Tholoi d'Italia. Trulli e capanne in pietra a secco con copertura a tholos

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Una ricognizione puntuale e documentata delle abitazioni in pietra a secco italiane (e pugliesi in particolare)

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Etnografie

collana diretta da Ferdinando Mirizzi

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Premessa 7

I. La capanna in pietra a secco con copertura a tholos 11

II. Origine del sistema costruttivo a tholos e delle capanne in pietra a secco 15

III. Diffusione della capanna in pietra a secco con tholos in Italia (Puglia esclusa) 31 1. Liguria e Piemonte, p. 31 - 2. Lombardia, p. 39 - 3. Friuli-Ve-

nezia Giulia, p. 44 - 4. Toscana (Isola d’Elba), p. 46 - 5. Abruzzo e Marche, p. 50 - 6. Lazio, p. 75 - 7. Molise, p. 77 - 8. Campania, p. 78 - 9. Basilicata, p. 79 - 10. Sicilia, p. 82 - 11. Sardegna, p. 92

IV. Diffusione della capanna in pietra a secco con tholos in Puglia 103 1. Gargano, p. 107 - 2. Tavoliere di Puglia e Subappennino Dauno,

p. 117 - 3. Dintorni di Barletta, p. 128 - 4. Triangolo Andria-Canosa-Barletta, p. 133 - 5. Costa nord-barese, p. 137 - 6. Area costiera da Bari a Fasano, p. 152 - 7. Da Andria a Grumo Appula, p. 170 - 8. Alta Murgia, p. 187 - 9. Da Laterza a Taranto, p. 204 - 10. Area Acquaviva-Turi e Terlizzi (tipologia “a tetto displuvia-to”), p. 207 - 11. Murgia di sud-est o Murgia dei Trulli, p. 211 - 12. Da Fasano a Carovigno, p. 233 - 13. Salento, p. 244

V. Le maestranze 273

Indice

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VI. Modalità costruttive delle capanne in pietra a secco pugliesi 281

Note e riferimenti bibliografici 285

Indice

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Le costruzioni in pietra a secco con copertura a tholos sono un patrimonio culturale comune a varie parti dell’Europa e del Mediterraneo. Per la prima volta un libro come questo riesce ad operare una prima esaustiva descrizione e classificazione di questa particolare tipologia di edifici all’in-terno della penisola e delle isole italiane. In Italia, infatti, maggiore atten-zione è stata rivolta, da parte degli studiosi del passato, alle abitazioni permanenti in pietra a secco pugliesi, i trulli, noti oramai in tutto il mon-do grazie all’eccezionalità di Alberobello, patrimonio nazionale già dal 1930 e dal 1996 dichiarato dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità. Se è vero che negli ultimi decenni sono apparse alcune monografie su sin-gole regioni o aree italiane, ad esempio la Liguria, l’Abruzzo e il Salento, nessuna pubblicazione ha mai tentato fino ad ora di sintetizzare in un’ot-tica chiara e onnicomprensiva i dati attualmente noti sulla presenza delle costruzioni in pietra a secco italiane. Grazie a quest’opera si spera sia possibile avere un quadro sinottico chiaro ed esaustivo per poter in futuro confrontare tra loro i dati tipologici e descrittivi delle capanne italiane con quelle europee e mediterranee più in generale, in modo da migliorare le nostre conoscenze in merito a questo argomento e poter meglio chiarire una serie di questioni ancora aperte riguardo alla loro origine ed evolu-zione.

Questo libro è frutto di lunghe ricerche bibliografiche e, al contem-po, di una ricerca sul campo in Puglia distribuita nell’arco di diversi anni, dal 2006 al 2010, dove mi è stato possibile visitare diverse capanne in pietra a secco che ho provveduto a fotografare e a rilevare anche in pre-visione di una loro probabile futura sparizione se non si provvederà al più

Premessa

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8 Premessa

presto ad una qualche azione di tutela e restauro. Si spera pertanto che questo libro serva anche di incentivo per aumentare il livello di consape-volezza globale sul valore di queste opere di architettura “vernacolare” che andrebbero protette e valorizzate secondo un modello sinergico che veda le Istituzioni, le Università e i privati collaborare insieme anche in vista dell’evoluzione del fenomeno turistico, che sempre più vede lo slittamen-to dalle forme edonistico-ricreative a quelle culturali.

Il libro è diviso in sei sezioni. Il primo capitolo (I) si occupa di de-scrivere con precisione la tecnica costruttiva a tholos che accomuna tutte le capanne in pietra a secco studiate in questo libro, distinguendola dalla tecnica a spingente propria invece delle cupole e delle volte in uso presso l’architettura “dominante”. Nel secondo capitolo (II), invece, dopo aver illustrato la diffusione geografica della capanna a tholos nel mondo, si ten-ta un’analisi approfondita delle origini storiche e degli utilizzi di questa tipologia costruttiva fin dalla sua presunta comparsa in epoca protostorica. Nel terzo capitolo (III) l’analisi si concentra sulla trattazione delle varie tipologie di capanna in pietra a secco nelle varie regioni italiane (ad esclu-sione della Puglia, per la quale ho preferito dedicare un apposito e ampio capitolo in virtù sia della maggiore complessità delle costruzioni pugliesi, sia della possibilità che ho avuto di accedervi direttamente per le opera-zioni di rilievo): seguendo una convenzione in uso anche presso studiosi di altre discipline ho iniziato a descrivere le capanne partendo da nord-ovest (Liguria), e mi sono spostato nello spazio verso nord-est (Friuli-Venezia Giulia), per scendere poi verso sud fino alle isole maggiori (Sici-lia e Sardegna). Per ogni regione, inoltre, ho cercato di raccogliere quanti più dati possibili sulle diverse iniziative intraprese negli ultimi anni per valorizzare e salvaguardare queste costruzioni rurali a livello locale. Nel quarto capitolo (IV), invece, come già accennato, la ricerca si orienta più approfonditamente nei riguardi delle tipologie pugliesi che raggiungono il grado massimo di diffusione e di complessità oltre che di funzionalità sia in Italia che in Europa e nel mondo. In Puglia, infatti, l’evoluzione storica recente ha permesso, nella subregione della Murgia di sud-est, la trasformazione del trullo monocellulare a pianta circolare (semplice rico-vero per uomini e animali e deposito degli attrezzi agricoli) nei comples-si abitativi permanenti a pianta quadrangolare e pluricellulare che tocche-

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9Premessa

ranno il loro apice “evolutivo” nella città di Alberobello (BA). La ricerca è corredata da innumerevoli schizzi e fotografie che mostrano nei parti-colari più dettagliati le forme e le funzionalità assunte dai cosiddetti trul-li/caselle “minori” rispetto ai più “evoluti” trulli della Murgia di sud-est, la cui analisi e descrizione è stata privilegiata storicamente dai vari studiosi che si sono occupati dell’argomento. Nel quinto capitolo (V) viene af-frontato brevemente il tema delle maestranze specializzate che, in un pas-sato recente (XVIII sec. e XIX sec.), edificarono la gran parte delle co-struzioni a secco pugliesi. Infine, nel capitolo conclusivo (VI), a mo’ di esempio, per illustrare meglio il sistema costruttivo e statico della tholos, si dà una descrizione delle modalità edificatorie delle capanne in pietra a secco pugliesi.

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Fig. 80. Visione laterale della capanna di fig. 79. Notare il finestrino di aereazione realizzato con due biliti posti in contrasto fra loro e i conci sporgenti per ispezionare la copertura esterna.

Fig. 79. Casèddə, in calcare di Bari, sita sulla costa nelle immediate vicinanze del centro abitato di Polignano a Mare. Nonostante la differenza nel materiale impiegato (calcare di Bari al posto del “consueto” tufo delle Murge), la forma rimane la stessa delle costruzioni tipiche della costa sud-barese: elemento questo tra gli altri, che smentisce fortemente la teoria litologica/determinista del Simoncini.

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167IV. Diffusione della capanna in pietra a secco con tholos in Puglia

Fig. 81. Visione laterale della capanna di fig. 79 che mostra l’originario intonaco (a base di calce e molto bolo) della copertura e il pinnacolo monolitico lavorato in forma tronco-conica con un piccolo disco piatto posto sulla sommità.

Fig. 82. Due casèddə, in tufo delle Murge, molto simili morfologicamente (e probabilmente costruite dalle stesse maestranze), site nell’agro di Monopoli (contrada Santo Stefano). Notevoli sono le somiglianze con la capanna di fig. 79 dell’agro di Polignano a Mare: il basamento quadrato a spigoli vivi, il portale trapezoidale sopra l’ingresso, lo stretto cordolo terrazzato che corre lungo tutta la struttura tra basamento

e copertura, l’estradosso della tholos a generatrici inflesse, il pinnacolo monolitico lavorato in forma tronco-conica. La capanna sulla sinistra presenta un camino interno con canna fumaria che sbuca all’esterno tra la tholos e il basamento, indicando un utilizzo originario della costruzione come abitazione temporanea dell’orticoltore locale.

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Fig. 83. Casèddə, in tufo delle Murge, dell’agro di Monopoli (contrada Santo Stefano). Questa costruzione, pur situandosi a breve distanza dalle precedenti, appare molto più “elementare” nell’apparato esterno: assume la forma primaria ogivale che risulta “tipica” dell’agro monopolitano e che la rende simile alle casèddə dell’areale barlettano. In realtà, a ben guardare, si tratta di una forma semplificata rispetto alle capanne analizzate in precedenza. Sono stati, infatti, “eliminati”: il basamento quadrangolare esterno che contrafforta la costruzione, il portale trapezoidale sopra l’ingresso, i conci a mensola (tranne la scala elicoidale che sale fino al pinnacolo) disposti su ampi tratti dell’estradosso della copertura. La struttura, seppure più piccola nei volumi interni ed esterni, mantiene l’estradosso ogivale a generatrici inflesse, la copertura totale a base di bolo con scialbatura a latte di calce e il pinnacolo monolitico lavorato in forma tronco-conica. È probabile che questa tipologia venisse utilizzata primariamente come deposito degli attrezzi agricoli e, solo in caso di necessità, come ricovero dell’orticoltore.

Fig. 84. Casèddə, in tufo delle Murge, dell’agro di Monopoli (contrada Torre Cintola). Presenta la stessa tipologia costruttiva della capanna di fig. 83 con l’aggiunta di un piccolo portale trapezoidale sopra un arco in conci di tufo squadrati. Il pinnacolo, un tempo presente, doveva essere di forma tronco-conica capovolta. È possibile notare la struttura lenticolare dei conci di calcarenite, dal momento che la capanna ha perso negli anni l’originario intonaco esterno di rivestimento.

Fig. 85. Pianta e sezione della capanna di fig. 84.

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169IV. Diffusione della capanna in pietra a secco con tholos in Puglia

Fig. 86. Particolare della tholos della capanna di fig. 84.

Fig. 87. Particolare dell’interno della capanna di fig. 84. Notare l’arco a tutto sesto in conci squadrati di tufo e la risega per fissare la cornice della porta (ancora in situ e funzionante).

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Fig. 158. Due casíiddə, un tempo abitati permanentemente, in calcare di Altamura, nell’agro di Alberobello (contrada Coreggia). In origine, questa frazione alberobellese era composta esclusivamente da dimore a trullo. Come ci informa Allen, infatti, «nel territorio dei conti, dove la malta era proibita per legge, gli aggregati urbani furono formati soltanto da trulli. Più di due dozzine di villaggi di trulli sorsero con l’insediamento di una decina di famiglie che con il passar del tempo aumentarono di numero. Questi sono ancora esistenti su disagevoli, vecchi viottoli di campagna, lontani dai principali centri abitati della Murgia. Trattasi di sonnolenti villaggi variamente formatisi, con trulli allineati lungo una strada o aggruppati intorno ad un crocevia, ovvero intorno ad un rigoglioso pascolo demaniale, generalmente su un solo lato della strada. Quasi tutti sono ancora abitati fra i quali i principali sono: Tumbinno, Paparello, San Marco Basso, Quei di Carlo, Cuccolicchio e Caranna. Soltanto pochi sono ben preservati in quanto in gran parte sono stati resi irriconoscibili da nuove costruzioni in tufo e calcestruzzo. Uno o due, come Neglia, sono abbandonati. In gran parte sono rimasti allo stato embrionale e molto radi. Sono ancora vivi, ma non sono più cresciuti, né diventeranno mai nuclei urbani. Parecchi, come Cuccolicchio, hanno raggiunto un certo numero di abitanti che può essere contato in centinaia. Soltanto Alberobello, partorita nella mente di Gian Girolamo II, fu sempre una città con una carica di vitalità»189.

Fig. 159. Particolare della tholos di una casíiddə nella frazione alberobellese di Coreggia. Rispetto alle tholos presenti in costruzioni a secco meno rifinite, si nota, in quelle diffuse nella Murgia di sud-est, la perfetta lavorazione dei conci in aggetto, effettuata con un taglio obliquo, che permette di evitare internamente la dentellatura a sega.

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227IV. Diffusione della capanna in pietra a secco con tholos in Puglia

Fig. 160. Scorcio del Rione Monti di Alberobello che, con i suoi 1070 trulli concentrati in 13,68 ha (secondo il censimento del Notarnicola per l’anno 1923190), costituisce la zona più suggestiva e più turistica del centro pugliese. Dichiarato, nel 1996, Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO proprio grazie alle sue inusuali abitazioni, Alberobello è, secondo il Battaglia, «la più alta e originale espressione architettonica raggiunta – sempre in ambiente rurale e popolaresco – dall’antichissima tecnica dei trulli»191. Come ci informa il Simoncini: «Essendo la città abitata da contadini, le esigenze distributive delle costruzioni non cambiano rispetto a quelle disseminate nelle campagne; mutano invece le forme volumetriche data l’esigenza di seguire l’allineamento lungo una strada e la

necessità di una disposizione a gruppi entro isole. Come si parla di uno spazio interno così si può parlare di spazio abitabile esterno al trullo. Si è potuto notare la tendenza a costruire intorno alla casella un recinto, un’aia, talora un semplice piano rialzato sul terreno che crei una estensione all’aperto dell’edificio. Tale fatto, che nei trulli delle campagne si amplia [...] in un complesso di attrezzature, forno, vasche, sedili di pietra, pergola, sistemati entro uno spazio ben definito, in questi di città si concreta nella particolare fisionomia che assumono le strade, spesso interrotta a formare piccole corti, quasi un soggiorno all’aperto, ovvero, se continue, realizzate con un senso di intimità e dimensione fisica che sono più proprie di un corridoio e di una scala che di una strada»192.

Fig. 161. Particolare della tholos e del soppalco di un trullo di Alberobello. Notare la maggiore accuratezza rispetto alle costruzioni di campagna.

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Fig. 162. I simboli a calce, che si vedono dipinti sull’estradosso di alcuni trulli alberobellesi, sono stati oggetto, nella prima metà del secolo scorso, di una forte polemica promossa da molti sacerdoti e “benpensanti” locali, i quali dichiararono che tale abitudine (considerata paganeggiante) fosse estranea alla tradizione locale, perché sopravvenuta solo a scopo turistico in seguito allo scritto del Notarnicola193. Il giurista locale Pietro Lippolis riuscì, facendo appello a tutti gli «alberobellesi intelligenti» affinché «sia riparato allo scempio della zona monumentale», a convincere l’opinione pubblica a desistere dal dipingere i segni a calce sui tetti dei loro trulli194. Ed oggi, in effetti, solo pochi edifici alberobellesi recano i simboli dipinti a calce rispetto al passato quando, secondo la Troccoli-Verardi, l’uso era in vigore a prescindere e ben prima dello scritto del Notarnicola195. I segni in questione, inoltre, come ha ben dimostrato la stessa studiosa pugliese, appartenevano ad un contesto storico-religioso tipicamente cristiano e non pagano: «[...] tali segni o avevano un’origine assolutamente cristiana, o avevano già subito la rielaborazione e reintegrazione cristiana prima della loro comparsa in terra di Puglia»196.

Fig. 163. Scorcio del Rione Aia Piccola di Alberobello, ubicato sul versante sud-est di Alberobello e separato dal Rione Monti dal Largo delle Fogge. Secondo il Censimento del Notarnicola, contava agli inizi del secolo scorso 400

trulli concentrati in un area di 4,00 ha, e, nonostante sia stato dichiarato Monumento nazionale dal 1930 e successivamente Patrimonio UNESCO, non ha subito, a differenza del Rione Monti, quel processo

di turisticizzazione e di commercializzazione da molti criticato. Qui è possibile ancora scoprire scorci “suggestivi” che testimoniano l’aspetto che buona parte del paese doveva avere fino a qualche decennio fa.

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229IV. Diffusione della capanna in pietra a secco con tholos in Puglia

Fig. 164. Il Trullo Sovrano, di proprietà della famiglia Perta e oggi adibito a museo, è la costruzione più grande di Alberobello: è formato da due piani sovrapposti (inferiore voltato a padiglione, superiore con copertura a tholos) ed è il risultato di un processo costruttivo che parte dagli inizi del XVII sec. per concludersi attorno al 1780197. Secondo quanto afferma Ambrosi, «è possibile [...] che l’edificio sia una delle tante ristrutturazioni delle antiche caselle a secco, nel corso delle quali i proprietari trasgredendo le regole imposte, facevano uso della tecnica a malta e chiamavano maestri murari dai comuni vicini. [...] Si può anche affermare che nel Trullo Sovrano venga rispettato lo schema della camera centrale delle caselle, suddivisa in altezza dal tavolato, qui sostituito dalla volta, costruita in solida muratura. Così considerato, il Trullo Sovrano non appare più eccezionale, poiché si inserisce nella tradizione, costituendo l’ultimo stadio dell’evoluzione della tipologia»198. Anche secondo il Favia «i trulli a due piani rappresentano il più avanzato esempio evolutivo, sia tecnico che architettonico dell’antico trullo, cioè il passaggio dalla vecchia costruzione trulliforme alla casa vera e propria. Non sono molti, ma i pochi finora costruiti presentano una accuratezza di esecuzione ed una notevole evoluzione edilizia. La casa D’Amore ed il trullo “sovrano” di Alberobello (XVIII sec.) [...] devono finora ritenersi le uniche costruzioni a due piani interamente

abitabili. Ma non poche sono quelle della stessa Alberobello, di Noci, di Martina Franca, di Locorotondo e dell’intera plaga che, pur essendo di assai modeste proporzioni e col solo piano inferiore abitabile, si spingono ugualmente oltre il terraneo [...]. La loro tessitura è totalmente a secco ed entra in gioco la bravura del casellaro nell’ intrecciare le pietre che ricava o lavora sul posto. La composizione spaziale delle due citate costruzioni presenta il frontone che si spinge sino al primo piano e la stessa quinta maggiormente allargata in facciata, col portale di maggiore ampiezza in funzione di vero e proprio atrio coperto, o meglio di portico. La vera e grande innovazione sta nella sovrapposizione di due ambienti coassiali a volta, di cui il superiore a trullo e l’inferiore a padiglione o a crociera. [...] Anche nelle case a due piani, di più modeste proporzioni, la tecnica muraria è progredita, e se per le più modeste esigenze di ordine casalingo il trullo superiore non è adibito ad abitazione e la scala continua ad essere all’esterno per accedere solo alla colombaia o allo stesso trullo, che serve da ripostiglio o per raggiungere il ballatoio del risego, per asciugare al sole i vari prodotti del suolo, ciò non significa che non siano ugualmente degni della più attenta considerazione e che non rappresentino del pari la più concreta evoluzione dalla composizione architettonica del trullo, suscettibile di ulteriore sviluppo»199.

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Fig. 166. Pianta e sezione della capanna di fig. 165.

Fig. 165. Casèddə bicellulare, in calcare di Altamura, dell’agro di Locorotondo (contrada Marziolla). Questa costruzione si presenta come un ibrido tra un casolare e un trullo, per via dell’alto basamento tronco-piramidale che tende a far scomparire la tholos entro il rinfianco. È frutto di quelle innovazioni dell’architettura a trullo del XIX sec. che permisero, oltre all’apertura di vani e finestre secondarie, anche la creazione di un terrazzo con balaustra. La copertura piana era in grado di assicurare un maggior immagazzinamento dell’acqua piovana e, inoltre, dava la possibilità di seccare i prodotti agricoli e di sorvegliare

il campo coltivato. Questa costruzione si presenta formata internamente da due moduli rettangolari affiancati, di cui solo quello d’ingresso (2,88 x 3,84 m) è voltato a tholos (h. da terra 5,30 m), con copertura estradossata all’esterno per mezzo del cono di chiancarelle, mentre il volume adiacente (1,50 x 4,37 m) è coperto da una volta a botte (h. da terra 2,64 m), il cui estradosso è nascosto dalle murature di rinfianco. Nel vano centrale sono presenti diverse nicchie adibite a ripostiglio, focolare e cisterna, mentre in quello adiacente si ipotizza una funzione di vano notte.