rimane ancora non contesa al dominio della forza nel governo delle cose d'Europa, so che la sanzione del diritto scritto non si suole altrimenti concedere che alla ragione dei fatti compiuti, e non si è ancora, o quasi mai, derivata a priori dall'evidenza della ragione; ma non mi pare men vero che la diplomazia, per quanto asserragliata sem-pre dentro alle vecchie formule e irta delle antiche di-fese contro ogni audacia di novatori, non la è però più sì bene e compiutamente, massime dopo il Congresso di Parigi, che per qualche fessura non penetri il raggio e lo strale della verità.

Chi soffriva solo dieci anni addietro nei penetrali di-plomatici che si parlasse di questione italiana? Ep-pure, dopo la generosa audacia di Crimea, la questione italiana è entrata, a braccio al conte di Cavour, nei consigli d'Europa; e tre anni di poi avevamo l'Italia. Oggi la questione polacca è sorta, o piuttosto risorta; • essa ha affermato se medesima, come quell'antico affer-mava il moto, camminando; e fornirà il suo cammino.

Già nel Senato francese udivate dire pochi giorni addietro : « la questione polacca è europea. Ella inte-ressa al pari di noi tutte le nazioni. »

E chi profferiva queste parole ? Forse un. caldo fau-tore di novità, forse il principe che ha avuto l'onore di sostenere, solo in quel Consesso, la nostra causa in faccia alla Corte di Boma ? No, signori, queste parole profferiva un ministro, quel ministro che è il solo de-positario dell'oracolo imperiale.

La questione polacca così solennemente affermata non è dunque, come testé io udiva dirsi da due oratori di contrarie parti, una amara ironia ; non è, anche sotto il rispetto della dignità e della influenza, delle quali ogni nazione, ma soprattutto una nazione gio-

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vane, deve essere tenerissima e gelosissima, non è una chimera da tenersi in non cale, ma un terreno sul quale importa di prendere posizione, e di prenderla buona e pronta e forte il più che si possa.

Se per altro il metterci in questa contesa dovesse condurci ad invocare i patti del Congresso di Vienna, se i trattati del 1815 dovessero essere un addentellato su cui seguitare, decorandone tutt' al più la facciata, l'odioso edifizio di quella che chiamarono restaurazione, non io augurerei di certo che l'Itali a ci avesse le mani. Ma dico per lo contrario che questa è occasione, non a riappiccare il logoro ordito della tradizione di Vien-na, sibbene a rimettere sul telaio quello che il nostro grande ministro ha di sua mano avviato al Congresso di Parigi.

S'incominciò allora, ricordiamolo, e in grazia dell'at-teggiamento che il piccolo Piemonte non s'era peritato di prendere rimpetto al colosso del Nord, si incominciò allora a surrogare all'arbitrio della pentarchia la. di-scussione libera, pubblica, da eguali, tra i mandatari di ciascuno Stato ; s'inaugurò, novità strepitosa, la consultazione del suffragio dei popoli, convocati a pro-nunziarsi sui proprii destini ; si preconizzò la trasfor-mazione e poco meno che l'affrancamento completo dei vassallaggi; il non intervento si ebbe per sottinteso,

' quasi massima già introdotta nel giure delle nazioni, poiché si deplorò che fosse temporaneamente violato in Grecia ed in Roma; i richiami delle Provincie op-presse, mirabile a dirsi, non si respinsero, comechè sporti senza legale formalità di mandato ; e le ammo-nizioni non si volsero a minaccia sui popoli, ma a freno dei monarchi assoluti. '

Questa è la tradizione che alla giovane diplomazia italiana spetta di riannodare al presente, questa la via che deve spianarsi dinanzi; e se ogni passo dato in questa via è uno scrollo alle iniquità del passato, non mi bisogna spendere parole per dimostrare come e quanto possa giovare all'Italia.

Ma che questo giovi all'Italia non basta ; bisogna mi dimostriate che tutto questo si possa.

Signori, consideriamo quale sia l'indirizzo che non noi e i nostri voti, ma le potenze d'Europa e gli or-gani ufficiali di queste potenze diedero alla questione polacca.

Nei patti del 1815 è scritto che i monarchi si preste-ranno quasi tra sè compaesani, aiuto e soccorso in ogni occasione; lo che nel linguaggio dell'epoca vuol dire che promettono reciprocamente aiutarsi contro i moti popolari.

Or bene, qual è il fatto che recava testé sul tappeto della diplomazia, che evocava, come dicono, la que-stione polacca ? È la convenzione russo-prussiana. A tut ti parve, com'era, vituperevole; ma forse che per di-fenderla venne in mente ad alcuno di richiamarsene ai trattati del 1815? Tanto è obsoleta la sanzione di quei trattati, che nè il governo prussiano la invocò, nè la nazione prussiana reputò per questo meno condanna-bile l'atto del suo Groverno; anzi una voce generosa si

levò in piena Assemblea di quella nazione, a proclamare che Vonore del Governo non era più l'onore del paese.

Verso la Prussia - la base dei negoziati è dunque, come a noi giova, non la tradizione del 1815, ma il principio del non intervento, che è dire il cardine del nuovo diritto delle nazioni.

Vediamo se le cose corrano del pari rispetto alla Russia.

Quando all'Europa fosse piaciuto di attenersi alla tradizione del 1815, anche questa tradizione le offriva argomento di richiami verso la Russia, come verso la Prussia e verso l'Austria. In quei trattati si legge che « i Polacchi, sudditi rispettivi della Russia, dell'Austria 6 della Prussia, otterranno una rappresentanza ed isti-tuzioni nazionali. » E per ciò che spetta più partico-larmente alla Russia, la eventuale annessione della Lituania al granducato di Varsavia, restaurato allora novellamente in regno polacco, è accennata in quella extension intérieure che l'imperatore si riserva di dare al regno novello.

Tali promesse ebbero anche un commento solenne nelle parole di Alessandro I ai Polacchi, che, se la Ca-mera me lo permette, ricordo:

« Une constitution appropriée aux besoins des loca-lités et à votre caractère, l'usage de votre langue dans les actes publics, les fonctions publiques accordées aux seuls Polonnais, la liberté du commerce et de la navi-gation, votre armée nationale, tous les moyens garantis pour perfectionner vos lois, la libre circulation des lu-mières dans votre pays, tels sont les avantages dont vous jouirez sous notre domination et sous celle de nos successeurs. »

Questi sono al certo precedenti di non poco rilievo ; eppure, gli è fórse a questi che s'appoggiano di prefe-renza i richiami della odierna diplomazia, le rimo-stranze del signor Drouyn de Lhuys alla Corte di Pie-troburgo? Rileggete il suo dispaccio del 18 febbraio: è la pressione dell'opinione pubblica, che ad ogni .mo-mento il ministro dell'impero reca in mezzo come ra-gione e quasi come schermo alla propria ingerenza ; e confessa che il Governo di Pietroburgo « creerebbe a sè ed alla Francia una situazione spiacevole, se,.massime nelle gravi circostame che si presentano, si mettesse in opposizione... con che? Colla lettera dei trattat i? No: colVopinione pubblica. »

Ma v'ha di più. Se il signor Drouyn de Lhuys lascia i trattati in disparte, il signor Billault non esita a guardarli in faccia e a giudicarli:

« Les traités du 1815 — dice nel suo ultimo discorso al Senato — les traités de 1815 ont promis (et à es point de vue ils ont constitué un engagement extérieur vis-à-vis des puissances européennes qui les ont signé), il s ont promis aux peuples de Pologne des institutions et une représentation nationale. Mais... ils n'ont pas résolu la question. Il s ont posé côte à côte des éléments qui se combattent .. ils ont attaché au flanc des puis-sances un embarras, une plaie, un mal de chaque instant. »

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6064

CAMERA DEI DEPUTATI —- SESSIONE DEL 1861-62

Certo non può essere meglio scolpita l'intenzione di prender l'abbrivo dai trattati per poggiare più in alto, alla grande, alla vera soluzione. (Conversazioni)

Quanto all'Inghilterra, sappiamo pur troppo che essa si chiude in ben- altro riserbo ; ma, quando pa-reva inclinare a quelle ingerenze che ha causato di poi, era alla solidarietà dei popoli civili, più che ai patti del 1815,' che intendeva anch'essa di incardinare la propria azione ; e, come l'organo del gabinetto di St-James si affrettavafa constatare, la discussione del 24 febbraio alla Camera dei Comuni s'era fondata piut-tosto negli obblighi e nei doveri di ciascuno Stato verso la grande comunione in cui tutti vivono, che non nelle stipulazioni di trattati, o caduti al tutto in dis-suetudine, o da gran pezza obbliati.

Da qualunque parte dunque ci volgiamo, troviamo che la questione polacca non è circoscritta altrimenti nei termini del 1815, ma è ritirata ai supremi prin-cipii del diritto delle genti, e recata insomma su quel vasto e promettente, ancorché periglioso terreno delle, grandi rinnovazioni politiche, dove uno Stato giovane non deve giungere nè tardo nè impreparato, se non voglia venir scadendo nell'inerzia e nell'isolamento.

Senonchè rimane ultima una circostanza la quale ha autorità di tenere in sospeso l'animo dei più prudenti; e qnesta è la presenza dell'Austria nei negoziati, la sua partecipazione, apparente e senza dubbio sospetta, nei disegni benevoli verso la Polonia.

L'Austria ha per verità mutato le spoglie ; essa non è più la vecchia Corte aggranchita e paralitica, che all'indomani della grande giornata di Sobiescki dispu-tava e sottilizzava sul cerimoniale con cui onorare il meno che si potesse il suo liberatore ; no, essa ha tolto a prestanza, per rabberciarsene in faccia all'estero, l'andatura spigliata dei nUovi tempi, e non le sa male affatto di vergare consigli di moderazione e note libe-raleggianti colla stessa mano con cui dà di chiavistello alle segrete di San Severo e di San Giorgio. Oggi le torna di blandire i Polacchi, di umiliare la Prussia, di punire la Russia de'suoi beneficii, di gittare nell'in-cendio del vicino l'esca che potrebbe riappiccarlo in casa sua; ma è sempre l'Austria che duecento anni fa Gian Casimiro accusava di occhieggiare Cracovia e di non voler restarsene a dente asciutto; è sempre l'Au-stria che nella sua -porzione di Polonia, ghermita senza strepito e senza guerra, ha dimenato sì bene la fiaccola e il vipereo flagello di un certo suo comunismo cesareo, da far un tratto erompere in piena Europa gli ster-minii di San Domingo; e quando ai questi ultimi giorni il volubile destino delle battaglie traeva Lan-giewicz alla fatale cittadella di Tarnow, egli ha potuto riconoscervi gl'infami cortili dove si tenne mercato di teste recise,, e dove un generale d'esercito la faceva alla famigliare col capo degli accoltellatori. Ora che cosa attendersi d'onesto, non che di glorioso e di grande sotto auspicii siffatti ? E dove andiamo in co-tale compagnia?

Questi pensieri, lo confesso, hanno travagliato me

pure, e non meno forse di coloro che per avventura ne rimasero soprafìatti e conquisi; ma, alla fine, il dico francamente, ne uscii rinfervorato nella mia persua-sione.

L'Austria si destreggia volentieri fra parti opposte: oggi è tutta ardore per le idee della Francia, domani declinerà dall'attuario.: oggi fa balenare, se occorre, la restituzione della Gallizia ai Polacchi, domani li sor-prenderà, come ne li ammoniva un illustre esule un-gherese, con alcuna delle prodigiose sue ingratitudini.

Ma gli è anche così che nove anni sono ella s'era inforcata a tutt'agio a cavaliere del Danubio, salvo a chiarirsi poi, come le tornasse meglio, o vanguardia degli Occidentali, o retroguardia dei Russi.

E allora altri ebbe il senno e il coraggio di piantar-lesi in faccia, altrettanto leale e operoso alleato delle nazioni d'Occidente, quant'essa era ancipite e di mala voglia; ed ottenne per sè quel premio ch'ella voleva • bene carpire colle sue mostre, ma non guadagnarsi con l'appoggio sincero. Lo stesso senno, il coraggio mede-simo, or ci bisogna; e come allora fu dato l'impulso alle nostre fortune, così oggi forse siarpo sortiti a com-pirle.

Io mi felicito che per quanto il riserbo imposto ai consiglieri della corona poteva permetterlo, idee non aliene da queste siano in qualche modo trasparse anche dal linguaggio del potere.

Tocca a noi, diceva non è molto in questa Camera l'onorevole ministro che ha testé deposto il portafoglio degli esteri, tocca a noi essere anello tra l'Inghilterra e la Francia, tra le due grandi nazioni antesignane della civiltà. E questo medesimo concetto ci confermava pur dianzi il suo successore, il quale ne diceva che, collocata tra l'Inghilterra e Francia, l'Italia era al suo posto.

Or quale più degno indirizzo potremmo mai dare a cotesta naturai mediazione, che non sia quello di unire due potenti popoli in prò di un popolo generoso? Ciò che il signor ministro ne ha detto dei procedimenti benevoli posti in atto dall'Inghilterra a' nostro riguardo per fare che l'azione nostra andasse di pari colla sua nelle rimostranze alla Russia, ci conferma in quelle speranze che già da più remoti inizii ne era lecito di derivare.

È infatti un ministro inglese, è lord Clarendon, che al Congresso di Parigi, allato alla questione italiana evocava la questione polacca, e di là trasmetteva al suo Governo le promesse, pur troppo vane, dell'inviato russo. Ed ecco per avventura un appicco bastevole a riannodare i negoziati; l'opportunità, o si coglie, o si crea, dove il conte di Cavour ha lasciato depositarli del suo pensiero.

Ma cotesta è al postutto faccenda di chi governa. Io non so che ancora nessun oratore in nessun Parlamento abbia posto il' dito a segnare matematicamente la linea cui debba il Governo attenersi, e fissato matematica-mente il punto donde i propositi abbiano a muovere, e dove possano giungere o debbano. La politica è un in-

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2a TORNATA DEL 26 MABZO

t reccio che si forma e si r ifor m a cogli even ti ; e questi

non en trano in conto che d 'ora in ora.

An cor meno io vor rei che ci soffermassimo a d isser-ta re in torno a lla form u la colla qua le siano da r in via r si

al Min istero le pet izioni su lle qua li deliber iam o.

Nessuna cosa, lo confesso, mi fast id isce p iù che i l

r icordo di quelle d isqu isizion i, onde un 'Assem blea, a lla qua le cer to non m ancavano nè gli a lti in gegni nè i m a-

gn an imi sensi, potè spendere giorn ate per decidere se

nelle parole roga li dovesse cercare p iu t tosto assicurala

o certezza che la Polon ia sarebbe sa lva, e questo a llora

appunto quando Paskewit ch si avan zava p iù che di passo a sch iacciar la.

Noi non rinnoveremo, io ne ho fede, questo smacco agli ordini par lam en tari ; e senza sindacare, (che poco

m on ta) le fr asi della Commissione, p iglieremo i l voto del r in vio al Min istero per ciò che ò veram en te, un

gran de at to di sim pat ia a una nazione sorella, e un nobile e largo ind ir izzo dato a lla nost ra polit ica in

Eu r opa.

Vot iamo unan imi il r in vio al Min istero, perchè esso

sign ifica costanza nel nostro credo nazionale, solidar ietà del nostro con t u t ti i d ir it t i , volon tà di r iven d icare per

noi e per t u t ti in tera giust izia. Vot iamo un an imi i l r in vio al Min istero, perchè sappia

l ' I t a li a che se i suoi rappresen tan ti possono d issen t ire

nelle opin ion i, nei sen t im en ti non possono ; e che il gr ido della coscienza polit ica prorompe concorde dai loro pet t i,

come fer ve nei loro pet ti un medesimo amore di pa t r ia

e di liber tà. (Bravo \ )

PRESIDENTI;. La parola spet ta al depu tato Boggio.

Voci. Ai voti ! ai voti ! PRESIDENTE. I l deputato Boggio ha facoltà di par-

la r e.

Noci. Ai voti ! ai vo t i! P a r l i! p a r l i!

ROGGIO. L'on orevole Mordini esord iva i l suo discorso dicendo che un fosso lo separa dalla polit ica del Min i -

stero. Un m om ento dopo si pen t iva d 'aver det to che

lo separasse appena un fosso, ed i l fosso d iven tava un abisso. I n ver it à, signor i, che quando ho dipoi ud ito

la conclusione del suo d iscorso, quando ho ud ito la let tu ra del suo ord ine del giorn o, mi sono det to che

quell'abisso era un ben povero abisso, se basta per va r-

car lo un pon te, come quello che si con t iene nel suo or-d ine del giorn o.

E in ver ità un abisso che non basterebbe neppure ad

in goiar Curzio, i l Curzio an t ico voglio d ire. (I la r it à )

A l discorso dell'onorevole M o r d in i . ..

CURZIO. Domando la parola per un fat to personale.

(Si ride)

ROGGIO. Dich iaro a lla Cam era su ll'onor mio che non ho mai saputo che l'onorevole nostro collega Curzio d i-

scendesse dal Curzio an t ico, e per conseguenza non in-ten deva cer to di a lludere al nostro collega quando io

nom inava quell'eroe romano. (Morm or io e ilarità)

E che ? Ricordo i l nome di un an t ico e odo che si dom anda la^ parola per un fa t to personale ; è ben n a tu-

ra le che io ...

PRESIDENTE. E lla con t inui i l suo d iscorso. Quan to

al fa t to personale, si vedrà poi. ROGGIO. Dacché così vuole l'onorevole nostro pre-

siden te, ecco, io lascio la stor ia an t ica e torno a lla sto-

r ia con tem poranea.

L a stor ia con tem poranea m 'in segna in questo m o-

mento che i l discorso dell'onorevole Mordini m anca di conclusione. Che cosa ha egli in teso fa re colla proposta

di quell'ord ine del giorno del quale egli ci ha dato le t t u ra ?

H a egli creduto di propor re qualche cosa di a t tua-bile ? I n t al caso egli doveva p ron un ciare ancora una

parola ; ma l'ord ine del giorno col quale s ' in vita i l Mi -n istero a dar opera affinchè sia r icost itu ita sin d 'ora la

n azion alità polacca, o non ha sign ificato, o, se vu ol

aver un va lor prat ico, deve sign ificare gu er ra a lla Russia, gu er ra a lla Pr u ss ia e gu er ra a l l 'Au s t r ia.

Non è a lt ro modo di r icost itu ire la nazionalità po-

lacca fu or quello di sot t r a r re a queste t re potenze le frazioni della Polon ia che esse occupano, e ciò non è ora

a lt r im en ti possibile che per mezzo di una gu er r a. E lo

deve pr ima d 'ogni a lt ro am m et tere l'onorevole Mord in i, che ci ha d ich iarato come egli rion abbia fede nei Con-

gressi o n egli in ter ven ti d ip lom at ici.

Ma se egli voleva d ir questo, se egli voleva consi-glia re al Par lam en to ed im por re al Governo una r iso-

luzione così est rem a, egli doveva pronunciare anche

quell'u lt ima parola, doveva aver i l coraggio di assu-m ere t u t ta la respon sabilità di un consiglio così gr a ve.

Se poi i l suo ordine del giorno non vuol dir a lt ro

che l'espressione di un voto, d ietro i l quale non deb-

bano essere i ba t taglioni ed i cannoni del r egno d 'I ta-lia , ei deve perm et termi di d ir gli nuovam en te che quel-

l'abisso al quale egli a lludeva è un ben povero abisso, giacché basta a varcar lo un così innocuo pon te di ca r t a.

(Bene !)

Del resto i l d iscorso dell'onorevole Mord ini non so-lam en te m anca di conclusione; ma inolt re esso rad ical-

m en te fondasi sopra una ser ie di equ ivoci ed accenna

ad alcune m inacce le quali, dacché a lu i p iacque form u-lar le in questo recin to, debbono avere una r isposta da

coloro i qua li pensano che , ind iret tam en te alm eno, quelle m iuaccie accenn ino ai p r incip ii, a lle opin ion i,

alle ist ituzioni alle quali essi fu rono sempre fedeli ed

alle qua li sapranno costan tem en te conservarsi t a li checché avven ga.

MORDINI. Dom ando la parola. BOGGIO. L'onorevole Mord ini ha det to che egli era

qua den tro i l r appresen tan te di una polit ica estera.

Sarà ben issimo, lo credo su lla sua parola ; ma sarei

molto cur ioso di sapere quale sia questa polit ica estera che egli rappresen ta.

L a polit ica estera della quale ta luno in un Pa r la-mento si p roclama i l rappresen tan te dev'essere anche

fuori del Par lam en to p rofessata da qualcun o, perchè

sarebbe sin golare che si volesse decorare col t itolo pomposo di politica estera l'espressione del concet to iso-

la to di un ind ividuo.

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CAMERA DEI DEPUTATI — SESSIONE DEL 1861- 62

{ La politica estera inchiude invece il concetto di rap-porti non individuali, ma internazionali fra popolo e popolo, fra Stato e Stato.

Or bene, qual ò questa politica estera dell'onorevole Mordini?

Certo non è quella del Ministero; ci sta di mezzo quel tale fosso o quel tale abisso.

Guardando ai precedenti politici che in questa Camera più volte ebbero occasione di formolarsi, neppure posso credere che la politica estera dell'onorevole Mordini sia quella della maggioranza della Camera.

Sarà almeno la politica dei meetìngs, delle riunioni popolari che ebbero luogo in questi tempi in favore della Polonia ?

L'onorevole Mordini neanche può lusingarsi di rap-presentare la politica dei meetìngs, poiché le stesse riu-nioni presiedute da lui medesimo non hanno formulato e non avrebbero accettato il programma che nel suo di-scorso egli svolgeva innanzi alla Camera.

Egli vi citava la petizione degli studenti ed amava credere che le opinioni da lui espresse questa sera fos-sero le opinioni della gioventù studiosa; or bene, in questo stesso momento da alcuni degli studenti firmati alla petizione mi viene trasmessa una copia di essa, e al solo leggerla ciascuno si persuade che l'onorevole Mordini l'ha fraintesa, e s'illude stranamente se crede elle gli studenti torinesi siano con lui . Li conosco da molti anni gli studenti dell'Università di Torino, li conosco per essere stato un tempo loro compagno, l i conosco per essére chiamato ora all'onore di far parte dei loro insegnanti. Io li ho trovati sempre de-voti alla patria e disposti ai maggiori sacrifizi per essa, ma alieni mai sempre dalle infeconde e pericolose esa-gerazioni.

Penetrate, penetrate, o signori, nel recinto della no-• str'aula universitaria; f ra le prime-lapidi che vi ca-dranno sotto gli occhi voi vedrete quella che registra i nomi di quei valorosi studenti che non a parole, ma a fatt i, propugnarono l'indipendenza e la nazionalità ita-liana, facendo il sacrifizio della loro vita sui campi di battaglia, nei quali si combattevano le guerre del ri -

. scatto d'Italia. (Viva approvazione) Questi studenti, che sempre furono generosi e sempre

fecero abnegazione di loro medesimi, ma sempre abbor-rirono dalle sterili e vuote declamazioni, crederete voi che siano mai per ammettere che le loro opinioni furono stasera esattamente interpretate dal discorso e dalla conclusione dell'onorevole Mordini ?

No, o signori, e in prova eccovi le tes tuali parole colle quali conchiude la petizione degli studenti torinesi :

« Spetta ora a voi, onorevoli deputati, indurre il Go-verno a prendere rispetto alla Polonia quell'attitudine che ad un Governo italiano si conviene per non tradire gli affetti, i desiderii e la dignità dell'intera nazione. » (Bene l)

Così essi hanno formolato le loro conclusioni; essi non domandano al Parlamento ed al Governo ciò che sanno essere impossibile, ciò che lo stesso onorevole Mordini

mostrò di non credere neppur esso possibile, dacché ha preferito attenersi ad una dizione vaga e generica, e si è fermato quando invece avrebbe dovuto pronunziare quell'ultima parola nella quale era l'esplicamento pra-tico del suo ordine del giorno.

L'onorevole Mordini neppure rappresenta adunque la politica estera delle riunioni popolari ; neppure esprime i l concetto della gioventù, la quale tuttavia per essere meno innanzi negli anni è pur meno innanzi nell'espe-rienza, ed è più facile a trascorrere colla fervida fan-tasia e coi generosi impeti al di là dei limit i del possi-bile.

Laonde io aspetto ancora dall'onorevole Mordini una spiegazione, che andrò lieto di aver da lui ; una spiega-zione la quale mi dica quale veramente sia la politica che egli crede di rappresentare qua dentro in ordine ai rapporti internazionali, e la quale già sappiamo che non è quella del Governo, nè quella del Parlamento, nè quella dei meetìngs, nè quella degli studenti.

Ho detto che il suo discorso per me si riassume in una serie di equivoci ed in talune minaccie. Dirò imme-diatamente quali siano gli equivoci che io credo di po-tere rimproverare all'onorevole Mordini.

. Egli sarà forse maravigliato di questa più che di qualunque altra mia accusa, imperocché gli parrà anzi di aver sempre parlato così chiaro, così risoluto qua dentro che a chicchessia altri, salvo che a lui, si possa muovere rimprovero di oscurità o di ambagi.

Eppure io credo che questa sera il suo linguaggio fu tutto di reticenze e di equivoci.

L'onorevele Mordini ha equivocato primieramente quando s'ingegnò di far credere a chi l'udì qua dentro, ed a chi leggesse poi il suo discorso, che vi sia tra lui e noi dissenso radicale intorno a taluni punti cardinali, i quali vuole giustizia ed esattezza storica che si chia-mino ormai luoghi comuni della opinione pubblica, tanto è generale l'accordo intorno ad essi.

L'onorevole Mordini vi parlò del debito di simpatia che abbiamo per la Polonia, degli obblighi di gratitu-dine che ci impone verso la Polonia e il passato di quella generosa nazione, e il martirio con tanta rasse-gnazione, con sì nobile abnegazione da essa sofferto in questi ultimi tempi, e lo spettacolo di eroismo che essa dà ora all'Europa nella lotta disuguale in cui si è git-tata con tanto ardimento.

Ma, o signori, l'onorevole Mordini che un momento f a gridava a noi con voce tonante: v'illudete! v'illu-dete ! non vi pascete che d'illusione ! l'onorevole Mordini egli invece è primo ad illudersi se crede che questi sen-timenti sieno un monopolio, una privativa dell'animo suo gentile e generoso ; questi sentimenti sono invece comuni a tutti in Italia, e niuno di noi si crede in essi a lui secondo. La linea che da lui ci separa non è già nelle simpatie per la Polonia, non è già nel desiderio di vedere cessati i dolori di quella generosa nazione, non è già nelle aspirazioni alla ricostituzione di quella na-zionalità ; no, non è questa la linea di separazione fra lui e noi, essa non è nelle teorie, non è nei principii,

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24 TORNATA DEL 26 MARZO

ma apparisce e si rivela solamente sul terreno pratico. Il dissenso, se parlisi della causa polacca, non cade sul fine, ma sui mezzi.

Noi che sediamo da questa parte della Camera e ci chiamiamo uomini governativi, allorquando ci propo-

, niamo uno scopo, intendiamo raggiungerlo ; allor-quando ci proponiamo una meta, vogliamo toccarla. E facendo nostro profìtto delle lezioni della storia, noi non pretendiamo arrivarvi d'un salto, ma stiamo paghi a raggiungerla grado a grado. Non vogliamo per nna fanciullesca impazienza di ottenere immediatamente tutto lo scopo, compromettere per sempre o ritardare per chi sa quanto tempo quei successi parziali che sono la preparazione e la guarentigia del successo finale.

Noi non siamo di coloro che dicono : a Roma e Ve-nezia immediatamente, o di nuovo l'Austria e i Bor-boni in Italia ! (Movimenti)

No, noi invece cominciammo col voler liberare quelle parti d'Italia che si potevano liberare coi mezzi che erano in nostra mano, e le abbiamo liberate. Noi ab-biamo' voluto riunire quel maggior numero di forze italiane che era possibile di stringere insieme fin da principio per formare il fascio e giovarci poi di queste prime forze così collegate per compiere alla prima op-portunità definitivamente l'impresa.

L'onorevole Mordini invece è impaziente d'ogni in-dugio, non gli bastano i successi parziali, non ama il progresso graduale ; la sua forinola è : o tutto e subito, o niente.

E questo è che ci separa; non adunque la quìstione di principio, ma la preoccupazione che è in noi di as-sicurare i mezzi che condurranno allo scopo crea la linea di separazione fra noi e l'onorevole Mordini.

Quale delle due opinioni più si allontani dal vero, quale delle due parti si faccia illusione, quale dei due programmi risponda meglio ai veri interessi del paese, lo dirò tra pochi momenti, cioè allorquando, esau-rita la serie degli equivoci, passerò alla serie delle mi-naccie.

Un secondo equivoco ha commesso l'onorevole Mor-dini allorché egli esclamava che il suo programma consiste in questo: che ogni straniero il quale sia in 'Italia, qualunque idioma parli o qualunque divisa ve-sta, ripassi le Alpi.

Ma crede forse l'onorevole Mordini che in alcuno di noi sia meno vivo, meno intenso questo desiderio ?

L'onorevole Mordini, il quale al certo sa che io non sono tra i suoi ammiratori, l'onorevole Mordini mi avrebbe a seguace devoto il giorno in cui invece di venirci a dire : io' voglio che l'ultimo degli stranieri ripassi le Alpi, ci venisse invece a dire: ho scoperta la via per la quale l'ultimo degli stranieri ripasserà le ' Alpi. (Bene! a destra) Trovi quella via l'onorevole Mordini, e la indichi al Parlamento, e vedrà come co-loro eziandio i quali ora più gli sono avversi si sti-meranno felici di avere l'ultimo posto tra i suoi se-guaci.

Ma finché egli non porta qui dentro che sterili voti senza che li accompagni, li fecondi alcunché di pratico* di concreto, di attuabile, egli non deve attribuire ad altro sentimento che ad un sincero amor di patria il dis-senso che da lui ci separa ; dissenso che ha la sua ra-dice in questo, che mentre noi vogliamo come lui il bene dell'Italia nostra,, non crediamo che per la via nella quale egli si è messo a questo scopo si possa rag-giungere giammai.

L'onorevole Mordini ha però voluto rendere una tarda giustizia a colui che ben a ragione egli chia-mava il nostro maestro, che ben a ragione egli di-ceva essere da noi riconosciuto quale il nostro capo-scuola.

Mi sono rallegrato di questa resipiscenza'dell'onore-vole Mordini; e se mi è dovuto rincrescere che egli ab-bia indugiato fino ad oggi per essere giusto col conte di Cavour, mi son pur detto: meglio tardi che mai.

Bensì io ho dovuto da capo dubitare della spontaneità e del disinteresse di questo tardo atto di giustizia quando udii 1' onorevole Mordini soggiungere che il conte di Ca-vour rimprovererebbe gli attuali ministri di non saper essere a un tempo rivoluzionari e diplomatici quale egli fu.

Or bene, noi i quali allorché il conte Cavour viveva gli accordammo sempre quella fiducia che solo al conte Cavour morto sembra disposto a concedere l'onorevole Mordini (Rìsa ironiche)', noi che non tememmo allora veruna delle taccie, veruna delle accuse di servilismo e di cortigianeria che ci si gittavano in fronte, e colle quali cercavano gli uomini che professano le opinioni dell'onorevole Mordini di intimidirci ed esautorarci per-chè volenterosi seguivamo l'impulso che quel genio dava alla cosa pubblica per il bene d'Italia; noi abbiamo ora il diritto, abbiamo anzi il dovere di rivendicare la sua memoria dagli equivoci coi quali si vorrebbe ora frain-tendere le intenzioni e gli insegnamenti.

Molti sono in questa Camera che me ne potranno fare solenne testimonianza: il conte Cavour e in pubblico e in privato, e nel Parlamento stesso, non meno che nelle note diplomatiche dichiarò recisamente che il piccolo Piemonte aveva dovuto essere rivoluzionario, ma che l'Italia doveva cessar di esserlo.

11 piccolo Piemonte doveva essere rivoluzionario, per-chè aveva questo mezzo solo per ottenere che l'Europa udisse i richiami che in nome d'Italia il piccolo Piemonte formolava; era necessario che il piccolo Piemonte si mo-strasse ai fianchi dell'Europa come un brulotto incen-diario, come una mina sempre prossima ad incendersi, come una minaccia permanente che dicesse all'Europa: « Date ragione all' Italia, se no, per Dio, io scoppio, e mando in aria tutti voi con me ! (Bravo ! Bene ! Benis-simo !)

Ecco perchè il piccolo Piemonte doveva essere rivolu-zionario. Ma allorquando un Governo non rappresenta più solamente un piccolo Stato di quattro milioni d'abi-tantij ma sì invece una grande nazione di ventidue mi-

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— 606S —

CAMERA DEI DEPUTATI — SESSIONE DEL 1861-62

lioni , il suo linguaggio, il suo contegno, la sua azione debbono assumere ben altro carattere.

Quando (Con calore), quando la prima potenza del mondo, l 'Inghilterra, dice al regno d'Italia: si farà un Congresso, questo Congresso prenderà per punto di par-tenza la partecipazione delle potenze che firmarono i trattati del 1815 ; voi, regno d'Italia, non esistente al-lora, voi eravate anzi una proprietà divisa fra parec-chie delle potenze soscrittrici di quei trattat i; voi non avreste diritto di intervenirci; ma invitiamo voi pure, imperocché l'iconosciamo che d'or innanzi la vostra voce deve elevarsi, il vostro voto deve pesare, sulla bilancia

.sulla quale si librano i destini dell' Europa; quando, o signoi'i, la prima potenza del mondo tiene al regno d'Ita-li a questo linguaggio, noi dobbiamo provare all'Europa che ne siamo degni ; dobbiamo provarle che sappiamo comprenderla, che abbiamo attitudine pari alla nobile missione alla quale ci sentiamo chiamati.

E questo obbligo incombe più specialmente a noi che fummo fedeli al conte di Cavour in vita, e vo-

. gliamo continuare ad essergli fedeli in morte ; perchè, se il suo frale più non è fra noi, con noi però è rimasto il suo spirito, con noi rimarrà incancellabile la sua me-moria, e sono le ultime sue parole che ci dicono : l 'Ita-li a non deve più giovarsi dei mezzi rivoluzionari, l'Ita-li a ora deve tenersi ferma al posto che ha saputo.gua-dagnarsi nel concerto europeo ; deve, come una grande nazione, intervenire nella soluzione di ogni grave af-fare non più colla pressione rivoluzionaria, ma colla autorità ohe uno Stato di ventidue milioni fa sempre acquistare ai consigli che in nome della nazione il suo Governo porta in un Congresso europeo. (Bravo ! Bene!)

Questo quind'innanzi debb'essere il contegno nostro, questo il carattere della nostra politica esteriore.

E già è un precedente molto autorevole, il quale ci conforta ad entrare in questa via, e progredire in essa fermi e risoluti ; è un precedente il quale dimostra come in ispecie i deputati che appartengono alle an-tiche provincie farebbero atto di singolare ed imper-donabile vanità qualora credessero ancora necessari i mezzi rivoluzionari adoperati fino al 1859, cioè an-teriormente alla costituzione del regno d'Italia.

Prima di quell'epoca si agitava in un Congresso eu-ropeo una gravissima quistione di nazionalità. Abben-cliè il conte di Cavour non fosse ancora che il ministro del piccolo Piemonte, pur egli aveva, colla divinatriee spedizione di Crimea, aperte al piccolo regno le porte di quel Congresso che dovea appunto risolvere quella quistione dì nazionalità. Ebbene, vi dirò io forse qual-che cosa di nuovo dicendovi che se nel Congresso di Parigi il principio della nazionalità rumena ha trion-fato, ciò avvenne per la preponderanza di un voto, e quel voto, il quale fece ottenere la preponderanza al principio di nazionalità, fu quello del piccolo Piemonte? (Sensazione)

Ed ora, io, Piemontese, commetterò l'atto d'imper-donabile vanità di credere che se la voce del piccolo

Governo del Piemonte in un Congresso europeo potè dare la preponderanza al principio di nazionalità, la voce dell'intera Italia, la voce di tutta la nazione riu-scirebbe meno efficace, meno autorevole che non fu la voce ed il voto di una piccola provincia della na-zione.

Io crederei, ripeto, di commettere un atto di imper-donabile leggerezza, di imperdonabile vanità, se così la pensassi ; laonde su questo particolare io conchiudo che d'or innanzi l'Itali a non colle minaccie rivoluzio-narie, ma'coll'intervento suo diplomatico potrà e dovrà influir e sulla risoluzione di ¡tutte |le grandi questioni europee.

Ho esaurito, e ne son lieto, la serie degli equivoci : poco mi rimane a dire in ordine a ciò che io chiamo minaccie, che forse non saranno state tali nell'intendi-mento del signor Mordini, ma che certamente io posso chiamar tali per la impressione che fecero sopra di me; ma per quanto ciò che debbo dire su questo argomento si riduca a pochissime parole, tuttavia chiedo alla Ca-mera la facoltà di riposare pochi istanti, perchè sono affaticatissimo e poco bene in salute. (Vivi segni di ap-provazione)

(L'oratore si riposa per pochi minuti.) Signori, 1' onorevole Mordini nell' ultima parte del

suo discorso ha toccato un gravissimo e delicatissimo argomento; egli l'ha toccato con quel riserbo e con quella prudenza della quale molte volte diede alla Camera splendido saggio.

Se io non posso farmi discepolo dell'onorevole Mor-dini nell' ordine politico, cercherò di 'profittare almeno in questo degli esempi suoi, cercherò di usare altrettanta prudenza ed altrettanto riserbo quanto egli ne mostrò nelle risposte che credo dover fare alle sue parole.

L'onorevole Mordini ci ha detto che se la nazione ha acclamato sugli scudi la dinastia di Savoia; se la na-zione col suo spontaneo slancio verso questa dinastia fece la fortuna di essa, ha però subordinata la devozione del popolo italiano verso la dinastia sabauda ad una condizione, cioè all'attuazione completa del plebiscito.

Fin qui nulla troverei a ridire, fin qui credo che non è alcuno fra noi il quale dissenta dall'onorevóle Mor-dini; ma egli ha soggiunto una limitazione di tempo; egli ha detto : « guai alla monarchia, e soggiunse (a mo' di correttivo) guai alla nazione, se presto non restituite all' Italia Roma e Venezia ! »

Queste parole in qualunque momento io le avessi udite, foss' anche due anni addietro, mi avrebbero dolo-rosamente impressionato.

Comprenderà la Camera, senza eh' io aggiunga verbo, come queste parole abbiano dovuto colpirmi udendole pronunciate oggi, e dall'onorevole Mordini.

L'onorevole Mordini ha con quella frase intimato alla monarchia una specie di... (perdonate se adopero una frase curialesca, non ne trovo in questo momento un'al-

I tra più espressiva), ha intimato alla monarchia una spe-cie di costituzione in mora, assegnandole un breve ter-

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2a TORNATA DEL 26 MARZO

mine per riacquistare Roma e Venezia, sotto pena di non so quali sventure.

Questo linguaggio, che eziandio nel 1861 mi avrebbe sorpreso, nel 1868 mi ha singolarmente commosso sulle labbra dell'onorevole Mordini.

Voi sapete, o signori, come le date abbiano spesso una grande significanza nella vita dei popoli ; voi avete certo già compreso a quali fatti io attendo alludere.

Or bene, l'onorevole Mordini crede egli davvero di essere l'interprete del sentimento nazionale nel far si-mile intimazione alla monarchia? S'illude stranamente, se lo crede.

La nazione, fuor d' ogni dubbio, ardentemente desi-dera e vuole che colla maggior possibile sollecitudine, e senza trascurare opportunità di sorta, Roma e Venezia sieno ricongiunte alla famiglia italiana, e ricuperi così la nostra patria il suo capo naturale, ricuperi Venezia, quella simpatica provincia, la quale, diciamolo pure senza esitanza, ha sopra tutte le altre il vanto di aver fatto i più grandi, i più generosi, i più nobili sacrifici alla causa nazionale (Benissimo]); imperocché noi ab-biamo dato qualche vita e qualche denaro per fare l'Ita-lia, Venezia per l'Italia ha immolato due volte se me-desima (.Benel)

Roma e Venezia debbono adunque stare in cima ai nostri pensieri ; ma non è vero, o signori (lasciate che io, senza volermi fare qui il rappresentante di al-cuna politica esterna od interna, o di alcun partito, lasciate che, parlando pur solo in nome mio indivi-duale, io usi pur tuttavia questa frase assoluta e ge-nerica), non è vero che la nazione sia per diffidare della monarchia, se entro un breve termine la monarchia non le abbia dato Roma e Venezia. {Vivi segni d'appro-vazione.)

La nazione sapete voi che cosa fa? E qui io rispondo anche alla seconda ed ultima delle

minaccie del signor Mordini che si conteneva in quella sua frase colla quale ci diceva che giorno verrà in cui si farà la storia del principio monarchico.

Signori, io vorrei che questa sera l'ora non fosse così inoltrata ; io vorrei che questa sera non avessimo un altro argomento che vuol essere esaurito, io vorrei insomma aperto il campo ad altra discussione per di-rigervi una preghiera e dirvi : lasciate, o miei onore-voli colleghi, lasciate che fin d'ora l'onorevole Mordini la faccia questa storia o questo processo del principio monarchico, a cui alludeva, come una minaccia so-spesa sul nostro e sull'altrui capo : la faccia fin d'ora, affinchè tosto si persuada che se taluno sia il quale creda di poter notare qualche lacuna e qualche neo, saravvi pur sempre tal altro che potrà contrapporre così splendidi risultamenti, così grandi benefìzi che il giudizio non potrà eseere dubbio un solo istante! (Bravo] Bene !)

Ma dacché ora questa discussione non è nell'ordine delle nostre deliberazioni, torno alla singolare intima-zione che a nome della nazione vorrebbe fare l'onore-vole Mordini. 0AMEBA BEI »SPUTATI —- Discussioni - 5° Periodo. 760

Sa egli che cosa invece pensa e dice la nazione ? Sa egli che cosa la nazione risponderebbe se fosse

consultata ? La nazione risponderebbe tornando addietro col pen-

siero, e rifacendo a mente la storia dei 44 anni che passarono dal 1815 al 1859.

E -con questo ricordo del passato, con questo sguardo retrospettivo, sa l'onorevole signor Mordini che cosa significherebbe la nazione ?

Se egli lo ignora, io ora glielo dirò, e con questo avrò finito, perchè non intendo proporre verun ordine del giorno.

In verità quello della Commissione poco mi piaceva, ma l'accetto dopo che il ministro degli esteri lo ha ret-tificato e completato colle esplicite e franche sue di-chiarazioni ; lo accetto perchè-desidero che il voto che noi daremo per la Polonia riunisca il maggior numero possibile di suffragi.

Dico adunque che se l'onorevole Mordini interpel-lasse la nazione, a nome della quale ha creduto di poter parlare a quel modo che voi udiste, la nazione gli risponderebbe che dal 1815 al 1859 sono corsi 44 anni, nei quali quel principio, a cui pare alludesse l'onorevole Mordini, e il quale non è il principio mo-narchico, ha fatto ogni sforzo per costituire l'Italia, lo ha fatto oon grande perseveranza, lo ha fatto con grande abnegazione, imperocché fra gli uomini, che professavano un principio che non è il nostro, tra que-gli uomini mi affretto a riconoscerlo, sono alcuni, al patriottismo ed alle buone intenzioni dei quali vuole giustizia si renda pienissimo omaggio.

E verrà giorno, io spero (e sarà il giorno in cui l'Italia sia fatta) verrà giorno che dall'alto del Campidoglio, superata ogni difficoltà, rimosso ogni pericolo, noi po-tremo con voce ed animo concorde proclamare all' uni-verso : che tutti gli Italiani hanno concorso a formare l'Italia. Ma finché l'opera laboriosa della ricostituzione della nostra nazionalità non è compiuta, finché tanti e così diversi ostacoli ci attraversano la via, la nazione dee tener conto degli effetti, e non delle sole intenzioni.

Poco importa che lo intendimento fosse di giovare, quando invece l'effetto riuscì ai danni della patria.

Or bene, la nazione considera che gli uomini seguaci del principio opposto al principio monarchico si logora-rono per ben 44 anni in vani conati per fare l'Italia, è non riuscirono ad altro salvo che a dolorosi sacrifici, tanto più dolorosi perchè infecondi. Abbiamo veduto molte vite generose miseramente spente in tentativi infruttuosi.

All'incontro il principio monarchico, assumendo l'ini-ziativa dell' impresa nazionale, in pochi mesi ha fatto ciò che in 44 anni "non avevano saputo fare gli uomini dell'altro principio. (Bravo! Benissimo])

Agitazioni settarie, congiure, moti parziali, insurre-zioni represse appena nate, e il laccio e il piombo che spegne il fiore della gioventù, il giogo dell'oppressione straniera e indigena ribadito sul collo all' Italia; ecco i risultati del principio invocato dall' onorevole Mordini.

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CAMERA DEE DEPUTATI — SESSIONE DEL 1 8 6 1 - 62

Una guerra gloriosa, cento atti d'eroismo compiuti in faccia all'Europa, nelle battaglie dell'indipendenza; le simpatie del mondo civile acquistate all 'Italia, ven-tidue milioni d'Italiani riuniti attorno ad un solo ves-sillo, stretti ad un patto, ad una fede, ad un Ke; 1' or-dine fecondato dalla libertà, l'indipendenza guarentita dall'unità, la nazionalità riconosciuta dall'Europa; l 'Ita-li a ammessa nel concerto europeo a fianco delle mag-giori nazioni, ecco i risultati del principio monarchico. {Bravo !)

Or bene, questo principio il quale ci ha già portati così vicino al compimento dell' unità italiana, questo principio vuole tutta la nostra fiducia e la nostra co-stanza; questo principio saprà compiere l'opera così fruttuosamente iniziata ; questo principio, e il sistema che a lui s'informano, come hanno saputo beneficare sif-fattamente l'Italia, così sapranno molto meglio che con talune teoriche immature ed inattuabili, recare un ri-medio efficace ai mali acerbi dai quali è dilaniata la Po-lonia.

Mostriamoci adunque conseguenti a noi medesimi : perseveriamo nella via fin qui battuta: essa ha condotta l'Iiali a benissimo alla sua meta suprema, essa ci con-durrà eziandio a dare alla Polonia un assetto più efficace di quello che potrebbe venirle da sterili voti, o da vuote declamazioni. {Vivi applausi).

{Molti deputati discendono dai loro scanni e porgono le loro felicitazioni all'oratore.)

P R E C I D E N T E . Il deputato Curzio ha la parola per un fatto personale.

C U R Z I O . Io non avrei domandato la parola per un fatto personale se una voce, ricordando l'antico Cur-zio {Si ride) Non rida la Camera, mi ascolti non avesse fatto allusione al moderno ; dico di più, se una parte delia Camera non si fosse allora a me rivolta.

Io non pretendo di discendere dall'antico Curzio; ma, quale ella si sia la mia oscura origine, io non ho mai smentito nè il mio ceppo, nè i miei padri ; io non ho mai data occasione a chicchessia colle opere mie di stabilire un'antitesi tra l'antico e il nuovo Curzio. Profitto poi della parola per fare osservare che in una questione tanto grave, com'è quella della Polonia, sta male che un oratore s'alzi in questo Parlamento per recitare, mi permettano di dirlo, la parte del Gianduia. {Ilarità e rumori)

p r e s i d e n t e. Il deputato Curzio ha sentito che il deputato Boggio aveva immediatamente spiegato la sua intenzione.

La parola spetta al deputato Crispi. C R I S I - I . Signori, io non farò un. discorso. Le con-

clusioni della Commissione, gl'intendimenti del mini-stro degli affari esteri, l'aura di questa Camera mi con-sigliano ad essere breve. D'altronde nell'argomento che ci occupa, i fatti dovrebbero prendere il posto alle parole.

Signori, anche questa volta, io e gli amici miei non potremo essere d'accordo colla maggioranza. Tuttavia

senza scoraggiarcene, essendo ormai avvezzi a questo permanente dissenso, sentiamo il bisogno di aprire in questa solenne occasione interamente l'animo nostro.

I l ministro degli affari esteri vi disse in qual modo crede di poter venire in soccorso della Polonia. Quasi fortunato che l'Inghilterra lo abbia invitato a prendere parte alle trattative per uno scioglimento della que-stione polacca, egli vi espose i suoi pensieri con tale chiarezza, sebbene con brevità, da poterne tirare la conseguenza, che nè dal Governo italiano, nè dalle po-tenze alle quali esso si associerà potrà venire alla Po-lonia la completa redenzione, nè un sollievo ai mali che la tormentano.

I l ministro degli affari esteri vi disse ch'egli è pronto a partecipare a quell'azione concorde che sarebbe la più utile e la più conveniente per la Polonia. Ma su quale base deve essere esercitata cotesta azione ? Quel popolo generoso ormai conosce per prova quello che valga per lui la simpatia dei Governi civil i e quanto a suo prò possa risultare dall'opera della diplomazia.

Signori, l'insurrezione che è scoppiata nel gennaio ultimo in Polonia non è il primo movimento di quel-l'eroica nazione. Sventuratamente più volte essa è in-sorta, e nel cerchio di ferro in cui fu chiusa dai suoi nemici l'Europa non ha potuto mai colle sole sim-patie apportarle quei soccorsi che potessero renderla libera.

La Polonia non può essere salvata che colla rivolu-zione delle provincie finitime.

E questa rivoluzione non può essere accesa da parte nostra che entrando nella Venezia.

Una politica audace da parte dei consiglieri della Corona potrebbe forzare la Francia imperiale, spingere l'Inghilterra, cauta e prudente e salvare la Polonia. Una politica quale il Ministero vuole praticare lascierà che la Polonia soccomba un'altra volta nella lotta che oggi combatte.

Signori, è una fortuna per l ' I tal i a che nè diretta-mente, nè indirettamente abbia partecipato a quel grande strazio di un popolo smembrato e fatto pascolo di tre ingorde potenze sul finire del secolo scorso. L'Ita-li a allora non poteva aver voto nel concerto europeo. Noi eravamo su divisi in sette Stati deboli, discordi ; talché un principe che regnava nel mezzogiorno della Penisola non valse in quel tempo a forzare gli altri Go-verni a confederarsi per impedire che lo straniero var-casse le Alpi ed invadesse il nostro paese. Ma oggi che l'Itali a si è levata a potenza di nazione, .oggi comincia la nostra responsabilità ; e se noi non usiamo di quei mezzi che la Provvidenza ha messo in mani nostre ; se uscendo dalla cerchia dell'attuale regno non accendiamo nel nostro paese istesso quella rivoluzione che sola può salvare la Polonia, noi saremo risponsabili in faccia agli altri popoli del danno nostro e di quello della nazione che oggi da noi aspetta il vero soccorso.

Io lo so, o signori, che questa politica non potrà es-sere adottata dall'attuale Gabinetto. Anche stasera do-vrò ripetere alla Camera, che dagli uomini i quali sono

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2 a TORNATA DEL 26 MARZO

usciti dalla maggioranza, non si potrà ottenere la com-pleta rigenerazione della nostra Penisola, e molto meno tino di quegli atti che possono mostrare all'Europa che noi abbiamo, non solo una volontà, ma che siamo fedeli al principio dal quale siamo sorti.

L'onorevole ministro degli affari esteri ci diceva che nella soluzione della quistione polacca fa d'uopo di es-sere d'accordo colle altre potenze. Ma che cosa vogliono coteste potenze ? La Francia imperiale fino ad oggi non ha manifestato quale sia il suo vero pensiero : l'Inghil-terra, la sola che pare abbia parlato, vuoisi che abbia chiesto un' amnistia dello czar,, la ricostituzione della Polonia quale fu determinata dal Congresso del 1815, e l'immediata convocazione d'una Dieta.

Signori, coteste proposte non presentano una solu-zione, giacché non richiedono il ristabilimento della Po-lonia indipendente dalla Corte di Russia- Nondimeno lo czar sino a questo momento non sembra disposto a ce-dere alle proposte inglesi; egli risponde cogli incendii e le carnificine, con un vero sanguinoso insulto, alle ma-nifestazioni di simpatia che ha eccitato in tutto il con-tinente r insurrezione della Polonia. Ma ammettiamo per poco che i voti del Gabinetto britannico possano es-sere esauditi, e che un ritorno al 1815 dia fine alla lotta attuale; sarà mai questo il vero trionfo della nazione che oggi combatte sulla Vistola contro un nemico cento volte superiore per armi, per organizzazione, e per isva-riati mezzi d'offesa?

La Polonia non si limita al popolo che oggi è insorto contro io czar; le altre sue membra sono rotte e av-vinte dalla Prussia e dall'Austria.

Ora, noi, per essere logici e non in contraddizione del principio pel quale esistiamo, dobbiamo chiedere che quel popolo generoso sia completamente redento. Pertanto non dovremo che gettare uno sguardo retro-spettivo su quello che fin oggi hanno fatto le potenze in favore della Polonia, per convincerci che alla sua redenzione l'azione diplomatica sarà impotente ed inef-ficace.

La Polonia schiacciata la prima volta nel 1772 non trovò un individuo in Europa che s'interessasse di lei.

Nel 1793, quando avvenne il definitivo riparto di quel popolo martire, i Governi furono indifferenti ; e completo sarebbe stato il silenzio, se una voce isolata e peregrina nel Parlamento inglese non avesse ricor-dato il danno che verrebbe al Continente dalla dispari-zione di un popolo, il quale era chiamato ad essere di barriera alla barbarie del nord per la civiltà del mez-zogiorno.

Nel 1794 Kosciuszko, dopo sette mesi idi eroici co-nati, cadeva coperto di ferite, e non una potenza le-vossi per impedire quel nuovo assassinio. Poscia ven-nero i giorni del martirio e degli esilii, e lo stesso Na-poleone I, che aveva promesso ai Polacchi di ricosti-tuire loro la distrutta repubblica, che si era servito dei proscritti di quella nazione per combattere le batttglie dell'impero, lo stesso Napoleone I dovette cedere ai de-siderii della Russia, limitandosi a costituire quell'in-

forme Stato del granducato di Varsavia, e consentendo che fosse anche proibito il nome ed il ricordo dell'an-tica Polonia.

Io non parlerò di quanto' fu fatto al 1815, giacché quel Congresso fu opera di despoti, e conseguente-mente una reazione alle aspirazioni dei popoli. Verrò al tempo in cui l'Europa fu scossa dalle giornate di luglio. Nulla fece la diplomazia per la Polonia nel 1830, fu impassibile nel 1844 quando l'Austria inva-deva Cracovia, e più tardi, quando Metternich compri-meva i moti della Gallizia' e Federico Guglielmo quelli del granducato di Posen. Ed ora, dopo così tristi esempi, oserete credere che la diplomazia ripari i torti secolari, vendichi le ingiurie patite dal popolo polacco, alle quali anch'essa ha pertecipato ? No, signori, non lo sperate.

Eppertanto noi, che abbiamo fede in altri mezzi, che non sono quelli delle note dei Gabinetti e dei Con-gressi, abbiamo proposto un ordine del giorno il quale, comunque possa non essere accettato dalla Maggio-ranza del Parlamento, varrà per lo meno a chiarire gl'intendimenti degli uomini che siedono su questi banchi e a dichiarare come l'Italia possa realmente sollevare la Polonia nella lotta ineguale che al pre-sente combatte. Il nostro ordine del giorno accenna alla vera politica che il Governo del Re dovrebbe se-guire ; questa proposizione, al quale tutti gli amici miei si associano, toglierà altresì quella contraddi-zione che l'onorevole Boggio credette di trovare tra il discorso dell'onorevole mio amico, il deputato Mordi ni, e la conclusione da lui data con una sua speciale pro-posta.

Noi dunque proponiamo che la Camera voglia pren-dere la seguente deliberazione :

« La Camera, riconoscendo la solidarietà dell'Italia colla causa della Polonia e con quella di tutti i popoli oppressi ;

« Riconoscendo che l'emancipare ogni terra italiana dallo straniero è urgente dovere e mezzo ad aiutare la Polonia come tutte le nazionalità che rivendicano i propri diritti ;

« Invita il Governo a soddisfare i voti espressi dalla nazione, armando il paese alla lotta per la propria li-bertà e per l'altrui. »

La conclusione di quest'ordine del giorno, signori, vi ricorda il motto che adottò l'istessa eroica Polonia.

Non dimenticate che sulla bandiera di quel popolo sta scritto: Per la vostra libertà e per la nostra. È un avvertimento e un rimprovero agli altri popoli che non sanno e dovrebbero sentire l'interesse della solidarietà.

Signori, Fox, il solo uomo che nel secolo passato gridò contro quella grande ingiustizia del riparto della Po-lonia, Fox in pieno Parlamento inglese, quando vide che Pitt in contraddizione co'suoi stessi principii, men-tre lagnavasi di Napoleone, il quale non rispettava la inviolabilità degli Stati neutri, lasciava che le Corti di Pietroburgo, Vienna e Berlino dilaniassero la patria di Kosciuszko, FoX ebbe a dire, osservando quello che av»

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CAMERA DEI DEPUTATI — SESSIONE DEL 1861-62

veniva in Polonia, che c'era a temere della libertà d'Eu-ropa.

Ed io stasera vi dirò, o signori, prevedendo quello che accadrà in Polonia, se voi ne affiderete le sorti alla di-plomazia, che ci sarà a temere della libertà d'Italia.

Voci. Ai voti ! La chiusura ! PRESIDENTE. Essendo chiesta la chiusura, domando

se è appoggiata. FERRAI«. Domando di parlare contro la chiusura, e

faccio la proposizione di rinviare a domani sera questa discussione per le seguenti ragioni, cioè per l'impor-tanza del dibattimento, pel rispetto che dobbiamo alla causa della Polonia e pel rispetto che dobbiamo a noi stessi, attesoché questa è la prima volta che noi par-liamo colla responsabilità del diritto di pace e di guerra.

Di più nella precipitazione delle iscrizioni a causa del nuovo regolamento, alcuni hanno creduto che le iscri-zioni dovessero essere prese dopo le conclusioni della Commissione, onde potersi razionalmente dichiarare in favore o contro le conclusioni stesse. Sarà questo un errore, ma fu errore nel quale molti caddero, ed io per il primo, e taluni che avrebbero desiderato di parlare sul principio, si trovano nella impossibilità di esprimere le loro idee.

Di più è mezzanotte, l'ora è troppo tarda, una seduta a domani non può turbare in nessun modo il corso delle nostre discussioni.

Io prego dunque la Camera che voglia rinviare la di-scussione a domani sera.

Voci a destra. No ! Ai voti ! Finiamo ! Ai voti ! presidente. Io porrò ai voti la chiusura, e se la

chiusura non sarà approvata, porrò a partito il rinvio... Voci a sinistra. Si osservi se siamo in numero. "Ru-

mori generali) FERRASSI. Se questo rinvio non è accettato, chiedo

di parlare contro la chiusura. PRESIDENTE. Il suo discorso è stato contro la chiu-

sura dal momento che propose il rinvio.... FERRARI. Io dirò le ragioni particolari per cui

credo che si debba fare questo rinvio a domani, non essendo la questione stata considerata sotto tutti i suoi aspetti.

Il signor ministro degli affari esteri ha parlato della diplomazia ; il signor Boggio ci ha richiamati gli an-tecedenti del conte di Cavour; il signor Massarani ci ha dato il risultato della sua lettura delle riviste dei giornali ; il signor Mordini ha proposto la ricostitu-zione della Polonia ; il signor Crispi è restato presso a poco nell'ambito del signor Mordini. Havvi un altro punto di vista, secondo me ; io vorrei esporlo domani... {Rumori)

Voci. No ! no ! Altre voci. Domani ! domani ! «iELENfiA. Domando la parola per la chiusura. FERRARI....e se non fosse accettato il rinvio, do-

manderei pur sempre di continuare ad esporvi altre mie ragioni contro la chiusura. (Rumori)

«astenga. Ho chiesto di parlare per la chiusura. PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare. ©Alii*esìga. Non v'ha dubbio che ogni oratore ha

diritto di parlare e di essere ascoltato in quest'As-semblea, ma noi siamo 480 deputati, e se ciascuno di noi che crede di avere delle idee nuove da esporre in ogni discussione, vuole sempre insistere, per il diritto sacrosanto ch'egli ha, le discussioni divengono intermi-nabili. (Bene!)

Io credo che dopo aver sentito quattro o cinque de-putati dalla sinistra, dopo averne sentiti altrettanti dalla destra, dopo aver sentito un discorso ministe-riale, abbiamo diritto di domandare la chiusura ; ed insisto perchè venga messa ai voti. (Rumori a si-nistra)

MINER VINI. Quelli che domandano la clausura deb-bono essere dieci.

PRESIDENTE. Siccome alcuni deputati hanno fatto osservare che la Camera non è in numero, la segre-teria fa il suo dovere contando i deputati presenti.

Voci. L'appello nominale ! Altre voci. No ! no ! PRESIDENTE. La Camera non è in numero. Domani

al principio della seduta sarà interrogata sulla chiu-sura della discussione, e sulla continuazione.

La seduta è levata a mezzanotte.