the trip n°9

39
the trip N°9 novembre 2011 / free press Spomenik Roma - Londra Cappadocia / Taiwan Franco Purini thetripmag.com

description

follow us on www.thetripmag.com

Transcript of the trip n°9

Page 1: the trip n°9

the tripN°9 novembre 2011 / free press

SpomenikRoma - LondraCappadocia / TaiwanFranco Purini

thetripmag.com

Page 2: the trip n°9
Page 3: the trip n°9
Page 4: the trip n°9
Page 5: the trip n°9

“Foggiest” di Mateo

Le materie scientifiche non sono mai state il mio forte. Al liceo ho avuto la fortuna di avere una compagna di banco che era una specie di genio e finito il suo compito in classe si dedicava al mio. Risultato: un bell'otto in pa-gella. All'università per racimolare qualche euro extra dovevo nascondere la calcolatrice sotto la scrivania men-tre davo ripetizioni al mio cuginetto che si preparava per gli esami di terza media. Lui era fortissimo: mentre mi dava i risultati di equazioni, sottrazioni o divisioni io stavo ancora contando le palle sul pallottoliere... un vero disastro. Eppure la geometria mi ha sempre incuriosita. Sarà stato per la mia passione per i giochi di ruolo, dove non finivo mai di disegnare mappe, città e abitazioni. Ma certo non basta saper calcolare l'area del triangolo per essere un architetto. Così mi sono data alla letteratura. Per imbattermi nel più classico dei classici “contempora-nei”: Italo Calvino. L'intellettuale ligure nato a L'Ava-na, grazie ad Einaudi, presenta al pubblico nel 1972 la raccolta delle relazioni di viaggio che Marco Polo fa a Kublai Khan, imperatore dei Tartari (nella realtà sto-rica, Kublai, discendente di Genghis Khan, era impera-tore dei Mongoli, ma Marco Polo nel suo libro lo chiama Gran Khan dei Tartari e tale è rimasto nella tradizione letteraria). A questo imperatore malinconico, che ha capito che il suo sterminato potere conta ben poco perché tanto il mondo sta andando in rovina, il fortunato mercante ve-neziano racconta di città impossibili. Ad esempio di una città microscopica che si allarga in continuazione e che poi risulta essere costruita da tante città concentriche in espansione, una città-ragnatela sospesa su un abisso o una città bidimensionale. Come lo stesso autore spiega in una conferenza tenuta in inglese il 29 marzo 1983 agli studenti della Gradua-te Writing Division della Columbia University di New York, “Le città invisibili” sono un ultimo poema d'amore

alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come tali. “Forse stiamo avvicinandoci a un momento di crisi della vita urbana - spiega Calvino - e Le città invisibili sono un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili. Oggi si parla con eguale insistenza della distruzione dell'am-biente naturale quanto della fragilità dei grandi sistemi tecnologici che può riprodurre guasti a catena, paraliz-zando metropoli intere. La crisi della città troppo grande è l'altra faccia della crisi della natura”. L'immagine della megalopoli che va ricoprendo l'intero globo terrestre domina il libro. Ma Calvino non vuole scrivere qualcosa che annunci catastrofi o apocalissi di vario genere (bastano i Maya per profetizzare la fine del mondo!). L'intento dell'autore, e in questo caso di Marco Polo, è scoprire le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, ragioni che potranno valere al di là di tutte le crisi. “Le città sono un insieme di tante cose - continua Calvino - di memoria, di desideri, di se-gni d'un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell'economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi. Il libro si apre e si chiu-de su immagini di città felici che continuamente prendo-no forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici”. Il numero di “the trip” che state per sfogliare prende spunto dalla lezione di Calvino e invita ognuno di voi ad immaginare la propria città, la propria personale archi-tettura fatta di parole, ricordi, scambi. Noi vi proponiamo qualche esempio, dalle case di tufo in Cappadocia ai monumenti commemorativi sparsi per la ex Jugoslavia. Dagli acquedotti romani fino agli UFO di Taiwan.Io, intanto, ho buttato il pallottoliere.

Valentina Diaconale

06 07

Page 6: the trip n°9

editoriale

Cappadociail mercato dell'Esquilino

Roma - Londra

inviati

B.I.G.

Napoli portfolio

il Giardino dei Tarocchi Roma

Benjamin Beker

eventi dal mondo

Taiwan

Spomenik

Winchester house

Franco Purini

06

sommario

redazione

24

56

33

26

54

18

51 52

62

68 70

64 66

12 14

la casa chiusa di Bari

60

the trip N° 9 novembre 2011

direttore responsabile Valentina [email protected] editoriale Lorenzo [email protected] director Andrea [email protected] redazione Francesca Rosatiredazione Claudia Bena, Simone Bracci,Anna Mastrolitto e Paolo Valoppiphoto editor Martina Cristofaniresponsabile web Veronica Gabbutiresponsabile marketing abc project

editore the trip s.r.l.via Apollo Pizio 13 - Roma

centro stampaArti Grafiche s.r.l.via Vaccareccia 57 - 00040 Pomezia

sede legalevia Gasperina 188 - Roma

sede redazionevia Apollo Pizio 13 - Roma

Registrazione Tribunale di Roma n. 329 del 6 ottobre 2009

hanno collaboratoGianluca Bernardo, Chiara Branca, Bianca Di Cesare, Alessandra Iodice, Benedetta Marciani, Alexandra Rosati, Viola Stancati, Francesco Zingoni.

fotoElena Adorni – [email protected] Beker – benjaminbeker.com Luisa Carcavale – luisacarcavale.itJan Kempenaers - jankempenaers.comSamantha KwokMarco Lafiandra - coroflot.com/marco_lafiandra Salvatore Landi – [email protected]

Alessia Laudoni – alessialaudoni.comDaria Muller – essence-of-entities.blogspot.comSaverio Scattarelli – [email protected]

La foto in copertina è di Jan Kempenaers

L’illustrazione dell’editoriale è di Mateo mateo-art.com

Un rigraziamento particolare a Daria Muller per l'idea del reportage

[email protected]

Page 7: the trip n°9
Page 8: the trip n°9

12

EVENTI DAL MONDOa cura di Francesca Rosati

SEGNALACI ANCHE IL TUOscrivi a [email protected]

TRAVELLING AROUND MUSIC CLUB TO CLUBTORINO3 - 6 NOVEMBREfoto di Alessia Laudoni

Sfiziosissimi piatti accompagnati da un buon vino, un viaggio attraverso la storia del cinema nella Mole Antonelliana, un giro tra capolavori dell’arte contempo-ranea in occasione di Artissima o il Con-temporary Art, le passeggiate illumina-te dalle Luci d’Artista, e poi? Elettronica di quella sofisticata, visionaria, nazionale ed internazionale, per riflettere e balla-re: Club to Club Alfa Romeo MiTo, festival internazionale di musiche e arti elettro-niche, dal 3 al 6 di novembre a Torino. Club to Club non si accontenta di con-

taminare solo il capoluogo piemontese con la nuova onda creativa della scena musicale italiana. Il festival, avendo tra i suoi obiettivi anche quello di partecipare alla celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, farà tappa a Roma e Milano per un’anteprima di quel che sarà il vero e grande evento. Un viaggio intorno alle città che sono state o sono, per una ra-gione o un’altra, le capitali italiane. Un festival tricolore dunque che conferma il legame con il ricco programma di Espe-rienza Italia 150. L’undicesima edizione di Club to Club presenta una line-up ricca di anteprime e piatti prelibati che accosta le leggende dell'elettronica alle novità internazionali e italiane più interessan-ti del momento. Talenti rappresentativi delle avanguardie di casa nostra come Lucy, Giorgio Gigli o Vaghe Stelle che in-

sieme a Stargate e A:Ara presenteranno in anteprima il progetto “O” per essere sotto gli stessi riflettori di consolidati artisti internazionali come Alva Noto, Byetone, Apparat Band, Jeff Mills, dOP, Pantha du Prince, Caribou, Kode9 e Moderselektor. Numerose e prestigiose le sedi che fa-ranno da cornice alle performance degli artisti e raccoglieranno le energie dei par-tecipanti: Teatro Vittoria, Teatro Carigna-no, Auditorium RAI Arturo Toscanini, GAM, Lingotto Fiere - Padiglione 1 e Sala Rossa, Fondazione Arnaldo Pomodoro a Milano e Brancaleone a Roma. Cin, cin… buon festival e… tanti auguri Italia!clubtoclub.it

Anna Mastrolitto travellingaroundmusic.com

AGRIGENTO (ITALIA)17 APRILE – 30 NOVEMBRE “I GIGANTI DELLA MITOLOGIA”Lungo la via sacra della Valle dei Templi si stagliano le sculture monumentali di Igor Mitoraj, in quella che è ad oggi la mostra più importante dedicata all'artista polac-co. Frammenti di corpi di bronzo e resti di pietra chiara. Il moderno e l'antico. Il surreale e il più classico dei classici. I vuo-ti e i pieni delle grandi statue di Mitoraj si uniscono a quelli creati dalle colonne gre-che in una danza mistica di grande im-patto estetico, quasi inquietante.

GÖTEBORG (SVEZIA)10 SETTEMBRE – 13 NOVEMBRE“PANDEMONIUM”Jonh Milton nel primo libro del suo poema epico il “Paradiso Perduto”, parafrasando “pantheon” (tutti gli dei) compone pan –daimonion per indicare il Palazzo costruito dall’Angelo Caduto: Satana. Ma la sua è una interpretazione positiva: dalle ceneri per ricominciare. Per la Biennale Interna-zionale d’Arte Contemporanea di Go-tebörg, Pandemonium è un laboratorio di esperimenti ed idee. goteborg.biennal.org

PARIGI (FRANCIA)15 SETTEMBRE 2011 – 15 GENNAIO 2012“COEURS DE NATURE EN FRANCE”Le ringhiere che costeggiano i Giardini di Lussemburgo, nel cuore di Parigi, mo-strano al pubblico passante il vero cuore della Francia: duecentocinquanta riserve naturali, nove parchi nazionali, due par-chi marini e centinaia di siti protetti sulla costa catturati in quaranta immagini per creare una collezione fotografica unica. Per la tutela di quei siti, veri serbatoi di bio diversità.coeursdenatureenfrance.com

LAGO DI PATZCUARO (MESSICO)1 NOVEMBRE“IL DIA DE LOS MUERTOS”Sul lago di Patzcuaro nel Michoacan, a quattr'ore di autobus a nord di Città del Messico, si svolge la celebrazione più spettacolare di tutto il paese. Nella not-te del 1 novembre centinaia di barche raggiungono l'isola di Janitzo al centro del lago e centinaia di persone, con delle lanterne, ne risalgono i sentieri fino al cimi-tero. Ogni tomba è decorata con luci e offerte di cibo a identificare il forte lega-me tra il popolo messicano e l'aldilà.

ROMA (ITALIA)4 – 6 NOVEMBRE ““...TEN YEARS AFTER...”San Lorenzo, Pigneto e Tiburtino ospita-no la VII edizione del Mojo Station Blues Festival, il principale e più longevo Blues Festival della capitale. Le sonorità del Blues proposte in una visione multimedia-le: concerti, dj-set, mostre ed esposizioni fotografiche, rare movies e visual-art all'in-terno di questi quartieri tanto popolari quanto in costante mutamento sociologi-co e culturale.mojostation.net

BELGRADO (SERBIA)14 – 16 NOVEMBRE“GREEN SCREEN FESTIVAL”L’innovazione, l’educazione e l’utilizzo delle nuove tecnologie per la valorizzazio-ne e la tutela dell’ambiente sono requisiti obbligatori per partecipare alla II edizio-ne del Festival del Cinema Ambientale. Il tema di quest’anno? Gli ecosistemi delle foreste. Non perdete le proiezioni dei do-cumentari vincitori al Sava Center di Bel-grado (Milentija Popovica 9). Vi aspetta una combinazione ambiziosa di arte ci-nematografica ed ecologia.greenscreenfest.org

BELO HORIZONTE (BRASILE)22 – 27 NOVEMBRE“FEIRA NACIONAL DE ARTESANATO”La fiera degli artigiani in Brasile è una del-le fiere più grandi dell'America Latina. In esposizione cinquantamila articoli fatti a mano da quasi ottomila artigiani prove-nienti da varie parti del Brasile e del mon-do. Oltre a una vasta gamma di prodotti artigianali la 22° Feira Nacional de Artesa-nato offre un vasto programma di corsi e seminari per esperti e non.feiranacionaldeartesanato.com.br

EMISFERO AUSTRALE25 NOVEMBREECLISSI SOLAREGli occhiali da sole sono d’obbligo. Me-glio se usati al contrario. La luna che pas-sa davanti al sole oscurandolo comple-tamente è un evento raro che si ripete ogni 600 anni. Più facile vedere una eclissi solare parziale. In Italia l’ultima è stata il 3 ottobre 2005. Questa volta è visibile nell’emisfero australe toccando Antarti-de, Sudafrica, Nuova Zelanda e Tasma-nia. Qui nel Belpaese bisognerà aspettare il 2 agosto 2027.

Page 9: the trip n°9

I giganti dell’acquadi Valentina Diaconale

“Benché privi ormai del prezioso liquido che per qualche secolo avevano portato a Roma, i millepiedi murari, altret-tanti ponti di infinita lunghezza, erano comunque in grado di ricordare il ciclo dell'acqua. Le nuvole che solcavano il cielo promettevano un'acqua che essi non avrebbero più raccolto come vene efficienti, ma l'essere stati il supporto di veloci torrenti era per loro ancora emozionante”.

Siamo nella Campagna Romana, a sud della Capitale, tra il quartiere Tuscolano e Cinecittà, e l’emozione descritta nelle parole del professor Franco Purini appartiene a quel particolare manufatto architettonico che segna inconfon-dibilmente il profilo della periferia. Stiamo parlando degli Acquedotti romani. Professore ordinario di Composizione Ar-chitettonica e Urbana presso la Facoltà di Architettura Valle Giulia a Roma e Direttore del Dipartimento di Architettura e Costruzione, Franco Purini utilizza il disegno come strumen-to di ricerca, che sfocia in una grande complessità grafica del progetto, oltre che in una carica fortemente simbolica delle sue opere, dense di sfalsamenti ed effetti chiaroscurali. Nel 2006 è stato curatore del Padiglione italiano alla decima Mostra Internazionale di Architettura della Biennale a Vene-zia. Nel 1966 ha fondato uno studio con la moglie Laura Ther-mes, affrontando sia questioni di linguaggio architettonico che complessi interventi urbani. Molti dei progetti relativi a città hanno come oggetto il rapporto tra segni permanenti ed elementi mutevoli. La particolare predilezione per la co-siddetta architettura disegnata, ha fatto sì che alcune sue tavole siano conservate presso numerosi musei del mondo.Allestita nell’unico centro commerciale in Europa con uno spazio espositivo permanente, Cinecittàdue Arte Contem-poranea, all’ultimo piano nell’omonimo shopping mall (viale Palmiro Togliatti 2), la mostra “Acquedotti Romani “, da lui ideata e curata, unisce architettura, arte, fotografia e po-esia.

Da Santiago Calatrava a Mimmo Paladino, da Gabriele Ba-silico a Marco Lodoli, trenta architetti insieme ad artisti, foto-grafi, scrittori, poeti e il musicista Giorgio Battistelli hanno par-tecipato alla creazione di opere che, come spiega Purini: “dovrebbero consentire di vedere nel passato, nel presente ma soprattutto nel futuro di questi straordinari manufatti che sono gli Acquedotti romani, nelle diverse ottiche dell’archi-tettura, della pittura e della scultura, della video arte, della musica, della letteratura e della fotografia”.

“Pensare una mostra sugli acquedotti romani - continua Puri-ni - significa leggere, attraverso la loro capacità di costruire il paesaggio oltre la loro essenza tettonica e architettonica, la città di oggi nelle sue contraddizioni, nei suoi aspetti stabili e mutevoli, nella sua singolarità. Assieme a una pluralità di ambiti relativi alla città, gli acquedotti romani suggeriscono una ulteriore sfera di contenuti che comprende i temi del frammento, della vastità, del tempo, dell’acqua, una risorsa che sta divenendo sempre più rara e preziosa, oggetto in questi ultimi anni di complesse strategie globali”.

“Il Tempo dell’Acqua”, “Un fiume sopra di me, una casa dentro di me”, “Ricordando il Quadraro”. Sono le tue opere

“Il tempo dell’acqua” china su cartoncino schoeller – cm 70 x 50 “Un fiume sopra di me, una casa dentro di me”

esposte in mostra. Che cosa raccontano?Tra il 1948 e il 1953, prima che mi trasferissi con la mia famiglia a San Lorenzo, gli ampi spazi attorno al Quadraro sono stati per me, per mio fratello e per i miei amici di allora straordinari luoghi dell'avventura. Prati, marane, canneti, campi coltiva-ti, pareti di tufo sulle quali si aprivano grotte che ospitavano qualche pastore con le sue greggi, case sparse o unite a formare microvillaggi, orti, torri medioevali isolate costruite su fondazioni romane, terrain vague formavano un universo fantastico che non si finiva mai di esplorare. Era la Campa-gna Romana come l'avevano vista e raccontata scrittori come Goethe, Chateaubriand, Stendhal. Generazioni di pittori avevano trovato in quel mondo vuoto e desolato –

che più tardi, dopo molte letture, avrei scoperto nella sua dimensione sublime – numerosi scorci da fissare sulla tela. Tra i molti ruderi che punteggiavano quello spazio sconfina-to emergevano gli acquedotti, architetture in marcia verso il centro della città che segnavano ancora, nonostante le molte arcate crollate che ne interrompevano la continuità, una prospettiva spaziale che governava il paesaggio. Con il loro ritmo pieno-vuoto o, se si preferisce, con un'alternanza positivo-negativo gli acquedotti, soggetti in due modi diversi alla legge di gravità, si presentavano come una sequenza primaria dal carattere musicale. Leggeri a distanza come aerei trafori si rivelano da vicino potenti nei loro solidi e pe-santi pilastri di tufo i quali, più che inquadrare l'orizzonte lo

“Ricordando il Quadraro”

thetripmag.comintervista

14 15

questi spettacolari ruderiche si perdono nella lontananza come un'eco

alternando il pieno al vuoto costituiscono tracce territoriali continue

che pervengono alla scala geografica conferendo ad essa una dimensione eroica

Page 10: the trip n°9

comprimevano. Sposando l'archeologia con la metafisica quei nastri forati che si perdevano nell'atmosfera misurava-no il territorio rendendolo ancora più vasto.

Plinio il Vecchio li ha definiti “La più grande meraviglia che il mondo abbia mai visto”. Cosa rimane oggi della bellezza degli acquedotti di Roma inseriti nel paesaggio urbano della periferia?Negli ultimi decenni gli acquedotti sono stati per così dire assorbiti dalla città, che li vede ormai come semplici orna-menti di una periferia informe e intrinsecamente provvisoria anche se essa è, in realtà, una città oltre la città consolidata da tempo.

Alessandro Viscogliosi nel testo “L’architettura degli Acque-dotti”, contenuto nel catalogo della mostra, scrive: “quando Roma era ancora terra di sperimentazione, se non di con-quista, di tutti i linguaggi architettonici mediterranei, gli ar-chitetti romani erano già famosi nel mondo come costruttori di acquedotti”. Oggi qual è il valore simbolico degli acquedotti?In qualche modo gli acquedotti si sono confusi con lo sfondo casuale di strade e di edifici perdendo la loro vera visibilità, vale a dire quell'emergenza iconica che li aveva trasformati in autentici simboli. Per questo motivo ho proposto a Stefano Todi di chiedere a questi solenni ruderi, attraverso una mo-stra ad essi dedicata, di riprendere il loro ruolo di protagonisti di un rinnovato immaginario urbano. Un immaginario che sembra ermetico e lontano, ma che in realtà è in attesa di ridiventare operante.

La storia degli undici principali acquedotti dell’antica Roma è legata indissolubilmente a quella del territorio che circon-da la città. La storia del Tuscolano come si lega a Franco Purini?

All’inizio degli anni ’50 si stava realizzando il Tuscolano di De Renzi e Muratori. Non persi neanche un giorno di quello spet-tacolo suggestivo di gru, di impalcature, di travi e di pilastri che crescevano di giorno in giorno. Mi ricordo che nel 1951 in una assolata domenica di maggio partecipai all'inaugu-razione del quartiere. Salivo e scendevo per le scale delle torri ascoltando i commenti degli abitati sulle cose di cui avevo appena preso possesso. Mi colpì talmente tanto la gioia che illuminava i volti dei nuovi abitanti, finalmente ac-cecati dalla città, che decisi allora di dedicarmi all'architet-tura. Mi venne in mente allora che tra le case in costruzione e gli acquedotti che le fronteggiavano dovesse esserci un legame. Si trattava di un rapporto misterioso, ma al contem-po evidente, che si stabiliva attraverso una sorta di trasfe-rimento semantico dalla serialità delle arcate alle torri che delimitavano il quartiere come pilastri ingigantiti. Mi sembra-va che la ragione per la quale il Tuscolano fosse lì consistesse nella presenza di quei resti maestosi, ai cui piedi si allineava-no peraltro piccole case di fortuna, minacciate dai conci sconnessi delle arcate.

Una galleria d’arte all’interno di un centro commerciale. L’unica in tutta Europa. Perché questa scelta?Mettere in tensione il mondo affollato e ipercomunicativo di Cincittàdue, il primo shopping mall romano, con gli acque-dotti che lo osservano in silenzio, e che per più di un verso gli conferiscono l'identità che esso possiede, mi è sembrato un obbiettivo da perseguire. Un obbiettivo che a me appare importante e necessario. Spero che la mostra, nella com-presenza di diversi linguaggi artistici che essa propone, per-metta di raggiungerlo. Sarebbe come ricongiungere Roma moderna alla sua memoria.

intervista

16

Page 11: the trip n°9

doubleimagedoubleexperience

Hogre draws on the Abney park

presentazione del progetto a cura di Claudia Benafoto di Luisa Carcavale e Valentina Marella

Page 12: the trip n°9

Southbank centre on Via Libetta Canary wharf in Tuscolana

Highbury station in Garbatella

racconto di viaggio

2120

thetripmag.com

loadDouble Image / Double Experience è un progetto fotografico internazionale nato nell’estate del 2010. L’idea sca-turisce dalla curiosità e dalla continua ricerca nel campo della sperimenta-zione fotografica dell’artista Luisa Car-cavale, dalla sua esigenza di creare un dialogo interculturale con artisti di ogni parte del mondo. In un momento storico in cui tutto si vive attraverso il digitale, il progetto cerca di sovverti-re l’attuale linguaggio interpersonale di comunicazione di massa. Invece di esprimersi tramite post e chat, la pellicola diventa il mezzo attraverso il quale avviene il racconto di visio-ni artistiche personali, non narrate a voce, ma direttamente vissute. Si può

definire dunque uno svecchiamento dell’antica tecnica fotografica con risultati, cromatici e semantici, avan-guardistici. Con la condivisione tattile della pellicola, strumento di creazione artistica sempre più a “rischio estinzio-ne”, si cerca di superare la freddezza dell’immagine condivisa unicamente sul web e di unire non solo lo sguardo di diversi artisti, ma anche le loro diffe-renze geografiche e sociali, in un dia-logo interculturale, che diventa una sorta di ricerca etno-antropologica fatta sugli aspetti della vita sociale e sull’espressione umana. Nel progetto è previsto l’utilizzo di fotocamere analo-giche 35 mm e medio formato come le Lomo (Holga, Diana, LC-A, etc), pel-licole 120 mm a vari ISO e la tecnica

della doppia esposizione. Tale tecnica è utilizzata per realizzare immagini so-vrapposte. È necessario esporre la pel-licola due volte, ovvero scattare due foto diverse senza riavvolgerla. È un processo che su pellicola è ottenuto con dei valori impostati manualmente, per evitare di sovraesporla, rischian-do di bruciarla. Per questo è stato necessario fare una ricerca in rete selezionando artisti con una cono-scenza approfondita della tecnica e tanta passione per la fotografia. Dopo un’accurata valutazione del loro por-tfolio, sono state create delle coppie di artisti in base alle differenze pae-saggistiche dei propri paesi, seguendo i criteri base del progetto (architettura / urbanistica / ritratti).

contemporaneamente artisti scattanoriavvolgono e spediscono

creando una rete performativa in tutto il mondo

Page 13: the trip n°9

racconto di viaggio thetripmag.com

22 23

shotIl primo artista carica la fotocamera e va in giro per la propria città, ritraen-do ciò che è rappresentativo dei luo-ghi e per se stesso, lasciando l’ultimo frame per un autoritratto. Riavvolta completamente, la pellicola è fissata con del nastro adesivo, imbustata e spedita al secondo artista, il quale la userà per imprimere a sua volta le im-magini della città in cui vive. Contem-poraneamente altri artisti scattano, riavvolgono e spediscono, creando una rete performativa in tutto il mon-do tracciata da un’unica volontà: far parte di una performance artistica in attesa del risultato finale. Lo sviluppo e la stampa daranno vita ad un luogo “altro”, una sintesi fra due visioni. L’in-

tento è quello di creare un dialogo tra artisti per fondere le proprie personali visioni. Ogni immagine è un prodotto collettivo. Come sosteneva Becker, “ciò che differenzia un’immagine del sociale da un’immagine di valore so-ciologico non è il contenuto, ma la metodologia d’interpretazione ed utilizzazione di quella informazione vi-siva”. La fotografia, seppur fortemente attratta verso orizzonti creativi e artisti-ci, è rimasta fedele alla propria origi-naria funzione informativa, documen-taria e descrittiva della realtà umana.

Hanno partecipato al progetto con Luisa Carcavale: Misha Ashton, Susu-mu Khoda, Valentina Marella, Jorg

Richner e Valentina Cristi. Abbiamo scelto il reportage Londra/Roma del-le fotografe Valentina Marella e Luisa Carcavale, che hanno raccontato le città in cui vivono confrontandone gli stili architettonici, contrapponendo l’urbanistica industriale londinese alla classicità della capitale. In seguito al successo avuto presso la libreria Altro-quando di Roma, la mostra sarà ospi-tata a Parigi, Zurigo e Londra. È possi-bile partecipare al progetto inviando un portfolio di fotografie o un link dal quale visionarle. La fotografia è sem-pre alla ricerca di artisti che elaborano nuove visioni!

[email protected]

un luogo "altro" una sintesi fra due visionidue mondi distanti che si uniscono

nell’immagine fotografica

Gazometro on Amstead hill Angel on Islington

Hacney central station in Piazza Navona

Page 14: the trip n°9

una delle “scale chiuse” all’interno della casa

25

thetripmag.com

fotografia della piantina esposta all’interno del museo della Winchester Mystery House

Winchester House

La disperazione è un’emozione poten-te, drammatica, che talvolta può far compiere gesta che normalmente de-finiremmo inconsuete, curiose. Come insolita è la storia di Sarah Winche-ster, passata agli onori della cronaca per un evento che le ha regalato suo malgrado fama planetaria: la costru-zione della Winchester Mystery House. Leggenda vuole che la signora Sarah, vedova ed erede delle industrie dei fucili “western”, si ritrovò con un enor-me vuoto creato dal lutto familiare e con tanti soldi da spendere. In questi casi ognuno elabora la perdita nella maniera più opportuna e persona-le. Il metodo scelto dalla vedova fu assai particolare. Per mettersi in con-tatto con il marito nell’aldilà, si lasciò convincere dalla sua medium che le anime delle vittime causate dall’ar-tiglieria Winchester l’avrebbero per-seguitata, se non avesse cominciato a dar loro dimora terrena. Una storia paranormale che, partendo da una base macabra, arriva ai giorni nostri quale parabola sulla debolezza della psiche umana. L’inizio di questo strano viaggio portò la vedova a cominciare la costruzione di un enorme comples-so edilizio che continuò ad ampliare

per trentotto lunghi anni: era il 1884 quando l’idea fermentò. Oggi la sua casa è divenuta un’attrazione turisti-ca degna di nota, stando al volantino pubblicitario “una delle case spiritate d’America che vanta il maggior nu-mero di avvistamenti”, suoni, rumori ed inspiegabili cali di temperatura a cui (forse) potrete assistere se sarete di passaggio nella cittadina di San Josè, in California. La superstizione verace e il terrore reale che si erano insinua-ti nella mente di Sarah ebbero come conseguenza la realizzazione di un progetto mastodontico. La sua tenuta, nata già come grande casa aristocra-tica, diventò sotto ogni punto di vista un’abitazione enorme, spropositata nella sua vastità e nella complessa architettura, fatta di corridoi e scale, camere e anticamere, salotti e pas-saggi segreti che rendono il mito an-cora oggi molto appetibile dal punto di vista turistico e commerciale. Sono centinaia i visitatori che ogni giorno percorrono i luoghi dove ha vissuto per decenni la signora Winchester sen-za avere il coraggio di uscire all’aria aperta o provare a riprendere una vita che fino a quel momento le aveva re-galato solo amarezze. Probabilmente,

al termine della sua esistenza, lei stessa si legò in maniera indissolubile a quel-le mura, come ogni storia tenebrosa che si rispetti, intrappolata nei ricordi e nella sofferenza di una proprietà trasformata in gigantesco mausoleo, che tutt’oggi si perde a vista d’occhio nella tenuta di famiglia. Stando alla piantina e alle sue fotografie panora-miche si tratta di un complesso ampio e raccolto, asimmetrico e irrazionale, a tal punto da sconfinare nei lussuosi giardini ornamentali; un ponte da cui Sarah era decisa ad osservare il lento scorrere del tempo e sentirsi al sicuro, riparata da pareti amiche. Uno spet-tacolo edile sicuramente affascinante e allo stesso tempo inquietante, un luogo da visitare con lo spirito otto-centesco del timore reverenziale ver-so l’ignoto, alimentato dai racconti enigmatici ad esso legati. La sensa-zione, una volta sull’uscio, è quella di essere di fronte ad un luogo sospeso, in cui fede e mistero si sposano con la speranza di salvezza, all’interno di un labirinto inestricabile. Sconsigliamo di perdere la via d’uscita. Ritornare alla luce potrebbe rivelarsi un viaggio de-cisamente prolungato.

la strana storia della vedova Sarahtesto di Simone Bracci

curiositá

24

Page 15: the trip n°9

il tuo iniziola mia fineAlla fine degli anni ’70, il visionario archi-tetto Yu Zi progettò un villaggio vacanze “retrofuturista” a Taiwan. Mai completato (a causa di misteriosi incidenti) né abita-to, divenne famoso come la “UFO ghost town” di San Zhi. Francesco Zingoni rac-

conta queste rovine (definitivamente de-molite nel 2010) con uno spin-off del suo romanzo, "Demian Sideheart", che vede il protagonista vagare nell'isola di Taiwan, alla ricerca di una donna scomparsa.

testo di Francesco Zingoni

il complesso residenziale di San Zhi

Page 16: the trip n°9

racconto di viaggio

28 29

Corro lungo la Fu-Hai, distretto di San Zhi. Il tramonto mi abbaglia.

Mettiamo in chiaro una cosa, ragazzo: sono un vagabondo. E vivo in una casa abbandonata. Non vorrei che arrivassi fin qui e ti spaventassi. Così gracchia la voce, una chiamata a mio carico. La moto scollina sul vuoto.

Il posto è in riva all’oceano, sulla punta nord di Taiwan.

Ed eccolo, l’oceano, oltre le creste della foresta.

Li riconoscerai subito

Si, ora li vedo

sono grossi baccelli metallici

appesi a grappoli, scintillanti nella penombra

a grappoli, come disegni di molecole

o forse televisori di design anni ’60

noi occupanti le chiamiamo case-ufo.

Freno davanti alla recinzione in ferro battuto, slittando sulla ghiaia. Il cancello è aperto. Il giardino appare curatissimo ed elegante. “San Zhi Luxury Residences” recita un cartello tra le bouganville.

A me piace pensarle come scialuppe di salvataggio, appese agli alberi di un veliero interstellare… …naufragato sottoterra. Sì, molto romantico. Dietro il cancello, una Lamborghini Gallardo è la prima di una fila di supercar, parcheggiate sul vialetto di ghiaia bianca.

Ripeto: non t’impressionare quando arrivi.

Un villaggio di lusso per Raeliani in vacanza? Un po’ inquietante lo è davvero. Lascio la moto e costeggio la piscina, spettralmente illuminata da una fila di faretti subacquei. Vive in una casa abbandonata, ha detto. Forse una baracca sulla spiaggia, dietro queste lussuose case-ufo? Non ho idea del perché mi abbia cercato. Al telefono non mi ha voluto anticipare nulla, a parte il fatto di aver trovato uno dei volantini segnaletici con la tua foto.

Davvero farai questo, per lei?

Sul vialetto non c'é un'anima. È ora di cena e sono tutti chiusi nelle loro eccentriche casette: dietro gli schermi retroilluminati li vedo muoversi, mangiare, ridere, versarsi da bere, immersi nel brusio rilassato della vacanza. Unica nota stonata, un signore anziano, solo, seduto con le braccia molli. La testa rugosa fuoriesce dalla camicia come una pesante appendice del collo, l’osso occipitale piatto come la nuca. Ha lo sguardo fisso sul tavolo vuoto. Si volta verso di me, mi vede, agita la mano. Ha qualcosa di inspiegabilmente familiare quest’uomo… sembra la versione maschile e invecchiata di mia madre. Mi mostra il foglio che sta fissando. Lo gira lentamente verso di me. È la tua foto. Ma non quella del volantino segnaletico: è una foto che posso avere solo io. Avverto nei timpani un lieve sfasamento di pressione. Ora devo chiudere gli occhi. Quando li riapro - forse dopo ore - vedo le rovine.

È un peccato che tutto sia finito così. Ma sai, gli operai morti… e i guai finanziari… e quella “cosa”, che appariva sulla spiaggia! Ciò che vedi ora ne è l’ovvia conseguenza: lo scheletro di una civiltà futura, morta prima di aver visto la luce.

I dischi sono tutti sventrati e corrosi- resti di un immane cataclisma avvenuto ieri o tra un milione di anni. La porticina azzurra si spalanca davanti ai miei piedi. È da qui che si parte? chiedo. Sì, risponde l'uomo-tartaruga.

Varco la soglia. Dietro c’è un tunnel. Si curva in avanti, sempre più ripido. Sul fondo intuisco le acque scure dell’Oceano. Ne sento lo sciabordio ovattato e l’odore. Pesci d’ombra guizzano in aria, lasciandosi dietro scintille immaginarie. Il buio ha la stessa consistenza di due palpebre chiuse. Ora l’acqua gelida mi arriva ai fianchi.

* * * Non è solo un sogno. Nuoto fino a cancellarmi le impronte digitali. Mentre trattengo il respiro l’apnea è accecante- nelle spiagge stellari, nei mari lattei attraversiamo muri d’acqua nera- si lava via il nostro nome come sabbia

Ti sto inseguendo oltre la direzione del tempo, amore mio ma ho paura che esistere e raggiungerti non possa più accadere insieme Il mio inizio, la tua fine Il tuo inizio, la mia fine

le macerie delle abitazioni

thetripmag.com

Page 17: the trip n°9

30 31

particolari interni ed esterni delle case abbandonate di San Zhi

thetripmag.comracconto di viaggio

Page 18: the trip n°9

Spomenikreportage fotografico di Jan Kempenaers

jankempenaers.com

Tra il 1960 e il 1970 il governo jugoslavo del presidente Josip Broz Tito avvia la costruzione di una serie di monumenti commemorativi, detti “Spomenik”, per ricordare le vittime della seconda guerra mondiale e celebrare la forza e l’unità del-la Repubblica Socialista. Lontane da ogni modello architettonico, esasperate da una totale impersonalità e costruite quasi sempre in cemento armato, queste architetture sorgono nei principali siti di guerra sparsi nei territori Balcani. Il reportage del fotografo belga Jan Kempenaers è stato realizzato viaggiando da un monumento all’altro. Attraverso i suoi scatti “ogget-tivi” rivive la complessa rete di emozioni che circondano l'abbandono di questi edifici e ciò che un tempo simboleggiavano.

Page 19: the trip n°9
Page 20: the trip n°9
Page 21: the trip n°9
Page 22: the trip n°9
Page 23: the trip n°9
Page 24: the trip n°9
Page 25: the trip n°9
Page 26: the trip n°9
Page 27: the trip n°9

l profumo e' emozione. Il profumo e' ricordo. Il profumo e' arte. Il profumo e' incontro. Il profumo e' il viaggio.

E il viaggio e' fatto di profumi.

Contact:via Vittoria, 52 - 00187 Roma (Italy)

[email protected]: +39.06.69922170www.campomarzio70.it

Diffusori di Cultura Olfattiva

Chiara BrancaCUBA - Plaza de Armas

Passeggiando nel cuore pulsante della Habana Vieja, si trova una piazza che si lascia scoprire man mano che la si percorre, come una ragazzina timida ed innamorata. Soffermatevi sui banchi di venditori di libri usati, che se convinti con chiacchiere amichevoli possono introdurvi al possesso di veri e propri tesori. Al centro del parco, si incontrano suonatori ambulanti che per 1 CUC (peso cubano convertible) vi fanno cantare e ballare al ritmo di salsa e son. Proseguendo verso il lato della chiesa, fanno capolino il mare, la muraglia e la fortezza che dà il nome alla piazza, un tempo uno dei quattro bastioni protettori del Golfo de la Habana. All’ora del tramonto approfittate dei colori piu suggestivi per godervi questo luogo denso di personalitá.

Bianca Di CesareLOS ANGELES - Abbott Kinney Boulevard

Ecco che arriva un altro Abbott Kinney First Friday. Ogni primo venerdì del mese i negozi, le gallerie e i ristoranti della strada più “hip” di L.A. sono aperti fino a tardi. Dopo un pasto da GJelina, riservato con due settimane di anticipo, andiamo ad ammirare lo struscio. Per chi non vuole spendere troppo per mangiare, ci sono i Food Trucks, con diversi cibi serviti dai camion. In questa parte ripulita e radical chic di Venice Beach non sono ammesse grandi corporation. Al posto del famoso Pinkberry c'è un più modesto Nice Cream. Un certo snobismo verso chi vuole invadere o distruggere questo angolo di paradiso è evidente. Chissà se Abbott Kinney First Friday sopraviverà alle masse e resterà un segreto del quartiere e dintorni!

Viola StancatiDAMASCO - reggiseno e culottes

Se si cammina per il souk Al-Hamidiyeh della città vecchia di Damasco, è difficile non notare le numerose bancarelle di intimo, dove una miriade di pomposi reggiseni color rosso passione vengono sventolati all’aria da venditori locali che confidano nei portafogli delle donne straniere. Avvinghiate allo stand però, sono più che altro le donne damascene, che come bambini davanti ad un negozio di caramelle si affrettano a comprare reggiseni con ferretto e provocanti culottes da poter esibire una volta tornate a casa. Perchè le mura domestiche sono quasi come uno sfogo, l’unico luogo dove tutta la femminilità può essere espressa appieno.

Alessandra IodiceMELBOURNE - i 12 acri di Montsalvat

Dietro alberi di Eucalipto, dopo una decina di casette di legno, nel cuore di Eltham, è protetta la più antica colonia di artisti di Melbourne. Justus Jörgensen acquistò i 12 acri di Montsalvat nel 1935 e lo trasformò in un villaggio di mattoncini rossi e botteghe di pietra. Lo spirito di Montsalvant vive attraverso il costruttore di violini, l’orologiaio e tutti gli artisti che dipingono sotto i piccoli archi e sui bordi della vecchia piscina di uno degli ultimi rifugi gotici rimasti. Non è certo difficile prendere ispirazione da questo posto. La passeggiata nel giardino e i grandi finestroni di mosaico della sala principale aprono gli occhi su un piccolo mondo incantato, colorato dall’intenso blu dei peacocks, elegantissimi pavoni abitanti del posto.

VUOI DIVENTARE NOSTRO INVIATO?scrivi a [email protected]

Page 28: the trip n°9

Benjamin Bekerforme fissate nel movimento

Nell’artista Benjamin Beker sia la vita che l’arte sono e sono sempre state in perenne movimento. Nasce a Bonn, in Germania, e cominciando fin da piccolo a far viaggiare le sue mani nel disegno segue il babbo, per metà tedesco e per metà ucraino, nei suoi spostamenti di lavoro. Vive a Hong Kong, a Singapore e in Giappone, per poi trasferirsi a Belgrado dieci anni, nella terra originaria di sua madre. Il suo interesse passa dalla pittura alla fotografia, affascinato dalla possibi-lità di entrare in contatto diretto con la realtà. Decide così di seguire il suo istinto, prima frequentando un corso all’Art Academy di Belgrado, laure-andosi nel 2001, e poi avviando un Master, sempre in fotografia, al Royal College of Art di Londra, laureandosi per la seconda volta nel 2008. Ispira-tosi principalmente all’artista visivo David Thorpe, e ai suoi collage archi-tettonici, e ai fotografi Sophie Ristel-hueber e Waalid Raad, e al modo in cui essi giocano nel rapporto tra real-

tà e finzione, costruisce le sue prime opere un po’ come fossero Lego. I suoi Blocks infatti sono un insieme di foto-grafie originali, scattate alle centinaia di edifici nella Nuova Belgrado, al di là del Danubio, che decontestualiz-zate danno forma ad una nuova re-altà. Una realtà che, seppur alterata da un gioco ‘de’ e ‘ri-costruttivo’, do-cumenta quella vera. Su uno sfondo grigio appaiono così delle interessanti configurazioni geometriche a forma di scala, isolate e dunque messe in risalto dalla mancanza di un ambiente circo-stante. Ciascuna di esse è composta da tante unità, come ad esempio le finestre, che mantengono inalterato il loro colore originario. Una seconda produzione artistica di Benjamin Beker si chiama “War and Liberation Monu-ments”. In questa fase l’artista prende monumenti costruiti dal 1950 al 2000, in occasione di eventi diversi, e con-tinua il suo gioco de-storicizzandoli, strappandoli al loro contesto, e ridi-mensionandoli. Questi lavori, come i

Blocks, hanno uno sfondo grigio, per dargli una base neutra e neutrale, anche rispetto a qualsiasi riflessione di tipo politico o ideologico. Con l’opera “Interiors of Power” abbiamo una serie di fotografie scattate all’interno de-gli ex edifici del governo. Costruzioni ormai abbandonate, ma nelle quali si possono trovare ancora tracce dei loro vecchi residenti. Per esempio su una sedia della Corte Bianca, immor-talata in una fotografia, sono rimaste macchie rosse del colorante che Tito usava per i capelli. Un’ulteriore, arguta de-storicizzazione. Benjamin Beker ha vinto numerosi premi, come il Natio-nal Magazine Award nel 2007; è stato nella rosa dei finalisti per il premio Con-ran, ha esposto le sue opere in diverse Gallerie, anche con mostre personali. Attualmente fa parte di una mostra collettiva che partirà da Losanna, in Svizzera, e andrà in giro per il mondo per cinque anni. Non si può che augu-rare, a questo ingegnosissimo artista, di proseguire per sempre il suo viaggio.

di Alexandra Rosati

Untitled block no.1

53

thetripmag.com

52

curiositá

Page 29: the trip n°9

il mercatodell’Esquilinoun singolare campione urbano

Secondo l'antropologo francese Marc Augé i non luoghi sarebbero quei posti tipo supermarket, centri commerciali, autostrade e varie versioni di Disney-land che si differenziano dagli spazi antropologici intrecciati, invece, con il tessuto del territorio e con le persone che lì vivono. La sostanziale differenza è la creazione di una relazione più o meno simbolica tra individuo e spazio. A Roma c'è un quartiere che su que-sto rapporto ha creato un singolare campione urbano, caratterizzato da una forte presenza multietnica e in particolare da un grande mercato che trascende la mera dimensione commerciale. È l'Esquilino, crocevia di scambi economici e culturali, tra

il centro storico e la stazione Termini, dove gli antichi porticati in stile pie-montese di Piazza Vittorio ospitano esercizi commerciali della comunità cinese, dove monumenti e basiliche si alternano a edifici di era industriale, dove al posto della Centrale del Latte spunta fuori un pezzo di acquedotto romano e in un ex caserma c'è il più grande mercato multietnico della ca-pitale. Il mercato dell'Esquilino dall'al-ba al tramonto diventa un mosaico di attività che coinvolge venditori, ac-quirenti, trasportatori, inservienti e cu-riosi. Un'esplosione multietnica di varie-tà alimentari e umane, al di qua e al di là dei banconi. Ciò che innanzitutto colpisce è quell'aria un po' anarchica

propria dei mercati nei quali sboccia una fiducia data dalla vicinanza ai venditori, a loro volta vicini ai prodot-ti, un'evocazione di genuinità ormai scomparsa nello sterile acquisto al su-permercato o al centro commerciale.Ma la vera peculiarità del mercato Esquilino è la vastità dell'offerta: ogni reparto, dalla carne al pesce, dalla frutta alla pasta, dalla verdura alle spezie, espone prodotti provenienti da tutto il mondo. Ai nostri cibi medi-terranei si affiancano quelli di colture asiatiche, mediorientali e nordafrica-ne. Forme e colori si intrecciano, odori e lingue si confondono, un abbraccio simbolico della forte funzione sociale esercitata da questo luogo.

testo e foto di Salvatore Landi

commercianti del mercato

55

thetripmag.com

54

curiositá

Page 30: the trip n°9

i caminidelle fatetesto di Maria Celeste Meschinifoto di Samantha Kwok

mongolfiere sulla valle di Avcilar

Page 31: the trip n°9

racconto di viaggio

58 59

l'erosione è stata in grado di "scolpire" le numerose valli della Cappadocia.È Alim che mi racconta tutto questo. Con sguardo fiero punta il dito verso il basso. Il vento ci culla sopra gli in-numerevoli funghi di roccia, un tem-po rifugio di popolazioni eremite che scavarono le loro abitazioni nel tufo. Fin dal IV secolo a.C. queste terre in-cantate sono state abitate prima da-gli anacoreti poi dai romani. In epoca bizantina – continua entusiasta Alim – l'intera regione si trasforma in uno stra-ordinario universo rupestre con quasi quattrocento edifici tra chiese, case e monasteri. Torri, canyon, crepacci, pinnacoli, vil-

laggi dai colori che vanno dal rosso all'oro, dal verde al grigio. È la valle di Göreme, oggi parco nazionale e dal 1985 patrimonio dell'umanità protetto dall'UNESCO. Ed è qui che si scagliano verso il no-stro continuo dondolare i Camini delle Fate. Un luogo incantato dove non c'è più bisogno della fantasia. Perchè il re-ale sovrasta qualsiasi immaginazione. E la migliore fiaba diventa il mio viag-gio.

DETTAGLI DI VIAGGIO

Göreme: cittadina di circa 2.000 abitanti si trova nella provincia di Nevşehir nell'Anatolia centrale, 12 km dall'omonima capitale

Una parte della serie Guerre Stellari è stata girata nel paesaggio lunare di Göreme in Cappadocia

Il villaggio di Uchisar offre un panorama unico dalla sua piazza principale su tutta la valle intorno fino ad Avanos

Derinkuyu: la città sotterranea a 9 livelli nella valle di Zelve

una delle case di tufo

all'orizzonte spunta il castello che ha reso celebre la cittadina di Uchisar, una fortezza

naturale sulla sommità di una collina

Sono dentro ad un cestino di vimini. L'aria calda mi avvicina al sole ancora dormiente. Sopra la mia testa arco-baleni di colore che vibrano nel cielo. Palloni. Palloni colorati che fanno su e giù nell'etere dipinto di rosa. Mi affac-cio dal mio cestino. Il mondo sotto ai miei piedi non è reale. Accanto a me compare Jacques Ètienne Montgolfier che mi racconta del suo primo volo. Parigi, 19 ottobre 1783. Ancorato a terra, insieme al fra-tello Joseph Michel, meraviglia i pari-gini con la loro invenzione. Quella che ancora oggi porta il loro nome. Ma io non sto sorvolando Parigi. E al mio fianco non ho lo scienziato che

riuscì a sfruttare per primo la combu-stione del propano. Sono incastrata in questo sogno che si fa sempre più reale. Abbagliata da strane architetture naturali che rac-contano millenni di storia. In molte cartine questo luogo non vie-ne neanche menzionato. Non si tratta di una delimitazione politica in quanto tale, ma piuttosto di una regione sto-rica che comprende porzioni di varie province: la Cappadocia. Nella stessa epoca in cui si formava in Europa la catena alpina, circa 60 milioni di anni fa, si formò la catena montagnosa del Tauro nell'Anatolia meridionale (al centro dell'attuale Tur-

chia). La formazione delle cordigliera del Tauro creò numerosi burroni e de-pressioni in Anatolia centrale. Dieci mi-lioni di anni fa, queste depressioni sono state riempite da magma vulcanico e altri materiali provenienti dai numero-si vulcani in eruzione in Anatolia cen-trale, in particolare i vulcani Erciyes, Keciboyduran, Develi, Göllü Dagi e Melendiz.Gradualmente, le depressioni anda-rono scomparendo, trasformando la regione in un altopiano. Tuttavia, il mi-nerale che colmò la depressione non è molto resistente all'azione erosiva del vento, della pioggia, dei fiumi e alle escursioni termiche, di modo che

la cittadina di Uchisar

torri altissime e porose, funghi di roccianuvole, guglie e primitive forme fallichesono i Camini delle Fate in Cappadocia

thetripmag.com

Page 32: the trip n°9

l’ingresso della villa sul mare

una delle stanze della villa

61

thetripmag.com

una villa sul mare

Bari, Lungomare Nazario Sauro. Quello – per intenderci – delle scorribande in auto de La capa gira e Mio cognato. Ma anche la culla del Pensiero Meri-diano e dei ricordi confusi e lucidi di Gianrico Carofiglio. Qui, tra il passag-gio continuo delle auto, a poche cen-tinaia di metri dal buco verde di Punta Perotti, c’è una villa sul mare. Nessun gorilla all’ingresso, solo un cancello di ferro arrugginito. L’arrivo degli ospiti non è controllato, anzi. Quello di un fo-tografo fa sorridere e, per poche deci-ne di euro, ci si sbottona un po’. M e V si raccontano.

La storiaLe padrone di casa si chiamano M e V, due donne piazzate sulla cinquantina. Vestitini neri succinti. Non di Prada, non di Gucci. Più di un tatuaggio, tra quelli in inchiostro e quelli scavati nella pelle. Professione: prostitute. Stato civile: vedove con figli (e nipotini). M è la proprietaria della villa, ereditata alla morte del marito ventidue anni fa (un incidente grave con la moto). V le cor-risponde un affitto mensile, ma è solo

un gesto di riconoscenza per la con-divisione della sede in cui esercitare il mestiere. “Qui nessuno ci dà fastidio. La casa è nostra”. In effetti di qui la polizia ci passa senza troppo stupore. Sono anni che la villa al mare è sede di festini, meno organizzati di quelli balzati agli onori della cronaca ma con le stesse linee guida: divertimento, piacere ru-bato, trasgressione. M e V guadagna-no dai 200 ai 300 euro al giorno. Ne-anche un rimborso spese perché - in questo caso - l’ospitalità la danno loro.Del resto nelle vicinanze della villa si è sviluppata una concorrenza accanita. Tra i campi abbandonati e gli schele-tri di palazzi occupati da immigrati, di ragazze ce ne sono per tutti i gusti. Ma M e V detengono il monopolio. Loro sono conosciute, fanno le cose per bene. La casa è sempre pulita e han-no una certa esperienza. Qualche vol-ta – su richiesta – il preservativo resta chiuso nell’involucro. La droga? “Non ci interessa, noi preferiamo questo la-voro. I nostri amici poliziotti lo sanno”. L’identikit del cliente non esiste. Gio-

vani, meno giovani, anziani. Gente per bene, professionisti, sposati, single, divorziati, nonni. Spesso portatori di handicap, anche gravi. Target etero-geneo. Orari di ricevimento: dal matti-no alla notte. Ci si divide il lavoro. È più di un full time. Alcuni sono abituali ed entrano come fossero a casa loro. Al-tri sono di passaggio. Altri ancora non sono graditi e dunque vengono pe-rentoriamente mandati via. “Poi a vol-te li rivediamo per strada con le mogli, i figli” – raccontano M e V con sorriso rassegnato e con il tono di chi la sa lunga. Certo, perché dopo tanti anni se lo saranno domandate entrambe il motivo per cui, anche uomini ai quali non manca una vita apparentemente felice, si rivolgono a loro per qualche minuto di trasgressione, in una villa che non profuma di casa, in un letto dove hanno lasciato il proprio sudore miglia-ia di altri uomini, con due donne che sono di tutti, di tutti quelli che possono pagare 15/20 euro per un orgasmo ad ogni ora. Semplicemente qui il sesso si scambia solo col denaro. E questo non è un dettaglio.

minuti di tradizionale trasgressionetesto e foto di Saverio Scattarelli

curiositá

60

Page 33: the trip n°9

progetto grafico della Galleria D’Arte Nazionale in Groenlandia (foto di archivio per concessione dello studio B.I.G.)

63

thetripmag.com

B.I.G. Is MoreUna voce fuori dal coro, un approc-cio tutto personale verso l'architettura, che finalmente si lascia dietro limitativi dogmi accademici per riscoprirsi ac-cattivante e - perchè no - divertente. Lo studio B.I.G. (Bjarke Ingels Group) rappresenta una ventata d'aria fre-sca in un dibattito architettonico che da troppi anni ormai indugia all'auto-referenzialità. Appena 37 anni per il suo fondatore, maturato tra le mura dello studio OMA di Rem Koolhaas, lo studio B.I.G. si è meritato un posto d'onore tra le Archistar per via delle numerose vittorie conseguite nei più importanti concorsi internazionali de-gli ultimi anni. Il loro atteggiamento ironico ed allo stesso tempo impegna-to nelle cause sociali più disparate ha dato vita ad un'estetica progettuale unica, riconoscibile ma sopratutto - e qui c'è la svolta - accessibile a tutti: l'utilizzo di forme geometriche pure e l'impiego di schemi grafici semplici ed intuitivi facilita il passaggio dall'idea su carta all'edificio funzionale vero e pro-prio. Conosciuti soprattutto per la pro-gettazione di unità abitative di grandi dimensioni, iniziano la loro ricerca nel quartiere di Orestad poco fuori Cope-naghen. Qui sviluppano uno dei pro-getti che li renderà famosi al pubblico

internazionale: 8 House, un quartiere vero e proprio concentrato in un uni-co edificio polifunzionale definito dallo stesso Ingels come ''il risultato archi-tettonico di un’orgia di spazi diversi''. Attenzione particolare viene conferita in tutti i loro progetti all'impatto ecoso-stenibile dell'edificio; in questo caso, il concept progettuale del nastro di Moebius che avvolge i moduli abitativi rappresenta fisicamente un percor-so completamente ciclabile ed allo stesso tempo una promenade verde fruibile dagli abitanti dello stabile. Ap-proccio simile anche per il loro proget-to The Mountain, scenografia del do-cumentario sulla disciplina del parkour 'My Playground'. In questo caso risol-vono l'esigenza funzionale di un lotto i cui 2/3 sono dedicati a parcheggi ed 1/3 ad abitazioni unendo le due diver-se spazialità e facendole dialogare tra loro. Creano così un nuovo skyline nel quartiere principalmente pianeggian-te di Copenaghen e al contempo do-nano ad ogni singola abitazione luce, verde ed aria fresca.Ultimi progetti ancora work-in-progress per lo studio danese sono un gratta-cielo residenziale a New York, il West 57, ibrido tra il classico blocco abita-tivo europeo ed un grattacielo, e la

Galleria D'Arte Nazionale della Gro-enlandia: un semplice cerchio che si adagia sul paesaggio montuoso ed evocativo di Nuuk, plasmandosi sul terreno scosceso ed aprendosi in una corte centrale catalizzatrice degli eventi artistici del museo.Il manifesto ideologico di B.I.G. si arti-cola nel libro 'Yes Is More' curato inte-ramente dallo studio, sia nei contenuti sia nella parte grafica: tutti i progetti sono raccontati sotto forma di fumet-ti, dimostrando - finalmente - che non sempre l'architettura si deve prendere così sul serio. Quindi 'Si, è Meglio' come filosofia di vita e modus operandi che si traduce nella volontà di conciliare sempre le esigenze della massa (inte-sa in senso lato) rendendole parte di un dialogo architettonico in continua evoluzione. In merito a questo Bjarke Ingels ama citare Darwin, guardando all'architettura come a un processo di selezione in cui sperimentare visioni contrapposte. Ed ecco che ''saranno le forze sociali ed i molteplici interessi individuali a decretare quale delle no-stre idee potrà sopravvivere. Così le superstiti si evolveranno verso un'archi-tettura nuova''.

big.dk

un’orgia di spazi diversitesto e foto di Benedetta Marciani

curiositá

62

Page 34: the trip n°9

il Giardinodei Tarocchi

testo e foto di Claudia Bena

arte

Un pomeriggio d’estate mi sono inoltrata nel bosco toscano, e vagando mi sono imbattuta in un luogo fuori dal tempo e dallo spazio, una realtà altra racchiusa da spesse mura, un giardino mi-sterioso. Al suo interno i ventidue Arcani maggiori dei tarocchi mar-sigliesi sono rappresentati sotto forma di grandi e colorate scul-ture, e fontane e specchi e parole completano un quadro di per sé già meraviglioso. Come nei sogni, qualcosa mi sembra fortemente

conosciuto, qualcos’altro terribilmente nascosto. Vedo Bomarzo e Parc Guell a Barcellona, sento Breton e tutta la sua carica surrealista. Quello che segue è il racconto di ciò che ho visto, che ho sentito e che ha risvegliato nel mio inconscio l’incontro con una dimensione a me finora sconosciuta. A parlare non sono io, ma le carte stesse.

C’è una donna alla mia sinistra. È l’Imperatrice, il terzo degli Arca-ni maggiori. Questa carta invita a trasformare la propria fortezza in un tempio, come sintesi della creazione dell’universo. Ed è pro-prio ciò che rappresenta, perché una donna, Niki de Saint Phalle, ha voluto abitarla e spalancare le sue porte al mondo, rendendo visibili le proprie emozioni. Ogni sentimento, anche il più basso, attraverso lei acquista valore. “Che meravigliosa tristezza! Che

collera potente!”. Madre e amante, padrona e prostitu-ta, bellezza ed abbondanza, produce affinchè l’umanità intera raccolga i suoi frutti. La sua esplosione creativa necessita però di un limite concreto che la indirizzi. Per questo al suo interno Niki ha voluto portare con sé un’al-tra carta.

Il Carro, l’Arcano numero VII, il più attivo dei numeri dispari. Il suo scopo è direzionare consape-volmente proprio questa esplo-sione. Attraverso il giardino si realizza infatti la grande forza creatrice di Niki, che sopravvi-ve alla sua morte, avvenuta nel 2002. Le ruote, che sembrano im-mobili, sono in realtà strettamen-te connesse al movimento del pia-neta. Non si spostano, ma girano insieme alla terra. Rappresenta la ricerca alchemica, un percorso

iniziatico, lo stesso che siamo invitati ad intraprendere attraverso questa esperienza. E così proseguo, uscendo dalla dimensione abitabile delle sculture del giardino, a vagare tra gli Arcani, lasciandomi cavalcare dalla mia più profonda soggettività. È il sogno più colorato che ab-bia mai fatto, uno strumento potente di proiezione.

Mi sono fermata a meditare con l’Appeso, ho visto la Giustizia e la Torre. Non ho temuto davanti all’Arcano senza nome che con la sua falce miete teste, mani e pie-di dalla terra. La carta XIII non indica la morte come termine del viaggio, ma trasformazione, rivo-luzione. Attraverso la sua accetta-zione passa la via per la saggezza. Solo così si arriva all’ultimo Ar-cano, il Mondo. “Forte come una leonessa, altera come un’aquila, materna come una mucca e soa-

ve come un angelo”, così Italo Calvino descrive questa carta, che racchiude in sé i quattro simboli degli Arcani minori e che rappresenta la gioia suprema, che è la gioia di vivere. Al tramonto finisce il viaggio, il grande can-cello circolare si chiude alle mie spalle e ritorno nel mio mondo con una nuova, profonda consapevolezza.

64

l’entrata a L’Imperatore – carta NO. IVall’interno del giardino ideato

da Niki de Saint Phalle. Capalbio (GR)

Page 35: the trip n°9

1970 testo di Gianluca Bernardo e Elena Adorni

foto di Elena Adorni

antropologia

A casa ho una vecchia pubblicazione della metà degli anni settanta dove si parla della città di Roma e della sua incontrollata espansione urbanistica. È uno di quei libri stampati con pochi soldi. Copertina in cartoncino ad un colore, foto in bianco e nero all'interno. “Roma Ovest lungo il Tevere”, si chiama. Lo apri e dentro c'è un mondo intero, bello e amaro come certe verità che è meglio mettere via. Pagina dopo pagina si schiude tutto un brulicare di prati ingialliti, palazzoni in costruzione, poche e improbabili macchine dal sapore autenticamen-te proletario, vialoni deserti e ancora scorci di campagna romana prima del disastro, casali da ristrutturare e re-stituire, nei sogni degli autori, alla cittadinanza, verde da “sottrarre al profitto” (c'è scritto proprio così!). Una città irriconoscibile e persa per sempre. La mia. Chiudo il libro ed esco di casa. Non è facile descrivere il dolore alla vista di un nuovo cantiere. Le ruspe che sventrano la terra, il cemento che cola. Da qualche parte un palaz-zinaro di Roma ha la sua quota. Gli utili della sua socie-tà crescono. Nel resto della città, invece, un'altra fetta di paesaggio è sottratta alla gente, ai lavoratori, agli anziani, agli studenti. Le persone si ritrovano via via a vivere in uno squallido non-luogo, dove non c'è nessun legame tra l'abitare, il provenire e l'appartenere. Nien-te radici, niente futuro. Profitto per pochi e miseria per gli altri, con buona pace per i bei discorsi. I palazzinari romani degli anni '50 e '60 hanno risparmiato fino all'ul-tima lira per poter intascare utili maggiori. Ogni ettaro di campagna doveva fruttare il massimo. Palazzi brutti, progettati da oscuri architetti o peggio direttamente dai geometri, nessuna cura, nessun senso estetico, massima razionalizzazione e una palese assenza di scrupoli. Tan-to poi a vivere sulla Tuscolana o sulla Tiburtina non ci dovevano certo andare loro. Peggio della peggiore archi-tettura sovietica e senza neanche la blanda scusante ide-ologica della ricerca del bene collettivo; un utilizzo scel-

lerato del bene più prezioso di cui disponiamo: la terra.E che cos'è l'uomo senza la terra? Prima dei palazzi, su Viale Marconi c'erano i prati e in fondo, sulla riva del fiu-me, degli enormi canneti che nascondevano la spiaggia da cui s’intravedeva, sola nella campagna, la mole della Basilica di San Paolo. A chi devo chiedere per riavere indietro tutto questo? E se vi diranno che le case servi-vano, che la gente non poteva certo vivere sotto i ponti, che i cantieri hanno dato lavoro a centinaia di miglia-ia di padri di famiglia, non credetegli. Non è vero. È la stessa gente che parla da sempre di guerre giuste e che quando torna a casa, la sera, si giustifica dicendo che il mondo, tanto, va in questa direzione e non si può fare altrimenti. Tutto, invece, poteva e doveva essere fatto diversamente. Le abitazioni sarebbero sorte nel rispetto del paesaggio, come facevano i contadini e gli artigiani che hanno costruito i borghi, o gli urbanisti dei quartieri-giardino come la Garbatella. La città sarebbe divenuta un ecosistema felice, forse il migliore al Mondo, con una moderna simbiosi tra uomo, storia e natura. Le poche porzioni di paesaggio integro rimaste, invece, sono oggi rinchiuse nei parchi, visitate come si fa con un animale raro in uno zoo, “tutelate” come i nativi nelle riserve. Di tanto, ammettiamolo, ci siamo allontanati dalla nostra unica madre, veri e propri figli idioti di un Novecento po-polato da ogni sorta di orrore e che sembra non dover fi-nire mai. Mi chiedo se esisterà mai una rivoluzione tan-to radicale, violenta e risolutiva da riuscire a riportarci indietro, a prima della catastrofe. Me lo chiedo e chiudo gli occhi. E all'improvviso vedo gli uccelli sugli alberi, tra le rovine dell'Acquedotto Felice, i pascoli sotto Monte Mario, i bambini che corrono sui prati di Porta Portese, il sole che illumina i resti della Tangenziale, abbattuta.

a pagina 65via Tiburtina – Roma. Maggio 2011

66

Page 36: the trip n°9

68

Napoli 150 - omaggio ai perdenti

Il 7 settembre 1860 Napoli aspetta Garibaldi. Orfana del suo re, il quale ha preferito ritirarsi piuttosto che vedere il popolo combattere, è già pronta ad accogliere il rosso esercito dei Mille, mentre sarà restia a lasciarsi conquistare da Vittorio Emanuele II. Palazzo Reale pre-para il suo balcone affinché tutti i napoletani possano ascoltare la voce del generale. Di fronte la chiesa di San Francesco di Paola, eretta da Ferdinando I per la restau-razione, sta a guardare. Ad aprirgli le braccia la stessa piazza nella quale i Borbone organizzavano la cuccagna, che tanto inorridì il marchese De Sade nel suo “Voyage d’Italie”. Perché questa città è un paradiso, ma non è certo per puristi. La sua non è una bellezza immediata, ma cresce di giorno in giorno, di vicolo in vicolo. “Questa è Napoli, dove i monumenti, ancora più che per sé stessi, valgono nel miscuglio della tradizione storica, dell’aned-dotica, della vita locale” diceva Guido Piovene nel suo di Viaggio in Italia. Quella che si trova davanti Garibaldi è la quinta città europea per popolazione, la più grande d’Italia, sede della prima università laica, ma nello stes-so tempo così carica di tradizioni cattoliche.

Il sacro ed il profano che la avvolgono in un unico mera-viglioso intreccio trascinano nella propria trama anche lui, l’ateo, dirigendolo alla cattedrale di San Gennaro per sapere benedetta la sua missione con lo scioglimen-to del sangue del santo. Qui si conclude l’impresa dei Mille. Quando il 7 novembre entra in città il futuro re d’Italia le camice rosse non ci sono più, una nazione si sta formando sui cadaveri dei patrioti che per lei han-no combattuto, mere pedine delle mire espansionistiche piemontesi. E qui inizia la questione meridionale, con i pregiudizi che si porta dal nord la futura classe dirigen-te ed il trasferimento del potere in Piemonte prima e a Roma dopo, passando per Firenze.A Napoli si sente tutto, niente ti scivola addosso. La cosa più importante è guardarsi dal velo di retorica che ap-panna la vista a chi ancora non sa osservare. Scriveva Goethe nel 1787: “a Napoli non si vuole che vivere; si dimentica sé stessi e l’universo”. Un quarto di puro san-gue napoletano mi basta per sentirmi così ogni volta che il mio treno si ferma alla stazione centrale.

continua su thetripmag.com

singoli scatti realizzati in pellicola del Palazzo Realein primo piano la statua di Vittorio Emanuele II di Francesco Jerace

a cura di Claudia Bena

VIA NICOLA ZABAGLIA, 25 - 00153 - ROMA - Tel. 06 5781466 - [email protected]

CHIUSO IL MARTEDÌ

Page 37: the trip n°9

71

thetripmag.com

RACCONTACI IL TUO TRIP CON UN'IMMAGINEDIVENTA PROTAGONISTA DI QUESTA PAGINAscrivi a [email protected]

Marco Lafiandracoroflot.com/marco_lafiandra

Roof of Barcellona

Marco Lafiandra nasce a Bari nel 1983. Consegue la laurea specialistica in Di-segno Industriale nel 2009, presso l’Uni-versità di Roma La Sapienza. Frequen-ta, durante il suo ultimo anno di studi, il Politecnico di Valencia. Attualmente vive e lavora a New York come desi-gner. Durante gli anni di studio appro-fondisce i suoi interessi attraverso nu-merose esperienze parallelamente nel campo della fotografia e del design. La sua ricerca interessa diversi settori, con la consapevolezza che l’evoluzio-ne progettuale è frutto di una paziente ricerca, una giusta sintesi e una buona dose di cuore. "Abituato ad osservare comportamenti – ci racconta Marco – non ho mai avuto una grande attitudi-ne per i paesaggi. Ma osservando una vista del genere, dalla cima del monte Carmelo a Barcellona, credo fosse im-possibile non cogliere la connessione tra uomo e città".

"What is a great depth of field if there's not an adequate depth of feeling?"

Eugene Smith

portfolio

70

Page 38: the trip n°9

distribuzione

ROMA

40 GRADIVia Virgilio 1

ALTROQUANDOVia del Governo Vecchio 80

ASSOCIAZIONE GRUPPO IDEECasa Circondariale Rebibbia N.C.

BAR DEL FICOPiazza del Fico 26

BARNUM CAFÈVia del Pellegrino 87

BIBLIOTECA DELL’OROLOGIOPiazza dell’Orologio 3

BIBLIOTECA GUGLIELMO MARCONIVia Gerolamo Cardano 135

BIBLIOTECA RISPOLIPiazza Grazioli 4

BIBLIOTECA VILLA MERCEDEVia Tiburtina 113

BUCAVINOVia Po 45

CAFFÈ LETTERARIOVia Ostiense 95ex Mattatoio

CARGOVia del Pigneto 20

CIRCOLO DEGLI ARTISTIVia Casilina Vecchia 42

CONTESTA ROCK HAIRVia del Pigneto 75Via degli Zingari 9/10

CREATIVE ROOM ART GALLERYVia Tommaso Campanella 36

DEGLI EFFETTIPiazza Capranica 79

DELLORO ARTE CONTEMPORANEAVia del Consolato 10

DULCAMARAVia Flaminia 449

FABRICAVia Girolamo Savonarola 8

FRENI E FRIZIONIVia del Politeama 4/6

GALLERIA DOOZOVia Palermo 51/53

GOA CLUBVia Giuseppe Libetta 13

HAPPY SUNDAY MARKETLanificio FactoryVia di Pietralata 159/A

IEDVia Alcamo 11Via Giovanni Branca 122

IL BARETTOVia Garibaldi 27

IN-ES.ARTDESIGNPiazza della Suburra 6

JARRO IL QUATTORDICESIMOPiazzale di Ponte Milvio 32

KNICK KNACK YODAPiazza Risorgimento 11

LIBRERIA DEL CINEMAVia dei Fienaroli 31

LONDON CALLINGVia XXI Aprile 2

MAXXI(LIBRERIA MONDADORI ELECTA)Via Guido Reni 4/A

MOLLY MALONEVia dell'Arco di San Calisto 17

MONOCLEVia di Campo di Marzio 13

NECCIVia Fanfulla da Lodi 68

N’IMPORTE QUOIVia Beatrice Cenci 10

OFFICINE FOTOGRAFICHEVia Giuseppe Libetta 1

ODRADEKVia dei Banchi Vecchi 57

OSTERIA DEGLI AMICIVia Nicola Zabaglia 25

PANAMINO BARParco Y. Rabin 23Via Panama

PARISVia di Priscilla 97/99

PASTIFICIO SANLORENZOVia Tiburtina 196

PEAKBOOKVia Arco dei Banchi 3/A

PIFEBOVia dei Serpenti 141Via dei Volsci 101/B

RASHOMON CLUBVia degli Argonauti 16

RGB46Piazza di Santa MariaLiberatrice 46

SALOTTO 42Piazza di Pietra 42

SANTA SANGRE TATTOOVia dei Latini 34

SOFA WINE BARVia Cimone 181

S.T. FOTO LIBRERIA GALLERIAVia degli Ombrellari 25

STONE ISLANDVia del Babbuino 73

SUPERVia Leonina 42

TIEPOLOVia Giovanni Battista Tiepolo 3

TOWN HOUSEVia del Boschetto 34

TREE BARVia Flaminia 226

ULTRASUONI RECORDSVia degli Zingari 61/A

URBAN STARVia Enrico Fermi 91/93

VESPERVia Conte di Carmagnola 38

VILLA BALESTRAVia Ammannati

VOYVia Flaminia 496

MILANO

BONDVia Pasquale Paoli 2

BITTEAssociazione Culturale A.R.C.I.Via Watt 37

CALIFORNIA BAKERYPiazza Sant’Eustorgio 4Viale Premuda 449Largo Augusto (Via Verziereang. Via Merlo 1)

CAPE TOWN CAFéVia Vigevano 3

CIRCUSTUDIOSVia Pestalozzi 4

EXPLOITVia Pioppette 3

FONDAZIONE ARNALDOPOMODOROVia Andrea Solari 35

F.R.A.V.Via Vetere 8(ang. Corso Porta Ticinese)

FRIPCorso di Porta Ticinese 16

HUMANA VINTAGEVia dei Cappellari 3

INTRECCIVia Larga 2

JAMAICAVia Brera 32

LA CASA 139 associazione culturale A.R.C.I.Via Ripamonti 139

LA SACRESTIAVia Conchetta 20

TADVia Statuto 12

TRATTORIA TOSCANACorso di Porta Ticinese 58

WOKViale Col di Lana 5/A

NEW YORK

CONTESTA ROCK HAIR535 Hudson Street

EPISTROPHY CAFE200 Mott Street

INVEN.TORY237 Lafayette Street

THE BOX189 Chrystie Street

Page 39: the trip n°9