Tomba Dell'Orco

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Tomba dell’Orco: uno Tomba dell’Orco: uno studio sulle gentes studio sulle gentes etrusche etrusche «[…] vuoi per non indispettire un grande luminare come Mario Torelli, vuoi per la delusione di scoprire che una tomba gentilizia di quella importanza apparteneva non ai blasonati Spurinas, ma a degli anonimi Murinas […], più nessuno ha pubblicato lavori scientifici sulla celeberrima “Tomba dell’Orco”» (Massimo Morandi Tarabella 2000) Lo studio che intendo svolgere prende avvio dalla considerazione di una tomba piuttosto famosa di Tarquinia: la Tomba dell’Orco o Tomba del Polifemo. Lo scopo di questa ricerca è ricostruire la genealogia di una gens etrusca partendo appunto da uno degli ipogei dipinti (e recanti iscrizioni genealogiche) dell’antica metropoli che quella famiglia fece costruire per la sepoltura dei propri membri. La tomba (che prende il nome dal termine latino “Orcus”, ovvero il mondo ultraterreno oppure dall’affresco 1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/Tarquinia-monterozzi.html, p. 1 2. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 1 1

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Tomba dell’Orco: unoTomba dell’Orco: uno studio sulle gentesstudio sulle gentes

etruscheetrusche«[…] vuoi per non indispettire

un grande luminare come Mario Torelli,vuoi per la delusione di scoprire che

una tomba gentilizia di quella importanzaapparteneva non ai blasonati Spurinas,

ma a degli anonimi Murinas […],più nessuno ha pubblicato lavori scientifici

sulla celeberrima “Tomba dell’Orco”»(Massimo Morandi Tarabella 2000)

Lo studio che intendo svolgere prende avvio dalla considerazione di una tomba piuttosto famosa di Tarquinia: la Tomba dell’Orco o Tomba del Polifemo. Lo scopo di questa ricerca è ricostruire la genealogia di una gens etrusca partendo appunto da uno degli ipogei dipinti (e recanti iscrizioni genealogiche) dell’antica metropoli che quella famiglia fece costruire per la sepoltura dei propri membri.

La tomba (che prende il nome dal termine latino “Orcus”, ovvero il mondo ultraterreno oppure dall’affresco dell’accecamento del ciclope) è situata all’interno della necropoli dei Monterozzi, presso il moderno cimitero di San Lorenzo. Si tratta della necropoli più importante della città antica di Tarquinia (la medievale e odierna Corneto), in quanto possiede circa 6000 sepolture. Circa 200 di queste tombe contengono affreschi che rappresentano il più cospicuo nucleo pittorico

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in

http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/Tarquinia-monterozzi.html, p. 12. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 1

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del popolo etrusco e il più esteso documento di pittura antica prima dell’età imperiale romana. Il fenomeno della pittura funeraria, tuttavia, non è sconosciuto negli altri sepolcreti minori1.

La collina dei Monterozzi, lunga circa 6 chilometri, si estende parallela alla costa, tra questa e l’altura della Civita, dove sorgeva la città antica di Tarquinia.Il complesso monumentale, che consta di tre ambienti comunicanti fra loro (ricavati nel calcare), è stato individuato e scavato sul finire del 1868 in corrispondenza della recinzione del moderno Cimitero. Esso presenta un celeberrimo ciclo di affreschi che per qualità dell’esecuzione e per la singolarità dei soggetti raffigurati, è unico in tutta l’Etruria, probabilmente il capolavoro di un artista greco vissuto a Tarquinia alla metà del IV secolo a.C. È per questo che il complesso può essere considerato l’ipogeo dipinto più importante nell’ambito della pittura etrusca di età ellenistica2. Purtroppo, all’indomani della

LA TOMBA DELL’ORCO: PLANIMETRIA DEL COMPLESSO CON INDICAZIONE DI PITTURE ED EPIGRAFI

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1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in

http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/Tarquinia-monterozzi.html, p. 12. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 1

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Banchetto con Ravnthu Thefrinai, i due Murinas adulti e

Banchetto con Velia (Murinei) e Arnth

Odisseo che acceca Polifemo e il gregge

Gerione, Persefone e Ade con l’accesso all’Aldilà controllato dal

Serpente barbato, demoni alati e la

Tuchulcha e Teseo seduto che gioca a

Thanatos alato e Hypnos nudo con recipienti su un

CIE

CIE 5358

CIE 5360

nuova

CIE 5354-

REE 63

CIE

CIE CIE

CIE

CIE

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Agamennone, l’albero degli eidola, l’Ombra di Tiresia e Aiace in un

CIE CIE

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CIE

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CIE 5374-

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scoperta, il monumento fu danneggiato per il tentativo di asportazione delle pitture da parte delle truppe francesi di stanza a Corneto. Ma parte dei soggetti (lacunosi), possono essere senz’altro ricostruiti grazie agli apografi del disegnatore Louis Schulz, che lavorò nei mesi successivi alla scoperta sotto la direzione di W. Helbig (e pubblicati da questi nei “Monumenti Inediti dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica”). Successivamente nel 1897, per incarico dello Johansen, tavole ad acquerello furono eseguite da A. Morani, genero di Helbig, e edite da Moltesen-Weber Lehmann (1991)3.

Il primo ambiente, denominato Tomba dell’Orco I, è cronologicamente il più antico. Fondato verso il 380-370 a.C., presenta una camera a pianta quadrangolare con una nicchia al centro delle pareti destra e di fondo. Il lato sinistro, che in origine presentava sicuramente anch’esso una nicchia, fu demolito nel corso del III secolo a.C., per collegare la camera con il resto dell’ipogeo4. I lavori che nel III secolo a.C. portarono all’ampliamento della tomba, determinarono anche la realizzazione di banchine per inumazioni (oltre alle nicchie originarie) lungo il lato sinistro del primo vano (e nella parte sinistra della parete di fondo) e sui lati lunghi del vano trapezoidale (Tomba dell’Orco III) che collega il vano I al vano II di pianta quadrangolare (Tomba dell’Orco II, appunto).

La Tomba dell’Orco IIl vano quadrangolare, datato al 380-370 a.C., misura 5,14 metri di

lunghezza e 5,46 di larghezza, con un’altezza massima di 2,50 metri (a livello del columen) e minima di 2,07 metri. È una tomba con tetto a doppio spiovente, columen rilevato e travi trasversali anch’essi in rilievo. L’accesso a lungo dromos è orientato a S-SO. Presenta nicchie (originariamente sui tre lati opposti all’entrata) che misurano 2,30 metri di larghezza, 0,95 di profondità e 1,62 di altezza5.

Le pitture della camera comprendono un fregio superiore a fascia continua in rosso, sotto cui corre un ulteriore fregio a tralci di vite in rosso-blu-verde. In basso, invece, abbiamo uno zoccolo chiaro continuo sormontato da un motivo a spirale ricorrente in nero verso sinistra, su fondo chiaro compreso fra una coppia di strisce rosse.

Le pitture figurate si concentrano principalmente nel settore di fondo della tomba: nella parete di fondo del loculo abbiamo una scena di banchetto su fondo verde scuro (la nube che identifica l’ambiente ultraterreno), con kline riccamente addobbata

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(drappi e cuscini presentano disegni a meandro), su cui è assisa una donna (indicata dall’iscrizione come Ravnthu Thefrinai) con tunica chiara e, accanto a lei, un uomo (ormai non più visibile, denominato […]urinas) e un altro uomo barbato ([…]inas)6; in primo piano si collocano due fanciulli stanti con tuniche chiarequello di sinistra con “scudo” iscritto (secondo l’interpretazione di M. Torelli, accettata da S. Steingräber; in realtà il panneggio della spalla del personaggio sovrastante centrale7), mentre quello di destra con bulla. Per quanto riguarda le iscrizioni, la kline presenta una riga di segni alfabetici, mentre un’altra iscrizione, la più lunga conservata (ben cinque righe di testo in nero), corre proprio al di sopra della kline; infine, nell’angolo del semitimpano destro (sopra la testa dell’uomo barbato), si trova un’altra iscrizione, su una sola riga. Ai lati del banchetto sono raffigurati due alberelli con fusto in rosso, uno spoglio (a destra), l’altro con foglie verdi (a sinistra). Anche le pareti laterali del loculo presentano un alberello rosso con foglie verdi. Quello di destra è conservato ed è sormontato da una iscrizione su una riga; quello di sinistra non è più conservato ed è, quindi, ricostruito del tutto ipoteticamente. A lato del loculo, sempre sulla parete di fondo, a destra, è raffigurato (originariamente su entrambi i lati, probabilmente) un demone infero alato (Charun) in rosso-blu-grigio di grandi dimensioni (quasi tutta l’altezza della parete), gradiente verso sinistra (verso destra, invece, sul lato sinistro) con barba e capigliatura a ciocche serpentiformi, corto gonnellino rosso chiaro, legato in vita, mantello e serpente in mano8.

Lungo la parete destra della tomba, ai lati del loculo (che presenta solamente scarse tracce del fregio superiore a tralci di vite), troviamo: resti di un alberello rosso spoglio (al di sopra di un piccolo loculo più tardo) a destra e resti di una scena di banchetto a sinistra. Il

banchetto comprende una kline riccamente addobbata (con i soliti

3. Morandi (Tarabella), M., “Prosopographia Etrusca I. Corpus. 1. Etruria Meridionale”; Roma 2004, p. 3234. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 15. Steingräber, S., “Catalogo ragionato della pittura etrusca”, Milano 1984, p. 3346. Ibid., p. 334

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drappi con motivi a meandro), su cui giacciono Veli[a] e Arnth Velcha, contrassegnati dai rispettivi nomi. Velia è raffigurata, su fondo verde-nero, con volto di profilo (il naso dritto di linea greca), la testa cinta da un diadema di foglie, orecchini e due collane e i capelli castani in parte trattenuti sulla nuca da una reticella, in parte ricadenti in morbidi boccoli ai lati del volto; Arnth Velcha, anch’egli coronato, stringe un ramoscello nella mano. Originariamente doveva essere presente anche una seconda figura femminile, non più conservata9. A lato del banchetto era raffigurato il solito alberello rosso.

La parete sinistra del vano presenta scarse tracce del fregio a tralci di vite e resti d’iscrizione più tarda su tre righe. In origine doveva essere presente sicuramente un’altra scena di banchetto (resti di una figura femminile?), devastato dai lavori di ampliamento. Anche la parete d’ingresso presenta esclusiva-mente resti del fregio a tralci di vite.

La Tomba dell’Orco IILa tomba, che si data al 350

a.C., misura 5,80 metri di lunghezza e 5,46 di larghezza. A livello del columen centrale si ricava un’altezza di 2,75 metri, che scende a 2,15 lungo le pareti. Come l’ipogeo più antico, la camera presentava (originariamente, ormai ampiamente distrutto) un soffitto a spioventi e un dromos di accesso orientato a S-SO; due figure di demoni sono incise a rilievo nel vano della porta10. Il plinto quadrangolare che emerge dal pavimento in prossimità della parete di fondo non è la base di un pilastro di sostegno della volta (troppo vicino alla parete di fondo), ma il resto di un altare o la base di una statua o altro simulacro11.

Le pitture comprendono un fregio superiore a fascia rossa continua e un alto zoccolo rosso continuo in basso.

Sulla parete di fondo si notano resti di un demone dalle ali rosse, con capigliatura a ciocche serpentiformi insieme alla veduta dell’ingresso di una caverna aperta in una parete rocciosa (l’accesso all’oltretomba, appunto controllato da Charun), con resti ulteriori della figura di Cerbero (?). Gerione (Cerun) barbato a tre teste con corazza rosso chiara, scudo e lancia è seguito da Persefone (Phersipnei), con capi-gliatura a ciocche serpentiformi e tunica rosso chiara, e Ade (Aita), assiso in trono e recante un manto rosso, una spoglia di lupo, con il braccio destro proteso in avanti e quello sinistro levato all’indietro con serpente. Seguono i resti di un lungo serpente avvolto

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su se stesso12. Tutte le figure recano un’iscrizione identificativa e sono raffigurate su un fondo scuro, con una nube

identificante l’ambiente oltremondano.

La parete d’ingresso del vano presenta, a sinistra, un grosso serpente (il cui corpo continua sulla parete adiacente) barbato rosso chiaro, preceduto dalla figura frammentaria di un demone gradiente verso destra con corto gonnellino rosso legato in vita e martello

brandito nella mano destra. Altre tracce appartengono ai piedi di una figura virile e, più in alto, le ali di un demone alato: in origine si aveva la rappresentazione di Sisifo (Sispes) con il macigno. A destra della porta, invece, abbiamo ormai scarse tracce di colore con ipoteticamente l’arrivo di un defunto nell’oltretomba e, forse, Eracle e Cerbero13.

Sulla parete destra dell’ipogeo si trova il demone infero Tuchulcha (angolo destro) di grandi dimensioni, con ali rosso chiaro, testa d’uccello e capigliatura a serpenti, corto gonnellino rosso legato in vita e serpenti nelle mani; alla sua sinistra, più in basso, i resti di Piritoo seduto,

mentre a destra Teseo (These) seduto sotto a una roccia, con la parte superiore del corpo nuda e raffigurato, forse, intento a giocare a dadi. Sulla parete adiacente alla scena di Tuchulcha e Teseo, è raffigurato un giovinetto nudo, biondo, dalle ali nere (Thanatos?) con alabastron e rivolto a sinistra, seguito da un giovane biondo nudo stante (Hypnos?) con armille, brocca e patera. Segue un kilikeion scuro con numerosi vasi dorati: in alto, disposti simmetricamente, una grande anfora centrale su supporto, due anfore rette da Telamoni laterali e due crateri intermedi; in basso due grandi stamnoi e una grande coppa centrale14.

3. Morandi (Tarabella), M., “Prosopographia Etrusca I. Corpus. 1. Etruria Meridionale”; Roma 2004, p. 3234. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 15. Steingräber, S., “Catalogo ragionato della pittura etrusca”, Milano 1984, p. 3346. Ibid., p. 334

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La parete sinistra, infine, presenta tracce rosse e nere di un paesaggio con canne palustri e resti di due demoni alati, un’iscrizione e due figure successive, forse raffiguranti, originariamente, Odisseo e Achille nell’oltretomba, seguiti da Agamennone (Achmemrum) barbato con capigliatura bionda e manto rosso chiaro. Un alberello rosso con figurine a silhouette nera (eidola che nella dottrina pitagorica indicavano le anime reincarnate) si frappone fra Agamennone e un’ulteriore figura, l’ombra di Tiresia (hinthial Teriasals), con manto rosso chiaro-blu, barbato, a capo velato e con spada. Ai resti di un alberello rosso fa seguito, infine la figura mutila di Aiace (Eivas)15.

La Tomba dell’Orco IIILunga 11,5 metri e larga circa 11, questo corpo ipogeico trapezoidale

presenta un’altezza di 2,18 metri (presso il vano di apertura su Orco I). Datato al III secolo a.C. ca., è dotato di banchine lungo le pareti destra e sinistra (lunghe) e soffitto a travi inclinati a rilievo verso sinistra nel settore sinistro, viceversa a cassettoni nel settore destro16.

Le pitture del vano constano di una fascia rossa continua in alto e uno zoccolo rosso continuo in basso. Nella nicchia della parete in corrispondenza del passaggio comunicante con la Tomba dell’Orco I viene raffigurata la scena dell’accecamento del ciclope Polifemo (Cuclu): Odisseo (Uthuste) nudo acceca il ciclope nudo, ebbroe disteso al suolo con un grosso palo; tutt’intorno elementi paesaggistici come rocce e alberelli e, a destra, i resti di un gregge di pecore. Si può osservare che l’immagine di Polifemo appare grottesca, grassa, deforme. A differenza dei finissimi affreschi delle prime due tombe, opera di artisti quasi sicuramente greci, questa scena è opera di un artista etrusco, dalle capacità tecniche decisamente inferiori. I colori utilizzati per la scena sono principalmente i rossi, l’arancio, l’ocra, il nero e il grigio chiaro17.

* * * *La Tomba dell’Orco deve essere considerata uno dei complessi funerari

più problematici di Tarquinia. Due tombe originariamente affiancate e non comunicanti (Orco I e Orco II) vengono in seguito (III secolo a.C.) collegate fra loro mediante un vano di passaggio (Orco III), producendo in tal modo notevoli modifiche delle strutture architettoniche e della decorazione pittorica. L’imponente complesso sepolcrale gentilizio apparteneva, forse, a più famiglie imparentate fra loro18.

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Lo stile e il soggetto delle pitture, di notevole qualità, la taglia stessa della figura di Caronte e il notissimo profilo della bella Velia, dove la linea di contorno è stata sostituita da uno sfondo scuro, fanno preferire una datazione non anteriore alla metà del IV secolo a.C. Le pitture dell’Orco II, invece, sono da ritenersi più tarde, sia per il programma figurativo (una nekyia) totalmente diverso, sia per lo stile, notevole per la tavolozza ricca di mezzitoni. I forti effetti chiaroscurali (come ad esempio per il vasellame sul kyikeion) denotano una sicura padronanza dei nuovi mezzi espressivi assunti dall’ambiente greco (e, pertanto, rivelano una probabile manodopera greca al lavoro nella tomba). Come nella Tomba François di Vulci, vi sono raffigurati divinità ed eroi ripresi dalla mitologia greca, uniti a demoni etruschi. La scena si svolge nell’Aldilà e potrebbe essere in parte ispirata da modelli italico-meridionali con scene di Nekyia. Un parallelo per la coppia Ade-Persefone si trova nella tomba orvietana Golini I19.

Al centro dell’originaria parete destra della camera doveva essere raffigurata, molto probabilmente, una scena di banchetto, che si svolgeva a sua volta nell’Aldilà. Così come accade nella Tomba François, quindi, gli aristocratici proprietari della tomba si pongono in rapporto con mitici antenati greci, con piena consapevolezza, allo scopo di sottolineare in tal modo le proprie antiche origini ed il proprio rango sociale, che ad esse si connetteva20.

Le pitture del vano di passaggio (Orco III), con l’accecamento di Polifemo, sono stilisticamente più rozze, di maggiori dimensioni e caratterizzate da pesanti linee di contorno. Di conseguenza sono da ritenere sicuramente più tarde rispetto alle altre, quasi sicuramente opera di un artista etrusco, che mal padroneggiava le tecniche degli artisti greci cui si rifaceva21.

Le iscrizioni della Tomba dell’OrcoQuando si penetra all’interno della Tomba dell’Orco I, le prime iscrizioni

con le quali si viene in contatto sono esattamente le più notevoli dell’intero complesso. Esse si collocano sulla parete di fondo del primo vano, nella nicchia con il banchetto principale. All’angolo destro, in alto, si può leggere subito l’iscrizione di fondazione dell’ipogeo (CIE 5357), su una sola riga che corre al di sotto del fregio a tralci di vite (da destra a sinistra, a partire dalla parete destra della nicchia):

Larthiale Hulchniesi Marcesic Caliathesi munsle nacnvaiasi thamce Le-[…]22

I nomi Larthiale Hulchniesi e Marcesi(c) Caliathesi sono al caso dativo e quindi vanno tradotti “per/a Larth Hulchnie” e “per/a Marce Caliathe”,

3. Morandi (Tarabella), M., “Prosopographia Etrusca I. Corpus. 1. Etruria Meridionale”; Roma 2004, p. 3234. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 15. Steingräber, S., “Catalogo ragionato della pittura etrusca”, Milano 1984, p. 3346. Ibid., p. 334

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rispettivamente. Anche nacnvaiasi è il dativo di una parola etrusca (nacnvaia) che significa “coloro che vengono prima (=antenati, avi)”. Il nome munsle si riferisce ad un qualsiasi monumento ipogeo (non necessariamente una tomba). Il verbo thamce rimanda alla sfera semantica del “fondare, erigere”, al perfetto, mentre la parola finale, che comincia per Le- (mutila), indicherebbe un nome proprio, integrato (sulla base di una lettera “i” parzialmente visibile), come Leive, al caso nominativo. L’iscrizione, quindi, andrebbe tradotta, in prima istanza, come:

Le[ive] ha fondato questo monumento per Larth Hulchnie e Marce Caliathe per la posterità23

Essendo, tuttavia, piuttosto dubbia che i due personaggi citati siano stati sepolti nella tomba (non appartengono a nessuna delle due famiglia cui, nel tempo, è stata attribuita), molti studiosi hanno pensato che il complesso tombale sia stato semplicemente dedicato ai due. Ma siccome Larth Hulchnie e Marce Caliathe erano due magistrati del IV secolo a.C., qualcuno ha anche suggerito che l’iscrizione potesse essere tradotta integrandola con la formula “durante la magistratura di…” o “sotto…”, per datare la fondazione del monumento (si tratterebbe, quindi, di magistrati eponimi, verosimilmente due zilac/zilath). Ecco, quindi, che l’iscrizione viene tradotta come segue:

Le[ive] ha eretto questo monumento per la posterità (durante la magistratura) di Larth Hulchnie e Marce Caliathe24

Per quanto riguarda i nomi, “Marce” potrebbe essere una forma imparentata o, comunque, precedente al latino “Marcus”, mentre “Hulchnie” è generalmente interpretato come il gentilizio romano “Fulcinus” (famiglia senatoria di età tiberiana coinvolta nelle vicende di Seiano). “Caliathe”, invece, è assimilabile alla serie degli etnici uscenti in -the, come Manthvate, Nulathe, Veiathe, ecc.25

Sempre sulla parete di fondo, al di sopra del fregio a tralci di vite (nel “semitimpano” destro), si colloca l’iscrizione CIE 5358, composta di una sola riga di testo:

[…]-inas sacni thui cesethce26

Compare ancora una volta il gentilizio in stato frammentario dei proprietari della tomba, seguito dalla parola etrusca sacni, che indica la “consacrazione” di un luogo. Il verbo al perfetto finale, cesethce, va tradotto come “far eseguire” ed è preceduto dall’avverbio di luogo thui, “qui”:

[…]-inas fece eseguire qui la consacrazione27

Nel settore sinistro della nicchia di fondo troviamo un’altra iscrizione (CIE 5360), ben più ampia; consta di cinque righe di testo, parzialmente mutile,

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restituenti alcune importanti informazio-ni. La lettura procede, come al solito, da destra verso sinistra:

[…]-urinas an zilath amce mechl rasnal[…]-s purth ziiace ucntm hecce

(R)avnthu(Th)efrinai

(at)i nacnuva28

L’iscrizione prende avvio con un nome frammentario, -urinas, appartenente ad un personaggio della famiglia titolare della tomba. Segue la particella an (“che”), che collega il nome all’espressione zilath mechl rasnal (inframezzata dal verbo “essere” al perfetto, amce). Questa può essere avvicinata e al latino praetor Etruriae, che indicava la suprema carica federale dei populi etruschi (le città-stato riunite nella Lega presso il Fanum Voltumnae). Anche il termine purth (dopo una piccola lacuna non integrabile) indica una sorta di magistratura elettiva ed è seguito da un verbo al perfetto, ziiace, forse ricollegabile alla parola zilath (?), in forma verbale, pertanto traducibile come “ricoprire la carica di” oppure come “giudicare”. Prima della chiusa è presente il verbo hecce (hecece, nella Tomba dei Tori sempre a Tarquinia, di due secoli prima), legata alla sfera semantica del “fondare”, con la parola ucntm (intraducibile) come complemento oggetto. Infine il nome di una donna, Ravnthu Thefrinai, definita ati nacnuva, ovvero “nonna, ava”, un’espressione (isolata rispetto alla prima parte, una sorta di didascalia) che lega il sostantivo “madre” a quello già incontrato di “antenato”. L’iscrizione, pertanto, si tradurrebbe come segue:

[…]-urinas, che fu Praetor Etruriae[…] ricoprì la carica di purth (come purth giudicò?) e fondò lo ucntm

(R)avnthu(Th)efrinai,(n)onna29

Ravnthu Thefrinai era la sposa del soggetto dell’iscrizione e, inoltre, la donna raffigurata assisa sulla kline nel banchetto. Il gentilizio femminile Thefrinai è

3. Morandi (Tarabella), M., “Prosopographia Etrusca I. Corpus. 1. Etruria Meridionale”; Roma 2004, p. 3234. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 15. Steingräber, S., “Catalogo ragionato della pittura etrusca”, Milano 1984, p. 3346. Ibid., p. 334

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avvicinabile al nome Thefarie del “re” di Cere delle lamine di Pyrgi (Thefarie Velianas) e, forse, al latino Tiberius, con l’aggiunta del formante gentilizio -na.

Nella nicchia di fondo della Tomba dell’Orco I sono presenti altre due iscrizioni, rispettivamente CIE 5361, sotto la kline del banchetto, e CIE 5359, sullo “scudo” (il drappeggio della spalla del personaggio centrale) a destra. La prima iscrizione, su una riga, è estremamente mutila e intraducibile:

[…]-is thi-[…]-tha thna[?]nce30

L’altra iscrizione, invece, ha subito un destino un po’ particolare. Fin dalla sua prima documentazione, l’iscrizione sullo “scudo” veniva letta come segue:

suthinia […] thuvusarths […]31

Si tratta, ovvero, di una successione di parole priva di significato che, tra l’altro, era stata accolta pedissequamente dagli editori successivi del calibro di Massimo Pallottino e Helmut Rix, oltre che da Mario Torelli che voleva identificare la Tomba con l’ipogeo della gens Spurinna32.

Massimo Morandi Tarabella, invece, è stato in grado di restituire la giusta lettura dell’iscrizione. Egli ha voluto leggerla come un testo bustrofedico, nel modo che segue (partendo dalla seconda riga, da destra verso sinistra, e proseguendo con la prima riga, da sinistra verso destra):

Thuvus Larth Murin(as) Painials33

Si tratta della formula onomastica completa del personaggio centrale mutilo, Larth Murinas, forse designato da un titolo sacerdotale o altra carica pubblica (thuvus) e figlio di una Painei (Painials essendo, appunto, un metronimico con la desinenza del possessivo). Il corretto emendamento del testo è stato reso possibile grazie alla sua registrazione fatta da Louis Schulz. Purtroppo ora il testo dello “scudo” (panneggio!) è caduto, ma l’ottimo apografo di Schulz rimane34.

Nella parete destra della prima camera, troviamo un’altra iscrizione (CIE 5354-5355), ovvero una doppia didascalia a menzione dei personaggi:

Arnth VelchasVeli[a …-ei]35

Si tratta di moglie e marito. Velcha è un gentilizio molto famoso, attestato nella Tomba degli Scudi (datata intorno al 340 a.C.), sempre a Tarquinia. Pertanto le due famiglie proprietarie delle rispettive tombe risulterebbero imparentate tramite il matrimonio con la donna, di nome Velia. Il ritratto di

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Velia è uno dei più famosi dell’antichità e con il suo enigmatico profilo rappresenta il frammento più “classico” di tutta la pittura funeraria etrusca36.

Durante una ricognizione effettuata nel 1995 da Massimo Morandi Tarabella, fu rinvenuta un’ulteriore iscrizione, in una rientranza della parete a sinistra dell’ingresso (REE 63 n16). Il titolo, dipinto in nero, era pertinente alla fase recente della prima camera, ma ormai è quasi del tutto scomparso; le poche lettere superstiti si collocano su due righe separate da uno spazio di 12,5 cm, sufficiente per altre due linee di scrittura37:

Vel-[…][…] LI38

Il nome è integrabile come Velthur o Velcha, già presente nella Tomba dell’Orco, mentre il numerale doveva costituire la chiusa dell’epitaffio, probabilmente l’età del defunto (un incinerato, vista il limitato spazio in quel punto della camera).

Nella parete sinistra della camera si colloca un’iscrizione (CIE 5362) dedicata alla sepoltura di un altro membro della gens proprietaria della tomba, inumato nello spazio reso disponibile dai lavori di ampliamento della camera. Si tratta di un’iscrizione mutila e difficilmente leggibile, oltreché traducibile, e distribuita su una sola linea di testo:

[…-urina]s Arnth Larthal [cla]n […]-vruc-[…]39

Il testo parte subito con una lacuna che potrebbe essere integrata con il nome gentilizio (-inas), seguito dal nome del defunto. C’è, poi, la menzione del patronimico Larthal, al genitivo, quindi tradotto come “di Larth”; e segue il sostantivo clan, “figlio”. Il resto dell’iscrizione non offre alcun dato traducibile:

Arnth […-urina]s figlio di Larth […]40

Durante la ricognizione del 1995 effettuata da Massimo Morandi Tarabella fu rinvenuta anche un’altra iscrizione piuttosto importante che gettava luce sul nome della gens proprietaria della Tomba dell’Orco.

Sulla base delle altre iscrizioni non era possibile giungere ad una soluzione convincente e inequivocabile: i nomi lacunosi -inas/-urinas erano variamente integrabili come Smurinas, Spurinas, Murinas, Surinas, insomma con tutti quei gentilizi etruschi che terminavano in quel modo.

Si è detto che durante il III secolo a.C. la prima camera, più antica, fu

3. Morandi (Tarabella), M., “Prosopographia Etrusca I. Corpus. 1. Etruria Meridionale”; Roma 2004, p. 3234. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 15. Steingräber, S., “Catalogo ragionato della pittura etrusca”, Milano 1984, p. 3346. Ibid., p. 334

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posta in comunicazione con quella dell’Orco II, tramite il vano intermedio dell’Orco III. La parte sinistra, con relativa nicchia, della Tomba dell’Orco I, così, fu distrutta e ciò costrinse alla stesura di nuovo intonaco, sicuramente più scadente rispetto a quello più antico. Proprio in quel settore nuovamente intonacato sono stati individuati tenui tracce di un’iscrizione dipinta in nero.

Il nuovo testo, esteso per 135 cm, conteneva almeno quattro o cinque righe. Sotto di esso, altre tracce rosse indicavano la probabile presenza originaria di figurazioni41.

Il testo, estremamente frammentario, è ricostruito come segue:

Murin(as) Larth […] zilachnce […]42

Il nome Murinas è stato già individuato nell’iscrizione CIE 5359, registrata da Louis Schulz e collocata nel settore più antico della tomba. Questo sta ad indicare che se nel III secolo la Tomba dell’Orco apparteneva ai Murinas (sulla base della nuova iscrizione), essa era di loro proprietà già a partire dalla sua prima fondazione nel IV secolo a.C. e non si può parlare di un passaggio di proprietà da una gens (quella degli Spurinas, come voleva

Mario Torelli) all’altra. L’iscrizione, in ogni caso, menziona il gentilizio prima del nome personale, com’era usuale negli epitaffi

funerari tarquiniesi di III secolo a.C.43 (e ciò accadrebbe, in effetti, anche nell’iscrizione CIE 5362). Segue una lacuna di circa sedici lettere e il verbo zilachnce, ovvero la forma verbale del titolo zilath/zilac, una magistratura repubblicana etrusca. Si traduce, quindi, come segue:

Larth Murin(as) […] fu zilac […]44

Subito dopo questa iscrizione, c’è un testo graffito di cui rimane solamente una grande M-, che pertanto non restituisce alcuna informazione.

Per quanto riguarda il resto della Tomba, le iscrizioni vanno ad indicare, in forma di didascalie, i nomi dei personaggi raffigurati sulle pareti.

Nella Tomba dell’Orco II abbiamo, a partire dall’ingresso, proseguendo in senso orario: [Ach]memrun (Agamennone, CIE 5369), hinthial Teriasals (“ombra di Tiresia”, CIE 5368), […]-mesn-[…] (CIE 5371, tra Tiresia e Aiace), Eivas […] (Aiace, CIE 5367) e […]-mith-[…] (CIE 5370, in basso alla destra di Aiace) sulla parete sinistra della camera; Cerun (Gerione, CIE 5366), Phersipnei (Proserpina-Persefone, CIE 5365) e Aita (Ade, CIE 5364) sulla parete di fondo; Tuchulcha (CIE 5375) e These (Teseo, CIE 5374), all’estremità destra della parete destra; tupi Sispes (“fatica/masso (?) di Sisifo”, CIE 5373) nel settore a destra dell’entrata45.

Nella Tomba dell’Orco III, infine, troviamo l’iscrizione Cuclu Uthuste (Ciclope e Odisseo, CIE 5363), nella nicchia adiacente al passaggio

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comunicante con il primo vano46.

La genealogia dei proprietari della Tomba: i MurinasPer tentare un’indagine prosopografica e ricostruire la genealogia della

famiglia proprietaria della Tomba dell’Orco, i Murinas, occorre individuare questo preciso gentilizio non solamente dalla tomba in questione, ma da qualsiasi altro monumento o manufatto che ne rechi menzione.

In passato noti solo occasionalmente a Tarquinia, i Murinas hanno acquisito una fisionomia di enorme rilievo dopo la loro identificazione proprio con i proprietari del complesso sepolcrale in analisi. Di origine etrusco-settentrionale, da Chiusi o da Orvieto, i Murinas giungono nella città tirrenica nel tardo V secolo a.C. e subito allacciano relazioni con le aristocrazie locali, tra cui spiccano in primo luogo i Velchas. La fondazione della Tomba dell’Orco deve coincidere con un momento di grande fioritura della gens, connesso al periodo dello zilacato mechl rasnal rivestito da Larth, effigiato insieme alla consorte nella nicchia di fondo della prima camera. Nel corso del III secolo a.C., i Murinas tornano a distinguersi con un nuovo zilacato rivestito da un altro Larth, autore di quelle opere di ampliamento che hanno portato all’unificazione delle due camere (Orco I e II) della tomba, tramite un vano intermedio (Orco III). Fuori da Tarquinia (Orvieto, Bolsena, Chiusi), la gens mantiene un tenore più basso, almeno a giudicare dalla qualità dell’evidenza archeologica47. Legate ai Murinas sono anche la gens dei Thefrina, rappresentata nel IV secolo a.C. da una donna, sposa proprio dello zilath mechl rasnal Larth Murinas, e quella dei Paina, individuata dall’iscrizione CIE 5359 e anch’essa rappresentata da una donna, madre dello stesso. Tali relazioni familiari garantiscono l’alto prestigio raggiunto dai Thefrina a Tarquinia. La loro origine settentrionale, da Orvieto o dall’area chiusino-perugina, è in accordo con la provenienza degli stessi Murinas48. Anche per i Paina si può ipotizzare un’origine orvietana in base all’analisi linguistica della radice onomastica Paie-49.

Ma partiamo proprio da Larth Murinas. È il personaggio maschile raffigurato a banchetto sulla kline nella nicchia di fondo della tomba dell’Orco I. Nell’iscrizione CIE 5360, abbiamo individuato il prenome (integrato) [M]urinas. Ma il prenome e il matronimico sono ricavabili dall’iscrizione CIE 5359 registrata dal disegnatore Louis Schulz nel 1869-70. Veniamo a sapere, così, che Larth Murinas fu non solamente zilath mechl rasnal e purth, ma anche thuvus (sostantivo di difficile traduzione e interpretazione, ma forse riferibile all’ambito cultuale-

3. Morandi (Tarabella), M., “Prosopographia Etrusca I. Corpus. 1. Etruria Meridionale”; Roma 2004, p. 3234. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 15. Steingräber, S., “Catalogo ragionato della pittura etrusca”, Milano 1984, p. 3346. Ibid., p. 334

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religioso)50. Sua madre è una Painei, gentilizio non documentato in questa forma, ma comunque presupposto a Tarquinia da Peinei (CIE 5591, di età recente) e a Tuscania da Peinal (CIE 5868, di età recente)51. Sua moglie, invece, è Ravnthu Thefrinai, raffigurata sulla stessa kline, alla sua sinistra.

Nell’iscrizione di fondazione della tomba, poi, veniamo a conoscere il suo vero fondatore, discendente di Larth (suo figlio?): Lei[ve] Murinas, menzionato nella chiusa dell’iscrizione CIE 5357. La fondazione viene datata allo zilacato di Larth Hulchnie e Marce Caliathe (380-70 a.C. ca.). Leive andrebbe identificato con il banchettante barbato effigiato all’estremità destra della nicchia di fondo52.

Larth Murin(as), menzionato nel lungo elogium dipinto nell’estremità sinistra di fondo della Tomba dell’Orco I, nei primi decenni del III secolo a.C. Fu zilath a Tarquinia e “rifondatore” (autore dei lavori di ampliamento) del monumento, con l’apertura del passaggio cassettonato (Orco III) comunicante con la Tomba dell’Orco II53.

Figlio di Larth era Arnth Murinas, menzionato nell’iscrizione estremamente lacunosa CIE 5362 (mancante anche dell’intero gentilizio, di cui si conserverebbe la -s finale). Ma a parte il patronimico Larthal [cla]n nient’altro è ricavabile.

Nella tomba sono identificabili vari personaggi quasi sicuramente ivi sepolti. Innanzitutto, Arnth Velchas, raffigurato a banchetto nella parete destra della Tomba dell’Orco I, insieme alla moglie Velia (Murinei?). Doveva essere sepolto nella nicchia della parete e si colloca cronologicamente agli inizi del IV secolo. Velia (Murinei?), moglie di Arnth Velchas, sepolta anch’essa nella stessa parte della tomba, insieme al marito. Il gentilizio non è conservato, ma ricostruito con un certo margine di certezza come Murinei. Come Leive, il fondatore della tomba, potrebbe essere figlia di Larth Murinas e Ravnthu Thefrinai. Ravnthu Thefrinai, moglie di Larth Murinas e definita dalla didascalia come [at]i nacnuva, ovvero “nonna” o, secondo Vetter, “ava” 54.

Altri due personaggi assolutamente non identificabili sono rivelati da una M- graffita accanto al lungo elogium di Larth Murinas (e, quindi, ad esso posteriore) e Vel[thur/cha?] nella rientranza a sinistra dell’ingresso della tomba55.

Dalla Tomba dell’Orco, quindi, si ricava la seguente genealogia56:

420/410 a.C. (?) (…Murinas) - (…) Painei

400/490 a.C. (?) Larth Murinas - Ravnthu Thefrinai zilath mechl rasnal [at]i nacnuva

? ?380/370 a.C. ca. Lei[ve? Murinas] Velia (Murinei) - Arnth Velchas

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Agli inizi del III secolo a.C., si è detto, la tomba viene ampliata, mettendo in comunicazione la Tomba dell’Orco I con la II: “rifondatore” dell’ipogeo è Larth Murinas, il cui figlio, Arnth, viene sepolto (alla metà del III secolo a.C.) lungo la parete sinistra della prima camera57. Ne consegue il breve schema genealogico:

280/270 a.C. ca. Larth Murinas

260/250 a.C. Arnth Murinas

Al di fuori della Tomba dell’Orco possediamo svariate attestazioni del gentilizio Murina. Innanzitutto sottoforma di matronimico, nella tomba n° 5203 in terreno Maggi, piccola camera con soffitto piano e columen a rilievo databile nei decenni centrali del III secolo a.C. Nella parete sinistra è stata ricavata un’ampia rientranza o nicchia per un’inumazione; sul fondo, dipinto in nero, un lungo elogium, purtroppo in pessime condizioni e di difficile lettura (TLE 883)58; di otto righe di testo, sono ricavabili solamente le seguenti informazioni, dalle prime quattro righe:

C-[…]-nas L[a]ris Velthurus clan Than-[…]-ls Murinals savalthas avil LXX[…] t[v?]ethach […] purthisvne […]

[…] purth […] Safrie[…] ci clenar […]59

L’incipit è costituito dal nome del beneficiario dell’elogium, un certo Laris C-[…]-nas, figlio di Velthur e di Than-[…]-ls Murinei. Il gentilizio dell’uomo è integrabile come Curunas o Camnas60; il nome della donna è integrabile facilmente come Thanchvil. Segue un termine di difficile traduzione e la menzione degli “anni” (avil), ovvero l’età (di Laris?), settanta. Nella seconda e terza riga si ricavano vari titoli ottenuti dal defunto: tvethach, purthisvne e purth. Si tratta di titoli di difficile esplicazione. Segue, poi, il nome di una gens legata a quella di Laris: Safrie (a cui si aggiungerebbe quella degli Ucrini, identificati in modo incerto altrove nell’iscrizione)61. Infine alla riga quattro (le restanti quattro estremamente lacunose) la menzione di una discendenza di “tre figli”, ci clenar, dove clenar è il plurale di clan.

Da questo elogium si ricava il seguente schema genealogico62:

260/240 a.C. C[uru/am]nas Velthur - Thanchvil Murinei

C[uru/am]nas Laris

3. Morandi (Tarabella), M., “Prosopographia Etrusca I. Corpus. 1. Etruria Meridionale”; Roma 2004, p. 3234. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 15. Steingräber, S., “Catalogo ragionato della pittura etrusca”, Milano 1984, p. 3346. Ibid., p. 334

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“tre figli”

A Volsinii-Orvieto, nella necropoli di Crocefisso del Tufo, troviamo l’iscrizione CIE 5020, su un cippo in pietra lavica di tipologia volsiniese di età recente. Vi si legge il nome Vetu Murinas. Il raro prenome Vetu è funzionalizzato in Etruria meridionale anche come gentilizio, nella variante Vete. A Volsinii-Bolsena, invece, troviamo un ennesimo Larth Murinas, figlio di V(el). È titolare di una sepoltura con cippo in pietra lavica dalla necropoli di Poggio Sala, datato al III-II secolo a.C. In lui si può verosimilmente riconoscere il marito di Ra(v)thu Seia, sepolta nella stessa necropoli, che nel proprio epitaffio (CIE 5170) presenta il gamonimico (con terminazione in -sa) di un Murinas:

Ra(v)nthu Seia Murinasa63

Ovvero:

Ra(v)nthu Seia, (moglie) di Murinas

Sempre a Bolsena giunge un cippo sepolcrale in basalto di tipo volsiniese di dimensioni abbastanza inconsuete (alto 0,65 metri, circa il doppio dei consueti cippi volsiniesi) e rinvenuto in una discarica di pietre in località Poggio Sala64. Si data al III-II secolo a.C. e presenta la seguente iscrizione (ET Vs 1.254):

Larth Murinas V(elus)65.

Si tratta, ovvero, di una formula onomastica maschile trimembre, con patronimico abbreviato. Si traduce:

Larth Murinas (figlio) di V(el)66

Da Viterbo proviene una cassa di sarcofago con una formula onomastica molto chiara:

Murinas Velturnas67

Se la formula è completa, abbiamo un gentilizio nominativo in -as, seguito da un gentilizio al genitivo, corrispondente però al matronimico, cosicché si traduce:

x Murinas (figlio) di x Velturna

Si noti che nel sepolcreto di Salarco (Chiusi), i Murinas sono sempre ricordati al nominativo nella forma Murina, nelle epigrafi CIE 657, 658, 659, 660; sempre a Chiusi, il gentilizio compare anche nelle iscrizioni CIE 662, 783, 1937, 2474, 2477, ecc.68

Ad esempio, un’urna chiusina in alabastro della prima metà del II secolo a.C. (ora a Manchester) reca, sull’orlo del coperchio, l’iscrizione incisa:

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Aule Murina L-[…]69

Nella parte finale, corrotta, recava il patronimico “(figlio) di L(arth?)”.Altro documento è costituito da un cippo funerario a sfera (ad apice

schiacciato) in travertino al Museo Nazionale Etrusco di Chiusi. Databile al IV-III secolo a.C. (quindi, di epoca precedente alle maggiori attestazioni del nome), reca un’iscrizione incisa sulla sfera del cippo:

Vel Acilu Murinal70

Si tratta, ancora una volta, di una formula onomastica trimembre, con matronimico in -al:

Vel Acilu (figlio) di Murina

Abbiamo, quindi, un personaggio appartenente alla gens Acilu (con qualche relazione con la gens plebea di Roma Acilia?), imparentata per parte di madre con la gens Murina.

Da quanto visto, è evidente che in Etruria meridionale, la documentazione epigrafica della gens Murina è circoscritta a Tarquinia (complesso monumentale della Tomba dell’Orco, nella necropoli dei Monterozzi, e tomba n° 5203 in terreno Maggi), Orvieto (necropoli di Crocifisso del Tufo) e Bolsena (necropoli di Poggio Sala)71.

Questa documentazione epigrafica svela un livello sociale prima inaspettato per la gens inanalisi: i titoli individuati nella Tomba dell’Orco permettono di affermare, con assoluta sicurezza, che almeno dalla prima metà del IV secolo a.C. il grande complesso tarquiniese apparteneva a questa famiglia (quando fu fondato da Leive). La sua stessa “rifondazione” nel III secolo si deve ad un membro della stessa famiglia, Larth, che fu zilath a Tarquinia e che alla sua morte fu onorato con un lungo elogium nello stesso ipogeo e, forse, anche con la sua raffigurazione in un corteo magistratuale, oggi purtroppo praticamente scomparso72.

L’alto livello sociale dei Murina è testimoniato, oltre che dal possesso della Tomba dell’Orco, dai legami matrimoniali avuti con i Velcha nel IV secolo a.C. e con i Camna o Curuna nel III secolo a.C.

La famiglia, inoltre, è ben documentata in territorio orvietano e soprattutto a Chiusi, da dove è probabilmente giunta a Tarquinia al più tardi nella seconda metà del V secolo a.C. Il gentilizio, in effetti, continua ad essere ampiamente diffuso anche nel II e I secolo a.C. nell’agro di Chiusi, da cui proviene l’83% delle sue attestazioni e va, quindi, ad aggiungersi alla

3. Morandi (Tarabella), M., “Prosopographia Etrusca I. Corpus. 1. Etruria Meridionale”; Roma 2004, p. 3234. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 15. Steingräber, S., “Catalogo ragionato della pittura etrusca”, Milano 1984, p. 3346. Ibid., p. 334

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numerosa serie di elementi onomastici tardo-etruschi comuni ai territori volsiniese e chiusino.

In ogni caso, i Murina si configurano tutt’altro che come gens minore o di origini tarde. Lo stesso gentilizio, di tipo patronimico, appare formato su un nome personale di rango, *Murie (<*Mura-ie), portato dal re di Veio Morrius al quale Servio Danielino attribuisce l’istituzione del sacerdozio dei Salii. Anche altre presenze del nome nelle fonti, come quella del re Murranus virgiliano (Eneide, X, 529 seg., 639 seg.), di stirpe regale, confermano il tenore di questa voce onomastica73.

Gli Spurinas: gli elogia tarquiniensia e le pitture della Tomba dell’Orco I

Per anni, la Tomba dell’Orco era stata attribuita alla gens degli Spurinas/Spurinna. Ad attribuire la tomba a questa notissima e potente famiglia tarquiniese fu Mario Torelli a partire dagli anni ’70 del secolo scorso. E questo in virtù della notevole qualità degli affreschi, delle dimensioni (successive all’ampliamento) dell’ipogeo e della presenza, nelle iscrizioni, del gentilizio lacunoso -urinas, che ben poteva essere integrato come [Sp]urinas.

Ma la base preponderante sulla quale Mario Torelli volle identificare la Tomba dell’Orco con il sepolcro gentilizio degli Spurinas era la apparente e straordinaria coincidenza degli affreschi della prima camera (Orco I) con le informazioni offerte dai famosi Elogia tarquiniensia ritrovati presso il tempio dell’Ara della Regina a Tarquinia.

Si tratta di una serie di lastre marmoree con incisi, in latino, le gesta e i cursus honora di alcune famiglie tarquiniesi, tra le quali proprio quella degli Spurinas (Spurinna in latino).

La quasi totalità dei frammenti (rinvenuti nel 1957) è stata edita dal Romanelli. Ma ad essi vanno aggiunti alcuni frustuli ritrovati in una scatola di cartone senza indicazione di provenienza nel magazzino del Museo Nazionale Tarquiniese74.

Le iscrizioni contenenti gli Elogia Spurinnae sono state incise su lastre di marmo lunense a grana molto fine, di spessore variabile e crescente verso il basso (frammenti 1, 4, 5) o verso l’alto (frammenti 2 e 3) e da sinistra verso destra (frammento 3)75. Tutte le lastre, assicurate ad un basamento verosimilmente in muratura, erano accostate fra di loro e i testi si disponevano sulle superfici senza tener conto della lunghezza delle lastre stesse. Sopra il basamento poggiavano delle statue, cui corrispondevano, al di sotto, i testi degli elogia; a causa della diversa estensione dei testi, le statue avevano a disposizione spazi non uguali fra loro, di circa 60 cm per i testi dei frammenti 1 e 2 (Velthur figlio di Lars e Velthur figlio di Velthur) e di 90 cm per il testo del frammento 3 (Aulus figlio di Velthur). Le statue dovevano avere grandezza na-

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turale. Sovrapposta ai margini delle lastre, infine, era una cornicetta marmorea di 3,3 cm di altezza76.

Per quanto riguarda i caratteri epigrafici, si nota che la prima riga dei testi, contenente la formula onomastica, è alta 4,6 cm con lettere ben incise e profonde, mentre le restanti righe dell’elogium erano in scrittura più minuta, ma sempre

uniforme e regolare. È usato l’apex (segno diacritico) almeno per le a lunghe per natura, uso tipico della tarda età giulio-claudia e di quella flavia77.

Questi elogia sono documenti che non derivano da ipotetiche e oscure “tradizioni locali”, tramandate “oralmente o da monumenti” come pensa Harris, ma da un’elaborazione molto complessa di tipo storico-letterario, basata su precise documentazioni scritte di origine e di uso gentilizio, su archivi familiari78. L’iniziativa dell’incisione, a Tarquinia, non può che essere attribuita ai discendenti degli Spurinna, molto verosimilmente a Vestricius Spurinna (vissuto nel I secolo d.C., al tempo di Claudio), rampollo dei principes Spurinas per parte di madre e dei meno nobili Vestrcnie per via paterna, che così voleva celebrare il proprio ingresso nel senato di Roma79.

L’iscrizione della prima lastra (frammento n° 1) recita:

V[elth]ur Spur[inna][L]artis f.

pr(aetor) I[I; in] magistràtu al[terum]exerc[i]tum habuit, alte[rum in]Siciliam duxit; primus o[mnium]Etruscorum mare cu[m …]traiecit; à qu-[…]

3. Morandi (Tarabella), M., “Prosopographia Etrusca I. Corpus. 1. Etruria Meridionale”; Roma 2004, p. 3234. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 15. Steingräber, S., “Catalogo ragionato della pittura etrusca”, Milano 1984, p. 3346. Ibid., p. 334

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aurea ob vi-[…]80

Le possibilità di integrare il prenome sono due, V[elth]ur e V[olt]ur. A favore della prima opzione ci sarebbe il fatto che il prenome etrusco corrispondente, proprio Velthur, non appare mai latinizzato in Voltur81. Anche il patronimico non presenta problemi d’integrazione, in quanto l’etrusco Larth viene tranquillamente traslitterato in Lars, genitivo Lartis. Alla terza ri-ga, l’espressione latina in magistratu appare più corretta di frasi come in eo magistratu, come evidenziato da altre formule come in praetura, in consulatu, ecc., note anche degli elogia epigrafici. E la parte finale si completa facilmente come al[terum], quanto allo spazio disponibile. Le integrazioni della quarta e quinta riga appaiono altrettanto semplici, a differenza delle righe successive, 6-882.

Alla riga 6, la lacuna conta non più di otto lettere, per cui è esclusa un’integrazione con exercitu; uniche altre opzioni risultano legione o milite, quest’ultimo preferibile83.

Alla riga 7, l’integrazione aqu[ila] va fortemente rigettata, in quanto l’apex è una sicura indicazione di quantità (vocale lunga per natura), mentre l’assenza di interpunzione tra à e qu-[…] si giustifica con la diffusa usanza epigrafica di non porre punti tra la preposizione e il susseguente sostantivo a cui si riferisce, come se fosse una sorta di proclitica. La pronome relativo che ne deriverebbe andrebbe integrato come qu[o] (riferito a miles) o qu[a] (riferito a legione); ma la seconda opziona va preferita per ragioni grammaticali84. Nella grande lacuna che segue (una decina di lettere), andrebbero inserite due parole. Sicuramente in fine di rigo va posta la parola corona (aurea, nel rigo successivo). Prima di essa, una qualsiasi altra parola che indichi un dono “trionfale”, palma, bulla o, più convincentemente, clupeo (secondo Mario Torelli) più la congiunzione et 85.

La causa del trionfo e, quindi, dei doni relativi, viene indicata alla riga 8: ob vi[rtutem] oppure ob vi[storia]. La prima molto preferibile giacché l’elogium tace qualsiasi fatto d’armi per cui possa essere celebrata una vittoria. Infine l’espressione donatus est che esprime l’atto del “donare”, appunto86. Ne consegue la seguente ricostruzione:

V[elth]ur Spur[inna][L]artis f(ilius)

pr(aetor) I[I; in] magistràtu al[terum]exerc[i]tum habuit, alte[rum in]Siciliam duxit; primus o[mnium]Etruscorum mare cu[m legione]traiecit; à qu[a clupeo et corona]aurea ob vi[rtutem donatus est] 87

Tradotto, il testo recita:

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V[elth]ur Spur[inna]f(iglio) di [L]arth

du[e] volte pr(etore); [durante l’esercizio del]la caricaebbe un eserc[i]to, un alt[ro in]Sicilia condusse; primo fra t[utti]gli Etruschi il mare co[n l’esercito]attraversò; al qua[le uno scudo e una corona]aurea per la vi[rtù fu donato]

Secondo la ricostruzione proposta da Giovanni Colonna (che accoglie il suggerimento del Gabba), invece, la lastra reciterebbe:

V[elth]ur Spur[inna][L]artis f(ilius)

pr(aetor) I[I; in] magistràtu Al[eriae]exerc[i]tum habuit, alte[rum in]Siciliam duxit; primus o[mnium]Etruscorum mare cu[m legione]traiecit; à qu[o Apollo cortina]aurea ob vi[rtutem donatus est] 88

Aleria, ovvero Alalia in Corsica, coinvolta nella battaglia del Mare Sardo e il sito dove, Velthur avrebbe comandato la flotta etrusca (intorno al 535 a.C. ca.) contro i Greci di Focea. Nel testo, Giovanni Colonna ricostruisce l’espressione à quo Apollo cortina aurea […] donatus est, che indica il dono “offerto” ad Apollo dal condottiero, ovvero un tripode (quello appunto di Apollo) sopra cui la Pizia comunicava i responsi. Ciò troverebbe, in effetti, riscontro nella dedica del tripodi di cui rimane la base a Delfi, in seguito alla spedizione vittoriosa contro Lipari. Il lebete recava la dedica da parte dei Tyrranoi, ovvero i Tirreni/Etruschi, di cui Velthur era rappresentante federale89.

Ne consegue la seguente traduzione:

V[elth]ur Spur[inna]f(iglio) di [L]arth

du[e] volte pr(etore); [durante] la carica ad A[leria]ebbe un eserc[i]to, un alt[ro in]Sicilia condusse; primo fra t[utti]gli Etruschi il mare co[n l’esercito]attraversò; per la qua[le ad Apollo un tripode]

3. Morandi (Tarabella), M., “Prosopographia Etrusca I. Corpus. 1. Etruria Meridionale”; Roma 2004, p. 3234. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 15. Steingräber, S., “Catalogo ragionato della pittura etrusca”, Milano 1984, p. 3346. Ibid., p. 334

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aureo per la vi[rtù fu donato]

L’iscrizione della seconda lastra (frammenti n° 2 e 5) recita:

[Velthu]r Spur[inna][Velthur]i[s f. (?)] 90

[…]VN[…][…] pr(aetor) […][…]MA[…][…]A[…] 91

L’integrazione della prima riga è assolutamente certa. Il maggiore spazio di interlinea obbliga ad immaginare un elogium più corto degli altri due (e meglio conservati) e quindi a mettere il patronimico alla seconda riga. Il supplemento proposto per la filiazione, basato sulla posizione del testo, induce a ritenere questo Velthur, figlio del precedente92.

Il frammento n° 5, invece, è estremamente lacunoso e difficilmente integrabile. La menzione, alla seconda riga, di un pr(aetor), non l’intestatario dell’elogium, ma sicuramente un personaggio di altra città coinvolto nelle res gestae di Velthur93.

L’iscrizione della terza lastra (frammenti n° 3-4 e 6) recita:

A(ulus) S[pu]rinna V[elth]ur[is f.]pr(aetor) (ter); Orgoln[iu]m Velthurne[nsis Pyrg]ensi[um et]Caeritum regem imperio expu[lit …] XI […][A]rretium bello servili v[exatum liberavit (?)][La]tinis novem op[pida …] 94

cep[it (?) …]Falis[c …] 95

Le integrazioni del primo rigo sono certe: gentilizio S[pu]rinna e patronimico V[elth]ur[is], anche se la forma e la declinazione latine del prenome etrusco Velthur ci sono praticamente sconosciute. Alla seconda riga, il nome Orgoln[iu]m viene ricostruito sulla base di un cippo a casetta cerite di una certa Ania Orculnia, dove Orculnia (Orgolnius, latinizzazione dell’etrusco Urclna nell’elogium) è evidentemente il gentilizio. La parola successiva, piuttosto che un gentilizio (sarebbe stato Velthurna-), appare essere un nome “etnico”, forse Velthurne[nsis] 96. Segue la parte finale di un’altra parola, precisamente un altro nome “etnico”; forse si potrebbe pensare a [Pyrg]ensi[um], tenuto conto del legame che univa Caere al suo porto97.

Alla terza riga, la quarta parola ammette due integrazioni, expu[lit] o expu[lsum]. Nel primo caso, Aulo Spurinna risulterebbe l’instauratore di un

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regime repubblicano a Caere, mentre nel secondo caso, sembra logico immaginare che il praetor tarquiniese avesse aiutato l’esule re ceretano. La parte finale della riga non è integrabile con sicurezza. Alla quarta riga viene menzionato l’intervento di Aulo ad Arezzo, sconvolta da una rivolta servile. L’integrazione della parte finale, sulla base di altre iscrizioni latine (come l’elogium di M. Valerius Maximus), viene risolta come v[exatum liberavit]. L’integrazione della quinta riga, oltre a [La]tinis e op[pida] non è risolvibile ulteriormente98.

Nel frammento n° 6, sono conservate le ultime due righe dell’elogium, altrimenti perdute. Il verbo iniziale (se come una p e non una n dev’essere considerata la terza lettera) sarebbe riferibile ai novem oppida “presi” da Aulo, mentre sicura è la menzione dei Falisci, anche se manca qualsiasi accenno alle ragioni della loro presenza99.

L’elogium si traduce come segue:

A(ulus) S[pu]rinna [f(iglio) di] V[elth]ur(tre volte) pr(etore); Orgoln[io] Velthurne[nse, di Pyrgi e]di Caere re, rimos[se] dal potere […][liberò (?) A]rezzo, a[gitata] da una guerra servilenove ci[ttà] dei [La]tini […]

pre[se (?) …]Falis[c …]

Si diceva come Mario Torelli volle identificare i membri della gens Spurinas con i soggetti raffigurati sulle pareti della Tomba dell’Orco I. È apparso, cioè, apparentemente straordinaria la coincidenza degli elogia con le persone e gli oggetti ivi raffigurati.

Si è detto come nella nicchia di fondo della camera fossero rappresentati tre soggetti adulti distesi su una kline conviviale e due soggetti giovani stanti di fronte alla kline.

Innanzitutto la coppia coniugale costituita da Ravnthu Thefrinai e l’uomo in posizione centrale, ormai perduto; e inoltre l’uomo barbato a destra, che guarda verso di loro. È chiaro chese Massimo Morandi Tarabella identifica il soggetto centrale con Larth Murinas, Mario Torelli non può che identificarlo con Larth Spurinas, padre di colui a cui era dedicato il primo degli elogia tarquiniensia preso in considerazione. Si tratterebbe, quindi, degli antenati dei fondatori della tomba. E, in effetti, la donna viene definita ati nacnuva, ovvero “nonna” o, in

3. Morandi (Tarabella), M., “Prosopographia Etrusca I. Corpus. 1. Etruria Meridionale”; Roma 2004, p. 3234. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 15. Steingräber, S., “Catalogo ragionato della pittura etrusca”, Milano 1984, p. 3346. Ibid., p. 334

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questo caso, “ava”. La corrispondenza, quindi, apparirebbe abbastanza stringente.

Il terzo soggetto adulto della scena, sulla destra, quindi, non poteva che essere identificato con Velthur Spurinna, intestatario del primo elogium.

Stando all’elogium, Velthur fu praetor due volte e durante la sua magistratura ebbe un esercito, mentre un altro lo condusse in Sicilia, a quanto pare, primo fra tutti gli Etruschi a realizzare una traversata trans marina con un esercito. A seguito di questa vicenda, ebbe in dono uno scudo e una corona aurea per la virtus dimostrata. Torelli vuole riconoscere in questo evento militare l’intervento degli Etruschi al fianco degli Ateniesi in Sicilia nel 415-413 a.C. E, secondo lui fu in questa precisa occasione che i suoi soldati vollero conferirgli gli onori100.

Il testo, in effetti, parlerebbe di un clipeus ob virtutem, che nella Tomba sarebbe raffigurato presso il personaggio sulla kline a destra101. Questo stando alla ricostruzione di Mario Torelli. Ma si è visto che, in realtà, lo “scudo” altro non è se non il panneggio sulla spalla del personaggio centrale.

Ma proseguiamo nel ragionamento di Mario Torelli. Nella scena sono raffigurati altri due soggetti maschili, di giovane età. Sono stanti ai piedi della kline e quello di sinistra, vestito di una tunica, ha il viso e gli occhi rivolti al personaggio centrale perduto. Apparentemente è in atto di sostenere, quasi ostentandolo, lo “scudo” ove corre un’iscrizione di cui il Torelli non si pose il minimo problema d’interpretazione (suthinia… thuvusarths…). Il giovane a destra, invece, di pelle più chiara, reca al collo una grossa bulla e indossa una tunica orlata di porpora; secondo Mario Torelli, alza il braccio destro in cenno di saluto. I due giovani, quindi, sarebbero figli minori o nipoti del personaggio centrale102.

I due, in particolare, sono stati identificati con gli intestatari degli altri due elogia, Velthur figlio di Velthur e Aulus figlio di Velthur. Trattandosi di due giovinetti, Torelli ha ipotizzato che i potessero essere fratelli (uno minore, l’altro maggiore), figli entrambi del primo Velthur.

Se su Velthur “minor” non abbiamo informazioni (essendo, tra l’altro, di minore estensione il suo elogium), su Aulus possediamo notevoli dati che si riassumo nella cacciata del re di Caere, nell’episodio di Arezzo e nella guerra contro i Latini (con la presa di novem oppida e il probabile intervento dei Falisci). Pur essendo possibile che egli fosse figlio di Velthur II “minor” e nipote di Velthur I “maior”, Mario Torelli riteneva più probabile (anche sulla base delle pitture della tomba) che si trattasse del filius natu minor di Velthur I. Egli, quindi, sarebbe il giovinetto con pretexta e bulla, forse meno che decenne all’epoca dell’affresco e, dunque, circa cinquantenne al momento dei fatti narrati nell’elogium103.

Mario Torelli vuole collocare gli eventi citati dall’elogium di Aulus durante la guerra tra Roma e Tarquinia nel 358 a.C., ovvero una sessantina di anni

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dopo gli eventi della spedizione di Velthur I in Sicilia104.Secondo altri storiografi, invece, l’elogium di Aulus non parlerebbe della

guerra del 358 a.C., in cui gli stessi Romani furono trucidati dagli Etruschi nel foro di Tarquinia. I Romani, infatti, avrebbero avuto scarso interesse a rievocare quegli eventi parzialmente dolorosi (tra cui la privazione di nove città latine!). In realtà gli episodi menzionati si collocherebbero tra la fine del VI secolo a.C. e gli inizi del V, quando si può ben concepire anche la stessa rimozionedel re da Caere e l’eventuale instaurazione del regime repubblicano105.

Nella Tomba dell’Orco I, in ogni caso, Velia, moglie di Arnth Velchas, risulterebbe membro della famiglia Spurinas (sorella del fondatore, Velthur I?) e, quindi, se ne ricaverebbe una parentela della gens Velcha (proprietaria della Tomba degli Scudi) con questa importante famiglia tarquiniese.

Quanto alla presenza del nome Murinas, nella tomba, essa verrebbe spiegata con un passaggio di proprietà dalla gens fondatrice, gli Spurinas, ai Murinas stessi.

La genealogia degli SpurinasAppurato, in ogni caso, che la Tomba dell’Orco dovette appartenere alla

gens Murinas fin dalla sua fondazione, è interessante ricostruire anche la genealogia della famiglia che, per lungo tempo, è stata creduta proprietaria della tomba (e che, invece, sarà da ricercare altrove, nella stessa Tarquinia).

Sulla base degli elogia e considerando Velia Spurinas sorella di Velthur I (in quanto fondatore della tomba?), si ricaverebbero due “stemmi” familiari:

510 o 430 a.C. ca. Lars Spurinas - Ravnthu Thefrinai (?)

?480 o 415 a.C. Velthur I Spurinas (primo elogium) Velia Spurinas

460 o 380 a.C. Velthur II Spurinas (secondo elogium)

435 o 358 a.C. Aulus Spurinas (terzo elogium)

Oppure:

510 o 430 a.C. ca. Lars Spurinas - Ravnthu Thefrinai (?)

3. Morandi (Tarabella), M., “Prosopographia Etrusca I. Corpus. 1. Etruria Meridionale”; Roma 2004, p. 3234. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 15. Steingräber, S., “Catalogo ragionato della pittura etrusca”, Milano 1984, p. 3346. Ibid., p. 334

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?

480 o 415 a.C. Velthur I Spurinas Velia Spurinas

460 o 380 a.C. Velthur II Spurinas Aulus Spurinas 435 o 358 a.C.

Considerando l’interpretazione data alle pitture della Tomba dell’Orco I, ovviamente, risulterebbe corretto il secondo schema genealogico. Mario Torelli vede confermata questa ipotesi anche sulla base del nome del secondo-genito di Velthur I, ovvero Aulus: questo prenome, infatti, sembra innovare rispetto alla tradizione familiare incentrata sui prenomi Lars/Velthur; questo perché se il figlio maggiore prendeva un nome in linea con la tradizione (in questo caso, Velthur), il figlio minore, invece, riceveva necessariamente un nome diverso106. Ma Torelli non prese in considerazione il fatto che se Velthur II prese il nome del padre (perché non del nonno?), Aulus poteva plausibilmente ricevere il prenome Lars.

Le date proposte per i membri della gens Spurinas sono basate, rispettivamente, sulle interpretazioni di G. Colonna107 e M. Torelli.

Oltre ai dati offerti dagli elogia, incontriamo un Venel Spurienas a Volsinii (Orvieto), nella necropoli di Crocefisso del tufo. Titolare di una tomba a camera della fine del VI secolo a.C., è citato nell’iscrizione CIE 4926 della tomba108. Si noti, in particolare, la forma con cui è attestato il gentilizio, Spurienas, ovvero ricostruibile come *spurie (ambito semantico della “città”) > *spurie + -na, suffisso formante dei gentilizi.

La Tomba dei Tori (Necropoli dei Monterozzi) restituisce un’iscrizione (CIE 5327, TLE 78) che ricorda un esponente di questa famiglia: Arath Spuriana. Il testo completo è:

Arath Spuriana s[uth]il hecece fariceka109

Vi si ricorda, quindi, la fondazione del sepolcro, tramite il collegamento dei due verbi con la congiunzione enclitica -ka (analogo al -que latino); i due verbi esprimono il valore semantico del “fondare” (hecece) e del “predisporre” (farice-, forse avvicinabile al latino pario):

Arath Spuriana, la t[omb]a fondò e predispose

La tomba viene datata al 530 a.C. in virtù del confronto stilistico delle sue pitture con quelle sulle ceramiche etrusche a figure nere, cosiddette pontiche, che inseriscono la tomba e il suo pittore nel panorama artistico di quel periodo e

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che hanno fatto della tomba stessa uno degli ipogei tarquiniesi più discussi nell’ambito etrusco logico110. Ma la stessa iscrizione ci offre un elemento cronologico: il segno con cui viene indicato il fonema f (fh), a forma di 8, compare nelle iscrizioni tarquiniesi solamente a partire dal 540 a.C. e la stessa opposizione fonologica tra le due sibilanti sigma (a forma di z = ss), iniziale del nome Spuriana, e san (a forma di M = s), iniziale della parola suthi (anche se integrata), si stabilizza ugualmente nello stesso periodo.

Il dittongo -ia- nel gentilizio è esito di un’alterazione del timbro vocalico in Spuriena, che è da ritenersi la forma etimologica (come nell’epigrafe volsiniese)111.

Arath Spuriana è, forse, da identificare con lo stesso personaggio che dedicò una tessera hospitalis in avorio nel santuario di Sant’Omobono a Roma (foro Boario), dedicato al culto di Fortuna e Mater Matuta112. La placchetta reca anche il nome della controparte, un certo Araz Silqetenas (Sulcitanus?) Spurianas. Ma lo stesso Arath Spuriana potrebbe essere un antenato della famosa famiglia degli Spurinna, le cui imprese sono narrate dai celeberrimi elogia.

La tessera hospitalis fu rinvenuta nel 1978, nel deposito votivo dietro il lato posteriore del tempio, contro il primo podio. È conformata a figura di leone accovacciato nella parte anterior, mentre nel lato posteriore, liscio, èincisa la formula onomastica trimembre. La datazione è fissata al 530 a.C. Trattandosi di una tessera hospitalis, essa era destinata al ricongiungimento, nella parte piatta, con una analoga, ma speculare. Il proprietario è un etrusco residente a Roma: la resa del nome con la -z per l’affricata in luogo della dentale palatale -th è un fenomeno ampiamente diffuso in area latino-falisca. Il primo gentilizio è costituito, in realtà, da un etnico, improntato sul nome della città fenicio-punica di Sulci in Sardegna sud-occidentale e ricostruibile in *Selce o *Selci. Terzo membro della formula è considerato, dai più, come un nomen qualificante un etrusco “che avesse soggiornato più o meno a lungo a Sulci, prima della conquista cartaginese della Sardegna”113. Sicuramente fu membro della famiglia Spuriana/Spurinas e legato al proprietario della Tomba dei Tori.

Poiché la vita di Arath Spuriana si colloca in un periodo anteriore al 530 a.C. ca., è ipotizzabile (sulla base della cronologia di Giovanni Colonna) che egli sia il padre di Lars Spurinas (in questo caso, Spuriana!), che negli elogia viene indicato come il padre di Velthur

3. Morandi (Tarabella), M., “Prosopographia Etrusca I. Corpus. 1. Etruria Meridionale”; Roma 2004, p. 3234. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 15. Steingräber, S., “Catalogo ragionato della pittura etrusca”, Milano 1984, p. 3346. Ibid., p. 334

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I. In sostanza, si potrebbe ipotizzare che il sepolcro della gens Spurinas sia da identificare con la Tomba dei Tori, fondata da Arath. E, in effetti, il programma figurativo della tomba, con l’unica rappresentazione mitologica greca (l’agguato di Achille su Troilo) che si ritrovi all’ingresso di una tomba etrusca arcaica114, oltre alle scene erotiche (anche di contenuto omosessuale) e alla complessa simbologia funeraria, ben si sarebbe prestato a rappresentare una gens così importante. Ne conseguirebbe la seguente genealogia:

560 a.C. ca. Arath Spurinas

510 a.C. ca. Lars Spurinas

480 a.C. Velthur I Spurinas

460 a.C. Velthur II Spurinas

435 a.C. Aulus Spurinas

Sepolto nella tomba della gens Partunu a Tarquinia, in un sarcofago in nenfro, troviamo un Arnth Spurinas, raffigurato sul coperchio come un giovano recumbente. La cassa del sarcofago è ornata da una coppia di genietti alati separati da un grande cratere a volute ed è databile al 260 a.C. Le dimensioni evidenziano che esso appartenne ad un fanciullo. Nell’iscrizione identificativa, il gentilizio (Spurinas) è anteposto al nome personale, com’era usuale in epoca tarda. Suo padre è Vel Spurinas, sua madre Cuclni Thanchvil, nota come moglie di Laris II Partunus e madre anche di Velthur II Partunus. Dall’epitaffio (CIE 5427) si ricava che il fanciullo fu conferito il titolo di zilath115:

Spurinas Arnth Velus clan Cu[cl]nial Thanchvi[lus … zi]lath lupuce […]-ur-[…]116

Patronimico e matronimico hanno l’uscita in genitivo, rispettivamente dei nomi terminanti in liquida e dei nomi femminili terminanti in -i. Il termine lupuce rientra nella sfera semantica del “morire” al perfetto. L’iscrizione, frammentaria, è traducibile come:

Spurinas Arnth, figlio di Vel (e) di Cu[cl]ni Thanchvi[l … zi]lath morì…

Sulla base delle relazioni familiari all’interno della Tomba dei Partunu, si ricava il seguente schema genealogico:

290 a.C. ca. Laris II Partunus - Cuclni Thanchvil - Vel Spurinas

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260 a.C. Arnth Spurinas

Da Tarquinia provengono due iscrizioni di età recente, menzionanti altri due membri della gens Spurinas: A(ule?) Spurinas, figlio di S(ethre) e morto a trentacinque anni e Thana Spurinei, una donna di ottantaquattro anni. Il primo riceve sepoltura con cippo in nenfro a base parallelepipeda e colonnina di provenienza incerta, la seconda con un cippo in nenfro della stessa tipologia117.

Ricordato nel lungo epitaffio di Larthi Cilnei, visto e copiato nel Cinquecento in una tomba a Tarquinia (Manoscritto Vaticano Latino 6040), Arnth Spurinas (?) era il marito della donna, morta all’età di ottantatre anni e figlia di Luvchume Cilnie e di una Felznei originaria di Arezzo e vissuta forse nel IV secolo a.C.118

Il testo del manoscritto (le parole precedute da * sono state emendate) recita:

Larthi Cilnei *LuvchumesCilnies sech *an *Aritinialmeani arsince *clthlu-m lupu Felznealc nachumse puia a[m]ce *Ar(n)thal *Spu-rinas cver puthsce uthuu[z]r einch s[a]l luice phul-ui-[…]-ce […]*-es puia amce a-[vi]l XIIII *lupum *avils [L]XXXIII 119

Il testo, quindi, si traduce lacunosamente come segue:

Larthi Cilnei di LuvchumeCilnie figlia che da Arezzo… se ne andò …morì e di Felznei …… fu moglie di Arnth Spu-rinas (e) un dono ha fatto (?) ……… fu moglie per an-ni 14, morta ad anni 83

Ne consegue il seguente schema cronologico:

IV sec. a.C. Luvchume Cilnie - (…) Felznei

IV sec. a.C. Larthi Cilnei - Arnth Spurinas

3. Morandi (Tarabella), M., “Prosopographia Etrusca I. Corpus. 1. Etruria Meridionale”; Roma 2004, p. 3234. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 15. Steingräber, S., “Catalogo ragionato della pittura etrusca”, Milano 1984, p. 3346. Ibid., p. 334

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Dall’agro di Tarquinia provengono due ultime attestazioni del gentilizio in esame: uno da Blera, nell’iscrizione ta mutna Marces Spurinas (“Questo sarcofago è di Marce Spurinas”)120, che quindi reca il nome di Marce (al genitivo) Spurinas inciso su un sarcofago in nenfro acassa liscia con specchiatura centrale e coperchio displuviato (recuperato nel 1968-69 in una tomba a camera depredata), datato al IV-III secolo a.C.; l’altro da Tuscania, con il nome di Sethra Spurini inciso su un cippo in peperino a base parallelepipeda e colonnina di età recente121.

Altri esponenti minori della gens sono: Spurinnia Longa, donna di settantacinque anni ricordata nell’epitaffio di una colonnina sepolcrale in pietra calcarea (I secolo a.C.-I d.C.) dalla zona di villa Bruschi-Falgari; Spurinnia L. f. Thannia, altra donna morta a novantaquattro anni e sepolta nella necropoli dei Monterozzi, con cippo in marmo lunense di provenienza incerta (I. secolo a.C.-I d.C.). Altro esponente della famiglia era Larth Srupinas (emendato in Spurinas), sepolto in una tomba a camera di Volsinii (Orvieto), nella necropoli di Crocefisso del Tufo (fine VI secolo a.C.); l’epitaffio recitava mi Larthia Srupinas, ovvero “Io sono di Larth Srupinas”, con il nome al genitivo122.

La documentazione epigrafica del gentilizio Spurinas è arricchita dalla omonima serie vascolare, costituita in genere da piattelli e coppe con il tondo interno interessato dalla presenza di formule onomastiche monomie o binomie dipinte, da intendersi come marchi di produttore o come nomi di committenti-donatori. Gli esemplari con iscrizione Spurinas sono cinque e provengono da Vulci e S. Giuliano; uno è di origine incerta. Quanto al centro di produzione, si pensa a Vulci, in virtù della quantità degli esemplari rinvenutivi; la datazione, invece, si colloca tra il 525 e il 475 a.C. Ovviamente non ci consentono di individuare personaggi specifici, ma comunque attestano l’importanza della famiglia in Etruria meridionale nel periodo tardo-arcaico, oltre che lo sviluppo Spuriena > Spurina prima degli inizi del V secolo a.C.123

La coppa Spurinas n° 13 (parte dell’orlo e della vasca) proviene dalla tomba Ciarlanti di San Giuliano; il materiale documentato nella tomba, consta di un nucleo più antico, cui appartiene un alabastron etrusco-corinzio, e di uno più recente, rappresentato da una kylix attica e al quale va annessa anche la coppa Spurinas124. L’iscrizione nel tondo interno, sp[…]s è integrabile con certezza come Sp[urina]s, giacché la grafia e la spaziatura delle lettere consentono di avvicinare questa iscrizione a quella del piattello n° 55 e giacché si riscontra una quadruplice occorrenza del gentilizio nel Gruppo, di cui esso è stato assunto come eponimo da Beazley125.

Anche i piattelli n° 36 (Vulci, necropoli di Pian dell’Abbadia, scavi Luciano Bonaparte 1828-1829)126, 45, 55 (Pitignano, terreno di Giovanni Denci 1902; parte dell’orlo mancante)127 e 91 (provenienza sconosciuta) recano iscritto il gentilizio Spurinas. Si tratta, per il momento, delle più antiche attestazioni di

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questa forma del nome, al genitivo, la cui forma arcaica è Spuriena/Spurienas128.

Il gentilizio Spurina risulta attestato nel V secolo a Cerveteri (Spurin[as]) e nel territorio di Chiusi, oltreché a Tarquinia, Orvieto, Norchia, agro perugino, ecc.129

I quattro esemplari menzionati del Gruppo Spurinas, due provengono da Vulci (36 e 45), uno da Pitignano (55) e il quarto di provenienza sconosciuta (91). In particolare, l’esemplare di Pitignano (55) proveniva da una tomba a camera i cui oggetti di corredo permettono di ipotizzare una o più deposizioni ne VII secolo a.C., mentre la ceramica attica appartiene a una deposizione più recente. A questo nucleo più recente va attribuito il nostro piatto Spurinas,

collocabile nell’ultimo quarto del VI secolo a.C.130

L’Etruria settentrionale offre una nutrita serie di attestazioni del gentilizio. Ancora alla seconda metà del V secolo a.C. deve essere riferita, per la forma non contratta del prenome Venel, l’urna in pietra fetida di Castelmuzio Trequanda con la formula bimembre Venel Spurina. A Perugia abbiamo, tra la fine del III secolo ed il II secolo a.C., ben quattro attestazioni del gentilizio nella forma Spurinas (ET Pe 1408, CIE 4465, CIE 4134, CIE 4464). Dalla necropoli di Casalta in Val di Chiana (Arezzo) proviene un’urna di travertino con l’iscrizione di una Larthi Spurinei131.

A Chiusi è presente un’altra Larthi Spurinei e a Chiusi-Sanbuono un Arnth Murina, figlio di una Spurinei (attestando una parentela tra gli Spurina e i Murina, che della zona di Chiusi erano originari!)132. Secondo Mario Torelli, ciò evidenzierebbe un legame tra le due gens all’origine dell’ampliamento della Tomba dell’Orco, ovvero un passaggio di proprietà dagli originari Spurinas ai successivi Murinas, i quali si vollero ricollegare al capostipite fondatore della Tomba dell’Orco I con il nuovo programma iconografico, o, meglio, epigrafico.

Riassumendo, nel nord, il gentilizio è distribuito in sei siti, con una decina di occorrenze. Interessante è soprattutto il quadro delle relazioni inter-familiari: si evidenzia una strategia di alleanze con le gentes del nord, indiziata da legami matrimoniali, che avrebbe permesso fin dalla metà del V secolo a.C., l’instaurarsi ed il consolidarsi di interessi da parte della casata tarquiniese, del cui intervento nel nord resta memoria nell’elogio di Aulus Spurinna.

Da varie fonti è ricordato, infine, uno Spurinna come aruspice di Cesare, autore della profezia delle Idi di Marzo (Svetonio, Caesar 81; Valerio

3. Morandi (Tarabella), M., “Prosopographia Etrusca I. Corpus. 1. Etruria Meridionale”; Roma 2004, p. 3234. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 15. Steingräber, S., “Catalogo ragionato della pittura etrusca”, Milano 1984, p. 3346. Ibid., p. 334

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Massimo, Memorabilia VIII, 11, 2). Questo aruspice di Cesare, secondo Mario Torelli sarebbe antenato del Vestricius Spurinna del I secolo d.C. Il che dimostra la lunga fortuna che questa gens ebbe nella storia etrusca e romano-repubblicana133.

La base onomastica spur- è molto antica e produttiva; su di essa si forma il termine istituzionale spura (aggettivo spurana) corrispondente al latino civitas. Fin dalla metà del VII secolo a.C. sono attestati elementi onomastici individuali (prenomi) derivati da tale base: Spurie a Cerveteri (TLE 90), Spuriaza a Cerveteri e Chiusi (TLE 941, 482). Alla fine del Vi secolo a.C., si ha Spurie ad Orvieto-Crocefisso del Tufo (CIE 4950) e, si è già detto, Spuriena in funzione di nomen nello stesso sito, che attesta il grado -e- della vocalizzazione del dittongo, originario rispetto al tarquiniese -a-134.

Appendice: un approfondimento morfo-linguistico sul cognome etrusco

Sulla base dei dati forniti dall’archeologia, è possibile affermare che la formazione del sistema onomastico etrusco s’inserisce direttamente nel processo di sviluppo della società villanoviana135. L’aggregazione di più comunità in una stessa sede, comporta la necessità di creare forme più adeguate per l’identificazione degli individui. Varrone affermava che Romolo e Remo non ebbero mai né un praenomen né un cognomen; i latini più antichi, pertanto, si chiamavano con il solo nome individuale, mentre la la formula onomastica bimembre si sarebbe diffusa in un secondo momento, in concomitanza con il sinecismo con la comunità sabina (ad es, Titus Tazius). Per l’Etruria si può pensare egualmente che sia avvenuto un passaggio dalla formula unimembre a quella bimembre nello stesso periodo o, forse, anche prima136. Tutto ciò si collocherebbe, in effetti, tra la fine dell’VIII e gli inizi del VII secolo a.C., giacché alla metàdel VII secolo il sistema onomastico bimembre appare già formato e ampiamente usato.

Sulla questione dell’origine del sistema onomastico etrusco si sono “scontrate” due teorie facenti capo l’una a Massimo Pallottino, l’altra a Helmut Rix. Se Rix affermava un’origine italica, sabina o latino-falisca del sistema bimembre (prenome + gentilizio)137, Pallottino si dichiara contrario, quindi a favore di un’origine prettamente etrusca. Questo tipo di sistema si differenziava, in particolare dalle formule in uso presso altri popoli mediterranei, come i Greci, i quali indicavano le persone con un semplice nome individuale più un patronimico (Apollonio di Nestore) o un epiteto di discendenza (Aiace Telamonio), senza esprimere il concetto di continuità familiare138.

Al contrario, il sistema italico prevede la presenza di un doppio elemento, il nome personale e il nome di famiglia o gentilizio, usanza che si è tramandata fino all’età moderna.

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Si ritiene che i gentilizi siano derivati dal nome singolo paterno. Ma poi i nomi si formarono anche da teonimi, toponimi, ecc. La nuova formazione, tuttavia, rimane fissata per tutti i membri della famiglia e loro discendenti, senza mutamenti (se non grafici) di rilievo139. Lo studio della formazione dei gentilizi, in effetti, sovverte il radicato luogo comune sul matriarcato etrusco, poiché i gentilizi si formavano prevalentemente sulla base di nomi maschili (per via patrilineare, quindi). Presso i latini, ad esempio, il gentilizio Marcius (arcaico Marcios) è formato sulla base del nome individuale Marcus, con l’aggiunta del suffisso di appartenenza/derivazione -io, un imprestito dell’italico. La stessa funzione di quel suffisso ha, in etrusco, -na (aggettivale): da Marce, deriva il gentilizio Marcena140.

Oltre ai gentilizi terminanti in -na, esistono anche altre categorie di nomina: i gentilizi terminanti in -ie (adeguamento ai gentilizi italici in -io, latino -ios > -ius); gentilizi terminanti in -nie (combinazione di -na + -ie), come in Tarchunie (Tarquinius), ecc.141

Alla fine del VI secolo a.C. si possono distinguere anche altri elementi aggiunti alla formula onomastica. Terzo elemento diventa il cognomen, attestato sporadicamente, che come presso i latini è in origine un soprannome caratterizzante l’individuo per qualità fisiche o morali). Si aggiunge, poi, anche il patronimico, espresso con il nome individuale paterno al possessivo142.

L’onomastica di età recente (IV-I secolo a.C.), diventa assai complessa con l’aggiunta di dati anagrafici ulteriori nelle iscrizioni. I nomi individuali maschili (praenomina) si riducono ad un numero esiguo (come presso i romani) e spesso vengono abbreviati alla prima o alle prime due lettere. I nomi più frequenti e le loro abbreviazioni incontrate nel presente lavoro, sono i seguenti:

- maschili: Arnth, abbreviato in A. Ar. Ath.; Avle/Aule, abbreviato in Av./Au.; Vel, abbreviato in V. Ve., Vl.; Velthur, abbreviato in Vth.; Larth, abbreviato in L. La. Lth.; Laris, abbreviato in L. Li. Lr.; Lauchme, abbreviato in Lch; Sethre, abbreviato in S. Sth.

- femminili: Velia; Thanchvil, abbreviato in Th. Tha.; Ramtha, abbreviato in R. Ra.; Ra(v)nthu143.

La riduzione dei nomi individuali rende più importante la funzione dei gentilizi, che continuano quelli attestati più anticamente, anche se graficamente e morfologicamente il loro aspetto muta (cadono le vocali post-toniche, si riducono i dittonghi, ecc.)144.

3. Morandi (Tarabella), M., “Prosopographia Etrusca I. Corpus. 1. Etruria Meridionale”; Roma 2004, p. 3234. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 15. Steingräber, S., “Catalogo ragionato della pittura etrusca”, Milano 1984, p. 3346. Ibid., p. 334

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Accanto ai due elementi principali diventa diffusissimo proprio il patronimico (nome del padre al possessivo/genitivo + clan, “figlio”, oppure nome paterno nella forma aggettivale u-scente in -sa). Altro elemento tipico dell’onomastica recente è il matronimico (espresso con il prenome e il gentilizio in possessivo o raramente col gentilizio in -sa). Nelle formule onomastiche femminili, infine, viene aggiunto anche il gamonimico (prenome e nome del marito in possessivo/genitivo + puia, “moglie” o raramente il gentilizio uscente in -sa)145.

Fatte le dovute premesse circa la natura e lo sviluppo dell’onomastica etrusca, si può procedere con l’analizzare la questione da cui si era partiti, ovvero le gentes dei Murina e degli Spurina.

In particolare è possibile gettare uno sguardo critico sulla formula etrusco-romana Araz Silqetenas Spurianas, del leoncino eburneo di S. Omobono. Siamo nel VI secolo a.C., precisamente intorno al 560 a.C., in area latino-falisca. L’iscrizione su leoncino reca una formula trimembre con due appositivi formalmente identici nella formante -na (apparentemente gentilizi146). In essa si è spesso ipotizzato di riconoscere nell’oscuro silqetenas un etnico (con suffisso -te), rispetto al notissimo gentilizio Spurianas. Ma qualcuno ha anche paragonato quest’ultimo al termine rumach utilizzato per designare Cneve Tarchunies (Gneus Tarquinius), ovvero “romano”; il che porterebbe a tradurre spurianas come il latino urbicus, ovvero “cittadino”147. Carlo de Simone, invece, ha avanzato un’altra ipotesi, ovvero che in uno dei due si abbia il gentilizio, mentre nell’altro la filiazione; e la filiazione sarebbe riconosciuta in Spurianas, nonostante esso figuri come notissimo gentilizio (fin dal fondatore della Tomba dei Tori)148.

Il punto importante, però, è un altro: la coesistenza di due appositivi. Data l’alta cronologia dell’iscrizione, si tratta di un vero e proprio hapax in etrusco, e ciò lo troviamo addirittura nell’etrusco di Roma (città che, in data posteriore, non conosce tale formula). In definitiva, si può concludere che: 1) la formula onomastica con doppio appositivo, esisteva dal VI secolo a.C. nel Lazio; 2) è possibile che essa esistesse a Roma prima dell’altra formula usata per la filiazione, ovvero il nome parentale al genitivo con o senza “figlio”)149.

A differenza dell’iscrizione di S. Omobono, la cui interpretazione appare ancora incerta, in tutti gli altri casi in cui è attestato, il gentilizio Spurinas ha una sua precisa origine e spiegazione morfologica che va analizzata. Senza contare che anche il gentilizio Murinas segue lo stesso tipo di sviluppo:

spur- (“città”) > Spurie (spur- + -ie) > Spuriena (Spurie + -na) > Spuriana > Spurina

mur- (“sostare, dimorare”?)> Murie (Mur- + -ie) > *Muriena (Murie + -na) > Murina

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Spurie può essere considerato o un nome individuale o un sostantivo che rientra nell’ambito semantico della “città”. Esso, comunque, è attestato anche come gentilizio intorno al 620-600 a.C. a Caere (?), nell’iscrizione (ET Cr 3.8) su un’anfora di bucchero sottile:

mini Spurie Utas muluvanice150

Essa si traduce:

Mi ha donato Utas Spurie

Il termine spur- è utilizzato anche per la formazione di altri nomi o gentilizi etruschi. L’iscrizione CIE 5429 da Tarquinia (necropoli dei Monterozzi), incisa su un cippo in nenfro con coronamento a capitello, recita:

mi ma(rchars) Mamarce(s) Spuriiazas151

Essa si traduce:

Io (sono) la st(ele) di Mamarce Spuriiaza

Spuriiaza è la forma diminutiva (o valutativa) realizzata con suffisso -za152

(Spurie > *Spurieza > *Spuriaza > Spuriiaza).Etimologicamente il nome Spurie appare ben radicato in ambiente

etrusco. Per esso si può parlare dell’integrazione di un nome da L1 a L2, mediante adattamento lessicale-semantico. Si tratta di un’integrazione che avviene nei casi in cui il suono del nome appare fortemente (anche se in modo accidentale) simile a quello di un appellativo. E proprio nel nostro caso notiamo che il latino Spurius corrisponde all’etrusco Spurie, anche se non è assolutamente possibile stabilire la direzione dell’imprestito (se di prestito si tratta). Entrambi i nomi sembrano avere agganci lessicali nelle rispettive lingue: in etrusco, spura è la civitas, mentre in latino spurius significa “non legittimo”; quindi, se il nome etrusco è stato imprestato in latino, può aver avuto proprio un aggancio lessicale nell’aggettivo spurius (o nome individuale Spurius)153.

Il suffisso etrusco -ie ha una valenza univoca di adattamento fonologico del nome ad un contesto culturale vicino, come quello latino-italico, e non di marca di gentilizio. I nomi in questione, quindi, non sono da considerare gentilizi di tipo italico, ma praenomina adattati al look latino-italico e rifunzionalizzati come gentilizi. Si tratta, in definitiva di un suffisso valutativo analogo a -za154.

Gentilizi uscenti in -ie-na (*Muriena, Spuriena) mostrano che l’adattamento al look latino-italico è avvenuto nel nome di base cui poi è stato aggiunto il suffisso nativo etrusco di gentilizio -na. Poiché i gentilizi in -

3. Morandi (Tarabella), M., “Prosopographia Etrusca I. Corpus. 1. Etruria Meridionale”; Roma 2004, p. 3234. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in

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na sono considerati autentici e molto antichi nella storia dell’onomastica etrusca, si deve supporre una fase di imprestito del nome in concomitanza con la formazione delle prime gentes o addirittura prima155.

Si deduce, quindi, una sorta di cronologia relativa della formazione di suffissi, secondo il seguente schema:

I fase (contatto) praenomina italici -ie (tipo Murie, Spurie)II fase (integrazione) gentilizi etruschi -ie-na (tipo *Muriena, Spuriena)156

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