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AVVOCATO QUADERNI dell’ ASPIRANTE i 54A/2 Gruppo Editoriale Simone E IMON S EDIZIONI GIURIDICHE MANUALE DI BASE PER LA PREPARAZIONE ALLA PROVA ORALE DIRITTO COSTITUZIONALE IN APPENDICE GLI ARGOMENTI OGGETTO DI DOMANDA D’ESAME III Edizione

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AVVOCATOQUADERNI dell’ ASPIRANTEi 54A/2

Gruppo Editoriale Simone EIMONSEDIZIONI GIURIDICHE

MANUALE DI BASEPER LA PREPARAZIONE ALLA PROVA ORALE

DIRITTOCOSTITUZIONALE

IN APPENDICE GLI ARGOMENTIOGGETTO DI DOMANDA D’ESAME

III Edizione

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI

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E5 - La CostituzionE EspLiCataa cura di F. del GiudiceXI Edizione • pp. 416 • 15,00

Un commento alla Costituzione, articolo per articolo, che facilita lo studio della nostra Carta fondamentale e che consente di focalizzare l’attenzione sul testo di ogni norma, sul significato di ciascun comma e delle singole parole, rivelandosi di particolare utilità per la preparazio-ne agli esami universitari, nonché dei principali concorsi.Il volume consente una lettura più attenta e meditata della Costituzione repubblicana per permettere al lettore di apprezzarne e valutarne appieno i significati, l’attualità e i contenuti. Completa il testo un’appendice che crea un ponte ideale tra passato, presente e futuro contenente lo Statuto Albertino e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, entrambi corredati di una breve de-scrizione delle vicende relative alla loro formazione e dei loro contenuti, nonché una rassegna dei siti istituzionali e delle principali associazioni fra gli enti locali presenti su Internet per facilitare approfondimenti e ricerche.

Direzione scientifica del prof. Federico del Giudice

Revisione del testo a cura del dott. Pietro Emanuele

Finito di stampare nel mese di luglio 2012dalla «Litografia Enzo Celebrano» - Via Campana, 234 - Pozzuoli (NA)

per conto della SIMONE S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - Napoli

Grafica di copertina di Giuseppe Ragno

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PREMESSA

Già da prima che fossero istituiti i nuovi esami per procuratore, poi av-vocato, le Edizioni Simone hanno preso a cuore le esigenze degli aspiranti avvocati pubblicando una serie di fortunati testi di preparazione agli esami.

Si è posta attenzione ai volumi indirizzati alle prove orali in quanto, il candidato, all’atto della preparazione, già possiede le nozioni di base e, quindi, necessita più che di testi istituzionali, di lavori sistematici e riassuntivi che gli consentano di «riorganizzare» le sue conoscenze in vista dell’esame.

Ciò soprattutto in considerazione dei tempi di studio, sempre più stretti, e dei potenziali interlocutori che fondano le loro conoscenze sulla pratica professionale più che su un sapere accademico, modificando così l’ottica di inquadramento dei singoli istituti.

Sulla base di tali convinzioni, e monitorando il sito e il forum di www.sarannoavvocati.it, i nostri autori hanno tenuto presente le indicazioni di quanti hanno superato con esito positivo le prove e, richiamandosi a Giusti-niano, hanno tagliato «il troppo e il vano».

Nasce così, dal ponderoso e già ben affermato volume collettaneo «L’esa-me di avvocato» (giunto alla XVIII edizione), un’ultima generazione di testi: i Quaderni per l’esame di avvocato.

Il lavoro fa il punto sulle più recenti novità normative e, in particolare, sull’introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Costituzione (L. cost. 20 aprile 2012, n. 1) mediante la modifica degli artt. 81, 97, 117 e 119.

La novità dei Quaderni, rispetto ai manuali maggiori, è che la trattazione non si limita alla sola parte istituzionale ma, seguendo un recente orientamen-to didattico, riporta un’utile appendice che elenca gli argomenti dei quesiti potenzialmente oggetto di prova di esame.

Tali quesiti formulano l’argomento in termini di una risposta esaustiva e centrata operando anche collegamenti, paralleli e differenze con istituti affini.

Anche i Quaderni, dunque, si giovano della esperienza Simone per offrire il prodotto «giusto» al momento «giusto».

A proposito … anche il prezzo ci sembra «giusto» per la soddisfazione totale dei nostri lettori.

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Capitolo Primo ...................................Lo Stato

1. ConCEtto di stato

Lo Stato può essere definito come la forma di organizzazione del potere politico, cui spetta l’uso legittimo della forza, su una comunità di persone all’interno di un determinato territorio.

Lo Stato è, quindi, un ordinamento:

— politico, vale a dire diretto a fini generali, in quanto è portatore dei fini del gruppo sociale. Si noti, però, che in ogni contesto storico esso è chiamato a sceglier alcune finalità piuttosto che altre (produrre, cioè, «burro o cannoni» a seconda dell’indirizzo politico dominante);

— giuridico, in quanto il sistema delle norme che regolano la condotta dei consociati e degli stessi pubblici poteri ne costituisce elemento essenziale e indefettibile;

— sovrano, in quanto detiene la suprema potestà d’impero, che si impone sul territorio;

— originario, in quanto trova in se stesso il fondamento della sua validità, non derivando dalla volontà di alcun ordinamento superiore;

— indipendente, in quanto non riconosce alcuna autorità superiore e in quanto si pone in posizione di parità con gli altri ordinamenti.

2. ELEmEnti Costitutivi dELLo stato: sovranità, popoLo E tErritorio

Lo Stato si compone di tre elementi costitutivi essenziali, tra di loro stretta-mente correlati: un elemento personale (popolo), un elemento spaziale (territorio) e un elemento organizzativo (sovranità).

a) La sovranità

Il termine «sovranità» indica il potere supremo dello Stato all’interno del proprio territorio e, al tempo stesso, l’indipendenza dello Stato rispetto a qualsiasi altro ordinamento giuridico-statale.

Così inteso il concetto di sovranità presenta due aspetti fondamentali:

— la sovranità esterna, che riguarda i rapporti dello Stato con gli altri Stati e si concreta nella posizione di indipendenza dello Stato da qualsiasi autorità statale straniera;

— la sovranità interna, che riguarda i rapporti dello Stato con gli individui che risiedono sul suo territorio e si oggettiva nella posizione di supremazia del primo nei confronti dei secondi.

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La sovranità presenta i seguenti caratteri:

— è originaria: nasce con l’ordinamento dello Stato e solo con esso viene meno;— è esclusiva: spetta, cioè, solo allo Stato;— è incondizionata: non può cioè essere limitata da enti esterni allo Stato senza il consenso di

quest’ultimo.

Il nostro Stato accoglie la teoria della «sovranità popolare», vale a dire che lascia che sia il popolo ad operare le scelte determinanti per l’azione statale. La Costituzione detta disposizioni in materia agli artt. 1 (la sovranità appartiene al popolo), 7 (si afferma la sovranità dello Stato nei confronti della Chiesa Cattolica), 11 (consenso alle limitazioni di sovranità derivanti dall’or-dinamento internazionale).

B) il popolo

Il termine popolo sta ad indicare la comunità di individui ai quali l’ordi-namento giuridico statale attribuisce lo status di cittadino (MARTINES).

La cittadinanza, conseguentemente, è la condizione cui la Costituzione riconnette una serie di diritti e doveri (BIN-PITRUZZELLA). È apolide il soggetto che ha perso la cittadinanza e non può acquistarne altra. È bipolide, invece, chi ha la cittadinanza di due Stati. Il riconoscimento della cittadinan-za ha segnato il passaggio da un mero stato di soggezione al potere pubblico (sudditanza) a uno stato di libertà che implica anche il diritto di partecipare alla vita politica del proprio paese.

Differenze

Dal concetto di popolo vanno tenuti distinti i concetti di popolazione e di nazione. Popolazione è l’insieme degli individui che si trovano, in un certo momento, nel territorio di uno Stato; si tratta di un concetto non giuridico, ma demografico o statistico. Nazione è una nozione politica e sociologica che tende a raggruppare gli individui in base a fattori di lingua, razza, religione etc. Da tali differenze si deduce che non sempre uno Stato è composto da un’unica nazione. Basti pensare alla ex Jugoslavia, alla Svizzera, al Belgio o alla Spagna.

C) La cittadinanza europeaIl Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre 1993,

riconosceva ai cittadini degli Stati membri, oltre la cittadinanza nazionale, anche quella europea.Con la riforma dei trattati operata dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre

2009, la cittadinanza europea viene ribadita in modo più netto, prevedendosi all’art. 9 del Trattato sull’Unione europea e all’art. 20 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che «è cittadino dell’unione chiunque abbia la cittadinanza di uno stato membro». Pertanto, la cittadinanza europea si affianca e non sostituisce la cittadinanza nazionale. Sono cittadini europei anche coloro che hanno una doppia cittadinanza, di cui una di uno Stato membro e l’altra di uno Stato terzo.

Il secondo comma dell’art. 20 TFUE precisa che i cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dai trattati.

Sono, quindi, precisati alcuni dei diritti che spettano al cittadino europeo e che sono eser-citati secondo le condizioni e i limiti definiti dai trattati e dalle misure adottate in applicazione degli stessi:

— il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (cfr. art. 21 TFUE);

— il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiedono, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato (cfr. art. 22 TFUE);

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— il diritto alla tutela delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, nel territorio di un paese terzo nel quale lo Stato membro di cui hanno la cittadinanza non è rappresentato, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato (cfr. art. 23 TFUE);

— il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo, di ricorrere al Mediatore europeo, di rivolgersi alle istituzioni e agli organi consultivi dell’Unione in una delle lingue dei trattati e di ricevere una risposta nella stessa lingua (cfr. art. 24 TFUE).

d) il territorio

Il territorio è la sede su cui è stabilmente organizzata la comunità statale e sulla quale si estende la sovranità dello Stato.

Il territorio in senso stretto comprende:

— la terraferma: che abbraccia la parte della superficie terrestre compresa nei confini dello Stato;— il mare territoriale: cioè la fascia costiera di mare su cui si esercita la potestà dello Stato. La sua misura è fissata, per norma consuetudinaria, ad una distanza massima di 12 miglia

dalla costa, e tale è il limite esterno individuato dalla legge italiana ex art. 2 cod. nav.;— la piattaforma continentale: cioè il sottosuolo marino e la zona di mare soprastante compren-

siva della zona economica esclusiva che si estende fino a 200 miglia dalla costa e al cui interno tutte le risorse economiche sono di pertinenza dello Stato costiero, fatto salvo il diritto degli altri Stati di navigazione, sorvolo e posa di cavi e oleodotti;

— il sottosuolo e lo spazio aereo sovrastante la terraferma e il mare territoriale, con esclusione dello spazio extra-atmosferico, nei limiti della loro effettiva utilizzabilità.

Il territorio in senso lato (o fluttuante), invece, comprende anche:

— le navi e gli aerei mercantili che, se viaggiano in alto mare e sul cielo soprastante, sono consi-derati a tutti gli effetti territorio nazionale.

Non così se si trovano nelle acque territoriali di un altro Stato;— le navi e gli aerei militari che, dovunque si trovino, sono tradizionalmente considerati a tutti

gli effetti «territorio nazionale». Questa tesi oggi ha perso vigore, tanto che anche le navi e gli aerei da guerra tendono a non

essere più considerati «frammenti del territorio nazionale».

Le convenzioni internazionali disciplinano inoltre due situazioni particolari riguardo al territorio statale:

— l’extraterritorialità (le sedi diplomatiche straniere sono sottratte al potere di imperio statale);— l’ultraterritorialità (la potestà statale è esercitata su edifici siti fuori dal proprio territorio: ad

esempio, le sedi diplomatiche italiane all’estero).

3. Funzioni dELLo stato

Ogni organizzazione, per definizione, è diretta al raggiungimento di parti-colari fini, ha cioè una o più funzioni.

Le funzioni di ogni Stato possono così sintetizzarsi:

— funzione costituente. Rappresenta la funzione primaria mediante la quale lo Stato organizza se stesso. È attraverso la Costituzione, infatti, che lo Stato predispone i principi e le regole generali del suo funzionamento (SANDULLI, BARILE);

— funzione legislativa. Consiste nell’emanazione delle norme necessarie al mantenimento della compagine statale e al suo sviluppo, cioè, nella creazione delle norme generali che regolano in maniera astratta la vita di tutta la collettività;

— funzione giurisdizionale. Consiste nell’attuazione e nel mantenimento dell’ordinamento giuridico attraverso l’applicazione giudiziaria delle norme (sostanziali e processuali) ai singoli rapporti tra cittadini e tra gli stessi e lo Stato;

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— funzione amministrativa. Consiste nella realizzazione concreta dei fini istituzionali stabiliti dall’ordinamento da parte della struttura esecutiva (governativa), della sua organizzazione periferica e dei soggetti autonomi (enti pubblici) che perseguono gli stessi fini dello Stato;

— funzione politica. Consiste nella determinazione delle scelte contingenti relative allo sviluppo della comunità statale.

4. FormE di stato

a) introduzione

Per forma di stato si intende il rapporto che intercorre tra chi detiene il potere e coloro che ne sono assoggettati, e quindi il rapporto che si realizza fra attività e libertà (MORTATI).

Nel corso dei secoli si è assistito ad una graduale evoluzione dalle forme di Stato con il pas-saggio dallo Stato assoluto a quello liberale per giungere infine, dopo le esperienze particolari dello Stato totalitario e dello Stato socialista che hanno caratterizzato gran parte del XX secolo, allo Stato democratico e sociale.

B) Lo stato assoluto

Lo Stato assoluto, è il regime politico in cui il potere è esercitato dal sovrano senza restrizioni e limitazioni.

Lo Stato assoluto si caratterizza per l’assenza di divisione dei poteri, tutti ri-conducibili alla persona del Sovrano. Questi, nella cui persona si incarna lo Stato stesso (si attribuisce a Luigi XIV l’espressione «l’État c’est moi», ovvero «lo Stato sono io»), ha poteri illimitati ed è libero da qualunque vincolo legislativo (legibus solutus), ponendosi al di sopra del diritto in qualità di fiduciario di Dio in terra.

Non esiste ancora un sistema di tutela dei sudditi, né si può parlare di diritti, ma solo di pretese spettanti a chi dispone di titoli di proprietà.

La società civile è rigidamente frazionata in ceti, ai quali si appartiene per diritto di nascita, dal momento che la mobilità sociale è molto limitata.

Il monarca resta comunque dipendente dal ceto nobiliare, di cui è espres-sione e dal quale drena le risorse necessarie a sostenere le sue ingenti spese, riconoscendo in cambio privilegi e forme di autonomia.

Nella sua forma illuminata lo Stato assoluto si presenta come stato di po-lizia (dal greco polis = città), orientato ad accrescere il benessere dei sudditi attraverso una compiuta direzione e regolamentazione delle attività sociali.

C) Lo stato liberale e lo stato di diritto

La trasformazione dell’economia da sistema prevalentemente agricolo a sistema industrializzato segna il periodo che va dalla fine del XVIII alla metà del XIX secolo e favorisce l’ascesa della borghesia imprenditoriale le cui ri-chieste di partecipare alla gestione del potere si fanno sempre più pressanti.

Elementi caratterizzanti dello stato liberale sono:

— la natura rappresentativa dei sistemi costituzionali, per cui la legittimazione del potere politico è ravvisata nella volontà dei consociati che eleggono i componenti delle assemblee rappresentative;

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— l’introduzione di nuove regole di gestione del potere secondo il modello della tripartizione delle funzioni statali (legislativa, esecutiva, giurisdizionale);

— il ridimensionamento dei compiti dello Stato, destinato solo a garantire l’ordine e la sicurezza;

— la soggezione dei pubblici poteri alla legge (stato di diritto).

I l cittadino inizia ad essere tutelato, come individuo, contro lo strapotere del Re e dell’apparato amministrativo.

d) Lo stato autoritario e lo stato totalitario

È autoritario lo Stato che si contrappone ideologicamente allo Stato demo-cratico e si ispira ai principi dell’autorità e della gerarchia, in dispregio dei valori ed ideali di libertà e di uguaglianza.

Lo Stato autoritario è una forma contemporanea di Stato che tutela e privile-gia i poteri dei governanti, allo scopo di consentire ai cittadini politicamente più fedeli al sistema di ergersi a classe di governo sotto l’egida dello Stato-apparato.

Secondo LINZ, il «regime autoritario» è un sistema a pluralismo politi-co limitato in cui la classe politica non rende conto del proprio operato agli elettori (cioè al popolo), che a differenza del totalitarismo non si avvale di un’ideologia ufficiale e della mobilità capillare.

La presenza del pluralismo politico limitato costituisce una delle chiavi per differenziare autoritarismo e totalitarismo, nel quale pluralismo politico e democrazia sono del tutto assenti.

LINZ identifica nei regimi autoritari una particolare mentalità di gestione del potere: la mobilitazione delle masse è debole, salvo in momenti particolari (minacce interne o esterne).

i regimi autoritari si distinguono da quelli totalitari proprio perché ideologicamente ed organizzativamente incapaci di mobilitare in maniera permanente le masse.

Mentre i regimi autoritari richiedono una partecipazione discontinua e agnostica, i regimi totalitari pretendono una partecipazione quotidiana: allorquando i primi si accontentano di eliminare il dissenso pubblico, i secondi tentano di comprimere anche la sfera privata dei singoli.

In effetti lo Stato totalitario si distingue da quello autoritario perché prospetta una ideologia ufficiale dello Stato, indiscutibile, che viene imposta a tutti mediante l’uso massiccio e distorto dei mezzi di comunicazione (si pensi, ad esempio, alla propaganda fatta durante il nazismo da Goebbels e dal suo apparato), rivolti al coinvolgimento della coscienza delle masse.

Il totalitarismo, inoltre, si fonda su una mobilitazione permanente delle masse, delle quali cerca il consenso espresso attraverso metodi plebiscitari: si parla, dunque, di totalitarismo perché il momento «politico» viene inteso in senso totale, tendente, cioè, ad investire l’intera vita della società.

E) Lo stato socialeCaratteristica precipua dello Stato sociale è l’azione politica finalizzata alla rimozione delle

diseguaglianze di fatto esistenti nella società, al fine di realizzare i presupposti per conseguire

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l’eguaglianza sostanziale fra tutti i cittadini e la concreta partecipazione dei consociati alla vita pubblica e alla gestione del potere.

Tale tipo di Stato si distingue per i seguenti caratteri:

1) tutela della libera, sicura e dignitosa esistenza di tutti i cittadini;2) impegno statale per raggiungere la piena occupazione;3) intervento statale nel sistema economico e svolgimento di attività di istruzione, assistenza,

previdenza, a favore di tutti i cittadini.

Dal punto di vista istituzionale lo Stato sociale si presenta come un’integrazione dello Stato di diritto, nel rispetto della tradizionale ripartizione dei poteri, dell’assolutezza dei diritti di libertà e del valore primario della legge.

F) stato unitario, stato federale, stato regionaleUn altro criterio di classificazione delle forme di Stato è quello della dislocazione del potere

sul territorio, alla luce del quale si distingue:

— lo Stato unitario, in cui tutte le istituzioni politiche e le strutture amministrative si collocano ad un solo livello, quello centrale;

— lo Stato federale, in cui i membri della federazione hanno una competenza generale, fatta eccezione per le materie che sono espressamente attribuite agli organismi federali. In pratica, al Governo centrale si contrappongono i Governi dei vari Stati membri della federazione;

— lo Stato regionale, che, pur mantenendo ferma l’unità e indivisibilità dello Stato, riconosce la più ampia autonomia territoriale, riservando alcune materie alla competenza, anche legislativa, delle Regioni.

5. FormE di GovErno

a) La forma di governo e il principio della separazione dei poteri

Con l’espressione «forma di governo» si intende il diverso modo in cui si articola e si ripartisce il potere politico tra i vari organi di vertice dello stato, ed in particolare tra parlamento, Governo e Capo dello stato.

Non si può capire veramente il concetto di forma di governo senza accennare brevemente al principio della separazione dei poteri. In virtù di tale principio ciascun organo deve esercitare una sola funzione statale, senza interferenze reciproche. In pratica:

— alla funzione legislativa (esercitata dal Parlamento) spetta il compito di creare la norma giu-ridica, vale a dire quella regola generale ed astratta che si rivolge a tutti i componenti una determinata collettività;

— alla funzione esecutiva (esercitata dal Governo) spetta il compito di dare concreta attuazione alla norma emanata;

— alla funzione giudiziaria (esercitata dalla magistratura) spetta il compito di interpretare e applicare la norma, utilizzandola per risolvere le controversie che insorgono.

Scopo ultimo di tale separazione è quello di garantire che all’occorrenza un potere possa arrestare l’altro, evitando che uno di essi possa prevaricare e degenerare nell’assolutismo o in atteggiamenti tirannici; in pratica esso costituisce la migliore garanzia affinché sia assicurata la libertà politica dei cittadini.

La teoria della separazione dei poteri era sconosciuta agli ordinamenti antichi e medievali, né aveva alcuna ragione di esistere nello Stato assoluto; come si è avuto modo di sottolineare, tutto il potere era concentrato nella figura del sovrano, che non conosceva alcuna limitazione nello svolgimento della sua attività.

La teoria della separazione dei poteri, intesa come criterio per la organizzazione interna dello Stato, fu compiutamente elaborata da Montesquieu nel suo De l’esprit des Lois (1748).

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Lo Stato 11

Quasi tutti gli Stati contemporanei hanno accolto il principio della separazio-ne dei poteri, anche se in concreto le soluzioni adottate sono diverse, soprattutto con riferimento ai rapporti tra chi esercita la funzione legislativa (il Parlamento) e chi esercita la funzione esecutiva (il Governo). In alcuni Paesi la separazione è netta, mentre in altri esiste un rapporto di fiducia tra il Parlamento ed il Governo; in alcuni Stati al vertice dell’esecutivo è posto un Presidente, mentre in altri la figura del Capo dello Stato è puramente simbolica e il Governo è controllato dal Primo ministro. Questi elementi di differenziazione hanno portato ad in-dividuare nella realtà contemporanea diverse forme di governo: monarchia costituzionale, parlamentare, presidenziale, semi-presidenziale e direttoriale.

B) La monarchia costituzionaleLa monarchia costituzionale è quella forma di governo che si è affermata al momento del

passaggio dalla Stato assoluto a quello liberale. Nell’ambito della monarchia assoluta si assisteva alla totale concentrazione del potere (legi-

slativo, esecutivo e giudiziario) nella figura del Sovrano, mentre nel sistema costituzionalizzato la gestione del potere del monarca viene vincolata, mediante un patto che assume la deno-minazione di statuto o Costituzione, al rispetto di precise garanzie giuridiche.

Il potere assoluto del sovrano viene costantemente e gradualmente limitato e si assiste ad una sostanziale dissociazione tra il potere esecutivo (che continua ad essere esercitato dal Re at-traverso i Ministri da lui nominati) ed il potere legislativo, che viene progressivamente trasferito al Parlamento, in particolare alla Camera elettiva quale espressione della volontà dei sudditi che hanno il diritto di elettorato attivo.

Questa prima fase di netta contrapposizione tra il Re ed il Parlamento connota quella che viene generalmente definita come la monarchia costituzionale pura, che attualmente può dirsi ampiamente superata; essa, tuttavia, ha rappresentato il modello cui si sono ispirate le principali costituzioni europee ottocentesche e da essa hanno tratto origine i due fondamentali sistemi politici democratici occidentali: il sistema parlamentare e quello presidenziale.

C) La forma di governo parlamentareSi tratta della forma di governo adottata dalla maggioranza degli Stati contemporanei ed è

caratterizzata dal fatto che il Governo formula un indirizzo politico che si impegna a seguire e di cui è responsabile solo dinanzi al Parlamento il quale, a sua volta, può in ogni momento revocarlo, togliendogli la c.d. fiducia. La carica di Capo dello Stato può essere assunta da un monarca o da un Presidente eletto, ma in genere gode di limitati poteri e non partecipa alla determinazione dell’indirizzo politico.

La principale caratteristica della forma di governo parlamentare è, quindi, costituita dalla commistione tra la funzione legislativa e quella esecutiva; tra i due organi si instaurano complessi rapporti caratterizzati da una serie di pesi e contrappesi (il cd. balance of powers) per cui il Governo, titolare della funzione esecutiva, è sottoposto al controllo del Parlamento, unico organo eletto direttamente dal corpo elettorale.

d) La forma di governo presidenzialeCon il termine presidenzialismo si indica una forma di governo in cui il principio della se-

parazione dei poteri è applicato in maniera assai rigida, ed in particolare è assai accentuata la distinzione tra legislativo ed esecutivo.

Le caratteristiche principali della forma di governo presidenziale sono tre: l’esistenza di un Capo dello Stato (Presidente) eletto direttamente dal popolo, l’assunzione da parte del presidente della repubblica del doppio ruolo di Capo dello stato e di Capo del Governo e l’impossibilità per il Parlamento di approvare una mozione di sfiducia che imponga le dimissioni dell’esecutivo.

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Capitolo Primo12

L’esempio classico di presidenzialismo è quello degli Stati Uniti d’America, dove la carica di Presidente, assume un ruolo preponderante rispetto agli altri organi e riunisce nella sua persona sia la carica di Capo dello Stato sia quella di Capo dell’esecutivo.

E) La forma di governo semi-presidenzialeCostituisce una soluzione intermedia tra la forma di governo presidenziale e quella parla-

mentare. La sua caratteristica principale, infatti, è data dal doppio rapporto di fiducia che lega il Governo; da un lato quest’organo è nominato dal Presidente della Repubblica, ma dall’altro deve comunque godere della fiducia del Parlamento. La carica di Capo dello Stato è assunta da un Presidente eletto direttamente dal popolo, al quale sono attribuiti rilevanti poteri nella deter-minazione dell’indirizzo politico.

Il sistema semi-presidenziale è stato adottato in Francia con la Costituzione del 1958 ed è cosi denominato perché assume contemporaneamente delle caratteristiche proprie del parlamenta-rismo e del presidenzialismo.

F) La forma di governo direttorialeÈ caratterizzata dal fatto che il Governo (che, in questo caso, assume la denominazione di

direttorio) viene nominato dal Parlamento ad inizio legislatura, ma non può essere successivamente revocato attraverso un voto di sfiducia, con la garanzia quindi di poter operare in completa auto-nomia fino alle successive elezioni. Lo stesso direttorio elegge, al suo interno, il Capo dello Stato.

Si tratta di una forma di governo attualmente prevista solo nell’ordinamento svizzero.

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Capitolo Secondo .................................La Comunità internazionale e

l’Unione europea

Sezione PrimaLa Comunità internazionale

1. iL diritto dELLa Comunità intErnazionaLE

Il diritto internazionale costituisce il complesso delle norme e dei prin-cipi che regolano i rapporti intercorrenti tra i soggetti della Comunità internazionale.

Gli elementi che differenziano l’ordinamento internazionale rispetto a quelli nazionali sono:

— l’ordinamento statale è strutturato in modo gerarchico, essendovi un ente sovraordinato (lo Stato) che fissa le regole applicabili alla comunità sottostante, mentre nell’ambito della Co-munità internazionale, data l’inesistenza di un ente sovraordinato, la struttura è paritaria, in quanto composta da enti «sovrani» (qui superiorem non habent);

— l’inesistenza di un ente superiore comporta che sono gli stessi enti sovrani ad imporsi de-terminate regole e a darne esecuzione (rispettandole e facendole rispettare); ciò a differenza degli ordinamenti nazionali in cui vi è un organo superiore (il Parlamento) deputato a fissare le regole valide per tutti;

— in caso di violazione di tali regole non esiste nell’ordinamento internazionale un organo capace di imporne il rispetto; anche se esistono, Corti e Tribunali hanno giurisdizione facol-tativa, nel senso che le loro decisioni sono efficaci soltanto se gli Stati hanno preventivamente accettato la loro giurisdizione. La differenza rispetto agli ordinamenti nazionali è evidente, dal momento che in questi ultimi esiste un organo (la Magistratura) cui spetta il compito di applicare le norme e al quale i cittadini devono obbligatoriamente rivolgersi per risolvere le eventuali controversie;

— il rispetto delle norme dell’ordinamento internazionale è ancora oggi (nonostante i meccani-smi di soluzione pacifica delle controversie previsti nell’ambito dell’ONU) affidato all’istituto dell’autotutela, attraverso il quale è il singolo soggetto dell’ordinamento internazionale ad agire attraverso atti di forza per la tutela dei propri diritti. Nell’ordinamento interno, salvo rare eccezioni, il singolo non può «farsi giustizia da sé».

2. i soGGEtti dELL’ordinamEnto intErnazionaLE

a) Gli stati

Nel diritto internazionale per soggettività giuridica s’intende l’astratta attitudine di un ente a diventare titolare di diritti ed obblighi previsti dalle norme di diritto internazionale.

Per lungo tempo tale capacità è stata attribuita esclusivamente allo Stato, ovvero all’organizzazione politica realizzatasi compiutamente nel 1648, anno del Trattato di Westphalia che segnò il definitivo tramonto di Impero e Papato.

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Capitolo Secondo14

Solo a seguito del secondo conflitto mondiale agli Stati si affiancarono le organizzazioni internazionali e, in considerazione del rilievo assunto, gli individui.

Al fine di determinare il concetto di Stato nel diritto internazionale, deve preliminarmente distinguersi fra:

— stato-ordinamento, se indica l’ordinamento giuridico statale nel suo complesso, comprensivo di tutti i suoi elementi costitutivi;

— stato-apparato o stato-governo, in relazione al solo apparato burocratico e alle strutture di vertice dello Stato, ossia all’insieme degli organi statali che, in un dato momento storico, esercitano la propria potestà d’imperio sulla collettività presente nel territorio nazionale;

— stato-comunità, riferito all’insieme dei soggetti appartenenti alla comu-nità statale e stanziati su un determinato territorio, cui è riconosciuta una propria autonomia sia come individui, che come formazioni sociali.

Dal momento che la capacità di agire nella vita delle relazioni interna-zionali, ovvero la capacità di produrre atti giuridici, vedersi imputare illeciti internazionali, accedere agli organismi deputati al regolamento pacifico delle controversie, è propria degli organi di vertice di un Paese, è allo stato-appa-rato che bisogna propriamente attribuire la soggettività internazionale.

B) Le organizzazioni internazionali

Le organizzazioni internazionali (OI) possono essere definite come asso-ciazioni di stati che perseguono interessi comuni a tutti i loro membri, dall’istituzione di forme di cooperazione stabili ad una vera e propria integra-zione tra gli Stati stessi.

Trattasi di enti aterritoriali, avendo sede nel territorio di uno Stato, e fun-zionali, ossia istituiti per svolgere le funzioni loro delegate dagli Stati membri. Sono dotate di uno Statuto e di organi propri, ed essendo costituite mediante trattati non possono definirsi come soggetti originari di diritto internazionale, bensì come soggetti derivati.

In base all’area geografica in cui operano, esse si distinguono in:

— planetarie, alle quali sono associati Paesi di tutti i continenti (es. ONU);— regionali, i cui Paesi membri appartengono ad una ben identificata area geografica (es. Unione

europea, Unione africana etc.).

In base alle competenze si distinguono organizzazioni internazionali:

— a vocazione universale, quando hanno una competenza tendenzialmente generale, operando in tutti i settori della vita politica, militare, sociale ed economica (es. ONU, UE etc.);

— a vocazione settoriale, se dotate di una competenza circoscritta a specifiche materie, ovvero quando il loro campo di attività è limitato ad un solo settore: militare (NATO, UEO), economico (WTO, FMI, OCSE), umanitario (OMS), o tecnico (ICAO, IATA).

C) Gli individui

La crescente importanza che, a partire del secondo dopoguerra, ha assunto la dignità dell’uomo negli ordinamenti giuridici nazionali e sovra-nazionali, ha prodotto un cambiamento considerevole per quanto riguarda il rapporto

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La Comunità internazionale e l’Unione europea 15

fra Stato e individuo, fra i compiti e i limiti che toccano il primo, i doveri e le possibilità riconosciute al secondo. Se, infatti, prima della seconda guerra mondiale erano gli Stati che si riservavano la tutela delle prerogative e dei diritti degli individui e costituivano gli unici soggetti della Comunità internazionale, oggi, si fa strada l’idea dell’individuo quale soggetto di diritto internazionale, cioè capace di iniziativa per il riconoscimento e la tutela dei propri diritti anche in ambito sovra-nazionale (FOCARELLI).

3. CostituzionE itaLiana E diritto intErnazionaLE

Il momento attuale si contraddistingue per un fenomeno definito «inter-nazionalizzazione del diritto costituzionale e costituzionalizzazione del diritto internazionale» (PALERMO), evidenziandosi con ciò come ormai, da una parte, gli ordinamenti costituzionali siano sempre più influenzati dalla Comunità internazionale e dalle sue norme e, dall’altra, il diritto internazio-nale, a base consuetudinaria, vada assumendo i tratti caratteristici del diritto costituzionale soprattutto attraverso l’ampliamento delle norme a carattere vincolante e un sistema giudiziario sempre più incisivo.

In questo contesto, dunque, assumono sempre più rilevanza le disposizioni della Comunità internazionale cui l’Italia si adegua automaticamente in virtù dei principi sanciti dagli artt. 10 e 11 della Costituzione.

In particolare, l’art. 10 comma 1 Cost., stabilendo che «L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute», esprime la volontà della Repubblica di aprirsi alla comunità internazionale, impegnandosi a produrre, nel proprio ordinamento interno, disposizioni in tutto e per tutto coincidenti con le norme internazionali rico-nosciute dalla comunità di Stati.

L’altro riferimento costituzionale relativo alla partecipazione dell’Italia all’ordinamento internazionale è contenuto nell’art. 11 della Costituzione che prevede: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».

L’articolo 11 Cost. prosegue, dunque, l’enunciazione dei principi che orientano la posizione dell’Italia nel consesso internazionale, con riferimento alla guerra e alle limitazioni della sovranità nazionale ritenute necessarie per consentire la partecipazione della Repubblica ad organizzazioni internazionali che promuovono la pace e la giustizia fra i popoli.

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Capitolo Secondo16

Sezione SecondaL’Unione europea

1. L’ordinamEnto dELL’unionE EuropEa

Con la ratifica dei trattati comunitari veniva istituito un nuovo tipo di or-dinamento giuridico che imponeva agli Stati membri determinate azioni al fine di costituire una nuova figura sovranazionale.

La caratteristica di tale comunità sovranazionale è rappresentata dal fatto che i rapporti fra gli stati membri non sono improntati alla mera coordina-zione intergovernativa per il raggiungimento dei fini dell’ente, ma subordinati (anche se solo in determinati campi) alla volontà superiore dell’ente stesso.

L’ordinamento comunitario è, dunque, in grado di imporsi direttamente ai singoli Stati membri essendo costituito da organi legittimati ad emanare provvedimenti di carattere generale, nonché provvedimenti di carattere indivi-duale che non hanno necessità di essere recepiti dai singoli Stati partecipanti.

Tale ordinamento comporta una limitazione da parte degli Stati membri di una parte della propria sovranità. Ne deriva, così, una serie di vincoli nell’eser-cizio di determinate attività in quei settori nei quali i singoli Stati membri si impegnano a rispettare la volontà delle istituzioni comunitarie.

2. daLLE Comunità EuropEE aLL’unionE EuropEa

a) La dichiarazione schuman e la nascita della CEEL’Unione europea è il frutto di un processo articolato e pluridecennale.Il primo passo concreto verso l’integrazione regionale fu la dichiarazione del 9 maggio 1950

dell’allora Ministro degli Esteri francese Robert Schuman, il quale propose di «mettere l’intera produzione francese e tedesca del carbone e dell’acciaio sotto una comune Alta autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei».

Si inaugurava così l’approccio funzionalista, secondo cui l’obiettivo dell’integrazione europea doveva essere perseguito attraverso il graduale trasferimento di compiti e funzioni in settori determinati a istituzioni sovranazionali indipendenti dagli Stati (1).

La dichiarazione schuman portò alla firma del Trattato di Parigi del 18 gennaio 1951 con il quale fu creata la Comunità economica del carbone e dell’acciaio (CECA) fra Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. Il Trattato di Parigi aveva durata cinquantennale e si è, dunque, esaurito nel luglio 2002, portando all’estinzione della CECA.

La positiva esperienza della CECA fu seguita pochi anni dopo dall’istituzione della CEE (Co-munità economica europea) e dell’Euratom (Comunità europea dell’energia atomica).

I due testi furono ufficialmente firmati a Roma il 25 marzo 1957 e le due organizzazioni poterono cominciare a lavorare a partire dal 1° gennaio 1958.

L’obiettivo principale del Trattato istitutivo della CEE era la realizzazione dell’unione doganale.Tale obiettivo è stato raggiunto il 1° gennaio 1968, data a partire dalla quale veniva istituita

una tariffa doganale esterna unica.La tappa successiva è stata la realizzazione, a partire dal 1° gennaio 1993, del mercato interno

che ha provveduto ad eliminare le residue barriere fisiche (i controlli alle frontiere tra uno Stato e

(1) Appare chiara la natura strategica dei settori oggetti della proposta, carbone e acciaio, per la riconci-liazione tra Francia e Germania, il cui contrasto aveva concorso in modo considerevole allo scoppio dei due conflitti mondiali.

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La Comunità internazionale e l’Unione europea 17

l’altro), barriere tecniche (i diversi requisiti richiesti dagli Stati per la fabbricazione di determinati prodotti) e barriere fiscali (la diversa incidenza delle imposte da uno Stato all’altro) che ancora ostacolavano la libera circolazione di persone, merci e servizi tra gli Stati membri.

Il processo di integrazione economica è stato accompagnato dal progressivo aumento del numero degli stati membri delle Comunità, con le adesioni del Regno Unito, dell’Irlanda e della Danimarca (1973), della Grecia (1981), della Spagna e del Portogallo (1986), dell’Austria, della Finlandia e della Svezia (1995).

B) L’unione europeaUna tappa importante del processo di integrazione è rappresentata dalla firma, il 7 febbraio

1992, del trattato sull’unione europea (meglio noto come trattato di maastricht).Con tale accordo veniva creata l’unione europea, un’organizzazione che da un lato inglobava

le Comunità europee già esistenti e dall’altro avviava la cooperazione tra gli Stati membri anche in settori non strettamente economici, come la politica estera comune, la politica di difesa europea, la cooperazione tra le forze di polizia e tra le autorità giudiziarie.

La seconda grande novità del Trattato di Maastricht è quella di aver stabilito le tappe per il passaggio dall’unione economica a quella monetaria, con la conseguente adozione di una moneta unica europea (l’euro), entrata in circolazione il 1° gennaio 2002.

Il 1° maggio 2004 l’Unione europea ha visto l’adesione di ben 10 nuovi Stati (Lettonia, Lituania, Estonia, Polonia, Repubblica ceca, Ungheria, Slovenia, Malta e Cipro), molti dei quali facevano parte dell’ex blocco socialista. Per gestire al meglio tale allargamento, il 26 febbraio 2001 veniva approvato il trattato di nizza, entrato in vigore il 1° febbraio 2003, al fine di ripensare l’assetto istituzionale dell’Unione creato nel 1957 per soli sei Stati e rimasto a lungo immutato.

Il 1° gennaio 2007, infine, hanno aderito la Romania e la Bulgaria, portando gli Stati membri a quota 27.

3. iL trattato di LisBona

a) nascita ed evoluzione

Dopo il fallimento del tentativo di creare una Costituzione europea (firmata a Roma il 29 ottobre 2004), il Consiglio europeo del 21-23 giugno 2007 decise di convocare una nuova conferenza intergovernativa che riprendesse il processo di riforma avviato senza successo dalla precedente Conferenza.

È così che, il 13 dicembre 2007 è stato firmato il trattato di Lisbona (rati-ficato dall’Italia con L. 2 agosto 2008, n. 130), i cui elementi di differenziazione rispetto al testo della Convenzione del 2004 si traducono in un ridimensiona-mento degli ambiziosi obiettivi federalistici da quest’ultimo perseguiti.

Tale trattato, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, presenta le seguenti novità:

— precisa e rafforza i valori fondamentali dell’Unione (art. 1bis, nuovo art. 2 TUE), mantenendo i diritti esistenti e introducendone di nuovi (rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze);

— enuncia in modo più esteso gli obiettivi dell’Unione (art. 2, nuovo art. 3 TUE), al fine di configurare in maniera avanzata il modello europeo di società;

— conferisce nuova forza ai diritti fondamentali (dichiarazione n. 1 e n. 2, nuovo art. 6 TUE), riconoscendo alla Carta dei diritti fondamentali

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Capitolo Secondo18

dell’Unione europea valore giuridicamente vincolante e prevedendo l’ade-sione dell’Unione alla CEDU;

— stabilisce la possibilità per un gruppo di almeno un milione di cittadini di un certo numero di Stati membri di invitare la Commissione a presentare nuove proposte (nuovo art. 11 TUE);

— prevede una modernizzazione e un adeguamento delle istituzioni dell’unione (nuovo Titolo III TUE, artt. 13-19);

— istituisce la figura del presidente del Consiglio europeo (nuovo art. 15 TUE), eletto per un mandato di due anni e mezzo (rinnovabile una sola volta), nonché dell’alto rappresentante dell’unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che sarà anche vicepresidente della Commissione (nuovo art. 27 TUE);

— conferisce la personalità giuridica unica all’Unione (art. 46A, 47 TUE);— consacra il primato del diritto dell’unione sul diritto interno (Dichiara-

zione n. 17);— dispone che l’Unione e gli Stati membri sono tenuti ad agire congiuntamente

in uno spirito di solidarietà se un paese dell’UE è oggetto di un attacco terroristico o vittima di una calamità naturale o provocata dall’uomo (Di-chiarazione n. 37).

B) La nuova unione europea

Con la riforma introdotta dal Trattato di Lisbona viene a cadere la distin-zione tra Comunità europea e Unione europea e si fa riferimento ad un unico ente: l’unione europea.

La stessa infatti come recita l’art. 1, par. 3 TUE sostituisce e succede alla Comunità europea e le viene attribuita personalità giuridica unica.

Alla strutturazione unitaria di un unico soggetto giuridico, tuttavia, non corrisponde l’impian-to testuale disegnato a Lisbona dove i trattati continuano a essere due, integrati e modificati: il trattato sull’unione europea e il trattato sul funzionamento dell’unione europea sostitutivo del Trattato CE.

4. LE istituzioni dELL’unionE EuropEa

L’Unione europea dispone di un quadro istituzionale che mira a promuo-verne i valori, perseguirne gli obiettivi, servire i suoi interessi (sia dei cittadini che degli Stati membri), garantire la coerenza, l’efficacia e la continuità delle sue politiche e delle sue azioni. Ciascuna istituzione agisce nei limiti delle at-tribuzioni che le sono conferite dai trattati, secondo le procedure, condizioni e finalità da essi previste, attuando tra loro una leale cooperazione.

A seguito delle modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona, le istituzioni dell’Unione europea sono:

a) il parlamento europeo, che esercita la funzione legislativa, di bilancio, di controllo politico e consultiva alle condizioni stabilite dai trattati; elegge, inoltre, il Presidente della Commissione. In particolare, il controllo politico riguarda la Commissione nei confronti della quale il Parlamento può di-

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La Comunità internazionale e l’Unione europea 19La Comunità internazionale e l’Unione europea

sporre la mozione di censura e che, una volta approvata dai parlamentari, obbliga i membri della Commissione a dismettere collettivamente le loro funzioni. Per quanto concerne la sua formazione il Parlamento è com-posto dai rappresentanti dei cittadini dell’Unione il cui numero non può essere superiore a 750, più il presidente. La rappresentanza dei cittadini è garantita secondo il principio della proporzionalità decrescente (il grado di rappresentanza cresce al crescere della popolazione) e comunque non meno di 6 e più di 96;

b) il Consiglio europeo, composto dai capi di Stato o di governo degli Stati membri, dal suo presidente e dal presidente della Commissione. L’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, invece, partecipa ai suoi lavori. In merito alle sue attribuzioni il Consiglio europeo «non esercita funzioni legislative» ma dà all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo sostenibile e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali;

c) il Consiglio, che rappresenta i governi degli Stati membri ed esercita la funzione legislativa e di bilancio (insieme al Parlamento), di definizione delle politiche e di coordinamento alle condizioni stabilite nei trattati. È un organo composto di Stati: titolare del seggio, infatti, è lo Stato membro delle Comunità, che designa il proprio rappresentante scegliendolo tra i componenti del proprio governo nazionale (Ministri e sottosegretari);

d) la Commissione europea, che adotta le iniziative nell’interesse generale dell’Unione; vigila sull’applicazione dei trattati e delle misure adottate dalle istituzioni in virtù dei trattati, nonché sull’applicazione del diritto dell’Unione sotto il controllo della Corte di giustizia dell’Unione europea; dà esecuzione al bilancio e gestisce i programmi; esercita funzioni di coor-dinamento, di esecuzione e di gestione, alle condizioni stabilite dai trattati; assicura la rappresentanza esterna dell’Unione, fatta eccezione per la politica estera e di sicurezza comune e per gli altri casi previsti dai trattati; avvia il processo di programmazione annuale e pluriennale dell’Unione per giungere ad accordi interistituzionali. Per quanto concerne la composizione, la Com-missione nominata tra la data di entrata in vigore del trattato di Lisbona e il 31 ottobre 2014 è composta da un cittadino di ciascuno Stato membro. A decorrere dal 1° novembre 2014, invece, potrebbe trovare applicazione una Commissione a composizione ridotta, ossia composta da un numero di membri corrispondente ai due terzi del numero degli Stati membri, a meno che il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità, non decida di modificare tale numero;

e) la Corte di giustizia dell’unione europea, che comprende la Corte di giu-stizia, il Tribunale e i Tribunali specializzati e assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati. È formata da un giudice per ogni Stato membro ed è assistita da avvocati generali, nominati dagli Stati membri e scelti tra personalità che offrono garanzia di indipendenza e che riuniscono le condizioni richieste per l’esercizio delle più alte funzioni giurisdizionali;

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Capitolo Secondo20

f) la Banca centrale europea (BCE), che congiuntamente alle banche centrali nazionali degli Stati membri, conduce la politica monetaria dell’Unione. La Banca centrale europea ha personalità giuridica, ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione dell’euro ed è indipendente nell’esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze. Funzione principale della BCE è, così come per qualsiasi altra Banca centrale, il controllo della liquidità e, in particolare, della base monetaria (la moneta legale e le altre attività finanziarie trasformabili immediatamente in moneta legale);

g) la Corte dei conti, composta da un cittadino di ciascuno Stato membro. Tali componenti restano in carica sei anni e devono essere scelti tra perso-nalità che fanno o hanno fatto parte, nei rispettivi paesi, delle istituzioni di controllo esterno o che posseggono una qualifica specifica per tale funzione. Alla Corte è stata attribuita una competenza di controllo generale: essa esa-mina tutte le entrate e le spese della Comunità, nonché di ogni organismo creato dalla stessa, a meno che l’atto costitutivo non esclude espressamente tale riesame. Questa istituzione, organo di controllo per eccellenza, svolge un ruolo determinante nei riguardi di quello che è il maggiore documento contabile: il bilancio.

5. CostituzionE itaLiana E unionE EuropEa

a) introduzione

All’epoca della ratifica dei trattati istitutivi delle tre Comunità si pose il problema del fondamento costituzionale dell’adesione italiana alle Comunità europee. I trattati, comportando un trasferimento di funzioni (legislative, esecutive e giurisdizionali) a favore delle istituzioni comunitarie, esercitavano un’incidenza su norme di livello costituzionale, essendo le competenze degli organi statali fissate direttamente dalla Costituzione. Di conseguenza si poneva il problema se fosse necessario operare con una fonte di rango costituzionale per poter accordare tali trasferimenti.

La dottrina prevalente ritenne che sarebbe stata sufficiente una legge or-dinaria, a condizione di reperire nella Costituzione una norma che potesse dare «copertura costituzionale» alla legge di ratifica e di esecuzione dei trat-tati. Tale fondamento costituzionale è stato individuato nell’articolo 11 della Costituzione.

B) Le limitazioni di sovranità previste dall’articolo 11 della Costituzione

Il ricorso all’articolo 11 Cost. è frutto di una manipolazione interpretativa, come risulta chiaramente dai lavori preparatori dell’Assemblea Costituente. L’obiettivo dell’Assemblea Costituente, infatti, era quello di permettere l’in-gresso dell’Italia nell’ONU e non nella Comunità. Ciò si evince sia da motivi cronologici che letterali. Cronologici in quanto nel 1947, anno in cui i lavori dell’Assemblea Costituente si svolsero, le Comunità non esistevano ancora (bisognerà attendere il 1951) mentre l’ONU sì (1945). Letterali dal momento che le limitazioni di sovranità cui l’articolo 11 si riferisce sono da intendersi

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La Comunità internazionale e l’Unione europea 21

come relative ad operazioni di carattere militare. Ciò significava che l’Italia, da poco uscita dalla seconda guerra mondiale, rinunciava formalmente all’uso della forza bellica e si inseriva in meccanismi di risoluzione delle controversie che l’ONU aveva predisposto, accettandone i condizionamenti.

Nonostante fosse questa la ratio dell’art. 11 Cost., si ritenne che con il riferimento alle «limitazioni di sovranità» la norma si prestasse ad essere invocata anche per consentire le forti limitazioni di competenza introdotte dai trattati comunitari. Tali limitazioni concernono non soltanto l’attività normativa dello Stato, ma anche quella amministrativa e giurisdizionale sicché, in conseguenza della stipulazione dei trattati comunitari, i cittadini si trovono sottoposti, oltre che alle autorità nazionali, ad un sistema di pubblici poteri estraneo ed indipendente rispetto ad esse.

L’articolo 11 Cost. ha costituito, fino all’approvazione della L. cost. 3/2001, l’unico ancoraggio costituzionale della partecipazione italiana all’integrazione europea, a differenza di altri Stati membri che avevano invece prontamente provveduto ad operare le necessarie modifiche delle loro carte costituzionali.

Finalmente, con la riforma del Titolo V, approvata con L. cost. 3/2001, sono state inserite nella Cotituzione diverse disposizioni che disciplinano la partecipazione italiana al processo di integrazione europeo.

C) i cd. controlimiti

Il citato art. 11 Cost. fa riferimento a specifiche «limitazioni» di sovranità e non ad una loro totale cessione.

I limiti alla tollerabilità delle incidenze dell’Unione europea sul sistema costituzionale si possono individuare nella stessa idea di limitazione, la quale non può comportare la compromissione dei valori fondamentali del nostro ordinamento. Da qui l’elaborazione della dottrina dei «controlimiti» da parte della Corte costituzionale.

Secondo la nostra Corte il rispetto dei diritti inviolabili della persona umana e dei principi fondamentali costituisce il presupposto dell’inquadramento del fenomeno comunitario nell’ambito dell’articolo 11 Cost., ma anche un limite invalicabile al recepimento di qualunque disposizione comunitaria.

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Capitolo Terzo ....................................Le fonti del diritto

1. ConCEtto E CLassiFiCazioni

Fonti del diritto sono tutti gli atti o i fatti dai quali traggono origine le norme giuridiche.

Nell’ambito delle fonti del diritto è possibile distinguere:

a) le fonti di produzione, che rappresentano lo strumento tecnico predisposto o riconosciuto dall’ordinamento che serve a creare le norme giuridiche.

Le fonti di produzioni si suddividono in:

1) fonti fatto, ovvero fonti non scritte determinate da fatti sociali o naturali considerati idonei a produrre diritto (fonti non scritte);

2) fonti atto, ossia atti normativi posti in essere da organi o enti nell’eser-cizio di poteri ad essi attribuiti dall’ordinamento (fonti scritte);

b) le fonti sulla produzione, che costituiscono le norme che determinano gli organi e le procedure di formazione del diritto;

c) le fonti di cognizione, che sono gli strumenti attraverso cui è possibile conoscere le fonti di produzione.

Fra le fonti di cognizione è opportuno distinguere forme di pubblicazione:

1) necessarie (legali o privilegiate), che precedono e condizionano l’en-trata in vigore di una fonte di un diritto (ad es. la Gazzetta Ufficiale);

2) non necessarie (notiziali), che non incidono sull’entrata in vigore e svolgono una mera funzione pubblicitaria o di conoscenza (ad es. le raccolte ufficiali di usi curate dalle Camere di Commercio. In questa categoria rientra la ripubblicazione, che costituisce una forma di pub-blicazione di un provvedimento già oggetto di pubblicazione necessaria (ad es. i testi unici meramente compilativi).

2. rapporti tra LE Fonti

La pluralità di fonti esistente negli ordinamenti giuridici presuppone l’esi-stenza di regole che ne disciplinino i rapporti per evitare l’insorgere di conflitti tra le disposizioni normative.

In generale, si può dire che, fuori dai casi in cui viene stabilita un’equiva-lenza fra due o più fonti, per cui hanno tutte la medesima efficacia normativa, i rapporti fra le fonti sono per lo più ordinati secondo i seguenti criteri:

— gerarchia: per cui le fonti sono tra loro graduate in una scala gerarchica, in cui la fonte di grado superiore (Costituzione) condiziona la fonte di grado inferiore (legge ordinaria).

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Le fonti del diritto 23

Il rapporto di gerarchia implica le seguenti regole generali:

a) la norma di grado inferiore non può mai modificare la norma di grado superiore né abrogarla;

b) la norma di grado superiore può sempre modificare o abrogare la norma di grado inferiore;

— competenza: per cui viene demandata ad una specifica fonte la disciplina di determinate materie.

Il criterio di competenza può presentarsi in due diverse forme:

a) tra due fonti può esserci una separazione di competenze, fondata sulla diversità di oggetti regolabili o di ambito territoriale, oppure su entrambi gli elementi. Un esempio di tale separazione si rinviene nei rapporti fra leggi ordinarie e regolamenti parlamentari, ai quali la Costi-tuzione riserva in via esclusiva la disciplina dell’organizzazione interna delle Camere e del procedimento di formazione delle stesse leggi;

b) in altri casi la Costituzione mostra di preferire, per la disciplina di una particolare materia, una fonte piuttosto che un’altra, senza impe-dire a quest’ultima, però, di regolarla fino a quando la fonte preferita non abbia provveduto ad introdurre la sua disciplina (criterio della preferenza). Di preferenza più che di riserva, ad esempio, deve par-larsi a proposito dei rapporti fra legge regionale e legge statale: la Corte costituzionale, infatti, ha sempre ammesso che il legislatore nazionale possa disciplinare le materie affidate alle Regioni fino a quando queste ultime non abbiano usato delle competenze ad esse costituzionalmente riconosciute. In tal caso, quindi, le norme di legge statale non sono subito invalide, ma lo divengono solo nel momento in cui le Regioni emanano le proprie leggi;

— cronologico: quando due norme confliggenti sono poste da fonti dello stesso tipo (ad esempio due leggi, o due regolamenti), il criterio applicato per eliminare le antinomie è quello cronologico, in base al quale non si applica (perché si ritiene abrogata) la norma precedente, ma quella successiva (lex posterior derogat legi priori).

3. L’EFFiCaCia dELLE normE GiuridiChE nEL tEmpo

a) Entrata in vigore della norma giuridicaAffinché la norma possa entrare in vigore, e cioè spiegare in pieno la sua efficacia, si richiedono:

— la comunicazione ai destinatari: ciò avviene, per le leggi, mediante la pubblicazione sulla Gaz-zetta Ufficiale della Repubblica italiana;

— il decorso di un certo periodo di tempo (vacatio legis) dalla sua pubblicazione, per consentire ai destinatari di venire a conoscenza della legge.

Il periodo di vacatio legis è normalmente di 15 giorni, ma può essere abbreviato, o anche al-lungato. Trascorso tale periodo la legge diviene obbligatoria per tutti coloro a cui si dirige, e vale il principio generale «ignorantia legis non excusat».

Page 25: TITUZIONALE · 2019. 12. 12. · riconnette una serie di diritti e doveri (BIN-PITRUZZELLA). È apolide il soggetto che ha perso la cittadinanza e non può acquistarne altra. È bipolide,

Capitolo Terzo24

B) abrogazione della norma giuridicaSi realizza per: dichiarazione espressa del legislatore; dichiarazione tacita del legislatore

(emanazione di una nuova disposizione legislativa incompatibile con la precedente); referendum popolare; sentenza di illegittimità costituzionale pronunziata dalla Corte costituzionale.

L’abrogazione differisce dalla deroga, che ricorre, invece, quando una norma fa eccezione a regole contenute in un’altra norma, anche se questa resta, nel suo ambito, pienamente efficace.

C) irretroattività delle norme giuridicheL’articolo 11 delle disposizioni preliminari al Codice Civile sancisce un principio fondamentale:

«La legge non dispone che per l’avvenire…». La legge, in altre parole, non può riferirsi a rapporti verificatisi antecedentemente alla sua emanazione.

Tale principio è, tuttavia, derogabile, in quanto:

— il legislatore può ritenere opportuno estendere gli effetti di una legge anche al passato (es.: aumenti di stipendio con decorrenza retrodatata);

— sono sempre retroattive le leggi penali più favorevoli al reo (art. 2 c.p.);— sono retroattive le norme interpretative;— sono retroattive le leggi di ordine pubblico che tutelano i fondamentali interessi dello Stato.

In generale, comunque, vige il principio che solo le norme favorevoli per i destinatari possono avere efficacia retroattiva.

d) successione delle norme nel tempoIl sopravvenire di una nuova legge determina problemi pratici di notevole importanza riguardo

alle situazioni in via di definizione o ai giudizi ancora in corso. Il legislatore, per poter consentire la conclusione di tali rapporti senza far venir meno le aspettative di coloro che agivano e si ba-savano sulla precedente normativa, detta norme transitorie (o di diritto intertemporale) con le quali si gradua l’applicazione della nuova disciplina mantenendo in vigore, per un certo periodo di tempo, l’attuale disciplina.

4. CLassiFiCazioni dELLE Fonti

La più attuale classificazione delle fonti impone di seguire il criterio che fa riferimento ai centri di produzione delle fonti atto del sistema costituzionale od operanti nel sistema costituzionale (BARBERA-FUSARO).

Sulla base di tale criterio è possibile distinguere tra:

— la Costituzione e le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, che si pongono al vertice della piramide delle fonti del diritto riconosciute dal nostro ordinamento;

— le fonti dell’unione europea, vale a dire i trattati istitutivi, i regolamenti, le direttive e le decisioni. Si tratta di atti che, una volta immessi nel nostro ordinamento, occupano una posizione di preminenza rispetto alla legisla-zione ordinaria statale;

— le fonti internazionali, vale a dire quelle che vengono recepite nell’ordi-namento costituzionale italiano in virtù dell’appartenenza del nostro Paese alla Comunità internazionale;

— le fonti dell’ordinamento statale. Vi rientrano le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge (decreti legge e decreti legislativi), il referendum