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TESTO COMPLETO www.aiutamici.com/.../eBook/ebook/Edgar_Allan_Poe-Racconti.pdf Racconti dell’Incubo e del Terrore o anche semplicemente i Racconti, sono una delle prime tre edizioni originali dei racconti scritti da Edgar Allan Poe, pubblicata nel 1845. La raccolta contiene i racconti più gotici e di genere horror composti dall’autore, rivelandosi la più completa delle due precedenti. Al giorno d’oggi le case editrici hanno usato questa edizione aggiungendovi i racconti scritti da Poe tra il 1846 e il 1849, intitolando spesso le pubblicazioni come: Tutti i racconti del mistero dell’incubo e del terrore, che include anche la piccola sezione dei Racconti fantastici e quelli con protagonista Auguste Dupin, detective della novella I delitti della Rue Morgue. I racconti ai quali è principalmente legata la fama di Poe sono, senza dubbio, quelli del mistero e del terrore: particolarmente alla raccolta Racconti del grottesco e dell’arabesco, del 1840. Solo una parte di essi si serve dell’elemento soprannaturale; tutti, però, nascono da un profondo sentimento di inquietudine, analizzato con freddo e lucido distacco, anche nelle situazioni più drammatiche e disperate. L’inquietudine, intendiamoci, può essere essenzialmente di due generi: quella metafisica e quella storica. L’inquietudine metafisica è strutturalmente legata alla condizione ontologica dell’uomo: creatura finita che anela all’infinito; come dice Sant’Agostino nelle Confessiones. Al contrario, l’inquietudine storica è frutto di condizioni particolari dello spazio-tempo di una determinata società; esprime l’angoscia dei momenti drammatici di trapasso dai “vecchi” valori ai “nuovi”: gli uni orma tramontati, gli altri non ancora ben delineati all’orizzonte. Ebbene l’inquietudine che caratterizza il mondo poetico di Poe appartiene a questo secondo tipo ed esprime, a nostro avviso, il dramma del passaggio dalla società premoderna alla piena modernità, caratterizzata dall’eclisse del sacro, dalla mercificazione totale dei rapporti umani, dall’efficientismo e dal produttivismo esasperati, dalla perdita del senso del limite e del mistero, dalla hybris (o dismisura) di un Logos strumentale e calcolante proteso ad affermare il suo dominio brutale sul mondo naturale, ridotto a pura riserva di beni da sfruttare e a discarica ove smaltire i prodotti di rifiuto del processo industriale. Ma negli incubi e nei terrori dell’opera di Poe si direbbe prenda voce quel crimine rimosso, quel terribile silenzio della cultura “ufficiale”. Ed ecco i racconti del terrore di Poe, popolati da una umanità dolente e allucinata, i cui protagonisti sono altrettanti alter ego dell’autore, in cui ricorrono le sue funebri ossessioni: l’attrazione morbosa per la decadenza e la morte; la sepoltura da vivi e il ritorno dei non-morti; i torturanti sensi di colpa; la vendetta a lungo covata e ferocemente messa in opera; in una parola, il cupio dissolvi, il desiderio di auto-distruzione venato di sado-masochismo e di necrofilia, in una spirale sempre più asfittica e vorticosa, sempre più disperatamente chiusa in sé stessa. La critica Nella storia della letteratura è molto frequente imbattersi in figure controverse, su cui i giudizi critici danno luogo a divergenze di opinione insanabili. L’opera di

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TESTO COMPLETO

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Racconti dell’Incubo e del Terrore o anche semplicemente i

Racconti, sono una delle prime tre edizioni originali dei racconti scritti da Edgar Allan Poe, pubblicata nel 1845. La raccolta contiene i racconti più

gotici e di genere horror composti dall’autore, rivelandosi la più completa delle due precedenti. Al giorno d’oggi le case editrici hanno usato questa

edizione aggiungendovi i racconti scritti da Poe tra il 1846 e il 1849, intitolando spesso le pubblicazioni come: Tutti i racconti del mistero dell’incubo e del

terrore, che include anche la piccola sezione dei Racconti fantastici e quelli con protagonista Auguste Dupin, detective della novella I delitti della Rue Morgue.

I racconti ai quali è principalmente legata la fama di Poe sono, senza dubbio, quelli del mistero e del terrore: particolarmente alla raccolta Racconti del

grottesco e dell’arabesco, del 1840. Solo una parte di essi si serve dell’elemento soprannaturale; tutti, però, nascono da un profondo sentimento

di inquietudine, analizzato con freddo e lucido distacco, anche nelle situazioni più drammatiche e disperate. L’inquietudine, intendiamoci, può essere

essenzialmente di due generi: quella metafisica e quella storica. L’inquietudine metafisica è strutturalmente legata alla condizione ontologica dell’uomo:

creatura finita che anela all’infinito; come dice Sant’Agostino nelle Confessiones. Al contrario, l’inquietudine storica è frutto di condizioni

particolari dello spazio-tempo di una determinata società; esprime l’angoscia dei momenti drammatici di trapasso dai “vecchi” valori ai “nuovi”: gli uni orma

tramontati, gli altri non ancora ben delineati all’orizzonte. Ebbene l’inquietudine che caratterizza il mondo poetico di Poe appartiene a questo

secondo tipo ed esprime, a nostro avviso, il dramma del passaggio dalla società premoderna alla piena modernità, caratterizzata dall’eclisse del sacro,

dalla mercificazione totale dei rapporti umani, dall’efficientismo e dal

produttivismo esasperati, dalla perdita del senso del limite e del mistero, dalla hybris (o dismisura) di un Logos strumentale e calcolante proteso ad affermare

il suo dominio brutale sul mondo naturale, ridotto a pura riserva di beni da sfruttare e a discarica ove smaltire i prodotti di rifiuto del processo

industriale. Ma negli incubi e nei terrori dell’opera di Poe si direbbe prenda voce quel crimine rimosso, quel terribile silenzio della cultura “ufficiale”. Ed

ecco i racconti del terrore di Poe, popolati da una umanità dolente e allucinata, i cui protagonisti sono altrettanti alter ego dell’autore, in cui ricorrono le sue

funebri ossessioni: l’attrazione morbosa per la decadenza e la morte; la sepoltura da vivi e il ritorno dei non-morti; i torturanti sensi di colpa; la

vendetta a lungo covata e ferocemente messa in opera; in una parola, il cupio dissolvi, il desiderio di auto-distruzione venato di sado-masochismo e di

necrofilia, in una spirale sempre più asfittica e vorticosa, sempre più disperatamente chiusa in sé stessa.

La critica

Nella storia della letteratura è molto frequente imbattersi in figure controverse, su cui i giudizi critici danno luogo a divergenze di opinione insanabili. L’opera di

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E. A. Poe è, al riguardo, un caso esemplare. Un singolare destino ha

accompagnato, fin dall’inizio, la recezione critica di Poe: per taluni genio (Tennyson), per altri solo autore di cattivi versi (Emerson); per taluni grande

poeta lirico (Yeats) e grande innovatore dello stile letterario e poetico (Valery),

per altri espressione di un livello intellettuale primitivo (James, Huxley, Eliot, Lawrence). Il primo ripensamento del valore complessivo dell’opera di Poe si

deve a Charles Baudelaire: nel 1852, con un saggio apparso sulla “Revue de Paris“, propone una riconsiderazione dell’opera di Poe; nel 1856-57 ne traduce,

poi, i racconti. Un altro grande della poesia francese dell’800, Mallarmé, nel 1888 traduce in prosa le poesie di Poe, presso una casa editrice di

Bruxelles. L’opera di positiva riconsiderazione avviata da Baudelaire si approfondisce nel XX secolo, sia negli Stati Uniti che in Europa, interessando

tutti gli aspetti della complessa avventura artistica di Poe. Anche in Italia, prima sulla scia della riscoperta francese e poi per effetto degli influssi

esercitati dalla scapigliatura e dal decadentismo, a partire dalla fine dell’800, l’interesse per Poe si sostanzia in significativi contributi critici. (2)

L’orrore di Poe è primitivo e onesto. Se guardiamo a dove egli si inscriva nel contesto della tradizione gotica, le sue storie non hanno nulla del distacco, dei

filtri – intellettuali, morali, geografici – dei suoi predecessori. Horace Walpole, Ann Radcliffe, fino alla giustamente blasonata Mary Shelley ambientano le loro

storie in tempi e luoghi lontani, in esotici paesi mediterranei o alla meglio fra i boschi di una Svizzera evanescente, dove natura vuole che le passioni

esplodano in maniera scomposta, cosa da cui il pubblico anglosassone viene esonerato e che provoca un’inevitabile distanza ed un senso di superiorità. Poe

invece non ha filtri, e con l’escamotage stilistico dello scrivere in prima persona, che usa perennemente, l’effetto ha un’onda d’urto inedita nel lettore.

E’ normale che Poe, almeno inizialmente, fosse miscompreso, deriso, “forse il più profondamente frainteso degli scrittori americani”. E’ normale che

l’establishment letterario venga sconvolto dall’irriverenza di quello che sembra

essere l’enfant terrible della letteratura. Il genio di Poe è un genio semplice e diretto, che dice la verità senza mezzi termini, ecco perché può non piacere.

Non è sempre vero che la genialità risieda nella complessità, è piuttosto spesso vero il contrario, ovvero essa trova espressione nella capacità e nella lucidità di

cogliere l’essenza nella complessità. Semplice e diretto, mai banale. (3)

Eppure i fraintendimenti sono stati tanti. Ha iniziato un certo statunitense Griswold che ha accennato ad uno “stile asciutto eppure abbondante”.

Evidentemente al critico piacevano le contraddizioni e non si accorgeva della propria incommensurabile idiozia. Comunque è certo che dalla morte le più

svariate componenti letterarie hanno tentato di tirarlo dalla propria parte. Primi

fra tutti gli occultisti francesi, come ha giustamente già evidenziato Gesualdo Bufalino, che vogliono reagire all’idealismo assoluto di Hugo. E nel

fraintendimento cade persino Baudelaire che accomuna l’americano a Swedenborg, il visionario svedese che lo stesso Poe odiava con tutte le sue

forze, ovviamente da un punto di vista letterario. Poi, agli inizi degli anni trenta, sono iniziati gli accostamenti con il “poliziesco” e addirittura con la

fantascienza. Quindi con un ritardo di quasi un secolo gli studi critici comparati di T.S. Eliot e di A. Tate servono, se non altro, a ricollocarlo all’interno di una

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supposta tradizione narrativa statunitense, ammesso, ovviamente, di riuscire a

trovare con una certezza questa “tradizione”. Forse nessuna di queste ricerche è nel giusto. Per un semplice motivo, partono da un assioma profondamente

errato. Quello dei generi letterari. Come se l’ambito delle lettere potesse

essere diviso sul tavolo asettico del chirurgo-critico in tanti fegati, polmoni, viscere, muscoli, pancreas. Ecco, qui c’è la grande narrativa di introspezione,

qui il fantasy, qui l’avventura, qui il gotico, qui il fumettone. Per comprendere quanto e come questa posizione sia errata è importante andare a rileggere

cosa scrive Baudelaire a proposito di letteratura decadente, in cui i critici americani avevano relegato il bostoniano per oltre mezzo secolo. In realtà non

esiste una narrativa decadente in sé, per definizione aprioristica, ma esclusivamente una narrativa di cattiva qualità o di buon livello, ma del tutto

indipendente da supposte specificità di appartenenza.

I meccanismi della narrativa di Poe

Spesso nei racconti di Poe sono gli stessi personaggi, che di solito sono anche i

narratori, ad analizzare la propria follia. In più di un racconto il tema centrale è quello del doppio, del sosia, come in William Wilson. Ma anche nei racconti che

hanno come protagonista il prototipo del moderno detective, Auguste Dupin, la stessa razionalità che egli mette in campo contro il mistero è a sua volta

inquietante per il furore di voler capire. Essa si attiva quando è attratta da qualche crimine apparentemente insolubile, come nel celebre Il duplice

assassinio della rue Morgue, considerato il capostipite del genere poliziesco, oppure in Il mistero di Marie Rôget, o in La lettera rubata. A volte i meccanismi

della mente disturbata sono esaminati dal punto di vista non del detective, ma

del criminale, come in Il gatto nero, Il cuore rivelatore, Il barile di Amontillado. Altri racconti si focalizzano sui processi psicologici innescati dal terrore più

puro: Una discesa nel maelstrom, Il pozzo e il pendolo, La sepoltura prematura, La maschera della morte rossa. In molti altri racconti, oggi meno

noti, Poe si diletta invece in un crudo sarcasmo che sfocia nel grottesco. L’autore medesimo riconosce questa sua duplicità contrapponendo nel titolo

della sua prima raccolta di racconti, Racconti del grottesco e dell’arabesco (1840), l’«arabesco» (la tendenza a cesellare eleganti prodotti letterari anche

quando l’argomento è cupo e l’atmosfera terrorizzante) appunto al «grottesco», che ha invece l’obiettivo di generare nel lettore un’immediata

riposta di repulsione.