tesina passivity rule

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Le modifiche alla disciplina sull’OPA: passivity rule, regola di neutralizzazione e clausola di reciprocità Autore: Laura Schermi Indice Introduzione pag. 2 1. Passivity Rule >> 2 1

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Le modifiche alla disciplina sull’OPA:

passivity rule, regola di neutralizzazione e clausola di reciprocità

Autore: Laura Schermi

Indice

Introduzione pag. 2

1. Passivity Rule >> 2

2. Regola di neutralizzazione >> 8

3. Clausola di reciprocità >> 11

Bibliografia >> 14

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Introduzione

Uno dei profili più controversi della disciplina dell’OPA è rappresentato dalla

c.d. passivity rule. Si tratta cioè di stabilire se e a quali condizioni, la società

oggetto dell’offerta possa adottare tecniche di difesa, in ipotesi di lancio di

un’offerta ostile sui propri titoli.

Anche storicamente il problema è stato variamente affrontato e risolto nelle più

significative esperienze estere: gli orientamenti non sono univoci. Posto che

dipende da una generale diversità di impostazione in merito alla disciplina

dell’Opa e delle sue finalità, ad un estremo si collocano soluzioni volte ad

impedire il ricorso a tecniche e strumenti di difesa da parte della società-

bersaglio (in tal caso la disciplina favorisce evidentemente l’offerente e rende

più agevole la scalata della società che deve assistere inerme all’aggressione);

all’altro estremo, di contro, si collocano gli ordinamenti che consentono un

ampio ricorso alle tecniche di difesa, lasciando che siano il mercato e le società

a raggiungere un soddisfacente grado di equilibrio.

1. Passivity Rule

La passivity rule trova origine nell’esigenza di bilanciare i poteri esistenti

all’interno delle società quotate, conferendo ai soci il potere di valutare

l’opportunità di “accettare” un’offerta proveniente da un terzo offerente, ovvero

adottare delle misure difensive, definite dal TUF come “qualsiasi atto od

operazione che possa contrastare il conseguimento degli obiettivi dell’offerta”. Il

problema del bilanciamento dei poteri tra organo di amministrazione e

assemblea dei soci è da sempre al centro di dibattiti tra i cultori del diritto

societario.

Da un lato vi sono i sostenitori della teoria secondo la quale i membri degli

organi di amministrazione sono meri agenti degli azionisti, ai quali deve essere

affidata la gestione quotidiana della società, lasciando le decisioni riguardanti

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aspetti di particolare rilevanza (come ad esempio la decisione se opporsi ad

un’offerta di acquisto) direttamente ai soci. I sostenitori di questa teoria

sottolineano inoltre come gli amministratori siano normalmente restii a favorire

l’esito positivo di un’offerta pubblica di acquisto in virtù del fatto che questa

comporta nella maggior parte dei casi un cambiamento del management da parte

dell’acquirente.

Dall’altro lato troviamo invece coloro i quali ritengono i componenti degli

organi di amministrazione essere i più competenti a prendere decisioni

riguardanti aspetti di particolare criticità come l’opporsi o meno ad una scalata

ostile. Secondo questi ultimi, infatti, i soci sono carenti di informazioni

aggiornate e complete sulla gestione della società, e perciò non adatti a valutare

l’opportunità di opporsi all’ingresso nel capitale sociale di un azionista di

maggioranza terzo.

Il legislatore comunitario ha impiegato oltre vent’anni per giungere ad un testo

definitivo di direttiva sulle offerte pubbliche di acquisto. Varie bozze di direttiva

sono state bocciate sin dal 1974, anno in cui fu conferito al prof. Robert

Pennington l’incarico di predisporre un documento che uniformasse la disciplina

sulle offerte pubbliche di acquisto dei vari stati membri.

La maggiore difficoltà incontrata dal legislatore comunitario è stata proprio

quella di far conciliare sistemi economici dissimili, nei quali differenti sono gli

assetti proprietari delle società quotate.

In sede di elaborazione della Direttiva, il legislatore comunitario è stato incapace

di trovare un punto di incontro tra gli Stati membri, e ha dunque scelto una

soluzione di compromesso che si è rivelata insufficiente, oltre che complessa e

farraginosa. In questo senso la Direttiva 2004/25 CE ha in realtà mancato il

proprio obiettivo (l’armonizzazione della legislazione degli Stati membri) e

soltanto una revisione dei testi comunitari avrebbe potuto porre rimedio alla

situazione.

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Infatti, in meno di tre anni, la regola di passività nella disciplina dell’Opa è stata

cambiata tre volte. Nel novembre del 2007, il legislatore italiano ha deciso di

recepire la regola di passività ed ha quindi previsto l’obbligo per le società

quotate italiane di ottenere l’autorizzazione per l’adozione di misure difensive in

caso di offerta pubblica di acquisto. Il D.lgs. 229/2007 rinominava la rubrica

dell’art. 104, integrando il TUF con gli artt. 104-bis e 104-ter e affidando la

passivity rule all’autonomia degli statuti che possono derogarvi in attuazione

della direttiva.

L’art. 104 del Testo Unico della Finanza, difatti, prevedeva l’obbligo di

astenersi dall’adottare misure difensive che potessero frustrare il risultato di

un’offerta pubblica di acquisto, salva autorizzazione rilasciata dall’assemblea

dei soci, concessa con il voto favorevole di tanti soci rappresentanti almeno il

30% del capitale sociale. Tale obbligo di astensione sorgeva contestualmente

alla comunicazione di voler promuovere un’offerta di acquisto o di scambio

effettuata dalla società offerente ai sensi dall’articolo 102 comma 1 del TUF, ed

era valido anche per quelle misure difensive che, pur se deliberate prima della

comunicazione, non erano ancora state completamente poste in attuazione.

L’adozione della regola di passività nella sua accezione più restrittiva aveva

posto le società quotate italiane in condizione di poter divenire facile preda di

investitori stranieri allettati dalle favorevoli condizioni di mercato. 

In tale contesto nel novembre del 2008 sono intervenute le modifiche al TUF

introdotte dal D.L. 185/2008 c.d. decreto anticrisi che completa l’iter rendendo

la passivity rule del tutto facoltativa, in quanto le società italiane quotate

possono prevedere nello statuto il divieto di adottare misure difensive senza

l’autorizzazione dell’assemblea ed eliminando del tutto il quorum deliberativo

del 30% previsto dall’art. 104 TUF (testo previgente).

Se lo statuto prevede la passivity, gli amministratori non possono compiere atti

od operazioni che possono contrastare gli obiettivi dell’offerta, senza aver

ottenuto preventivamente l’autorizzazione dell’assemblea ordinaria o

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straordinaria per le delibere di competenza, secondo i quorum ordinari previsti

dagli artt. 2368 e 2369 c.c..

Nella precedente formulazione dell’articolo 104, comma 1, il quorum

deliberativo aveva la funzione di limitare la possibilità per l’azionista di

maggioranza relativa di assumere decisioni autonome, tutelando in questo modo

gli azionisti di minoranza delle società a proprietà diffusa. Da un punto di vista

operativo, l’eliminazione del quorum speciale e la contestuale applicazione dei

quorum generali previsti dal codice civile, avrebbero dovuto rendere più agevole

l’adozione di misure difensive, anche a un socio di maggioranza relativa la cui

partecipazione sia inferiore al 30%.

La soluzione adottata, quindi, conferisce agli azionisti il potere di decidere se

subordinare le scelte dell’organo di amministrazione riguardanti l’adozione di

misure difensive alla propria preventiva autorizzazione, garantendo comunque,

in caso di inserimento della regola di passività, una maggiore celerità

nell’adozione della delibera garantita dall’eliminazione del quorum minimo

deliberativo.

Quanto all’ambito di applicazione temporale della passivity, l’obbligo di

astensione imposto dalla regola di passività decorre dalla comunicazione, alla

Consob e al pubblico, della decisione di promuovere l’offerta ovvero dal sorgere

dell’obbligo di promuovere l’offerta. L’offerente è poi tenuto a promuovere

l’offerta tempestivamente e comunque non oltre venti giorni dalla

comunicazione di cui sopra, presentando alla Consob il documento d’offerta

destinato alla pubblicazione. In caso di mancato rispetto del termine, il

documento di offerta è dichiarato irricevibile e l’offerente non può promuovere

un’ulteriore offerta avente a oggetto prodotti finanziari del medesimo emittente

nei successivi dodici mesi.

Su questa scelta erano piovute numerose critiche. Da un lato, si osservava come

la regola di passività dava voce agli azionisti in occasione di operazioni delicate

e corrispondendo, dunque, a un più alto grado di “democrazia azionaria”. Ma

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soprattutto si criticava l’eliminazione ope legis di un potere riservato ai soci. A

favore dell’abolizione della regola di passività si argomentava che la maggiore

libertà degli amministratori, e dunque dei gruppi di controllo di cui sono

espressione, di respingere scalatori indesiderati avrebbe avuto un effetto virtuoso

sul mercato, eliminando la necessità, da parte delle società, di utilizzare

strutture piramidali, patti di sindacato e altre note tecniche per bloccare il

mercato del controllo.

Nel settembre 2009 il Governo ha approvato il D.lgs. 146/2009 correttivo della

disciplina sulle offerte pubbliche d’acquisto, ove spicca, tra le novità introdotte,

il ripristino della passivity rule come regola (applicabile solo in quanto gli

statuti delle società non vi abbiano derogato), a partire dal mese di luglio 2010.

In sostanza, qualora i titoli della società da loro gestita siano oggetto di

un’offerta pubblica d’acquisto "ostile", gli amministratori non potranno più

compiere nessuna azione difensiva senza aver prima ottenuto l’autorizzazione

dell’assemblea.

Se lo statuto non dispone nulla al riguardo, si applicherà la regola in forza della

quale, successivamente, al lancio di un’OPA la società target ha l’obbligo di

astenersi dal compiere atti od operazioni che possano contrastare il

conseguimento degli obiettivi dell’offerta, salvo che l’atto o l’operazione sia

autorizzata dall’assemblea (ordinaria o straordinaria a seconda della natura o

oggetto dell’atto o dell’operazione). Inoltre, l’autorizzazione assembleare è

richiesta anche per l’attuazione di ogni decisione presa prima dell’annuncio

dell’offerta, che non sia stata in tutto o in parte attuata, che non rientri nel corso

normale delle attività della società e la cui attuazione possa contrastare il

conseguimento degli obiettivi dell’offerta.

La mera ricerca di altre offerte non costituisce ostacolo all’offerta.

L’efficacia integratrice della legge è di nuovo possibile ma senza il quorum

deliberativo del 30%; si permette cosi all’azionista di maggioranza relativa di

deliberare “per conto proprio”. Gli azionisti di minoranza non hanno quindi più

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voce; il principio di passività sopravvive ma perde del tutto la sua ratio:

dell’obiettivo originario di creare un mercato del controllo con regole certe, resta

soltanto la primigenia certezza del controllo dell’azionista di maggioranza

relativa, dalla cui volontà viene fatto dipendere il grado di efficacia delle regole

di mercato sul merito di scelte gestionali (per di più sotto la “spada di Damocle”

della clausola di reciprocità, ovvero della non applicabilità della passivity nel

caso in cui il promotore dell’offerta o il suo controllante non ne sia a sua volta

sottoposto per statuto o per legge).

Così, è prevista, in primo luogo, la possibilità per gli statuti di derogare, in tutto

o in parte, a tale previsione, nel senso che le singole società sono chiamate

ancora una volta a compiere nei loro statuti scelte in grado di incidere in misura

determinante sulla contendibilità. In questo caso, tuttavia, il segno della scelta è

l’opposto di quello precedente, in quanto è data la possibilità di disapplicare una

regola che, altrimenti, è direttamente efficace e lo rimane sino all’eventuale

modifica statutaria. Tali scelte saranno condizionate da diversi fattori, quali ad

esempio gli assetti proprietari e le strategie di investimento in Italia e all’estero.

In considerazione degli incentivi derivanti dall’applicazione della regola di

passività si può forse immaginare che saranno poche le società ad avvalersi di

questa possibilità di disapplicazione: una società che non applica la regola della

passività potrebbe, infatti, vedersi eccepita la reciprocità dalla società target, la

quale sarebbe legittimata ad adottare misure difensive senza l’autorizzazione

dell’assemblea. Allo stesso tempo, peraltro, non è da escludere che si arrivi

all’attenuazione/eliminazione della regola di passività da parte di società che, al

momento, temono scalate ostili e non hanno alcuna intenzione di giocare ruoli

“aggressivi” nel mercato.

Le disposizioni del Decreto concernenti la passivity rule sono entrate in vigore a

partire dal 1° luglio 2010. Entro tale data, le società italiane quotate sono state

chiamate ad esaminare le regole del mercato del loro controllo ed assumere le

decisioni più opportune, avuto riguardo alla propria struttura proprietaria e ai

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propri obiettivi strategici. In particolare, le società che prevedono di procedere

ad acquisizioni mediante OPA in stati membri dell’UE (inclusa l’Italia)

dovranno considerare che l’eventuale disapplicazione per statuto della passivity

rule le esporrebbe alla possibile invocazione della c.d. clausola di reciprocità da

parte della società target.

A prescindere comunque dal contenuto di questa ennesima riforma, emerge, con

evidenza, l’atteggiamento “schizofrenico” del legislatore italiano.

Siamo di fronte ad un “diritto ad intermittenza”, con decisioni non supportate da

una logica razionale e soprattutto lesive della fiducia degli investitori.

In termini ancora più chiari: se l’eliminazione della regola di passività nel

gennaio 2009 era fondata solo su poco approfondite considerazioni “difensive”,

questo parziale ritorno al passato in così breve tempo (e senza che la

capitalizzazione delle nostre società più strategiche abbia registrato significativi

aumenti) altro non sembra che l’ammissione di un errore. Resta il messaggio

agli investitori italiani (pochi) e stranieri (potenzialmente importanti) che le

regole del “mercato del controllo” in Italia sono incerte, cambiano rapidamente e

senza effettive giustificazioni. E questo non è certo un contributo alla

competitività del “sistema Paese”.

2. Regola di neutralizzazione

In sede di attuazione della Direttiva OPA, l’Italia è stata uno dei pochi Paesi a

scegliere di rendere obbligatoria la breakthrough rule.

La regola di neutralizzazione prevista dall’art. 104-bis ha per obiettivo quello di

neutralizzare eventuali “barriere” che si possono frapporre al successo

dell’offerta, rappresentate tipicamente da limiti statutari al trasferimento di titoli,

da limitazioni al diritto di voto, da regole speciali in materia di nomina degli

amministratori: insomma una regola volta ad aumentare la contendibilità del

controllo societario.

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Come per la passivity rule, anche su questa materia il dibattito in sede

comunitaria è stato molto articolato, tant’è che l’adesione della regola di

neutralizzazione è stata, alla fine, configurata come una opzione per gli Stati

membri: risulta, peraltro, che soltanto pochissimi Stati (tra cui l’Italia) l’abbiano

adottata.

La regola di neutralizzazione, introdotta nell’art. 104-bis TUF in attuazione della

direttiva, prevede che: a) nel periodo di adesione all’offerta non hanno effetto

nei confronti dell’offerente le limitazioni al trasferimento di titoli previste nello

statuto né hanno effetto, nelle assemblee chiamate a decidere sull’autorizzazione

alle misure, difensive, le limitazioni al diritto di voto previste nello statuto o da

patti parasociali; b) quando a seguito dell’offerta, l’offerente venga a detenere

almeno il 75% del capitale con diritto di voto nelle deliberazioni riguardanti la

nomina o la revoca degli amministratori o dei componenti del consiglio di

gestione o di sorveglianza, nella prima assemblea che segue la chiusura

dell’offerta, convocata per modificare lo statuto o per revocare o nominare gli

amministratori o i componenti del consiglio di gestione o di sorveglianza, non

hanno effetto le limitazioni al diritto di voto previste nello statuto o nei patti

parasociali nonché qualsiasi diritto speciale in materia di nomina o revoca degli

amministratori o dei componenti del consiglio di gestione o di sorveglianza

previsto nello statuto.

Come nel caso della passivity rule, anche la regola di neutralizzazione, sulla

base dell’esercizio dell’opzione prevista dalla Direttiva Opa, è stata resa

meramente facoltativa e si applica unicamente alle società italiane quotate che la

introducono nel proprio statuto sociale.

L’applicazione della regola di neutralizzazione fa sorgere in capo all’offerente

l’obbligo di corrispondere un equo indennizzo per l’eventuale pregiudizio

patrimoniale subito dai titolari dei diritti “neutralizzati”, qualora l’offerta abbia

avuto esito positivo.

La richiesta dell’indennizzo deve essere presentata all’offerente, a pena di

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decadenza, entro novanta giorni dalla chiusura dell’offerta oppure entro novanta

giorni dalla data dell’assemblea che segue la chiusura dell’offerta. In mancanza

di accordo, l’ammontare dell’indennizzo eventualmente dovuto deve essere

fissato dal giudice in via equitativa, avendo riguardo, tra l’altro, al raffronto tra

la media dei prezzi di mercato del titolo nei dodici mesi antecedenti la prima

diffusione della notizia dell’offerta e l’andamento dei prezzi successivamente

all’esito positivo dell’offerta.

Anche in questo caso, si ripropongono riflessioni analoghe a quelle svolte in

relazione alla possibilità di prevedere nello statuto l’applicazione della regola di

passività. Le società sono adesso chiamate a fare scelte precise in relazione al

loro grado di contendibilità, di fronte alla possibilità di adottare regole statutarie

e di governance prima imposte dalla legge.

L’impatto della regola di neutralizzazione deve essere comunque valutato in

relazione a due fattori: da un lato, la presenza di altre regole di diritto societario,

che di fatto limitano la possibilità di adottare barriere preventive (ad esempio, il

divieto posto a carico delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di

rischio di tetti al diritto di voto o suoi scaglionamenti, art. 2351, comma 3, c.c.);

dall’altro, la circostanza che non tutte le barriere preventive sono rese inefficaci

dalla regola di neutralizzazione (ad esempio le strutture piramidali).

Il decreto anti-crisi ha invece mantenuto il principio previsto dall’art. 123,

comma 3, del TUF in base al quale il socio che intende aderire a un’OPA

totalitaria o un’OPA preventiva parziale può recedere senza preavviso da uno

dei patti parasociali indicati nell’art. 122; in questo caso, non è prevista la

corresponsione di alcun indennizzo. La dichiarazione di recesso non produce

effetto se non si è perfezionato il trasferimento delle azioni.

Il D.lgs. 146/2009 non ha modificato l’articolo 104-bis relativo alla

breakthrough rule (o regola di neutralizzazione), la quale rimane applicabile

solo alle società che scelgano di introdurla nei propri statuti.

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3. Clausola di reciprocità

La possibilità concessa dalla Direttiva sulle offerte pubbliche di acquisto di

recepire la regola di passività e quella di neutralizzazione ha creato un possibile

squilibrio a livello europeo. Una società di uno stato membro che ha reso

obbligatorie una o entrambe le regole potrebbe essere penalizzata rispetto ad

un’altra con sede in un diverso stato che non le ha invece recepite. Al fine di

porre rimedio a tale distorsione, il legislatore europeo ha previsto la clausola di

reciprocità, ovvero la possibilità per gli stati membri di inserire una previsione

in base alla quale le regole di passività e neutralizzazione non si applicano nel

caso in cui l’offerente abbia la propria sede legale in uno stato che non ha

recepito tali regole.

Il Decreto Anticrisi, così come convertito dalla legge n. 2/2009, ha modificato

anche il testo dell’art. 104-ter TUF, in base al quale ora si prevede che la

passivity rule e la regola di neutralizzazione, quand’anche introdotte nello

statuto della target, non saranno applicabili qualora l’offerente (ovvero la sua

controllante) non applichi le medesime disposizioni, ovvero disposizioni

equivalenti.

In caso di offerta promossa di concerto, è sufficiente che a tali disposizioni non

sia soggetto anche uno solo tra gli offerenti.

Il decreto ha quindi confermato il principio di reciprocità e ha introdotto tre

modifiche all’art. 104-ter.

La prima, contenuta nel primo comma, è volta ad allineare la previsione con la

circostanza che l’applicazione delle regole di passività e neutralizzazione

discende da una previsione statutaria e non più dalla legge.

La seconda, che prevede la soppressione del comma 2 dell’art. 104-ter, è dovuta

all’abrogazione dei quorum speciali per l’autorizzazione all’adozione delle

misure difensive di cui all’art. 104.

La terza, prevista al quarto comma dell’art. 104-ter, riguarda la competenza

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dell’assemblea chiamata ad autorizzare l’adozione di misure difensive in

applicazione della clausola di reciprocità. Prima si richiedeva la delibera di

autorizzazione dell’assemblea straordinaria; ora si parla genericamente di

assemblea. Questa modifica lascia pensare che la competenza sarà

dell’assemblea ordinaria o straordinaria a seconda della competenza a deliberare

le misure da adottare.

La clausola di reciprocità introdotta dall’art. 104-ter consente che la regola di

passività e/o la regola di neutralizzazione non si applichino alla società target se

l’offerente, o un soggetto controllato dall’offerente, non sia soggetto a tali

disposizioni o a disposizioni equivalenti. In ogni caso, il potere dell’organo

amministrativo di ricorrere a misure difensive in applicazione del principio di

reciprocità richiede la preventiva autorizzazione da parte dell’assemblea,

espressa nei diciotto mesi precedenti la pubblicazione dell’offerta.

La norma è stata introdotta per garantire un level playing field pur in presenza di

diverse norme nazionali di trasposizione della direttiva. L’efficacia della norma

rispetto all’obiettivo appare però limitata, con particolare riferimento alla regola

di neutralizzazione che rende inefficaci solo alcune, ma non tutte, le possibili

difese preventive all’OPA. Infatti, l’adozione di misure strutturali anti-scalata

estranee all’ambito di applicazione della regola di neutralizzazione non rilevano

per invocare la clausola di reciprocità. Restano dunque margini di concorrenza

tra gli ordinamenti a seconda di quanto il diritto societario nazionale consente in

materia di misure difensive preventive.

Sul piano applicativo, la clausola di reciprocità presenta alcune difficoltà.

In primo luogo, occorre valutare se all’offerente si applichino le stesse misure

antidifesa della società target. La verifica non risulta agevole, dato che il regime

dell’offerente risulterà, nella maggior parte dei casi, da una combinazione di

regole legislative e di regole statutarie. Essa dovrà essere effettuata anche con

riferimento alla società che controlla direttamente o indirettamente l’offerente,

dovendo così ricostruire anche i rapporti di controllo.

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Il legislatore italiano, nel recepire la direttiva, ha previsto che la reciprocità

possa essere invocata quando l’offerente non è soggetto alle stesse regole di

passività e/o neutralizzazione ovvero a regole equivalenti a quelle applicate alla

società target. Non ha però indicato criteri per valutare tale equivalenza.

Il compito di verificare l’equivalenza del regime applicabile alle società

coinvolte nell’OPA è stato affidato alla Consob, la quale deve pronunciarsi con

provvedimento motivato e impugnabile secondo le regole generali, su istanza

delle parti ed entro venti giorni dalla presentazione della stessa. La Consob deve

stabilire con proprio regolamento, non ancora adottato, i contenuti e le modalità

di presentazione dell’istanza.

Quanto all’ambito soggettivo di applicazione, la clausola di reciprocità sembra

invocabile solo quando l’offerente sia una società quotata, alla quale si applica

la direttiva, oppure sia una società non quotata controllata però, direttamente o

indirettamente, da una società quotata che non applica la regola della passività

e/o della neutralizzazione.

Il decreto legislativo di trasposizione della direttiva sembra ampliare l’ambito di

applicazione della reciprocità; utilizza, infatti, una formula molto ampia,

prevedendo che tali regole non si applicano in caso di offerta promossa da “chi”

non sia soggetto a tali disposizioni o a disposizioni equivalenti.

La norma precisa inoltre che, in caso di offerta promossa di concerto, è

sufficiente che anche uno solo degli offerenti non sia soggetto alla regola della

passività e/o della neutralizzazione o a regole equivalenti.

La reciprocità non opera automaticamente: la società che intende avvalersene

deve autorizzare le misure difensive con una delibera dell’assemblea assunta

non più di diciotto mesi prima dell’OPA. Sul piano operativo, si potrebbe

pensare di inserire nell’ordine del giorno dell’assemblea annuale la proposta di

autorizzazione per consentire agli amministratori di adottare misure difensive.

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Bibliografia

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societario – Mercato dei capitali Circolare n. 18 del 18/04/2009, Le

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CARPIGLIONE Francesco – L’ordinamento finanziario italiano,

Seconda Edizione CEDAM 2010.

CONSOB – Allegato n. 3 Quadro normativo in materia di OPA.

PELLICANÒ Aldo Alessandro – L’accordo delle parti nella

conclusione del contratto. Le applicazioni della Giurisprudenza,

Seconda Edizione 2010.

TOMBARI Umberto – NARDONE Gaia – Finanza – Pasivity Rule:

un ritorno al passato repentino? 07/10/2009

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