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«Il nostro comunicare può curare o ferire» L o slogan è il program- ma: «Together it is pos- sibile», insieme è possi- bile. L’edizione 2012 della Giornata mondiale contro il cancro, che si celebra come ogni anno il 4 febbraio, va drit- ta al punto: soltanto se ciascu- no fa la sua parte - ogni singo- lo individuo, organizzazione e Governo - si può centrare l’obiettivo di ridurre entro il 2025 del 25% i decessi prema- turi legati alle malattie non tra- smissibili. Un gruppo di pato- logie in cui i tumori sono forse ancora i nemici più insidiosi: nel 2008 hanno ucciso 7,6 mi- lioni di persone, che nel 2030 potrebbero diventare 12 milio- ni. Ma fermare questo trend è possibile: si stima che un terzo dei decessi potrebbe essere evi- tato spingendo sul tasto della prevenzione, della diagnosi precoce e dell’accesso rapido ai trattamenti esistenti. Non reggono più neanche i vecchi alibi: ormai le azioni da mettere in campo per raggiun- gere il target sono note. Le Nazioni Unite, durante la Riu- nione di alto livello dedicata alle “non communicable disea- ses” nell’ambito della 66esima assemblea dello scorso settem- bre, hanno stilato i 57 punti sui quali i Governi devono fare quadrato per combattere una piaga, quella delle malattie non trasmissibili, che falcia ogni anno 36 milioni di vite, pari al 63% dei decessi nel mondo. Chiarendo che la pre- venzione deve essere l’attività cardine e la multisettorialità l’approccio principe per lancia- re l’assedio ai fattori di ri- schio, dal fumo all’obesità. A specificare le strategie contro il cancro in particolare ci aveva pensato già nel 2008 la World Cancer Declaration promossa dall’Unione interna- zionale contro il cancro (Uicc), presieduta dal medico argentino Eduardo Cazap,e arrivata a oltre 500mila sotto- scrizioni. Una tabella di mar- cia in 11 punti per cambiare tattica entro il 2020. A ribadir- ne la validità si è aggiunta lo scorso novembre la Risoluzio- ne di Dublino, adottata dal World Cancer Leaders’ Sum- mit promosso sempre dal- l’Uicc. Il documento - frutto del confronto tra 240 rappresentan- ti di altrettanti Governi, Orga- nizzazione mondiale della Sa- nità e World Economic Forum - fa tesoro delle indicazioni Onu e illustra le azioni misura- bili per ridurre il carico sociale ed economico dei tumori per le generazioni future. Solleci- tando un lavoro in partnership per assistere i Governi strategi- camente e tecnicamente. La ricetta proposta è in so- stanza sempre la stessa: avvia- re o rafforzare le politiche e la programmazione in campo on- cologico, ridurre l’esposizione individuale ai fattori di rischio, potenziare l’accesso ai servizi di prevenzione, diagnosi, cura, palliazione e riabilitazione co- sì come quello ai farmaci, alla diagnostica e alla radioterapia. I partecipanti al summit si sono anche dati compiti preci- si: sviluppare un set di indica- tori nel 2012 da poter applica- re nei vari Paesi per raggiunge- re gli 11 obiettivi della Dichia- razione entro il 2020; promuo- vere l’inclusione dei target le- gati al cancro nei futuri Obietti- vi del Milllennio; promuovere politiche e approcci che faciliti- no l’azione multisettoriale; fa- vorire il reperimento delle ri- sorse per sostenere gli obietti- vi. Anche perché non interveni- re è un falso risparmio: i costi economici legati ai tumori so- no stati stimati nel 2010 in 290 miliardi di dollari, 154 miliar- di dei quali soltanto per gli aspetti medici. Entro il 2030 si Tumori, la battaglia è corale «Together it is possibile»: il 4 febbraio si celebra la Giornata mondiale contro il cancro DUE ONCOLOGI SI INTERROGANO SUL POTERE DELLE PAROLE Promuovere, redigere o sostenere e potenziare politiche e piani nazionali multisettoriali, inclusi piani oncologici per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili Potenziare i sistemi informativi per la programmazione e la gestione sanitaria e lo sviluppo di registri tumori nazionali e di indagini Ridurre l’esposizione degli individui ai fattori di rischio per il cancro attraverso lo sviluppo di accordi internazionali, nonché misure legislati- ve, regolatorie e fiscali. In particolare, per accelerare l’implementazio- ne della Convenzione sul tabacco (Fctc), riconoscendo l’intera gamma di misure, incluse quelle per ridurne il consumo e la disponibilità Promuovere l’aumento dell’accesso alle vaccinazioni costo-efficaci per prevenire infezioni associate al cancro come parte dei programmi nazionali di immunizzazione Promuovere l’aumento dell’accesso ai programmi di screening Promuovere l’inclusione del controllo e delle malattie non trasmissibili nei programmi sulle infez. sessuali, sulla salute sessuale e riprod. e sulla salute materno-infantile, specialmente al livello delle cure primarie Rafforzare l’accesso ai servizi per la prevenzione, la cura, la palliazione e la riabilitazione in particolare al livello di comunità Potenziare l’accesso a farmaci, diagnostica e altre tecnologie (come la radioterapia) sicuri ed efficaci Costruire a livello nazionale e regionale la disponibilità di una forza lavoro qualificata per servizi ottimali Promuovere l’educazione sanitaria particolarmente nei Paesi e nelle regioni in cui la mancanza di consapevolezza pubblica è una barriera a prevenzione, diagnosi precoce e trattamento ottimale Il decalogo di Dublino Uomini Donne Totale Numero di nuovi casi (migliaia) 6.617,8 6.044,7 12.662,6 Tasso standardizzato per età 202,8 164,4 180,8 Rischio di ammalarsi prima dei 75 anni (%) 21,1% 16,5% 18,6% Fonte: Globocan 2008 Uomini Donne Totale Decessi per cancro (migliaia) 4.219,6 3.345,2 7.564,8 Tasso standardizzato per età 127,9 87,2 105,6 Rischio di morire di cancro prima dei 75 anni (%) 13,4% 9,1% 11,1% Fonte: Globocan 2008 Dai singoli ai Governi: senza impegni a tutti i livelli gli sforzi sono vani I nuovi casi nel mondo La mortalità nel mondo I cinque tumori più frequenti L’ idea del libro «Il nostro comunica- re» nasce dalla volontà di comuni- care il nostro vivere col malato e di spiega- re l’utilizzo delle parole nel lavoro di tutti i giorni, per fornire agli operatori spunti utili a migliorare il rapporto con i pazienti. Ec- co perché abbiamo citato nell’introduzione Mimnermo, poeta greco del VI secolo a.C., che diceva: «La parola è medicina alle malattie degli uomini». Capita che non si rifletta a sufficienza sul fatto che una frase mal posta possa mettere in crisi un malato. Un conto è dire: «Vedremo cosa si può fare», altro è dire «faremo tutto il possibile», che esprime determinazione e minore incertezza. Le pa- role hanno un’energia che va oltre il suono che emettono e possono essere un’arma a doppio taglio: col linguaggio possiamo cu- rare, ma possiamo anche ferire, se non vengono calate all’interno di una storia e del vivere di un malato. La parola ha pote- re sul paziente, e dobbiamo assumerci la responsabilità dell’effetto che produce. Il linguaggio va adattato alle differenti situa- zioni cliniche e le parole non possono esse- re sempre le stesse. Un paziente è diverso da un altro e non si può parlare in un ambulatorio come si parlerebbe al bar. A seconda di come costruiamo le frasi, cam- bia lo stato d’animo della persona e mai come nel dolore l’uomo si accorge della falsità delle parole, di conforto e di consola- zione, dette in un modo privo di autentica partecipazione. C’è una meraviglia della parola e di come noi la poniamo. Il nostro libro non è solo per i colleghi, ma è anche rivolto ai malati, perché rifletta- no su quanta importanza ha il loro modo di rapportarsi col proprio medico di fiducia, quando si segua un percorso di cure e che travaglio egli viva in ogni comunicazione al paziente. Leggiamo spesso nelle lettere ai giornali quanto i pazienti siano insoddi- sfatti del tempo concesso dai medici per comprendere il loro futuro. I pazienti la- mentano anche quanto i clinici usino un linguaggio troppo aulico e quanto spesso appaiano poco disponibili. È indubbio che i ritmi di lavoro dei nostri ospedali non facilitino i rapporti tra medici e malati, ma questo alle volte è l’alibi per giustificare un disimpegno a fronte di un problema che potrebbe essere superato con la buona volontà individuale e tanto senso di responsabilità. È vero, negli ambulatori gli operatori sono strangolati dalla routine, dai carichi di lavoro, dai budget, dai direttori generali, dagli obiettivi e dalle regole regionali, ma usare bene le parole e dare il tempo giusto al colloquio con il malato deve essere con- siderato un momento integrante della tera- pia. Gli interlocutori sono persone in diffi- coltà, hanno paura di tutto e vivono in una condizione psicologica di inferiorità. Non c’è distinzione tra casi gravi o esami bana- li. Il timore che la salute possa vacillare fa paura sempre. Se le malattie sono gravi, questo è ancora più forte. I pazienti pendo- no dalle parole del medico, che ha in que- sto suo dire un’enorme responsabilità pro- fessionale. Il “sistema” stabilisce, per definire quan- ti medici o infermieri assumere negli ospe- dali, che a ogni tipologia di malato debba essere riservato un certo numero di minuti di assistenza: da qui consegue il calcolo aritmetico di quanti sanitari ci vogliono. Questo tempo si esaurisce totalmente nel gesto tecnico (visite, esami, assistenza, atti- vità alberghiera e così via) e poco o niente resta al parlare, elemento indispensabile per una cura globale del malato. Noi credia- mo che il pacchetto assistenziale debba essere implementato, mettendoci anche il fattore tempo dedicato alla comunicazione. Ecco perché il personale stabilito dall’arit- metica non basta mai e perché parte del tempo per esercitare una buona medicina deve essere rubato ad altro. Ci piacerebbe che il libro fosse uno stimolo per cambiare le cose e trovasse un suo spazio di utilizzo e di conforto, per medici e pazienti accomunati, ciascuno con le proprie difficoltà, nel percorso della malattia. Per concludere ci piace riportare il discorso che Vincenzo Monti, nel 1803 rivolgeva al medico sull’importanza del- l’eloquenza: «Ma tu che intraprendi la dife- sa dell’uomo, non già contra all’uomo, ma contra le malattie, tu che t’accosti ad un letto circondato di infermità che crudelmen- te si disputano una vittima sventurata, tu, hai tu forse bisogno dell’arte, della parola dopo aver imparata quella di Ippocrate? Osservate un infermo in pericolo della vita, egli è triste, egli è malinconico, egli è senza coraggio. Il silenzio della notte è un peso terribile sopra il suo cuore. Il misero conta le ore, conta i momenti, al primo tocco dei bronzi che annunciano l’arrivo del giorno il cuore gli balza, manda in cerca del medico, a ogni aprirsi di porta spalanca gli occhi nella speranza di alfin vederlo e non vedendolo si lamenta di essere abbandonato. Ma ecco il medico finalmente, la sua presenza è quella di un angelo consolatore, un raggio di sole sopra un fiore battuto dalla tempesta. Fissa il misero gli occhi incavati sopra di lui, i suoi tormenti si sospendono un attimo per ascoltarlo, né una sillaba, né un gesto, né uno sguardo è perduto e la prudenza del medico, avanti di attendere all’infermità del corpo, è costret- ta di curare quella dello spirito che agisce sull’altra potentemente. La parola del medi- co scende dolcissima nel cuore dell’amma- lato come pioggia benefica sopra un arso terreno. Ella ne ravviva il coraggio, ne rasserena lo spirito, è dissipata la melanco- nia. Il cuore batte più lieto, il sangue circo- la spedito e una più pronta irrigazione di umori gli ridesta le forze che debbono com- battere la malattia. Dalle quali considerazio- ni emerge verissimo che le malattie si am- mansano prima con le parole». Alberto Scanni Alessandro Bertolini Oncologi Autori del libro «Il nostro comunicare» (Sidera Edizioni, Palazzolo sull’Oglio, Brescia, 2011) © RIPRODUZIONE RISERVATA Uomini Donne Tutti Polmone Mammella Polmone Prostata Colon retto Mammella Colon retto Cervice uterina Colon retto Stomaco Polmone Stomaco Fegato Stomaco Prostata Fonte: Globocan 2008 14 31 gen.-6 feb. 2012 S PECIALE

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«Il nostro comunicare può curare o ferire»

L o slogan è il program-ma: «Together it is pos-sibile», insieme è possi-

bile. L’edizione 2012 dellaGiornata mondiale contro ilcancro, che si celebra comeogni anno il 4 febbraio, va drit-ta al punto: soltanto se ciascu-no fa la sua parte - ogni singo-lo individuo, organizzazione eGoverno - si può centrarel’obiettivo di ridurre entro il2025 del 25% i decessi prema-turi legati alle malattie non tra-smissibili. Un gruppo di pato-logie in cui i tumori sono forseancora i nemici più insidiosi:nel 2008 hanno ucciso 7,6 mi-lioni di persone, che nel 2030potrebbero diventare 12 milio-ni. Ma fermare questo trend èpossibile: si stima che un terzodei decessi potrebbe essere evi-tato spingendo sul tasto dellaprevenzione, della diagnosiprecoce e dell’accesso rapidoai trattamenti esistenti.

Non reggono più neanche ivecchi alibi: ormai le azioni damettere in campo per raggiun-gere il target sono note. LeNazioni Unite, durante la Riu-nione di alto livello dedicataalle “non communicable disea-ses” nell’ambito della 66esimaassemblea dello scorso settem-bre, hanno stilato i 57 punti suiquali i Governi devono fare

quadrato per combattere unapiaga, quella delle malattienon trasmissibili, che falciaogni anno 36 milioni di vite,pari al 63% dei decessi nelmondo. Chiarendo che la pre-venzione deve essere l’attivitàcardine e la multisettorialitàl’approccio principe per lancia-

re l’assedio ai fattori di ri-schio, dal fumo all’obesità.

A specificare le strategiecontro il cancro in particolareci aveva pensato già nel 2008la World Cancer Declarationpromossa dall’Unione interna-zionale contro il cancro(Uicc), presieduta dal medico

argentino Eduardo Cazap, earrivata a oltre 500mila sotto-scrizioni. Una tabella di mar-cia in 11 punti per cambiaretattica entro il 2020. A ribadir-ne la validità si è aggiunta loscorso novembre la Risoluzio-ne di Dublino, adottata dalWorld Cancer Leaders’ Sum-

mit promosso sempre dal-l’Uicc.

Il documento - frutto delconfronto tra 240 rappresentan-ti di altrettanti Governi, Orga-nizzazione mondiale della Sa-nità e World Economic Forum- fa tesoro delle indicazioniOnu e illustra le azioni misura-

bili per ridurre il carico socialeed economico dei tumori perle generazioni future. Solleci-tando un lavoro in partnershipper assistere i Governi strategi-camente e tecnicamente.

La ricetta proposta è in so-stanza sempre la stessa: avvia-re o rafforzare le politiche e laprogrammazione in campo on-cologico, ridurre l’esposizioneindividuale ai fattori di rischio,potenziare l’accesso ai servizidi prevenzione, diagnosi, cura,palliazione e riabilitazione co-sì come quello ai farmaci, alladiagnostica e alla radioterapia.

I partecipanti al summit sisono anche dati compiti preci-si: sviluppare un set di indica-tori nel 2012 da poter applica-re nei vari Paesi per raggiunge-re gli 11 obiettivi della Dichia-razione entro il 2020; promuo-vere l’inclusione dei target le-gati al cancro nei futuri Obietti-vi del Milllennio; promuoverepolitiche e approcci che faciliti-no l’azione multisettoriale; fa-vorire il reperimento delle ri-sorse per sostenere gli obietti-vi. Anche perché non interveni-re è un falso risparmio: i costieconomici legati ai tumori so-no stati stimati nel 2010 in 290miliardi di dollari, 154 miliar-di dei quali soltanto per gliaspetti medici. Entro il 2030 si

Tumori, la battaglia è corale«Together it is possibile»: il 4 febbraio si celebra la Giornata mondiale contro il cancro

DUE ONCOLOGI SI INTERROGANO SUL POTERE DELLE PAROLE

● Promuovere, redigere o sostenere e potenziare politiche e pianinazionali multisettoriali, inclusi piani oncologici per la prevenzione e ilcontrollo delle malattie non trasmissibili

● Potenziare i sistemi informativi per la programmazione e la gestionesanitaria e lo sviluppo di registri tumori nazionali e di indagini

● Ridurre l’esposizione degli individui ai fattori di rischio per il cancroattraverso lo sviluppo di accordi internazionali, nonché misure legislati-ve, regolatorie e fiscali. In particolare, per accelerare l’implementazio-ne della Convenzione sul tabacco (Fctc), riconoscendo l’intera gammadi misure, incluse quelle per ridurne il consumo e la disponibilità

● Promuovere l’aumento dell’accesso alle vaccinazioni costo-efficaciper prevenire infezioni associate al cancro come parte dei programminazionali di immunizzazione

● Promuovere l’aumento dell’accesso ai programmi di screening● Promuovere l’inclusione del controllo e delle malattie non trasmissibili

nei programmi sulle infez. sessuali, sulla salute sessuale e riprod. e sullasalute materno-infantile, specialmente al livello delle cure primarie

● Rafforzare l’accesso ai servizi per la prevenzione, la cura, la palliazionee la riabilitazione in particolare al livello di comunità

● Potenziare l’accesso a farmaci, diagnostica e altre tecnologie (come laradioterapia) sicuri ed efficaci

● Costruire a livello nazionale e regionale la disponibilità di una forzalavoro qualificata per servizi ottimali

● Promuovere l’educazione sanitaria particolarmente nei Paesi e nelleregioni in cui la mancanza di consapevolezza pubblica è una barriera aprevenzione, diagnosi precoce e trattamento ottimale

Il decalogo di Dublino

Uomini Donne Totale

Numero di nuovicasi (migliaia) 6.617,8 6.044,7 12.662,6

Tasso standardizzatoper età 202,8 164,4 180,8

Rischio di ammalarsiprima dei 75 anni (%) 21,1% 16,5% 18,6%

Fonte: Globocan 2008

Uomini Donne TotaleDecessi per cancro(migliaia) 4.219,6 3.345,2 7.564,8

Tasso standardizzatoper età 127,9 87,2 105,6

Rischio di moriredi cancro primadei 75 anni (%)

13,4% 9,1% 11,1%

Fonte: Globocan 2008

Dai singoli ai Governi: senza impegni a tutti i livelli gli sforzi sono vani

I nuovi casi nel mondo La mortalità nel mondo I cinque tumori più frequenti

L’ idea del libro «Il nostro comunica-re» nasce dalla volontà di comuni-

care il nostro vivere col malato e di spiega-re l’utilizzo delle parole nel lavoro di tutti igiorni, per fornire agli operatori spunti utilia migliorare il rapporto con i pazienti. Ec-co perché abbiamo citato nell’introduzioneMimnermo, poeta greco del VI secoloa.C., che diceva: «La parola è medicinaalle malattie degli uomini».

Capita che non si rifletta a sufficienzasul fatto che una frase mal posta possamettere in crisi un malato. Un conto è dire:«Vedremo cosa si può fare», altro è dire«faremo tutto il possibile», che esprimedeterminazione e minore incertezza. Le pa-role hanno un’energia che va oltre il suonoche emettono e possono essere un’arma adoppio taglio: col linguaggio possiamo cu-rare, ma possiamo anche ferire, se nonvengono calate all’interno di una storia edel vivere di un malato. La parola ha pote-re sul paziente, e dobbiamo assumerci laresponsabilità dell’effetto che produce. Illinguaggio va adattato alle differenti situa-zioni cliniche e le parole non possono esse-re sempre le stesse. Un paziente è diversoda un altro e non si può parlare in unambulatorio come si parlerebbe al bar. Aseconda di come costruiamo le frasi, cam-bia lo stato d’animo della persona e mai

come nel dolore l’uomo si accorge dellafalsità delle parole, di conforto e di consola-zione, dette in un modo privo di autenticapartecipazione. C’è una meraviglia dellaparola e di come noi la poniamo.

Il nostro libro non è solo per i colleghi,ma è anche rivolto ai malati, perché rifletta-no su quanta importanza ha il loro modo dirapportarsi col proprio medico di fiducia,quando si segua un percorso di cure e chetravaglio egli viva in ogni comunicazioneal paziente. Leggiamo spesso nelle lettereai giornali quanto i pazienti siano insoddi-sfatti del tempo concesso dai medici percomprendere il loro futuro. I pazienti la-mentano anche quanto i clinici usino unlinguaggio troppo aulico e quanto spessoappaiano poco disponibili.

È indubbio che i ritmi di lavoro deinostri ospedali non facilitino i rapporti tramedici e malati, ma questo alle volte èl’alibi per giustificare un disimpegno afronte di un problema che potrebbe esseresuperato con la buona volontà individualee tanto senso di responsabilità.

È vero, negli ambulatori gli operatorisono strangolati dalla routine, dai carichi dilavoro, dai budget, dai direttori generali,

dagli obiettivi e dalle regole regionali, mausare bene le parole e dare il tempo giustoal colloquio con il malato deve essere con-siderato un momento integrante della tera-pia. Gli interlocutori sono persone in diffi-coltà, hanno paura di tutto e vivono in unacondizione psicologica di inferiorità. Nonc’è distinzione tra casi gravi o esami bana-li. Il timore che la salute possa vacillare fapaura sempre. Se le malattie sono gravi,questo è ancora più forte. I pazienti pendo-no dalle parole del medico, che ha in que-sto suo dire un’enorme responsabilità pro-fessionale.

Il “sistema” stabilisce, per definire quan-ti medici o infermieri assumere negli ospe-dali, che a ogni tipologia di malato debbaessere riservato un certo numero di minutidi assistenza: da qui consegue il calcoloaritmetico di quanti sanitari ci vogliono.Questo tempo si esaurisce totalmente nelgesto tecnico (visite, esami, assistenza, atti-vità alberghiera e così via) e poco o nienteresta al parlare, elemento indispensabileper una cura globale del malato. Noi credia-mo che il pacchetto assistenziale debbaessere implementato, mettendoci anche ilfattore tempo dedicato alla comunicazione.

Ecco perché il personale stabilito dall’arit-metica non basta mai e perché parte deltempo per esercitare una buona medicinadeve essere rubato ad altro.

Ci piacerebbe che il libro fosse unostimolo per cambiare le cose e trovasse unsuo spazio di utilizzo e di conforto, permedici e pazienti accomunati, ciascunocon le proprie difficoltà, nel percorso dellamalattia. Per concludere ci piace riportareil discorso che Vincenzo Monti, nel 1803rivolgeva al medico sull’importanza del-l’eloquenza: «Ma tu che intraprendi la dife-sa dell’uomo, non già contra all’uomo, macontra le malattie, tu che t’accosti ad unletto circondato di infermità che crudelmen-te si disputano una vittima sventurata, tu,hai tu forse bisogno dell’arte, della paroladopo aver imparata quella di Ippocrate?Osservate un infermo in pericolo della vita,egli è triste, egli è malinconico, egli èsenza coraggio. Il silenzio della notte è unpeso terribile sopra il suo cuore. Il miseroconta le ore, conta i momenti, al primotocco dei bronzi che annunciano l’arrivodel giorno il cuore gli balza, manda incerca del medico, a ogni aprirsi di portaspalanca gli occhi nella speranza di alfin

vederlo e non vedendolo si lamenta diessere abbandonato.

Ma ecco il medico finalmente, la suapresenza è quella di un angelo consolatore,un raggio di sole sopra un fiore battutodalla tempesta. Fissa il misero gli occhiincavati sopra di lui, i suoi tormenti sisospendono un attimo per ascoltarlo, néuna sillaba, né un gesto, né uno sguardo èperduto e la prudenza del medico, avanti diattendere all’infermità del corpo, è costret-ta di curare quella dello spirito che agiscesull’altra potentemente. La parola del medi-co scende dolcissima nel cuore dell’amma-lato come pioggia benefica sopra un arsoterreno. Ella ne ravviva il coraggio, nerasserena lo spirito, è dissipata la melanco-nia. Il cuore batte più lieto, il sangue circo-la spedito e una più pronta irrigazione diumori gli ridesta le forze che debbono com-battere la malattia. Dalle quali considerazio-ni emerge verissimo che le malattie si am-mansano prima con le parole».

Alberto ScanniAlessandro Bertolini

OncologiAutori del libro «Il nostro comunicare»

(Sidera Edizioni, Palazzolo sull’Oglio,Brescia, 2011)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Uomini Donne Tutti

Polmone Mammella Polmone

Prostata Colon retto Mammella

Colon retto Cervice uterina Colon retto

Stomaco Polmone Stomaco

Fegato Stomaco Prostata

Fonte: Globocan 2008

14 31 gen.-6 feb. 2012SPECIALE

IL PRESIDENTE AIOM

«Più servizi riabilitativi e altolà allo stigma»

«Serve un’alleanza tra medici,ricercatori, pazienti e politica»

prevede che la cifra salirà anco-ra a quota 458 miliardi di dolla-ri.

«La Giornata mondiale con-tro il cancro - spiega AndreasUllrich, del DipartimentoOms per il controllo della ma-lattia - è un duro monito sul-l’aumento dei nuovi casi di tu-

more nel mondo, soprattuttonei Paesi a medio e basso red-dito. Si stima che l’incidenzaglobale passerà dai 12,7 milio-ni nel 2008 a 21,4 milioni en-tro il 2030». Una vera emer-genza che richiede risposteadeguate. «Il cancro non cono-sce confini, quindi noi tutti

dobbiamo assumerci la respon-sabilità di sconfiggere questamalattia devastante: insieme èpossibile», aggiunge CaryAdams, direttore generaleUicc.

Manuela Perrone© RIPRODUZIONE RISERVATA

Obiettivi entro il 20201. Predisporre sistemi organizzativi sostenibili per assi-curare che programmi efficaci di controllo del cancrosiano disponibili in tutti i Paesi2. Migliorare in modo significativo la misurazione delpeso globale del cancro e dell’impatto degli interventidi controllo3. Far diminuire in misura significativa il consumoglobale di tabacco, l’obesità e i livelli di assunzione deglialcolici4. Sottoporre a programmi di vaccinazione universalele popolazioni che risiedono in aree interessate dalcontagio da Hpv e Hbv5. Migliorare l’atteggiamento pubblico verso il cancro,e superare pregiudizi ed equivoci relativi alla malattia6. Diagnosticare un numero maggiore di tumori loca-lizzati grazie a programmi di screening e diagnosiprecoce e a un alto livello di consapevolezza delpubblico e degli operatori sanitari sui segnali di perico-lo di cancro7. Migliorare per tutti i pazienti, ovunque nel Mondo,l’accesso a una diagnosi accurata, a trattamenti oncolo-gici appropriati, a terapie di supporto, servizi di riabili-tazione e cure palliative8. Rendere disponibili universalmente per tutti i pa-zienti oncologici terapie efficaci di controllo del dolore

9. Migliorare in modo significativo le opportunità diformazione in tutti i campi dell’oncologia per tutti glioperatori sanitari10. Ridurre considerevolmente l’emigrazione deglioperatori sanitari con specializzazione oncologica11. Migliorare i tassi di sopravvivenza in tutti i Paesi

Azioni prioritarie di politica sanitariaInserire il tema cancro nell’agenda dei piani di sviluppo.Aumentare la priorità politica attribuita al cancro di-mostrando che l’investimento di una nazione nell’af-frontare la crescita del problema cancro è un investi-mento nel benessere economico e sociale del Paese.Le organizzazioni che si occupano della lotta al cancrodovrebbero lavorare con la comunità globale dei dona-tori, delle agenzie di sviluppo, del settore privato e ditutta la società civileMobilitare i responsabili per assicurarsi che le strategiedi controllo del cancro siano globalmente indirizzate achi ne ha più bisogno. Coinvolgere il numero maggio-re di gruppi organizzati nello sviluppo o nell’aggiorna-mento di programmi nazionali di controllo del cancroPorre in essere le strategie che hanno dimostrato dipoter colmare le lacune delle misure esistenti di sorve-glianza del cancroAumentare il coinvolgimento dei pazienti nella pianifi-cazione dei programmi di controllo del cancro a livellolocale e nazionale

DI STEFANO CASCINU *

LA VOCE DI MALATI E VOLONTARI

L’ oncologia rimarrà uno dei temi centrali dellaSanità del prossimo futuro. Non sono attese

significative diminuzioni dell’incidenza dei tumori. An-zi, considerando il progressivo invecchiamento dellapopolazione, è verosimile prevedere un aumento deimalati oncologici. Per vincere la lotta contro il cancro ènecessario consolidare l’alleanza tra pazienti, medici,infermieri, volontariato e istituzioni. I ricercatori ciaiuteranno a conoscere meglio la malattia. La ricercaha compiuto passi avanti inimmaginabili solo un paiodi decenni fa e nel futuro ci saranno ulteriori progressi.L’obiettivo è far diventare il cancro una malattia“normale”. Ma non tutto passa attraverso la scienza e ilsapere tecnologico. Saranno decisivi anche i rapportiche sapremo costruire tra i protagonisti della battaglia. Imedici e gli infermieri devono rinsaldare l’alleanza coni malati e i familiari in un dialogo di leale collaborazio-ne, costruendo un percorso che veda la presenza diefficienti e diffuse strutture assistenziali ospedaliere eterritoriali, di una formazione continua del personale edi educazione della popolazione.

Le Unità di oncologia medica dovranno lavorare inreti regionali. È necessario rendereaccessibili le metodiche innovative atutti i pazienti nell’ambito della colla-borazione fra le varie realtà. Abbia-mo bisogno di un’assistenza domici-liare che funzioni e di Unità di curepalliative diffuse nel territorio per ga-rantire ai pazienti cure adeguate.

La tecnologia non potrà sopperirea ciò che l’essere medici e infermieri comporta: pren-dersi cura del paziente in ogni fase della malattia,inclusa la parte finale. Quando le terapie mediche onco-logiche non sono più proponibili, inizia un percorsoche ci deve vedere ancora protagonisti insieme agliesperti di cure palliative, in un’ottica di continuità dellacura, del non abbandono del paziente e dei familiari.Ciò deve diventare patrimonio culturale e sociale comu-ne a operatori e istituzioni. Questo risultato non sirealizzerà senza l’aiuto delle associazioni di volontaria-to, che svolgono un ruolo essenziale di raccordo traoperatori, pazienti e familiari, di garanti dell’alleanza edi stimolo verso la politica. Chiediamo alle istituzionidi rendere possibili questi processi con investimentiadeguati e di promuovere i percorsi, anche culturali,che permettano di sentirsi vicini e non antagonisti.

L’obiettivo dell’Associazione italiana di oncologiamedica (Aiom) è che si mettano in campo tutte lerisorse per ridurre l’incidenza del cancro. Alle istituzio-ni chiediamo quindi di investire nella prevenzione: unsistema sanitario efficiente pensa in anticipo alla salute

dei cittadini. A esempio, è possibile ridurre l’incidenzadel tumore del polmone smettendo di fumare. Insegnia-molo ai ragazzi delle scuole elementari e medie. Espieghiamo ai giovani che l’aumento di peso non deter-mina solo un rischio di malattie cardiovascolari maanche di cancro. Investiamo in educazione, perché cipermetterà di risparmiare risorse e salvare vite.

Per molti anni la nostra attenzione si è focalizzataprincipalmente sulla ricerca di nuove terapie e su comepotessero migliorare la prognosi. Più recentemente ci siè orientati verso la prevenzione. Dobbiamo ora confron-tarci con gli aspetti che le conoscenze biologiche e larilevanza sociale del “problema cancro” ci pongonoanche nella pratica clinica. L’identificazione dei rischigenetici di sviluppare il tumore pone questioni di ordi-ne scientifico, organizzativo ed etico di tale importanzache solo un piano organico di intervento a livellonazionale può essere in grado di risolvere. La nascita dicentri di genetica oncologica ci deve vedere protagoni-sti e l’Aiom definirà una task-force che predispongadocumenti scientifico-organizzativi.

Pensiamo anche che si debba svolgere un ruoloattivo nell’educazione, rivolta princi-palmente ai giovani. L’Aiom, con ilsuo past president Carmelo Iacono,ha organizzato nel 2011 incontri nel-le scuole nell’ambito del progetto«Non fare autogol». Sono state ap-profondite, con campioni del calcioitaliano, le tematiche relative agli sti-li di vita pericolosi. È stato un gran-

de successo e quest’anno verrà realizzata la secondaedizione. Vogliamo che si affermi sempre più la cultu-ra del prendersi cura e dell’alleanza terapeutica. Insie-me agli altri specialisti e alle istituzioni vogliamo discu-tere di modelli organizzativi e di gestione ottimali.Tutto ciò non sarà possibile senza la collaborazione conle associazioni dei pazienti. Questa è stata la lungimi-rante visione di Marco Venturini, il nostro presidenterecentemente scomparso, e di Francesco De Lorenzo,presidente della Favo. Sono stati attivati progetti comu-ni in tutte le Regioni per garantire equità d’accesso allestrutture e alle nuove terapie per tutti i pazienti oncologi-ci, senza che la carta d’identità rappresenti un fattoreprognostico. Ci auguriamo che l’oncologia del prossi-mo futuro possa essere un’alleanza fra scienza, sapere,bisogni dei pazienti e politica, che porti il cancro adiventare quella malattia “normale” che adesso ancoranon è.

* Presidente Aiom© RIPRODUZIONE RISERVATA

La World Cancer Declaration

I l motto scelto da Uicc “Insieme èpossibile” per la Giornata mondiale

contro il cancro 2012 è in piena conso-nanza con la modalità di azione delleassociazioni dei malati di cancro di tuttoil mondo.

Coinvolgendo, stimolando, pretenden-do, mediando, sensibilizzando, trascinan-do partner istituzionali e non, la spintadei malati e delle organizzazioni che lirappresentano diviene inarrestabile ecompie piccoli e grandi miracoli checiascuno può vedere nei day hospitaloncologici fino ai più alti livelli, nei pa-lazzi dove vengono prese le decisioniche possono cambiare il futuro del no-stro pianeta. Così, nel settembre 2011, ilpressing dell’associazionismo internazio-nale, evidenziato il carattere epidemicodel cancro e il conseguente impatto so-ciale sullo sviluppo delle Nazioni, haindotto la 65a Assemblea generale del-l’Onu ad adottare una risoluzione di im-pegno dei Governi nella lotta contro lemalattie non trasmissibili (NCDs) tra cuiil cancro.

L’importante documento (nel quale,su impulso della Federazione italiana del-le Associazioni di volontariato in oncolo-gia - Favo, presente al summit Onu inrappresentanza delle associazioni di vo-

lontariato oncologico europee, e vincen-do le resistenze di altre aree del pianeta,è stato riconosciuto il ruolo di stakehol-der del volontariato nella battaglia con-tro il cancro), siglato dai leader di 192Paesi, darà un nuovo impulso all’agendadella Sanità mondiale.

La Favo fin dalla sua fondazione(2003) promuove collaborazioni tra ilmondo del volontariato e le istituzioni,gli Irccs, le università, le società scientifi-che e le “parti sociali” favorendo siner-gie professionali per dare migliori rispo-ste ai bisogni dei malati di cancro e delleloro famiglie su tutti i fronti. Ciò nellaconvinzione che solo un’azione congiun-ta può realizzare, in tempi accettabili, iservizi alla persona necessari per affron-tare e superare l’emergenza cancro.

Unendo le voci di centinaia di realtàassociative, Favo (il cui presidente DeLorenzo è anche vice-presidente dellaunione europea del volontariato oncolo-gico, Ecpc) ha puntato un faro sui biso-gni ancora non soddisfatti dei malati:riabilitazione oncologica, sostegno eco-nomico e sociale durante e dopo la malat-tia, reinserimento lavorativo e tutela del

posto di lavoro, informazioni mirate epersonalizzate, sostegno psicologico co-me parte integrante della cura, sviluppodelle reti oncologiche, problematicheconnesse a sessualità e fertilità. Moltirisultati sono già stati raggiunti: il Librobianco sulla riabilitazione oncologica, ilPiano oncologico nazionale con esplici-to riconoscimento del contributo del vo-lontariato nel Servizio sanitario, la leggesul part-time per i malati di cancro e iloro familiari, la legge 80/2006 per lariduzione dei tempi di accertamento del-l’invalidità civile per i malati oncologicie il Rapporto sulla condizione assisten-ziale dei malati oncologici, che è l’esem-pio concreto di quanto “Insieme è possi-bile”.

Il Rapporto (la quarta edizione saràpresentata a maggio 2012 nella VII Gior-nata nazionale del malato oncologico) èil prodotto dell’Osservatorio permanentesulla condizione assistenziale dei malationcologici voluto da Favo e di cui sonomembri Censis, ministero della Salute(Sis), Inps, Aiom, Airo, Sie, Int di Mila-no. L’Osservatorio funge da lente d’in-grandimento dei dati nazionali riguardan-

ti le patologie oncologiche, con un’atten-zione specifica alle disparità ai trattamen-ti terapeutici e assistenziali e agli aspetticoncernenti la qualità della vita dei mala-ti e si propone di essere una espressionereale di “sussidiarietà” nel panorama delWelfare che cambia, valorizzando l’ap-porto sistemico del volontariato e del-l’iniziativa privata, in alleanza funziona-le con le istituzioni pubbliche.

I malati oggi sanno che di cancro sipuò guarire o comunque che si può vive-re anche a lungo, cronicizzando la malat-tia grazie al progresso della ricerca scien-tifica e della pratica clinica, ma la stradada percorrere per superare lo stigma lega-to al cancro è ancora lunga. Permangonogravissime disparità territoriali nell’ac-cesso alle cure e discriminazioni nel po-sto di lavoro a scapito del malato o di chiassiste un proprio caro.

Con la crisi economica internazionalesarà sempre maggiore la necessità dirazionalizzazione e appropriatezza nel-l’uso delle risorse economiche in Sanità,ed è importante che la lotta al cancro siastata riconosciuta come una priorità an-che dalle Nazioni Unite. Dalla maggiore

attenzione alla prevenzione, con la ridu-zione dell’incidenza si potranno liberaremaggiori risorse da dedicare a cura eriabilitazione.

In una società malata che non è piùcapace di apprezzare la vita e riconosce-re il valore della solidarietà, la parte piùsana è il volontariato e la silenziosa ope-ra di chi non accetta la discriminazione elo stigma. Se la scienza conosce la viada seguire per ottenere sempre nuovi epiù efficaci strumenti per controllare esconfiggere il cancro, la società deveessere ancora educata ed è necessario uncambiamento culturale perché chi ha vin-to o conduce la sua personale battagliacontro la malattia possa realmente conti-nuare a vivere con dignità e qualità. Losviluppo della cultura e dei servizi diriabilitazione non solo biomedici ma psi-cosociali, consentirà di superare gli atteg-giamenti assistenziali e favorire il veroreinserimento.

I malati vogliono riavere indietro lavita sospesa dalla malattia e viverla inten-samente.

Elisabetta IannelliVice-presidente Associazione italiana

malati di cancro (Aimac)© RIPRODUZIONE RISERVATA

Equità d’accesso:valore da salvare

31 gen.-6 feb. 2012 15SPECIALE

Melanoma: le staminali lo «nutrono» e non invecchiano

Quali esami per la mammella

STUDIO TARGATO CNR, UNIVERSITÀ DI MILANO E CORNELL UNIVERSITY

N egli ultimi anni tra i tu-mori della mammelladiagnosticati grazie allo

screening mammografico con-dotto sulla fascia tra i 49 e i 60anni sono in aumento quelli arischio “basso” o “ultra basso”:«Oggi lo screening sembra iden-tificare preferenzialmente nellapopolazione le lesioni a bassorischio» scrivono gli autori diuno studio condotto a livellomolecolare, pubblicato in di-cembre sulla rivista “BreastCancer Resear-ch and Treat-ment”. LauraEsserman ecolleghi del-l’Università diSan Francisco,in California,hanno confron-tato il profilo genetico dei tumo-ri diagnosticati a due distinte co-orti di donne olandesi, che han-no ricevuto diagnosi di cancrodella mammella prima e dopol’introduzione dello screeningmammografico (nel periodo trail 1984 e il 1992 le prime e tra il2004 e il 2006 le seconde).

In particolare, la percentualedi lesioni poco significative ècresciuta dal 40,6% della primacoorte (67 su 165) al 58% dellacoorte più recente (119 su 205).

L’analisi è stata condotta so-lo su donne con tumore nodo-negativo, impiegando un testper la prognosi del cancro del-l’Istituto tumori olandese, basa-to su 70 geni e oggi noto com-mercialmente come Mamma-Print, che è giudicato in grado

di prevedere la sopravvivenzagenerale e il rischio di metasta-si, nonché di identificare le le-sioni a rischio ultra-basso(“ultra-low risk”). Esaminandoproprio queste lesioni la diffe-renza tra le due coorti si è anco-ra accentuata, con la percentua-le che è passata dal 10% al 30per cento.

Secondo gli autori il test ge-netico può quindi essere util-mente impiegato come suppor-to allo screening per aiutare a

identificare leforme tumoralimeno temibili.

Ma non tuttigli esperti con-cordano: «In ge-nerale pensoche si tratti diuno studio sti-

molante» commenta KandaceMcGuire, del dipartimento dichirurgia oncologica dell’Uni-versità di Pittsburgh. «In effettisuggerisce che la maggioranzadei tumori rilevati con lo scree-ning è indolente, e potrebbe nonaver mai dato origine a tumoriclinicamente significativi nelledonne in postmenopausa».

Sul valore del test genetico ascopo preventivo, tuttavia, laMcGuire ha un’opinione moltocritica: «L’idea di aggiungere laprofilazione molecolare alloscreening suona molto attraen-te, ma richiede una biopsia, chesarebbe inappropriata a livellodi screening. Questa tecnologiapuò essere usata per decidere laterapia, in particolare per le don-ne ultrasettantenni, ma non per

guidare la diagnosi».Per quella sono assai più pre-

ziosi gli strumenti che permetto-no di evitare la biopsia: «Molticentri, tra cui Pittsburgh, stannocercando marcatori circolantinel siero che possono fungereda surrogato di questi profili mo-lecolari, rendendo non necessa-ria la biopsia per la stratificazio-ne del rischio».

Un esempio recente che pro-mette di ridurre le biopsie ripetu-te nei pazienti ad alto rischio dicancro della prostata è costituitodall’accoppiata di biomarcatoriGSTP1 e APC individuata inun piccolo studio pubblicato sulBritish Journal of Urology Inter-national da Bruce Trock e col-leghi della Johns Hopkins Scho-ol of Medicine di Baltimora, nel

Maryland. «È il primo studioprospettico in una coorte defini-ta con criteri di inclusione rigo-rosi a valutare la potenziale utili-tà di marcatori della metilazio-ne del Dna per predire l’outco-me sulla ripetizione delle biop-sie in questa coorte» scrivonoTrock e colleghi, mettendo co-munque in guardia sulla necessi-tà di confermare il risultato constudi più ampi.

Un analogo problema di nu-meri, infine, obbliga alla cautelaanche nell’interpretare i risultatidi uno studio sull’efficacia diun immunoassay chiamatoPAM4 nella diagnosi precocedell’adenocarcinoma duttale delpancreas. I ricercatori diretti daDavid Gold, del Garden StateCancer Center di Morris Plains

nel New Jersey, hanno infattiosservato una buona sensibilitàe specificità nel rilevare tumoriin stadio 1, in cui la sopravvi-venza a cinque anni si aggirasul 20% rispetto al drammatico2-3% medio per questo tipo ditumore.

«I sintomi del cancro del pan-creas sono vaghi: la malattia ten-de a svilupparsi e a crescere inmodo silente. Nel momento incui viene rilevata si è spessodiffusa ad altre parti del corpo,e questo la rende quasi impossi-bile da curare. I risultati di que-sto studio sono estremamenteincoraggianti e potrebbero porta-re in futuro a migliorare la capa-cità di rilevare il cancro negliindividui ad alto rischio» haspiegato Gold.

L’uso combinato del nuovoPAM4 con un immunoassaygià impiegato per monitorare ilcorso della malattia, chiamatoCA19-9 si è dimostrato capacedi individuare l’85% dei pazien-ti con adenocarcinoma duttaledel pancreas, conservando unabuona specificità.

Però lo studio, presentato aSan Francisco al 2012 Gastroin-testinal Cancers Symposium,ha reclutato finora appena 28pazienti: pochi per fornire unrisultato del tutto affidabile inuna malattia in cui - come diceGold - «diagnosi precoce e mi-glioramento della terapia vannomano nella mano».

Fabio Turone© RIPRODUZIONE RISERVATA

Guerra aperta tra ricercatori sull’esame d’elezione per la diagnosi precoce del tumore al seno

L a “vecchiaia” delle cellule non arresta la corsadel melanoma: a foraggiarlo continuamente ci

pensa una piccola frazione di staminali tumoraliche si divide indefinitamente senza andare in sene-scenza. La scoperta - che potrebbe aprire la strada anuovi trattamenti mirati - è opera di un team diricercatori di Cnr, Università di Milano e CornellUniversity, che ha appena pubblicato i risultati delsuo lavoro sulla rivista Plos Computational Biolo-gy.

L’obiettivo di partenza era quello di verificarese la senescenza cellulare, il processo di invecchia-mento che avviene normalmente nelle cellule, po-tesse fungere da barriera alla crescita del tumore.«Abbiamo cercato di esplorare la relazione tra ilmelanoma e il processo naturale per cui le cellule,invecchiando, smettono di dividersi», spiega Stefa-no Zapperi, dell’Istituto per l’energetica e l’interfa-si del Consiglio nazionale delle ricerche di Milano.

I ricercatori hanno dunque deciso di seguire invitro la crescita di cellule di melanoma, monitoran-

do il numero di quelle senescenti. Ciò che i ricerca-tori hanno scoperto è stato per certi versi sconfor-tante, per altri promettente: «Dopo tre mesi lacrescita ha effettivamente cominciato a rallentare ela maggioranza delle cellule è diventata senescentema senza che il processo di crescita si arrestassemai completamente. Infatti subito dopo è ripresoalla velocità iniziale, mentre le cellule senescentisono progressivamente scomparse».

“Qualcosa”, in sostanza, tiene in vita il tumore.Ma che cosa? «Per capirlo - continua Zapperi - èstato sviluppato un modello matematico ipotizzan-do che all’interno del tumore sia presente unapiccola frazione di staminali che si divide indefini-tamente senza andare in senescenza. Oltre a ripro-dursi, queste cellule originano una vasta popolazio-ne di cellule tumorali ordinarie, che si dividonosolo un certo numero di volte». Il modello è statopoi confrontato con i dati sperimentali e ha permes-so di riprodurre quantitativamente sia le curve dicrescita sia l’evoluzione della quantità di cellule

senescenti. «Una conferma indiretta - sostiene ilricercatore - della presenza di staminali tumoralinel melanoma, questione ancora dibattuta e facil-mente estensibile ad altri tumori in cui la presenzadi staminali è invece assodata».

Conclusione: indurre l’invecchiamento delle cel-lule «non sembra una strategia terapeutica promet-tente, visto che quelle cellule risultano irrilevantiper la crescita del tumore». La scomparsa sarebbesoltanto momentanea: il tumore, sostenuto e ali-mentato dalle staminali, riprenderebbe poi a cresce-re indisturbato. La scoperta di queste cellule potreb-be però aiutare a sviluppare nuove cure. Zapperinon ha dubbi: «La sfida è superare la resistenza allasenescenza delle staminali tumorali e svilupparemetodi che colpiscano specificamente queste cellu-le». Fare invecchiare anche loro, interromperne lavitalità. Fatale per troppi malati.

M.Per.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Donne Uomini Tutti

Incidenza stimata 2011 160.000 200.000 360.000

Frequenza di diagnosi(ogni 100.000 abitanti) 546 702 623

Mortalità stimata 2011 76.000 98.000 174.000

Frequenza di mortalità(ogni 100mila abitanti) 255 351 302

Fonte: rapporto Aiom-Airtum

Gli italiani con precedente diagnosi *I big killer nel nostro Paese

Rango Maschi * Femmine *1˚ Polmone (28%) Mammella (16%)2˚ Colonretto (11%) Colonretto (12%)3˚ Prostata (8%) Polmone (11%)4˚ Stomaco (7%) Pancreas (7%)

5˚ Fegato (6%) Stomaco (7%)

* Proporzione sul totale dei decessi oncologici per sessoFonte: Pool Airtum 2005-2007

Mammografie o test genetici a scopo preventivo: ecco le opzioni in campo

Stili di vita, serve l’impegno delle istituzioni

Incidenza e mortalità in Italia

* In totale sono 2.243.953 (Fonte: Aiom-Airtum)

S enza il supporto della comunitàle campagne anticancro che pun-

tano a modificare i comportamentifavorendo l’adozione di uno stile divita salutare sono destinate a risulta-ti modesti: è quanto teorizzano lenuove linee-guida per la prevenzio-ne appena pubblicate sulla rivista“CA: A Cancer Journal for Clini-cians” dall’American cancer society(Acs), che le aggiorna all’incirca ogni5 anni.

Quando si tratta di incoraggiare amangiare sano e a fare attività fisicaregolare - che pure comportano scel-te individuali - l’ambiente sociale, fisi-co, economico e regolatorio posso-

no avere un effetto molto significati-vo sia in un verso che in quello oppo-sto.

«Le nostre linee guida hanno sem-pre sottolineato ciò che le personepossono fare da sole per ridurre ilproprio rischio di cancro, e questoresta importante» spiega ColleenDoyle, tra gli autori delle nuove li-nee-guida per conto dell’Acs. «Maoccorre anche svolgere un’azionepubblica per facilitare agli americanil’adozione di questi comportamenti.Non possiamo semplicemente direloro di mangiare più frutta e verdu-ra e fare più esercizio fisico quandoci sono così tante forze che spingono

nella direzione opposta, che rendedifficile farlo con regolarità».

Le raccomandazioni dell’Acs ruo-tano attorno a 4 punti: raggiungeree mantenere un peso normale, adot-tare uno stile di vita attivo, consuma-re una dieta completa ed equilibrata(con abbondanza di vegetali) e limi-tare il consumo di bevande alcoli-che.

Da oggi, l’invito pressante è rivol-to alle istituzioni pubbliche - con inprima fila le scuole - perché facilitinol’accesso a cibi sani e luoghi in cuisvolgere attività fisica: «Se non lavo-riamo per modificare gli ambienti distudio e di lavoro per far sì che lascelta più salutare diventi anche lapiù semplice mancheremo il bersa-glio» spiega la Doyle.

Sotto la lentei casi meno gravi

16 31 gen.-6 feb. 2012SPECIALE

«Lo screening è dannoso: alle donneraccomando la sola autopalpazione»

IL DIRETTORE DELLA COCHRANE COLLABORATION DANESE ACCUSA

M ammografie nell’occhio del ciclone. Apuntare il dito contro l’esame offerto

gratuitamente anche in Italia alle donne over50 è stata la Cochrane Collaboration danese,che ha diffuso dati choc mettendo in subbu-glio la comunità scientifica. Ma il responsabi-le dell’Osservatorio nazionale screening,Marco Zappa, rassicura: «Gli screening ri-spondono a una precisa logica di Sanità pub-blica: salvare vite umane».

Tutto è partito da un’affermazione tran-chant di Peter Gøtzsche, direttore della Nor-dic Cochrane Collaboration di Copenaghen,il braccio danese dell’organizzazione no pro-fit che valuta criticamente la reale efficaciadei trattamenti sanitari: «Per ogni donna sal-vata dalla mammografia, altre 10 vengonodanneggiate perché sottoposte a terapie eoperazioni chirurgiche inutili o evitabili».Gøtzsche ha analizzato per un decennio i datipubblicati sul tema, ha pubblicato già varierevisioni sistematiche e ha deciso ora di rac-contarne le conclusioni in un libro rivoltoalla popolazione generale che sta facendodiscutere: «Mammography screening: truth,lies and controversy» (Screening mammogra-fici: verità, bugie e controversie).

La sua tesi è lapidaria: ««È tempo direalizzare che questi program-mi non possono più essere giu-stificati». A suo avviso su2mila donne sottoposte amammografia probabilmentesoltanto una viene salvata, maaltre dieci subiscono un dan-no. Perché cellule canceroseche morirebbero spontanea-mente, o che non evolveranno mai in patolo-gia conclamata, vengono asportate e in alcu-ni casi (addirittura sei volte su dieci, calcolaGøtzsche) la paziente perde un seno. Senzacontare i costi fisici e psicologici dei tratta-menti farmacologici e radioterapici.

L’esperto danese finisce con il raccoman-dare alle donne «di non far nulla, se nonconsultare un medico se notano qualcosa» dianomalo con l’auto-analisi. Un messaggiodavvero controcorrente che già dalla scorsaestate, quando era stato pubblicato un artico-lo che non evidenziava differenze nella mor-talità tra Paesi che adottavano o non adottava-no programmi di screening, aveva diviso lacomunità scientifica.

I fautori degli screening, tra cui JuliettaPatnick, direttore del Programma di scree-ning oncologici del Nhs britannico, continua-no a sostenere che le donne sottoposte rego-larmente a mammografia hanno un rischiominore di morire per cancro al seno. E tutticitano le stime della Iarc, l’Agenzia interna-zionale per la ricerca sul cancro dell’Oms,che calcola una riduzione della mortalità parial 35%. Dato fortemente contestato da Gøtz-sche, che denuncia i continui attacchi delle«lobby pro-screening», composte da chi «ha

interessi finanziari affinché questi program-mi continuino».

In Gran Bretagna il dibattito è particolar-mente acceso. Tanto che a ottobre MikeRichards, noto oncologo nonché NationalCancer Director dal 1999, aveva già annun-ciato l’avvio di una nuova revisione indipen-dente sull’utilità degli screening mammogra-fici diretta da Michael Marmot, docente diEpidemiologia e Sanità pubblica allo Univer-sity College London. «Se dovesse risultareche effettivamente i rischi superano i benefi-ci - aveva detto Richards - non esiterei asottoporre i dati al Comitato nazionale scree-ning e quindi al ministero».

Zappa respinge con sdegno l’accusa dilobby: «Noi siamo mossi da una logica diSanità pubblica: tutti i lavori più attendibili,compreso l’ultimo riferito qui a Firenze checome Ispo abbiamo appena pubblicato su“Breast cancer research”, parlano di al massi-mo un caso sovradiagnosticato per ogni vitasalvata. Tra pochi mesi sarà diffusa una revi-sione europea che conferma questo dato».

C’è una bella differenza con dieci sovra-diagnosi ogni vita salvata, come sostieneGøtzsche. Come può esserci una tale forbi-ce? Zappa non ha dubbi: il problema è nel

metodo. «Il gruppo di Gøtz-sche fa una valutazione a livel-lo di trend di popolazione,che può essere fallace». Nonè l’unica informazione erratafornita dal danese, secondoZappa: «Non capisco comefaccia a sostenere che 6 donnesu 10 perdono il seno. La per-

centuale di chi lo conserva è superiore al-l’85%. In Toscana la quota di interventi con-servativi è del 93%. Nessuno pensa che sianouno scherzo, ma le mastectomie totali sonouna rarità».

Se proprio bisogna trovare qualcosa dibuono nel lavoro dei danesi è in generale«l’invito a non medicalizzare troppo». «Ilnostro sforzo - dice il direttore dell’Osserva-torio - deve essere quello di ridurre al mini-mo il rischio di sovradiagnosi. Purtroppo nonesistono studi oggi che ci permettono di di-stinguere quale cancro è sovradiagnosticato.Sarebbe utile studiare forme di contenimentodegli interventi, in particolare su alcuni tipidi tumore come i carcinomi duttali in situ.Bisogna avere più coraggio di sperimentare».

Ma sul consiglio finale alle donne non hadubbi: «L’idea che si faccia fare soltantol’autopalpazione non solo è inaccettabile epericolosa, ma penalizzerebbe proprio le fa-sce sociali più deboli e svantaggiate, cheaccedono meno ai servizi sanitari e alla dia-gnosi precoce». Sarebbe un intollerabile ritor-no al passato.

Manuela Perrone© RIPRODUZIONE RISERVATA

Novità dalla scienza in pillole

Ma l’esperto italianodifende i programmi

NEL CANCRO DELL’OVAIO BRCA1 E 2 AIUTANO LA PROGNOSI

Essere portatrici della mutazione BRCA1 e BRCA2 espone a un maggior rischio di contrarre untumore dell’ovaio nel corso della vita rispetto alla popolazione generale, ma quando questasfortunata eventualità si verifica comporta una migliore prognosi in termini di sopravvivenza a 5anni. È questa la conclusione di un ampio studio condotto da Kelly Bolton e colleghi del NartionalCaner Institute di Bethesda, i cui risultati sono appena apparsi sul Journal of the American MedicalAssociation: l’analisi di 3.879 casi (di cui 909 con mutazione BRCA1 e 303 con BRCA2) haosservato una sopravvivenza a 5 anni che rispetto al 36% delle non portatrici sale al 44% nelledonne con BRCA1 e al 52% in quelle con BRCA2.Queste marcate differenze sono rimaste tali anche dopo varie correzioni dei dati per tener contodell’anno di diagnosi, dell’età al momento della diagnosi, dello stadio, del grado e dell’istologia.«Questi risultati forniscono un’ulteriore dimostrazione del fatto che il cancro ovarico è unamalattia molto più eterogenea dal punto di vista genetico e biologico di quanto si riteneva inpassato» scrivono David Hyman e David Spring, dello Sloan Kettering di New York, nell’editorialedi accompagnamento di Jama. «Occorrono ulteriori studi altrettanto ampi per comprenderemeglio gli effetti delle alterazioni somatiche ed epigenetiche sulla funzione del gene BRCA, e lecomplesse interazioni con altri alleli ereditati».

DIFENDERE LA QUALITÀ DELLA VITA ANTICIPANDO I SINTOMI

Se si chiede a un paziente con un tumore della testa e del collo come mangia e come parla adistanza di tempo dall’inizio delle terapie, e come si sente fisicamente e psicologicamente, anchein relazione all’immagine di sé, si scopre che la risposta dipende molto da ciò che i curanti hannosaputo fare in fase preoperatoria per prevenire le classiche complicanze senza aspettare che simanifestassero: «Un intervento precoce è essenziale, ed è semplicemente illogico attenderefinché compaiono problemi» spiegano gli autori di uno studio diretto da Gerry Funk, dell’Universi-tà dell’Iowa, pubblicato in gennaio sugli “Archives of Otolaryngology-Head and Neck Cancer”.A 5 anni dall’intervento oltre la metà dei 337 pazienti seguiti lamentava difficoltà ad alimentarsi, il28,5% presentava sintomi depressivi e il 17,3% riferiva di provare un dolore significativo. Unaparte importante (13,6%) fumava ancora e una ancor più significativa (38,9%) beveva alcolici.I più significativi predittori di bassa qualità della vita a 5 anni si sono rivelati il dolore e le difficoltànel mangiare dovute alla scarsa funzione orofaringea: «Dobbiamo vedere i pazienti presto pervalutare la loro capacità di deglutizione e la funzione orofaringea. Occorre sottoporre tutti avalutazioni preoperatorie e postoperatorie da parte di un terapista del linguaggio che deve esserecoinvolto attivamente nel trattamento per conservare al meglio le capacità verbali, e tutti devonoessere visti da un dentista e da un igienista dentale» spiega Funk. «I pazienti subiranno alterazioninella salivazione, che però possono essere gestite in modo da non incidere sulla qualità della vita».

CONTRO LE RESISTENZE DEL GLIOBLASTOMA

Uno studio appena pubblicato sulla rivista Cancer Discovery, edita dalla American Association forCancer Research, segnala una possibile nuova via di attacco al glioblastoma, un tumore cerebraleletale che ha una sopravvivenza media di appena 15 mesi e generalmente resiste alle terapieantitumorali. Un filone di ricerca promettente è quello che punta ad attivare l’apoptosi, peresempio con l’uso di agenti terapeutici come il Tumor necrosis factor-Related Apoptosis-InducingLigand (in sigla Trail), ma i successi ottenuti finora sono stati parziali, perché il tumore è in gradodi sviluppare una resistenza. Ora il neuropatologo Chunhai “Charlie” Hao, coni suoi colleghi dellaEmory university di Philadelphia, ha individuato un nuovo potenziale target per terapie mirate,apparentemente capace di prevenire lo sviluppo della resistenza.

LE TRASFUSIONI ESPONGONO A RISCHI EVITABILI

Anche per chi non soffre di problemi cardiaci una piccola trasfusione intraoperatoria comportarischi finora ignorati, per cui dovrebbe essere evitata se non in casi davvero di emergenza.Secondo uno studio condotto da Victor Ferraris e colleghi del Veterans Affairs Medical Center diLexington, in Kentucky, la trasfusione di un’unità di globuli rossi (PRBC) è molto comune nelcorso anche di interventi minori, a dispetto delle linee-guida, ma andrebbe quasi sempre evitata.L’analisi condotta sulla morbilità e mortalità a 30 giorni nei 48.291 pazienti che hanno ricevutouna trasfusione in 173 ospedali americani tra il 2005 e il 2010 ha rilevato una sostanzialedifferenza nella mortalità rispetto a casi in tutto analoghi che però per scelta del chirurgo nonhanno ricevuto alcuna trasfusione: la mortalità associata a una sola unità trasfusa passa dal 5,2% al6,1%, con una differenza statisticamente significativa (p=0,005). Anche le complicanze della feritapassano dal 9,7% all’11,4% dei pazienti. Secondo gli autori dello studio, pubblicato in gennaio sugli“Archives of Surgery” la maggioranza degli eventi avversi è legata a un’infezione, il che li porta aipotizzare che la trasfusione di sangue allogenico possa limitare la risposta immune e agire suimediatori dell’infiammazione. «Usiamo, o permettiamo l’uso di derivati del sangue con troppalibertà nei pazienti emodinamicamente stabili» scrive John Holcomb, chirurgo dell’Università delTexas, in un articolo di commento sulla stessa rivista. «Di solito consentiamo il trattamento allaluce di un singolo valore di laboratorio piuttosto che dell’intero paziente. Ma a meno che ilpaziente non abbia in corso un’emorragia letale la cosa migliore da fare è semplicemente evitaredi trasfondergli derivati del sangue».

(a cura di Fabio Turone)

31 gen.-6 feb. 2012 17SPECIALE