to Il segno dei quattro, un Andamano seminomadi - fino al...

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"I" ife popolazioni indigene che vi- vono nelle rigogliose, verdeg- gianti foreste pluviali delle Isole Andamane, nel Golfo del Benga- la, fanno di quest'arcipelago la loro ca- sa da almeno 2000 anni. Nei secoli, gli Andamani sono stati al tempo stesso motivo di attrazione e di terrore, in quanto spesso furono ritratti come brutali cannibali. Nelle descrizioni dei suoi viaggi, per esempio, Marco Polo racconta nel XIII secolo di aver udito una storia su abitanti «cinocefali» di queste isole. Più di recente, nel raccon- to di Sir Arthur Conan Doyle intitola- to Il segno dei quattro, un Andamano appare come un essere malvagio, dota- to di «frecce assassine» e con un «vol- to che sarebbe bastato da solo a toglie- re il sonno a un uomo per una notte». A parte questi voli di fantasia, la sto- ria e la cultura degli Andamani conti- nuano a interessare non solo i visitato- ri che si recano nelle isole, ma anche gli antropologi come me. Nell'arcipelago vive ancora una popolazione indigena di 450-500 anime, gli ultimi rappre- sentanti, nell'Asia meridionale, della stirpe dei Negrito, peraltro sempre più esigua. Gli Andamani hanno vissuto secondo le tradizioni di queste genti - come cacciatori-raccoglitori-pescatori seminomadi - fino al XIX secolo inol- trato, quando i colonizzatori britannici giunsero sulle isole e cominciarono a prenderne possesso. Malgrado le intrusioni, tuttavia, al- cuni abitanti delle isole sono riusciti a mantenere vive molte usanze tradizio- nali. Ancora oggi, un gruppo di questi indigeni resta straordinariamente iso- lato e ostile a qualsiasi influenza ester- na e difende il proprio territorio anche con la forza. D'altra parte, l'occupa- zione dell'arcipelago - prima britanni- Decenni di colonialismo hanno quasi cancellato la cultura dei Grandi Andamani, una delle quattro società indigene delle Iso- le Andamane, nel Golfo del Bengala. Già a partire dagli anni novanta del XIX secolo, questo gruppo etnico subì l'influenza dell'occupazione britannica: malgrado le tradizionali decora- zioni del corpo mostrate in una fotografia dell'epoca (nella pa- gina a fronte), gli isolani avevano già scoperto non solo le pipe inglesi, ma anche malattie mortali, come la sifilide e il morbil- lo. Oggi sopravvivono circa 40 membri del gruppo dei Grandi Andamani. Nella foto in questa pagina, una delle donne più vecchie della comunità, Boro (a destra) conclude una serata di pesca mentre due ragazzini vanno a salutarla sulla spiaggia. Gli ultimi indigeni delle Isole Andamane Le popolazioni aborigene che abitano questo arcipelago dell'Oceano Indiano ci offrono un'immagine affascinante del modo di vita tradizionale dei cacciatori-raccoglitori; ma per quanto tempo rimarrà aperta questa finestra sul nostro passato? di Sita Venkateswar Bou me & Sheperd National Geographic Society Image Collection Madhusree Mukerjee

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"I" ife popolazioni indigene che vi-vono nelle rigogliose, verdeg- gianti foreste pluviali delleIsole Andamane, nel Golfo del Benga-la, fanno di quest'arcipelago la loro ca-sa da almeno 2000 anni. Nei secoli, gliAndamani sono stati al tempo stessomotivo di attrazione e di terrore, inquanto spesso furono ritratti comebrutali cannibali. Nelle descrizioni deisuoi viaggi, per esempio, Marco Poloracconta nel XIII secolo di aver uditouna storia su abitanti «cinocefali» diqueste isole. Più di recente, nel raccon-to di Sir Arthur Conan Doyle intitola-

to Il segno dei quattro, un Andamanoappare come un essere malvagio, dota-to di «frecce assassine» e con un «vol-to che sarebbe bastato da solo a toglie-re il sonno a un uomo per una notte».

A parte questi voli di fantasia, la sto-ria e la cultura degli Andamani conti-nuano a interessare non solo i visitato-ri che si recano nelle isole, ma anche gliantropologi come me. Nell'arcipelagovive ancora una popolazione indigenadi 450-500 anime, gli ultimi rappre-sentanti, nell'Asia meridionale, dellastirpe dei Negrito, peraltro sempre piùesigua. Gli Andamani hanno vissuto

secondo le tradizioni di queste genti -come cacciatori-raccoglitori-pescatoriseminomadi - fino al XIX secolo inol-trato, quando i colonizzatori britannicigiunsero sulle isole e cominciarono aprenderne possesso.

Malgrado le intrusioni, tuttavia, al-cuni abitanti delle isole sono riusciti amantenere vive molte usanze tradizio-nali. Ancora oggi, un gruppo di questiindigeni resta straordinariamente iso-lato e ostile a qualsiasi influenza ester-na e difende il proprio territorio anchecon la forza. D'altra parte, l'occupa-zione dell'arcipelago - prima britanni-

Decenni di colonialismo hanno quasi cancellato la cultura deiGrandi Andamani, una delle quattro società indigene delle Iso-le Andamane, nel Golfo del Bengala. Già a partire dagli anninovanta del XIX secolo, questo gruppo etnico subì l'influenzadell'occupazione britannica: malgrado le tradizionali decora-zioni del corpo mostrate in una fotografia dell'epoca (nella pa-

gina a fronte), gli isolani avevano già scoperto non solo le pipeinglesi, ma anche malattie mortali, come la sifilide e il morbil-lo. Oggi sopravvivono circa 40 membri del gruppo dei GrandiAndamani. Nella foto in questa pagina, una delle donne piùvecchie della comunità, Boro (a destra) conclude una serata dipesca mentre due ragazzini vanno a salutarla sulla spiaggia.

Gli ultimi indigenidelle Isole AndamaneLe popolazioni aborigene che abitano questo arcipelagodell'Oceano Indiano ci offrono un'immagine affascinante del mododi vita tradizionale dei cacciatori-raccoglitori; ma per quanto temporimarrà aperta questa finestra sul nostro passato?

di Sita Venkateswar

Bou me & Sheperd National Geographic Society Image Collection

Madhusree Mukerjee

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Gli isolani delle Andamane sono divisi in quattro gruppi: Grandi Andamani, Jarawa,Onge e Sentinelesi. Oggi i Grandi Andamani, a cui appartengono i tre bambini della fo-to a sinistra, mescolano caratteri somatici delle Andamane, dell'India e dei Karen dellaBirmania. Oggi il gruppo, che in origine occupava Andaman Settentrionale, AndamanCentrale e Andaman Meridionale, è stato trasferito dal Governo indiano sulla piccolaStrait Island (nella cartina). I Jarawa sono rimasti molto più isolati, e si avventuranosolo di rado al di fuori delle fitte foreste loro riservate su Andaman Centrale e Anda-man Meridionale. Tre giovani uomini Jarawa mostrano decorazioni sul corpo e gioiel-li (qui sopra). Gli Onge abitano oggi le zone costiere di Piccola Andaman. Una madreOnge col suo bambino (a destra) mostra la tradizionale pratica di dipingersi faccia ecorpo con argilla bianca. I membri del gruppo dei Sentinelesi si lasciano vedere rara-mente: vivono su North Sentinel Island, che difendono strenuamente dalle intrusioni.

POPOLAZIONE INDIGENA

ca e ora indiana - ha preteso il suo tri-buto: negli ultimi due secoli, il numerodegli Andamani è sceso vertiginosa-mente, a partire da una popolazioneche a metà del XIX secolo si stimavaattestata intorno ai 5000 abitanti.

Oggi sopravvivono sulle isole soloquattro tribù: i Grandi Andamani, gliOnge, i Jarawa e i Sentinelesi. Gli stu-diosi ritengono tuttavia che un tempovi abitassero circa 12 gruppi geografi-camente separati e con una loro indivi-dualità linguistica. Il tempo comincia astringere per gli ultimi rappresentantidella cultura aborigena andamanese.Nella speranza di apprendere qualcosadi più sugli Andamani, fra il 1989 e il1993 ho passato circa 18 mesi sulleisole, vivendo soprattutto con i mem-bri della tribù Onge.

Passato paleoliticoLe origini degli Andamani restano

materia di speculazione. I dati attual-mente in nostro possesso - i più recentiricavati dagli scavi effettuati da ZanneCooper del Deccan College (India) -confermerebbero la teoria di una lun-ga, continua occupazione delle isole,almeno negli ultimi 2200 anni. Alcunistudiosi ritengono che gli antenati delleattuali popolazioni indigene abbianoraggiunto l'arcipelago circa 35 000 an-ni fa. La piccola statura e il caratteristi-co tipo di capelli degli Andamani, in-sieme con il colore molto scuro dellapelle, denotano la loro appartenenza auna etnia decisamente diversa sia daquella della popolazione indiana conti-nentale sia da quella della popolazioneaborigena delle vicine Isole Nicobare.

Lidio Cipriani - che all'inizio deglianni cinquanta diresse l'ufficio di PortBlair dell'Anthropological Survey of

India - e, più di recente, VishvajitPandya della Victoria University, inNuova Zelanda, hanno ipotizzato chegli Andamani siano imparentati conun altro gruppo di Negrito, e precisa-mente con i Semang dell'Asia sudo-rientale. Alcuni dati genetici recenti,sebbene ancora non confermati, indi-cano che gli abitanti delle Isole Anda-mane potrebbero discendere dai primiuomini migrati dall'Africa 100 000 an-ni or sono, che raggiunsero le isole fra i35 000 e i40 000 anni fa.

Sono state avanzate due ipotesi sulpercorso seguito dagli Andamani perraggiungere l'arcipelago. Circa 40 000anni fa, quando il livello marino eradecisamente più basso dell'attuale acausa delle glaciazioni, le future popo-lazioni andamane avrebbero potuto at-traversare il mare poco profondo sia apiedi sia con le loro canoe scavate intronchi d'albero, partendo da Sumatrae attraversando le Isole Nicobare op-pure venendo dalle coste della Malesiae della Birmania.

Contrariamente a una convinzionediffusa ma inesatta, gli Andamani nonsono cannibali, né mai lo furono. Laprobabile origine di questa leggenda èda ricercarsi nell'usanza, ormai abban-donata, di fare a pezzi i cadaveri deinemici e gettarli nel fuoco. A quantopare, gli osservatori esterni diedero perscontato che questo atto altro non fos-se se non il preambolo a un festinocannibalesco. Ma gli studiosi hannooggi accertato che i corpi non veniva-no mai mangiati, e che questa prassiera semplicemente una misura precau-zionale per allontanare gli spiriti ostili.Gli abitanti delle isole sono soliti inve-ce seppellire i propri congiunti all'in-terno delle capanne adibite agli incon-tri e alle cerimonie comunitarie, così

da tenere i loro spiriti vicini ai membridella famiglia.

Spesso gli abitanti delle Andamanevengono descritti come appartenenti auna cultura dell'Età della pietra, ma èinesatto pensare che siano stati com-pletamente isolati fino all'arrivo dei co-loni britannici. Anche in precedenza,gli isolani erano vittime della tratta de-gli schiavi, nel Sud e Sud-est asiatico.Molti schiavi andamani furono portatial raja di Kedah, che poi li inviò al redel Siam come parte del proprio tribu-to. Sembra addirittura che alcuni schia-vi provenienti dalle Isole Andamaneabbiano raggiunto la corte di Francia.Inoltre, come tutti gli abitanti delle iso-le, gli Andamani hanno sempre incor-porato nella propria cultura gli oggettipiù disparati portati a riva dal mare orecati dai visitatori nel corso dei secoli.

Durante i miei viaggi a scopo di ri-cerca nelle Isole Andamane, ho passa-to la gran parte del tempo con la tribùdegli Onge. Attualmente, su PiccolaAndaman vive circa un centinaio diOnge in due insediamenti permanenti:Dugong Creek, a nord, e South Bay,all'estremità meridionale dell'isola; ilresto è abitato da immigrati indiani et-

nicamente distinti. Raccogliendo le tra-dizioni orali degli Onge, le mie osser-vazioni e le prime ricerche di Cipriani,di Badal Basu dell'AnthropologicalSurvey of India e di Pandya, sono riu-scita a mettere insieme una serie diinformazioni sui costumi degli Onge esu molte tradizioni andamanesi.

Vita quotidianaNel corso delle mie numerose inter-

viste con circa 30 fra donne, uomini ebambini Onge, sono emersi particolariprima sconosciuti sulla loro vita nellaforesta. Questi dialoghi si sono svoltinell'idioma degli Onge; alcune delledescrizioni più ricche mi furono forniteda tre uomini, Bada Raju, Totanange eTilai. Ho messo insieme le loro dichia-razioni nel racconto che segue:

«Durante la stagione secca [gli Ongeantichi o contemporanei] raccoglieva-no il bulundange [il frutto dell'alberodel pane] e ne facevano provvista.Riempivano con i frutti i tole [grandicanestri], li coprivano di foglie, li lega-vano e li nascondevano nella foresta.Così, quando pioveva molto, avevanoda mangiare. Erano anche soliti caccia-

re, e tornare col maiale, e quando loavevano finito, mangiavano il bulun-dange. Allora non avevano il tè, e be-vevano solo acqua. Facevano provvi-sta di molta legna secca, perché quan-do il tempo è umido, è difficile fare lalegna. Ecco perché tutta la legna vieneraccolta e messa via durante il Torale[la stagione secca]. Poi, prima che ini-zino le piogge, viene costruita la gran-de tokabe [la capanna della comunità],ed è molto comodo stare al suo internodurante le piogge.

«In passato, non esisteva lavoro apagamento, e noi avevamo il tempoper costruire le nostre abitazioni, pro-curarci i maiali, e mangiare maialimolto grassi. La nostra gente non pos-sedeva attrezzi, fabbricava i bucu [pen-tole di argilla]... per cucinare il maiale.Poi, quando arriva il Kwalokange [ilmonsone di sud-est], i maiali selvaticidiventano magri, e non sono più buo-ni. Nei ruscelli della foresta noi pesca-vamo pesce e nana [gamberetti].

«Allora non esisteva il ferro: usava-mo il legno degli alberi di betel... marecuperavamo il ferro dal mare, quan-do lo portava a riva. E usavamo la re-sina degli alberi per affilarlo. Altrimen-ti usavamo il legno della foresta. Co-struimmo una dange [una canoa ditronchi scavati] con un legno diverso,ma quando la mettemmo in acquaaffondò; così capimmo che quel legnonon era adatto. Prendemmo un altrotipo di legno, lo mettemmo in acqua erestammo a guardare: sì! Stava a galla.E allora era quello che avremmo usato.Era così che imparavamo le cose.

«A quei tempi non esisteva il filo dinylon, la fibra che usiamo oggi per uc-cidere le testuggini. Entravamo in ac-qua e ci affollavamo intorno alla te-

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Per alcuni abitanti delle Isole Andamane la vita domestica riflette le usanze tradizio-nali; per altri prevalgono gli usi del mondo moderno. Una donna Onge prepara il ri-so (fornito dal Governo indiano) per il pasto di mezzogiorno della sua famiglia in unatradizionale abitazione Onge a South Bay, su Piccola Andaman (a sinistra). A StraitIsland, Golat, un giovane del gruppo dei Grandi Andamani guarda una partita dicricket alla televisione della scuola assieme a due bambini della comunità (sotto).

Digging through Darkness: Chroniclesof an Archaeologist (University Pressof Virginia, 1995), Carmel Schrire,della Rutgers University, ha scritto che,sebbene «le opinioni e le sensazioni de-gli espropriati» vengano raramente re-se note, «non è che non fossero espres-se... Semplicemente, non furono regi-strate». Di conseguenza, gran partedelle conoscenze sul periodo colonialeci viene dai resoconti degli scontri, cosìcome venivano riportati dai coloni.

Alle popolazioni locali che vivevanosu Andaman Settentrionale, AndamanCentrale e Andaman Meridionale, l'ar-rivo degli inglesi portò dapprima spar-gimento di sangue, poi malattie edespropri. Nel 1901, quando gli inglesieseguirono il primo censimento nelsubcontinente indiano, i funzionaricontarono 625 appartenenti al gruppodei Grandi Andamani e stimarono co-me segue gli altri tre gruppi: 672 Onge,468 Jarawa e 117 Sentinelesi. Dopouna breve occupazione giapponese du-rante la seconda guerra mondiale, l'In-dia prese il controllo dell'arcipelagoandamano nel 1947.

A Dugong Creek, su Piccola Andaman,alcuni residenti preferiscono le tradizio-nali abitazioni Onge (sopra) alle case dilegno costruite dalle autorità indiane. In-vece, i Grandi Andamani vivono nelle ca-se costruite dal Governo, come la casa diBoro a Strait Island (sotto).

Motivo decorativo Jarawa, usato su cinture di foglie

stuggine, e usavamo l'incenso della fo-resta: facevamo una torcia con il kuen-deve [foglie essiccate di calamol e laaccendevamo con l'incenso quandoeravamo intorno all'animale. Eravamomolti Onge a quell'epoca, ed è così checircondavamo la testuggine. Alloranon le arpionavamo: usavamo le freccesolo per cacciare i maiali selvatici.

«E questo è il modo in cui cattura-vamo anche i dugonghi. Aspettavamola bassa marea e poi andavamo a cac-cia di testuggini e dugonghi di notte.Non quando c'era alta marea, altri-menti saremmo affogati. Dopo, torna-vamo di nuovo nella foresta, e prende-vamo altro incenso, e lo accendevamo,e andavamo a caccia di maiali selvatici.

«Eravamo molti Onge, allora, e nonavevamo paura di Tommanyo [unospirito della notte], e andavamo nellaforesta di notte. Non avevamo pauraallora. A quel tempo c'erano Ongeovunque, molti bera [raggruppamen-ti territoriali] dappertutto. Eravamomoltissimi. Di notte i maiali dormiva-no ed era allora che andavamo a cattu-rarli. Era molto facile prenderli. Tor-navamo di giorno e cercavamo il maia-le cacciato la notte precedente. Poi loportavamo indietro con noi, lo affumi-cavamo e lo cucinavamo. Era così chevivevamo. Non avevamo vestiti allora,indossavamo la corteccia degli alberidella foresta. Le donne si vestivano conil kuendeve. Queste erano alcune dellecose che facevamo.»

Come molti altri gruppi indigeni,anche gli Onge percepiscono se stessicome abitanti di un universo intercon-nesso, popolato da molti spiriti, checomprendono gli Onkoboykwo, gliantenati, che hanno un ruolo attivonella vita quotidiana. Gli Onge condi-vidono questo universo con i tomya:altri spiriti che manifestano la propriapresenza come venti spiranti da diversedirezioni, che quindi caratterizzano lestagioni e danno loro il nome.

Secondo gli Onge, il ciclo della vita edella morte è alimentato dal cibo. Peresempio, una nuova vita viene conce-pita quando una donna mangia cibinei quali abitano gli Onkoboykwo. Glispiriti degli antenati, che abitano in unregno simile al mondo degli Onge, nonhanno denti e non possono masticare.Così soddisfano la propria fame intro-ducendosi nei diversi alimenti. Quan-do le donne mangiano i cibi contenentigli spiriti, gli Onkoboykwo diventanoOnge; dopo la morte gli Onge si rara-sformano in Onkoboykwo. Il cibo èanche fondamento di interazioni socia-li: stretti legami si sviluppano fra unbambino e tutte le donne che l'hanno

allattato da piccolo, così come tra ilbambino e l'uomo o la donna che pro-curarono il cibo dal quale sua madrerimase ingravidata.

La descrizione chiarisce il significatoprofondo e simbolico racchiuso nel ci-bo consumato dagli Onge: un signifi-cato che riflette sia la loro economia dicacciatori-raccoglitori sia il loro rap-porto con l'ambiente. Il legame con lanatura, molto forte, prescrive agli On-ge che cosa mangiare e dove vivere du-rante l'anno. Con l'inizio della stagio-ne calda e secca (generalmente a marzoo aprile), per esempio, le famiglie Ongelasciano le zone costiere, dove hannovissuto cacciando testuggini, e si ad-dentrano nella foresta per raccogliere iltanja [miele]. Il trasferimento segna l'i-nizio della stagione del Torale, quandogli spiriti lasciano le isole. Le famigliedi un bera si radunano nella grande ca-panna comune, a forma di alveare, do-ve sono sepolte le ossa degli antenati.

L'arrivo dello spirito Dare, che ca-valca il monsone sudoccidentale (soli-tamente a giugno), segna la fine delTorale e il momento di lasciare l'inter-no della foresta per portarsi nei rifugipresso i torrenti e nelle foreste di man-grovie; qui gli Onge trovano granchi,pesci e frutti delle mangrovie. QuandoDare riparte, in settembre, gli Ongetornano nelle foreste e continuano a ci-barsi di maiali selvatici fino a ottobre,quando arriva lo spirito Kwalokangee, con esso, il monsone sudorientale.

Allora gli Onge tornano sulla costa acacciare dugonghi. Essi credono che lospirito Kwalokange divori i maiali ri-masti nella foresta, lasciandone solouna piccola quantità per Mekange, lospirito del vento di nord-est. L'arrivodi Mekange, che si fermerà da novem-bre a febbraio, indica che possono ri-cominciare a cacciare le testuggini. Ilciclo stagionale si è completato.

Tutto ciò che ho descritto dei costu-mi e delle credenze degli Onge si riferi-sce al loro stile di vita tradizionale, chein larga misura condividevano con glialtri popoli delle isole. Questa culturatradizionale va però declinando da al-meno un secolo e mezzo.

Il periodo colonialeNel 1858 - anno d'inizio di una sto-

ria di colonizzazione ininterrotta - ilGoverno britannico istituì sulle IsoleAndamane una colonia penale perma-nente. All'epoca in cui arrivarono i pri-mi coloni inglesi, gli indigeni abitavanola maggior parte delle circa 200 isoledell'arcipelago. Le relazioni con gli in-glesi portarono alla cosiddetta pacifi-cazione di diversi gruppi della tribù deiGrandi Andamani, come pure di alcu-ne popolazioni costiere di Onge.

Naturalmente, «pacificazione» è untermine improprio: i militari lo usava-no per indicare l'annientamento, spes-so con la violenza, della resistenza del-le popolazioni locali. Nel suo libro

Il successivo stile di governo degli in-diani fu anch'esso improntato a unospirito colonialista, almeno per quantoriguardava gli isolani. Il cambiamentodi regime non significò altro che untrasferimento di potere da inglesi a in-diani. Il Governo indiano, come il pre-cedente, tentò di accollarsi «la respon-sabilità» di assistere le popolazioni in-digene. Tuttavia, le malattie e altri fat-tori negativi continuarono a esigere illoro tributo. Nel 1951, quando l'Indiaindipendente fece il suo primo censi-mento, il numero degli appartenenti aiGrandi Andamani era ridotto a sole 23anime. Anche le stime relative agli altrigruppi erano basse: 150 Onge, 50 Ja-rawa e 50 Sentinelesi.

Attualmente, delle circa 40 personeche possono affermare di discenderedal ceppo dei Grandi Andamani, moltehanno anche recenti parentele indiane.Si stima che oggi sopravvivano solo100 Onge, 250 Jarawa e 100 Sentine-lesi. I danni più gravi e di più lunga du-rata derivanti dal contatto con gli occi-dentali sono stati sopportati dai Gran-di Andamani, che sono stati reinsediatisulla piccola Strait Island; il Governoindiano ha disposto tale misura a titolodi riparazione per le storiche ingiustizieche questa gente ha subìto.

Sia i Grandi Andamani sia gli Ongeconducono oggi una vita sedentaria, ri-cevendo regolari approvvigionamentidistribuiti dal Governo. Jarawa e Sen-tinelesi hanno superato meglio degli al-tri gruppi il periodo coloniale. La tribùdei Jarawa, vivendo nel fitto della fore-sta, continua ad avere interazioni mol-to limitate con estranei, e qualsiasicontatto - quando lo tollerano - haluogo alle loro condizioni. I membridella tribù Sentinelese (il nome derivadall'isola in cui vivono) hanno pochis-simi contatti con il mondo esterno. En-trambi i gruppi - ma in particolare iSentinelesi - difendono i propri confiniterritoriali con arco e frecce, oggi resepiù efficaci dalle punte di ferro. Nel di-chiarare la propria intenzione di com-prendere i Jarawa fra i «cittadini a pie-no titolo del paese», i funzionari india-ni stanno cercando di indurli a intera-zioni più pacifiche, allettandoli con lapromessa di noci di cocco, banane, ri-so, tessuti e ferro.

L'insigne ecologo Romulus Whi-taker ha affermato che la più grave mi-naccia per i Jarawa è oggi rappresenta-ta dalla violazione sempre più spintadei loro migliori territori di caccia e dipesca da parte del mondo esterno. Egliosserva che i Jarawa sono disposti acorrere notevoli rischi per procurarsi ilmetallo per fabbricare punte di frecce:

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LE SCIENZE 372/ agosto 1999

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Alcuni Jarawa corrono incontro a una barca governativa mandata per osservarli econsegnar loro noci di cocco, banane, riso, ferro e tessuto rosso. All'inizio del XX se-colo gli antropologi iniziarono a offrire stoffe rosse ai Jarawa; la tradizione continua.

fra l'altro compiono scorrerie in can-tieri per la costruzione di strade, ac-campamenti nella foresta e fattorie.Come indica il numero degli «incidenticon i Jarawa» (di cui i mezzi di comu-nicazione si occupano esclusivamentequando ci sono morti da parte india-na), i colonizzatori, gli occupanti abu-sivi dei territori Jarawa e la polizia sisono arrogati il compito di condurreuna piccola guerra contro queste gentisenza l'approvazione del Governo.

I Sentinelesi, invece, godono di unacerta sicurezza, dovuta al fatto di occu-pare un'isola piccola, defilata e di diffi-cile accesso. Essi hanno continuato aopporre al mondo esterno una resi-stenza decisa e fino a otto anni fa ave-vano attivamente respinto ogni tentati-vo di raggiungere la loro isola. Tutta-via, nel 1991, accettarono alcune nocidi cocco da parte di una spedizione diantropologi e funzionari governativiindiani. Da allora non ci sono stati ul-teriori sviluppi. Da quel poco che si èpotuto osservare, il loro stile di vita ela loro cultura materiale sono simili aquelli degli altri gruppi di Andamani.

In anni recenti, il termine «etnoci-

dio» è entrato nell'uso per descrivere ladistruzione attualmente in corso dimolte culture indigene. Gli individui,di per se stessi, non sono fatti intenzio-nalmente oggetto di violenza, ma spes-so vengono sequestrati all'interno di ri-serve dove vengono sottomessi allamaggioranza che ha preso il soprav-vento sulle loro terre, lasciando i grup-pi minoritari senza mezzi alternativi disussistenza. L'ernia dominante procedepoi a migliorare le condizioni di questi«primitivi» distruggendo ogni elemen-to del loro modo di vita «retrogrado»,portando alla morte di quella cultura.

Queste politiche sembrano ispirateal desiderio umanitario di aiutare lepopolazioni primitive, ma riflettonoanche il pregiudizio che il loro modo divita sia intrinsecamente inferiore e chedebba essere soppiantato da uno stilediverso e migliore. Inoltre, queste poli-tiche presumono che gli indigeni nonsiano in grado di pianificare il propriofuturo e che persone estranee alla lorocultura debbano intromettersi per aiu-tarli. In realtà, l'assimilazione degliabitanti delle Isole Andamane alla tra-dizione indiana ha giovato soprattutto

ai colonizzatori. Quando i britannicioccuparono Andaman Settentrionale,Andaman Centrale e Andaman Meri-dionale e svilupparono progetti com-mercialmente più proficui sulle terreoccupate dai Grandi Andamani - il ta-glio del legname, l'agricoltura e il di-sboscamento per la costruzione dinuove strade - le politiche governativefurono favorevoli al trasferimento del-le popolazioni isolane indigene in inse-diamenti circoscritti. E dopo che l'In-dia ebbe conquistato l'indipendenza, leforeste di Piccola Andaman, dove vi-vono gli Onge, diventarono anch'essebersaglio dei progetti di sviluppo.

Purtroppo, indipendentemente dalcontesto, per gli abitanti delle Isole An-damane le politiche governative hannocomunque significato il controllo di unterritorio sempre più piccolo, la gra-duale distruzione del loro unico validostile di vita e, infine, la costrizione a in-grossare i ranghi degli emarginati delsubcontinente indiano. Come osservaDavid Maybury-Lewis di Cultural Sur-vivai, «la terra e la lotta per conservar-la sono al centro del problema dellasopravvivenza culturale, perché la ga-ranzia [del possesso] della propria ter-ra è ciò di cui le popolazioni tribalihanno più bisogno». Ma poiché le ri-vendicazioni della terra da parte dellepopolazioni indigene di tutto il mondorappresentano una sfida all'autoritàstatale, non sorprende che la maggiorparte abbia avuto scarso successo.

Qualsiasi discussione sui diritti uma-ni a livello internazionale dovrebbe af-frontare le rivendicazioni territoriali daparte delle popolazioni indigene e stu-diare vie alternative per risolvere que-ste dispute. Ci vorrà del tempo primache gli abitanti delle Isole Andamanediventino essi stessi abbastanza attivipoliticamente per poter fare un tentati-vo autonomo di definire i propri dirit-ti. Per noi che veniamo da fuori, il pri-mo passo è, allora, riconoscere che sipuò, e si deve, consentire loro di piani-ficare il proprio futuro.

SITA VENKATESWAR, laureata alla Rutgers Univer-sity, insegna scienze antropologiche alla Massey Univer-sity, in Nuova Zelanda. La sua ricerca sulle Isole Anda-mane fu resa possibile, dal 1991 al 1993, da una borsa distudio della National Science Foundation. Al momento;la Venkateswar si sta occupando di quello che è da tem-po uno dei suoi principali interessi, ossia l'uso del mezzovisivo in antropologia, sviluppando nuovi corsi sui film esulla cultura indiana. Ha anche intrapreso una ricerca inNepal per studiare la documentazione visiva del lavorominorile.

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