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Separare Togliatti e il suo ruoloeminente nella rinascita della de-mocrazia italiana, dalla sua qua-lità di dirigente – uno dei massimi– del movimento comunista inter-nazionale è un errore storico ma-dornale prima che una insensatez-za politica. Ma è a questa separa-tezza che fa appello la rinnovataattenzione al proprio passato daparte del gruppo dirigente della si-nistra moderata italiana prove-niente dal Pci.

Intendiamoci: questa rinno-vata attenzione è un dato politicoin se stesso significativo. Il fattoche prima con Berlinguer e poi conTogliatti la dirigenza dei democra-tici di sinistra cerchi di ristabilireun filo di continuità con la propriastoria, indica un rilevante insuc-cesso. Si deve constatare, quindicianni dopo, che non ha avuto fortu-na il tentativo di oblio o di rinne-gamento totale del proprio passa-to. Fu usata, al momento del «su-peramento» o della dissoluzione

del Pci, la categoria della «discon-tinuità», in polemica con la tradi-zione dei comunisti italiani cheaveva usato per il processo del pro-prio cambiamento la formula del«rinnovamento nella continuità»,divenuta certamente rituale e co-munque insufficiente rispetto allemutazioni della realtà e della si-tuazione internazionale. La cate-goria della discontinuità voleva in-dicare una separazione, un distac-co, cioè, in sostanza, ciò che non sivoleva più essere.

Il distacco si trasformò pre-sto in ripudio. Il passato venivaconsiderato un bagaglio inutile,imbarazzante, e anzi dannoso. De-finendosi per negazione, il dimen-ticare o il deprecare diventava lasostanza stessa della operazionepolitica del «superamento» del Pci.Ma, come è ovvio, ciò che non sivuole essere non indica ancoraquel che si vuole diventare. Alladomanda dei dissenzienti o deidubbiosi – che chiedevano di sape-

re cosa dovesse essere la nuova for-mazione politica, che non rifiuta-vano per principio la discontinuitàma proponevano di «rifondare»una tradizione piuttosto che cas-sarla – fu contrapposta la idea diun processo costituente che avreb-be dovuto essere il crogiuolo di unanuova esperienza politica.

Furono costituiti appositi co-mitati costituenti, si cercarono in-terlocutori e compartecipi, madopo un anno, come si sa, al con-gresso costitutivo della nuova for-mazione (il Pds) c'era assai poco ol-tre ai vecchi militanti comunisti,una parte dei quali se ne andò.Verrà poi la soppressione della let-tera «P» (Partito) e rimarranno iDs. Più recentemente è venuto losforzo per un «Partito riformista»e, infine (almeno per ora), di una«Federazione riformista», che pro-mette, in prospettiva, quel Partitoriformista di cui non si parla piùcome di cosa attuale. La perma-nente incertezza sulla propria

TOGLIATTI E LA SINISTRA DI OGGI

Aldo Tortorella

Perché ci si ricorda oggi del ruolo «nazionale» e «democratico» di Palmiro Togliatti.

Quale rapporto vi è stato tra questo Togliatti e il suo essere comunista?Le due semplificazioni eguali e opposte di De Giovanni e Fassino.

La nazione non come entità contrapposta ad altre; la democrazia come effetto della lotta per l’emancipazione sociale.

Osservatorio

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identità, cui fa riscontro la fragi-lità delle politiche, ha rischiato diessere travolgente: e si sa bene chelo stesso risultato del «listone» perle europee, valutato pubblicamen-te come una vittoria, è stato inrealtà un esito assai modesto, piùvicino ad uno scacco che a un suc-cesso.

Proprio per evitare guai peg-giori si è riscoperto Berlinguer allavigilia delle elezioni, dopo averlosvillaneggiato fino al giorno pri-ma. E, alla vigilia di un congressoche ha come posta la federazioneriformista, per rassicurare gli in-certi e scoraggiare i critici si im-pugna ora l'eredità di Togliatti. Cisi ricorda, finalmente, che Togliat-ti è stato e rimane uno dei fonda-tori della Repubblica italiana e chea lui si deve in grande misura l'in-gresso nella democrazia e la for-mazione della capacità di reggi-mento della cosa pubblica di partidel popolo escluse o distanti dal Ri-sorgimento e dallo Stato liberale.Tutto vero, come è generalmentericonosciuto. Ed è verissimo cheegli volle un partito capace di mi-surarsi con i problemi della realtà,un partito in cui si entrava per l'a-desione a un programma e non auna ideologia, lontanissimo dalsettarismo o dalla mera predica-zione del sole dell'avvenire.

Due Togliatti?

Ma bisogna stabilire quale rappor-to vi sia tra questo Togliatti stati-sta democratico e nazionale e il suoessere comunista, segretario del

Pci in clandestinità e nel ritornoalla legalità, membro della segre-teria Internazionale comunistadurante il tempo di Stalin finchéessa esistette, autorevole amicodell'Unione Sovietica e del suogruppo dirigente1. Nella letturadella sinistra moderata provenien-te dal Pci2, qui ci fu un limite, unerrore o, peggio, una complicità, dacui Togliatti cercò di liberarsi, cosìcome è testimoniato alla fine delMemoriale di Yalta in cui egli am-monisce il gruppo dirigente sovie-tico (ne avrebbe dovuto discuterecon Krusciov) sul rapporto che, se-condo i comunisti italiani, dovreb-be esistere tra socialismo e demo-crazia: il socialismo come la piùalta forma di democrazia.

Ma questa netta separazionetra la giusta linea democratica inItalia e l'erronea accettazione delmodello sovietico, sia pure via viaattenuata, non regge. Neppure seè interpretata secondo la categoriadella doppiezza: Togliatti va giudi-cato – si dice – per la politica di cuiè egli responsabile in prima perso-na in Italia, la politica di unità na-zionale nella Resistenza, la Re-pubblica e la Costituente, la fe-deltà alla Costituzione democrati-ca. Il rapporto con l'Urss – in taleversione – è una sorta di prezzo, èuna contraddizione che Togliattivive per i vantaggi che può recareal suo partito il prestigio che l'Ursse lo stesso Stalin si sono conqui-stati durante la seconda guerramondiale, ma anche per la prote-zione della sua stessa azione poli-tica. Il legame con l'Urss, cioè, gliavrebbe garantito la possibilità di

svolgere la sua linea democraticain Italia al riparo da accuse di «de-strismo» come quelle presenti nel-le posizioni di Piero Secchia.

Anche in questa analisi cisono elementi di verità. Piero Sec-chia, commissario generale delleBrigate Garibaldi, vicesegretariocon Longo per il primo decenniopostbellico, potente capo dell'orga-nizzazione, non faceva eccessivomistero della sua opposizione a To-gliatti. Al colmo di questa lotta c'èil voto della Direzione del Pci nel1951 in cui solo Terracini si oppo-se al trasferimento di Togliatti aPraga, alla testa di una brutta co-pia dell'Internazionale comunista,sciolta nel 1943 e rinata in formaminore nel 1947, con l'inizio dellaguerra fredda, sotto la veste di unufficio d'informazione dei Partiticomunisti (Cominform). Ed erastato proprio alla costituzione delCominform che tutta la politica diTogliatti in Italia era stata sotto-posta alla più aspra critica, da si-nistra, innanzitutto dai rappre-sentanti della Lega dei comunistijugoslavi (il partito di Tito che pro-prio il Cominform scomunicheràdue anni dopo per le sue scelte noncollimanti con quelle sovietiche).Erano quelle accuse che Secchia ei compagni a lui più legati echeg-giarono in Italia. Ma quando si ar-riva al tentativo di allontanamen-to di Togliatti dall'Italia, sarà Sta-lin – alla fine – ad acconsentire alnetto rifiuto di Togliatti.

Stalin muore nel 1953, Sec-chia perde la vicesegreteria e l'or-ganizzazione nel 1954, nel 1956Krusciov denuncia i crimini del re-

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gime staliniano. Dal 1953 in poi latesi di una interessata doppiezzanon ha più solido fondamento. Ilprestigio dei dirigenti dell'Urss in-comincia a declinare. Il partito èsaldamente nelle mani di Togliat-ti. Ma egli accoglie assai critica-mente la scelta di Krusciov, anchese poi cercherà di impostare un ra-gionamento che vada oltre la de-nuncia del «culto della persona-lità» e tenti di affrontare le causedelle «degenerazioni» staliniane.Anche a questo passaggio cruciale,però, Togliatti non si pone l'inter-rogativo se le degenerazioni sianodel sistema piuttosto che nel siste-ma come egli invece ritiene. Quan-do in Ungheria, nell'autunno del'56, scoppia l'insurrezione antire-gime e l'Urss la soffoca con i carriarmati, egli sceglie, insieme allaDirezione e alla grande maggio-ranza del partito, di pagare unprezzo assai alto alla difesa del-l'intervento sovietico.

La motivazione di questa di-fesa poggiava sulle ragioni di equi-librio tra i blocchi nella guerrafredda; non evitava di levare criti-che al gruppo dirigente comunistaungherese, ma non affrontava lasostanza della questione che quel-la insurrezione poneva: ossia l'a-sfissia implicita nel modello.

Dunque, si svela qui un con-vincimento profondo, non più solouna ragione di convenienza tatti-ca: il convincimento di chi pensache difendendo l'Urss sta difen-dendo la rivoluzione sociale, l'av-venire pacifico della umanità e an-che il necessario «retroterra» per latrasformazione in Occidente nella

direzione del socialismo. Se non sivede il rapporto tra il modo con cuiTogliatti pensa alla funzione delrivoluzionario del tempo suo e lasua concreta attività come statistaitaliano o, peggio, se si spezza que-sto legame o lo si riduce a meradoppiezza con il proposito di difen-dere la memoria di Togliatti, inrealtà gli si fa un pessimo servizio.Per bene che si concluda ne verràfuori il ritratto di un politico reali-stico e astuto – se non subdolo –consapevole del valore tattico del-la «via democratica» e del riformi-smo per la propria nazione, ma –in sostanza – un socialdemocraticomancato. È la stessa interpreta-zione che si è data di Berlinguerquando, dopo vent’anni di oblio o dicontumelie, lo si è celebrato primadelle elezioni europee per la suapolitica unitaria e per il suo euro-peismo, cancellando – o mettendotra gli errori e le cose da dimenti-care – il suo essere comunista.

In tal modo, tutta la storia delPci viene presentata come una lun-ga preparazione alla fase attuale,all'attuale interpretazione delriformismo, all'Ulivo, anzi alla li-sta «Uniti per l'Ulivo», e alla fede-razione riformista. Se le cose stes-sero veramente così – e in sostanzacosì ritiene che stiano il segretariods – avrebbe pienamente ragioneBiagio De Giovanni il quale osser-va (sul Corriere della sera del 23agosto) che non si può considerarelo stalinismo e l'Ungheria «comedue "errori" incastonati in una vi-sione mirabile e compiuta della sto-ria nazionale»3. No, dice De Gio-vanni, «il secolo di ferro e di fuoco

non ammette questa divisione persezioni». Togliatti è uno sconfitto; èstata battuta la sua «visione stra-tegica», la sua «previsione storica»di una vittoria finale dell'Urss, la«lotta mortale» ingaggiata contro lesocialdemocrazie. Ed è dunque sta-ta disastrosa la collocazione datadal Pci, la incapacità di approdarealla socialdemocrazia e alla demo-crazia dell'alternanza con la conse-guenza culturale e ideale che ilriformismo non poté «impiantarsistabilmente nella costituzionementale» della sinistra.

Senonché in tale interpreta-zione si capovolge ma non si supe-ra la separazione «per sezioni» trail Togliatti democratico e il To-gliatti comunista. Se, secondo il se-gretario ds, Togliatti è un demo-cratico sincero, una sorta di preuli-vista, un po' inquinato dal suo co-munismo sovietizzante, nella visio-ne rovesciata (quella di De Giovan-ni, ma non solo sua) Togliatti è unpuro comunista sovietico, capaceincidentalmente di far qualcosa dibuono anche per l'Italia, morto e se-polto con la morte dell'Urss. Anchequesta è una caricatura e, a mio av-viso, per voler essere radicalmentedistruttiva, non affronta critica-mente Togliatti per intenderne ve-ramente la vicenda di pensiero o, sesi vuol dire così, il tormento inte-riore, posto che si possano usareespressioni di questo genere per unpolitico drammaticamente impe-gnato nei lunghi anni dell'esilio inuna lotta per sopravvivere (nel sen-so letterale della parola) e poi nel-la legalità in una difficile naviga-zione da nessun altro tentata.

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Differenze

Se Togliatti fosse stato una sortadi normale comunista sovietico lacui strategia si riassumeva nellasperanza della vittoria finale del-l'Urss, egli in nulla si sarebbe dif-ferenziato dai numerosi capi dipartiti comunisti rapidamentepassati nel dimenticatoio, anche sei loro partiti avevano avuto nellalotta antifascista un contegno eroi-co e nell'immediato dopoguerraavevano conosciuto un inizialesuccesso. Togliatti era considera-to, si considerava ed era, uno deicapi del movimento comunista in-ternazionale, con una propria li-nea, una propria concezione, unapropria filosofia. Egli era stato fragli autori della svolta per il «fron-te unico» al VII Congresso dell'In-ternazionale, che concludeva cosìla linea di «contrasto mortale» conla socialdemocrazia (e l'Italia co-noscerà una lunga stagione diunità tra comunisti e socialisti,mai interrotta nelle organizzazio-ni di massa): aveva saputo soprav-vivere, ma non aveva cessato dipensare. E nel dopoguerra conti-nuerà la sua azione per il corso po-litico che crede giusto per il movi-mento comunista internazionale.

In un famoso discorso (pro-nunciato a Bergamo all'inizio deglianni sessanta) Togliatti parlò del-l'incontro tra mondo comunista emondo cattolico: ammesso che sipotesse parlare di «mondo comuni-sta», quello era il tempo in cui neipaesi cosiddetti di «democrazia po-polare» era aperto un voluto con-trasto con la chiesa e con quella cat-

tolica in particolare. Morto Stalin eprima di Krusciov, è Togliatti cheingaggia una polemica aperta conil gruppo dirigente sovietico (eraMalenkov il capo allora) sulla na-tura della guerra in tempo atomi-co: guerra di distruzione del gene-re umano per Togliatti e non più,come aveva detto Malenkov, pro-dromo di nuove rivoluzioni. Il Me-moriale di Yalta era concepito perinfluire sul corso politico del Parti-to comunista sovietico, alla cui ideadi radunare una conferenza inter-nazionale di partiti comunisti (percriticare e condannare i comunisticinesi con cui l'Urss aveva apertoun conflitto che fu segnato ancheda qualche scontro armato) To-gliatti era avverso. Bastano questiesempi per illustrare un ruolo.

Solo Tito e poi Mao Tse Tungebbero la capacità nel dopoguerra,di perseguire altri disegni – giustio sbagliati che fossero – in contra-sto con l'Urss: ma lo fecero da col-locazioni di potere. Certo, Togliat-ti a sua volta poteva cercare di in-fluire sul movimento comunista, eanche sull'Urss, perché stava daquesta parte del mondo, pur consi-derandosi partecipe del movimen-to comunista internazionale. Maanche perché il suo partito era di-venuto il maggiore dell'Occidente:a dimostrazione della forza dellesue idee. Queste, certamente, era-no datate: egli era figlio della tra-gedia della prima guerra mondia-le e della rivoluzione d'Ottobre, te-stimone e partecipe della costru-zione del «socialismo in un Paesesolo». Ma questo non significa chela sua capacità di muoversi e di so-

pravvivere e di salvare il suo par-tito nella bufera dello stalinismo edelle grandi repressioni avesse si-gnificato una sua omologazione.Non c'è solo tattica quando, ritor-nato in patria, spiega ai suoi com-pagni l'idea di nazione e il signifi-cato della democrazia.

Ho cercato di mostrare suquesta rivista molto tempo fa (erail ventesimo anniversario dellamorte)4 come entrambe questeidee fossero vissute da Togliatti at-traverso il filtro delle idealità so-cialiste: la nazione non come entitàcontrapposta ad altre, ma comeparte di una visione internaziona-listica; la democrazia come effettodella lotta per l'emancipazione so-ciale, una lotta che reca con sé il bi-sogno di superare i limiti posti dal-le classi economicamente domi-nanti alla sua effettiva afferma-zione. È dentro questa cornice cheegli intende raccogliere e trasfor-mare la tradizione riformistica, dicui critica non già il metodo gra-dualistico, quanto la incapacità diun disegno riformatore entro cuiincastonare ciascuna singola rifor-ma particolare. Ed è, in effetti, sot-to il suo impulso (egli fu non solosegretario del Pci, ma presidentedel gruppo parlamentare) che laCostituzione repubblicana nascecome compromesso – o, meglio,come intesa – tra i principi liberal-democratici, il solidarismo cristia-no, le idee socialistiche di egua-glianza, di partecipazione demo-cratica, di primato del pubblico, digiustizia sociale. (Idee, detto perinciso, che oggi si vogliono annul-lare e distruggere).

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È assurdo dipingere un To-gliatti che, in quanto comunistadella Terza Internazionale del pe-riodo staliniano, fa conto sulla vit-toria finale dell'Urss. Tutta la suavicenda, fino all'ultimo, testimoniaesattamente il contrario: egli èpiuttosto dominato dal timore del-la sconfitta di quello Stato che perlui e per tutta la sua generazione –ben oltre i confini del movimentocomunista – rappresentava il pri-mo tentativo di un «ordine nuovo».Gli Stati Uniti uscivano enorme-mente più forti dalla seconda guer-ra mondiale, economicamente emilitarmente. Il possesso dell'ato-mica li rendeva, così pareva allora,quasi onnipotenti. E Churchill, conil discorso di Fulton del 1946, ave-va aperto il confronto frontale conl'Unione Sovietica, rompendo l'u-nità antifascista. Questo confrontosi trasformò poi in «guerra fredda»,ma fu vissuto per lunghi anni comepericolo di una guerra vera e pro-pria da cui indubbiamente l'Ursssarebbe uscita battuta.

Togliatti vuol salvare l'Urssma non imitarla. Egli respinge findal primo momento il «fare comein Russia» che infiammava i di-scorsi di molti comunisti uscitidopo vent'anni alla luce del sole. Illinguaggio medesimo di Togliatti edel suo partito esclude non solo leparole «rivoluzione» e «rivoluzio-nario», ma ogni concetto che po-tesse alludere a quella che si chia-mava allora l'ora x e tutto ciò chepotesse anche lontanamente apri-re la strada a posizioni non dicobarricadiere, ma anche vagamen-te massimalistiche. È la tendenza

rappresentata da Secchia e da unaparte dei quadri del settentrione alui legati che testimonia la mag-giore fedeltà all'Urss. Può sem-brare un paradosso perché Sec-chia non aveva conosciuto l'Urssse non attraverso la galera fasci-sta in cui era stato chiuso per do-dici anni. Ma è un paradosso soloapparente, perché Togliatti, pro-prio perché ha partecipato a quel-le terribili tragedie, vuole stareben saldo sul terreno della demo-crazia: e nel contrastare con ognienergia qualsiasi possibile tenta-zione di seguire l'esempio greco(dove i comunisti dopo la fine delconflitto mondiale erano passatialla guerra civile) spiega che la li-nea greca non andava seguita nonperché non vi fossero le condizioniinternazionali, ma perché essa eraintrinsecamente erronea, perchéla scelta democratica è quella giu-sta. Pensa e dice che, essendosicreato un «campo socialista» inuna gran parte del mondo poco svi-luppato, il problema è del sociali-smo nel mondo dello sviluppo, del-l'Occidente, e la democrazia ne è lacondizione

Valori universali

La riflessione su Togliatti, dun-que, dovrebbe rifuggire dall'una edall'altra semplificazione: lo stati-sta italiano con un passato di sta-linismo, oppure – all'opposto – lostalinista tatticamente democrati-co. Sono riduzioni propagandisti-che e strumentali. A me sembrache il problema sia del tutto diver-

so e, se si vuole, più di fondo, benoltre queste caricature e ben oltrela «doppiezza». La cultura seria-mente storicistica di Togliatti lo faconvinto che non si può stabilireun tratto di identità tra paesi il cuisviluppo storico è stato radical-mente diverso. La Russia, comescriverà a più riprese, ha una vi-cenda del tutto dissimile da quelladell'Europa occidentale: laggiù lademocrazia non c'era mai stata, es-sendo lo zarismo una forma di au-tocrazia in una condizione econo-mica e sociale assai arretrata. Laservitù della gleba, praticamentesuperata nell'Europa occidentaletra il 1200 e il 1300, dura in Rus-sia fino al 1861: ma, soppressa le-galmente, ne permangono gli esitie il costume. E la rivoluzione d'Ot-tobre giunge in un paese contadi-no di quel genere.

Al convincimento che in Rus-sia si fosse comunque impiantatoun meccanismo socialista – datoche il socialismo coincideva, nelleidee di allora, con la proprietà pub-blica originariamente pensatacome sociale e poi effettivamentedivenuta statale – corrispondevadunque una analisi storica cheportava alla giustificazione di unsistema come quello sovietico. Ma,dunque, non c'entra nulla la «vi-sione strategica» della vittoria fi-nale dell'Urss, la visione strategi-ca di Togliatti è piuttosto quella diun socialismo da costruire. Sebbe-ne la espressione «terza via» nonsia del tempo di Togliatti (egli par-lerà, dopo il 1956, di «policentri-smo»), ciò che egli tenta è, inrealtà, una strada che non ha nien-

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te a che fare con quella sovietica,neppure in materia di struttureeconomiche (egli si opporrà all'ideadi «nazionalizzazione» della Fiat e,in genere, di una estensione senzalimiti della proprietà statale: ilmassimo cui si spingerà il Pci – mal'espressione un po' ingenua era diScoccimarro e fu presto abbando-nata – sarà il «controllo democra-tico dei monopoli»). Prima del «so-cialismo in un paese solo», la gran-de speranza era stata nella rivolu-zione in Occidente. Togliatti ne havisto il fallimento e Gramsci avevadescritto i motivi di fondo di quel-lo scacco. L'idea non solo di To-gliatti fu, certo, che si dovesse sal-vare il «paese della prima rivolu-zione socialista» in modo che essopotesse evolversi, ma anche che ilrapporto e il contatto con forzeamiche e solidali dell'Occidente,necessario all'Urss per innovare sestessa, avrebbe aiutato il mondo aevitare un conflitto orribile e amantenere aperta la strada deldialogo.

Ciò che non andava in questavisione era quel limite che una po-sizione di tipo storicistico può ave-re: e cioè, appunto, l'idea dellarealtà data come conseguenza ne-cessaria e dunque fatale. È ciò che,appunto, fa slittare la comprensio-ne del reale sino alla rinuncia aduna cultura critica della realtà efino alla giustificazione dei fatticompiuti. È su questa strada che siè giunti anche a quelle forme di re-lativismo etico che finirono con ilcontraddire il pensiero e l'eticitàdonde origina quella posizione che

si definisce «socialista» o «comuni-sta». Le vittorie di Stalin nell'Urssnon testimoniavano che la stradada lui perseguita fosse l'unica pos-sibile per la Russia, ma solo cheegli aveva trovato la forma più ef-ficace per il mantenimento del po-tere: ma era la sostanza e la formadi questo potere che andava giudi-cata.

Va tuttavia aggiunto che ilrestringere l'esperienza sovieticaalla realtà storica di un paeseprofondamente arretrato (econo-micamente, socialmente e politica-mente) serviva a giustificare ciòche non andava giustificato, maanche a non renderlo universale.Sorgerà così la idea delle «vie na-zionali» al socialismo. Ma qui fu lafonte di un equivoco pesante: le vienazionali riguardavano il metodo oil contenuto? Dovemmo attendereil XVIII Congresso del Pci (alla vi-gilia del suo scioglimento) per scri-vere nelle tesi che «la democrazianon era la via al socialismo per ta-luni paesi, ma del socialismo»,echeggiando ciò che Berlingueraveva affermato sul «valore uni-versale della democrazia».

Perché fu qui la vera svoltaanche teorica: ci sono o no – siapure nella condizione storica data– «valori universali»? Natural-mente, se la risposta è positiva leconseguenze non sono affatto mec-caniche e la ricerca di un camminodi trasformazione non si chiudema si apre. Se io penso che non pos-sa esistere socialismo senza demo-crazia e senza libertà (come ancheTogliatti nel memoriale di Yalta

dice a conclusione della sua elabo-razione ideale e della sua vita stes-sa) ciascuna delle posizioni che as-sumerò debbono recare questa im-pronta. Non solo perché non potròdefinire il socialismo come qualco-sa in cui non vi siano né democra-zia né libertà, ma perché dovròspiegare che cosa c'è di «socialista»nella mia concezione e nella miapratica della democrazia e della li-bertà. Se la prima contraddizione(accettare come socialista un siste-ma senza democrazia) è quella cheha vissuto il Pci con gli esiti che siconoscono, la seconda (dichiararsisocialisti senza atti che lo provino)è quella che vivono i partiti socia-listi europei come quello tedesco einglese, o, qui in Italia, la sinistramoderata: con le brutte sconfitteche si sono viste. E la sinistra al-ternativa non sta certamente me-glio, pur con le differenze che deb-bono essere fatte.

Dar conto del modello di so-cietà trasformata che si ha in men-te e dimostrare con i propri atti dilavorare per raggiungere lo scopoche si dichiara: questo è il proble-ma per chi si definisce «comuni-sta», «socialista», ma anche solo «disinistra», quando ci si voglia porreoltre il terreno della testimonian-za, ma anche quando alla pura te-stimonianza si desideri rimanere.Mi appare assai futile gettare sul-le spalle di altri problemi che sonotutti aperti davanti a noi. La ge-nerazione di Togliatti (e anchequella della Resistenza) ha com-piuto un enorme tratto di strada,qui in Italia, restaurando la demo-

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crazia, determinando un terrenocostituzionale avanzato, portandoa conquiste sociali e di libertà no-tevoli. Certo, quelle generazionihanno anche mostrato di non sa-pere superare la contraddizionetra il desiderare e il pensare unanuova società e il tradurlo nellapratica politica quotidiana. Ma,ove non si voglia puramente e sem-plicemente dichiarare che non c'èaltro modo possibile di concepire lasocietà e la convivenza umana da

quello che conosciamo nel capitali-smo maturo, se si voglia mantene-re aperto un pensiero di trasfor-mazione, occorre sapere che quel-la contraddizione insuperata è da-vanti a noi. E smetterla di incol-pare gli altri, che, magari, furonotanto osannati da vivi.

Note

1) A prova di questa amicizia e autore-volezza nelle conclusioni di un convegno su

Berlinguer, poi pubblicato su questa rivi-sta, ho detto che essendo egli vivente fudato a una città sovietica il suo nome (To-gliattigrad, già Stavropol). In realtà ciò av-venne non appena Togliatti scomparve nel1964. La memoria nella circostanza mi hatradito e me ne sono accorto troppo tardiper correggermi in bozza. Me ne scuso oracon i lettori.

2) Cfr. P. Fassino, «Togliatti un padredella Repubblica e fondatore di una sinistranuova», intervista di P. Franchi, in Corrie-re della sera, 21 agosto 2004..

3) Biagio De Giovanni, Ma Togliatti fusconfitto, in Corriere della sera, 23 agosto2004

4) Cfr. A. Tortorella, Nazione, demo-crazia, idealità socialiste, in Critica marxi-sta, 1984, n. 4-5.