TISSUE ENGINEERING APPLICATA ALLE COLTURE DI … · lesioni ad esso associate, in quanto il...

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INTRODUZIONE L'enorme progresso delle conoscenze nel campo della biologia cellulare e delle biotecnologie ha consentito, negli ultimi anni, lo sviluppo di tecnologie mirate alla coltivazione e alla ricostruzione in vitro di tessuti o organi, definendo una nuova branca di scienze biomediche conosciuta con il termine di “ingegneria dei tessuti”. Questa tecnologia permette di poter espandere cellule autologhe (prelevate dallo stesso paziente che necessita del trapianto) ex vivo e riutilizzarle nella riparazione di lesioni e rigenerazione di tessuti mediante coltura in matrici biocompatibili tridimensionali. L’Ingegneria tessutale (“Tissue Engineering”) è un area multidisciplinare di ricerca parte dal presupposto che la quasi totalità delle cellule animali possono essere coltivate in laboratorio (1). Il termine “Tissue Engineering” è stato introdotto dalla fondazione Washington National Science nel meeting del 1987. Nel XX secolo i trapianti di tessuti (osso, muscolo e cute) e di organi (rene, fegato, polmone) sono stati introdotti con successo nella pratica terapeutica grazie all’impiego di tecniche di anastomosi microvascolari e di idonea terapia immunosoppressiva. Nonostante ciò, molti sono i problemi legati al trapianto di organi, tra i quali i più significativi sono: ¾ scarsa disponibilità di tessuti e di organi idonei al trapianto e conseguenti lunghi tempi di attesa, ¾ necessità di sottoporre il Paziente a terapia immunosoppressiva per tutta la vita con conseguenti deficit immunitari, 1

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INTRODUZIONE

L'enorme progresso delle conoscenze nel campo della biologia

cellulare e delle biotecnologie ha consentito, negli ultimi anni, lo

sviluppo di tecnologie mirate alla coltivazione e alla ricostruzione

in vitro di tessuti o organi, definendo una nuova branca di scienze

biomediche conosciuta con il termine di “ingegneria dei tessuti”.

Questa tecnologia permette di poter espandere cellule autologhe

(prelevate dallo stesso paziente che necessita del trapianto) ex

vivo e riutilizzarle nella riparazione di lesioni e rigenerazione di

tessuti mediante coltura in matrici biocompatibili tridimensionali.

L’Ingegneria tessutale (“Tissue Engineering”) è un area

multidisciplinare di ricerca parte dal presupposto che la quasi

totalità delle cellule animali possono essere coltivate in laboratorio

(1).

Il termine “Tissue Engineering” è stato introdotto dalla

fondazione Washington National Science nel meeting del 1987.

Nel XX secolo i trapianti di tessuti (osso, muscolo e cute) e di

organi (rene, fegato, polmone) sono stati introdotti con successo

nella pratica terapeutica grazie all’impiego di tecniche di

anastomosi microvascolari e di idonea terapia

immunosoppressiva.

Nonostante ciò, molti sono i problemi legati al trapianto di organi,

tra i quali i più significativi sono:

scarsa disponibilità di tessuti e di organi idonei al trapianto

e conseguenti lunghi tempi di attesa,

necessità di sottoporre il Paziente a terapia

immunosoppressiva per tutta la vita con conseguenti deficit

immunitari,

1

rischio di tromboembolia nel caso in cui vengano utilizzati

materiali sintetici (ad esempio per le valvole cardiache) e di

emorragie conseguenti al trattamento anticoagulante,

necessità di sottoporre il paziente a più trapianti ( ad

esempio per rigetto tardivo o utilizzo in pazienti giovani di

materiale sintetico non in grado di adeguarsi alla crescita

corporea).

Il principio generale dell’ingegneria tessutale è quello di

prelevare cellule staminali dallo stesso Paziente bisognoso di

trapianto, farle crescere e differenziare su un supporto sintetico in

modo da produrre fedelmente e tridimensionalmente il tessuto o

l’organo che deve essere sostituito; infine sottoporre il Paziente al

trapianto.

E’ molto importante che:

venga prodotta una grande quantità di cellule e di tessuto

sufficiente per riparare il difetto,

venga garantita una giusta differenziazione cellulare in

modo da mantenere un corretto fenotipo,

venga riprodotta una struttura tridimensionale identica al

tessuto o organo da sostituire per garantire una corretta

vascolarizzazione.

Le cellule che possono essere impiegate per la rigenerazione e

riparazione tessutale possono essere:

cellule staminali embrionali (fino all’ottava settimana di

gestazione)

cellule staminali fetali (dall’ottava settimana sino al parto)

cellule staminali da cordone ombelicale

cellule staminali adulte (per esempio quelle del midollo

osseo. Queste cellule sono dotate di “plasticità” cioé la capacità di

dare origine a cellule di tessuto diverso da quello dal quale

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provengono; ad esempio alcune cellule staminali presenti nel

midollo osseo si differenziano in epatociti e cellule dei dotti biliari).

cellule “staminali” mature da paziente adulto: sono cellule

differenziate che hanno un basso indice proliferativo (cheratinociti,

condrociti e fibroblasti).

Le cellule adibite alle colture possono provenire da prelievi

autologhi, omologhi o eterologhi. Le prime vengono prelevate

dallo stesso Paziente che necessita del trapianto; le seconde da

un individuo della stessa specie (vivente o cadavere). Infine le

eterologhe sono prelevate da un donatore di specie diversa dal

ricevente, per esempio il maiale per l’uomo. L’utilizzo delle cellule

di origine omologa e eterologa presenta il problema del rigetto e

della sicurezza del campione; perciò è preferibile, quando

possibile, utilizzare cellule di origine autologa.

In campo ortopedico è stata dimostrata la possibilità di

trapiantare condrociti umani autologhi o cellule mesenchimali

staminali (precursore degli osteoblasti) rispettivamente per la

ricostruzione di cartilagine e per favorire la formazione di nuovo

tessuto osseo. La necessità di ricercare strategie di riparazione

della cartilagine articolare rappresenta un importante traguardo se

pensiamo alla notevole frequenza di traumi e lesioni a cui è

sottoposto questo tessuto in seguito ad incidenti stradali o sportivi

nonché se consideriamo la grande percentuale di incidenza di

patologie infiammatorie, reumatiche e degenerative cui la

cartilagine va incontro con l'avanzare dell'età. Il tessuto

cartilagineo è dotato di una limitata capacità di rigenerazione delle

lesioni ad esso associate, in quanto il naturale processo di

riparazione porta alla formazione di tessuto fibro-cartilagineo che

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non presenta le caratteristiche di resistenza e deformabilità al

carico tipiche della cartilagine ialina che ricopre la superficie

articolare e che sono dovute alla sua particolare composizione

biochimica.

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SCOPO DELLA TESI

L'obiettivo della neocondrogenesi nasce e si giustifica con

l'opportunità di restaurare l'integrità strutturale e le funzioni del

tessuto danneggiato attraverso un “rigenerato” identico

istologicamente al precedente, in modo da risultare

meccanicamente idoneo a sopportare i carichi fisiologici e a

ridurre o evitare l'evoluzione artrosica della lesione iniziale. La

strategia terapeutica del trapianto dei condrociti autologhi per la

riparazione di lesioni condrali ha fornito recentemente risultati

soddisfacenti ed incoraggianti rispetto alle metodiche fino ad ora

utilizzate. L'approccio clinico nell'uomo ha interessato soprattutto

la riparazione di lesioni a livello del ginocchio anche se altre sedi

quale ad esempio l'articolazione tibio-tarsica sono oggetto di

studio. Nella sua metodologia originale, il trapianto di condrociti si

articola in varie fasi: dapprima si esegue un prelievo in artroscopia

di tessuto cartilagineo sano preferibilmente in una zona di non

carico. Successivamente il frammento viene sottoposto a

digestione enzimatica seguita da isolamento e coltura delle

cellule. Dopo un periodo di circa un mese in coltura i condrociti

possono essere trapiantati.

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ISTOLOGIA DELLA CARTILAGINE

Il tessuto cartilagineo assieme al tessuto osseo appartiene ai

tessuti scheletrici o tessuti connettivi di sostegno dotati di

proprietà meccaniche e di importanti funzioni nel ricambio

elettrolitico. La cartilagine è una forma specializzata di tessuto

connettivo, costituita da cellule denominate condrociti e da

un'abbondante sostanza intercellulare; questa è formata da fibre

extracellulari immerse in una sostanza fondamentale o matrice

amorfa allo stato di gel.

Nei mammiferi, la maggior parte dello scheletro si abbozza nel

corso dello sviluppo come cartilagine che viene successivamente

sostituita da osso.

La cartilagine nell’embrione compare durante la quinta settimana

di vita. Il tessuto di origine è il mesenchima.

Dopo la nascita e durante tutto il periodo di accrescimento

dell’individuo, la cartilagine permane nelle zone di confine tra

epifisi e diafisi delle ossa lunghe , provvedendo allo sviluppo in

lunghezza di tali segmenti scheletrici.

Nell’adulto la cartilagine è presente in corrispondenza delle

superfici articolari, delle coste (cartilagini costali) e in poche altre

sedi. Essa forma inoltre lo scheletro di sostegno dell’orecchio

esterno, del naso, della laringe, della trachea e dei bronchi.

Tranne che sulle superfici articolari, la cartilagine è rivestita da

un involucro di tessuto connettivo fibroso compatto denominato

pericondrio; per tutto il periodo dello sviluppo, le cellule dello

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strato interno si differenziano in condroblasti e depositano nuova

cartilagine.

La cartilagine è sprovvista di nervi e di vasi ed è quindi nutrita

per diffusione attraverso la sua matrice gelificata.

L’accrescimento della cartilagine avviene con 2 meccanismi:

ACCRESCIMENTO INTERSTIZIALE: le celllule cartilagineee si

dividono ripetutamente, dando origine a una progenie di cellule

che elabora e deposita nuova sostanza intercellulare. Le cellule

figlie derivanti dalla proliferazione di ogni cellula iniziale formano

un clone di elementi accostati tra loro; tali cloni sono denominati

gruppi isogeni.

ACCRESCIMENTO PER APPOSIZIONE: consiste nella

differenzazione, alla periferia del centro di condrificazione, di

nuovi elementi mesenchimali in condroblasti che elaborano un

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nuovo strato di sostanza interstiziale cartilaginea attorno a quello

formato in precedenza.

Gli elementi cellulari, i condrociti, sono accolti in spazi scavati

nella sostanza fondamentale detti “lacune” Queste possono

contenere uno solo o più cellule. La sostanza amorfa che delimita

le lacune si condensa a formare le “capsule”.

Il termine condroblasto o condrociti sono sostanzialmente

sinonimi. Il termine condroblasto potrebbe essere usato per

indicare lo stadio iniziale di differenziazione della cellula

mesenchimale.

Nella parte centrale della cartilagine, le cellule sono distribuite

nei gruppi isogeni; verso la periferia della cartilagine, le cellule

diventano progressivamente appiattite e perdono la loro

disposizione in gruppi .

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L’accrescimento della cartilagine e il suo metabolismo sono

sotto il controllo di numerosi ormoni (ormone somatotropo e

ormone tiroxina) e altri fattori tra cui le vitamine (A,C,D).

Sulla base dell’abbondanza relativa della sostanza amorfa e

delle fibre che vi sono incluse e della natura di queste ultime, si

distinguono tre tipi di cartilagine: ialina, elastica e fibrosa. Di

queste tre classi, la cartilagine ialina è la più diffusa.

Cartilagine ialina forma la cartilagine epifisaria o di coniugazione,

le cartilagini costali, gli anelli tracheali, molte cartilagini laringee, le

cartilagini bronchiali, le cartilagini del naso e riveste le superfici

articolari.

E’ caratterizzata da fibre collagene immerse in un’abbondante

matrice amorfa o sostanza fondamentale ricca in complessi

proteico – mucopolisaccaridici. Sono inoltre presenti glicoproteine,

lipidi e lipoproteine.

Le fibrille collagene non sono raccolte in fasci, come in altri

tessuti connettivi, ma formano un delicato reticolo. Da studi recenti

risulta che la sostanza fondamentale della cartilagine è costituita

da 40% da collagene, 33% condro-muco proteine, 4%

cheratosolfati, 0,7% sialoproteine, 14% da altre proteine. I

mucopolisaccaridi acidi principali della cartilagine sono:

condroitinsolfato A-C e i cheratosolfati. Questi lunghi complessi

polimerici tendono a costruire un reticolo tridimensionale dal quale

dipendono la viscosità e l'idrofilia della sostanza amorfa. La

presenza di elevate concentrazioni di mucopolisaccaridi acidi nella

cartilagine spiega le sue proprietà tintoriali. La sostanza amorfa

della cartilagine è intensamente basofila e si colora

metacromaticamente con il blu di toluidina. Si colora anche con

Alcian blu e reazione al ferro colloidale di Hale. La matrice amorfa

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si colora intensamente di rosso con la reazione acida periodica di

Schiff “reazione PAS” per i carboidrati complessi. Tale colorazione

deriva dalla presenza delle glicoproteine.

La cartilagine elastica è presente in corrispondenza del

padiglione auricolare, del meato uditivo esterno, della tuba di

Eustachio e dell’epiglottide.

E’ caratterizzata da un elevato numero di fibre elastiche e dal

basso contenuto di proteoglicani nella sostanza fondamentale

amorfa. La cartilagine elastica è diversa dalla ialina per il colore

giallastro e per la maggior opacità. Le cellule sono simili a quelle

della cartilagine ialina; hanno forma rotonda o ovale e sono

avvolte da una capsula. La matrice intercellulare differisce da

quella della cartilagine ialina per la presenza di moltissime fibre

che si colorano con tutti i metodi per la dimostrazione dell'elastina.

Queste fibre formano una rete così compatta da oscurare la

sostanza amorfa che è meno abbondante di quella della

cartilagine ialina. L'accrescimento della cartilagine elastica

avviene sia per divisione dei condrociti, sia per apposizione dal

pericondrio. La cartilagine elastica non subisce, se non in casi

rarissimi la calcificazione.

La fibrocartilagine si riscontra nei dischi intervertebrali, nella

sincondrosi tra prima costa e sterno, in vari menischi articolari,

nella sinfisi pubica, nei labbri glenoidei, nel legamento rotondo del

femore e nella zona di inserzione sull’osso di alcuni tendini.

La cartilagone fibrosa è una forma di transizione tra il tessuto

connettivo denso o compatto e la cartilagine; è caratterizzata dalla

presenza di grossi fasci fibrosi in una scarsa matrice e da piccoli

condrociti circondati dalla capsula isolati o organizzati in file

longitudinali. La fibrocartilagine si sviluppa come il comune

tessuto connettivo. Le cellule mesenchimali si differenziano in

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fibroblasti che elaborano un'abbondante materiale fibrillare; in

seguito assumono forma rotonda trasformandosi in cellule

cartilaginee e secernono nella matrice una sostanza amorfa ricca

di mucopolisaccaridi che si concentra intorno alle cellule formando

le capsule. La cartilagine fibrosa è priva di pericondrio.

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BIOMATERIALI DI SUPPORTO

Il “biomateriale” è un materiale progettato per interfacciarsi con i

sistemi biologici per trattare, aumentare o sostituire qualunque

tessuto, organo (22).

Nella ricostruzione in laboratorio della cartilagina è importante

ricreare la struttura del tessuto cioè la tridimensionalità. Mettendo

le cellule in una coltura tradizionale, su petri o fiasche, queste

crescono e formano una struttura bidimensionale; nasce quindi

l’esigenza di creare delle strutture artificiali che servano da

impalcatura per guidare le cellule nella ricostruzione

tridimensionale del tessuto.

Elementi base nella ricostruzione in laboratorio sono pertanto:

Componente biologica Cellule e fattori

molecolari

Supporto tridimensionale Biomateriale

Il biomateriale permette alle cellule una distribuzione

tridimensionale e la possibilità di deporre matrice extracellulare.

I biomateriali sono contraddistinti dalle seguenti caratteristiche:

tollerabilità: devono essere immunologicamente inerti

impalcatura provvisoria: dopo integrazione il biomateriale

deve essere sostituito dal tessuto originario

contenuto informativo: devono comunicare e scambiare

segnali con le cellule ospite.

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Numerose sono le matrici impiegate tra le quali ricordiamo:

collagene e derivati

fibrina

acido ialuronico

cellulosa

Grande interesse viene rivolto al collagene; studi hanno

dimostrato che utilizzato come supporto, permette ai condrociti di

svilupparsi e di differenziarsi in maniera idonea

Fibre Collagene:

Le fibre collagene sono presenti nel tessuto connettivo.

Quest’ultimo è così denominato perché ha la funzione di

connettere altri tessuti tra loro nella formazione degli organi.

Nel tessuto connettivo le cellule sono separate per

l’interposizione di un abbondante materiale extracellulare

denominato sostanza intercellulare; il tessuto connettivo è quindi

formato da due componenti: le cellule e la sostanza intercellulare

nella quale sono immersi gli elementi cellulari.

A sua volta la sostanza intercellulare è costituita da una parte

organizzata in fibre e da una sostanza amorfa o fondamentale che

contiene il liquido tessutale o interstiziale.

Il tessuto connettivo abbraccia quattro classi di tessuto che

hanno in comune la caratteristica di contenere, oltre alle cellule, la

sostanza intercellulare e di svolgere una funzione di connessione

e di sostegno, ma che presentano localizzazioni, proprietà

morfologiche e funzionali e caratteristiche chimiche diverse:

il tessuto connettivo propriamente detto;

il tessuto cartilagineo;

il tessuto osseo;

il sangue e la linfa.

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Il tessuto connettivo propriamente detto è a sua volta suddiviso

in due sottoclassi, il tessuto connettivo lasso ed il tessuto

connettivo denso o compatto.

Nel primo le fibre sono lassamente intrecciate tra loro mentre nel

secondo sono abbondantissime e raccolte in grossi fasci stipati

che conferiscono al tessuto una notevole consistenza.

Nel tessuto connettivo compatto le fibre possono avere una

disposizione irregolare, disordinata, come nel derma (tessuto

connettivo compatto irregolare), oppure essere raccolte in fasci

paralleli, come nei tendini, nei legamenti, e nelle aponeurosi

(tessuto connettivo compatto regolare).

Le fibre del tessuto connettivo ordinario appartengono a tre

categorie:

collagene

reticolari

elastiche

Le prime due sono strutturalmente e chimicamente uguali ma

rappresentano livelli d’aggregazione differenti di un’unica unità

fibrosa elementare (tropocollagene).

Le fibre collagene sono costituite da proteine lunghe circa 2800

Ǻ, dette tropocollagene, che associandosi longitudinalmente

(testa-coda) e parallelamente tra loro secondo vari ordini danno

origine a queste strutture:

microfibrille submicroscopiche di 400 Ǻ di spessore,

fibrille microscopiche di 0,2 – 0,3µ,

fibre microscopiche di 1 – 12µ di spessore.

In altri termini, le fibre dì collagene sono fasci di fibrille più sottili

che a loro volta sono scomponibili in microfibrille

submicroscopiche disposte tra loro parallelamente e queste sono

costituite dall’aggregazione latero-laterale e termino-teminale di

singole molecole proteiche.

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Le fibre sono tenute insieme da un materiale amorfo che può

essere dissolto da alcali diluiti o dalla tripsina.

Le fibre collagene sono di gran lunga la categoria di fibre più

abbondanti nel tessuto connettivo ordinario. Esaminate a fresco

hanno un colorito bianco e sono perciò dette “fibre bianche”, in

contrapposto alle fibre elastiche che hanno un colore giallognolo e

sono denominate “fibre gialle”.

Le fini fibrille di 0,2 – 0,3µ apprezzabili al microscopio ottico

sono a loro volta composte da microfibrille o fibrille

submicroscopiche dello spessore di 200 – 1000 Ǻ associate

parallelamente.

Al microscopio elettronico le microfibrille appaiono striate

trasversalmente, cioé presentano lungo il loro decorso bande

trasversali che si ripetono ogni 640 Ǻ cioé mostrano una

periodicità assiale con un periodo di 640 Ǻ. All’interno della

microfibrilla ci sono unità filamentose più piccole disposte

parallelamente tra loro e lungo il suo asse che corrispondono alle

molecole di tropocollagene.

L’analisi chimica ha chiarito molti aspetti della composizione

delle fibre collagene.

Con trattamenti chimici opportuni le fibre collagene possono

essere solubilizzate e dissociate nelle molecole costitutive: le

unità macromolecolari fondamentali presenti in soluzione sono

denominate tropocollagene e sono rappresentate da proteine

filamentose di circa 2800 Ǻ di lunghezza, 14 Ǻ di spessore e

peso molecolare 300.000.

I risultati delle ricerche di diffrazione con raggi X hanno

dimostrato che le molecole di tropocollagene sono costituite da tre

catene polipeptidiche con configurazioni elicoidali ed avvolte a

spirale l’una sull’altra in direzione sinistrorsa, ciascuna con peso

molecolare di 100.000.

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Il tropocollagene normalmente consiste in due catene α1 ed una

catena α2 che hanno diversa composizione in aminoacidi. Le tre

catene sono tra loro collegate da legami idrogeno, ma anche da

legami covalenti.

L’analisi della composizione in aminoacidi ha rivelato che la

macromolecola di tropocollagene contiene in elevate proporzioni

tre aminoacidi:

glicina

prolina e idrossiprolina

idrossilisina in una discreta quantità.

Manca la cisteina.

Ai residui d’idrossilisina sono legate brevi catene laterali

carboidratiche formate da una molecola di galattosio e dal

disaccaride glucosil-galattosio.

Il tropocollagene deve essere quindi considerato una

glicoproteina anziché una proteina semplice.

Le fibre collagene sono flessibili, ma assai poco estensibili ed

offrono una grande resistenza alla trazione.

Se il collagene è sottoposto a bollitura o a trattamenti chimici

capaci di denaturarlo si trasforma in gelatina.

Le fibre collagene non presentano particolari affinità tintoriali ma

si colorano con la maggior parte dei coloranti acidi; assumono

l’eosina nei preparati con ematossilina ed eosina, il blu d’anilina

nella colorazione tricromia di Mallory, la fucsina acida con il

metodo Van Gieson.

Lo studio della formazione delle fibre collagene o fibrillogenesi

ha dimostrato che la formazione delle stesse avviene in due fasi.

La prima fase consiste nella sintesi delle unità macromolecolari

costitutive del collagene, le molecole di tropocollagene, ad opera

dei fibroblasti nel tessuto connettivo lasso, dei condroblasti nella

cartilagine, degli osteoblasti nel tessuto osseo e nel loro

successivo trasporto all’esterno della cellula.

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La seconda fase avviene nella matrice amorfa del tessuto

connettivo consistente nell’aggregazione o polimerizzazione

ordinata delle molecole di tropocollagene per formare le fibrille

collagene con il tipico periodo di 640 Ǻ.

Le fibrille collagene neo formate hanno i caratteri di fibre

reticolari, cioè sono isolate e non raccolte in fasci.

Successivamente le fibrille si raccolgono in fasci ondulati fra loro

paralleli, assumendo l’aspetto di tipiche fibre collagene.

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MATERIALI E METODI

Supporto a base di collagene

I dispositivi medicali a base di collagene bovino di tipo I puro

sono proposti come coadiuvanti dall’ emostasi durante interventi

chirurgi, per il controllo di emorragie capillari, emorragie di organi

parenchimatosi e di anastomosi vascolari. Inoltre tali dispositivi

sono proposti come emostatici coadiuvanti della riparazione

tessutale, nelle ferite lacero contusive con perdita di sostanze,

nelle piaghe, nelle ulcere di varia natura, nelle ustioni, nelle

abrasioni da punta e da taglio ed in atre lesioni generalmente

trattate in dermatologia, geriatria e pronto soccorso.

Questi dispositivi agiscono attivando l’aggregazione piastrinica

promuovendo così la rapida formazione del coagulo.

Agiscono anche accelerando il processo d’emocoagulazione,

attivando i fattori della via intrinseca della cascata coagulativa e

quindi rappresentano degli ottimi agenti emostatici.

Inoltre questi dispositivi favoriscono la riparazione tessutale e la

cicatrizzazione. Infatti, il collagene di tipo I rappresenta il substrato

ideale dell’istoriparazione per la sua capacità di interagire con i

recettori dei fibroblasti, condroblasti ed osteoblasti deputati alla

sintesi delle strutture del tessuto connettivo. Essi aderiscono alle

fibre del collagene eterologo, proliferano e si orientano in modo da

rimodellare il tessuto danneggiato. L’attivazione delle piastrine

inoltre determina la liberazione di fattori di crescita cellulare che

stimolano l’istoriparazione.

La presenza di collagene sulla zona trattata favorisce quindi la

produzione di tessuto connettivo autologo nel quale possono

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proliferare le cellule del parenchima leso, favorendo un’efficace

cicatrizzazione.

Il collagene utilizzato nella nostra sperimentazione è estratto dal

tendine di Achille bovino.

Il processo estrattivo che lascia intatta la struttura del collagene

è stato giudicato idoneo dalle Autorità Sanitarie. La scelta del

tendine come materia d’origine per l’estrazione del collagene è

dovuta innanzitutto alla sicurezza microbiologica di questa sede

anatomica e dal fatto che quest’organo è costituito da collagene di

tipo I.

Fra i collagene finora conosciuti, quelli di tipo I e III sono ritenuti i

più sicuri dal punto di vista immunologico in quanto hanno pochi

gruppi glicosidici che invece sono molto presenti nel collagene di

tipo II, altamente immunologico. Inoltre il tipo I è più sicuro dal

punto di vista immunologico per l’assenza di Triptofano e la

presenza soltanto di tracce di Tirosina.

E’ molto importante anche il processo d’estrazione e

purificazione poiché il collagene viene reso atelopeptidico

mediante la rimozione con enzimi selettivi delle estremità globulari

dette anche telopeptidi della struttura a triplice elica. Questo

trattamento priva il collagene di tipo I dei pochi aminoacidi

aromatici quali Tirosina e Triptofano (presenti nel telopeptide)

considerati fra i maggiori responsabili dell’immunogenicità della

proteina.

I test eseguiti su animali o i vari utilizzi che si sono effettuati

sull’uomo (ad esempio interventi chirurgici endocavitali nel corso

dei quali le spugne di collagene venivano lasciate nella sede

d’intervento fino a completo riassorbimento) non hanno

evidenziato sviluppo di anticorpi anticollagene nel corso dell’anno

successivo all’intervento.

Nello sviluppo di questi materiali a base di collagene si è mirato

soprattutto all’ottenimento di un prodotto stabile e atossico. Per

20

questo durante la produzione si utilizzano metodi che non alterano

la stabilità della molecola. Infatti il collagene è sottoposto a cross-

linking di tipo fisico, tale da rendere più compatte e organizzate le

fibre, non alterare in alcun modo la struttura delle proteine e non

lasciare residui.

La qualità del collagene e dei prodotti da esso derivati sono

garantiti da metodiche produttive e analitiche validate che

garantiscono la sicurezza del prodotto in tutte le varie fasi:

raccolta da macelli controllati, estrazione e purificazione del

collagene, produzione dei dispositivi medico-chirurgici,

confezionamento e sterilizzazione.

Il collagene usato nella nostra sperimentazione è costituito da

collagene nativo eterologo di tipo I, liofilizzato sterile purificato da

tendine di Achille bovino, dopo estrazione mediante procedura

non denaturante. La soluzione finale di collagene contiene 0,95 ±

0,02 mg/ml di collagene come stimato dal dosaggio

d’idrossiprolina. La soluzione così ottenuta viene sterilizzata sotto

raggi gamma (0,5 – 1,5 Mrad) e conservata a 4°C. Questo

collagene si può trovare sia in forma di gel sia di placchette

spugnose, queste ultime da noi utilizzate per la sperimentazione.

L’utilizzo di queste placchette spugnose è d’estrema importanza

in quanto, oltre ad essere ottimi substrato per lo sviluppo dei

cheratinociti, consentono che questi ultimi si dispongano

tridimensionalmente così come avviene in vivo.

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Provenienza della cartilagine

La cartilagine è stata asportata dal condilo femorale di un

Paziente di sesso maschile di anni 63 sottoposto a resezione

testa e collo femorale per osteoartrosi e sostituito con

artroprotesi.

L’ ISOLAMENTO CONDROCITI è stato eseguito nel modo sotto

descritto:

1) Pesare una capsula petri contenente circa 20 i ml di D-MEM

completo senza FCS.

2) Scalzare via la cartilagine dall’osso e poi sminuzzarla fino ad

ottenere dei pezzi piccoli, aiutandosi con un bisturi sterile.

3) Trasferire il prelievo (che arriva dalla sala operatoria immerso

in soluzione fisiologica) nella capsula petri suddetta e pesare il

tutto. Si ottengono così i mg di cartilagine recuperata.

4) A questo punto si possono effettuare due lavaggi con 20 ml di

D-MEM completo senza FCS e procedere con l’isolamento.

Altrimenti si può lasciare la cartilagine sminuzzata in incubatore.

ed isolare i condrociti il giorno dopo.

5) Effettuare una prima digestione con Ialuronidasi 0.1% (10 mg

di enzima/10 ml di D-MEM completo senza FCS per 1 gr di

cartilagine oppure 20 mg di enzima/20 ml di D-MEM completo

senza FCS per 2 gr di cartilagine), a 37°C per 30 minuti. L’enzima

viene filtrato con filtro da 0.22 �.m.

6) Lavare due volte con 20 ml di D-MEM completo senza FCS.

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7) Incubare con Pronasi 0.5% (50 mg di enzima/10 ml di D-MEM

completo senza FCS per 1 gr di cartilagine oppure 100 mg di

enzima/20 ml di D-MEM completo senza FCS per 2 gr di

cartilagine), a 37°C per 60 minuti. L’enzima viene filtrato con filtro

da 0.22 �.m.

8) Lavare due volte con 20 ml di D-MEM completo senza FCS.

9) Raggruppare i pezzetti di cartilagine, aiutandosi con un bisturi

e trasferirli in una bottiglia sterile contenente un magnetino.

10) Incubare con Collagenasi 0.2% (40 mg di enzima/20 ml di D-

MEM completo senza FCS per 1 gr di cartilagine oppure 80 mg di

enzima/40 ml di D-MEM completo senza FCS per 2 gr di

cartilagine), a 37°C (bagno termostatato), in agitazione per circa

45 minuti. L’enzima viene filtrato con filtri da 0.4 e 0.22 �.m.

Fermare la reazione solo quando i pezzetti di cartilagine sono

totalmente digeriti.

11) Filtrare la sospensione con filtri di nylon da 100 e 70 �.m. e

trasferirla in un tubo.

12) Portare a volume (circa 50 ml) con D-MEM completo con

FCS e centrifugare a 1800 rpm per 15 minuti a 4°C.

13) Eliminare il S/N e risospendere il pellet in 10 ml di D-MEM

completo con FCS e ricentrifugare a 1800 rpm per 15 minuti a

4°C.

14) Conta con eosina o blu di Toluidina.

15) Si possono seminare le cellule a bassa densità (5.000 –

30.000 cellule/cm quadrato) o ad alta densità (da 200.000 cellule

/cm quadrato) in fiasche o su piastre Petri.

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Dopo 3 settimane si procede a staccare le cellule dalla fiasca o

dalla Petri mediante la seguente tecnica.

TRIPSINIZZAZIONE DELLE CELLULE

♦ Prelevare il surnatante

♦ 2 lavaggi MOSH 1X (4 ml per le piastre da 6/8 wells, 5 ml per

le F25, 10 ml per le F75, 20 ml per le F150)

♦ Incubare con Tripsina EDTA IX (2 ml per le piastre da 6/8

wells, 4 ml per le T25, 7 ml per le T75, 14 ml per le T150)

♦ Bloccare con terreno (4 ml per le piastre da 6/8 wells, 8 ml per

le T25, 14 ml per le T75, 28 ml per le T150)

♦ Centrifugare 7 minuti a 1800 rpm

Risospendere le cellule in terreno

Le cellule così ottenute vanno seminate (da 250.000 a 1 milione

e 500.000 per cm quadrato) sul supporto opportunamente

preparato.

TRATTAMENTO DEL BIOMATERIALE DI SUPPORTO

Il giorno prima della semina le membrane:

- vengono lavate due volte con 3 ml di acqua sterile a

temperatura ambiente per 30 minuti;

lasciate a bagno in 5 ml di acqua sterile a temperatura

ambiente per una notte;

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Il giorno dopo previo controllo del pH dell’acqua, le

membrane sono lavate per 3 volte di 15 minuti ciascuna con 3 ml

di PBS 1 x e quindi incubate con 3 ml di DMEM completo per 5

minuti;

A questo punto dopo ulteriore controllo del pH, le

membrane di collagene sono trasferiti sulla Petri e lasciate in

incubatore a 37 gradi C per circa 1 ora. Questo tempo serve a

fare in modo che le membrane si asciughino, diventando così

supporto più idonei all’adesione dei condrociti al momento della

semina.

Si cambia il terreno ogni 2 giorni e dopo 1 o 2 settimane la

coltura di condrociti su supporto è pronta per essere o esaminata

o utilizzata.

PREPARAZIONE D-MEM PER COLTURE DI CONDROCITI

TERRENO COMPLETO:

- 10 ml glutammina 1% ( 200 mM)

- 6 ml Penicillina-Streptomicina 1%

- Portare a 500 ml con DMEM 1X

TERRENO COMPLETO con FCS:

- 10 ml glutammina 1% ( 200 mM)

- 6 ml Penicillina-Streptomicina 1%

- 50 ml Siero bovino fetale 10%

- Portare a 500 ml con DMEM 1X

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RISULTATI

L’estrazione dei condrociti ottenuta nel nostro esperimento dalla

cartilagine della testa femorale ha permesso di ottenere 2 milioni

di cellule che abbiamo seminato in fiasca F 75.

Le cellule impiegano circa 1 settimana per aderire alla fiasca e 2

settimane per moltiplicarsi.

Le cellule perdono il loro aspetto tondeggiante, assumono forma

fusata e ramificata e si moltiplicano.

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Foto eseguite alla II settimana di semina

27

Foto eseguite alla III settimana: cellule molto voluminose,

globose e molto ramificate. Le cellule sono quasi a confluenza.

28

Dopo 3 settimane si procede a staccare le cellule dalla fiasca

tramite tripsinizzazione e a riseminarle ( 1 milione per cm

quadrato) sul supporto trattato opportunatamente.

Foto supporto

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Foto supporto fissato in formalina, incluso in paraffina.

A.PAS

ICH: vimentina

30

A.PAS Matrice extracellulare

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DISCUSSIONE

La mobilità delle ginocchia e delle articolazioni in genere,

dipende dalla cartilagine che riveste le estremità dell’osso a livello

delle articolazioni; la cartilagine puo’ venire danneggiata a seguito

di traumi e subire delle lesioni che possono estendersi sino

all’osso. Queste lesioni determinano dolore e limitazione motoria.

La cartilagine mostra scarsa – assente capacità

all’autorigenerazione in “vivo”; pertanto queste lesioni

permangono per anni e possono portare ad ulteriori processi

degenerativi osteo –artritici, dove si osserva una alterazione sino

all’erosione di parte o tutta la cartilagine circostante il difetto. In

caso di osteoartrite grave può essere necessario il ricorso ad una

artroprotesi.

Sono state proposte alcune tecniche chirurgiche per alleviare il

dolore e tentare di riparare la cartilagine danneggiata.

La condroplastica, ad esempio, prevede la pulizia del letto della

lesione e dei bordi della stessa. Altre tecniche prevedono in primo

luogo la pulizia della lesione e in seguito la perforazione dell’osso

sottostante; in questa meniera le cellule del midollo osseo

migrerebbero nell’articolazione, dando origine a tessuto fibroso.

Purtroppo a lungo termine i risultati non sono soddisfacenti, nè sul

piano clinico, nè su quello istologico. Il tessuto fibroso neoformato

infatti non ha le caratteristiche di durezza e scorrevolezza proprie

della cartilagine articolare e pertanto questo tessuto è destinato

ad alterarsi con il passare del tempo.

Uno studio svedese pubblicato nell’ottobre del 1994 sul New

England Journal of Medicine (M. Brittberg et al., 331:889 – 895,

1994) ha dimostrato che è possibile rigenerare cartilagine di tipo

ialino tramite trapianto di condrociti autologhi. La tecnica consiste

nel far crescere le cellule del Paziente in laboratorio e nel

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riapplicarle, in forma di sospensione, all’interno del difetto,

utilizzando un lembo periostale a tenuta ermetica per trattenerle in

situ ed evitarne la dispersione nella capsula sinoviale.

E’ stato infatti verificato che i condrociti, una volta liberati dalla

loro matrice, tramite digestione enzimatica, e coltivati in

laboratorio in mono –strato, perdono rapidamente il loro aspetto

morfologico tondeggiante e le loro caratteristiche biochimiche,

assumono un aspetto – fenotipo fibroblastico e si dividono

attivamente.

La presenza di una lesione cartilaginea viene normalmente

riscontrata durante un esame artroscopico. Durante tale esame, si

può procedere ad un prelievo di una piccola quantità di cartilagine

sana in una zona non di carico.

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La biopsia viene quindi inviata al laboratorio di colture cellulari,

dove i condrociti si moltiplicano in accurate condizioni di asepsi.

Dopo circa 3 – 4 settimane le cellule sono in numero sufficiente

per essere re-impiantate; trattandosi di cellule autologhe, non vi

sono rischi di infezioni o di reazioni di rigetto.

A questo punto si procede alla seconda parte dell’intervento: si

incide l’articolazione, si raschiano i bordi e si pulisce il letto della

lesione, rimuovendo la cartilagine danneggiata così da rendere

l’area atta a ricevere le cellule coltivate.

Una piccola incisione viene eseguita sulla tibia per prelevare un

lembo di periostio che ricopre la parte anteriore e mediale della

superficie ossea.

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Il lembo viene quindi suturato sopra la lesione ed il ricettacolo

così creato potrà ricevere i condrociti coltivati. Le cellule aderendo

all’osso sottostante, rigenereranno gradualmente un nuovo

tessuto cartilagineo che nel tempo assumerà caratteristiche simili

alla cartilagine originaria.

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TRAPIANTO DI CONDROCITI AUTOLOGHI VEICOLATI DA

BIOMATERIALE

L’impiego di componenti cellulari, supportati da scaffolds

adeguati, potrebbe condurre a risultati positivi nella riparazione del

tessuto articolare, consentendo un miglioramento della tecnica

chirurgica. L’impiego di scaffolds consente infatti di migliorare

l’attecchimento e la riproduzione cellulare, di trattenere

“fisicamente” le cellule nella zona da riparare e di dirigere

l’orientamento spaziale dei componenti della matrice. Tali supporti

devono avere le caratteristiche di essere biocompatibili,

biodegradabili e devono consentire la moltiplicazione cellulare e la

produzione di matrice, assicurandone contestualmente la

nutrizione. Non meno importante nel caso di trapianto di cellule

condrocitarie, questi supporti devono permettere la riespressione

del fenotipo originale che viene perso durante l’espansione in

coltura monostrato; il fenotipo differenziato del condrocita in

coltura è principalmente legato a 1) morfologia cellulare

tondeggiante o poligonale e 2) sintesi di collagene di tipo II e di

proteoglicani specifici della cartilagine contenenti condroitin

solfato e cheratan solfato

Numerosi materiali sono stati usati quali scaffolds nel trapianto

di condrociti, in particolare agarosio, gels di acido ialuronico, colla

di fibrina, collagene o alginato.

I nostri risultati mostrano che le cellule di cartilagine articolare

umana sono in grado di crescere su substrato di collagene di tipo I

con produzione di matrice extra-cellulare.

Nel nostro caso le cellule hanno mantenuto fisionomia allungata

fibroblasto – simile.

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CONCLUSIONI

Il nostro studio ha permesso di verificare la possibilità di

coltivare condrociti autologhi su supporto di collagene di tipo I.

I risultati hanno dimostrato che i condrociti proliferano sia se

coltivati in monostrato su fiasche o Petri (assumendo un aspetto

fibroblasto – simile), sia su idoneo supporto con capacità di

produrre matrice extracellulare.

Queste colture di condrociti su supporto possono essere

impiegate per riparare lesioni cartilaginee.

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